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Diritto processuale civile - Processo esecutivo, Dispense di Diritto Processuale Civile

Ampia sintesi della disciplina del processo esecutivo.

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 31/08/2016

Andrinho7x
Andrinho7x 🇮🇹

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Scarica Diritto processuale civile - Processo esecutivo e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! L'ESECUZIONE FORZATA Indice Il procedimento di esecuzione forzata nei suoi aspetti generali........................................................................2 Condizioni dell'azione ed efficacia incondizionata del titolo.........................................................................3 I presupposti del processo........................................................................................................................... 3 Il titolo esecutivo............................................................................................................................................... 4 Gli atti preparatori anteriori all'inizio del processo esecutivo.............................................................................6 L'espropriazione................................................................................................................................................ 8 L'espropriazione forzata in generale............................................................................................................8 Il pignoramento..................................................................................................................................... 10 Intervento dei creditori nell'espropriazione............................................................................................14 Vendita forzata, assegnazione e distribuzione della somma ricavata...................................................16 L'espropriazione mobiliare presso il debitore.............................................................................................18 Il pignoramento di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi................................................................................20 Fasi successive al pignoramento..........................................................................................................21 L'espropriazione mobiliare presso terzi......................................................................................................23 L'espropriazione immobiliare..................................................................................................................... 26 L'espropriazione di beni indivisi................................................................................................................. 33 L'espropriazione contro il terzo proprietario...............................................................................................34 L'esecuzione in forma specifica................................................................................................................. 34 L'esecuzione per consegna o rilascio...................................................................................................34 L'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare.......................................................................36 Obblighi di fare infungibili o di non fare.................................................................................................37 Le opposizioni nel processo esecutivo............................................................................................................39 Opposizione all'esecuzione....................................................................................................................... 39 Opposizione agli atti esecutivi.................................................................................................................... 41 L'opposizione del terzo.............................................................................................................................. 43 Sospensione del processo esecutivo..............................................................................................................44 Estinzione del processo esecutivo.................................................................................................................. 46 Il procedimento di esecuzione forzata nei suoi aspetti generali Il processo esecutivo, o attività giurisdizionale di esecuzione forzata, costituisce l'oggetto del terzo libro del codice di procedura civile vigente. La disciplina in esso contenuta va comunque coordinata con la disciplina contenuta nel libro primo, dedicato alle disposizioni generali, anche se queste sono state per lo più pensate dal legislatore con riguardo al processo di cognizione. Come già visto, mentre la cognizione vuole conseguire la formulazione concreta della regola di diritto, ossia l'accertamento dell'esistenza del diritto, l'esecuzione forzata vuole conseguire l'attuazione pratica, ossia materiale, di questa regola, in via coattiva o forzata, ossia attraverso l'impiego effettivo o potenziale della forza da parte dell'ordinamento, a prescindere dalla volontà del soggetto passivo del diritto o, addirittura, contro di essa. Così, mentre con il processo di cognizione si passa dall'affermazione del diritto al suo accertamento, con l'esecuzione si passa dall'accertamento del diritto alla sua attuazione materiale. E laddove tale attuazione materiale non avvenga spontaneamente, l'ordinamento prospetta, appunto, tutta quell'attività giurisdizionale che consiste nell'esecuzione forzata e che, in concreto, si articola in una serie coordinata di atti giuridici processuali configurati dalle norme, che costituiscono l'esercizio di altrettante situazioni giuridiche processuali, tra le quali fanno spicco i poteri. In ogni caso, anche quando segue quello di cognizione, il processo esecutivo è autonomo sul piano strutturale e, in ragione di ciò, è introdotto da una domanda specifica ed autonoma, rivolta a specifici organi e specificamente intesa ad ottenere la prestazione della tutela giurisdizionale esecutiva. Colui che propone la domanda, ossia il «creditore», è in un certo senso attore, perché, come questo, propone una domanda; colui che è destinatario della domanda, il «debitore», non può invece dirsi convenuto, poiché egli, di regola, non ha che da subire l'esecuzione di un diritto già accertato e dunque non vi è bisogno di un contraddittorio immediato davanti al giudice, instaurato dalla vocatio in jus. Inoltre, tale contraddittorio, non potrà che investire, almeno di regola, le sole modalità dell'esecuzione. La domanda del creditore è per lo più rivolta direttamente all'organo esecutivo, i cui atti incidono direttamente sul mondo materiale, mentre l'attività del giudice dell'esecuzione si estrinseca in provvedimenti, la cui natura è per lo più ordinatoria ed assume le forme dell'ordinanza o del decreto. Poiché la funzione dell'esecuzione forzata consiste nel dare esecuzione concreta e materiale ai diritti, è chiaro che tale esecuzione dev'essere, almeno tendenzialmente, esatta e completa: il processo deve far conseguire al creditore «tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire» (Chiovenda). L'optimum dell'attività esecutiva sta quindi nell'attuare il diritto nella sua identità specifica: ad esempio, la consegna o il rilascio proprio di quella certa cosa o il compimento proprio di quella certa attività. Sennonché questa possibilità viene talora meno a causa di impedimenti materiali o giuridici: in questi casi non si può far altro che trasformare il diritto nella sua essenza, e cioè renderlo più generico, tanto più generico quanto è necessario perché lo si possa eseguire coattivamente (non quella macchina, ma un'altra uguale, ad esempio), fino al limite massimo di genericità e fungibilità offerto dal denaro. Mentre operano pressoché inalterati anche nel processo esecutivo i principi della domanda, dell'impulso di parte, di disponibilità del processo e di validità e di nullità degli atti, non Il requisito della certezza, più che risultare dal titolo, è una conseguenza dell'esistenza del titolo stesso. Più precisamente, il diritto è certo se, e nella misura in cui, l'ordinamento ha attribuito al documento in questione la qualità di titolo esecutivo. Non una certezza assoluta, dunque, e nemmeno, in alcuni casi, quel massimo grado di certezza determinato dal giudicato, ma una certezza che l'ordinamento considera sufficiente per fondare l'esecuzione forzata. Questa enunciazione è compiuta nel comma secondo dello stesso articolo 474 c.p.c., secondo il quale sono titoli esecutivi tre gruppi di documenti: 1) «le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva». I titoli esecutivi di questo gruppo sono detti «giudiziali» in quanto formatisi come risultato di un processo e, più precisamente, di un processo di cognizione. Quanto alle sentenze, soltanto quelle di condanna possono, per la loro funzione, fondare l'esecuzione forzata, laddove passate in giudicato o comunque dotate di esecutività dalla legge. Le sentenze di mero accertamento e quelle costitutive non possono, in nessun caso, attivare l'esecuzione forzata. Sono invece titoli esecutivi i provvedimenti giudiziali diversi dalla sentenza che, per particolari disposizioni di legge, decidono, in via provvisoria o definitiva, questioni che già investono il diritto sostanziale. Per quel che concerne i provvedimenti definitivi, si pensi al decreto ingiuntivo divenuto incontrovertibile per mancata o non coltivata opposizione ovvero per rigetto dell'opposizione nonché al decreto ingiuntivo dichiarato dal giudice provvisoriamente esecutivo. Altri provvedimenti definitivi sono l'ordinanza di convalida di licenza o sfratto nonché l'ordinanza pronunciata all'esito di procedimento sommario di cognizione, idonea ad acquistare l'efficacia di giudicato ove non appellata. Per quanto riguarda, invece, i provvedimenti non definitivi, si pensi: all'ordinanza del presidente del tribunale, nel giudizio di separazione dei coniugi, prevista dall'art. 708 c.p.c., cui l'art. 189 disp. att. c.p.c. attribuisce efficacia di titolo esecutivo; all'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed alle ordinanze di cui agli artt. 186 bis, ter e quater c.p.c. Tra gli altri atti «giudiziali» che hanno valore di titolo esecutivo vi sono i verbali di conciliazione e comunque gli atti che si formano sotto il controllo del giudice o con sua omologazione (art. 12 d. lgs. 28\2010); 2) «le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia». Si nota qui l'impiego della medesima formula usata nel n. 1 per il richiamo generico agli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; 3) «gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli». Va sottolineato che l'efficacia esecutiva è attribuita a tutti gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, a differenza delle scritture private autenticate di cui al n. 2, cui è attribuita la stessa efficacia soltanto nei limiti in cui si riferiscono ad obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro. Gli ultimi due gruppi di titoli esecutivi costituiscono la categoria dei «titoli stragiudiziali», in quanto di formazione negoziale, cosa che non impedisce che anch'essi contengano un atto di accertamento. La scelta concorde di una documentazione particolarmente solenne e rigorosamente formale o la partecipazione di un pubblico ufficiale alla redazione dell'atto, hanno indubbiamente la funzione di richiamare l'attenzione dei soggetti dell'atto stesso sulla circostanza che essi non soltanto documentano e, quindi, accertano un diritto, ma lo accertano con quelle particolari forme documentali alle quali la legge fa conseguire l'efficacia esecutiva. «Le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria [atti di cui al n. 1] e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale [atti di cui al n. 3], per valere come titolo per l'esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti» (art. 475 co. 1 c.p.c.). L'apposizione di questa formula, preceduta dall'intestazione «Repubblica italiana - in nome della legge» costituisce la cosiddetta «spedizione del titolo in forma esecutiva». Si tratta di un requisito, che riguarda la copia dell'atto e che è più formalistico che formale, non rispondendo ad un'autentica ed obiettiva funzione processuale. Infatti, mentre da un lato il secondo comma dell'art. 475 c.p.c.2 sembra attribuire alla spedizione in forma esecutiva la funzione di controllo circa la legittimazione del soggetto attivo del titolo a servirsi dello stesso, dall'altro lato tale funzione è in realtà svuotata di contenuto, essendo il suddetto controllo effettuato non da un giudice, ma dal cancelliere o dal notaio, rimanendo perciò limitato ad aspetti puramente documentali e formali (art. 153 disp. att. c.p.c.). La spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi, come detto, solamente alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori (art. 475 co. 2 c.p.c.), e può essere fatta una volta sola, col rilascio, cioè, di una sola copia in forma esecutiva, salvo ricorra un giusto motivo (art. 476 co. 1 c.p.c.). Le ulteriori copie, in caso ricorra, appunto, giusto motivo, sono chieste con ricorso al capo dell'ufficio che ha pronunciato il provvedimento, nel caso in cui il titolo esecutivo sia costituito da provvedimento del giudice; altrimenti si chiede, sempre con ricorso, al presidente del tribunale nella cui circoscrizione fu formato l'atto (art. 476 co. 2 c.p.c.). Si noti che la spedizione in forma esecutiva non è fatta sull'originale dell'atto, che resta presso il cancelliere o il notaio, ma su una copia autentica. Sarà appunto questa copia autentica spedita in forma esecutiva ad assolvere alla funzione di documentare all'organo esecutivo l'esistenza del diritto accertato come eseguibile. Ad ogni modo, «il titolo esecutivo contro il debitore ha efficacia contro gli eredi», purché il creditore lasci decorrere almeno dieci giorni tra i due atti preparatori del processo esecutivo, ossia la notificazione del titolo e quella del precetto, e sempre che entrambi questi atti non fossero già stati notificati al de cuius, prima della morte: in tal caso, si deve nuovamente notificare agli eredi titolo e precetto3 (art. 477 co. 1 c.p.c.). La norma in oggetto, parlando di «eredi», invece che di «successori», sembra limitare l'estensione dell'efficacia del titolo esecutivo ai soli casi di successione mortis causa. Tuttavia, l'art. 111 c.p.c. dispone che la sentenza pronunciata contro l'alienante o il successore universale spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare durante la pendenza del giudizio; tra gli effetti della sentenza vi è sicuramente anche quello di efficacia di titolo esecutivo. Così, il titolo esecutivo avrà efficacia anche nei confronti dei successori a titolo 2 «La spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi soltanto alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori». 3 Cass. 9365\2010. particolare. Dubbio, invece, se l'allargamento di tale efficacia riguardi ance alcuni soggetti corresponsabili per legge, come, ad esempio, i soci delle società in nome collettivo4. Se, dunque, il titolo esecutivo può avere efficacia anche a favore e\o contro i successori, ne consegue che il processo esecutivo può iniziarsi e svolgersi tra i soggetti, eventualmente diversi da quelli risultanti dal titolo, che dovranno in definitiva riceverne o subirne gli effetti, non solo nei casi di successione anteriore all'inizio dell'esecuzione, ma anche nei casi di successione che si verifica quando il processo è già pendente, senza che costituisca ostacolo la disciplina di cui agli artt. 110 e 111 c.p.c., la cui applicabilità al processo di esecuzione è discussa e discutibile. Per concludere, occorre precisare che «se l'efficacia del titolo esecutivo è subordinata a cauzione, non si può iniziare l'esecuzione forzata finché quella non sia prestata. Della prestazione si fa constare con annotazione in calce o in margine al titolo spedito in forma esecutiva, o con atto separato che deve essere unito al titolo» (art. 478 c.p.c.). Gli atti preparatori anteriori all'inizio del processo esecutivo Come già accennato, prima dell'inizio del processo esecutivo occorre compiere alcuni atti preparatori, la cui funzione è di preannunciare solennemente al debitore il proposito del creditore di procedere all'esecuzione forzata e, più precisamente, di esercitare quell'azione esecutiva che si fonda su quel titolo esecutivo per il conseguimento di quel diritto e con quella portata soggettiva, che emerge dal titolo. La finalità ultima è offrire al debitore, da un lato, l'ultima possibilità di eseguire il proprio obbligo spontaneamente e, dall'altro lato, la possibilità di conoscere tutti gli elementi dell'azione esecutiva preannunciata, onde valutare le concrete possibilità di contestarne la legittimità prima ancora del suo effettivo esercizio. Ma vediamo quali sono, in concreto, gli atti preparatori richiesti dalla legge. L'art. 479 co. 1 c.p.c. afferma che «se la legge non dispone altrimenti, l'esecuzione forzata dev'essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto». Il primo atto preparatorio è quindi la spedizione in forma esecutiva del titolo, quando richiesta. In secondo luogo, occorre, nei casi in cui il titolo va spedito in forma esecutiva, la notificazione del titolo; occorre cioè la consegna al debitore, nei modi previsti dalla legge (artt. 137 ss. c.p.c.), ad opera dell'ufficiale giudiziario ed a seguito di richiesta del creditore, di una copia autentica del titolo esecutivo. Negli altri casi, ossia quando il titolo consiste in scrittura privata, cambiale o altro titolo di credito, la notificazione del titolo si riduce ad una modalità della notificazione del precetto, come vedremo a breve. La notificazione del titolo esecutivo spedito in forma esecutiva si fa alla parte «personalmente», cioè proprio al debitore, e non al suo difensore (art. 479 co. 2 c.p.c.), salvo il caso, già visto, di cui all'art. 477 co. 2 c.p.c. [se il debitore muore prima dell'inizio dell'esecuzione forzata, la notificazione può essere effettuata, entro un anno dalla morte, collettivamente ed impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto]. La l. 80\2005 ha eliminato dall'art. 479 co. 2 c.p.c. la disposizione secondo la quale la 4 Così Cass. 1040 e 14165\2009. limiti l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che lo stesso giudice determina, tenuto conto anche dei crediti degli intervenienti (art. 483 c.p.c.). Ciò, naturalmente, quando la suddetta azione cumulativa risulti eccessiva e non sia resa necessaria dall'entità del credito da soddisfare in relazione al valore dei beni oggetto delle singole espropriazioni, cumulabili anche se dello stesso tipo. Ad ogni modo, giudice competente per l'esecuzione è quel giudice-ufficio giudiziario nel cui ambito può svolgersi una determinata esecuzione forzata: tale giudice, data l'incompetenza in materia di esecuzione del giudice di pace, sarà sempre il tribunale. Con riguardo al territorio, la competenza spetta al giudice del luogo ove le cose si trovano, se si tratta di esecuzione su cose, ovvero al giudice del luogo dove risiede il terzo debitore, nel caso di espropriazione di crediti, o, infine, al giudice del luogo dove l'obbligo dev'essere adempiuto, nel caso di esecuzione degli obblighi di fare o non fare (art. 26 c.p.c.). Giudice dell'esecuzione è invece l'organo-persona fisica designato volta per volta dal presidente del tribunale, così come avviene per il giudice istruttore nel processo di cognizione (art. 484 co. 2 c.p.c.). Il presidente del tribunale, dunque, «su presentazione, a cura del cancelliere, del fascicolo, entro due giorni da che è stato formato» designa il giudice dell'esecuzione. Il fascicolo cui ci si riferisce è quello dell'esecuzione, formato dal cancelliere e contenente tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere e dall'ufficiale giudiziario e gli atti e documenti depositati dalle parti e dagli eventuali interessati (art. 488 co. 1 c.p.c.). Il presidente del tribunale competente per l'esecuzione può autorizzare il creditore a depositare una copia autentica del titolo esecutivo, invece dell'originale, salvo l'obbligo di presentare quest'ultimo a richiesta del giudice (art. 488 co. 2 c.p.c.). Così come nel processo di cognizione, anche nel processo esecutivo il fascicolo d'ufficio è formato in un momento successivo a quello della fase iniziale del processo. Se nel processo di cognizione esso è formato dopo la notificazione dell'atto di citazione e la costituzione di una delle parti, nel processo esecutivo esso va formato dopo l'atto con il quale inizia l'esecuzione, ossia, come vedremo, il pignoramento. Al giudice dell'esecuzione si applicano altresì le norme dettate per il giudice istruttore relativamente all'immutabilità ed ai poteri direttivi ed ordinatori (art. 484 co. 3 c.p.c., che richiama gli artt. 174 e 175 c.p.c.) nonché alla forma dei provvedimenti. In relazione a tale ultimo punto, l'art. 487 c.p.c. dispone, al primo comma, che i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono dati con ordinanza, modificabile o revocabile dallo stesso finché non abbia avuto esecuzione; il secondo comma richiama, quindi, in quanto applicabili, gli artt. 176 ss. e 186 c.p.c., che disciplinano le ordinanze nel processo di cognizione. Durante il corso del processo di espropriazione si svolgono, di fronte al giudice dell'esecuzione, anche le udienze, come quella per l'autorizzazione alla vendita delle cose pignorate, e si possono svolgere eventuali altre udienze, richieste dalla legge o disposte dal giudice, quando questo ritiene necessario sentire le parti ed eventualmente altri interessati: in tal caso l'udienza è fissata con decreto, comunicato alle parti; se a tale udienza risulta o appare probabile che alcuna delle parti non è comparsa per causa indipendente dalla sua volontà, il giudice fissa un'ulteriore udienza, nuovamente comunicata alle parti (art. 485 c.p.c.). A proposito di comunicazioni e notificazioni, esse si effettuano ai creditori nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nell'atto di precetto o nella domanda di intervento; in mancanza, le notificazioni possono effettuarsi presso la cancelleria del giudice competente per l'esecuzione (art. 489 c.p.c.). Al giudice dell'esecuzione possono, ovviamente, essere rivolte, dalle parti e dagli altri interessati, domande ed istanze, oralmente in udienza e con ricorso da depositarsi in cancelleria fuori udienza (art. 486 c.p.c.). Infine, l'art. 490 detta alcune regole generali a proposito della pubblicità che dev'essere data a taluni avvisi dell'espropriazione che possono interessare il pubblico, tra i quali quelli relativi alle vendite forzate. La norma prevede, in via generale, l'inserimento di un avviso contenente tutti i dati dell'atto esecutivo nel portale delle vendite pubbliche. Nel caso specifico di espropriazione di beni mobili registrati per un valore superiore a venticinquemila euro e di beni immobili, lo stesso avviso, insieme ad una copia dell'ordinanza del giudice e della relazione di stima, deve altresì essere inserito in appositi siti internet, almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data d'incanto. Infine, il giudice può disporre, anche su istanza di parte, che l'avviso, nel medesimo termine di quarantacinque giorni di cui sopra, sia altresì pubblicato, senza indicazione del debitore, sui quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione nazionali o che sia divulgato con le forme della pubblicità commerciale. Il pignoramento Fatta eccezione per le ipotesi di espropriazione di cose soggette a pegno o di cose mobili soggette ad ipoteca (art. 502 c.p.c.), l'espropriazione si inizia col pignoramento (art. 491 c.p.c.), che è dunque il primo atto del processo espropriativo. La funzione del pignoramento consiste nel vincolare determinati beni del debitore alla soddisfazione del credito per il quale il creditore agisce, nonché alla soddisfazione dei crediti per i quali altri creditori siano successivamente intervenuti nel processo esecutivo. Si tratta di un vincolo giuridico che investe le cose con riguardo al loro valore di scambio e che perciò, di regola, non impedisce al debitore di disporre materialmente delle cose pignorate e di servirsene, salve determinate cautele intese ad impedire la loro sottrazione, distruzione o deterioramento. La tecnica della quale l'ordinamento si serve per realizzare tale vincolo giuridico consiste nell'effetto di rendere inefficaci, nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti, gli atti con i quali il debitore alieni le cose pignorate o comunque ne disponga giuridicamente. Inefficacia relativa, quindi, visto che l'atto, perfettamente valido, è inefficace solo rispetto all'espropriazione ed alla sua funzione. Da un lato, quindi, l'atto di disposizione non può impedire che il processo esecutivo prosegua con la vendita forzata del bene e che il ricavo sia destinato alla soddisfazione dei creditori; dall'altro lato, tuttavia, essendo l'atto di disposizione valido, l'eventuale estinzione del processo esecutivo prima della vendita restituisce all'atto stesso la sua piena efficacia. In definitiva, per gli immobili ed i beni mobili registrati, «non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento»; per i beni mobili non registrati, invece, sono salvi gli effetti del possesso in buona fede (art. 2913 c.c.). Gli atti di alienazione anteriori al pignoramento dovrebbero, in linea teorica, prevalere. Invece, l'art. 2914 c.c. stabilisce che essi prevalgono solo se: a) con riguardo ai beni immobili o mobili registrati, siano trascritti anteriormente al pignoramento; b) con riguardo ai beni mobili non registrati, il possesso sia trasmesso anteriormente al pignoramento con atto avente data certa; c) con riguardo alle cessioni di credito, queste siano state notificate o accettate anteriormente al pignoramento; d) con riguardo alle universalità di mobili, le alienazioni abbiano data certa anteriore al pignoramento. Gli stessi principi valgono altresì per gli atti e le domande giudiziali per cui è richiesta la trascrizione o, che più in generale, importano vincoli di indisponibilità (art. 2915 c.c.). Per l'ipotesi che oggetto del pignoramento sia un credito, l'estinzione di questo per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento è inefficace nei confronti del creditore principale e di quelli intervenuti (art. 2917 c.c.): ciò significa che, quando un credito è stato pignorato, il pagamento al creditore (creditore del debito e debitore nell'espropriazione) non libera il debitore. Infine, sono altresì relativamente inefficaci le ipoteche ed i privilegi, per cui è necessaria l'iscrizione, iscritti dopo il pignoramento nonché i privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento stesso (art. 2916 c.c.). Venendo ad analizzare la forma del pignoramento, in linea generale, salve le forme particolari che vedremo, esso «consiste in un'ingiunzione, che l'ufficiale giudiziario fa al debitore, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all'espropriazione e i frutti di essi» (art. 492 co. 1 c.p.c.). Si noti che va esattamente indicato il credito per il quale si agisce così come vanno esattamente indicati i beni che vengono pignorati. Si tratta quindi di atto dell'ufficiale giudiziario, effettuato su richiesta del creditore e dietro esibizione, da parte di quest'ultimo, del titolo esecutivo e del precetto debitamente notificati. Si ritiene, peraltro, che l'atto di pignoramento che proviene da ufficiale giudiziario incompetente non sia inesistente, ma nullo; tale nullità dev'essere fatta valere con le modalità e nei termini dell'opposizione agli atti esecutivi. L'atto deve contenere altresì l'invito al debitore ad effettuare, presso la cancelleria del giudice dell'esecuzione, la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione, con l'avvertimento che, in difetto o in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni saranno effettuate presso la cancelleria (art. 492 co. 2 c.p.c.). Con la novella del d.l. 59\2016, inoltre, il pignoramento deve altresì contenere l'avvertimento che l'opposizione, ai sensi dell'art. 615 co. 2 c.p.c., è inammissibile se proposta dopo che sia stata disposta la vendita o l'assegnazione, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile (art. 492 co. 2 c.p.c.). Al fine di aumentare le prospettive di successo del pignoramento, lo stesso atto «deve anche contenere l'avvertimento che il debitore, ai sensi dell'articolo 495, può chiedere» la cosiddetta novanta giorni dal compimento dello stesso non si procede all'istanza di vendita o di assegnazione delle cose pignorate, il pignoramento diviene inefficace (art. 497 c.p.c.). LA RICERCA CON MODALITÀ TELEMATICHE DI COSE DA PIGNORARE Il d.l. 132\2014, convertito dalla l. 162\2014, ha soppresso il comma 7 dell'art. 492 c.p.c., riguardante la ricerca di cose e crediti da pignorare tramite richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. È stato però introdotto l'art. 492-bis, il quale è applicabile in via generale, e non più nel solo caso in cui non vi siano beni pignorabili o quelli già pignorati non appaiano sufficienti alla soddisfazione dei creditori. Esso prevede che, «su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L'istanza deve contenere l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ordinaria ed il numero di fax del difensore nonché, ai fini dell'articolo 547 [pignoramento presso terzi], dell'indirizzo di posta elettronica certificata». Con tale autorizzazione si dispone che «l'ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Terminate le operazioni l'ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze». Se l'accesso ha consentito di individuare cose che si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario, quest'ultimo accede agli stessi per provvedere d'ufficio al pignoramento. Se i luoghi non sono compresi nel territorio di competenza di cui al periodo precedente, copia autentica del verbale è rilasciata al creditore, il quale, entro dieci giorni dal rilascio, a pena d'inefficacia della richiesta, la presenta, unitamente all'istanza per gli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520, all'ufficiale giudiziario territorialmente competente. Se l'ufficiale giudiziario non rinviene una cosa individuata mediante l'accesso nelle banche dati di cui al secondo comma, intima al debitore di indicare entro quindici giorni il luogo in cui si trova, avvertendolo che l'omessa o la falsa comunicazione è punita a norma dell'art. 388 co. 6 c.p. Se, al contrario, l'accesso ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di quest'ultimo che sono nella disponibilità di terzi, l'ufficiale giudiziario notifica d'ufficio, ove possibile a norma dell'articolo 149-bis o a mezzo telefax, al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere l'indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, dell'indirizzo pec del creditore, del luogo in cui questo ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente, dell'ingiunzione, dell'invito e dell'avvertimento al debitore di cui all'articolo 492 co. 1, 2 e 3, nonché l'intimazione al terzo di non disporre delle cose o somme dovute, nei limiti di cui all'articolo 546. Il verbale di cui al presente comma è notificato per estratto al terzo, con i soli dati a quest'ultimo riferibili. Quando l'accesso ha consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest'ultimo che sono nella disponibilità di terzi ovvero quando l'accesso ha consentito di individuare sia cose del debitore nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario sia crediti o cose del debitore nella disponibilità di terzi, si sottopongono ad esecuzione i beni scelti dal creditore. Intervento dei creditori nell'espropriazione Come visto, il pignoramento vincola il bene pignorato alla soddisfazione del credito per il quale si agisce, così rendendo specifica quella generica destinazione dell'intero patrimonio di ogni soggetto alla soddisfazione dei suoi debiti (art. 2740 c.c.). Ma ciò non significa che il creditore che per primo pignora il bene del debitore si «accaparri» in esclusiva quel bene. Il legislatore, infatti, si ispira alla regola della par condicio creditorum: l'art. 2741 c.c. afferma espressamente che «i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione» (privilegi, pegni ed ipoteche). Tale principio, applicato rigorosamente in sede fallimentare, trova un limite nella disciplina dell'espropriazione ordinaria. Infatti, in questo caso l'espropriazione non ha ad oggetto la totalità dei beni del debitore, ma soltanto quei beni che sono stati assoggettati a pignoramento ad iniziativa del creditore. Dunque, la soddisfazione sul ricavato della vendita dei beni pignorati è soggetta ad una ripartizione proporzionale in caso di insufficienza a soddisfare tutti i creditori ma tale soddisfazione è limitata al creditore procedente ed a quelli che hanno tempestivamente assunto una precisa iniziativa nel processo espropriativo. È cioè necessario che i creditori che non hanno direttamente avviato il procedimento espropriativo compiano un atto di intervento, al fine di partecipare alla ripartizione del ricavato della vendita dei beni pignorati, in misura proporzionale al credito di ciascuno. In altri termini, con l'atto di intervento, i terzi creditori possono approfittare dell'iniziativa assunta dal creditore procedente, dando luogo ad una ripartizione proporzionale del credito che ha per oggetto solo i beni pignorati e riguarda solo il creditore procedente e quelli intervenuti. Venendo ad analizzare le modalità ed i limiti dell'intervento, la legge si preoccupa, in primo luogo, di evitare che l'espropriazione possa avvenire senza la partecipazione dei creditori che hanno sui beni pignorati un diritto di prelazione. Che se ciò avvenisse, la prelazione sarebbe svuotata di contenuto, poiché la vendita forzata libera il bene dall'ipoteca e dai privilegi (art. 586 c.p.c.). Per il caso che il diritto di prelazione risulti da pubblici registri, il creditore pignorante deve notificare ai creditori con diritto di prelazione, entro cinque giorni dal pignoramento, un avviso contenente l'indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate (art. 498 c.p.c.). Il termine di cinque giorni non può ritenersi perentorio, in quanto il terzo comma del medesimo articolo si limita a disporre che, in mancanza della prova della suddetta notificazione, il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita. Se il diritto di prelazione non risulta da pubblici registri, ossia nel caso di pegno, il bene non è nella disponibilità del debitore bensì del creditore assistito stesso, e ciò rappresenta garanzia sufficiente. L'intervento è dunque consentito, ai sensi dell'art. 499 co. 1 c.p.c., ai creditori muniti di titolo esecutivo, a quelli che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati oppure avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri e, infine, ai creditori titolari di un credito risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c., ossia le scritture contabili dell'imprenditore commerciale. L'intervento si effettua mediante ricorso, da depositarsi in cancelleria prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione e che deve contenere l'indicazione del credito e quella del titolo, la domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. Nel caso di intervento di creditori il cui credito risulti dalle scritture contabili dell'imprenditore commerciale, essi devono, a pena di inammissibilità, allegare al ricorso altresì l'estratto autentico notarile delle scritture contabili medesime (art. 499 co. 2 c.p.c.). Nel caso in cui l'intervento sia tardivo, ossia avvenga dopo che sia disposta la vendita o l'assegnazione delle cose, esso dà diritto soltanto a partecipare alla distribuzione della parte di ricavato che sopravanza soddisfatti i diritti del creditore pignorante, di quelli privilegiati e di quelli intervenuti tempestivamente. In ogni caso, l'intervento, ancorché tardivo, non può intervenire dopo il provvedimento di distribuzione nell'espropriazione mobiliare (art. 528 c.p.c.) o dopo l'udienza di cui all'art. 596 nell'espropriazione immobiliare (art. 565 c.p.c.). Il termine finale, tuttavia, non riguarda i creditori muniti di titolo esecutivo, in quanto non assoggettati al riconoscimento di cui all'ultimo comma dell'art. 499 (vedi poco più avanti) né i creditori privilegiati, ma soltanto quelli non muniti di titolo che, oltre quel termine, saranno equiparati ai creditori disconosciuti, di cui all'ultimo comma dell'art. 499. Il creditore privo di titolo esecutivo deve altresì notificare al debitore, entro i dieci giorni successivi al deposito del ricorso, copia di quest'ultimo nonché copia dell'estratto autentico notarile attestante il credito (art. 499 co. 3 c.p.c.). Si configura così una sorta di subprocedimento imperniato sull'eventuale riconoscimento di tali crediti da parte del debitore, precisando, peraltro, che questo riconoscimento opera solo agli effetti dell'esecuzione. Si tratta, quindi, di un accertamento anomalo, in quanto si concreta nella sola alternativa tra contestazione e non contestazione, ed ha ad oggetto soltanto il diritto processuale al concorso e non l'esistenza del diritto sostanziale, che, quindi, potrà essere assoggettata ad accertamento in sede di distribuzione del ricavato, ai sensi dell'art. 512 c.p.c. (vedi più avanti). Dunque, con l'ordinanza con cui è disposta la vendita o l'assegnazione, il giudice fissa, altresì, udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell'ordinanza e quella fissata per l'udienza non possono decorrere più di sessanta giorni. All'udienza, il debitore deve dichiarare quali dei crediti egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando, in quest'ultimo caso, la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti. In ogni caso, il riconoscimento rileva ai soli effetti dell'esecuzione e dà diritto al creditore di partecipare alla distribuzione della somma ricavata. I creditori il cui credito sia, invece, stato disconosciuto hanno diritto, ai sensi dell'art. 510 co. 3 c.p.c., all'accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere soddisfazione dei loro crediti, proponendo domanda al giudice dell'esecuzione con forme analoghe a quelle del ricorso per intervento, di cui all'art. 499 co. 2 c.p.c. Il giudice dell'esecuzione provvederà alla distribuzione anche nei loro confronti, ma eventuali contestazioni relative alle loro domande non possono ritardare la distribuzione tra gli altri creditori concorrenti. L'espropriazione mobiliare presso il debitore L'ufficiale giudiziario, al quale sia stata rivolta la richiesta di effettuare il pignoramento, previa esibizione del titolo e del precetto, deve ricercare le cose da pignorare. Al riguardo l'art. 513 c.p.c. dispone che egli può ricercarle nella casa del debitore, intesa come il luogo nel quale egli abita stabilmente, e negli altri luoghi a lui appartenenti (eventuali negozi, uffici, officine, ecc.); può anche ricercarle sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro. In ogni caso, per vincere le eventuali resistenze, può ricorrere all'assistenza della forza pubblica. Per pignorare cose «che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre7» (auto presso una rimessa, cassetta di sicurezza in banca), si può procedere con le forme previste per il pignoramento presso il debitore, a patto che l'ufficiale giudiziario abbia preventivamente ottenuto l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, il quale provvede con decreto, su istanza del creditore. L'autorizzazione non è necessaria quando il terzo consenta di esibire all'ufficiale le cose del debitore da pignorare. L'accesso nei luoghi ora veduti non può avvenire, salvo che vi sia autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, nei giorni festivi né nelle ore notturne, secondo le precisazioni compiute dall'art. 147 c.p.c., che riguarda le notificazioni, ma che è espressamente richiamato dall'art. 519 c.p.c. Il pignoramento iniziato nelle ore prescritte può comunque essere proseguito fino al suo compimento. Ottenuto l'accesso ai luoghi suddetti, l'ufficiale giudiziario provvede alla scelta delle cose da pignorare. Il codice, a tal proposito, impone che si preferiscano il denaro, gli oggetti preziosi ed i titoli di credito che l'ufficiale giudiziario ritiene di sicura realizzazione (art. 517 co. 2 c.p.c.). L'ufficiale giudiziario, in subordine, scegli le cose che ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà (art. 517 co. 1 c.p.c.). Non sono tuttavia pignorabili determinati beni, che l'art. 514 c.p.c. individua, oltre che in quelli dichiarati impignorabili da specifiche disposizioni di legge, in quelli indispensabili per la vita (letto, frigorifero, armadi, vestiti, stufe, ecc.)8 e per il sostentamento del debitore e delle persone con lui conviventi (commestibili e combustibili), nelle cose sacre che servono all'esercizio del culto, nelle cose di alto valore morale (decorazioni al valore e scritti familiari) e nelle armi ed oggetti che il debitore ha l'obbligo di conservare per l'adempimento di un pubblico servizio. Regole particolari sono invece dettate dagli artt. 515 e 516 c.p.c. con riguardo: a) alle cose mobili destinate al servizio o alla coltivazione di un fondo, che possono essere pignorate separatamente dall'immobile solo in mancanza di altri beni mobili; inoltre il giudice dell'esecuzione, su istanza del debitore e sentito il creditore, può, con ordinanza non impugnabile, escludere dal pignoramento ovvero consentire, con le opportune cautele, l'utilizzo 7 Si noti che, se il debitore non avesse la disponibilità diretta della cosa, ossia se tale disponibilità dipendesse dalla prestazione del terzo, si dovrebbe ricorrere alle forme del pignoramento presso terzi. 8 Sono tuttavia pignorabili, a detta dello stesso art. 514 c.p.c., i mobili, escluso il letto, che abbiano un rilevante valore economico, anche per accertato pregio artistico o di antiquariato. dei beni necessari alla coltura del fondo; b) agli strumenti, agli oggetti ed ai libri indispensabili9 per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere, che sono pignorabili nel limite di un quinto10, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni pignorati non appare sufficiente alla soddisfazione del credito; c) ai frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, che non possono essere pignorati separatamente dall'immobile, se non nelle ultime sei settimane anteriori al tempo ordinario della loro maturazione, a meno che il creditore non si assuma le maggiori spese di custodia; d) ai bachi da seta, che possono essere pignorati solo quando sono nella maggior parte sui rami per formare il bozzolo. Le cose scelte dall'ufficiale giudiziario per il pignoramento devono poi essere dallo stesso valutate, eventualmente assistito da uno stimatore, per la necessaria commisurazione all'entità del credito. Provvede poi, nei confronti del debitore o di un suo familiare o addetto alla casa o all'ufficio, purché non minore di anni quattordici e non palesemente incapace (art. 139 co. 2 c.p.c.), alla fondamentale ingiunzione di non sottrarre le cose scelte alla garanzia del credito e subito procede alla redazione del processo verbale delle sue operazioni, che sarà infine consegnato al debitore o, se questo non è presente, alla persona nei cui confronti è avvenuta l'ingiunzione; in mancanza, affigge l'avviso alla porta dell'immobile in cui ha eseguito il pignoramento (art. 518 co. 5 c.p.c.). Il processo verbale di pignoramento dovrà contenere: a) l'indicazione dell'avvenuta ingiunzione; b) la descrizione delle cose pignorate nonché del loro stato di conservazione, con l'utilizzo di rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva; c) la determinazione approssimativa del valore di realizzo delle cose pignorate (art. 518 co. 1 c.p.c.); d) le disposizioni date per la conservazione delle cose pignorate (art. 518 co. 4 c.p.c.). Se ritiene opportuno differire le operazioni di stima, l'ufficiale giudiziario redige un primo verbale di pignoramento, procedendo poi, entro trenta giorni, alla definitiva individuazione dei beni da assoggettare al pignoramento, sulla base dei valori indicati dall'esperto, al quale è in ogni caso consentito accedere al luogo in cui i beni si trovano (art. 518 co. 2 c.p.c.). Il giudice dell'esecuzione determina quindi le spese ed il compenso spettanti all'esperto, tenuto conto dei valori di effettiva vendita o assegnazione dei beni o, in qualunque altro caso, sulla base dei valori stimati (art. 518 co. 3 c.p.c.). Compiute le operazioni, l'ufficiale giudiziario consegna al creditore il processo verbale, il titolo esecutivo ed il precetto; quest'ultimo depositerà copia conforme11 dei suddetti atti, insieme alla nota di iscrizione a ruolo, nella cancelleria del giudice competente, entro quindici giorni, pena la perdita di efficacia del pignoramento (art. 518 co. 6 c.p.c.). Fino a che il pignoramento non perde efficacia, copia del processo verbale è conservata dall'ufficiale giudiziario, a disposizione del debitore. Il creditore, se ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello indicato dall'ufficiale giudiziario, può presentare istanza al giudice dell'esecuzione per chiedere un'integrazione del pignoramento; se il giudice, eventualmente nominato uno 9 Gli strumenti, gli oggetti ed i beni per la professione, arte o mestiere non indispensabili, dunque, risultano pienamente pignorabili. 10 Tale limite non si applica quando il debitore è una società e, in ogni caso, se nell'attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro. 11 La conformità delle copie, ai soli fini del deposito, è attestata dal difensore del creditore. il pagamento del prezzo siano effettuati con modalità telematiche, salvo che le stesse siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per la sollecita conclusione del procedimento (art. 530 co. 6 c.p.c.). L'ordinanza del giudice può disporre la vendita senza incanto a mezzo di commissionario oppure la vendita all'incanto. Nel primo caso, secondo l'art. 532 c.p.c., il giudice dell'esecuzione: affida l'incarico all'istituto di vendite giudiziarie, ovvero, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza e sentito, quando occorre, uno stimatore; fissa il prezzo minimo della vendita15 e l'importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita dev'essere eseguita; può imporre al commissionario una cauzione. Il d.l. 59\2016 convertito in legge 119\2016 ha inoltre stabilito, ai fini di velocizzare le procedure esecutive, che il giudice deve altresì fissare, in non più di tre, il numero massimo degli esperimenti di vendita e determinare i criteri per i relativi ribassi; parimenti deve fissare un termine finale, non superiore a sei mesi, per le operazioni. Alla scadenza di tale termine, l'incaricato dovrà restituire gli atti in cancelleria ed il giudice, salvo vi siano richieste di integrazione del pignoramento ai sensi dell'art. 540 bis c.p.c., disporrà la chiusura anticipata del processo esecutivo, anche in assenza dei presupposti di cui all'art. 164 bis disp. att. c.p.c. (art. 532 co. 2 c.p.c.). Il commissionario, in ogni caso, assicura agli interessati la possibilità di esaminare, anche con modalità telematiche, le cose poste in vendita almeno tre giorni prima della data fissata per l'esperimento di vendita (art. 533 co. 1 c.p.c.). Il prezzo di acquisto può anche essere versato con sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica disponibili nei circuiti bancario e postale (art. 169 quater disp. att c.p.c.). In ogni caso, il commissionario non può consegnare la cosa all'acquirente prima del pagamento integrale del prezzo e deve documentare le operazioni di vendita mediante certificato, fattura o fissato bollato in doppio esemplare, uno dei quali dev'essere consegnato al cancelliere con il prezzo ricavato dalla vendita nel termine fissato dal giudice (art. 533 co. 1 c.p.c.). Qualora la vendita senza incanto non avvenga nel termine fissato dal provvedimento di autorizzazione, il commissionario restituisce gli atti alla cancelleria, fornendo prova dell'attività svolta per cercare acquirenti e di aver effettuato la pubblicità disposta dal giudice (art. 533 co. 2 c.p.c.). Inoltre, il commissionario deve documentare le vendite effettuate, ed ogni sei mesi presentare un prospetto riepilogativo delle stime e delle vendite (art. 169 quinquies disp. att. c.p.c.). Quando, invece, il giudice dell'esecuzione disponga la vendita all'incanto, stabilisce col suo provvedimento, il giorno, l'ora ed il luogo in cui deve eseguirsi, affidandone l'esecuzione al cancelliere o all'ufficiale giudiziario o ad un istituto all'uopo autorizzato (o anche ad un notaio, avvocato o commercialista) e disponendo per l'opportuna pubblicità (artt. 490, 534, 534 bis c.p.c. e 159 disp. att. c.p.c.). Con lo stesso provvedimento, eventualmente sentito uno stimatore, fissa il prezzo base dell'incanto, salvo che il valore risulti da listini di borsa o di mercato16, o che ritenga opportuno autorizzare la vendita al migliore offerente senza prezzo 15 «Se il valore delle cose risulta dal listino di borsa o di mercato, la vendita non può essere fatta a prezzo inferiore al minimo ivi segnato» (art. 532 co. 4 c.p.c.). 16 In tal caso, ai sensi dell'art. 535 c.p.c., il prezzo base è determinato dal minimo del giorno precedente la vendita. minimo (art. 535 c.p.c.). Chi è incaricato della vendita fa trasportare, quando occorre, le cose pignorate nel luogo stabilito per l'incanto e può richiedere, se necessario, l'intervento della forza pubblica (art. 536 co. 1 c.p.c.). Prima di ogni incanto l'incaricato della vendita deve confrontare i beni con la descrizione contenuta nel verbale di pignoramento (art. 536 co. 2 c.p.c.). Le cose da vendere si offrono poi singolarmente o in lotti, secondo la convenienza; l'aggiudicazione avviene quando, dopo una doppia annunciazione del prezzo raggiunto, non è fatta una maggiore offerta. Se la vendita non può compiersi nel giorno stabilito, prosegue il giorno non festivo seguente. Della vendita si redige, in ogni caso, processo verbale da depositare in cancelleria (art. 537 c.p.c.). In caso di esito negativo del primo esperimento di vendita, il soggetto a cui è stata affidata l'esecuzione della vendita fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto (art. 538 c.p.c.). Tuttavia, gli oggetti d'oro e d'argento non possono in nessun caso essere venduti al di sotto del loro valore intrinseco; se restano invenduti sono assegnati per tale valore ai creditori (art. 539 c.p.c.). L'aggiudicatario deve poi versare, anche per via telematica, il prezzo dei beni acquistati, che viene depositato con le forme del deposito giudiziario; se non lo fa, si procede ad una nuova vendita a spese e sotto la responsabilità del primo aggiudicatario, in quanto contraente inadempiente (art. 540 c.p.c.). Egli risponde, cioè, anche dell'eventuale differenza di prezzo. Se nel corso della vendita delegata al professionista insorgono altre difficoltà, questo può rivolgersi al giudice dell'esecuzione, che provvede con decreto reclamabile allo stesso giudice con ricorso, che però non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga in tal senso (art. 534 ter c.p.c.). Il ricavato della vendita e\o il denaro pignorato vanno infine distribuiti ai creditori. Se i creditori chiedono la distribuzione secondo un piano concordato, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità ad esso (art. 541 c.p.c.); se l'accordo non è raggiunto17, o il giudice non lo approva, ogni creditore può chiedere la distribuzione della somma ricavata ed il giudice dell'esecuzione, sentite le parti, distribuisce la somma secondo il dettato degli artt. 510 e ss. c.p.c. ed ordina il pagamento delle singole quote (art. 542 c.p.c.). La l. 69\2009 si è preoccupata di ovviare all'eventualità che il pignoramento mobiliare effettuato riveli la sua inidoneità o insufficienza alla soddisfazione dei creditori. La legge già prevedeva, all'ultimo comma dell'art. 518, l'integrazione del pignoramento per l'ipotesi della prevedibile insufficienza di quanto pignorato. L'art. 540 bis, invece, introdotto appunto dalla l. 69\2009, si occupa dell'effettivo esito insufficiente della vendita o dell'assegnazione, configurando una sorta di integrazione del pignoramento successiva al tentativo di vendita. Così, «quando le cose pignorate risultano invendute a seguito del secondo o successivo esperimento ovvero quando la somma assegnata, ai sensi degli articoli 510, 541 e 542, non è sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori, il giudice, ad istanza di uno di questi, provvede a norma dell'ultimo comma dell'articolo 518 [ossia dispone l'integrazione del pignoramento; l'ufficiale giudiziario, senza indugio, riprende la ricerca di beni da sottoporre ad esecuzione]. Se 17 Si tratta evidentemente, di un'ipotesi diversa dalla vera e propria contestazione del credito o dei crediti altrui che, come visto, dà luogo all'autonomo giudizio di cognizione di cui all'art. 512 c.p.c. sono pignorate nuove cose, il giudice ne dispone la vendita senza che vi sia necessità di nuova istanza. In caso contrario, dichiara l'estinzione del procedimento, salvo che non siano da completare le operazioni di vendita» (art. 540 bis c.p.c.). L'espropriazione mobiliare presso terzi Quando l'espropriazione ha ad oggetto crediti del debitore verso un terzo o cose di proprietà del debitore detenute da un terzo, l'espropriazione non può avvenire senza la collaborazione, o almeno la partecipazione, del terzo stesso. In primo luogo, occorre sapere dal terzo se egli è veramente debitore del debitore, per quale importo, con quali modalità, termini ecc. oppure se egli veramente possiede cose del debitore. Da ciò l'esigenza che egli compia, su tutto ciò, una dichiarazione all'ufficio esecutivo, in maniera ufficiale. D'altra parte, è indispensabile che il vincolo che costituisce il tipico effetto del pignoramento divenga operante da subito, ovvero da quando il terzo ha la prima notizia della procedura esecutiva; ciò per evitare che egli, in collusione con il debitore principale, anticipi la sua prestazione, frustrando l'iniziativa del creditore procedente. Per venire incontro a queste esigenze, il codice ha configurato l'atto di pignoramento presso terzi come un atto scritto complesso. L'iniziativa è sempre naturalmente assunta dal creditore procedente, il quale predispone l'atto di pignoramento, anche nella parte che deve far capo all'ufficiale giudiziario, il quale lo assumerà su di sé con la sottoscrizione, affinché questo possa compiere l'ingiunzione di non sottrarre il bene pignorato alla garanzia del credito e la notificazione dell'intero atto al terzo ed al debitore pignorato (art. 543 co. 1 c.p.c.). L'atto, ai sensi dell'art. 543 co. 2 c.p.c., deve contenere: 1) l'ingiunzione al debitore di cui all'art. 492 c.p.c., ossia l'ingiunzione di non sottrarre le cose pignorate alla garanzia del credito; 2) l'avvertimento previsto dallo stesso art. 492 co. 3 c.p.c., ossia l'avvertimento al debitore esecutato che può richiedere la conversione del pignoramento, ex art. 495 c.p.c.; 3) l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; 4) l'indicazione delle cose e delle somme dovute dal terzo al debitore; ovviamente, non sempre il creditore procedente conosce le cose del debitore che il terzo possiede ovvero l'esatto ammontare dei crediti del debitore nei confronti del terzo e quindi il codice considera sufficiente la generica indicazione; 5) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice dell'esecuzione competente; 6) la citazione del debitore a comparire avanti al giudice dell'esecuzione18; 7) l'invito al terzo a comunicare, entro dieci giorni, a mezzo raccomandata o pec, la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c., con l'avvertimento che «in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione». Ai sensi dell'art. 544 c.p.c., «se il credito pignorato è garantito da pegno, si intima a chi detiene 18 Tra la notificazione dell'atto e l'udienza indicata deve decorrere il termine di cui all'art. 501 c.p.c. (dieci giorni). temporanee, l'assegnazione è possibile solo se chiesta concordemente dai creditori; altrimenti il credito verrà venduto con le regole della vendita forzata delle cose mobili (art. 553 co. 2 c.p.c.). Insieme col credito verranno trasferite le relative garanzie reali (art. 554 c.p.c.). L'espropriazione immobiliare Quando il creditore procedente opta per l'espropriazione immobiliare, ossia quella avente ad oggetto beni immobili o diritti reali di godimento su beni immobili, dovrà già sapere quali beni immobili appartengono al debitore e se il loro valore sia approssimativamente sufficiente per soddisfare il suo credito. Per sapere ciò dovrà fare riferimento alle risultanze dei pubblici registri immobiliari, anche per conoscere le eventuali ragioni di altrui prelazione, che potrebbero frustrare la sua iniziativa, o l'esistenza di precedenti pignoramenti, che potrebbero indurlo a preferire un intervento nelle relative procedure. L'unico limite nella scelta riguarda il creditore ipotecario, che non può pignorare altri immobili, se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati da ipoteca (art. 2911 c.c.). Se il creditore ipotecario fa pignorare immobili non ipotecati a suo favore, il giudice dell'esecuzione può ridurre il pignoramento ai sensi dell'art. 496 c.p.c. oppure sospendere la vendita fino al compimento di quella relativa agli immobili ipotecati (art. 558 c.p.c.). Il pignoramento dell'immobile, ad ogni modo, comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata (art. 2912 c.c.). Non si verifica, invece, estensione automatica con riguardo ai mobili che arredano l'immobile. Se ciò risultasse opportuno dovrebbe farsi luogo, ma non in maniera automatica, allo svolgimento contemporaneo delle due espropriazioni: si redigono atti separati per gli immobili ed i beni mobili ma essi vanno depositati insieme nella cancelleria del tribunale, nella cui competenza viene attratto anche il pignoramento mobiliare (art. 556 c.p.c.). Scelto il bene (o i beni) che intende pignorare, il creditore procedente dovrà individuarli ed indicarli in maniera che non consenta equivoci: ciò in funzione dell'ingiunzione dell'ufficiale giudiziario al debitore di cui all'art. 492 c.p.c. Infine, il meccanismo dell'opponibilità ai terzi di tutti i trasferimenti o i vincoli che colpiscono i beni immobili esige che il pignoramento sia fatto risultare nei pubblici registri immobiliari. In virtù di questa triplice esigenza (scelta ed individuazione dei beni da pignorare, ingiunzione dell'ufficiale giudiziario e trascrizione del pignoramento nei pubblici registri immobiliari), l'atto di pignoramento immobiliare, a differenza di quello mobiliare (che è atto orale del solo ufficiale giudiziario, documentato in processo verbale), è atto complesso e scritto, predisposto a cura del creditore procedente (o, per esso, dal suo difensore), che deve contenere l'esatta indicazione dei beni e dei diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione, con gli estremi richiesti dal codice civile per l'individuazione dell'immobile ipotecato (art. 555 c.p.c.), nonché con l'ingiunzione al debitore di non sottrarre i beni pignorati alla garanzia del credito. Tale atto deve successivamente essere notificato, a cura dell'ufficiale giudiziario. Quest'ultimo, in seguito, consegna una copia autentica dell'atto, con le note di trascrizione (cioè due istanze di trascrizione), al competente conservatore dei registri immobiliari, il quale trascrive l'atto e restituisce una delle due note, con tutti gli estremi della trascrizione (art. 555 co. 2 c.p.c.). In alternativa, la trascrizione può essere curata dallo stesso creditore procedente, previa richiesta all'ufficiale giudiziario di copia autentica dell'atto di pignoramento notificato (art. 555 co. 3 c.p.c.). In ogni caso, l'originale dell'atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituita devono essere consegnate senza ritardo al creditore, affinché questo, entro quindi giorni dalla consegna, a pena di perdita di efficacia del pignoramento, ne depositi copia conforme nella cancelleria del Tribunale competente insieme alla nota di iscrizione a ruolo ed a copia conforme di titolo esecutivo e precetto; la conformità delle copie, ai soli fini del deposito, è attestata dal difensore del creditore procedente (art. 557 c.p.c.). In seguito al deposito il cancelliere forma il fascicolo dell'esecuzione. Il fascicolo dell'esecuzione deve sempre essere unico per ogni determinato immobile, anche nell'eventualità di più pignoramenti successivi. In tal caso, infatti, il cancelliere che avrà avuto notizia del precedente pignoramento (che sarà menzionato nella nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei pubblici registri immobiliari) depositerà l'atto di pignoramento successivo nel fascicolo formato in base al primo pignoramento, salvo che si sia già tenuta l'udienza di autorizzazione alla vendita; in tale ultimo caso si applica l'art. 524 ultimo comma c.p.c., cosicché il pignoramento successivo ha gli effetti di un intervento tardivo rispetto ai beni colpiti dal primo pignoramento (art. 561 c.p.c.). Con il pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze e i frutti, senza diritto di compenso (art. 559 co. 1 c.p.c.). Su istanza del creditore procedente o di altro creditore intervenuto, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, può nominare custode, con ordinanza non impugnabile, un soggetto diverso dal debitore stesso, nel caso in cui questo non occupi l'immobile (art. 559 co. 2 c.p.c.). Nel momento in cui pronuncia l'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o disposta la delega delle relative operazioni, se custode è il debitore, il giudice dell'esecuzione, sempre con ordinanza non impugnabile, dispone la sostituzione del custode con la persona incaricata delle operazioni di vendita o l'istituto di vendite giudiziarie (art. 559 co. 4 c.p.c.). Il custode, in ogni caso, deve rendere conto del suo operato secondo l'art. 593 c.p.c. ed in nessun caso può locare l'immobile senza l'autorizzazione del giudice (art. 560 co. 1 e 2 c.p.c.). In caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti, il custode può essere sostituito con soggetto diverso dal giudice dell'esecuzione (art. 559 co. 3 c.p.c.). Il giudice dell'esecuzione può disporre, con provvedimento impugnabile con opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c.22, la liberazione dell'immobile pignorato, quando (art. 560 co. 3 c.p.c.): a) non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso – in linea generale, quindi, il giudice dovrà disporre l'immediata liberazione del bene, salvo che risultino circostanze tali da preferire che il debitore continui ad abitarlo; b) quando revoca la precedente autorizzazione – magari perché, ad esempio, ha notizia che il debitore ne trascura il mantenimento o, peggio, abbia danneggiato l'immobile; c) nel momento in cui dispone l'aggiudicazione o l'assegnazione dell'immobile. Con un'altra novità introdotta dal d.l. 59\2016 è stato poi previsto (art. 560 co. 4 c.p.c.) che il 22 Anche il terzo che vanta un diritto di godimento del bene opponibile alla procedura dovrà esperire la procedura di cui all'art. 617 c.p.c., anche se in realtà sarebbe più logico che egli procedesse con opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. (art. 560 co. 3 c.p.c.). Il termine di venti giorni, tuttavia, decorrerà per tale terzo solo dalla notifica del provvedimento. provvedimento di liberazione non segua, come accadeva in precedenza, le normali sorti di un titolo esecutivo per rilascio di immobile23 (artt. 605 ss. c.p.c.), ma sia attuato direttamente dal custode secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare – che avrà il vantaggio di conoscere ogni aspetto del procedimento in corso – senza appunto l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 ss. c.p.c. (e quindi senza la notifica del precetto, ma direttamente dell'ordinanza). Nel caso in cui il custode, al momento di attuare il provvedimento di liberazione, rinvenga all'interno dell'immobile beni mobili che non devono essere consegnati o documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale, si applica un procedimento simile a quello di cui all'art. 609 c.p.c. Il custode intimerà alla parte tenuta al rilascio o al soggetto al quale i beni risultano appartenere di asportarli entro il termine da lui fissato, non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza. Tale intimazione sarà fatta verbalmente o mediante atto notificato, se gli intimati non sono presenti. Se l'asporto non è eseguito nel termine assegnato, i beni saranno considerati abbandonati ed il custode, salvo diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne disporrà lo smaltimento o la distruzione. Per quanto concerne l'intervento dei creditori, anche nell'espropriazione immobiliare l'individuazione dei soggetti legittimati ad intervenire è lasciata all'art. 499 co. 1 c.p.c. E come sempre, i creditori intervenuti dopo l'udienza di autorizzazione della vendita ma prima del provvedimento di distribuzione (intervento tardivo) possono soddisfarsi soltanto sull'eventuale residuo, salvo si tratti di creditori ipotecari o privilegiati, nel qual caso possono concorrere del ricavato secondo i loro diritti di prelazione (art. 566 c.p.c.). In ogni caso, l'intervento, ancorché tardivo, deve avvenire prima dell'udienza di approvazione del progetto di distribuzione. L'iter procedimentale che conduce alla vendita è molto simile a quello visto per l'espropriazione mobiliare. Si inizia con l'istanza di vendita da proporsi, ad opera del creditore pignorante o di altro creditore interveniente munito di titolo esecutivo, al giudice dell'esecuzione nominato dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 484 c.p.c., nel rispetto del termine dilatorio di dieci giorni dal pignoramento (art. 501 c.p.c.). Il creditore che richiede la vendita dell'immobile deve altresì provvedere, entro centoventi giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l'estratto del catasto effettuato nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari (art. 567 co. 2 c.p.c.). Il termine di cui appena detto può essere prorogato, su richiesta dei creditori o dell'esecutato, per giusti motivi, per una sola volta e per non oltre centoventi giorni; un termine di centoventi giorni è inoltre assegnato dal giudice, se ritiene che la documentazione fornita debba essere completata. Se la proroga non è richiesta o concessa o se la documentazione non è integrata, il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, dichiara l'inefficacia del pignoramento e la cancellazione della trascrizione, nonché l'estinzione del processo esecutivo, se non vi sono altri beni pignorati (artt. 562 e 567 co. 3 c.p.c.). Il certificato della rendita catastale serve al giudice per stabilire il valore dell'immobile agli 23 Andava cioè azionato a cura del curatore come un normale provvedimento di rilascio, con autonomo procedimento da incardinare di fronte al Giudice delle esecuzioni mobiliari e presso terzi. l'ammontare della cauzione (che non deve superare il decimo del prezzo base) ed il termine entro cui dev'essere depositata; le modalità ed il termine, non superiore a centoventi giorni, entro il quale, in caso di aggiudicazione, dev'essere depositato il prezzo (art. 576 c.p.c.). Come nella procedura di vendita senza incanto, chiunque, eccetto il debitore, può partecipare all'incanto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, previa prestazione della cauzione (art. 579 c.p.c.). Se l'offerente non diviene assegnatario, la cauzione gli è restituita immediatamente dopo la chiusura dell'incanto, salvo che l'offerente non abbia partecipato senza documentato e giustificato motivo: in tal caso gli sono restituiti solo i nove decimi della cauzione (art. 580 c.p.c.). Come già visto per la vendita senza incanto, inoltre, nel caso in cui l'aggiudicatario non versi il prezzo entro il termine fissato dal giudice, questo emetterà un decreto con cui dichiara la decadenza dell'aggiudicatario, dispone che la cauzione e le rate pagate sono perse a titolo di multa e disporrà un nuovo incanto, con responsabilità per la differenza dell'aggiudicatario inadempiente; con il medesimo decreto – che costituirà a tal fine titolo esecutivo – è altresì ordinato il rilascio dell'immobile, qualora l'aggiudicatario fosse già stato immesso nel possesso (art. 587 c.p.c.). L'incanto, ossia l'asta, ha luogo in un'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, con l'attesa di un periodo complessivo di tre minuti tra le offerte, che non sono valide se non superano il prezzo base o l'offerta precedente nella misura indicata nell'ordinanza che dispone l'incanto. L'offerente cessa di essere impegnato dalla sua offerta quando questa è superata da altra valida (art. 571 c.p.c.). Terminato l'incanto, tuttavia, la vendita non è conclusa poiché, entro il termine perentorio di dieci giorni, possono ancora essere presentate offerte d'acquisto con le modalità di cui all'art. 571 c.p.c., a patto che siano superiori di almeno un quinto rispetto alla cifra raggiunta nell'incanto e che sia versata una cauzione doppia rispetto a quella stabilita originariamente dal giudice dell'esecuzione (art. 584 co. 1 e 2 c.p.c.). Nel caso in cui vi siano più offerenti dopo l'incanto verrà indetta dal giudice una nuova gara, della quale il cancelliere dà pubblico avviso a norma dell'art. 570 c.p.c. e comunicazione all'aggiudicatario, fissando un termine perentorio entro il quale possono essere fatte ulteriori offerte con le modalità di cui all'art. 584 co. 2 c.p.c. Alla gara possono partecipare, oltre agli offerenti in aumento e l'aggiudicatario, anche gli offerenti al precedente incanto, a patto che questi ultimi integrino la cauzione versata (art. 584 co. 3 e 4 c.p.c.). Se alla gara non partecipa alcun offerente in aumento, l'aggiudicazione di cui al termine dell'incanto diviene definitiva e gli offerenti in aumento, se non ricorre un documentato e giustificato motivo per l'assenza, perdono la cauzione versata (art. 584 co. 5 c.p.c.). L'aggiudicatario, tuttavia, non è ancora proprietario. Per divenirlo, egli dovrà provvedere a versare il prezzo nel termine e nel modo fissati dall'ordinanza che dispone la vendita, consegnando al cancelliere il documento comprovante l'avvenuto versamento (art. 585 co. 1 c.p.c.). Soltanto dopo il suddetto versamento il giudice dell'esecuzione pronuncia decreto con il quale trasferisce all'aggiudicatario il bene immobile espropriato, ordinando la cancellazione delle trascrizioni, dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie successive alla trascrizione del pignoramento. Il decreto in oggetto, che conterrà altresì l'ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l'immobile, costituisce titolo esecutivo per il rilascio nonché per la trascrizione della vendita sui pubblici registri immobiliari (art. 586 c.p.c.). In alternativa al decreto di aggiudicazione, una volta versato il prezzo della vendita, il giudice, se ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, può sospendere la vendita (art. 586 co. 1 c.p.c.). Come già anticipato, se il prezzo non è versato dall'aggiudicatario, la sua cauzione è persa e si procederà ad una nuova vendita in danno dell'aggiudicatario, nel senso che, se il ricavato della seconda vendita è inferiore all'offerta dell'aggiudicatario della prima, quest'ultimo sarà condannato per la differenza (art. 587 c.p.c.). Gli effetti sostanziali della vendita forzata sono disciplinati dagli artt. 2919 e ss. c.c., che, tra l'altro, escludono la garanzia per i vizi ma non quella dell'aliud pro alio (Cass. n. 21249\2010). All'acquirente sono opponibili le locazioni dell'immobile, salvo l'onere della trascrizione delle locazioni ultranovennali (art. 2643 n. 8 c.c.). Il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza con la quale provvede sull'istanza di vendita, può, sentiti gli interessati, delegare la vendita ad un notaio, ad un avvocato o ad un commercialista, iscritto nel relativo elenco di professionisti disponibile a provvedere alle operazioni di vendita, stabilendo altresì un termine per lo svolgimento delle operazioni delegate, le modalità della pubblicità, il luogo di presentazione delle offerte ed il luogo ove si procede all'esame delle offerte, alla gara fra gli offerenti ed all'eventuale incanto (artt. 591 bis c.p.c. e 179 ter disp. att. c.p.c.). L'ambito della delega, che può essere revocata o modificata, comprende tutte le operazioni, dettagliatamente elencate dall'art. 591 bis co. 2 c.p.c. nelle quali si articola la procedura di vendita fino alla predisposizione del decreto di trasferimento (compresa); la pronuncia del decreto, invece, è ovviamente riservata al giudice dell'esecuzione. Nel corso delle operazioni delegate, di fronte all'insorgere di difficoltà, anche giuridiche, il professionista ha il potere di risolvere direttamente tutte le questioni attinenti alle modalità di svolgimento dell'esecuzione, ferma restando, in alternativa, la facoltà di rivolgersi al giudice, il quale provvederà con decreto. Contro tale decreto, così come contro i provvedimenti pronunciati direttamente dal professionista, può essere proposto reclamo allo stesso giudice. Il reclamo non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice ritenga che sussistano gravi motivi per la sospensione, ed è proponibile senza termine, ma comunque non oltre la pronuncia del decreto di trasferimento (art. 591 ter c.p.c.). Il medesimo articolo da ultimo citato si conclude dicendo che restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617. Ciò significa che il subprocedimento ivi regolato, l'opposizione agli atti esecutivi, non può riguardare i provvedimenti del professionista e nemmeno i decreti del giudice dell'esecuzione ma soltanto le ordinanze che quest'ultimo pronuncia a seguito del reclamo. Nella procedura senza delega al professionista, invece, l'opposizione agli atti esecutivi è proponibile contro i singoli atti del procedimento, i quali, in mancanza di opposizione entro venti giorni, acquisiscono stabilità, salva la revocabilità delle ordinanze fino alla loro esecuzione. Se neppure la vendita all'incanto ha esito positivo, si può far luogo all'assegnazione. Ogni creditore interessato all'assegnazione è onerato a chiederla già prima dell'incanto, nel termine di dieci giorni prima della data di questo, per l'ipotesi in cui abbia esito negativo per mancanza di offerte (art. 588 c.p.c.). L'istanza di assegnazione deve contenere l'offerta di pagamento di una somma non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente ed al prezzo determinato dal giudice per la vendita; se non vi sono creditori privilegiati iscritti in pubblici registri e non sono intervenuti altri creditori, il soggetto che propone l'assegnazione può presentare offerta di pagamento di una somma pari alla differenza fra il suo credito in linea capitale ed il prezzo che intende offrire, oltre le spese (art. 589 c.p.c.). In presenza di domande di assegnazione, il giudice provvede su di esse, fissando il termine entro il quale l'assegnatario deve versare l'eventuale conguaglio; una volta effettuato il versamento, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c. (art. 590 c.p.c.). Il d.l. 59\2016 ha peraltro introdotto una novità assoluta, ossia la possibilità di chiedere l'assegnazione in favore di un terzo, la cui identità andrà poi dichiarata in cancelleria entro cinque giorni dall'assegnazione in udienza o dalla sua comunicazione, con contestuale deposito della dichiarazione del terzo di voler profittare dell'assegnazione; in mancanza, il trasferimento è fatto in favore del creditore (art. 590 bis c.p.c.)25. Se non vi sono domande di assegnazione, o se il giudice decide di non accoglierle, questo dispone l'amministrazione giudiziaria a norma degli artt. 592 e ss. c.p.c. oppure pronuncia ordinanza per un nuovo incanto, sempre che ritenga che in tal modo si possa ottenere un prezzo superiore della metà rispetto al valore determinato a norma dell'art. 568 c.p.c.; in ulteriore alternativa, può stabilire diverse modalità di vendita e di pubblicità, fissando un prezzo ogni volta inferiore fino ad un quarto, nonché inferiore fino alla metà, dopo il terzo tentativo andato deserto; peraltro, se al secondo tentativo la vendita non ha luogo per mancanza di offerte e vi sono domande di assegnazione, il giudice assegna il bene al creditore o ai creditori richiedenti, fissando il termine per il versamento del conguaglio (art. 591 c.p.c.). L'amministrazione giudiziaria è una misura provvisoria che ha lo scopo di lasciare un margine di tempo affinché il nuovo incanto o l'assegnazione possano avvenire a condizioni più idonee. Essa è disposta per un periodo non superiore ai tre anni ed è affidata ad uno o più creditori o ad un istituto all'uopo autorizzato ovvero al debitore medesimo, se tutti i creditori consentono (art. 592 c.p.c.). L'amministratore è ovviamente tenuto al rendiconto (art. 593 c.p.c.) e le eventuali rendite, da depositarsi nei modi stabiliti dal giudice dell'esecuzione, possono essere assegnate ai creditori (art. 594 c.p.c.). Durante l'amministrazione giudiziaria chiunque può fare offerta d'acquisto; ciò, evidentemente, in relazione alle finalità dell'istituto. Per le medesime ragioni, in ogni momento il creditore pignorante o altro creditore intervenuto può chiedere che il giudice dell'esecuzione, sentite le altre parti, proceda ad un nuovo incanto o all'assegnazione (art. 595 co. 1 c.p.c.). Allo scadere del termine fissato dal giudice l'amministrazione cessa, salvo proroghe, che non possono comunque prolungare l'amministrazione oltre i tre anni, e viene disposto un nuovo incanto (art. 595 co. 2 c.p.c.). 25 Tale norma favorisce in modo particolare gli istituti di credito, che in tal modo potranno presentare offerte per conto di società partecipate o facenti parte del gruppo stesso. Così la banca, che prima finanzia la vendita dell’immobile, lo può acquistare all’asta a un valore ribassato (vedi anche capoverso successivo relativo all'art. 591 c.p.c.), attraverso una propria società immobiliare, delegata poi alla rivendita. Inoltre, se l'immobile è rivenduto nel biennio, si gode del pagamento dell'imposta di registro nella fissa di € 200,00, invece che del 9% del valore di aggiudicazione. è invece contenuta negli articoli da 605 a 611 c.p.c. Alcuni di questi articoli riguardano tanto l'esecuzione per consegna che quella per rilascio, mentre altri riguardano l'uno o l'altro tipo di esecuzione specifica. Con riguardo ad entrambe le procedure, il codice dispone che il precetto, la cui notificazione, come in ogni altro procedimento esecutivo, deve precedere l'inizio del procedimento stesso, ha un requisito in più rispetto all'espropriazione in generale, ossia la descrizione sommaria dei beni sui quali si intende procedere con l'esecuzione per consegna o rilascio (art. 605 co. 1 c.p.c.). Inoltre, se il titolo esecutivo dispone circa il termine della consegna o del rilascio, anche il precetto deve farsi con riferimento a tale termine (art. 605 co. 2 c.p.c.). La seconda delle disposizioni che concernono tanto l'esecuzione per rilascio quanto quella per consegna contempla l'eventualità in cui sorgano, durante l'esecuzione, difficoltà che non ammettono dilazione. In tale caso ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti (art. 610 c.p.c.), revocabili e modificabili. Queste difficoltà non sono vere e proprie contestazioni di natura giuridica sulla legittimità del «se» o del «come» dell'esecuzione, poiché tali contestazioni esigono un giudizio di cognizione e perciò possono essere sollevate soltanto con un'opposizione; si tratta invece di questioni di opportunità o di modalità dell'esecuzione, che il giudice risolve con provvedimenti che non hanno carattere decisorio. Dalla disposizione appena esaminata si ricava che anche questo procedimento esecutivo, pur non essendo essa disciplinata, presuppone la nomina di un giudice dell'esecuzione. Tale nomina, come stiamo per vedere, è tuttavia soltanto eventuale poiché l'esecuzione per consegna o rilascio è tanto semplice da poter essere affidata al solo ufficiale giudiziario. Ulteriore norma concernente entrambi i tipi di esecuzione riguarda la rinuncia della parte istante. L'art. 608 bis c.p.c., infatti, afferma che l'esecuzione si estingue se la parte istante, prima della consegna o del rilascio, rinuncia con atto da notificarsi alla parte esecutata e da consegnarsi all'ufficiale giudiziario procedente. Si rileva, pertanto, che l'estinzione non abbisogna di accettazione della controparte né dev'essere dichiarata con ordinanza dal giudice dell'esecuzione. Ultima disposizione riguardante tanto l'esecuzione per rilascio quanto quella per consegna è l'art. 611 c.p.c., il quale afferma che spetta al giudice dell'esecuzione il potere di liquidare, a norma degli artt. 91 e ss., le spese dell'esecuzione, sulla base di una specifica effettuata dall'ufficiale giudiziario. Tale potere del giudice si concreta in un decreto, che costituisce titolo esecutivo. Venendo al procedimento per consegna di cose mobili, esso si realizza con un semplice atto dell'ufficiale giudiziario a seguito di richiesta, anche verbale, del creditore della consegna. Dopo la notificazione del titolo e del precetto ed il decorso del relativo eventuale termine, il creditore può, esibendo titolo e precetto, rivolgere la suddetta richiesta all'ufficiale giudiziario, il quale si reca sul luogo in cui le cose si trovano e le ricerca con le modalità dettate per il pignoramento di cose mobili (artt. 606 c.p.c.). Rinvenutele, se ne impossessa e ne fa consegna alla parte istante o a persona da lui designata. Se le cose risultano pignorate, la parte istante deve far valere le sue ragioni mediante opposizione all'esecuzione (art. 607 c.p.c.). Nell'esecuzione per il rilascio di immobili, l'esecuzione inizia con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica alla parte che è tenuta a rilasciare l'immobile, almeno dieci giorni prima, il giorno e l'ora in cui procederà (art. 608 co. 1 c.p.c.). In tal giorno ed ora, l'ufficiale giudiziario, debitamente richiesto e munito di titolo e precetto, si reca sul luogo dell'esecuzione e, eventualmente valendosi della forza pubblica, immette la parte istante, o una persona da lei designata, nel possesso dell'immobile, del quale consegna le chiavi (art. 608 co. 2 c.p.c.). Tale consegna delle chiavi non è che un modo, peraltro non indispensabile (si pensi al caso di immobili come i campi), per rendere più efficace l'ingiunzione, che in tal caso avviene re invece che verbis. L'ingiunzione a riconoscere il nuovo possessore è infatti il provvedimento conclusivo che dà luogo all'immissione in possesso della parte creditrice. Se l'immobile è detenuto da terzi nomine debitoris, ma la loro detenzione non impedisce il trasferimento del possesso, l'ufficiale giudiziario ingiunge a tali detentori di riconoscere il nuovo possessore (art. 608 co. 2 c.p.c.). Qualora, invece, il terzo vanti un titolo di possesso autonomo da quello del debitore, l'esecuzione non può proseguire fino a quando non sia stata respinta l'opposizione nella quale la pretesa del detentore dovrebbe concretarsi e fino a quando il creditore non sia munito di un titolo nei confronti del terzo. Il d.l. 132\2014 ha modificato l'art. 609 c.p.c. relativo all'ipotesi in cui, all'interno dell'immobile da rilasciare siano rinvenuti beni mobili estranei all'esecuzione. Spesso accadeva, infatti, che l'esecutante trovasse all'interno dell'immobile beni mobili di appartenenza del debitore, magari anche di infimo valore ed ivi abbandonati; il creditore non poteva liberarsi di tali beni; anzi, se non accettava di divenirne custode, con tutti gli obblighi che ne derivano, doveva farli custodire altrove anticipando le spese di custodia. Il testo vigente dispone che, se all'interno del bene immobile vengono rinvenuti beni mobili che non devono essere consegnati26 – poiché non sottoposti a sequestro o pignoramento – l'ufficiale giudiziario intima alla parte tenuta al rilascio o al terzo cui risultino appartenere i beni di asportarli entro il termine che provvede a fissare; tale intimazione è fatta verbalmente se i soggetti tenuti all'asporto sono presenti, altrimenti viene fatta mediante atto notificato. Se trascorso il termine fissato l'asporto non è stato eseguito, l'ufficiale giudiziario stimerà il valore dei beni ed indicherà le prevedibili spese di asporto e custodia: se il valore dei beni si reputa superiore alle spese di asporto e custodia, il creditore potrà chiedere il loro asporto, pagando anticipatamente le spese, affinché siano venduti; in difetto di tale richiesta, salvo che risulti evidente l'utilità del tentativo di vendita, i beni mobili rinvenuti saranno considerati abbandonati e l'ufficiale giudiziario ne disporrà lo smaltimento o la distruzione. In ogni caso, a differenza di quanto accade per il rilascio di cose mobili, l'eventuale pignoramento o sequestro dell'immobile non ne impedisce il rilascio. L'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare Con l'esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare o di non fare si vuole appunto realizzare l'obbligo positivo di fare una determinata cosa oppure l'obbligo, originariamente negativo, di non fare una determinata cosa, che dopo la sua violazione diviene anch'esso positivo, concretandosi nell'obbligo di rimuovere quanto fatto in violazione dell'originario 26 Se le cose sono pignorate o sequestrate, l'ufficiale giudiziario dà immediatamente notizia dell'avvenuto rilascio al creditore su istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il sequestro, e al giudice dell'esecuzione per l'eventuale sostituzione del custode. obbligo di non fare (artt. 2931 e 2933 c.c.). Il limite all'utilizzazione di questo strumento processuale non è dato dalla natura del diritto da cui è sorto l'obbligo di fare o di non fare ma soltanto dall'obiettiva possibilità dell'esecuzione forzata, in quanto questa avviene prescindendo dalla volontà dell'obbligato o addirittura contro di essa. Il procedimento in oggetto presuppone, secondo l'art. 612 c.p.c., una «sentenza» di condanna. Questo è dunque, secondo il codice di procedura civile, l'unico titolo esecutivo idoneo a fondare l'esecuzione in argomento, precisando, però, che il termine «sentenza» può essere interpretato nel senso più ampio di provvedimento giudiziale contenente una condanna. Naturalmente, la sentenza di condanna, per assolvere al requisito della liquidità ed esigibilità di cui all'art. 474 c.p.c., deve contenere la specificazione del quid faciendum. In realtà, vi è un altro titolo esecutivo idoneo a fondare l'esecuzione in forma specifica secondo l'art. 12 d. lgs. 28/2010 ed esso è il verbale di conciliazione, quando tutte le parti sono assistite da avvocato e quando lo stesso è sottoscritto, per l'appunto, da tutte le parti e da tutti i relativi difensori. Venendo alla disciplina del procedimento, il creditore istante, dopo aver provveduto alle consuete notificazioni del titolo esecutivo e del precetto, deve chiedere al giudice dell'esecuzione, mediante ricorso, che siano determinate le modalità dell'esecuzione (art. 612 co. 1 c.p.c.). Il giudice, a seguito del suddetto ricorso, deve anzitutto attuare il contraddittorio, ossia disporre l'audizione delle parti; dopo averle sentite, pronuncia il provvedimento, sotto forma di ordinanza, con il quale determina le modalità dell'esecuzione, designando l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o all'eliminazione di quella eseguita (art. 612 co. 2 c.p.c.). Si discute, in dottrina ed in giurisprudenza, se il contenuto dell'ordinanza in oggetto debba restare limitato alla designazione dell'ufficiale giudiziario e delle persone incaricate del compimento o della distruzione dell'opera ovvero se possa assolvere ad una funzione integratrice del titolo che, pur dovendo essere completo nella sua determinazione del quid faciendum, ben può postulare la sua integrazione, con riguardo soltanto alle modalità pratiche del fare. Se l'ordinanza si mantiene comunque entro questi limiti, con funzione integratrice del titolo, la sua natura ordinatoria e la sua revocabilità ne escludono, secondo la Cassazione, l'impugnabilità sia con l'appello sia col ricorso per cassazione straordinario, salva solo l'opposizione agli atti esecutivi. Se, invece, l'ordinanza contenesse statuizioni contrastanti col contenuto del titolo o decidesse controversie insorte sul merito della situazione contenuta nel titolo o sulla conformità al titolo della pretesa esecutiva dell'istante, la Cassazione è per lo più orientata ad applicare la regola della prevalenza della sostanza sulla forma, con conseguente impugnabilità con appello. Ad ogni modo, emessa l'ordinanza del giudice, spetta all'ufficiale giudiziario realizzare l'esecuzione secondo le modalità indicate, salva la possibilità di richiedere ulteriori provvedimenti al giudice dell'esecuzione nel caso in cui sorgano eventuali difficoltà (art. 613 c.p.c.). Il giudice dell'esecuzione provvede, infine, con decreto ingiuntivo alla liquidazione delle spese, limitatamente a quelle proprie dell'esecuzione (art. 614 c.p.c.). a) contestando l'esistenza attuale del diritto per la cui attuazione si procede; si pensi al caso in cui si sia già pagato il debito ma, ciononostante, il creditore proceda nell'azione esecutiva; b) contestando la situazione sostanziale così come è enunciata nel titolo, attraverso l'allegazione di fatti impeditivi o estintivi sopravvenuti. La procedura in oggetto è espressamente estesa dal codice di procedura (art. 615 co. 2) anche al caso dell'opposizione riguardante «la pignorabilità dei beni», ossia al caso in cui il pignoramento abbia colpito beni impignorabili, secondo gli artt. 514, 515, 516 e 545 c.p.c. Tale inclusione, sul piano concettuale, appare giustificata poiché, di fatto, si contesta la legittimità di quell'esecuzione così come vuol realizzarsi in concreto, ossia si contesta il «se» e non solo il «come» di quella esecuzione. Nei casi sub 5), detti di «opposizione di merito all'esecuzione» l'ambito delle possibilità di contestare è diverso a seconda che si tratti di titolo giudiziale o stragiudiziale. Nel primo caso, infatti, come quando si fanno valere i vizi processuali di formazione del titolo, la natura giudiziale del titolo fa sì che le contestazioni incontrano il limite del giudicato, che copre il dedotto ed il deducibile e sana i vizi processuali (art. 161 c.p.c.). Tali contestazioni potranno quindi fondarsi soltanto su fatti estintivi ed impeditivi successivi alla formazione del giudicato: ad esempio, posso opporre di aver pagato dopo il giudicato, non prima, e potrò opporre l'inesistenza della sentenza ma non la nullità della sentenza non impugnata o impugnata senza far valere il vizio. Inoltre, se si tratta di sentenza esecutiva non ancora passata in giudicato, ulteriore limite alle contestazioni di merito all'esecuzione deriva dalla litispendenza o dalle preclusioni eventualmente verificatesi, nel senso che le eccezioni e le contestazioni di merito o processuali non possono essere sollevate se non in sede di impugnazione, salvi solo i vizi di inesistenza. Passando alle modalità di proposizione dell'opposizione, nel caso in cui l'esecuzione non sia ancora iniziata (opposizione preventiva), è richiesta la notificazione di un atto di citazione davanti al giudice competente secondo le ordinarie norme, il quale, nel caso di gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo (art. 615 co. 1 c.p.c.). Si svolgerà quindi un normale giudizio di cognizione, destinato a chiudersi con una sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari. Nel caso in cui l'esecuzione sia già iniziata il pericolo che sia attuato un diritto che si assume inesistente è ancora maggiore rispetto al caso dell'esecuzione non ancora iniziata. Per contro, però, essendo l'esecuzione già iniziata, vi è già un giudice dell'opposizione e dunque vi è già un organo al quale rivolgersi affinché venga esaminata l'opportunità di una sia pure provvisoria sospensione dell'esecuzione. Per tale motivo, se l'esecuzione è iniziata, l'art. 615 co. 2 c.p.c. dispone che l'opposizione sia proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione. Peraltro, il d.l. 59\2016 convertito in l. 119\2016 ha introdotto, limitatamente alle esecuzioni per espropriazione, un'importante novità. A pena di inammissibilità, infatti, l'opposizione de qua dovrà proporsi prima che sia stata disposta la vendita o l'assegnazione, salvo che questa sia fondata su fatti sopravvenuti – si pensi al pagamento del debito o, ad esempio, alla sentenza di appello che riforma la sentenza di primo grado azionata come titolo esecutivo – o che l'opponente dimostri non aver potuto presentare precedentemente per causa a lui non imputabile (art. 615 co. 2 terzo periodo c.c.). Il legislatore vuole così evitare che siano presentate, magari proprio il giorno prima della presentazione delle offerte, opposizioni pretestuose e con finalità deflattive27. Ad ogni modo, il giudice dell'esecuzione fissa, con decreto in calce al ricorso stesso, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé ed un termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. All'udienza di comparazione, che si svolge con le forme del giudizio camerale (art. 185 disp. att. c.p.c.), il giudice dell'esecuzione si pronuncia dunque anzitutto sull'eventuale istanza di sospensione dell'esecuzione, concedendola qualora sussistano gravi motivi (art. 624 co. 1 c.p.c.), mediante ordinanza reclamabile ex art. 669 terdecies (art. 624 co. 2 c.p.c.). Ma a questo punto la sovrapposizione di funzioni di giudice esecutivo e di cognizione in capo al giudice dell'esecuzione viene a perdere utilità e quindi si procederà secondo le consuete regole del giudizio di cognizione, comprese quelle sulla competenza. Pertanto, se competente per la causa è l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione, questi fissa un termine perentorio, non inferiore ad un mese, ma non superiore a tre mesi (art. 307 co. 3 c.p.c.), per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata ed osservati i termini a comparire di cui all'art. 163 bis o altri, se previsti, ridotti alla metà. Altrimenti, se competente è altro ufficio giudiziario, il giudice dell'esecuzione rimette le parti davanti a questo, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa (art. 616 c.p.c.). Ai sensi dell'art. 618 bis c.p.c., al procedimento di opposizione all'esecuzione ed a quello di opposizione agli atti esecutivi si applica il rito del lavoro, se la materia riguarda appunto il lavoro e la previdenza. In ogni caso resta ferma la competenza del giudice dell'esecuzione per i provvedimenti di cui all'art. 615 co. 2 c.p.c. La decisione, in ogni caso, avverrà con sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari. Se la sentenza che chiude il giudizio è di rigetto, essa ha portata di mero accertamento del legittimo svolgimento e della proseguibilità dell'esecuzione. In caso di sentenza di accoglimento, invece, essa ha la portata, pur sempre dichiarativa, di negare l'esistenza o l'efficacia attuale del titolo esecutivo o comunque dell'azione esecutiva nel suo concreto esercizio, con la conseguente invalidazione degli atti compiuti e negazione radicale, che cioè trascende il motivo addotto, del potere di iniziare o di proseguire il processo esecutivo. Opposizione agli atti esecutivi Come detto, l'opposizione agli atti esecutivi (opposizione formale) riguarda il «come» dell'esecuzione. Non si nega, cioè, la legittimità dell'azione esecutiva, ma si contesta la legittimità del modo col quale l'esercizio dell'azione è avvenuto o è stato preannunciato. Secondo la terminologia del codice (art. 617 c.p.c.) si contesta la «regolarità formale» dei singoli atti o di un singolo atto del processo esecutivo o degli atti che lo preannunciano o introducono. L'irregolarità formale fondamento dell'opposizione in esame è nozione atecnica e generica, più 27 Il debitore potrà comunque, in sede di distribuzione, contestare la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti, ai sensi dell'art. 512 c.p.c., ma non potrà presentare altre contestazioni. Inoltre, il bene sarà già stato venduto e, quindi, egli potrà aspirare soltanto alle somme ricavate, non alla restituzione del bene medesimo. ampia della nullità, in quanto vanno ricomprese anche le divergenze dalla fattispecie legale che non sono espressamente previste dalla legge come nullità e non consistono in difetto di requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto. Il discrimine è evidente con riguardo al titolo esecutivo: la sua nullità è materia di opposizione all'esecuzione; la sua irregolarità, invece, è materia di opposizione agli atti esecutivi. Nel caso di contestazione della regolarità formale del precetto, ad esempio per mancanza di uno dei requisiti di cui all'art. 480 c.p.c., invece, la nozione di regolarità comprende quella di nullità (pur non esaurendosi con essa); lo stesso vale nel caso di contestazione della regolarità della notificazione del titolo e del precetto, nonché nel caso di omissione della notifica del titolo. Ovviamente,il vizio di regolarità potrà investire un atto successivo, come la forma del pignoramento, l'istanza di vendita, l'ordinanza che dispone la vendita, ecc. Si noti che l'opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza tende ad includere nell'ambito dell'opposizione agli atti esecutivi anche le censure di inopportunità e di incongruità, che altrimenti, stante il numerus clausus delle opposizioni nel processo esecutivo, rimarrebbero escluse. Dal punto di vista dei soggetti, potendo l'opposizione agli atti esecutivi investire i singoli atti per se stessi, allarga l'ambito dei soggetti legittimati attivi. Essa, infatti, oltre che dal debitore e dal terzo assoggettato all'esecuzione, può essere proposta da tutti i soggetti destinatari dei singoli atti interessati a rimuoverli, compresi gli intervenienti e quelli che nel processo esecutivo hanno un ruolo marginale. Legittimati passivi sono, ovviamente, la parte istante ma anche i creditori intervenuti e gli altri interessati, ma solo se concretamente coinvolti. Per quel che concerne le forme di proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi, se l'esecuzione non è ancora iniziata, l'opposizione si propone con atto di citazione davanti al giudice indicato dall'art. 480 co. 3 c.p.c., ossia il giudice competente per l'esecuzione, entro venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto, che sono i soli atti anteriori all'inizio dell'esecuzione. In linea generale, l'opposizione agli atti esecutivi va sempre proposta entro venti giorni dal compimento o dalla notificazione dell'atto che si assume viziato. Nel caso in cui l'esecuzione sia già iniziata, l'opposizione si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione (per ragioni analoghe a quelle viste per l'opposizione all'esecuzione) entro venti giorni dal compimento dell'atto o, comunque, dal momento in cui le parti del processo esecutivo vengono a conoscenza dell'atto stesso o dell'atto successivo che necessariamente lo presuppone. Si pensi al caso in cui voglia farsi valere un vizio di regolarità della notificazione del precetto: è ovvio che il termine di venti giorni coinciderà, almeno per il debitore, con il primo atto dell'esecuzione, poiché solo in quel momento egli verrà a conoscenza dell'esecuzione. Il giudice dell'esecuzione, ricevuto il ricorso, fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé nonché il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto medesimo. Nei casi urgenti, il giudice può altresì pronunciare i provvedimenti opportuni (art. 618 c.p.c.). All'udienza, che secondo l'art. 185 disp. att. c.p.c., si svolge con le forme del procedimento camerale, il giudice, mediante ordinanza, emette i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura. In tal caso, ossia nel caso di sospensione, fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte validamente compiuto nel periodo di sospensione, salva apposita disposizione del giudice dell'esecuzione (art. 626 c.p.c.). Diverse sono però le ragioni che portano alla sospensione. Mentre nel processo di cognizione, salvo il caso di sospensione su accordo delle parti (art. 296 c.p.c.), tale ragione sta sempre nel fatto che il giudizio in corso dipende dall'esito di un altro giudizio, nel processo esecutivo la ragione della sospensione solo eccezionalmente consiste nel suddetto rapporto di pregiudizialità31. Di solito, nel processo esecutivo, la ragione della sospensione sta nel fatto che in un giudizio di cognizione in corso (in sede di opposizione o anche di impugnazione) è in contestazione l'esistenza dell'azione esecutiva o la legittimità delle modalità con le quali si sta svolgendo l'esecuzione. Ciò potrebbe portare ad una pronuncia di totale o parziale inesistenza dell'azione o di illegittimità dell'esecuzione, delineando il pericolo che la prosecuzione dell'esecuzione comprometta la situazione di fatto in modo irreparabile. Di qui l'opportunità di un arresto provvisorio dell'esecuzione fino alla definizione del giudizio di cognizione: non si tratta, cioè, di ragioni di necessità, che impongono la sospensione, ma di ragioni di opportunità. La sospensione, ad ogni modo, non può essere disposta che dal giudice dell'esecuzione32, valutata la probabilità che il giudizio di cognizione possa concludersi con un provvedimento di inesistenza dell'azione esecutiva o di illegittimità dell'esecuzione (art. 623 c.p.c.). Il medesimo articolo fa tuttavia salvi i casi in cui la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo33. L'art. 624 co. 1 c.p.c. disciplina poi dettagliatamente la sospensione a seguito di opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.) e di opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.), disponendo che «il giudice dell'esecuzione, ricorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza». Resterebbe esclusa l'ipotesi di opposizione agli atti esecutivi ma in realtà l'art. 618 c.p.c., come visto, attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di pronunciare «i provvedimenti opportuni», tra i quali rientra senz'altro la sospensione della procedura. D'altronde, il fatto stesso della proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi sospende il decorso del termine34 di efficacia del pignoramento (art. 628 c.p.c.). Contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione del procedimento esecutivo e contro l'ordinanza che dispone la sospensione della distribuzione della somma ricavata è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669 terdecies (art. 624 co. 2 c.p.c.). La reclamabilità in discorso esclude ogni altra forma di impugnazione35. L'art. 624 co. 3 e 4 prevede poi un meccanismo che determina l'estinzione del processo: nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi degli artt. 624 co. 1 e 618 c.p.c., «se l'ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell'articolo 616, il giudice dell'esecuzione dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza, l'estinzione del processo e ordina la 31 Si pensi al caso della sospensione dell'espropriazione dei beni indivisi fino all'esito del giudizio di divisione (art. 601 co. 1 c.p.c.). 32 Come visto, il legislatore ha a tal fine modulato il procedimento di opposizione affinché, nel caso in cui l'esecuzione sia già iniziata, la prima trattazione sia affidata proprio al giudice dell'esecuzione, il quale può, meglio degli altri, valutare l'opportunità di sospendere il giudizio. 33 Tipici sono i casi di cui agli artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c. dove il potere di sospensione è attribuito, rispettivamente, al giudice di secondo grado in pendenza di appello, al giudice di secondo grado in pendenza di ricorso per cassazione, al giudice della revocazione ed al giudice dell'opposizione di terzo. 34 L'art. 497 c.p.c. dispone che il pignoramento perde efficacia se, entro novanta giorni dal suo compimento, non è chiesta la vendita o l'assegnazione. 35 Cass. 3954\2012 e 11306\2011. cancellazione della trascrizione del pignoramento36, provvedendo anche sulle spese. L'ordinanza è reclamabile ai sensi dell'art. 630, 3° comma». Fuori dei casi appena visti, la sospensione può derivare da una richiesta concorde di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo al giudice dell'esecuzione, il quale, sentito il debitore, può sospendere il processo, per una sola volta, fino a ventiquattro mesi (art. 624 bis c.p.c.). L'istanza deve pervenire: almeno venti giorni prima del termine per il deposito delle offerte nel caso di vendita senza incanto; se la vendita senza incanto non ha luogo, almeno quindici giorni prima dell'incanto; nelle espropriazioni mobiliari, non oltre la fissazione della data di asporto dei beni ovvero fino a dieci giorni prima della vendita, se questa va effettuata nei luoghi dove sono custoditi i beni; nelle espropriazioni presso terzi, prima della dichiarazione del terzo. In ogni caso, il giudice dell'esecuzione provvede sull'istanza, con ordinanza, nei dieci giorni successivi al suo deposito e l'ordinanza in questione è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un solo creditore, sentito comunque il debitore. In tutti i casi, il giudice provvede sull'istanza di sospensione sentite le parti. Solo nei casi urgenti, il giudice può disporre la sospensione prima di instaurare il contraddittorio, provvedendo con un decreto col quale fissa l'udienza di comparizione delle parti; all'udienza provvede quindi con ordinanza (art. 625 c.p.c.). Per quel che concerne la prosecuzione del processo, nel caso di sospensione «volontaria», la parte interessata, entro dieci giorni dalla scadenza del termine fissato dal giudice, deve presentare istanza per la fissazione dell'udienza in cui il processo deve proseguire (art. 624 bis c.p.c.). In tutti gli altri casi di sospensione, la ripresa del processo avviene con un atto definito impropriamente «riassunzione», ossia un ricorso da inoltrarsi nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che rigetta l'opposizione o dalla sua comunicazione, se si tratta di sentenza d'appello (art. 627 c.p.c.). Estinzione del processo esecutivo Anche l'istituto dell'estinzione del processo esecutivo, così come quello della sospensione, è stato configurato dal legislatore secondo uno schema analogo a quello proprio del medesimo istituto nel processo di cognizione, senza però tenere conto della profonda differenza tra i due processi. Due sono le ragioni che portano all'estinzione del processo esecutivo. La prima è la rinuncia, da effettuarsi personalmente dal creditore procedente e dai creditori intervenuti: se la rinuncia interviene prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, devono rinunciare, oltre al creditore, i soli intervenienti muniti di titolo esecutivo; se la rinuncia interviene successivamente, devono rinunciare tutti i creditori (art. 629 co. 1 e 2 c.p.c.). Per quel che concerne le modalità di rinuncia si rinvia, in quanto applicabile, all'art. 306 c.p.c., ossia alla disposizione che regola la rinuncia nel processo di cognizione37. La seconda delle ragioni che portano all'estinzione del processo esecutivo è l'inattività delle 36 Tale indicazione sembrerebbe limitare questo meccanismo alla sola espropriazione immobiliare, ma ciò contrasterebbe con il principio di ragionevolezza. 37 Dichiarazione orale in udienza o atto sottoscritto dalla parte personalmente o da procuratore speciale notificato alle altre parti. parti, che si verifica o per il difetto di atti d'impulso nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice (prosecuzione o riassunzione) oppure per mancata comparizione all'udienza, secondo il meccanismo che l'art. 631 c.p.c. configura in modo analogo a quello col quale opera l'art. 309 c.p.c. nel processo di cognizione: se nessuna delle parti si presenta ad un'udienza, esclusa quella di vendita, il giudice dell'esecuzione fissa una nuova udienza, di cui è data comunicazione alle parti ad opera del cancelliere; se neppure all'udienza così fissata compare alcuna delle parti, il giudice dichiara con ordinanza l'estinzione del processo esecutivo. Contro tale ordinanza è ammesso reclamo ad opera del debitore e\o dei creditori entro venti giorni, con le forme di cui all'art. 178 co. 3, 4 e 5 c.p.c.; sul reclamo decide il collegio con sentenza appellabile ai sensi dell'art. 130 disp. att. c.p.c. L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice dell'esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa38 (art. 630 co. 2 c.p.c.); la stessa ordinanza dispone sempre la cancellazione della trascrizione del pignoramento, quando vi è stato (art. 632 co. 1 c.p.c.). Tale udienza potrebbe non essere prevista ed il giudice potrebbe fissarla, su istanza della parte interessata, proprio al fine di dichiarare l'estinzione; che se poi tale udienza si svolgesse senza che né il giudice né alcuna delle parti rilevi o eccepisca l'avvenuta estinzione, dovrebbe considerarsi intervenuto il superamento della ragione di estinzione, con un implicito accordo di prosecuzione del processo non ancora dichiarato estinto. L'ordinanza di estinzione è comunicata a cura del cancelliere, se è pronunciata fuori dell'udienza. Per quel che concerne gli effetti dell'estinzione, essa arresta la serie degli atti processuali rendendoli del tutto inoperanti se ed in quanto non abbiano già dato luogo a situazioni sostanziali nuove. Così, se l'estinzione si verifica prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, tutti gli atti compiuti in precedenza divengono inefficaci ed il processo esecutivo non produce, in pratica, alcuna conseguenza. Se, invece, l'estinzione avviene dopo l'aggiudicazione o l'assegnazione, le conseguenze di questi atti sono ormai intangibili ma la somma ricavata va restituita al debitore (art. 632 co. 2 c.p.c.). Le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate (artt. 632 co. 4 e 310 co. 4 c.p.c.). Se quando si verifica l'estinzione pendono opposizioni, occorre distinguere a seconda che si tratti di contestazioni sul «come» o sul «se» dell'esecuzione. Nel primo caso, il giudizio si svuota della materia del contendere; nel secondo caso, invece, il giudizio in corso investe, con autonomia, i rapporti tra creditore, debitore ed eventualmente un terzo. 38 Tale udienza potrebbe non essere prevista ed il giudice potrebbe fissarla, su istanza della parte interessata, proprio al fine di dichiarare l'estinzione.
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