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Diritto processuale civile - il processo esecutivo, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

riassunto del libro "Diritto processuale civile - il processo esecutivo" - Luiso (+ aggiornamenti)

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Caricato il 06/09/2016

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Scarica Diritto processuale civile - il processo esecutivo e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1. L’esecuzione forzata nel quadro dell’ordinamento [situazioni finali] Alcune situazioni sostanziali protette si attuano fornendo al loro titolare poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e facendo semplicemente obbligo a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento di non inframmettersi tra il titolare del diritto e il bene garantito: cioè imponendo a carico di tutti gli altri soggetti dei doveri di astensione -> situazioni finali [situazioni strumentali] Talvolta, al contrario, si constata che l’interesse, che costituisce la situazione sostanziale protetta, è garantito non dall’attività indisturbata del titolare del diritto, ma da un comportamento attivo (non di astensione) di un altro soggetto, senza il quale il comportamento la situazione sostanziale non è soddisfatta -> situazioni strumentali [doveri primari e secondari] Talvolta i doveri sono primari, nel senso che attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale: si tratta di tutti quei casi in cui, sul piano del diritto sostanziale, è previsto come obbligo primario quello di tenere un certo comportamento attivo. Talvolta sono secondari in quanto nascono da un precedente illecito: nascono dal fatto che esisteva un altro dovere a monte, che non è stato rispettato; a ciò consegue la nascita di un dovere di contenuto diverso che si chiama secondario, perché origina da un precedente dovere inadempiuto, e che ha una funzione in senso lato ripristinatoria. [illecito] Problema: cosa accade quando il soggetto, che dovrebbe tenere il comportamento satisfattivo del diritto altrui, in realtà non tiene tale comportamento e contravviene all’obbligo che l’ordinamento gli impone (realizzando un illecito)? Ai fini della tutela esecutiva è sufficiente che sul piano del diritto sostanziale non sia stato tenuto quel comportamento. Non serve una tutela dichiarativa: occorre far sì che l’avente diritto riceva quell’utilità che, secondo diritto sostanziale, gli dovrebbe provenire dall’adempimento dell’obbligato. [poteri sostanziali dell’avente diritto] A fronte dell’inadempimento di obblighi imposti dal diritto sostanziale talvolta è lo stesso avente diritto che può sostituirsi all’obbligato con la propria attività sul piano del diritto sostanziale, per ottenere quel risultato utile che l’ordinamento gli garantisce e che non ha ottenuto con lo spontaneo adeguamento dell’obbligato alla regola di condotta di diritto sostanziale. [tutela esecutiva] Ma non sempre l’avente diritto può autonomamente procurarsi l’utilità che gli era garantita dall’ordinamento. Occorre uno strumento che possa fornire all’avente diritto quell’utilità, che gli spetta -> esecuzione forzata Tutela dichiarativa e tutela esecutiva si pongono su piani del tutto diversi e non necessariamente in consecuzione cronologica. 2. L’esecuzione diretta e l’esecuzione indiretta [garanzia costituzionale] Il diritto di azione e di difesa, previsti e garantiti dall’art.24 Cost. comprendono anche la tutela esecutiva. La norma costituzionale garantisce il diritto ad una tutela giurisdizionale efficace che si deve esplicare in tutte le forme necessarie per la soddisfazione dei vari diritti: nella forma del processo di cognizione, laddove si rende necessario statuire sui rispettivi diritti ed obblighi delle parti, determinando i comportamenti da tenere vicendevolmente; nella forma del processo cautelare, laddove la situazione sostanziale protetta corre il rischio di un pregiudizio per il tempo occorrente a farla valere in via ordinaria; nella forma dell’esecuzione forzata, laddove ci si trovi di fronte ad obblighi di comportamento che rimangono disattesi e che sono funzionali alla soddisfazione del titolare dell’interesse protetto. Illegittimità costituzionale di alcune norme che impedivano la tutela esecutiva. [esecuzione diretta] Si ha esecuzione diretta tutte le volte in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, il quale si attiva in luogo dell’inadempiente. Attraverso la tutela esecutiva il titolare del diritto non può ottenere di più (né deve ottenere di meno) di quello che avrebbe ottenuto in virtù dell’adempimento spontaneo dell’obbligato. Il tipo di attività che deve tenere l’ufficio esecutivo è strettamente correlato al tipo di attività che doveva tenere l’obbligato -> attività omogenee [fungibilità] Questa tecnica di tutela esecutiva ha un limite naturale: per il titolare del diritto deve essere indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato, oppure da un terzo; l’obbligo deve essere fungibile. Questa tecnica di tutela non è utilizzabile allorché per il titolare del diritto non è indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato, oppure da un terzo: quando, cioè, l’obbligo è infungibile. Pag.82 Pag.82 Fanno parte degli obblighi infungibili tutti quelli in cui l’adempimento personale da parte dell’obbligato è determinante o a causa del contenuto personale della prestazione (artistica, professionale) o, più facilmente, perché si tratta di obblighi di astensione: tutti gli obblighi di astensione sono infungibili. [esecuzione indiretta] Quando si è in presenza di obblighi infungibili si rende necessaria l’esecuzione indiretta: occorre indurre l’obbligato ad adempiere, e ciò può essere ottenuto prevedendo che l’obbligato inadempiente vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento. Conseguenze: a. Si ha esecuzione indiretta con misure coercitive civili allorquando sia previsto che a carico dell’inadempiente, una volta verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, sorge l’obbligo di pagare una certa somma di denaro per ogni ulteriore periodo di inerzia o per ogni ulteriore violazione del dovere di astensione. Somma determinata con riferimento ad un’unità temporale per l’inadempimento di obblighi di fare, e con riferimento ad ogni illecito commesso per la violazione degli obblighi di astensione. Il beneficiario versa allo Stato (o altro ente pubblico), oppure la controparte b. Si ha esecuzione indiretta con misure coercitive penali allorquando sia previsto che, verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, gli ulteriori inadempimenti dell’obbligato integrano un’ipotesi di reato Riguardo l’efficienza, l’esecuzione diretta garantisce maggiormente il raggiungimento del risultato voluto. L’esecuzione indiretta in astratto potrebbe essere usata sia per gli obblighi infungibili che fungibili, ma di solito è utilizzata solo per quelli infungibili, a causa di inconvenienti. • Gli strumenti coattivi operano sulla volontà dell’obbligato, e quindi possono essere inefficaci, ove l’obbligato sia particolarmente determinato a non adempiere • Lo strumento coattivo di natura penale costituisce un ulteriore appesantimento per una giurisdizione – penale – che è già sovraccarica, e che spesso non riesce ad applicare la sanzione • Lo strumento coattivo di natura civile, a sua volta, è un’arma spuntata nei confronti di chi non ha un patrimonio con cui rispondere dell’obbligazione pecuniaria L’esecuzione indiretta non serve se l’obbligato ha un patrimonio talmente ingente, da essere insensibile al pagamento della somma. Se la somma dovuta va alla controparte, è necessario porre un limite massimo ad essa, per evitare che si verifichi un ingiustificato arricchimento dell’avente diritto. Si evita se si prevede una misura coercitiva, nella quale le somme pagate dall’inadempiente vadano alla collettività (Stato) invece che all’avente diritto. Cosa accade nell’ipotesi in cui l’esecuzione indiretta sia utilizzata per un diritto (accertato poi) inesistente? Due soluzioni. Da un lato si può affermare che, ai fini della sussistenza dell’illecito, basta il mero dato dell’inottemperanza, essendo del tutto irrilevante la sorte che il provvedimento inottemperato ha nelle ulteriori fasi del processo. Dall’altro lato si può affermare che, ove nelle successive fasi del processo si accerti che il comportamento era lecito, viene meno l’illecito. Non si commette alcun illecito, rimanendo inottemperanti ad un provvedimento riconosciuto ingiusto, illegittimo, etc. nella sede prevista appositamente per sindacarne la conformità al diritto. Solo la seconda soluzione è conforme ai principi costituzionali. L’interessato ha il diritto a non ottemperare al provvedimento autoritativo (e.g. legge) che è stato dichiarato illegittimo; ed ha diritto anche a non essere sanzionato per la mancata ottemperanza. L’unica soluzione che rispetta i principi costituzionali è la seconda. Una volta riformato il provvedimento, cade la sanzione penale e, se si tratta di sanzione civile, le somme pagate gli devono essere restituite. [obbligo inadempiuto e tecniche di tutela] L’esecuzione diretta deve diversamente strutturarsi a seconda del tipo di comportamento che deve sostituire: se è quello di pagare una somma di denaro, l’ufficio esecutivo deve compiere certe attività; se è quello di consegnare un bene individuato, l’ufficio esecutivo deve compiere altre attività; se il tipo di comportamento è fare una qualunque cosa diversa da quelle viste, l’ufficio deve compiere altre attività ancora. Vi sono quindi tre diverse tecniche di tutela esecutiva (diretta): l’espropriazione forzata, per i crediti di danaro; l’esecuzione per consegna o rilascio, per il trasferimento del potere di fatto su beni mobili o immobili; l’esecuzione per obblighi di fare, in via residuale, per tutti i Pag.82 Pag.82 verbale di conciliazione giudiziale: la conciliazione è quel modo di chiusura del processo che si ha quando le parti si trovano d’accordo per una risoluzione consensuale della controversia; l’accordo è recepito nel verbale della causa e costituisce titolo esecutivo. È estato equiparato il verbale di conciliazione ai titoli esecutivi giudiziali. [scritture private e titoli di credito] La seconda categoria è costituita dalle scritture private autenticate e dai titoli di credito: le cambiali, gli assegni e gli altri titoli ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia. Le scritture private autenticate costituiscono titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. Sono titoli esecutivi solo per l’espropriazione, e non per le altre forme di esecuzione forzata. Quando l’art.474 c.p.c. parla di scrittura privata fa riferimento non solo ai contratti, ma anche agli atti unilaterali. Per quanto riguarda, invece, i titoli di credito, la legge sulla cambiale e quella sull’assegno prevedono che questi siano titoli esecutivi solo se in regola con il bollo fin dal momento della loro emissione. Se non lo sono, valgono come titoli di credito, però non hanno efficacia esecutiva. [atti pubblici] La terza categoria è costituita dagli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. L’atto pubblico costituisce titolo esecutivo anche in relazione all’esecuzione per consegna e rilascio. [altri titoli esecutivi] Vi sono molti altri titoli esecutivi che il legislatore individua qua e là. L’efficacia di titolo esecutivo deve comunque essere prevista espressamente dal legislatore e non può essere attribuita in via di interpretazione analogica. Varie fattispecie. Conciliazione stragiudiziale, cioè quel procedimento che è volto a favorire una soluzione negoziale della controversia. Proprio a questo scopo – e cioè per invogliare le parti ad esperire il procedimento conciliativo – il legislatore attribuisce all’accordo, raggiunto nelle sedi conciliative che lo stesso legislatore indica, l’efficacia piena di titolo esecutivo. [fondamento del titolo esecutivo] Perché il legislatore attribuisce l’efficacia di titolo esecutivo a certi atti e non ad altri? [irrilevanza della certezza] In dottrina è prevalente l’opinione che riconduce il comune denominatore dell’efficacia esecutiva di certi atti a ciò che questi atti darebbero certezza dell’esistenza del diritto da tutelare; si attribuisce efficacia esecutiva a certi atti e non ad altri, in ragione dell’efficacia di accertamento propria degli uni, e non anche degli altri. Poiché il diritto da tutelare deve esistere, essenziale per avere il diritto alla tutela esecutiva è un accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare. Tale accertamento scaturisce dagli atti indicati nell’art.474 c.p.c., mentre non scaturisce da altri atti, ai quali il legislatore nega appunto l’efficacia esecutiva, perché non danno sufficiente certezza dell’esistenza del diritto da tutelare. Questa impostazione non convince. Non c’è dubbio che l’atto, al quale il legislatore attribuisce efficacia esecutiva, può fornire una sufficiente certezza dell’esistenza del diritto da tutelare. Però la certezza dell’esistenza del diritto da tutelare non è l’elemento fondamentale, unificante che sta alla base della scelta del legislatore per l’individuazione dei titoli esecutivi, e quindi per la concessione della tutela esecutiva. Ciò che conta è che il legislatore ritenga per motivi vari meritevole di tutela esecutiva una certa situazione sostanziale. Può essere ritenuta tale per varie ragioni: quando il diritto è sufficientemente certo; o quando il diritto appartiene a un ente pubblico o previdenziale; o quando appartiene ad un soggetto che abbia necessità di rapida tutela esecutiva del proprio diritto. [diritto meritevole di tutela] Gli elementi che il legislatore prende in considerazione per attribuire la tutela esecutiva sono disomogenei: indubbiamente rileva anche la certezza dell’esistenza del diritto, ma solo come uno dei tanti fattori presi in considerazione. Il legislatore, in realtà, attribuisce efficacia esecutiva all’atto, quando ritiene che il diritto, in esso contenuto, sia meritevole di tutela esecutiva. I fattori, che il legislatore prende in considerazione in questo giudizio di “meritevolezza” della tutela esecutiva sono variabili. [rapporti con la tutela dichiarativa] Rapporti fra tutela dichiarativa e tutela esecutiva. La tutela esecutiva non è fornita a chiunque la richieda affermando di essere titolare di un diritto leso dall’inerzia dell’obbligato: occorre che venga ad esistenza un diritto (processuale) – il diritto alla tutela esecutiva – diverso dal diritto Pag.82 Pag.82 (sostanziale) – il diritto da tutelare. Per accedere alla tutela esecutiva occorre, quindi, avere un titolo esecutivo. Ora, se l’interessato non ha un titolo esecutivo stragiudiziale, deve procurarsene uno: il che può accadere solo attraverso un processo di cognizione (ordinario o sommario). Pertanto, in tal caso il processo di cognizione è “precostituito” ad una funzione diversa da quella sua propria: all’attore non interessa tanto che siano stabilite le regole di condotta fra lui e la controparte relativamente alla sua situazione sostanziale protetta, quanto procurarsi l’accesso alla tutela esecutiva, tramite la formazione di un titolo esecutivo. Il provvedimento dichiarativo è solo una tappa verso la meta finale. Quanto più si moltiplicano i titoli esecutivi stragiudiziali, tanto più si alleggerisce il processo di cognizione da tutte quelle domande che hanno come scopo la formazione di un titolo esecutivo. 5. Il titolo esecutivo in senso sostanziale e il titolo esecutivo in senso documentale [oggetto dell’esecuzione] Il titolo esecutivo sta fuori e prima dell’esecuzione; non è l’oggetto dell’esecuzione ma la fattispecie in presenza della quale si ha l’azione esecutiva, il diritto processuale alla tutela esecutiva del diritto sostanziale. L’esecuzione forzata costituisce l’attuazione non del provvedimento del giudice ma della situazione sostanziale protetta. Nel processo amministrativo o penale l’esecuzione presuppone sempre un provvedimento giurisdizionale, mentre nel processo civile l’esecuzione può prescinderne, in quanto esistono anche i titoli esecutivi stragiudiziali. Quindi il termine “esecuzione” si riferisce non al provvedimento giurisdizionale ma al diritto sostanziale. Il titolo esecutivo è la fattispecie che consente lo svolgimento dell’esecuzione forzata, ne costituisce un presupposto processuale specifico, e non è invece l’oggetto dell’esecuzione. Il rapporto tra il titolo esecutivo ed il diritto da tutelare è il rapporto tra la fattispecie che rende possibile lo svolgimento dell’esecuzione forzata e l’oggetto dell’esecuzione stessa. Il titolo esecutivo costituisce il presupposto, non l’oggetto dell’attuazione esecutiva; quindi non al provvedimento, sibbene al diritto occorre rifarsi per stabilire come deve atteggiarsi la tutela esecutiva: se cambia il presupposto, ma resta immutato il diritto da tutelare, l’esecuzione forzata rimane sempre la stessa. Al contrario, se è identico il presupposto, ma muta il diritto da tutelare, l’esecuzione forzata è, per necessità di cose, diversa. [legittimità processuale] Altra considerazione: l’esistenza del titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva. Il titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva, e chi ha a suo favore il titolo esecutivo ha diritto a pretendere l’intervento giurisdizionale. [liceità sostanziale] L’effetto di natura processuale (cioè il diritto all’intervento dell’ufficio esecutivo ed il dovere dell’ufficio esecutivo di attivarsi) scaturisce solo dal titolo esecutivo; tuttavia l’esistenza di questo effetto (processuale) non incide sulla liceità dell’esecuzione forzata sul piano del diritto sostanziale . Non è sufficiente che sussista un titolo esecutivo, perché l’intervento degli organi esecutivo – dovuto sul piano processuale – sia lecito sul piano sostanziale. Affinché sia lecita, è necessaria l’effettiva esistenza del diritto da tutelare. L’aver diritto alla tutela esecutiva significa che colui che la richiede deve ottenerla, anche se nei confronti della controparte sta commettendo un illecito. L’ufficio esecutivo non può rifiutare la propria attività. Però quanto l’ufficio esecutivo compie costituisce, sul piano del diritto sostanziale, un illecito di cui risponde chi ha chiesto all’ufficio esecutivo di intervenire. Ciò può essere ricavato dall’art.96, II c.p.c., in base al quale si può fruire della tutela esecutiva, e tuttavia essere obbligati al risarcimento dei danni, se non esiste il diritto, di cui si è richiesta la tutela esecutiva. Si distingue il piano del diritto processuale alla tutela esecutiva e la liceità dell’attività esecutiva sul piano del diritto sostanziale, perché la liceità dipende dall’esistenza del diritto che si vuole avere tutelato e non dall’esistenza del diritto alla tutela esecutiva. Vi è la possibilità di una utilizzazione illecita della tutela esecutiva. Dal momento che i risultati dell’esecuzione forzata non sono leciti per il solo fatto che sono prodotti da uno strumento giurisdizionale ciò significa che l’esecuzione forzata può essere utilizzata per produrre un effetto contrario al diritto sostanziale, e che, quindi, chi la utilizza commette un illecito dal punto di vista del diritto sostanziale. Pag.82 Pag.82 Né sembri strano che colui, il quale fa uso di un diritto, possa commettere un illecito. Difatti, altro è il diritto alla tutela, che è un diritto processuale verso lo Stato, altro è il diritto da tutelare, che è n diritto sostanziale verso la controparte. Se l’esistenza del primo prescinde dall’esistenza del secondo; se quindi ha diritto di ottenere la tutela esecutiva anche chi non ha un diritto sostanziale da tutelare; da ciò consegue che chi ha fatto uso di uno strumento, messogli a disposizione dallo Stato, per tutelare diritti inesistenti, ha commesso un illecito sul piano del diritto sostanziale. La tutela esecutiva è come un’arma che lo Stato fornisce: chi la usa male, ne risponde sul piano del diritto sostanziale. [titolo esecutivo in senso sostanziale] Si distinguono le nozioni di titolo esecutivo in senso sostanziale e in senso documentale. Con il primo si intende la fattispecie da cui sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione sostanziale protetta. Il titolare di questa situazione ha diritto all’intervento degli organi giurisdizionali, che hanno l’obbligo di attivarsi. Nel rapporto (di diritto processuale) istante- organi esecutivi, l’esistenza di un titolo esecutivo in senso sostanziale fa sì che vi sia una pretesa fondata dell’istante ed un dovere di comportamento dell’organo esecutivo: l’istante ha diritto alla tutela giurisdizionale esecutiva e l’ufficio esecutivo ha il dovere di attivarsi. Invece, nel rapporto (di diritto sostanziale) istante-esecutato, il titolo esecutivo non è idoneo a modificare la situazione di diritto sostanziale ed a rendere lecito un intervento esecutivo che, se doveroso sul piano processuale, è illecito sul piano del diritto sostanziale. Il titolo esecutivo in senso sostanziale costituisce quindi un istituto di diritto processuale ed è costituito dal complesso degli elementi da cui sorgono il diritto dell’istante ad ottenere la tutela esecutiva ed il dovere dell’ufficio esecutivo di attivarsi per fornire la tutela esecutiva. Fattispecie composta da elementi che si distinguono in due settori. Da un lato vi sono gli elementi costitutivi dell’effetto giuridico: l’effetto si produce, allorché è completata la fattispecie costitutiva. Nasce allora la pretesa esecutiva, il diritto processuale ad ottenere la tutela esecutiva ed il dovere dell’ufficio esecutivo di prestare la propria attività. Dall’altro lato vi sono gli elementi impeditivi, modificativi, estintivi in presenza dei quali l’effetto giuridico, pur quando si sia completata la fattispecie esecutiva, o non sorge oppure, una volta sorto, si modifica o estingue. [titolo esecutivo in senso documentale] Diverso è il concetto di titolo esecutivo in senso documentale. Accanto al titolo esecutivo in senso sostanziale esiste anche il titolo esecutivo in senso documentale. Quello in senso documentale è un documento che rappresenta in modo non completo la fattispecie del diritto a procedere ad esecuzione forzata. È una rappresentazione parziale della fattispecie del titolo esecutivo in senso sostanziale, perché tale rappresentazione può essere carente di un fatto costitutivo. Ma la principale divergenza fra titolo esecutivo in senso documentale e in senso sostanziale si verifica nel settore dei fatti estintivi e modificativi del diritto di procedere ad esecuzione forzata. Allorché le norme parlano di “titolo esecutivo” dobbiamo quindi distinguere a seconda che si riferiscano al titolo esecutivo in senso sostanziale o al titolo esecutivo in senso documentale. [funzione del titolo in senso documentale] L’ordinamento ha creato la figura del titolo esecutivo in senso documentale per rendere edotto l’ufficio esecutivo dell’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, semplificando le operazioni cognitive che l’ufficio esecutivo deve compiere per rendersi conto se il soggetto, che la chiede, ha diritto alla tutela esecutiva. La semplificazione si attua onerando il soggetto, che richiede l’intervento dell’ufficio esecutivo, di fornire la prova documentale dell’esistenza dei fatti costitutivi del diritto alla tutela esecutiva (salvo il decorso del termine). La prova documentale degli elementi costitutivi della fattispecie consente di escludere indagini complesse dell’ufficio. L’ufficio esecutivo si limita a constatare l’esistenza del titolo esecutivo in senso documentale e sulla base di ciò deve procedere, salva un’opposizione della controparte che porti a una cognizione piena del titolo esecutivo in senso sostanziale. [spedizione in forma esecutiva] Per individuare i titoli esecutivi in senso documentale, occorre distinguere le ipotesi previste dall’art.474, II (scritture private autenticate e titoli di credito) e quelle previste dall’art.474, I e III c.p.c. (provvedimenti giudiziali e atti pubblici). Nel primo caso, il titolo esecutivo in senso documentale è rappresentato dall’originale del titolo esecutivo stesso. Nel secondo caso, l’originale dell’atto resta Pag.82 Pag.82 Sia nell’uno che nell’altro caso l’obbligo pregiudiziale è un elemento della fattispecie costitutiva dell’obbligo dipendente. Poiché la successione ereditaria dà luogo, sotto tutti i profili rilevanti, ad un fenomeno analogo alle altre ipotesi in cui si verifica la nascita di un obbligo dipendente da quello consacrato nel titolo, niente osta ad estendere la disciplina dell’art.477 c.p.c., al di là dell’ipotesi espressamente prevista, ai casi in cui si verifica lo stesso fenomeno sostanziale, cioè la nascita di un obbligo dipendente: naturalmente, a condizione che l’atto, che funge da titolo esecutivo, sia efficace nei confronti del titolare dell’obbligo dipendente. • Il titolo esecutivo è utilizzabile da o contro un terzo quando costui è titolare di un diritto o di un obbligo dipendenti da quelli contenuti nel titolo esecutivo; ciò a condizione che l’atto, che funge da titolo esecutivo, abbia verso il titolare della situazione dipendente e con riferimento alla situazione pregiudiziale, gli stessi effetti che ha nei confronti del dante causa. [Titolo in senso sostanziale e titolo in senso documentale] L’efficacia del titolo esecutivo a favore e contro terzi costituisce un’ulteriore ipotesi di non coincidenza fra titolo esecutivo in senso sostanziale e in senso documentale. Nei casi in cui l’esecuzione a favore o contro terzi è consentita dall’ordinamento, dal titolo esecutivo in senso documentale utilizzato non risulta che il terzo, il quale pretende di utilizzare, o contro il quale si pretende di utilizzare il titolo stesso, è effettivamente successore, e quindi non risulta neppure l’esistenza del diritto che si vuole vedere tutelato con l’esecuzione. Quando l’erede del creditore usa il titolo esecutivo esistente a nome del deceduto, oggetto del titolo esecutivo in senso documentale è il credito pregiudiziale del de cuius, ma la situazione sostanziale, oggetto dell’esecuzione e della quale l’erede chiede tutela, è il suo diritto, e non quello del dante causa. Il titolo esecutivo in senso documentale contiene quindi la rappresentazione di una situazione sostanziale che sta a monte di quella oggetto dell’esecuzione. [legittimità costituzionale] L’efficacia della sentenza verso terzi deve essere rapportata al rispetto del diritto di difesa, perché vincolare al contenuto della sentenza un soggetto, che non è stato parte del processo di formazione della sentenza stessa, in linea di principio costituisce lesione del principio del contraddittorio: nessuno può essere vincolato ad un provvedimento emesso senza che egli si sia potuto difendere. Nel caso dell’efficacia verso i terzi del titolo esecutivo tutto questo non accade perché l’esecutato ha gli strumenti idonei per contestare la pretesa efficacia ultra partes del titolo esecutivo, con onere della prova a carico di chi afferma la sussistenza di tale efficacia. 7. La notificazione del titolo esecutivo e del precetto [precetto] Secondo l’art.479 c.p.c., il titolo esecutivo in senso documentale deve essere notificato all’esecutando prima dell’inizio dell’esecuzione forzata. Contestualmente o successivamente deve essergli notificato anche il precetto (art.480 c.p.c.). Precetto: intimazione ad adempiere all’obbligo risultante dal titolo esecutivo in un termine non inferiore ai 10gg, salvo che ai senti dell’art.482 c.p.c. sia autorizzato l’inizio immediato dell’esecuzione. [parti] Un elemento essenziale del precetto è l’indicazione delle parti del processo esecutivo. Se il titolo esecutivo è usato da o contro un terzo, le parti individuate nel precetto devono essere quelle nei cui confronti si svolgerà il processo esecutivo. Non è possibile intimare il precetto a un morto: deve essere fatto all’erede, nonostante il titolo esecutivo porti il nome del de cuius. Il precetto costituisce quindi la necessaria attualizzazione del titolo esecutivo in senso documentale: eventuali divergenze fra titolo esecutivo documentale e sostanziale devono essere esplicate nel precetto. [oggetto] Anche dal punto di vista oggettivo il precetto costituisce l’attualizzazione del titolo esecutivo. L’art.480 c.p.c. stabilisce che l’intimazione deve riguardare l’adempimento di obblighi risultanti dal titolo esecutivo. Però non è possibile che il titolo esecutivo in senso documentale debba essere integrato da elementi estranei ad esso. [beni] Riguardo l’individuazione dei beni sottoposti a esecuzione, si distingue. Se al precetto segue un’esecuzione per consegna o rilascio o per obblighi di fare, bisogna identificare i beni oggetto dell’esecuzione, beni che sono già individuati nel titolo esecutivo. Se al precetto segue un’espropriazione, è necessario individuare il credito tutelato, ma non i beni che saranno pignorati. Pag.82 Pag.82 [contenuto] L’art.480 c.p.c. prevede che nel precetto sia contenuta l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, sempre che sia stato notificato separatamente. Il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione, nonché l’avvertimento che il debitore può ricorrere agli strumenti che l’ordinamento prevede per le situazioni di sovraindebitamento. La sottoscrizione del precetto è l’ultimo elemento. È sufficiente anche la sottoscrizione personale del creditore, e non è necessaria quella del procuratore legale. Per le scritture private autenticate, gli accordi raggiunti in sede di mediazione e di negoziazione assistita e i titoli di credito non è possibile notificare il titolo esecutivo originale, e dunque si prevede che tale notificazione sia effettuata mediante la trascrizione del titolo esecutivo nel precetto. [processo esecutivo] Il precetto è un atto del processo esecutivo, anche se anteriore all’inizio dell’esecuzione forzata. L’inizio del processo esecutivo non coincide con l’inizio dell’esecuzione forzata. L’art.617 c.p.c. equipara il titolo esecutivo (in senso documentale) e il precetto a tutti gli altri atti del processo esecutivo, consente di qualificare il precetto come un atto del processo esecutivo anteriore all’inizio dell’esecuzione forzata. [domanda giudiziale] Il precetto ha la funzione della domanda giudiziale: individua il diritto di cui si richiede la tutela esecutiva. Anche il precetto produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale: l’impedimento della decadenza, l’interruzione e la sospensione della prescrizione, etc. Rispetto alla citazione e al ricorso, il precetto presenta una diversità: nei primi, contestualmente all’indicazione del diritto di cui si chiede la tutela, è presente anche la richiesta del provvedimento del giudice; nel precetto la richiesta di intervento dell’ufficio esecutivo non è contestuale alla notifica del precetto, ma avviene successivamente. Prima si individua il diritto, si notifica il precetto alla controparte e con ciò è proposta la domanda esecutiva ed è individuato il diritto da tutelare; poi, scaduto il termine per adempiere dato nel precetto, ci si rivolge all’ufficio esecutivo per un suo intervento. La richiesta di intervento dell’ufficio esecutivo è posteriore e separata rispetto alla proposizione della domanda. [perenzione] Il precetto perde efficacia se entro 90gg dalla notifica non è iniziata l’esecuzione forzata. Ex art.481, II c.p.c. l’opposizione contro il precetto non sospende il processo esecutivo: tuttavia il creditore procedente, quando è presentata opposizione contro il precetto, non è obbligato a dar corso all’esecuzione forzata. Può procedere ugualmente all’esecuzione, assumendosi la responsabilità dei danni per l’esecuzione ingiusta; oppure può aspettare l’esito del processo di opposizione. Se sceglie di aspettare, l’art.481, II c.p.c. gli garantisce che il precetto non perde efficacia. 8. La struttura generale del processo esecutivo Articoli da 483 a 490 c.p.c. [funzione dell’esecuzione forzata] L’esecuzione forzata non ha il compito di stabilire i diritti e gli obblighi delle parti: tale compito spetta al processo di cognizione. L’esecuzione forzata non interviene per stabilire quali comportamenti siano leciti e quali siano doverosi. Lo scopo dell’esecuzione forata è di procurare la soddisfazione di diritti correlati a obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti e obblighi. Non è compito dell’esecuzione forzata accertare che l’adempimento coattivo sia dovuto sul piano del diritto sostanziale. Compito dell’esecuzione è far avere la prestazione, non anche accertare che tale prestazione è dovuta sul terreno del diritto sostanziale. L’ufficio esecutivo si muove accertando preventivamente la sussistenza dei presupposti per la propria attività, e quindi sulla base di una “cognizione”. L’ufficio esecutivo, prima di emettere una misura esecutiva, fa la ricognizione della sussistenza dei presupposti per emetterla: ciò non significa che l’ufficio esecutivo emetta una statuizione circa il modo di essere di tali presupposti, in particolare della realtà sostanziale sulla quale la misura esecutiva va ad incidere. Anche l’esecuzione forzata è strutturata in base a modalità che non sono tipiche della sola funzione dichiarativa ma sono proprie di ogni attività giurisdizionale e cioè: domanda della misura giurisdizionale – Pag.82 Pag.82 ricognizione della situazione esistente – risposta dell’ufficio giurisdizionale. Ciò che è escluso dalla ricognizione è l’effettiva esistenza del diritto da tutelare, che è dato come esistente. [accertamento dei presupposti per la tutela] L’ufficio esecutivo, di fronte alla domanda di tutela esecutiva, procede all’accertamento dei presupposti per la concessione della tutela stessa, e deve dare una sua risposta che sarà positiva o negativa. Nel processo dichiarativo, proprio perché esso ha la funzione di statuire sull’esistenza o più in generale sul modo di essere della realtà sostanziale, la risposta negativa del giudice va distinta in una risposta negativa di rito e in una di merito. Può rifiutare la tutela per due ragioni: mancano le condizioni processuali per statuire sulla realtà sostanziale (e.g. il giudice non è competente), oppure perché manca la situazione di cui si è richiesta la tutela. Tali pronunce negative hanno diversi effetti: la prima colloca i suoi effetti sul terreno processuale, non forma giudicato e non impedisce al soccombente di riproporre la domanda per chiedere la tutela dello stesso diritto sostanziale; la seconda ha un’efficacia di merito che si riflette sul terreno del diritto sostanziale, e che forma giudicato impedendo al soggetto soccombente di affermarsi titolare della situazione sostanziale che il giudice ha accertato inesistente. Il processo di cognizione, che ha funzione dichiarativa e struttura decisoria, è in grado, con la stessa forma e tecnica, di accertare vuoi la sussistenza delle condizioni per la pronuncia di merito vuoi il merito stesso. Nel processo dichiarativo le questioni di rito e quelle di merito vengono trattate e decise attraverso gli stessi istituti processuali. [contenuto delle misure giurisdizionali] Il processo di cognizione ha quindi funzione dichiarativa e struttura decisoria. Nel processo esecutivo le cose cambiano. Non essendo propria di tale processo la funzione di accertare il modo di essere della realtà sostanziale, le risposte dell’ufficio sono sempre due (affermativa o negativa), ma quella negativa non si sottodistingue in rifiuto per ragioni di merito ed in rifiuto per ragioni di rito, ma è un rifiuto unitario. Tale rifiuto ha sempre gli stessi effetti, qualunque siano le ragioni: e ciò perché nell’esecuzione forzata manca la funzione di accertamento. Dal punto di vista funzionale il processo esecutivo vede solo due risposte alla domanda di emanazione di una misura esecutiva: l’emissione o il rifiuto. Se l’ufficio esecutivo si convince che sussistono le condizioni per accogliere la domanda, emette il provvedimento; se si convince che manca una condizione per accogliere la domanda, rifiuta. [forma delle misure giurisdizionali] Anche dal punto di vista della forma vi è differenza fra processo dichiarativo e esecutivo. Nel primo la forma del provvedimento è sempre la stessa – sentenza –; nel secondo la forma può essere diversa a seconda che la risposta dell’ufficio esecutivo sia negativa o positiva. Se l’ufficio esecutivo ritiene di dover rispondere positivamente alla richiesta, emette la misura esecutiva, che ha la forma prevista dalla legge (e.g. pignoramento). Se l’ufficio esecutivo ritiene di rispondere negativamente, rifiuta di compiere l’atto che è estato richiesto. Il rifiuto è un non-provvedimento, che può avere forma diversa dal provvedimento. [questioni di rito] Se l’interessato si lamenta del comportamento dell’ufficio, sostenendo che la misura esecutiva è stata illegittimamente rifiutata o concessa, la relativa controversia non può mai essere decisa nel processo esecutivo, come nel processo di cognizione. Nel processo esecutivo l’interessato deve aprire un processo di cognizione incidentale. In quella sede si stabilirà se gli atti compiuti sono o meno conformi alla legge processuale. Il processo esecutivo, poiché non è strutturato per risolvere controversie relative al modo di essere della realtà sostanziale, non ha neanche la struttura idonea per risolvere le controversie che possono sorgere in ordine alle questioni processuali. Mentre nel processo di cognizione le questioni di rito e di merito possono essere cumulate e risolte dallo stesso tipo di attività dell’organo giurisdizionale e delle parti – e ciò perché la funzione del processo di cognizione è dichiarativa e quindi la sua struttura è decisoria – il processo esecutivo non è finalizzato a statuire circa il modo di essere della realtà sostanziale e quindi non è strutturato in modo idoneo a decidere neppure delle questioni processuali che possono sorgere al suo interno. Ciò non significa che non ci sia “cognizione” dell’organo esecutivo; questi, prima di emanare la misura giurisdizionale, deve pur sempre verificare la sussistenza dei presupposti previsti dalle norme. Solo che tale cognizione è strumentale ad un provvedimento che non ha funzione decisoria. Pag.82 Pag.82 risulta che una di queste avvertite non è comparsa all’udienza per cause indipendenti dalla sua volontà, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che il provvedimento di fissazione della nuova udienza sia comunicato alla parte non comparsa. [domande delle parti] Le domande delle parti si propongono con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente, nel verbale di udienza. Riguardo il processo esecutivo, è vero che, se esso ha luogo, necessariamente produce effetti a favore di una sola delle parti; però è anche vero che, se escludiamo dall’ambito del processo esecutivo ciò che è irrilevante, cioè l’esistenza del diritto da tutelare, per tutto quanto riguarda gli elementi rilevanti per il suo svolgimento, non troviamo che il creditore ha più poteri del debitore; quando si tratta di convincere l’ufficio esecutivo a compiere o non compiere una certa attività, la parola del creditore non è più attendibile di quella del debitore. [provvedimenti del giudice] I provvedimenti del giudice dell’esecuzione hanno la forma dell’ordinanza, che può essere modificata o revocata fino a che non ha avuto esecuzione; una volta che è stata eseguita, il giudice non può più modificarla. [competenza] Composizione dell’ufficio esecutivo. Uffici giudiziari competenti. In senso verticale, per l’esecuzione forzata è sempre competente il tribunale. In senso orizzontale, territorialmente competente per l’espropriazione immobiliare e mobiliare è il giudice del luogo dove si trova il bene; per l’espropriazione presso terzi è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto; per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio ritorna competente il giudice del luogo dove si trovano i beni. La competenza territoriale è inderogabile dalla volontà delle parti: esse non possono accordarsi per far svolgere l’esecuzione da un giudice diverso. Quindi l’incompetenza è rilevabile anche d’ufficio non solo dal giudice, ma anche dall’ufficiale giudiziario. Da non confondersi con la competenza per l’esecuzione è la competenza per le cause di cognizione incidentali all’esecuzione, che sono veri e propri processi di cognizione. Tutti i processi incidentali all’esecuzione forzata sono decisi dal giudice monocratico. [composizione dell’ufficio esecutivo] L’ufficio esecutivo non è composto dal tribunale nel suo complesso, ma da uno o più giudici, ai quali vengono attribuite le mansioni di giudice dell’esecuzione. Ovviamente anche il cancelliere fa parte dell’ufficio esecutivo. Assume ruolo importante nel processo esecutivo l’ufficiale giudiziario che è l’unico soggetto a svolgere attività. Le mansioni affidate al giudice dell’esecuzione e all’ufficiale giudiziario sono variabili a seconda dei vari procedimenti. 9. L’espropriazione forzata [tutela dei crediti pecuniari] Tutela esecutiva per i crediti pecuniari. Il processo è l’espropriazione forzata. Il fondamento dell’espropriazione forzata sta negli artt.2740 e 2910 c.c. . In queste due norme, viste una dal punto di vista del debitore (2740) ed una del creditore (2910) sta il fondamento: i beni del debitore rispondono dell’adempimento delle obbligazioni e il creditore ha il potere di farli espropriare. [responsabilità patrimoniale] La responsabilità patrimoniale, di cui all’art.2740, costituisce il fondamento di ogni forma di espropriazione forzata. Per poter concepire un principio come la responsabilità patrimoniale, occorre affermare la prevalenza del credito sulla proprietà, e che quindi i beni del debitore siano assoggettati al potere del creditore. Il secondo principio attiene al tipo di potere che il creditore ha sui beni del debitore. Art.2910: è lo stesso principio, visto a latere creditoris. Il creditore può far espropriare i beni del debitore, e non espropriare. Quindi il creditore non ha un diritto sostanziale sui beni del debitore, bensì ha un diritto processuale verso lo Stato, acciocché lo Stato eserciti il suo potere espropriativo nei confronti del debitore. Fra creditore, debitore e Stato si crea quindi una triangolazione: • Lo Stato ha verso il debitore il potere (pubblicistico) di espropriare; • Il creditore ha verso lo Stato il diritto (processuale) di ottenere che questo eserciti il potere di espropriare Pag.82 Pag.82 • Il creditore ha verso il debitore il diritto (sostanziale) di credito [fasi dell’espropriazione] Il processo di espropriazione forzata passa attraverso tre momenti indispensabili. Il primo è costituito dall’individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore. Quando l’art.2740 stabilisce che il debitore “risponde con tutti i suoi beni”, non fa riferimento al bene materiale, ma al diritto sul bene. Non è il bene nella sua materialità ciò che è oggetto dell’espropriazione forzata, ma il diritto che il debitore ha su quel bene. Dalla garanzia generica si passa a quella specifica. La funzione di individuare e conservare l’elemento attivo è svolta dal primo atto dell’espropriazione, che è il pignoramento. Il secondo è costituito dalla trasformazione del diritto pignorato. L’elemento attivo deve essere liquidato, trasformato in una somma di denaro. Tale fase non è necessaria quando oggetto del pignoramento è una somma di denaro. Il terzo momento è costituito dalla distribuzione del ricavato . Il diritto del debitore, oggetto del pignoramento, è liquidato, cioè trasformato in una somma di denaro, e con tale somma si paga il creditore. Il processo di espropriazione opera, quindi, giuridicamente sull’elemento attivo del patrimonio del debitore, individuandolo, conservandolo, liquidandolo e distribuendo il ricavato al creditore. Entrano in gioco due situazioni sostanziali: il diritto del creditore da tutelare e il diritto del debitore, l’elemento attivo del patrimonio del debitore che deve essere individuato, conservato, liquidato. Alla fine del processo di espropriazione abbiamo il trasferimento di un elemento patrimoniale attivo dal debitore ad un terzo, e l’estinzione del diritto di credito, a tutela del quale è stata posta in essere l’attività esecutiva. L’espropriazione si differenzia dall’esecuzione in forma specifica, proprio perché l’espropriazione opera su due situazioni sostanziali, mentre l’esecuzione in forma specifica opera su una sola situazione sostanziale: il diritto che deve essere tutelato. 10. Il pignoramento [pignoramento in generale] Ex art.491 c.p.c. il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata. Il processo esecutivo inizia con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto; mentre l’espropriazione inizia col pignoramento. Pignoramento: atto con cui si individuano e si conservano i diritti del debitore (elemento patrimoniale) sottoposti ad espropriazione. Gli elementi patrimoniali, per esser espropriabili, devono essere trasferibili sul piano del diritto sostanziale. Se il diritto pignorato incontra limiti alla circolazione sul piano sostanziale, questi limiti si estendono anche all’espropriazione forzata. Il pignoramento deve adattarsi ai diversi modi con cui i diritti circolano nel nostro ordinamento. Esistono tre forme di pignoramento (mobiliare, immobiliare, di crediti) che corrispondono ai tre diversi modi di circolazione dei diritti che conosce il nostro ordinamento. Norma generale -> 492 c.p.c. Il primo comma indica quello che è l’elemento comune a tutti i pignoramenti, che è l’ingiunzione, che l’ufficiale giudiziario fa all’esecutato nelle forme volta per volta previste dalle singole forme di pignoramento (oralmente o mediante atto a lui notificato) di astenersi dal compiere qualunque atto, diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati e gli eventuali frutti di essi. Il secondo comma prevede che, con l’atto di pignoramento, l’ufficiale giudiziario debba invitare il debitore ad effettuare, presso la cancelleria del tribunale, la dichiarazione di residenza o l’elezione del domicilio in un comune del circondario del tribunale stesso. In primo luogo l’onere sorge per il debitore non dalla legge ma dall’avviso effettuato all’atto del pignoramento. In secondo luogo, l’onere per il debitore sussiste anche se la sua residenza o il domicilio si trovano nella circoscrizione del tribunale. La ratio della norma non è tanto quella di rendere più facili le notificazioni o le comunicazioni, quanto di verificare se il debitore ha effettivamente interesse al processo Pag.82 Pag.82 esecutivo, oppure no. In sostanza, la dichiarazione del debitore equivale lato sensu ad una costituzione in giudizio; la mancata dichiarazione, lato sensu ad una contumacia. Senonché, il legislatore ha previsto che – in mancanza della dichiarazione – le notificazioni e comunicazioni al debitore vengano effettuate in cancelleria. In terzo luogo, le notificazioni e comunicazioni al debitore presso la cancelleria sono conseguenza non solo della mancata dichiarazione di residenza o domicilio del debitore, ma anche della sua “irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto”. Quindi, se risulta irreperibile, le successive notificazioni e comunicazioni gli saranno effettuate in cancelleria. Ciò significa che la dichiarazione del debitore deve corrispondere a verità: se egli afferma di essere residente oppure elegge domicilio in un certo luogo, e poi si appura che ciò non è vero, la dichiarazione non ha effetti. Il quarto e quinto comma introducono nel nostro sistema il dovere del debitore di “manifestare” il proprio patrimonio. Il presupposto perché tale dovere divenga attuale è costituito dalla insufficienza dei beni pignorati, o dalla lunga durata della loro liquidazione. Quando ciò accade, l’ufficiale giudiziario invita il debitore a rendere nota l’esistenza di altri beni pignorabili, indicandone gli estremi. L’omessa o falsa dichiarazione del debitore costituisce un illecito penale. Tale invito presuppone un contatto diretto fra ufficiale giudiziario e debitore e quindi ha luogo al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario per il pignoramento dei mobili. Se il debitore risponde positivamente all’invito, dichiarando l’esistenza di tali beni, il pignoramento si considera fin da quel momento efficace nei suoi confronti agli effetti penali ed anche della custodia: se, infatti, si tratta di pignoramento presso terzi ed il terzo restituisce il bene mobile o paga il credito prima che il pignoramento sia perfezionato, il debitore è tenuto a custodire la cosa o la somma. Ugualmente, i frutti prodotti dal bene dopo questo momento appartengono all’esecuzione. Per il perfezionamento del pignoramento, e quindi per la sua opponibilità ai terzi, è tuttavia necessario procedere al compimento delle attività volta per volta previste dalle varie forme di pignoramento. La stessa disciplina si applica se i beni pignorati divengono insufficienti per l’intervento di altri creditori. In tal caso il creditore può chiedere all’ufficiale giudiziario di procedere ai sensi dei commi quarto e quinto. L’VIII introduce l’altro meccanismo che, accanto alla manifestazione del debitore di cui ai commi IV e V, consente il reperimento dei beni pignorabili. Il ceditore procedente può chiedere all’ufficiale giudiziario di effettuare ricerche presso l’anagrafe tributaria e le altre banche dati pubbliche. La richiesta è possibile anche per più esecuzioni. L’VIII introduce infine una speciale forma di ispezione per gli imprenditori commerciali. Sempre su istanza del creditore procedente, ed a sue spese, l’ufficiale nomina un professionista che esamina le scritture contabili, e redige una relazione. Se da questa risultano elementi attivi che il debitore non aveva dichiarato, le spese sono a carico del debitore. [ricerca telematica dei beni da pignorare] I due punti critici per rendere fruttuosa l’espropriazione forzata riguardano l’individuazione degli elementi attivi del patrimonio e la loro liquidazione a prezzo di mercato. Primo profilo. Il creditore procedente, decorso il termine dilatorio previsto dall’art.482 c.p.c., deve anzitutto munirsi dell’autorizzazione del presidente del tribunale del luogo ove il debitore ha la residenza, domicilio, dimora o sede, presentando un’istanza ed esibendo un titolo esecutivo. Il tribunale deve verificare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata attraverso l’esame del titolo esecutivo in senso documentale. Dopo di che il presidente del tribunale autorizza l’ufficiale giudiziario a procedere alla ricerca telematica. È un’autorizzazione superflua. Infatti, da un lato la verifica del presidente del tribunale circa l’esistenza di un titolo esecutivo non può essere più approfondita di quella che fa l’ufficiale giudiziario; dall’altro, non si vede come possa il presidente del tribunale negare l’autorizzazione, una volta appurato che l’istante ha un titolo esecutivo. Ottenuta l’autorizzazione, l’ufficiale giudiziario accede a tutte le banche dati tenute dalle PA, o alle quali le stesse possono accedere. Pag.82 Pag.82 bene immobile. Il creditore si assume la responsabilità della sua affermazione. Spetta al creditore effettuare, nel suo interesse, gli opportuni accertamenti. [individuazione] L’individuazione del diritto sul bene avviene ex art.555 c.p.c. . La descrizione del bene è effettuata dal creditore con gli estremi richiesti dal c.c. per l’individuazione dell’immobile ipotecato, e cioè attraverso la tipologia del bene (terreno, fabbricato, etc.), il comune in cui si trova e gli estremi catastali. [atto di pignoramento] Il creditore chiede dunque all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento del bene immobile, individuato e descritto dal creditore stesso in un atto che assume forma scritta, ed è da lui sottoscritto. L’ufficiale giudiziario aggiunge a tale atto la sua ingiunzione e notifica il tutto al debitore esecutato. Dopodiché si trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. Notifica e trascrizione sono i momenti che determinano la decorrenza degli effetti del pignoramento. [custodia] È possibile effettuare il pignoramento anche di beni di cui il debitore magari è proprietario ma che non possiede. Presupposto: il bene immobile pignorato sia nel possesso dell’esecutato. Fin dal momento della notificazione del pignoramento, e quindi a prescindere dalla sua trascrizione, l’esecutato diviene ipso iure custode del bene (art.559, I). Peraltro (II) il giudice dell’esecuzione deve necessariamente sostituire l’esecutato nella custodia del bene, se questo non è da lui “occupato”. Si intende una situazione in cui un terzo ha la materiale disponibilità dello stesso, in virtù di un qualunque titolo o anche senza. La sostituzione del debitore con un altro custode, ove l’immobile non sia occupato dal debitore, costituisce attività vincolata del giudice, senza che al riguardo egli abbia alcuna discrezionalità. La ratio della sostituzione consiste nell’opportunità che i rapporti con il terzo che occupa il bene siano tenuti non dall’esecutato, ma da un soggetto che dia maggiori garanzie. La custodia dell’esecutato cessa comunque (IV-V) al momento nel quale viene disposta la vendita. In luogo dell’esecutato, è nominato custode il soggetto incaricato della vendita o l’istituto vendite giudiziarie. Si fa eccezione nei casi in cui la sostituzione sia reputata dal giudice dell’esecuzione inutile per la particolare natura dei beni. Per stabilire quando sia inutile, si individua la ratio della sostituzione. Se il motivo sta nell’opportunità che i rapporti con l’occupante siano tenuti da un terzo, la ragione sta nella necessità che i soggetti, interessati all’acquisto, possano esaminare il bene, e nella maggiore affidabilità che dà un custode estraneo rispetto all’esecutato. Se questa è la ragione, le ipotesi, nelle quali la sostituzione è inutile si verificano quando l’esame dei beni da parte dei potenziali acquirenti può avvenire anche senza la collaborazione del custode. Il VI stabilisce che i provvedimenti di nomina e sostituzione del custode sono dati dal giudice con ordinanza non impugnabile, e dunque non modificabile o revocabile. Il provvedimento del giudice è controllabile con l’opposizione agli atti esecutivi. Art.560. Il custode del bene immobile pignorato è una sorta di mini-curatore. V:” il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità”. Inoltre stabilisce che spetta al giudice dell’esecuzione, nel disporre la vendita del bene, prevedere le modalità con cui i potenziali acquirenti possano esaminare lo stesso. III-IV: il provvedimento di aggiudicazione o assegnazione costituisce necessariamente motivo di revoca dell’autorizzazione ad abitare l’immobile. Sono salvi accordi fra acquirente ed esecutato che conferiscano a quest’ultimo un titolo alla detenzione del bene. [pignoramento dei crediti] C) Se il terzo debitore è solvibile, il pignoramento dei crediti è la forma più sicura e meno dispendiosa di espropriazione forzata. Limiti: art.545 c.p.c. [atto di pignoramento] Il pignoramento si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere (543) l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto e l’indicazione, generica, delle somme o cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato. Nell’atto di pignoramento deve essere fissata un’udienza dinanzi al tribunale competente e deve inoltre essere indicata la pec del creditore procedente (o difensore). È competente il giudice del luogo ove il debitore esecutato ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Se il debitore esecutato è una PA, competente è il giudice dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Pag.82 Pag.82 Il debitore esecutato deve essere citato a comparire all’udienza fissata, mentre il terzo debitore è invitato a rendere la dichiarazione art.547 mediante lettera raccomandata o pec, da inviare al creditore entro 10gg dalla notificazione dell’atto di pignoramento. Deve essere avvertito delle conseguenze della sua eventuale inerzia (543, II n.4). Con la notifica di tale atto si producono già tutti quanti gli effetti del pignoramento. Effetti provvisori e condizionati al completamento del procedimento. Ex. art.543 l’atto di pignoramento contiene l’ingiunzione al debitore di non disporre del bene. La posizione del terzo debitore, dal momento in cui gli viene notificato il pignoramento, è quella del custode (546). Egli non deve più adempiere nei confronti del debitore esecutato. L’eventuale adempimento è inopponibile al creditore procedente, e quindi il terzo debitore sarà costretto a ripetere l’adempimento. Limite agli effetti del pignoramento: il credito dell’esecutato è pignorato per l’entità massima del 150% della somma oggetto del pignoramento (546,I). L’ulteriore sviluppo del procedimento di pignoramento dei crediti differisce a seconda che il terzo debitore renda o meno una dichiarazione conforme a quanto affermato dal creditore nell’atto di pignoramento. [udienza] Se il terzo rende una dichiarazione conforme, il pignoramento si perfeziona e si consolidano quegli effetti che si erano provvisoriamente prodotti con la notifica dell’atto stesso. Se il creditore non riceve risposta dal terzo, e lo dichiara all’udienza, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva. L’ordinanza è notificata al terzo almeno 10gg prima della nuova udienza. Il pignoramento dei crediti costituisce, dunque, una fattispecie a formazione progressiva. Se la fattispecie non si perfeziona, gli effetti sono eliminati retroattivamente: anche quelli provvisori. [disciplina previgente] Si distingue a seconda che il terzo rimanga inerte, oppure renda una dichiarazione negativa o difforme. Disciplina precedente. Nella versione originaria, il terzo debitore era sempre chiamato a partecipare all’udienza per rendere la dichiarazione. La competenza era determinata dalla residenza del terzo debitore. Se il terzo si presentava e rendeva una dichiarazione conforme, il giudice assegnava il credito. Se non si presentava o taceva o rendeva una dichiarazione difforme, il creditore procedente aveva l’onere di proporre una domanda di accertamento dell’obbligo del terzo. Si apriva dunque un ordinario processo di cognizione, al termine del quale poteva accadere che fosse accertato esistente o no l’obbligo del terzo. Nel primo caso il pignoramento si perfezionava, nel secondo invece il processo esecutivo si estingueva ed il pignoramento perdeva effetti. Nell’espropriazione dei crediti, dunque, il pignoramento si perfezionava alternativamente sulla base di una sentenza di accertamento oppure sulla base della dichiarazione del terzo debitore. • Disciplina originaria: l’assegnazione del credito poteva avvenire solo dopo che fosse stata accertata l’esistenza del credito pignorato, cioè dell’obbligo del terzo. Tale certezza era raggiunta alternativamente o in virtù di una dichiarazione del terzo, conforme all’atto di pignoramento o, se difforme, non contestata dal creditore; oppure in virtù di una sentenza [mancata dichiarazione] Riforma del 2012. Se il terzo (548, II) non invia la sua dichiarazione e neppure si presenta all’udienza, e il creditore dichiara che non gli è pervenuta la sua dichiarazione, il giudice fissa un’altra udienza alla quale il terzo è invitato a comparire. L’ordinanza è notificata al terzo. Se anche a questa udienza il terzo non si presenta o, presentandosi, rifiuta di fare la dichiarazione, “il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo, e il giudice provvede a norma degli artt.552 o 553”. L’art.548, II afferma che la non contestazione ha effetto non solo ai fini del procedimento in corso, ma anche dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione. Il III prevede che il terzo può impugnare con l’opposizione agli atti esecutivi l’ordinanza di assegnazione, “se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”. Pag.82 Pag.82 [contestata dichiarazione] Filosofia della riforma: evitare che l’inerzia del terzo debitore costringa il creditore a procurarsi l’accertamento dell’obbligo del terzo in via preventiva e necessaria rispetto all’assegnazione del credito. Con il meccanismo previsto art.548 l’accertamento dell’obbligo del terzo, che sia rimasto inerte nel processo esecutivo, avviene in via successiva ed eventuale rispetto all’assegnazione del credito, in quanto è rimesso alla sua iniziativa. “Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo, il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio fra le parti e con il terzo. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile. L’ordinanza del giudice dell’esecuzione non è in grado di decidere dell’effettiva esistenza dell’obbligo del terzo, in quanto anche per essa è ripetuto che produce effetti ai soli fini del procedimento in corso. Sicché la possibilità di proporre l’opposizione agli atti esecutivi potrebbe non impedire al terzo debitore, ove l’assegnazione abbia luogo, di contestare la sussistenza del suo obbligo con un ordinario processo di cognizione. “I necessari accertamenti” del giudice dell’esecuzione sono effettuati per dare un contenuto positivo/negativo all’ordinanza di assegnazione. Cosa accade se, “compiuti i necessari accertamenti”, il giudice non assegna il credito? Mentre in caso di assegnazione vi è la possibilità di aprire un processo di cognizione, esterno al processo esecutivo, in cui decidere se il terzo è o no debitore, in caso di mancata assegnazione viene meno ogni possibilità di controversia esterna al processo esecutivo sullo stesso oggetto. Infatti, in assenza di un’assegnazione, il creditore non può vantare alcun diritto contro il terzo pignorato al difuori del processo esecutivo. Diviene quindi necessario individuare uno strumento cognitivo-contenzioso, a tutela del creditore procedente che si veda rifiutata l’assegnazione sulla base di un “accertamento” compiuto dal giudice dell’esecuzione, e quindi senza efficacia decisoria: l’opposizione agli atti esecutivi. [identificazione dei crediti o dei beni] Problema della identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo. Nell’atto di pignoramento i crediti del debitore verso il terzo o i beni del debitore che si trovano presso il terzo possono essere individuati in modo anche generico. Ove il creditore individui, con l’atto di pignoramento, i crediti che il suo debitore ha verso il terzo, o i beni del suo debitore che si trovano presso il terzo, e quest’ultimo rimanga inerte, ai fini del processo esecutivo ciò è sufficiente. Ma se il creditore non individua il credito o i beni, oppure li individua ma sorgano contestazioni relativamente ad essi, si pone il problema della identificazione. Si deve tener conto che l’”accertamento” da compiere in sede esecutiva è funzionale esclusivamente alla prosecuzione del processo esecutivo. Dunque non deve necessariamente avere le caratteristiche proprie del processo di cognizione. Le cose stato diversamente per i crediti e per i mobili. Per i primi non è necessario accertare né il titolo (è irrilevante ai fini del pagamento che il terzo debitore deve fare al creditore assegnatario) né l’entità (è parametrata al credito per cui si procede). Diverso per i beni: essi, una volta perfezionato il pignoramento, dovranno essere prelevati dal terzo e venduti. Occorre sapere con certezza quali sono i beni. 11. Gli effetti conservativi del pignoramento [funzione conservativa del pignoramento] Pericoli che corre il creditore per il fatto che la tutela esecutiva, che egli richiede, non gli è concessa subito, ma dopo un determinato periodo di tempo. Non è possibile accordare al creditore, nel momento stesso in cui propone la domanda, la tutela che egli richiede. Ci sarà inevitabilmente un certo intervallo di tempo fra il pignoramento e la vendita forzata, tempo in cui si possono verificare eventi capaci di pregiudicare la tutela esecutiva richiesta. Due pericoli: da un lato, vi sono le modificazioni della realtà materiale che riguarda il bene su cui cade il diritto pignorato. Si fra fronte mediante la custodia. Pag.82 Pag.82 [alienazione di universalità di mobili] 3. Nel codice civile non esiste una norma che disciplina il conflitto derivante dalla doppia alienazione di universalità di mobili. Ciò perché torna applicabile la regola generale che fra i due acquirenti prevale quello che ha un atto di data certa anteriore. Il creditore procedente è equiparato a un avente causa del debitore esecutato, dato che la doppia alienazione di universalità di mobili è l’unica ipotesi residua nel nostro ordinamento in cui si applica il criterio generale dell’atto do data certa anteriore. [alienazione mobiliare] 4. Conflitto fra il creditore pignorante e l’acquirente di un bene mobile dal debitore esecutato. Due criteri per risolvere il conflitto: a. Una delle parti ha acquisito in buona fede il possesso e allora è preferita all’altra b. Se nessuno degli acquirenti acquisisce in buona fede il possesso del bene mobile, vale il criterio generale dell’atto di data certa anteriore. Particolarità. Colui che ha acquistato il bene mobile dal debitore prevale sul creditore procedente in due casi: se ha conseguito in buona fede il possesso del bene prima del pignoramento; oppure se il suo acquisto risulta da un atto di data certa anteriore al pignoramento. Secondo criterio: si presuppone che il debitore esecutato abbia venduto il bene mobile; che la vendita sia consacrata in un atto avente data certa, ma il venditore non abbia trasmesso il possesso del mobile all’acquirente e lo abbia conservato presso di sé. L’acquirente del bene mobile propone opposizione di terzo, dimostra che il bene gli era stato venduto con atto di data certa anteriore al pignoramento e vince l’opposizione. Soluzione? Chi consegue per primo il possesso del bene prevale sull’altro. Ipotesi analoga in materia di pignoramento. C è il creditore pignorante; S è l’avente causa del debitore esecutato T. Se T vende il bene a S possono succedere due cose: che S consegue in buona fede il possesso, e allora prevale su C; che S ha un titolo di data certa anteriore al pignoramento, e prevale ugualmente su C. Ma con il pignoramento il possesso viene tolto al debitore esecutato, e così, se il creditore pignorante C fosse equiparato ad un avente causa di T, col pignoramento C dovrebbe acquistare il possesso e prevalere su S, anche se questi ha un titolo di data certa anteriore. Ma ciò non succede. Se viene pignorato un bene mobile che precedentemente è stato alienato da T a S con atto di data certa anteriore al pignoramento, tale acquisto continua ad essere prevalente sull’acquisizione del possesso da parte di C col pignoramento. Spiegazione. È vero che col pignoramento il possesso viene tolto al debitore, però ciò non fa acquisire al creditore pignorante una situazione possessoria, perché il diritto del creditore procedente non ha natura sostanziale, ma processuale; egli non è titolare di un diritto reale, il cui esercizio possa essere qualificato come possesso. Il possesso del bene pignorato rimane congelato, paralizzato fino a che con la vendita forzata l’acquirente del bene instaurerà di nuovo un rapporto possessorio. Se il creditore procedente col pignoramento acquisisse il possesso del bene, il n.4 dovrebbe essere formulato diversamente e non dovrebbe contenere le ultime parole “salvo che risulti da atto avente data certa”. Perché allora: o l’acquirente dal debitore ha acquisito il possesso del bene e quindi il pignoramento presso il debitore non è più possibile, perché il bene si trova presso l’acquirente; o l’acquirente non ha acquisito il possesso del bene e quindi, nel momento del pignoramento, se questo desse al creditore pignorante un possesso idoneo, il creditore pignorante, acquisendo per primo il possesso del bene, acquisterebbe pure la prevalenza. [vincolo di indisponibilità] Art.2915, I c.c.: detta una disciplina identica a quella che si ha quando un soggetto acquista un diritto sul quale grava un vincolo di indisponibilità. Anche qui, se il vincolo è trascritto prima della trascrizione dell’atto di acquisto, il vincolo prevale sull’atto di acquisto (beni immobili o mobili registrati). Se invece è trascritto prima l’atto di acquisto e poi il vincolo di indisponibilità, allora prevale il primo sul secondo. Nel caso di beni mobili o universalità di mobili è invece rilevante l’atto di data anteriore. [domande giudiziali] Art.2915, II. Fa riferimento agli artt.2652 e 2653. Prevedono una serie di domande giudiziali che sono soggette a trascrizione per essere opponibili ai terzi. La trascrizione ha un duplice effetto. Anzitutto ha un effetto di natura processuale: rispetto ai terzi la litispendenza si determina con riguardo al momento della trascrizione della domanda. [effetti processuali] Ove la trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto sia anteriore alla trascrizione dell’acquisto del terzo contro il convenuto, la posizione dell’avente causa del convenuto è Pag.82 Pag.82 disciplinata dall’art.111 c.p.c. . La sentenza emessa al termine di quel processo, la cui domanda è stata trascritta anteriormente alla trascrizione dell’atto di acquisto del terzo, è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto. Questi non può contestare il contenuto della sentenza emessa contro il suo dante causa. [opposizione di terzo] Non potendo l’attore instaurare un ordinario processo di cognizione contro l’esecuzione forzata, si rende necessario che egli proponga la domanda all’interno del processo esecutivo, attraverso l’opposizione di terzo ex art.619 c.p.c., che consente l’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’esecuzione. La domanda è identica a quella che l’attore avrebbe proposto in un ordinario processo di cognizione, se l’avente causa fosse stato un acquirente, anziché un creditore pignorante. [effetti sostanziali] La trascrizione della domanda, oltre all’effetto processuale, ha talvolta anche effetti sostanziali: ciò accade nell’ipotesi previste dall’art.2652. La priorità della trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto rispetto alla trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa del convenuto comporta le stesse conseguenze della rivendicazione: la sentenza è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto, che non può contestarne il contenuto. Viceversa, le priorità della trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa rispetto alla trascrizione della domanda, determina – oltre all’inefficacia processuale dell’emananda pronuncia – anche un titolo di preferenza sul piano sostanziale dell’avente causa verso l’attore: l’avente causa acquista una posizione che è preferita, sul piano del diritto sostanziale, a quella dell’attore. Come l’avente causa del convenuto, che ha trascritto il suo titolo prima della trascrizione della domanda, acquista sul piano sostanziale una posizione che l’attore non può più attaccare, anche il creditore pignorante contro il convenuto, con la trascrizione del pignoramento, acquista una posizione inattaccabile da parte dell’opponente. Questi non ha, sul piano sostanziale, la possibilità di vincere l’opposizione. Tale opposizione, in virtù della salvezza acquistata dal creditore pignorante con la trascrizione del pignoramento, sarà rigettata. Qualora per la salvezza del diritto del subacquirente si renda necessaria, oltre all’anteriorità della trascrizione del suo titolo rispetto alla trascrizione della domanda, anche la presenza degli altri elementi (buona fede, titolo oneroso), la sussistenza di tali elementi deve essere valutata con riferimento al creditore pignorante. [ragioni di prelazione] Effetti sostanziali del pignoramento. Art.2916, due principi. Anzitutto il pignoramento “congela” le ragioni di prelazione dei vari creditori. Nella distribuzione del ricavato si tiene conto solo delle ragioni di prelazione esistenti alla data del pignoramento: quelle sorte dopo non sono opponibili alla massa dei creditori. [crediti sopravvenuti] In secondo luogo, il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all’interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento. Il credito sorto dopo legittima l’intervento del suo titolare nell’espropriazione. Questa costituisce una delle differenze principali fra espropriazione singolare ed espropriazione concorsuale. Nella seconda non possono farsi valere crediti sorti dopo la dichiarazione di insolvenza. [pignoramento dei crediti] Più complesso è il discorso a proposito dell’art.2917. Gli effetti del pignoramento del credito sono l’inopponibilità all’esecuzione forzata degli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento dal titolare del diritto di credito pignorato. Il pignoramento rende indisponibile il credito in capo al debitore esecutato e gli atti di disposizione che il debitore esecutato compie dopo la notifica dell’atto sono inefficaci processualmente verso il creditore procedente e i creditori intervenuti. Verso il debitore esecutato gli effetti del pignoramento sono dunque analoghi a quelli del pignoramento di beni diversi dai crediti. Il terzo debitore, con la notifica dell’atto, diventa custode. Quando oggetto del pignoramento è un bene mobile del debitore che si trova presso il terzo e occorre, quindi, far ricorso all’espropriazione presso terzi, il terzo assume gli obblighi della custodia del bene mobile: il terzo non lo può consegnare ad altri soggetti, tanto meno al debitore esecutato, cioè al proprietario del bene stesso. Quando oggetto del pignoramento è un credito, il terzo debitore è obbligato a non adempiere nei confronti del debitore esecutato. Se adempie, il pagamento, pur avendo effetti estintivi sul piano del diritto sostanziale, non è opponibile al creditore procedente. Sul piano processuale il terzo debitore è obbligato a corrispondere ugualmente la somma una seconda volta all’esecuzione forzata. Pag.82 Pag.82 Ove, invece, i fatti estintivi del credito si sono prodotti anteriormente al pignoramento, oppure non dipendono da atti di disposizione dell’esecutato, o da comportamenti volontari del terzo debitore, essi sono opponibili al debitore. 12. Le vicende anomale relative al pignoramento Istituti che si collocano fra il pignoramento e la vendita forzata. [pignoramento congiunto] Ex art.493, I c.p.c. ci può essere un’unica istanza di pignoramento e un solo atto di pignoramento a tutela di più creditori, anche sulla base di titoli esecutivi diversi. È un pignoramento congiunto. L’unicità del pignoramento comporta che le eventuali nullità inerenti alla fase del pignoramento si verificano per tutti, perché, essendo unico l’atto, la nullità che lo colpisce riguarda tutti quanti i creditori. [unione di pignoramenti] Art.523, unione di pignoramenti. Più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente ad effettuare un pignoramento mobiliare. Ipotesi rara in cui si verifica un unico pignoramento. [pignoramento successivo] Art.493, II, pignoramento successivo. Gli artt.524 e 561 dettano le modalità con cui si effettua il secondo pignoramento. Ipotizziamo dapprima che si abbia il semplice intervento, secondo la seguente successione: il 13.01 si ha il pignoramento di C; il 31.01 si ha l’intervento nell’esecuzione di S; il 15.02 il debitore esecutato T vende il bene pignorato a M. Se l’esecuzione iniziata da C e nella quale S è intervenuto puramente e semplicemente va in porto senza che il debitore T lamenti vizi del pignoramento, mancanza di titolo esecutivo, etc., l’alienazione del bene pignorato non pregiudica S, che è intervenuto nell’esecuzione, e che parteciperà alla distribuzione del ricavato della vendita forzata del bene pignorato. Ma qual è la posizione di S se il pignoramento, effettuato da C il 13.01, dovesse essere caducato perché viene dichiarato nullo, oppure perché il creditore C non era munito di idoneo titolo esecutivo? S intervenuto nel processo esecutivo subisce la stessa sorte di C: il processo esecutivo instaurato da C non può andare avanti. E ciò costituisce pregiudizio processuale: S deve iniziare di nuovo l’espropriazione, notificando titolo esecutivo e precetto, facendo un nuovo pignoramento, e quindi ritardando la sua soddisfazione. Ma se il debitore esecutato T pone in essere un’alienazione in pendenza del processo esecutivo, il creditore S subisce un pregiudizio anche sostanziale dalla caducazione del pignoramento. L’atto di alienazione effettuato dopo il pignoramento, che non produceva i suoi effetti perché inopponibile a C, creditore procedente, e quindi anche a S, creditore intervenuto, una volta che il pignoramento sia caducato per una qualsiasi delle ragioni indicate, rispande i suoi effetti; ed il creditore S, che si era limitato a intervenire nell’esecuzione promossa da C, oltre a non vedere soddisfatto il proprio credito, non potrà neppure instaurare un nuovo processo esecutivo sullo stesso bene, perché si troverà impedito dall’alienazione effettuata il 15.02. Immaginiamo ora che il 31.01 S, invece di un semplice intervento, abbia fatto un successivo pignoramento; T, debitore esecutato, propone le sue opposizioni, e il giudice dell’esecuzione può anche caducare l’esecuzione instaurata da C. Ma la caducazione degli effetti del primo pignoramento non pregiudica S, perché al 31.01 ci sono gli effetti del secondo pignoramento da lui effettuato. Il creditore S può proseguire l’esecuzione, fondandola sul suo pignoramento. Dal punto di vista processuale, egli non riceve alcun pregiudizio. Dal punto di vista sostanziale, egli non è protetto dagli atti di disposizione che possono essere intercorsi tra il 13.01 e il 31.01, ma è protetto nei confronti degli atti di disposizione successivi al 31.01, momento dal quale produce effetti conservativi il suo pignoramento. Quindi il creditore S, per decidere se intervenire puramente e semplicemente oppure effettuare un pignoramento successivo, deve valutare la situazione. Se si fida del pignoramento di C e dei suoi effetti, e crede che le eventuali opposizioni di T non saranno accolte, può semplicemente intervenire. Ma se non si fida, per sicurezza compie un secondo pignoramento. Se S si decide per un secondo pignoramento, esso, oltre ad avere gli ordinari effetti di un pignoramento, vale quale intervento nell’esecuzione in corso; non c’è quindi bisogno che S ponga in essere anche un atto di intervento nell’esecuzione aperta da C. Il secondo pignoramento non apre un altro processo esecutivo, ma viene unito a quello già in corso e vale come intervento. Pag.82 Pag.82 il processo esecutivo vada avanti. In tal caso, la somma provvisoriamente versata rimane acquisita all’esecuzione. [riduzione] Riduzione del pignoramento. L’art.496 stabilisce che, su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento. Se è stato pignorato un unico bene non è possibile ridurre a metà il pignoramento. Il valore dei beni pignorati deve essere superiore al credito del creditore procedente, ai crediti degli intervenuti ed alle spese. Istituto analogo previsto dall’art.546, II: nel caso di pignoramento di una pluralità di crediti nei confronti di più terzi debitori, il debitore può chiedere la riduzione dei pignoramenti o la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi, se la somma dei crediti pignorati ecceda l’entità del credito precettato, aumentata del 50%. [cessazione dell’efficacia] Cessazione dell’efficacia del pignoramento. Il pignoramento può anzitutto perdere efficacia se il creditore procedente non iscrive tempestivamente a ruolo il processo esecutivo. L’ufficiale giudiziario, effettuato il pignoramento, invia gli atti al difensore del creditore procedente, il uale deve depositarne una copia, da lui autenticata, nel termine indicato in tali norme, iscrivendo la causa a ruolo. Altrimenti, il pignoramento perde efficacia. La cessazione dell’efficacia del pignoramento può inoltre derivare dall’art.497 c.p.c. . All’avvenuto pignoramento deve seguire in un termine minimo di 10 e massimo di 90gg la richiesta di liquidazione del bene, cioè la richiesta del creditore di passare alla fase successiva dell’espropriazione. Tale fase non ha luogo, e quindi la richiesta in questione non è necessaria, quando oggetto del pignoramento è un quid che non deve essere liquidato, cioè una somma di denaro: in tal caso si passa immediatamente alla fase della distribuzione del ricavato. Quando il pignoramento diviene inefficace, vi è la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Se il pignoramento immobiliare perde efficacia, tuttavia rimane sempre nei registri immobiliari la sua trascrizione, anche se ormai solo apparente, perché il pignoramento ha perso efficacia. Occorre, quindi, procedere alla cancellazione della sua trascrizione. Si effettua trascrivendo un altro atto, nel quale si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace. La trascrizione delle domande giudiziali ha efficacia per 20 anni, prima della scadenza dei quali la trascrizione deve essere rinnovata, altrimenti perde effetti. Si estende alla trascrizione del pignoramento la disciplina della trascrizione delle domande. Se l’esecuzione forzata dura più di 20 anni, prima della scadenza del ventennio dalla trascrizione del pignoramento, questa deve essere rinnovata: altrimenti la trascrizione del pignoramento perde effetti. Può accadere che il processo esecutivo si estingua senza che vi sia un provvedimento formale del giudice di dichiarazione di estinzione, e quindi senza che si abbia un ordine di cancellazione della trascrizione. Ed ottenere un ordine di cancellazione può non essere semplice perché occorre notificare la richiesta di cancellazione agli interessati, i quali possono non essere facilmente individuabili o reperibili. Si consente di non tener conto delle trascrizioni dei pignoramenti effettuate oltre 20 anni prima: chi vuole acquistare il bene, o la banca che vuole concedere un mutuo garantito da ipoteca, può disinteressarsi di tali trascrizioni. 13. L’intervento dei creditori [ragioni di prelazione] L’intervento dei creditori nell’espropriazione ha fondamento negli artt.2741-2740 c.c. . 2740: il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; 2741: i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione: privilegi, pegno, ipoteca. I privilegi sono previsti dalla legge in ragione della natura del credito. Non hanno però diritto di sequela: hanno effetto finché il bene resta nel patrimonio del debitore, e non seguono se esce dal patrimonio. Il pegno e l’ipoteca hanno normalmente una causa convenzionale o comunque nascono in virtù di un atto o un provvedimento specifico. Non esistono ipoteche generali o occulte (cioè ipoteche che abbiano ad oggetto tutti i beni di un soggetto, o che non possano essere conosciute), perché deve risultare da un pubblico registro. Pegno e ipoteca sono Pag.82 Pag.82 diritti reali di garanzia, cioè hanno sequela anche nei confronti del patrimonio di soggetti diversi dal debitore. Il creditore può perseguire il bene anche quando è di proprietà di soggetti diversi dal debitore. A tale scopo esiste l’espropriazione contro il terzo proprietario. [par condicio] Le ragioni di prelazione sono l’unico meccanismo che incide sul principio della par condicio dei creditori. Nascono dal diritto sostanziale e non dal processo: il processo deve rispettare le cause di prelazione che esistono sulla base del diritto sostanziale e di regola non crea ragioni di prelazione che non esistono sulla base del diritto sostanziale, cioè non siano privilegi, pegno o ipoteca. Nel processo esecutivo si deve rispettare la condizione che i creditori hanno sul terreno del diritto sostanziale. [intervento] L’art.499, I limita l’intervento: a chi ha titolo esecutivo (anche successivo al pignoramento); a chi, al momento del pignoramento, ha un credito garantito da pegno, da prelazione iscritta o da sequestro; nonché a chi, sempre al momento del pignoramento, è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili. Per intervenire, il creditore deve depositare, nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, un ricorso contenente l’indicazione del credito e del titolo di esso, nonché la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Il creditore, che non sia munito di titolo esecutivo, e che tuttavia abbia il potere di intervenire nell’esecuzione in quanto appartenente ad una delle categorie previste al primo comma, deve notificare al debitore l’atto di intervento e copia autentica delle scritture contabili. [verificazione dei crediti] I V e VI istituiscono una sorta di procedimento di verificazione del credito per i soli creditori che sono legittimati ad intervenire, ma non hanno un titolo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza dinanzi a sé per la comparizione del debitore e dei creditori non muniti di titolo esecutivo. L’ordinanza è notificata, a cura di una delle parti, ai creditori ed al debitore. All’udienza fissata, se il debitore non compare o, comparendo, riconosce l’esistenza in tutto o in parte dei crediti, questi acquisiscono il diritto di essere soddisfatti. Viceversa, se sono in tutto o in parte contestati, il creditore ha l’onere di proporre, nei 30gg successivi, una domanda idonea a munirlo di un titolo esecutivo. I creditori che non rientrano in una di queste categorie non avranno alcuna possibilità di soddisfarsi, a meno che non ricorrano alla tutela di urgenza, allegando il pregiudizio imminente ed irreparabile, che si concretizza nell’evaporarsi della garanzia patrimoniale del loro debitore. [violazione della par condicio] La riforma tradisce il principio della par condicio, il quale non è un optional rimesso alle scelte del legislatore ordinario, ma costituisce l’attuazione di un principio costituzionale: quello in virtù del quale il processo deve essere strumento di attuazione, e non di distorsione del diritto sostanziale. L’innovazione, operata dal legislatore della riforma, e che ha portato ad eliminare la possibilità di intervenire liberamente nell’esecuzione, è quindi (oltre che ingiustificata) anche incostituzionale, perché viola un canone fondamentale dei rapporti fra diritto sostanziale e processo. Si consideri inoltre che niente impedisce al legislatore di restringere l’intervento nell’espropriazione a talune categorie di creditori a condizione che consenta, a chi non appartiene ad una delle categorie prescelte, di munirsi di un titolo di legittimazione a partecipare alla distribuzione del ricavato, ottenendo nel frattempo l’accantonamento delle somme a lui potenzialmente spettanti. [effetti dell’intervento] Gli effetti dell’intervento sono previsti dagli artt.500, 526 (mobili) e 564 (immobili). L’art.500 fa riferimento a due conseguenze dell’intervento: il diritto di prendere parte alla distribuzione del ricavato, ed il diritto di partecipare attivamente al processo esecutivo. Solo ai creditori, che intervengono muniti di titolo esecutivo, queste due conseguenze sono assicurate in modo incondizionato. Invece, chi interviene senza titolo può prendere parte alla distribuzione del ricavato solo se si verificano le condizioni previste dall’art.499, VI. Viceversa, il creditore che ha un titolo esecutivo ha di fronte a sé la scelta pregiudiziale se intervenire puramente e semplicemente, compiendo un’attività meno costosa e impegnativa (redigere un ricorso e depositarlo nella cancelleria del giudice), oppure se compiere un pignoramento successivo. Se opta per l’intervento, può anche, ex art.500, provocare i singoli atti dell’espropriazione, cioè sostituirsi al creditore procedente nel compiere gli atti necessari alla prosecuzione del processo. Artt.526 e 564: i creditori intervenuti partecipano all’espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provocarne i singoli atti. Elemento importante: il creditore intervenuto ha diritto di partecipare Pag.82 Pag.82 all’espropriazione; quindi, egli diventa parte del processo esecutivo a tutti gli effetti. In secondo luogo, se è munito di titolo esecutivo, può provocare i singoli atti dell’espropriazione. L’atto più importante che il creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo, può compiere è l’istanza di vendita, che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10gg e non superiore a 90 dal pignoramento. In mancanza, il processo esecutivo si estingue. Inoltre, fino al momento in cui è stata compiuta la vendita, è sempre necessaria la presenza alle udienze del processo di un creditore munito di titolo esecutivo. Tutta la fase, che va dal pignoramento fino all’avvenuta vendita, richiede il compimento di atti di impulso, che possono essere compiuti, oltre che dal creditore procedente, da qualunque altro creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo. Art.631: la mancata comparizione a due udienze consecutive porta all’estinzione del processo esecutivo. Per evitare tale conseguenza, all’udienza deve essere presente almeno un creditore munito di titolo esecutivo. Non si applica all’udienza di vendita, la quale viene effettuata anche se alla relativa udienza i creditori non sono presenti. La distinzione tra creditori con e senza titolo esecutivo vale finché non sia effettuata la vendita; dal momento in cui il bene è trasformato in denaro, si perde la distinzione tra creditori muniti e no di titolo esecutivo. Ciò, in primo luogo, perché la fase di distribuzione avviene ex officio, senza necessità d’un impulso di parte. In secondo luogo, perché l’art.629, disciplinando la rinuncia agli atti del processo esecutivo, stabilisce che la rinuncia, se ha luogo prima della chiusura della fase di liquidazione, deve provenire da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo; mentre, se la rinuncia ha luogo dopo la vendita, deve provenire da tutti i creditori che abbiano fatto intervento. Si ricava che, una volta effettuata la vendita, il diritto di procedere ad esecuzione forzata spetta a tutti i creditori, anche se non muniti di titolo esecutivo. [irrilevanza del titolo esecutivo dopo la vendita] La irrilevanza del titolo esecutivo successivamente alla vendita ha fatto sostenere a parte della dottrina che l’espropriazione sarebbe divisa in due fasi: una di aggressione del patrimonio del debitore, che inizia con il pignoramento e termina con la vendita; ed una fase di distribuzione del ricavato. La prima fase si caratterizzerebbe dalla sussistenza del titolo esecutivo, che dà la possibilità di incidere sul patrimonio del debitore per soddisfare i propri crediti; la seconda avrebbe invece caratteristiche di diritto sostanziale: i creditori vi parteciperebbero in quanto semplicemente creditori, perché il titolo esecutivo è in questa sede irrilevante. Norma contraria: art.632, secondo il quale, se l’estinzione avviene dopo la vendita, la somma ricavata è consegnata al debitore. Se il processo si estingue prima della vendita, il debitore ritorna nella piena disponibilità dei beni pignorati; se l’estinzione avviene dopo la vendita, questa rimane efficace e la somma ricavata è consegnata al debitore. Anche dopo la vendita, dunque, il processo esecutivo prosegue; la distribuzione del ricavato non avviene per attività di diritto sostanziale ma per la presenza del processo esecutivo. Quindi l’espropriazione forzata comprende anche la fase distributiva, perché, se non la comprendesse, una volta venduto il bene non ci sarebbe bisogno del processo esecutivo per distribuire il ricavato; i creditori avrebbero diritto di soddisfarsi sul ricavato anche se il processo esecutivo si estinguesse. [creditori privilegiati] Creditori muniti di ragioni di prelazione: l’art.498 stabilisce che essi debbono essere necessariamente avvertiti della pendenza del processo esecutivo; devono, cioè, essere avvertiti che è stato pignorato il bene su cui hanno un diritto di prelazione. Devono essere avvertiti solo i creditori le cui ragioni di prelazione risultano da pubblici registri. Per capire come mai solo i creditori con prelazione risultante da pubblici registri devono essere avvertiti, dobbiamo distinguere i creditori con diritto reale di garanzia, che risulta da pubblico registro; i creditori con diritto reale di garanzia, che non risulta da pubblico registro; ed infine i creditori muniti di privilegio. Il creditore munito di semplice privilegio ha prelazione finché il bene rimane nel patrimonio del debitore. Il privilegio non dà diritto di sequela. Il diritto reale di garanzia ha sempre ad oggetto beni individuati; tutti i diritti reali di garanzia devono essere resi pubblici con i modi che l’ordinamento prevede. Se si tratta di beni iscritti in pubblici registri, i diritti Pag.82 Pag.82 Nel caso di assegnazione-vendita, il creditore si rende assegnatario e paga una somma che viene poi distribuita nelle forme normali. [rapporti tra vendita e assegnazione] Rapporti tra vendita e assegnazione: a. Vi sono beni che debbono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: crediti pignorati che siano scaduti o che scadano entro 90gg b. Beni che possono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita: i titoli di credito e le altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato. Non è necessario il previo tentativo di vendita perché il valore dei beni risulta dal listino c. Beni che debbono essere assegnati dopo un tentativo di vendita fallito: “gli oggetti d’oro e d’argento non possono essere in nessun caso venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco. Se restano invenduti sono assegnati per tale valore ai creditori” d. Tutti gli altri beni possono essere assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito. Ciò significa che nel tentativo di vendita non si è raggiunto il prezzo di stima del bene. Il creditore, che chiede l’assegnazione per il valore di stima, non pregiudica né il debitore né gli altri creditori intervenuti, perché quel valore non è stato raggiunto nel tentativo si vendita ed è non inferiore all’effettivo valore del bene secondo la stima. Garanzia che l’assegnazione non abbia luogo in pregiudizio del debitore o degli altri creditori. L’assegnazione di cui ai a) e c) è coattiva, cioè prescinde dalla domanda dei creditori, mentre quella ai b) e d) è volontaria, cioè ha luogo su istanza del creditore. [valore minimo di assegnazione] Per evitare che l’assegnazione avvenga ad un prezzo di favore, in base ad un accordo dei creditori tra loro, viene stabilito un valore minimo di assegnazione. Art.506: “l’assegnazione può essere fatta soltanto per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente. Se il valore del bene eccede quello indicato nel comma precedente, sull’eccedenza concorrono l’offerente e gli altri creditori osservate le cause di prelazione che li assistono”. [udienza] Quando, decorsi 10gg dal pignoramento ed entro 45gg dello stesso, viene fatta un’istanza di vendita o di assegnazione, trovano applicazione gli artt.530-569, riguardanti l’uno l’espropriazione mobiliare presso il debitore e l’altro l’espropriazione immobiliare. Per quanto riguarda l’espropriazione presso terzi: art.552. Gli artt.530-569 sono simili, perché in ambo i casi il giudice, su ricorso di colui che ha proposto l’istanza di assegnazione o di vendita, deve fissare un’udienza per l’audizione delle parti. Così si attua il principio del contraddittorio, perché non è fatta alcuna situazione di privilegio al creditore procedente, o ai creditori muniti di titolo esecutivo, o ai creditori in genere nei confronti del debitore, ma tutte le parti hanno uguale diritto di partecipare all’udienza onde discutere fra di loro e nei confronti del giudice di quale sia il modo più opportuno per giungere ad una migliore liquidazione del bene. All’udienza le parti possono fare osservazione circa l’assegnazione e circa il tempo e le modalità della vendita. [opposizione agli atti esecutivi e liquidazione] “Le parti devono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti esecutivi se non sono già decadute dal diritto di proporle”. Se all’udienza non è ancora decorso il termine per proporre l’opposizione agli atti esecutivi pregressi, e comunque non è intervenuto un altro motivo di decadenza, le parti devono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti esecutivi relative agli atti compiuti fino a quel momento. L’udienza di assegnazione o vendita forma quindi uno sbarramento nella proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, e nella rilevanza delle nullità processuali che si siano avute fino a quel momento, perché delle due l’una: o le nullità sono fatte valere, ma allora la relativa opposizione agli atti deve essere proposta, a pena di decadenza, entro questa udienza; o le nullità non sono fatte valere, e allora, sempre che non si tratti di nullità extraformali che si producono autonomamente in relazione a ciascun atto del processo, esse diventano irrilevanti perché non possono essere più fatte valere in seguito. Questo sbarramento “ripulisce” il processo esecutivo da tutte le nullità anteriori all’udienza. In sostanza, dopo l’udienza non possono più essere fatte valere nullità derivate da atti antecedenti l’udienza. Nell’ulteriore corso del processo esecutivo potranno farsi valere solo le nullità originarie (formali ed extraformali) degli atti successivamente compiuti. Pag.82 Pag.82 Se le parti raggiungono un accordo sulla nullità, la controversia relativa ai vizi dell’atto viene risolta nel modo con cui le parti si sono trovate d’accordo, e il giudice, se l’accordo lo consente, può procedere a disporre la vendita del bene. Se non si mettono d’accordo, il giudice deve decidere le opposizioni agli atti esecutivi prima di disporre la vendita o l’assegnazione del bene. [pregiudizialità fra rito e merito] Si condiziona l’emanazione del provvedimento di liquidazione al previo accertamento dell’inesistenza di nullità del processo esecutivo: non si può andare avanti con la vendita o con l’assegnazione, se non dopo aver risolto le questioni relative alla nullità degli atti del processo esecutivo. Caratteristica peculiare del processo esecutivo, in relazione alla quale esso si differenzia profondamente dal processo di cognizione, e che discende dalla struttura del processo esecutivo stesso. Sia il modo in cui si sollevano le questioni relative alla nullità degli atti, sia il coordinamento fra la decisione di tali questioni e i vari provvedimenti esecutivi che vengono emessi, devono per necessità di cose essere diversi da quelli che si hanno nel processo di cognizione. Sotto il primo profilo (modalità con cui sono trattate le questioni relative alla nullità degli atti) il processo esecutivo non costituisce un ambiente idoneo a risolvere controversie, a differenza del processo di cognizione. Il processo esecutivo non ha struttura decisoria: interviene lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi. Sotto il secondo profilo (non è possibile procedere alla vendita del bene se non dopo aver deciso le controversie relative alla nullità degli atti del processo esecutivo), il processo di cognizione si divide in una fase preparatoria, che si svolge senza che si producano effetti extra-processuali, e in una fase decisoria, cioè nella pronuncia della sentenza, che è l’ultimo atto del processo. Nel processo di cognizione può accadere che una parte sollevi un’eccezione di nullità relativa ad un atto del processo stesso; niente impedisce al giudice di accantonare per il momento la questione e di dar luogo all’istruzione della causa. L’accantonamento della questione di nullità può valere solo fino al momento della decisione della causa. Quando pronuncia la sentenza, il giudice, che aveva accantonato l’eccezione di nullità dell’atto, deve rispettare l’ordine logico che gli impone l’esame delle questioni e non può emettere una pronuncia di merito se non dopo aver esaminato l’eccezione di nullità e averla trovata infondata. Se trova fondata l’eccezione, non emana la sentenza di merito. Nel processo esecutivo, invece, gli atti non sono tutti preparatori di un atto finale, che è l’unico a produrre effetti stabili extraprocessuali. Al contrario, vi sono due atti, che hanno effetti extraprocessuali “di merito”: la vendita forzata e la distribuzione del ricavato. Non è possibile, pertanto, nel processo esecutivo l’accantonamento della questione di rito, in attesa del provvedimento finale, perché nel processo esecutivo ha effetti extraprocessuali, “di merito”, non soltanto l’atto finale ma anche un atto intermedio. Prima di poter emettere il provvedimento di merito, bisogna essere sicuri che il processo sia corretto dal punto di vista del rito. Se è sollevata una questione di rito con l’opposizione agli atti esecutivi, bisogna decidere la questione di rito prima di emettere la misura giurisdizionale di merito. Gli artt.530-569 stabiliscono che si abbia la decisione, con sentenza, dell’opposizione agli atti esecutivi, e solo successivamente la pronuncia dell’ordinanza di vendita o assegnazione. La sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è suscettibile di impugnazione in Cassazione. [impugnazione della sentenza] Pronunciata la sentenza che rigetta l’opposizione agli atti, e quindi apre la strada alla vendita forzata, due soluzioni: o si aspetta il giudicato oppure si afferma sufficiente la sentenza di primo e unico grado, ed irrilevante la sua eventuale impugnazione. Soluzione più corretta: prima. Per due motivi: in primo luogo, il silenzio del legislatore non ha alcun giudicato. In secondo luogo, la pregiudizialità fra rito e merito deve essere mantenuta fin tanto che la parte ha diritto di far controllare con l’impugnazione la sentenza che decide l’opposizione. È imposta la preventiva decisione delle questioni di rito per evitare che si procedesse alla vendita quando è ancora incerta la validità del processo esecutivo, e quindi che una successiva (alla vendita) dichiarazione di invalidità comportasse la caducazione della vendita stessa. Pag.82 Pag.82 [stima del bene] Punto in cui opposizioni agli atti non ce ne sono, oppure si è raggiunto un accordo, o c’è stata una sentenza passata in giudicato che le rigetta. Il giudice dispone con ordinanza la vendita forzata (o l’assegnazione). Ma ciò significa anche attribuire un valore al bene che è stato pignorato. Ciò nell’espropriazione mobiliare si è avuta solo una determinazione provvisoria del valore del bene pignorato, perché al momento del pignoramento l’ufficiale giudiziario, recatosi nei luoghi, ha sottoposto a pignoramento una serie di beni a ciascuno dei quali ha attribuito un valore provvisorio, e si è fermato quando ha raggiunto, sommando il valore dei beni pignorati, l’entità del credito per il quale si procede. Ma è chiaro che la determinazione del valore fatta in quella sede dall’ufficiale giudiziario non può essere vincolante anche per quanto riguarda la vendita; sarà necessario procedere alla valutazione del bene ad opera di un soggetto competente, cioè uno stimatore. Le strade si dividono e bisogna seguire le varie forme di espropriazione nelle loro singole specificità, perché i vari tipi di beni sono assoggettati a modalità diverse di liquidazione. 15. Le singole forme di vendita forzata [vendita immobiliare] Nell’espropriazione mobiliare, la disciplina è unitaria per l’espropriazione diretta e per quella di beni mobili che il debitore ha presso terzi. Due modi di liquidazione del bene mobile: la vendita senza incanto o a mezzo commissionario e la vendita all’incanto. [vendita a mezzo commissionario] Vendita a mezzo commissionario artt.532 e 533. Consiste nell’affidare la vendita del bene mobile, previamente stimato da un esperto, per un prezzo minimo stabilito dal giudice, ad un soggetto il quale lo vende a trattativa privata, attraverso un contratto che egli stipula con l’acquirente. L’incarico è normalmente conferito all’istituto vendite giudiziarie, e può essere conferito ad un soggetto diverso dall’istituto vendite giudiziarie solo se si tratta di beni con caratteristiche peculiari. La liquidazione avviene quindi con un atto che ha la natura, le caratteristiche e gli effetti di un ordinario atto negoziale di compravendita di un bene mobile. Il commissario ha diritto ad un compenso che stabilisce il giudice stesso, deve documentare la vendita e versare la somma ricavata nelle casse dell’esecuzione. [vendita all’incanto] L’altra modalità la vendita all’incanto, artt.534 e 537. Secondo l’art.534, la vendita all’incanto può essere affidata al cancelliere, o all’ufficiale giudiziario, o ad un istituto all’uopo autorizzato. Di solito viene affidata agli istituti vendite giudiziarie, che sono società che hanno, tra le finalità, anche quella di procedere alla vendita forzata dei beni mobili. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto, viene fissata la data dell’incanto e nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca a ritirare i beni mobili del custode, perché la vendita all’incanto dei beni mobili avviene in presenza del bene. L’aggiudicazione è fatta al maggior offerente. L’acquirente paga il prezzo e si porta via il bene, il soggetto incaricato della vendita versa all’esecuzione il ricavato, trattenendosi anche qui il compenso che per legge spetta all’incaricato della vendita dei beni mobili. Il trasferimento della proprietà avviene al momento del pagamento del prezzo. [vendita fallita] Se non si trova nessuno che offra il prezzo minimo di stima abbiamo l’ipotesi della vendita fallita, cioè della vendita non effettuata per mancanza di offerenti. L’art.538 prevede due possibilità: che si abbia l’assegnazione del bene, su richiesta di uno o più creditori, per il valore di stima che il giudice ha determinato prima di procedere alla vendita dello stesso; se nessuno chiede l’assegnazione, l’incaricato effettua una seconda vendita all’incanto ad un prezzo base inferiore del 20% rispetto al precedente. Artt.534-bis e 534-ter: forma particolare di vendita dei beni mobili registrati (autoveicoli, navi). Il giudice può delegare le operazioni di vendita, con incanto o senza, all’istituto vendite giudiziarie o, se non vi è, ad un professionista (avvocato) iscritto nell’apposito elenco tenuto presso il tribunale. [liquidazione di crediti] Perfezionato il pignoramento, si può procedere alla liquidazione del credito, che avviene attraverso il trasferimento del credito dal debitore esecutato, che ne è titolare, ad un soggetto diverso. Nell’espropriazione singolare l’ufficio esecutivo non cura la riscossione del credito. L’unica maniera per liquidarlo è di trasferirlo ad un altro soggetto, il quale poi compirà l’attività necessaria x la riscossione. Il trasferimento del credito costituisce, dal punto di vista del diritto sostanziale, una cessione del credito. L’assegnatario è un cessionario, e quindi diventa il nuovo titolare del credito. Il terzo debitore diventa a sua Pag.82 Pag.82 avvenuto trasferimento della proprietà. Quindi il trasferimento avviene con il decreto, e non con l’aggiudicazione. Conclusione -> art.187-bis: ”in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari gli effetti di tali atti”. Si applica la regola prevista nell’art.632 anche alle aggiudicazioni o assegnazioni provvisorie: ciò non significa che il trasferimento del diritto avvenga con tali atti, ma solo che – quando il processo esecutivo prosegue limitatamente a tale subprocedimento, nel quale si provvede al compimento degli atti che portano al definitivo trasferimento del diritto. Con il decreto di trasferimento si dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni ipotecarie. Possibilità che l’aggiudicatario finanzi il proprio acquisto mediante mutuo ipotecario. In questo caso, mutuante e mutuatario possono stabilire, a garanzia del mutuante, che le somme siano versate all’esecuzione contestualmente all’iscrizione dell’ipoteca. Se questo accade, la trascrizione del decreto di trasferimento deve essere contestuale all’iscrizione ipotecaria (585, III). [titolo per il rilascio] Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio, cioè per ottenere la consegna del bene acquistato (586, II e III). Il decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto. Precisazione. Il pignoramento immobiliare è effettuato dall’ufficiale giudiziario sulla base delle indicazioni del creditore procedente, delle quali questi si assume la responsabilità, sottoscrivendo quella parte dell’atto di pignoramento che le contiene. D’altro canto, il possesso del bene immobile da parte dell’esecutato non costituisce requisito di validità del pignoramento. Il bene pignorato può quindi essere o no nel possesso di colui che subisce l’espropriazione. Con la notificazione del pignoramento immobiliare l’esecutato vede trasformato il suo possesso in custodia. Si distingue l’ipotesi in cui il bene pignorato è assoggettato alla custodia del debitore esecutato, dalle ipotesi in cui il bene è nel possesso di un estraneo. Se è nella materiale disponibilità del custode, il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio nei confronti del custode. La consegna del bene all’aggiudicatario da parte del custode costituisce piuttosto l’adempimento di un dovere di natura processuale. Il custode, nell’adempimento dei suoi doveri di natura processuale, non ha una situazione protetta, cioè non si trova nella stessa situazione di un soggetto che deve adempiere, sulla base del diritto sostanziale, all’obbligo di rilascio del bene immobile. Se il bene acquistato in vendita forzata è nel possesso non del debitore esecutato, ma di un terzo estraneo, il titolo esecutivo per il rilascio non ha effetti nei confronti di costui. Poiché nei confronti del terzo il decreto di trasferimento del bene non ha efficacia traslativa della proprietà, esso non ha nemmeno efficacia di titolo esecutivo per il rilascio. Nei confronti del terzo possessore, l’aggiudicatario del bene dovrà agire con i normali strumenti che il diritto sostanziale e processuale pongono a sua disposizione (rivendicazione o restituzione). Se il terzo possessore è un avente causa del debitore esecutato, in base ad un titolo inopponibile al creditore, il decreto di trasferimento è efficace nei suoi confronti come titolo traslativo della proprietà, e quindi anche come titolo esecutivo per il rilascio. • Il decreto di trasferimento è titolo esecutivo (in senso improprio) per il rilascio nei confronti del custode del bene; nei confronti dei terzi normalmente non è titolo esecutivo per il rilascio, tranne che il terzo non sia un avente causa dell’esecutato, con titolo inopponibile al creditore procedente. [vendita fallita] Ex art.588 c.p.c., ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene immobile, per la somma maggiore tra il valore del bene secondo stima da un lato, e dall’altro i crediti aventi prelazione anteriore al richiedente. L’istanza di assegnazione deve essere avanzata dal creditore almeno 10gg prima della data fissata per l’incanto, per l’ipotesi in cui esso vada fallito. [amministrazione giudiziaria] Se non si provvede all’assegnazione, il giudice provvede in due modi: o dispone l’amministrazione giudiziaria del bene immobile o dispone una nuova vendita all’incanto. Può stabilire nuove condizioni di vendita, oppure fissare un prezzo base inferiore del 25% al precedente. In questi casi non si procede direttamente ad un nuovo incanto, ma si percorre di nuovo tutto l’ iter: vendita senza incanto, poi eventualmente vendita con incanto. Pag.82 Pag.82 In alternativa ad un nuovo tentativo di vendita, il giudice può disporre l’amministrazione giudiziaria, che è utile in due direzioni. Anzitutto, quando il bene produce dei frutti tali da poter soddisfare i creditori: in questo caso si ha, lato sensu, una sorta di anticresi processuale. Quindi il bene viene affidato al custode, il quale lo gestisce, ne prende i frutti, che possono essere distribuiti nel corso dell’amministrazione giudiziaria ai creditori; se con i frutti si soddisfano tutti i creditori, l’amministrazione giudiziaria cessa e il bene viene restituito al debitore; se ciò non accade, nel termine massimo di 3 anni bisogna procedere alla ulteriore vendita del bene. L’altra ipotesi che può indurre il giudice a disporre l’amministrazione giudiziaria dipende dal mercato: se è un momento in cui le offerte di acquisto sono scarse, il giudice può decidere di aspettare che il mercato immobiliare si “risvegli”. [delega al professionista] Alcune attività del processo esecutivo possono essere delegate a professionisti: accade per la vendita dei beni immobili e dei mobili registrati. Ove il giudice dell’esecuzione faccia uso di tale possibilità, al professionista vengono affidate le attività che non si svolgono più presso l’ufficio esecutivo, sibbene presso lo studio del professionista, o in altro luogo dal professionista indicato. Il professionista provvede a determinare il prezzo della vendita, a dare pubblicità alla stessa, effettuare la vendita senza incanto ed eventualmente quella successiva all’incanto, aggiudicare il bene, ricevere il pagamento del prezzo etc. Egli predispone anche il decreto di trasferimento. Se, nel corso delle operazioni affidate al professionista, sorgono difficoltà, il professionista stesso può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti possono proporre reclamo al giudice dell’esecuzione avverso tale decreto e vs gli atti del professionista: il reclamo deciso con ordinanza. Due soluzioni: o si ritiene che il legislatore abbia introdotto un reclamo endoesecutivo, reclamo che non esclude la proponibilità dell’opposizione agli atti esecutivi; oppure si ritiene che il reclamo sia esso stesso un processo di cognizione, il cui provvedimento finale è impugnabile in cassazione. [infruttuosità dell’espropriazione forzata] Rimedio estremo in caso di infruttuosità dell’espropriazione. Il giudice dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo “quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo”. Il giudice deve quindi fare una valutazione dei costi e dei benefici: se i primi superano i secondi, non è utile proseguire l’espropriazione. I creditori possono sempre comunque chiedere l’assegnazione dei beni pignorati al prezzo di stima. 16. Gli effetti sostanziali della vendita e dell’assegnazione [natura della vendita forzata] La vendita forzata è un fenomeno essenzialmente processuale; ciò comporta che anche gli atti che compie l’acquirente sono atti del processo esecutivo e che il provvedimento di trasferimento è un atto del processo esecutivo; la vendita ha effetti di diritto sostanziale (artt. da 2919 a 2929 c.c.). [acquisto a titolo derivativo] L’art.2919 afferma che la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. L’art. non parla di “debitore” ma di “colui che ha subito l’espropriazione”: e ciò perché vi sono anche ipotesi in cui l’espropriazione è subita da chi non è debitore. In tali casi la vendita trasferisce all’acquirente i diritti che sul bene spettavano al terzo che ha subito l’espropriazione, e non quelli che spettavano al debitore. Dunque la vendita forzata dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo. Termine “derivativo” e “originario”. Oggi si ritiene che acquisto a titolo derivativo significhi acquisto che postula la sussistenza in capo al dante causa di una situazione sostanziale uguale o maggiore di quella acquistata; e che acquisto a titolo originario significhi invece acquisto che avviene anche se in capo ad un dante causa non esiste un diritto uguale o maggiore di quello acquistato. Quindi nell’acquisto a titolo derivativo il diritto acquistato è dipendente, sul piano sostanziale, dal diritto di colui che ha subito Pag.82 Pag.82 l’espropriazione; mentre nell’acquisto a titolo originario il diritto acquistato è autonomo, sul piano sostanziale, dal diritto sussistente in capo a colui che ha subito l’espropriazione. La regola generale della vendita forzata è quella dell’acquisto a titolo derivativo. Pertanto, se colui che ha subito l’espropriazione non era effettivamente titolare del diritto pignorato, l’acquirente in vendita forzata non acquista niente in pregiudizio del terzo estraneo, effettivo titolare del diritto sul bene pignorato. La vendita forzata non pregiudica il terzo vero proprietario. [effetti del pignoramento] L’ultima parte dell’art.2919 stabilisce che non sono opponibili all’acquirente in vendita forzata i diritti dei terzi, che non sono opponibili al creditore pignorante. Ciò significa che l’acquisto in vendita forzata è sì un acquisto a titolo derivativo, però ciò che acquista l’aggiudicatario è quello che colui, che ha subito l’espropriazione, aveva non al momento della vendita ma del pignoramento. • La vendita forzata è un acquisto a titolo derivativo, ma rilevante non è la situazione di diritto sostanziale sussistente in capo all’esecutato nel momento in cui si crea il titolo di trasferimento, ma nel momento in cui viene effettuato il pignoramento. Gli effetti del pignoramento hanno la funzione di conservare il diritto in vista della vendita forzata, hanno cioè la funzione di rendere inopponibili gli atti di disposizione compiti dopo il pignoramento; tali atti di disposizione, se e in quanto inopponibili al creditore procedente, sono inopponibili anche all’acquirente in vendita forzata. [creditori intervenuti] L’ultimo comma dell’art.2918 richiama le regole che determinano l’inopponibilità dei diritti dei terzi al creditore pignorante, e parla anche dei “creditori intervenuti nell’esecuzione”. I creditori intervenuti beneficiano degli effetti utili del pignoramento. L’estensione degli effetti conservativi del pignoramento ai creditori intervenuti è una peculiarità del pignoramento, che non consente di assimilare in tutto e per tutto l’alienazione della res pignorata all’alienazione della res litigiosa. Si cerca un meccanismo di protezione del creditore intervenuto che gli rende inopponibili gli atti di disposizione dell’esecutato in maniera diversa e maggiore di quanto faccia il pignoramento. [creditori ipotecari] Questo meccanismo esiste ed è previsto dall’art.2812, il quale distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: i titolari di servitù, usufrutto, uso, abitazione (dir reali “minori”); ed i titolari di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà (diritti reali “maggiori”). [diritti reali maggiori] Nell’ipotesi in cui il terzo viene investito di un diritto appartenente alla seconda categoria, l’art.2812, III stabilisce che si osservano le disposizioni relative ai terzi acquirenti. Tale norma dà al creditore ipotecario il potere di espropriare il bene non solo nei confronti di colui che gli ha concesso l’ipoteca, ma anche verso chi abbia acquistato sul bene un diritto appartenente alla seconda categoria. L’art.2812, I stabilisce che i diritti appartenenti alla prima categoria non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. Quindi: il creditore ipotecario può e deve agire esecutivamente contro i terzi, titolari dei diritti appartenenti alla seconda categoria. Al contrario, i terzi titolari dei diritti appartenenti alla prima categoria non divengono soggetti espropriati, non assumono la qualità di esecutato. Se si rilegge l’art.2919, si vede che tale norma non stabilisce: “trasferisce i diritti che sulla cosa spettavano al debitore”, ma stabilisce “a colui che ha subito l’espropriazione”; e colui che la subisce in questa ipotesi è il terzo acquirente, sul bene ipotecato, di un diritto appartenente alla seconda categoria. Il passaggio del bene ipotecato in varie mani non pregiudica quindi il creditore ipotecario, nel senso che questi lo può sempre colpire presso l’attuale proprietario o enfiteuta o superficiario o nudo proprietario che diventa il soggetto esecutato. È contro costui che si forma il titolo di aggiudicazione: l’acquirente in vendita forzata acquista dal terzo proprietario e non dal debitore. [diritti reali minori] Per i diritti minori il meccanismo è diverso. L’art.2812, I, stabilisce che al creditore ipotecario non sono opponibili diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione, il cui titolo sia stato trascritto dopo l’iscrizione dell’ipoteca: il creditore ipotecario può far vendere il bene come libero. Il creditore ipotecario conserva il diritto di far vendere il bene come libero tanto quando assume il ruolo di procedente, tanto quando interviene nel processo esecutivo iniziato da altri. Se non interviene nessuno, l’aggiudicatario acquista il bene con l’usufrutto e con la servitù; se interviene il creditore, l’aggiudicatario acquista il bene senza l’usufrutto ma con la servitù; se interviene il creditore, l’aggiudicatario acquista il bene libero, senza l’usufrutto e la servitù. Pag.82 Pag.82 L’ultimo comma dell’art.2926 stabilisce che, versando la somma in questione, l’assegnatario torna creditore del debitore perché il suo credito non è più soddisfatto. [prevalenza del terzo proprietario] Quando la vendita dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo, nello scontro tra terzo proprietario e aggiudicatario, chi ci rimette è quest’ultimo, che perde il bene, in quanto niente ha acquistato da chi (l’esecutato) niente aveva. L’art.2921 dà all’aggiudicatario il diritto non soltanto di farsi consegnare il ricavato della vendita ma, se questo è già stato distribuito, di andare dai creditori per ripetere da ciascuno la somma corrispondente a quella assegnata in sede di distribuzione del ricavato. [vendita forzata e vendita di diritto comune] Divergenze tra vendita forzata e di diritto comune indicate dall’art.2922: 1. Primo comma: “nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa”: quindi colui che acquista il bene in vendita forzata lo acquista nello stesso di fatto in cui si trova 2. Secondo comma: ”essa non può essere impugnata per causa di lesione”; cioè non ci può essere la rescissione per lesione 3. L’effetti estintivo dei diritti di garanzia ex art.586. La vendita di diritto comune non è estintiva del diritto reale di garanzia anzi il titolare del diritto può perseguire il bene presso qualunque successivo acquirente. Nel caso della vendita forzata si ha l’estinzione dei diritti reali di garanzia sui beni oggetto della vendita [nullità del processo esecutivo] Se e in che limiti la nullità degli atti del processo esecutivo può essere fatta valere dall’esecutato come motivo per chiedere la caducazione degli effetti della vendita forzata? [posizione dei creditori] In caso di nullità del processo esecutivo, i creditori non sono tenuti a restituire quanto hanno ricevuto. Pertanto l’esecutato non può agire in ripetizione nei confronti dei creditori intervenuti allegando la nullità del processo esecutivo. L’esecutato deve fondare la ripetizione dell’indebito sull’inesistenza del credito, quindi su ragioni sostanziali, non processuali. [posizione dell’aggiudicatario] Per quanto riguarda i rapporti tra esecutato e aggiudicatario-acquirente in vendita forzata la regola fondamentale è: la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’aggiudicatario. Le nullità anteriori al procedimento di vendita non sono opponibili all’acquirente o all’assegnatario, la posizione del quale è svincolata dalla validità degli atti anteriori al procedimento di vendita, dei quali non è stato parte. Nell’udienza fissata per determinare le modalità di vendita o di assegnazione, occorre che siano fatte valere tutte le nullità degli atti esecutivi fino a quel momento verificatesi. Se sono fatte valere, il giudice non può disporre la vendita fino a che la controversia non sia risolta. Le nullità extraformali rilevabili in ogni stato e grado del processo hanno la caratteristica di inficiare ogni singolo atto del processo, e quindi si riproducono anche in relazione agli atti compiuti posteriormente all’udienza di vendita, rendendoli nulli. Le nullità (formali o extra) del procedimento di vendita hanno invece una diversa disciplina, proprio perché l’aggiudicatario o l’assegnatario è parte di tale fase procedimentale. Devono essere fatte valere all’interno del processo esecutivo con il mezzo dell’opposizione agli atti esecutivi. [collusione con il creditore procedente] Si fa eccezione nel caso in cui l’acquirente abbia colluso col creditore procedente, approfittando delle nullità per rendersi acquirente. L’esecutato deve essere venuto meno a conoscenza della collusione dopo la chiusura del processo esecutivo, perché altrimenti doveva proporre l’opposizione agli atti esecutivi -> impugnazione straordinaria della vendita forzata. [irrilevanza del diritto di procedere a esecuzione forzata] Art.2929: nullità degli atti esecutivi e non della mancanza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. La contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata da parte del debitore si fa valere con l’opposizione all’esecuzione, che dà luogo ad una sospensione facoltativa del processo esecutivo. Non esiste un momento di raccordo che imponga al giudice di risolvere le questioni, attinenti alla sussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, prima di procedere alla vendita. Si deve considerare che il risultato è la trasformazione del diritto su un bene in una somma di denaro, che è istituzionalmente equivalente al diritto trasferito con l’aggiudicazione. E poiché la distribuzione del ricavato non impedisce al debitore di contestare, dopo la chiusura del processo esecutivo, la sussistenza dei crediti soddisfatti, il debitore esecutato non ha alcun motivo di chiedere all’aggiudicatario la restituzione del bene, Pag.82 Pag.82 perché egli ha la possibilità di farsi consegnare il ricavato che è istituzionalmente l’esatto equivalente del valore del bene. 17. La distribuzione del ricavato [somma da distribuire] Il terzo momento dell’espropriazione forzata, la fase distributiva, non ha luogo quando non sia stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando questo è stato assegnato a un creditore senza che costui abbia versato un conguaglio. Artt.509-512, artt.541-542 per l’espropriazione mobiliare e artt.596-598 per quella immobiliare. L’art.509 stabilisce che la somma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate, multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario. [ordine della distribuzione] Ordine o graduazione dei crediti: 1. Senza possibilità di deroga, anche in presenza di diritti di prelazione, al primo posto sono collocate le spese della procedura. Costituiscono il corrispondente di ciò che è stato necessario fare per poter ottenere la somma da distribuire 2. Poi sono collocati i creditori con diritto di prelazione: ordine stabilito dall’art.2777. Se due crediti hanno lo stesso grado di prelazione, concorrono proporzionalmente tra loro 3. Al terzo posto sono collocati i creditori chirografari tempestivi: ove la somma non sia sufficiente per tutti, si opera una ripartizione proporzionale 4. Al quarto posto sono collocati i creditori chirografari tardivi, cioè quelli intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione, o, nel caso di piccola espropriazione mobiliare, quelli intervenuti dopo il deposito dell’istanza con cui il creditore procedente chiede la fissazione dell’udienza per determinare le modalità di vendita o assegnazione 5. Al quinto posto è collocato l’esecutato, per l’eventuale residuo Dal punto di vista processuale, occorre distinguere a seconda che vi siano o no creditori intervenuti. Se vi è un solo creditore da soddisfare, il giudice dell’esecuzione convoca le parti, e dispone il pagamento, a favore del creditore, di quanto gli è dovuto. Se, invece, vi sono più creditori da soddisfare, occorre procedere alla formazione di un piano di riparto. [formazione del piano di riparto] Riguardo la formazione del piano di riparto, vi sono differenze fra l’espropriazione mobiliare e quella immobiliare. Nell’espropriazione mobiliare i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato tra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti i creditori; il giudice provvede in conformità, se non c’è opposizione del debitore. Se c’è: art.512. Se manca un piano di riparto concordato, ogni creditore può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata. Il giudice prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti che possono approvarlo, e allora non c’è nessun problema; se invece qualcuno lo contesta, si procede ai sensi dell’art.512. Nell’espropriazione immobiliare le modalità di formazione del riparto sono diverse, perché il giudice procede d’ufficio, senza bisogno dell’istanza di parte, o di un piano concordato. Il giudice prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un’udienza; il cancelliere avvisa i creditori intervenuti e il debitore dell’avvenuto deposito e dell’udienza fissata; le parti hanno 10gg per consultare il piano di riparto. Se all’udienza non compaiono o comparendo non si oppongono, il piano di riparto è approvato. Oppure è possibile che in udienza si trovino d’accordo tra di loro per modificarlo e anche qui il giudice non può che prendere atto e modificare il piano di riparto. Posizione del creditore, il cui credito sia stato “contestato” dal debitore e che abbia in corso il processo di cognizione volto ad ottenere la formazione del titolo esecutivo. La posizione degli altri creditori non pone problemi: se hanno un titolo esecutivo oppure non sono stati contestati dal debitore, essi partecipano immediatamente alla distribuzione del ricavato. Se, invece, il loro credito è contestato dal debitore, ed essi non hanno tempestivamente instaurato il processo di cognizione volto ad ottenere un titolo esecutivo, il loro intervento ha perso effetti. [accantonamenti] A favore dei creditori contestati, e che abbiano tempestivamente proposto la domanda volta ad ottenere un titolo esecutivo, si prevede che il giudice dell’esecuzione disponga l’accantonamento delle Pag.82 Pag.82 somme ad essi eventualmente spettanti. Il piano di riparto viene predisposto tenendo conto anche di questi creditori, dopo di che le somme che, in base al piano, ad essi spetterebbero, sono accantonate “per il tempo necessario affinché i predetti creditori possano munirsi di un titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a 3 anni”. La somma accantonata è distribuita una volta decorso il termine fissato dal giudice, su istanza di parte o anche di ufficio. La distribuzione può avvenire anche prima del termine fissato, quando tutti i creditori si sono muniti di titolo esecutivo. Decorsi tre anni, se il creditore non ha fatto in tempo a munirsi di titolo esecutivo, la somma accantonata è assegnata al creditore successivo. [domanda di sostituzione] I creditori di un creditore, avente diritto alla distribuzione, possono chiedere di essere da lui sostituiti proponendo domanda. Istituto che si inquadra nella stessa logica nell’azione surrogatoria; la domanda di sostituzione può essere avanzata non soltanto nei confronti di un creditore intervenuto, ma addirittura il creditore sostituente può effettuare lui stesso la domanda di intervento per il suo debitore, proponendo intervento in nome e per conto del suo debitore, creditore dell’esecutato. Al momento della distribuzione del ricavato il giudice provvede ad assegnare al sostituente le somme che spettano al sostituto, ma le contestazioni sorte fra costoro non possono ritardare la distribuzione agli altri concorrenti. Se sostituente e sostituito controvertono tra di loro, prima si effettua il riparto e con questo si stabilisce la somma che spetta al sostituito; successivamente, fra sostituente e sostituito si stabilisce a chi deve andare quella somma. [effetti della distribuzione] Il giudice predispone un piano di riparto, il quale è espressamente o tacitamente approvato; il cancelliere emette i mandati di pagamento ai creditori e il residuo va al debitore. Sul piano sostanziale quale effetto hanno l’approvazione del piano di riparto e la distribuzione del ricavato? Il provvedimento con cui il giudice distribuisce il ricavato è un atto del processo esecutivo e come tale ha la stabilità degli atti del processo esecutivo. La nullità di tali atti deve essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi, da utilizzare nei modi e termini previsti dalle norme processuali. Ma se gli atti del processo esecutivo sono regolari, che possibilità ha il debitore, che ha subito l’espropriazione, di contestare, conclusosi il processo esecutivo, la sussistenza di un credito in tutto o in parte soddisfatto e agire per la ripetizione dell’indebito? [stabilità della distribuzione] Problema: stabilire se ci sono ostacoli alla ripetizione dell’indebito. Gli ostacoli alla ripetizione dell’indebito sono minori quando il debitore ha spontaneamente adempiuto, rispetto a quando vi è stata la distribuzione del ricavato? No. L’espropriazione forzata ha la funzione di soddisfare crediti, attraverso la surrogazione (processuale) dell’inattività (sostanziale) di colui che è obbligato a pagare una somma di denaro. Di fronte all’inattività di colui che è obbligato ad adempiere c’è l’attività giurisdizionale sostitutiva; non sussiste alcun motivo, in virtù del quale tale attività sostitutiva produca effetti ulteriori rispetto a quelli propri della sua funzione, che consiste nel sostituire un adempimento; l’accertamento che l’adempimento è dovuto sul piano del diritto sostanziale costituisce un quid pluris estraneo ed esterno alla funzione dell’esecuzione forzata; è un problema proprio del processo di cognizione. Tutte le varie forme di distribuzione presuppongono il silenzio dell’esecutato perché il piano concordato fra i creditori o quello predisposto dal giudice possono essere contestati dal debitore. All’inattività dell’esecutato, che non ha contestato il piano di riparto, non può essere attribuita un’efficacia maggiore di quella che ha l’attività spontanea con cui lo stesso esecutato, fuori dell’esecuzione e sul piano del diritto sostanziale, adempie il suo obbligo. Se l’attività spontanea del debitore, che adempie sul terreno del diritto sostanziale, non può essere intesa come manifestazione di volontà che porta al riconoscimento dell’esistenza del diritto, non può, a maggior ragione, essere intesa come manifestazione di volontà che porta al riconoscimento del diritto l’inattività del debitore in sede di esecuzione forzata, cioè la mancata contestazione, da parte del debitore, del piano di riparto. • La distribuzione del ricavato non può avere un’efficacia stabilizzante della distribuzione stessa, perché tale efficacia costituirebbe un effetto eccedente rispetto alla sua funzione; non può essere vista nell’inattività del debitore una forma di accettazione tacita del piano di riparto, perché l’adempimento spontaneo non ha alcun effetto preclusivo della ripetizione dell’indebito; e se tale Pag.82 Pag.82 si evince l’esistenza e l’ammontare del suo credito, gli altri creditori contestanti sono in qualche maniera vincolati a tale atto? Le “parti” sono vincolate dall’atto per le regole di diritto processuale e sostanziale. Ma i creditori concorrenti sono “terzi” rispetto all’accordo o alla sentenza. Gli atti che possono pregiudicare gli altri creditori sono atti che o diminuiscono la massa attiva o aumentano la massa passiva. I creditori sono in linea di principio vincolati ad ambedue tali categorie di atti. In primo luogo un creditore può opporre, relativamente all’esistenza ed all’ammontare del credito del creditore concorrente, le stesse difese che potrebbe fare il debitore. Se il debitore rimane inerte e non contesta la sussistenza o l’ammontare di un credito vantato nei suoi confronti, al posto suo, con gli stessi strumenti e limiti lo può fare il creditore. Ma in tal caso deve rispettare le pregresse attività, sostanziali e processuali, compiute dal debitore. Quando, invece, si tratta di far valere la fronde, la nullità o la simulazione, il creditore agisce iure proprio. In tal caso è ovviamente svincolato da quegli atti. [litisconsorzio] Le parti che devono essere sentite dal giudice dell’esecuzione sono quelle che, se la contestazione è accolta, vedono modificato nei loro confronti il piano di riparto. Chi è interessato? Chi riceve un pregiudizio dall’accoglimento della contestazione deve partecipare al processo; chi invece non subisce alcun effetto dall’accoglimento della contestazione, non è parte necessaria del processo. [sospensione della distribuzione] Il processo esecutivo può essere totalmente o parzialmente sospeso. È sospeso totalmente se la contestazione riguarda tutta quanta la distribuzione, cioè se l’accoglimento della contestazione porta alla modificazione del piano di riparto in relazione a tutti quanti i creditori; si ha una sospensione parziale quando vi sia una somma non controversa, cioè quando una parte del ricavato può essere distribuita, perché in relazione ad essa non sono state sollevate contestazioni. Ipotesi di sospensione obbligatoria, ma non è automatica, perché il processo esecutivo si sospende non quando sono proposte le contestazioni, ma quando il giudice emette il provvedimento di sospensione. [modifiche al piano di riparto] Il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza mediante la quale ha risolto la contestazione, apporta al piano di distribuzione le consequenziali modifiche. Se il credito è dichiarato inesistente, esso viene cancellato dal piano di riparto e la somma resasi libera è ridistribuita agli altri creditori secondo l’ordine loro proprio; se, invece, è riconosciuta una prelazione, sono disposte le necessarie modifiche al piano. [oggetto dell’opposizione] L’ordinanza, con la quale il giudice dell’esecuzione risolve le contestazioni relative al piano di riparto, è opponibile. Oggetto dell’opposizione. Limitare l’opposizione ai soli profili processuali. Ma vi sono elementi che depongono nel senso di un ampliamento dell’oggetto dell’opposizione agli atti. Niente vieta al legislatore di utilizzare ad altri fini uno strumento processuale, creato originariamente per una certa funzione. Il legislatore ha voluto eliminare la necessità di esperire un processo di cognizione incidentale al processo esecutivo. Le contestazioni sono risolte in sede esecutiva. Ma fra l’eliminazione di un processo di cognizione incidentale necessario e l’eliminazione di ogni tutela dichiarativa c’è una via di mezzo: quella di prevedere che il processo di cognizione sia non già antecedente e necessario, sibbene posteriore ed eventuale. L’opposizione agli atti esecutivi ben può svolgere la funzione di ospitare la risoluzione delle controversie che dovessero sorgere in relazione all’ordinanza, con la quale il giudice dell’esecuzione ha risolto le contestazioni relative al piano di riparto. 18. L’espropriazione dei beni indivisi In due ipotesi lo svolgimento del processo esecutivo è in parte modificato in conseguenza della particolarità del caso concreto: l’espropriazione dei beni indivisi e l’espropriazione contro il terzo proprietario. Nell’espropriazione dei beni indivisi, il problema nasce dal fatto che, fra gli elementi attivi del patrimonio, con cui il debitore risponde delle obbligazioni, esiste la contitolarità di un diritto reale espropriabile: proprietà, nuda proprietà, enfiteusi, superficie, usufrutto. Pag.82 Pag.82 [espropriazione congiunta] La peculiarità si verifica quando non tutti i contitolari del diritto sono assoggettabili all’espropriazione, cioè quando non esiste un titolo esecutivo nei confronti di tutti i contitolari di quel diritto. [espropriazione della quota] Il problema nasce vuoi perché non tutti sono debitori, vuoi perché, pur essendo tutti i debitori, manca un titolo esecutivo contro alcuno di essi. Sia nell’uno che nell’altro caso, la quota del soggetto nei cui confronti sussiste il titolo esecutivo può essere sottoposta ad espropriazione, perché anche una quota garantisce i creditori; ma al tempo stesso bisogna tenere conto del fatto che ci sono anche gli altri contitolari non assoggettabili ad espropriazione e quindi si deve adattare il processo esecutivo alla particolarità consistente in ciò, che oggetto del pignoramento e poi della vendita non è un diritto esclusivo su un bene, ma la contitolarità di un diritto sul bene stesso. In questo caso titolo esecutivo e precetto si notificano al solo debitore contitolare del diritto assoggettabile ad espropriazione. Si effettua poi il pignoramento nelle forme ordinarie nei confronti del debitore esecutato: il creditore pignorante deve però dare avviso, agli altri contitolari, dell’avvenuto pignoramento. [avviso di pignoramento] L’avviso ha lo scopo di avvertire gli altri contitolari del fatto che è stata pignorata la quota del loro contitolare, ed ha l’effetto di far divenire i contitolari parti del processo esecutivo. Parti non esecutate sono anche i contitolari, ed in quanto tali sono titolari di poteri e doveri processuali, e possono compiere atti all’interno del processo esecutivo. Con tale avviso i comproprietari, che siano anche possessori del bene, sono costituiti custodi, quindi non possono consentire che il contitolare esecutato si porti via la sua parte di beni e non possono neppure procedere alla divisione del bene in modo efficace nei confronti del creditore. [separazione] I contitolari sono convocati dal giudice insieme al creditore e al debitore. Il giudice provvede, se i creditori o i contitolari la richiedono e quando è possibile, alla separazione in natura della quota, spettante al debitore. La separazione costituisce una particolare forma di divisione, che ha luogo quando oggetto della contitolarità sono beni fungibili. Si opera la separazione in base all’unità di misurazione dei rispettivi beni, secondo la quota che spetta ai singoli soggetti. Quando un bene è fungibile, diviene possibile la divisione dello stesso attraverso operazioni materiali, che vengono compiute all’interno del processo esecutivo. Dopo la separazione in natura ciascun comproprietario si prende la parte che gli spetta, e la parte dell’esecutato viene liquidata. [vendita della quota indivisa] Se invece la separazione in natura non è possibile, al giudice si impone una scelta. Deve disporre che si proceda alla divisione del bene, tranne che ritenga più fruttuosa la vendita della quota indivisa. Se il giudice dispone la vendita della quota indivisa, l’aggiudicatario subentra al posto dell’esecutato nella contitolarità del diritto. Se il giudice ritiene che la vendita della quota può non dare un esito soddisfacente, dispone che si proceda alla divisione giudiziale del bene. [divisione] La divisione giudiziale si opera con un processo di cognizione, nel litisconsorzio necessario di tutti i condividenti e del creditore pignorante. Il processo divisionale può essere sostituito da un accordo negoziale. È divisibile il bene che, quando è separato in quote reali, non perde la funzione alla quale è destinato. La divisione si opera preferibilmente in natura: ciascuno dei contitolari ha diritto ad avere una parte del bene in proprietà esclusiva. [separazione e divisione in natura] Si distingue la separazione in natura dalla divisione in natura. La separazione è tipica dei beni fungibili, ed indica quella particolare modalità di realizzazione della divisione, consistente in operazioni di misurazione e di separazione materiale del bene in tante parti corrispondenti alle quote. La divisione è invece pur sempre una divisione che avviene attraverso operazioni non materiali, ma giuridiche: individuazione e stima dei beni. Se, invece, il bene è indivisibile, e un condividente ne chiede l’assegnazione, il bene è assegnato a chi l’ha richiesto. Se più ne chiedono l’assegnazione, si procede all’estrazione a sorte di colui al quale sarà attribuito l’intero bene. L’assegnatario paga agli condividenti il controvalore delle loro quote. Se nessuno ne chiede l’assegnazione, il bene è venduto all’asta, ed il ricavato è diviso secondo le rispettive quote. Pag.82 Pag.82 [sospensione del processo esecutivo] Mentre si sta svolgendo il processo di divisione del bene, il processo esecutivo è sospeso automaticamente dal momento in cui viene proposta la domanda di divisione fino al momento in cui non sia intervenuto un accordo fra le parti oppure venga emessa una sentenza di primo grado passata in giudicato, oppure una sentenza di appello. [comunione legale fra coniugi] Diverso per la comunione legale, che è una comunione senza quote. I coniugi sono solidalmente titolari di tutti gli elementi attivi della comunione. Inoltre, nessun estraneo è ammesso a partecipare alla comunione. Se, invece, il credito è personale di uno dei due coniugi, e quindi i beni della comunione rispondono sussidiariamente fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, il creditore potrà ugualmente espropriare la piena proprietà di ciascun bene. L’altro coniuge assume la qualità di esecutato. L’altro coniuge potrà peraltro opporre che il valore del bene pignorato supera la metà del valore della comunione. In tal caso, il ricavato della vendita che eccede la metà del valore della comunione legale sarà consegnato all’altro coniuge. 19. L’espropriazione contro il terzo proprietario [presupposti] L’espropriazione contro il terzo proprietario è prevista dall’art.602 per due ipotesi: quando il bene è gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui, e quando si tratta di un bene, la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode. La norma attua l’art.2910, II, il quale stabilisce che possono essere espropriati anche i beni di un terzo, quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore. Corrispondenza tra l’art.602 e 2910, II: in ambedue si ha una scissione tra il debito e la responsabilità. [terzo acquirente] L’ipotesi di bene gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui può verificarsi per due fattispecie diverse (2808, I e II). L’I prevede che l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriazione anche nei confronti del terzo che acquista i beni vincolati a garanzia del suo credito; quindi l’ipoteca dà il diritto di sequela: il creditore ipotecario può espropriare il bene non soltanto finché si trova nel patrimonio del debitore, ma anche se si trova nel patrimonio di un terzo, non obbligato sul piano del diritto sostanziale. [terzo datore] Stesso fenomeno anche nell’ipotesi del terzo datore di pegno o di ipoteca (II). L’ipoteca può essere concessa da un terzo a garanzia di un debito altrui. Nella prima ipotesi non c’è scissione tra debito e responsabilità (l’atto di concessione dell’ipoteca proviene dal debitore e, per il momento, ha il solo effetto di fornire al creditore un diritto di prelazione rispetto agli altri creditori); solo in un momento successivo, con l’alienazione del bene, si viene a creare la scissione. Nella seconda ipotesi, la scissione sussiste fin dall’inizio, essendo fin dall’inizio il terzo datore un soggetto che, sul piano sostanziale, non è obbligato. [scissione fra debito e responsabilità] La scissione tra debito e responsabilità ha senso soltanto quando il terzo non debitore risponde dell’adempimento dell’altrui obbligazione non con tutti i suoi beni, ma con alcuni beni individuati. Quando vi è scissione, il creditore non può procedere all’espropriazione nei confronti del debitore, che non è titolare del diritto sul bene, ma deve procedere ad espropriazione nei confronti del terzo, che vanta sul bene ipotecato un diritto di piena proprietà, nuda proprietà, superficie o enfiteusi. Il terzo proprietario deve partecipare al processo di espropriazione nella qualità di esecutato, in quanto è contro di lui che si deve formare il titolo di trasferimento nella vendita forzata. [inefficacia delle alienazioni] La seconda ipotesi riguarda i casi in cui il creditore ha ottenuto una sentenza che dichiara inefficaci gli atti di alienazione del debitore, in quanto compiuti in suo pregiudizio. Si verifica una situazione simile a quella che si ha in seguito all’alienazione del bene oggetto di pegno o ipoteca. Gli atti di disposizione del proprietario del bene ipotecato non sono opponibili al creditore ipotecario. “Non opponibili” significa che non hanno effetto in pregiudizio del creditore ipotecario. Tale inopponibilità si sviluppa poi in maniera diversa a seconda che si tratti dei diritti individuati nel primo o nel terzo comma dell’art.2812. Nel primo (uso, usufrutto, abitazione e servitù) l’inopponibilità si attua sul piano Pag.82 Pag.82 [terzo datore] Terzo datore di ipoteca è colui che concede ipoteca sul bene proprio a garanzia del debito altrui. Non è mai vincolato dalla sentenza, se non è stato chiamato a partecipare al processo di condanna del debitore. 20. L’esecuzione in forma specifica [esecuzione in forma specifica] L’esecuzione correlata agli obblighi di consegna di una cosa determinata (esecuzione per consegna per bene mobile, per rilascio per immobile), ed ogni altro tipo di attività che l’obbligato omette di tenere (esecuzione per obblighi di fare) -> esecuzione forzata in forma specifica. [tutela in forma specifica] Non bisogna confondere l’esecuzione con la tutela in forma specifica. Posto un illecito, che lede un interesse protetto, bisogna chiedersi se tale illecito porta – sul piano del diritto sostanziale – all’estinzione del diritto leso e alla nascita, in sua sostituzione, di un credito avente ad oggetto il risarcimento del danno subito (tutela per equivalente); oppure se l’illecito non estingue il diritto leso, ma lo fa permanere integro e fa sorgere obblighi strumentali diretti a eliminare la lesione (tutela in forma specifica), ripristinando il diritto leso nello stato quo ante. [tutela per equivalente] La scelta spetta al legislatore. Talvolta si tratta di scelta obbligata: ciò accade tutte le volte in cui il bene della vita, garantito dalla situazione sostanziale protetta, è definitivamente distrutto o compresso. Altre volte il legislatore sceglie l’una o l’altro forma di tutela sulla base di valutazioni di opportunità. Al processo spetta non già stabilire se si ha l’una o l’altra forma di tutela, sibbene attuare la scelta effettuata dalla normativa sostanziale. [espropriazione ed esecuzione in forma specifica] Differenza fra l’espropriazione e l’esecuzione in forma specifica. Nell’esecuzione per espropriazione i diritti in gioco sono due: il diritto di credito, di cui si chiede la tutela esecutiva; e il diritto patrimoniale del debitore, oggetto del pignoramento e poi della vendita. Nell’esecuzione in forma specifica il diritto in gioco è uno soltanto: quello individuato nel titolo esecutivo e del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva. La differenza fra espropriazione e esecuzione in forma specifica sta dunque nell’unicità o duplicità delle situazioni sostanziali coinvolte nell’esecuzione. [diritti tutelabili] Individuazione dei diritti sostanziali tutelabili attraverso l’esecuzione in forma specifica. Sono surrogabili nel loro inadempimento dall’ufficio esecutivo, attraverso l’esecuzione in forma specifica, non tutti gli obblighi, ma solo quelli correlati a diritti assoluti. Le obbligazioni in senso tecnico restano escluse. [situazioni strumentali e finali] Contrapposizione fra situazioni strumentali e situazioni finali: situazione finale è il diritto, il cui titolare è soddisfatto attraverso l’esercizio dei poteri che l’ordinamento gli attribuisce; a fronte di tali poteri sta, per la collettività, il dovere di astenersi dal turbare l’attività del titolare del diritto. La situazione finale è utile fintantoché esiste; quando la situazione finale si estingue, viene meno l’utilità concreta che l’ordinamento garantisce. Al contrario, situazione strumentale è il diritto, il cui titolare è soddisfatto quando gli obblighi correlati a tale situazione vengono adempiuti dal soggetto obbligato. Il problema si pone non in relazione ai diritti che hanno per oggetto il pagamento di una somma di denaro, ma in relazione ai diritti relativi a un bene determinato, che non hanno natura reale, sibbene obbligatoria. Determinante, per stabilire il tipo di tutela esecutiva, è la struttura dell’obbligo inadempiuto. La struttura del diritto potrebbe essere rilevante sotto il profilo pregiudiziale della tutela in forma specifica. Si sostiene che solo i diritti finali hanno l’accesso alla tutela esecutiva in forma specifica. [tutelabilità dei diritti relativi] L’elemento che distingue i diritti assoluti da quelli relativi non è la struttura degli stessi, ma le vicende costitutive e estintive di tali diritti, e soprattutto l’opponibilità di essi ai terzi. Tutti gli obblighi aventi per oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte. La differenza fra le varie situazioni sostanziali (reali oppure obbligatorie) può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste; ma, una volta stabilito che il diritto esiste, non ne può essere esclusa una tutela in forma specifica per ragioni strutturali. Pag.82 Pag.82 [diritti su quantità di cose indeterminate] Obblighi relativi a quantità di cose indeterminate. Una quantità di cose può diventare oggetto di un contratto in due modi diversi. Se oggetto del contratto è una quantità di cose fungibili individuate si applica l’art.1377. Se invece il contratto ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, si applica l’art.1378. Immaginiamo che ci sia un contratto. I beni di cui l’acquirente ottiene la consegna sono già di sua proprietà, appartengono già al suo patrimonio e l’obbligato ne ha solo la detenzione materiale, quindi con la consegna non subisce alcun depauperamento del suo patrimonio. La tutela esecutiva serve per sottrargli la materiale disponibilità e non per ottenere la proprietà del bene, proprietà che egli ha già perso (e la controparte ha acquistato) al momento dello scambio del consenso (1377). Se si applica l’art.1378, attraverso l’esecuzione in forma specifica si ottiene il trasferimento della proprietà del bene, perché solo al momento dell’attività esecutiva si ha l’individuazione del bene e, con tale individuazione, il trasferimento della proprietà. L’ostacolo che impedisce l’esecuzione in forma specifica relativa ad obblighi di genere è l’art.2741, cioè il principio della par condicio creditorum. [necessità della tutela esecutiva] Altro problema, relativo all’esecuzione in forma specifica, riguarda la necessità di ricorrere alla tutela esecutiva per la soddisfazione del diritto. L’obbligo inadempiuto, che fonda l’esecuzione in forma specifica, può essere correlato al diritto, di cui si chiede la tutela attraverso l’esecuzione stessa, in due modi diversi. Talvolta l’avente diritto può esercitare, sul piano del diritto sostanziale, poteri che sono funzionalmente idonei a sostituire l’inadempimento dell’obbligato ed a procurargli per altra via quella soddisfazione, che gli sarebbe dovuta provenire dall’attività dell’obbligato inadempiente l’attività di un altro soggetto, senza incontrare difficoltà in quanto tale sostituzione avviene attraverso l’esercizio di poteri di natura sostanziale, di cui titolare l’avente diritto. L’esecuzione forzata diviene necessaria solo quando il titolare del diritto non può autonomamente procurarsi, attraverso l’esercizio dei propri poteri sostanziali, l’utilità che doveva procurargli l’obbligato inadempiente. E ciò perché l’esercizio di tali poteri urta contro la sfera giuridica protetta dell’obbligato. Finché l’avente diritto opera “in casa propria”, non vi è bisogno della tutela esecutiva; quando invece deve operare “in casa altrui”, è necessario l’intervento dell’ufficio esecutivo. [esecuzione indiretta] Accanto all’esecuzione diretta, esiste la figura dell’esecuzione indiretta, in cui si cerca di ottenere l’adempimento dell’obbligato stesso, attraverso l’irrogazione di sanzioni. Nell’esecuzione forzata diretta l’inattività dell’obbligato viene ad essere sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo che tiene, in luogo dell’obbligato, quei comportamenti che questi non ha tenuto. [obblighi infungibili] La infungibilità può derivare da due cause: perché l’obbligo è assunto intuitu personae, cioè l’avente diritto voleva proprio la prestazione personale da quel certo soggetto; oppure perché l’obbligato si trova in una situazione di monopolio, di fatto o di diritto, e quindi la prestazione potrebbe, in astratto, essere fornita da chiunque, ma, in concreto, la soddisfazione può essere data solo da un certo soggetto. [obblighi di pati] Nel diritto sostanziale è previsto talora l’obbligo di sopportare che l’avente diritto compia una certa attività nella sfera giuridica dell’obbligato. Si tratta di un comportamento di tolleranza o di pati. L’obbligo di pati si differenzia dall’obbligo di non fare perché comporta lo svolgimento dell’attività protetta nella sfera giuridica dell’obbligato. L’obbligo di pati è correlato ad un diritto altrui di invadere la sfera giuridica dell’obbligato, il quale deve appunto sopportare tale invasione. Nell’obbligo di pati, l’invasione della sfera giuridica altrui è fisiologica; nell’obbligo di non fare, l’invasione è patologica, perché consegue alla violazione dell’obbligo di non fare. Nell’obbligo di pati, l’attività è dell’avente diritto; nell’obbligo di disfare, l’attività è dell’obbligato. Si distingue gli obblighi di sopportare. In primo luogo ci sono gli obblighi di sopportare, correlati a un diritto il cui interesse sta nel risultato dell’attività che si deve compiere, nella sfera giuridica altrui, a proprie spese. Qui il diritto è soddisfatto dal risultato dell’attività, alla quale è contrapposto un obbligo di sopportare che l’avente diritto operi nella sfera giuridica dell’obbligato. Pag.82 Pag.82 Può accadere che, correlato all’obbligo di sopportare, vi sia un interesse dell’avente diritti non al risultato dell’attività, ma allo svolgimento dell’attività stessa. La tutela esecutiva diretta può operare perché, una volta ottenuto il risultato, non c’è più bisogno che l’obbligato collabori. La tutela ha luogo nelle forme dell’esecuzione per consegna o rilascio, secondo il principio fondamentale, per il quale l’esecuzione forzata è sostitutiva di ciò che doveva compiere l’obbligato secondo il diritto sostanziale. Non è possibile utilizzare l’esecuzione per obblighi di fare. Un’esecuzione per obblighi di fare presuppone che l’opera debba essere effettuata dall’obbligato, che, se inerte, viene sostituito in tale sua attività dall’ufficio esecutivo. Invece, nell’esecuzione per gli obblighi di pati , è sufficiente che il bene entri nella provvisoria disponibilità dell’avente diritto il quale, una volta superate le resistenze proveniente dall’obbligato a sopportare, esercita i suoi poteri sostanziali e fa da solo sul bene ciò che ha diritto di fare. 21. L’esecuzione per consegna e rilascio [trasferimento del potere di fatto] Art.2930: l’esecuzione per consegna o rilascio ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere di fatto a colui che ha diritto di esercitarlo. Trasferimento della detenzione corpore del bene da colui che ha lo ius possessionis a colui che, secondo il titolo, ha lo ius possidendi. Tale trasferimento non opera alcuna modificazione della situazione sostanziale. È modificato solo il potere di fatto sul bene. Anche la situazione possessoria che acquisisce l’avente diritto non dipende dalle modalità esecutive, ma dal titolo. L’avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto reale; acquista la detenzione, se sul bene gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto personale di godimento. Il possesso sarà uti dominus se è riconosciuta la proprietà, uti usufructus se è riconosciuto l’usufrutto, etc. L’obbligo di consegna o rilascio viene attuato in modo sempre uguale, qualunque sia il diritto riconosciuto, qualunque sia il titolo esecutivo, qualunque sia la situazione possessoria che si viene a creare in capo all’avente diritto a seguito dell’esecuzione. [titolo esecutivo] I titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono, ex art.474, III, quelli previsti dai numeri 1 e 3 art.474, II. Titolo esecutivo è anche il verbale di conciliazione giudiziale. [terzi] Posizione dei terzi: il titolo esecutivo è utilizzabile, a certe condizioni, da o contro un soggetto diverso da colui, che nel titolo stesso è nominativamente individuato, rispettivamente come creditore o debitore. Per lungo tempo prevalente la tesi dell’efficacia erga omnes dell’ordine di rilascio. Ciò per evitare che l’obbligato secondo il titolo esecuti possa frustare la tutela esecutiva, semplicemente facendo trovare sul posto, al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario, un terzo compiacente. Quest’ultimo, eccependo la sua estraneità al titolo esecutivo, potrebbe fondatamente opporsi all’esecuzione, e costringere così il creditore a procurarsi un altro titolo esecutivo nei suoi confronti. Per evitare ciò, tutte le volte in cui l’ufficiale giudiziario trova il bene nella materiale disponibilità di un soggetto diverso da colui che è obbligato alla consegna o rilascio secondo il titolo, l’esecuzione deve ugualmente aver luogo, anche in pregiudizio del terzo. Peculiarità. Uno degli effetti dell’espropriazione è la creazione di un titolo di acquisto fra l’esecutato e l’aggiudicatario. Se il bene è di proprietà di chi non è esecutato, questi non subisce alcun effetto dell’espropriazione perché il titolo d’acquisto si forma contro colui, al quale il creditore ha fatto acquisire la qualità di esecutato, dirigendo nei suoi confronti l’azione esecutiva. Nell’esecuzione per consegna o rilascio vi è un diverso fenomeno. Il terzo subisce al posto dell’esecutato gli effetti tipici dell’esecuzione: il terzo aveva la materiale disponibilità del bene e la perde; l’esecutato, che non aveva la materiale disponibilità del bene, non riceve alcun effetto dall’esecuzione, perché non può perdere ciò che non aveva (detenzione corpore). [imputazione degli effetti] Fra espropriazione ed esecuzione in forma specifica vi è una differenza. Mentre la direzione degli effetti dell’espropriazione è soggettiva, perché dipende dall’individuazione dell’esecutato da parte del procedente, e gli effetti si verificano solo nella sfera giuridica del soggetto che il creditore procedente individua come esecutato, nell’esecuzione in forma specifica la direzione degli effetti Pag.82 Pag.82 Il compito di concedere la misura esecutiva è attribuito al giudice della cognizione competente per la domanda di condanna. Per quanto riguarda i provvedimenti dichiarativi mediante i quali può essere concessa la misura esecutiva, si parla di provvedimento di condanna, qualunque sia la forma che esso assume. [contenuto processuale] Il provvedimento ha contenuto sostanziale o processuale? Occorre stabilire se oggetto del provvedimento sia una situazione giuridica soggettiva sostanziale o se, al contrario, siamo in presenza d un effetto che trova la sua radice esclusivamente nel processo. Seconda alternativa corretta. La misura esecutiva rimane un provvedimento a contenuto processuale, e non diviene una pronuncia di merito per il solo fatto di essere contenuta nello stesso provvedimento, nel quale appunto è contenuta una pronuncia di merito. Un provvedimento è di merito quando impartisce una disciplina che attiene al diritto sostanziale, e dà regole di condotta che si sovrappongono a norme sostanziale. La regola di condotta contenuta nella misura esecutiva non ha niente di sostanziale. Dunque, quella parte della sentenza con la quale si determina la misura esecutiva è un provvedimento di rito. Niente impedisce, da un punto di vista logico, che una misura esecutiva sia impartita attraverso il processo dichiarativo. Se, infatti, è il giudice dell’esecuzione ad impartire la misura coercitiva, le eventuali contestazioni circa la conformità al diritto (processuale) della stessa troverebbero la sede della loro risoluzione nei processi dichiarativi incidentali al processo esecutivo. Il controllo di legalità è ex post. Affidando, invece, al giudice della cognizione il compito di pronunciare la misura esecutiva, la verifica circa la conformità al diritto della stessa è antecedente alla produzione dell’effetto; e gli eventuali vizi dell’atto debbono essere fatti valere attraverso le impugnazioni. Analogamente, se un certo effetto è prodotto dall’esercizio di un diritto potestativo stragiudiziale, il controllo sulla conformità a diritto dell’effetto prodotto è operato ex post; mentre, se lo stesso effetto è prodotto da una sentenza costitutiva, prima si verifica che vi siano i presupposti per la produzione dell’effetto, e poi l’effetto stesso viene prodotto. Dal contenuto processuale della misura esecutiva vi sono conseguenze. [domanda] Trattandosi di misura processuale, la necessaria istanza della parte non costituisce una vera e propria domanda, ed il provvedimento con cui il giudice fissa la sanzione pecuniaria non è un provvedimento di merito. Al contrario l’istanza di parte non individua un ulteriore e separato oggetto del processo, e la pronuncia del giudice ha una portata esclusivamente processuale: provvedimento di rito. Pertanto, l’istanza può essere proposta in qualunque momento del processo, e non va incontro alle preclusioni che attengono alle nuove domande. [rapporti con il risarcimento] Le somme che l’avente diritto percepirà si cumulano, e non si sostituiscono al risarcimento dei danni. [rapporti con il potere sostanziale delle parti] La portata processuale e non sostanziale della misura coercitiva, e dunque la qualificazione del provvedimento che la irroga come di rito e non di merito, fa sì che le parti non siano in grado di realizzar negozialmente gli stessi effetti che produce la misura giurisdizionale. [giurisdizione dichiarativa] Fermo che ogni provvedimento, che costituisce esercizio di giurisdizione dichiarativa e che ha efficacia di titolo esecutivo è idoneo a supportare la misura esecutiva, può essere disposta dal giudice in sede di tutela cautelare. Riguardo il lodo, l’arbitro non può concedere la misura esecutiva, perché questo appunto ha funzione esecutiva, e gli arbitri non hanno poteri in materia. Né le parti non possono consensualmente attribuire agli arbitri la produzione di effetti che le parti stesse non possono negozialmente realizzare. E neppure si può pensare che la misura coercitiva sia concessa dal tribunale in sede di exequatur del lodo, perché in quella sede il tribunale non esercita una giurisdizione dichiarativa. Diversa la soluzione per la tutela cautelare. Il provvedimento cautelare può anticipare tutti gli effetti esecutivi della emananda pronuncia di merito, anche quelli previsti dall’art.614-bis. [criteri di determinazione] La determinazione della somma avviene “per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento”. Per intendere occorre distinguere gli Pag.82 Pag.82 obblighi di fare da quelli di non fare. In relazione agli obblighi di fare, la sanzione è parametrata ad ogni frazione di tempo in cui si verifica il ritardo nell’adempimento. In relazione agli obblighi di non fare, la sanzione è parametrata ad ogni successivo episodio di violazione dell’obbligo di astensione. [entità della sanzione] Problema: quale entità può avere la sanzione? Viene rimesso, più che alla discrezionalità, all’arbitrio del giudice determinare la somma dovuta. E poiché la determinazione avviene in sede dichiarativa, le contestazioni circa la congruità della somma determinata sono rimesse al giudice dell’impugnazione. [fattispecie escluse] Due ipotesi in cui l’esecuzione indiretta è esclusa, oltre agli obblighi di pagamento di somme di denaro: la prima è prevista laddove si esclude che l’esecuzione indiretta sia utilizzabile in materia di lavoro subordinato e parasubordinato. La seconda è prevista laddove si esclude la determinazione della misura esecutiva, ove “ciò sia manifestamente iniquo”. [controlli] Controlli cui è sottoponibile la misura esecutiva. Questa è frutto dell’esercizio di un potere giurisdizionale dichiarativo, sicché il controllo sui suoi presupposti è preventivo rispetto alla concessione della stessa. In linea di principio, le eventuali censure avverso il provvedimento con cui si concede o si nega la misura coercitiva devono essere fatte valere attraverso i mezzi di impugnazione. Una diversa soluzione – in particolare la possibilità di sottoporre a controllo giurisdizionale dichiarativo la misura coercitiva attraverso l’opposizione all’esecuzione – presuppone che tale misura possa essere concessa anche al di fuori di un processo di cognizione. Ove si dovesse accedere a questa soluzione, l’utilizzabilità delle opposizioni esecutive non potrebbe essere esclusa. Il problema si pone nell’ipotesi in cui la misura coercitiva sia concessa dal giudice cautelare. Sono ovviamente utilizzabili i rimedi propri dei provvedimenti cautelari: reclamo e revoca/modifica. Tale possibilità non è esauriente, poiché reclamo e revoca/modifica sono rimedi che partecipano pur sempre della funzione non dichiarativa del procedimento cautelare, e quindi non possono sostituire il controllo dichiarativo. Solo in sede di merito si potrà controllare la conformità a diritto delle misure esecutive concesse con il provvedimento cautelare. Tale processo di merito, ovviamente, potrà essere anche quelle instaurato attraverso l’opposizione all’esecuzione. [riscossione delle somme] Una volta determinata la sanzione, cosa accade ove si verifichino i presupposti della sua applicazione, e cioè vi sia un ritardo nel facere o la violazione dell’obbligo di astensione? “Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute”. Dunque, non vi è necessità di una preventiva verifica dell’effettiva esistenza dell’illecito: il creditore potrà intimare precetto, unilateralmente affermando che sono venuti ad esistenza i presupposti della nascita dell’obbligo di corrispondere le somme. C potrà negare, proponendo opposizione all’esecuzione. Si applicheranno le regole sull’onere della prova. Ciò in applicazione del brocardo negativa non sunt probanda. [riforma del provvedimento] Se la pronuncia che condanna al facere infungibile o al non facere è modificata nelle sedi a ciò deputate, le somme eventualmente pagate devono essere restituite. Ciò può accadere attraverso i mezzi di impugnazione per le misure concesse nel processo dichiarativo; attraverso il reclamo ed il processo di merito, per quelle concesse in sede cautelare. Nell’ipotesi della caducazione, può accadere anzitutto che il provvedimento di condanna sia riformato o annullato, per ragioni di rito o di merito, attraverso i mezzi di impugnazione; se si tratta di provvedimento cautelare, esso può essere riformato in sede di reclamo, ovvero la sentenza di merito può essere di rigetto. Può accadere, in secondo luogo, che sia la misura esecutiva stessa ad essere direttamente rimossa o modificata nelle stesse sedi, per ragioni specifiche ad essa attinenti. Quando la misura coercitiva è rimossa o in via diretta o indiretta, ciò comporta la sua caducazione retroattiva. Nessuno può subire conseguenze negative per non aver ottemperato ad un provvedimento autoritativo inefficace. Pag.82 Pag.82 Ipotesi della sospensione: sia in sede d’appello, sia in sede di reclamo potrà essere richiesta la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado o della misura cautelare. Ed in ambo i casi, se la sospensione è concessa, l’esito successivo dell’appello o del reclamo cautelare potrà essere alternativamente la conferma o la riforma del provvedimento impugnato o reclamato. Nel caso di riforma ovviamente nulla quaestio: vale quanto detto in precedenza. Nel caso, invece, in cui la misura esecutiva sia dapprima sospesa ma poi confermata in sede d’appello o di reclamo, rimane da chiedersi se l’avente diritto possa pretendere il pagamento delle somme maturate a titolo di sanzione nel periodo in cui la esecutività del provvedimento è stata sospesa. NO. Ma poiché la sanzione pecuniaria ha finalità e contenuto processuali, la sospensione della esecutività del provvedimento la rende inoperante per tutto il periodo in cui tale sospensione opera. 24. L’opposizione all’esecuzione [oggetto] L’opposizione all’esecuzione ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata. Si tratta della situazione processuale dà la possibilità, al titolare di una certa situazione sostanziale protetta, di richiedere la tutela esecutiva. [fondamento] Due profili: quello della sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela invia esecutiva (diritto da tutelare) e quello del titolo esecutivo in senso sostanziale, cioè della tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale (diritto alla tutela). Manca il diritto a procedere a esecuzione forzata sia quando la situazione sostanziale esiste ma non ha diritto alla tutela esecutiva; sia quando c’è il diritto alla tutela esecutiva ma la situazione sostanziale non esiste. Esso può essere contestato vuoi per la carenza di ciò che si vuole tutelare, vuoi per la carenza del diritto alla tutela esecutiva. [mancanza del diritto alla tutela] Primo profilo: mancanza del diritto alla tutela esecutiva. L’opponente può negare il diritto a procedere a esecuzione sostenendo che la parte istante non ha diritto alla tutela esecutiva perché il titolo esecutivo in senso sostanziale non è mai estinto o non è venuto meno: inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo. Dal punto di vista processuale l’esecuzione forzata è legittima se è fondata su un valido ed efficace titolo esecutivo. L’efficacia del titolo esecutivo deve sussistere per tutto il corso dell’esecuzione, fino a che questa non sia terminata. Se l’esecuzione è iniziata in carenza di un titolo esecutivo, che sopravviene nel corso del processo esecutivo, ciò non vale a sanare la situazione di illegittimità dovuta al compimento di atti esecutivi in un momento in cui era carente il titolo esecutivo. [nullità del titolo esecutivo] Problemi quando si nega l’esistenza del titolo esecutivo, allegando la nullità dell’atto, in cui il titolo esecutivo consiste. Le contestazioni relative alla nullità del titolo esecutivo riguardano la nullità dell’atto in sé. Si contesta l’efficacia esecutiva del titolo, perché la nullità dell’atto incide su tutti gli effetti dell’atto stesso, fra cui anche quelli esecutivi, con la consequenziale inesistenza del diritto alla tutela esecutiva. Per i titoli esecutivi stragiudiziali non ci sono problemi, perché ogni nullità può essere fatta valere in sede di opposizione dell’esecuzione. Ai titoli esecutivi giudiziali, invece, si applica il principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione. [inesistenza del titolo esecutivo giudiziale] Il principio della conversione delle nullità dell’atto processuale in motivi di impugnazione impedisce di far valere la nullità del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione all’esecuzione. Tale principio non trova applicazione, quando il provvedimento manca della sottoscrizione del giudice. Si parla di “inesistenza dell’atto”, perché l’atto non è semplicemente viziato, ma carente nei suoi presupposti essenziali in modo tale da considerarsi come improduttivo di effetti. I mezzi di impugnazione non sono l’unico strumento per far valere i vizi dell’atto inesistente, ma sono facoltativi, perché l’inesistenza può essere fatta valere anche con strumenti diversi dai mezzi di impugnazione. Uno dei luoghi in cui appunto può farsi rilevare l’inesistenza del provvedimento è l’opposizione all’esecuzione, quando il provvedimento è utilizzato come titolo esecutivo. Pag.82 Pag.82 riconvenzionali e chiamare in causa terzi; se l’opponente potesse proporre ulteriori domande, oltre a quella già proposta con il ricorso; etc. Con riferimento al primo profilo, la cd. competenza funzionale del giudice dell’esecuzione è venuta meno: a seguito dell’iscrizione a ruolo della causa, il presidente del tribunale nomina un magistrato appartenente a quello stesso ufficio, magistrato che non necessariamente è il giudice dell’esecuzione. Con riferimento al secondo profilo, il passaggio dalla fase introduttiva alla fase di trattazione avviene attraverso la fissazione di un termine perentorio, entro il quale la parte interessata deve iscrivere la causa a ruolo e poi compiere un atto “secondo le modalità prevista in ragione della materia e del rito”: dunque, deve porre in essere l’atto introduttivo del rito processuale, applicabile alla causa di merito. Si tratterà di una citazione o di un ricorso, a seconda che il rito processuale, applicabile al merito, sia il rito ordinario o un rito speciale: se si tratta di citazione e di rito ordinario, dovranno essere rispettati i termini a comparire; se si tratta ancora di citazione, ma per la causa sono previsti termini diversi, si dovranno rispettare questi termini, ma dimezzati. Se si tratta di ricorso, sarà ovviamente il giudice a fissare l’udienza, a seguito del deposito dello stesso. L’atto introduttivo del giudizio non dovrà necessariamente contenere una domanda ma potrà contenerne di ulteriori. E, analogamente, l’atto difensivo della contro parte potrà avere il contenuto e sarà soggetto alle preclusioni previste per il rito applicabile. [legittimazione attiva] La legittimazione a proporre l’opposizione all’esecuzione spetta sempre all’esecutato, e cioè al debitore e al terzo proprietario. L’opposizione può essere proposta anche in via surrogatoria da un creditore dell’esecutato nell’inerzia di quest’ultimo. Nell’espropriazione, esecutato è colui che è individuato come tale dal creditore procedente; nell’esecuzione in forma specifica c’è, invece, un’inversione: prima si individua chi è colui, nella cui sfera giuridica si produrranno gli effetti delle misure esecutive; costui deve assumere la posizione di esecutato. Quindi nell’espropriazione il debitore esecutato è colui al quale il creditore ha notificato il titolo esecutivo e precetto; nell’esecuzione in forma specifica è colui che, se l’esecuzione viene condotta a termine, subisce gli effetti tipici dell’esecuzione. [legittimazione passiva] Il creditore procedente è senz’altro la controparte dell’opposizione all’esecuzione: l’opponente contesta il diritto a procedere ad esecuzione forzata del creditore procedente. I creditori, già intervenuti quando viene proposta l’opposizione, sono litisconsorti necessari solo se muniti di titolo esecutivo. La rinuncia del creditore procedente è efficace incondizionatamente nei confronti del creditore sprovvisto di titolo esecutivo, mentre tale rinuncia deve essere accettata dal creditore munito di titolo: il creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo può portare avanti l’esecuzione da solo, nonostante la rinuncia del creditore procedente. Dunque il creditore procedente non può, con un proprio atto di volontà, pregiudicare la posizione dell’intervenuto munito di titolo esecutivo, in quanto è necessaria l’accettazione di costui per far venire meno il processo esecutivo. Nemmeno rimanendo soccombente nel processo di opposizione all’esecuzione, il cui esito è appunto quello di far venire meno l’esecuzione, così come la travolge una rinuncia agli atti. Il creditore intervenuto, che ha il titolo esecutivo, è pertanto litisconsorte del creditore procedente nell’opposizione all’esecuzione. Se viene accolta un’opposizione all’esecuzione, questa travolge anche gli interventi dei creditori che, sebbene fossero muniti di titolo esecutivo, non hanno effettuato un pignoramento autonomo sul bene. Si ha allora la chiusura del processo esecutivo anche verso e in pregiudizio del creditore intervenuto, il quale, pur essendo munito di titolo esecutivo, non ha preso la precauzione di porre in essere un secondo pignoramento sullo stesso bene. Quindi il creditore intervenuto con titolo esecutivo è litisconsorte necessario del creditore procedente nel processo di opposizione all’esecuzione. Al contrario, il creditore che interviene senza titolo esecutivo, finché non c’è distribuzione del ricavato, non ha poteri da spendere. Per arrivare alla vendita c’è bisogno di atti di impulso processuale da parte di un creditore con titolo esecutivo. Il creditore senza è spettatore passivo, perché non ha potere né diritto che quell’espropriazione prosegua. Pag.82 Pag.82 L’eventuale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione pregiudica anche i creditori intervenuti, perché opera la chiusura del processo espropriativo anche nei loro confronti. I creditori intervenuti col titolo esecutivo sono parti necessarie del processo di opposizione all’esecuzione, perché l’accoglimento dell’opposizione ha nei loro confronti effetti che il creditore procedente non può produrre con un proprio atto di volontà, e quindi deve loro essere garantito l’esercizio del diritto di difesa. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo possono partecipare al processo di opposizione in via di intervento volontario. [inversione dell’iniziativa processuale e onere della prova] Il processo di opposizione all’esecuzione è un ordinario processo di cognizione in cui si realizza un’inversione dell’iniziativa processuale. L’iniziativa processuale è di colui che nega l’esistenza del diritto. L’inversione dell’iniziativa processuale implica che colui, che afferma l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata, è il creditore opposto; mentre chi nega l’esistenza di tale diritto è il debitore esecutato opponente. Onere della prova. È il creditore procedente, convenuto opposto, a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto ed è il debitore esecutato, attore opponente, a dover dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi del diritto del creditore. Talvolta ciò può non accadere: la contestazione, da parte dell’esecutato, dell’esistenza del diritto del creditore procedente può imporre a costui l’onere della prova già in prima battuta. In questi casi l’opposizione costituisce una provocatio ad probandum: l’esecutato nega, ed il procedente deve provare i fatti negati. [domanda riconvenzionale] Il creditore opposto può proporre una domanda riconvenzionale avente ad oggetto lo stesso diritto, oppure un diritto connesso con quello di cui era stata chiesta la tutela esecutiva. Ciò accade spesso coi titoli esecutivi stragiudiziali. L’accoglimento dell’opposizione, accompagnato dall’eventuale accoglimento della domanda riconvenzio- nale non fa salva l’esecuzione. Il creditore procedente, soccombente nella domanda di opposizione, e vittorioso nella domanda riconvenzionale, può tutelarsi esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’esecuzione, perché il titolo esecutivo deve sussistere dall’inizio alla fine dell’esecuzione. [effetti della sentenza] La sentenza, che rigetta l’opposizione, afferma l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata; tale sentenza equivale a quella che normalmente è l’accoglimento della domanda. al contrario, la sentenza che accoglie l’opposizione nega l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata, ed equivale a quello che normalmente è il rigetto della domanda. L’accoglimento dell’opposizione impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e caduca gli effetti degli atti già compiuti. Se l’opposizione è accolta prima della vendita, tutti gli atti compiuti perdono effetti; se, invece, è accolta dopo la vendita, quest’ultima resta efficace, ed il ricavato è consegnato all’esecutato vittorioso. L’accoglimento dell’opposizione, peraltro, ha anche un effetto preclusivo, di accertamento, in relazione al quale è determinante il motivo per cui l’opposizione è stata accolta, perché la portata precettiva della pronuncia varia a seconda del motivo di accoglimento. Se è dichiarata la impignorabilità del bene, la pronuncia libera il bene dal vincolo del pignoramento, ma non impedisce di proseguire il processo di espropriazione per gli altri beni. Se è dichiarata l’inefficacia del titolo esecutivo, l’esecuzione è caducata, ma il creditore potrà instaurare un nuovo processo esecutivo, a tutela dello stesso diritto sostanziale. Se è dichiarata inesistente la situazione sostanziale, a tutela della quale si è richiesta tutela esecutiva, la sentenza ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. La dichiarazione di esistenza del diritto, per il quale è stata richiesta la tutela esecutiva, ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. 25. L’opposizione agli atti esecutivi [contestazioni relative al quomodo dell’esecuzione] L’opposizione agli atti esecutivi è lo strumento con il quale si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che li disciplinano. La distinzione fra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi è intesa come distinzione fra l’an e il quomodo. Pag.82 Pag.82 Se il processo esecutivo si svolge senza che ve ne siano le condizioni, gli effetti che esso produce possono essere rimossi, se ingiusti dal punto di vista del diritto sostanziale, con strumenti anche esterni al processo esecutivo. Se l’esecuzione non si doveva svolgere perché non vi era il diritto sostanziale da tutelare, si rimedia rimettendo chi ha subito l’esecuzione nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’esecuzione non si fosse svolta, operando le restituzioni e le integrazioni patrimoniali opportune. L’an dell’esecuzione è condizione esterna all’esecuzione stessa. Al contrario, se l’esecuzione si svolge male, se c’è un vizio, un errore all’interno del processo esecutivo, ciò non è rimediabile fuori dal processo stesso. I vizi relativi al quomodo sono più gravi di quelli relativi all’an. I vizi relativi al quomodo, proprio perché interni al processo esecutivo, debbono trovare un loro rimedio all’interno del processo esecutivo stesso; quelli relativi all’esistenza del diritto da tutelare possono essere fatti valere con l’opposizione all’esecuzione ma, poiché sono esterni all’esecuzione, possono essere fatti valere anche all’esterno dell’esecuzione, dopo che questa si è conclusa. [funzione] L’opposizione agli atti esecutivi costituisce l’unico strumento per operare il controllo, che anche nel processo esecutivo deve essere assicurato, sulla conformità degli atti del processo alle prescrizioni normative. Il processo di cognizione e il processo esecutivo hanno struttura diversa, perché hanno funzioni diverse. Il processo esecutivo fornisce tutela giurisdizionale quando la situazione sostanziale da tutelare deve essere soddisfatta attraverso l’adempimento dell’obbligato. Il processo di cognizione è lo strumento giurisdizionale che serve quando è necessario individuare le regole di condotta che sussistono tra le parti. La contestazione relativa alla conformità degli atti del processo di cognizione alle previsioni delle norme processuali entra a far parte del processo di cognizione mediante l’attività di un soggetto (parte o giudice) che introduce la questione di rito. Il processo di cognizione deve compiere un duplice accertamento: merito e rito. Nel processo esecutivo non c’è invece un ambiente idoneo a decidere, e quindi a risolvere le questioni di rito. Bisogna creare uno strumento: l’opposizione agli atti esecutivi. [oggetto] Per l’oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi si fa riferimento alla disciplina delle nullità degli atti: le nullità formali, che riguardano i singoli atti del processo, e le nullità extraformali, che riguardano le condizioni per l’emanazione del provvedimento di merito o i presupposti processuali. La nullità del singolo atto si ripercuote, a caduta, sugli atti successivi dipendenti. [termine] L’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta entro 20gg dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato. Differenze fra le nullità formali e extraformali. [nullità formali] Le prime danno luogo a un vizio dell’atto, che è rilevabile solo dalla parte interessate e dal giudice solo nei casi indicati. La mancata proposizione dell’opposizione agli atti nel termine previsto determina la sanatoria del vizio dell’atto processuale. Gli atti successivi dipendenti non ne sono più contagiati. [nullità extraformali] Le seconde sono di solito rilevabili d’ufficio. Tutti gli atti del processo sono viziati autonomamente e non per ripercussione: nascono inficiati da un vizio originario, in quanto posti in essere in carenza di un presupposto processuale. [nullità rilevabili d’ufficio] Altri problemi sono posti dalle nullità rilevabili d’ufficio. Si tratta di tutte le nullità extraformali e di quelle formali che siano espressamente qualificate dal legislatore come rilevabili d’ufficio. Si distingue tra la posizione dell’ufficio e quella della parte interessata. L’ufficio, se rileva una nullità, deve rifiutare di emettere il provvedimento che gli viene richiesto. Per le parti, di fronte alla nullità rilevabile, ma in concreto non rilevata d’ufficio, possono proporre opposizione agli atti esecutivi, oppure fare istanza al giudice perché modifichi o revochi il provvedimento che ha emesso. L’istanza non è più possibile quando il provvedimento ha avuto esecuzione. [legittimazione] L’opposizione agli atti esecutivi è strumento che può essere utilizzato da tutti coloro che sono parti del processo. si esclude colui che ha compiuto l’atto e la parte che vi ha rinunciato. Inoltre, la nullità può essere fatta valere dalla parte che non vi ha dato causa e che non vi ha rinunciato solo se essa lede in concreto la sua posizione giuridica: cioè se ha interesse a farla valere. Pag.82 Pag.82 confronti, in quanto parte del processo e non più terzo. Senonché, nei confronti di un avente causa per atto di diritto sostanziale, l’estensione del contraddittorio è tecnicamente semplice: basta realizzare un litisconsorzio facoltativo passivo, oppure chiamare in causa il subacquirente. Ma se l’avente causa è un creditore pignorante, l’estensione del contraddittorio con le tecniche consuete non è possibile. Occorre creare il contraddittorio all’interno del processo esecutivo; si utilizza, quindi, l’opposizione di terzo e si propone la domanda non con una citazione notificata al debitore, ma con un ricorso al giudice dell’esecuzione. In tal modo, la sentenza ottenuta dall’attore fa stato nei confronti dell’esecutato, del creditore procedente e degli acquirenti in vendita forzata. [diritti di restituzione] Talvolta l’opponente non fa valere il diritto di proprietà, ma propone una impugnativa negoziale. Il terzo deve fondare la propria opposizione sulla proprietà o su un altro diritto reale. Problema: il terzo deve in ogni caso dimostrare di essere titolare di un diritto reale, oppure in certi casi è sufficiente anche fondare l’opposizione su un diritto diverso? Il riferimento è ai diritti di restituzione che trovano la loro origine in due fattispecie: una fisiologica e una patologica. Alcuni contratti sono fisiologicamente restitutori perché il godimento del bene, che in adempimento di un obbligo contrattuale una delle parti ha trasferito all’altra, è destinato a cessare. Accanto a questi vi sono obblighi di restituzione che si innestano in una vicenda patologica che vede il titolo, in virtù del quale era stato consegnato il bene, titolo in sé non restitutorio, divenire tale a causa di una vicenda patologica. I diritti di restituzione sorgono quindi sulla base della fattispecie: la controparte ha avuto il bene in attuazione di un rapporto; il rapporto è venuto meno per una causa fisiologica o patologica. Venuto meno il titolo che ha fondato l’attribuzione del godimento del bene, nasce l’obbligo speculare di restituzione. Il vantaggio dei diritti di restituzione consiste nell’esonerare l’attore dall’onus probandi della proprietà; è una probatio diabolica, perché occorre dimostrare che, a favore dell’attore o dei suoi danti causa, si è verificato acquisto a titolo originario. Nei diritti di restituzione è sufficiente dimostrare i fatti che integrano la fattispecie vista; né la controparte può pretendere che l’attore in restituzione dimostri di essere proprietario del bene. Le azioni di restituzione sono azioni personali, cioè si possono far valere solo nei confronti di soggetti che sono legati al vincolo contrattuale. Quando il possesso del bene è passato ad un terzo, bisogna ricorrere alla domanda di rivendicazione, accollandosi il relativo onere della prova. [esperibilità delle azioni di restituzione] L’art.619 non va interpretato alla lettera, come se solo la proprietà o altro diritto reale fossero idonei a fondare l’opposizione di terzo. Al contrario, è sufficiente far valere anche un diritto di restituzione, poiché dal punto di vista sostanziale tale diritto non si trova in contrasto con gli effetti del pignoramento, in quanto il possesso del bene è sì tolto all’esecutato, ma è conservato dall’esecuzione e non è acquistato da alcuno che possa opporre ciò che invece può opporre il terzo che possiede il bene nei confronti di un’azione di restituzione: possideo quia possideo, quindi dimostrami di essere proprietario, perché io non sono contrattualmente e quindi personalmente obbligato alla restituzio- ne del bene nei tuoi confronti. [incompatibilità] L’opposizione di terzo deve anche presentare un’ulteriore caratteristica: il diritto sul quale il terzo fonda la sua opposizione deve essere incompatibile con il diritto oggetto del pignoramento. Incompatibili sono i diritti che non possono coesistere nello stesso momento; si ha incompatibilità tutte le volte in cui, se esiste il diritto su cui il terzo fonda la sua opposizione, allora non può esistere il diritto che è stato fatto oggetto dell’esecuzione da parte del creditore procedente. Viceversa il diritto fatto valere dal terzo è compatibile tutte le volte in cui, se anche esso esiste, ciò non comporta l’inesistenza del diritto oggetto dell’espropriazione. Nel caso di compatibilità manca l’interesse a proporre l’opposizione di terzo, perché egli è assolutamente indifferente che il diritto pignorato appartenga all’esecutato o ad un altro. Diverso per le situazioni sostanziali compatibili o no con il diritto oggetto dell’esecuzione. L’opposizione di terzo nel vecchio codice si chiamava azione di separazione: nel nuovo ha cambiato nome, ma non ha perso il suo carattere. Azione in separazione significa che l’opposizione di terzo è ammissibile anche quando il suo accoglimento non determina l’impossibilità della vendita forzata, ma comporta che la vendita forzata abbia luogo col rispetto del diritto del terzo. Pag.82 Pag.82 L’incompatibilità va intesa in senso ampio: non soltanto incompatibilità assoluta, ma anche possibilità per il terzo di far effettuare la vendita del bene specificando l’esistenza del suo diritto. [acquisti a titolo derivativo] Quando la vendita forzata determina un acquisto a titolo derivativo, l’aggiudicatario non è investito di diritti maggiori di quelli che spettavano all’esecutato. Nell’ipotesi di acquisto a titolo derivativo la vendita forzata ha, nei confronti del terzo, gli stessi effetti della vendita di diritto comune. Tuttavia, le azioni di restituzione non possono essere fatte valere nei confronti dell’aggiudicatario; infatti, l’azione di restituzione che, prima della vendita, può essere fatta valere con l’opposizione di terzo, viene meno una volta che il possesso del bene è acquisito dall’aggiudicatario, e ciò costringe il terzo ad un’azione di rivendicazione contro l’aggiudicatario, con i connessi e più gravosi oneri probatori. A fronte di un acquisto a titolo derivativo dell’aggiudicatario, l’opposizione di terzo ha due funzioni: una generica, e costante, funzione preventiva (il terzo vuole che non si proceda alla vendita di un diritto che appartiene a lui e non al debitore esecutato); ed una più specifica, ed eventuale, funzione di consentire l’utilizzazione della più semplice e comoda azione di restituzione, piuttosto che della più onerosa e gravosa azione reale che si renderebbe necessaria nei confronti dell’acquirente in vendita forzata. [acquisti a titolo originario] Diversamente quando la vendita forzata ha natura di acquisto a titolo originario, perché qui l’acquirente in vendita forzata acquista anche i diritti che non spettavano all’esecutato. Quando ciò accade, per le regole di incompatibilità la proprietà del bene mobile in capo al terzo si estingue. In tal caso l’interesse a proporre l’opposizione di terzo è radicale, perché il terzo o impedisce la vendita oppure perde definitivamente la proprietà del bene. Se il terzo riesce a dimostrare che l’acquirente in vendita forzata era in mala fede, vi è la possibilità di recuperare il bene, perché in tal caso l’acquisto non è più a titolo originario, ma a titolo derivativo. [esecuzione in forma specifica] Con l’opposizione di terzo, egli non contesta il diritto a procede ad esecuzione forzata: per lui è assolutamente indifferente che il pignorato sia debitore, che il creditore abbia un titolo esecutivo; interessa il diritto coinvolto nell’espropriazione, cioè la sussistenza nel patrimonio dell’esecutato del diritto che è oggetto di esecuzione. Difficilmente una tale situazione si può verificare anche nell’esecuzione in forma specifica, perché in quest’ultima non ci sono due diritti in gioco, ma uno, quello da tutelare esecutivamente. Il terzo che avanza pretese sul bene oggetto dell’esecuzione in realtà contesta il diritto del creditore istante a procedere ad esecuzione forzata. Se il creditore ha pignorato due elementi patrimoniali “appartenenti” al debitore esecutato ed in relazione ad uno di questi viene proposta opposizione di terzo, l’esecuzione può comunque andare avanti in relazione all’altro. Ma quando il terzo sia riuscito ad ottenere, nell’esecuzione in forma specifica, una sentenza che riconosce il suo diritto sul bene oggetto dell’esecuzione, tale pronuncia contrasta con il contenuto del titolo esecutivo, e il creditore non può più procedere all’esecuzione, perché viene negato il diritto stesso alla tutela. In verità il pregiudizio del terzo, nell’esecuzione in forma specifica, non nasce dall’esecuzione, ma dal titolo esecutivo. Ciò mostra che anche nell’esecuzione in forma specifica vi possono essere ipotesi in cui si verifica la stessa situazione vista essere propria dell’opposizione di terzo nell’espropriazione. Infatti, nell’espropriazione il pregiudizio non deriva dal titolo esecutivo, ma da un’attività che si colloca all’interno del processo esecutivo, cioè dal pignoramento, dall’atto con cui si individuano i diritti da sottoporre a espropriazione forzata. Stessa situazione si verifica nell’esecuzione in forma specifica quando il bene oggetto dell’esecuzione è diverso dal bene identificato nel titolo esecutivo. [litisconsorzio] L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. È successiva al pignoramento in quanto prima il terzo non può lamentare alcun pregiudizio, visto che non sono ancora stati individuati, come appartenenti alla responsabilità patrimoniale del debitore, beni che invece non ne fanno parte. Presentato il ricorso, il giudice dell’esecuzione fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto. Le parti necessarie sono il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo. Pag.82 Pag.82 [procedimento] All’udienza, che si svolge dinanzi a giudice dell’esecuzione a seguito del deposito del ricorso, le parti possono raggiungere un accordo. Parti interessate sono l’opponente ed il creditore procedente (nonché gli eventuali creditori intervenuti, muniti di titolo esecutivo). Il debitore non è direttamente interessato, perché il terzo contesta l’assoggettabilità del suo bene all’aggressione esecutiva del creditore, e quindi la controversia riguarda l’opponibilità al creditore del diritto del terzo. L’accordo può prevedere sia la prosecuzione dell’espropriazione, sia la cessazione della stessa. A seconda dei casi, il giudice dell’esecuzione dispone appunto perché l’esecuzione vada avanti o si estingua. Se è raggiunto un accordo, il giudice dell’esecuzione deve porsi i problemi di competenza. Se l’ufficio è competente in senso verticale con riferimento al valore dei beni controversi, il giudice dell’esecuzione istruisce la causa; altrimenti la rimette al giudice di pace competente. Territorialmente è sempre competente il giudice del luogo dell’esecuzione. Il processo di opposizione è un ordinario processo di cognizione. [coordinamento con la vendita forzata] Il momento finale per proporre l’opposizione normalmente è rappresentato dalla vendita forzata: una volta che sia avvenuta la vendita, l’opposizione di terzo non è normalmente più proponibile, perché dopo la vendita il terzo deve vedersela direttamente con l’acquirente in vendita forzata. Disposizione particolare per i beni mobili (620): l’opposizione può essere proposta anche dopo la vendita. Il 620 diverge dall’art.2920. Per il primo è sufficiente che l’opposizione sia proposta dopo la vendita, oppure che essa non sia sospesa in seguito alla proposizione dell’opposizione, perché il diritto del terzo sul bene si trasformi necessariamente nel diritto alla somma ricavata dalla vendita. Invece, secondo l’art.2920 il diritto del terzo sul bene non si trasforma nel diritto sul ricavato tutte le volte in cui il terzo possa dimostrare la malafede dell’acquirente in vendita forzata. Le norme si coordinano. Una volta effettuata la vendita, il terzo ha due strade: se intende recuperare il bene presso l’acquirente, in quanto pensa di poter dimostrare la malafede di questo, deve proporre la domanda direttamente nei confronti dell’acquirente in un ordinario processo di cognizione, fuori del processo esecutivo. Se, invece, ritiene di non aver possibilità di recuperare il bene dall’aggiudicatario e quindi di doversi accontentare del ricavato della vendita, deve proporre l’opposizione di terzo. La ragione di tale differenza deriva dalla diversa natura della vendita forzata: normalmente a titolo originario per i mobili, sempre a titolo derivativo per gli altri beni. L’acquisto a titolo derivativo non è “innovativo”, e quindi sulla decisione dell’opposizione di terzo non influisce la vendita: se l’opponente era proprietario del bene prima della vendita, tale resta anche dopo. Al contrario, l’acquisto a titolo originario è “innovativo”: l’opponente non è più proprietario una volta avvenuta la vendita. [onere della prova] Si distingue l’espropriazione mobiliare da quella immobiliare. Per i beni immobili, ove l’opponente faccia valere un diritto reale sugli stessi, si applicano le regole ordinarie delle zioni di rivendicazione e di mero accertamento della proprietà, nonché delle azioni restitutorie. Se possessore del bene immobile pignorato è l’esecutato, l’onere del terzo è quello della rivendicazione: deve dimostrare di essere proprietario. Se, invece, possessore del bene immobile è l’opponente, diviene sufficiente la prova di possedere secondo un titolo valido. Nel caso, invece, che l’opponente fondi la sua domanda su un diritto personale di restituzione, e l’esecutato sia appunto la controparte contrattuale obbligata alla restituzione, l’opponente deve dimostrare che il bene pignorato è stato trasferito all’esecutato in virtù di un titolo inefficace fin dall’origine (nullità, simulazione) oppure venuto meno successivamente (annullabilità, rescissione, etc.). Per i beni mobili, se il bene è stato pignorato nei luoghi appartenenti al debitore, l’onere di dimostrare la proprietà spetta all’opponente. Se è stato pignorato illegittimamente al di fuori dei luoghi, una volta che il terzo ha dimostrato che il bene si trovava nel possesso suo e non di quello del debitore esecutato, spetta al creditore procedente dimostrare che il bene mobile tuttavia è di proprietà dell’esecutato. [prova dell’affidamento] Prova testimoniale: il terzo opponente, quando il bene mobile sia stato pignorato nella casa o azienda del debitore, deve dimostrare non solo la titolarità del suo diritto sul bene, ma deve Pag.82 Pag.82
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