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Diritto Processuale Civile - Riassunto, Appunti di Diritto Processuale Civile

Diritto Processuale Civile - Riassunto

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 29/12/2021

ale467
ale467 🇮🇹

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Scarica Diritto Processuale Civile - Riassunto e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Riassunto DIRITTO PROCESSUALE CIVILE GLI ATTI PROCESSUALI CIVILI Allorquando si parla degli atti processuali civili, i punti di maggiore rilievo in tale ambito sono: Individuazione e identificazione degli atti processuali; * Caratteri tipici degli atti processuali (punto importante perché li distingue dagli altri atti giuridici); Classificazione degli atti processuali; Tempo inteso come lasso temporale per il loro compimento; Effetti degli atti processuali; Disciplina della invalidità degli atti stessi. INDIVIDUAZIONE ED IDENTIFICAZIONE DEGLI ATTI PROCESSUALI. L’atto processuale è quello che ha come effetto la costituzione, lo svolgimento, la modifica o l’estinzione del rapporto giuridico processuale. Dunque possiamo ben affermare che l’atto è quell’elemento che, posto in essere, configura il raggiungimento delle tappe del processo stesso, infatti tale elemento, che si configura appunto con l’atto, corrisponde alla sua tipica e specifica funzione. In definitiva un atto è processuale in quanto è inserito in un processo. Il concetto di atto appare strettamente collegato al concetto di processo, il quale (processo) è definito come una serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione del giudice, ciascuno dei quali, validamente compiuti, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo ed al contempo, è esso stesso realizzato in adempimento del dovere posto dal suo antecedente. In sintesi gli atti posti in essere validamente sono indirizzati al raggiungimento di una meta definitiva, cioè la pronuncia del giudice la quale determina la fine della controversia proprio perché si perviene ad un giudizio (processus judicii). I CARATTERI TIPICI DEGLI ATTI PROCESSUALI. L’atto è un mezzo per il conseguimento di un risultato predeterminato dal legislatore, e più in generale, dall’ordinamento giuridico. Da ciò noi ricaviamo il primo elemento importate per identificare i caratteri tipici, cioè la volontà del soggetto agente. Il punto nodale è che tale atto venga compiuto volontariamente, i suoi effetti sono prestabiliti dal legislatore nell’ambito del processo. Importante da dire è che tali effetti non sono disponibili dalle parti, infatti l’atto processuale non può considerarsi come espressione di autonomia negoziale, poiché lo scopo prefissato dalle parti è, quasi del tutto, irrilevante (se non da un punto di vista strettamente processuale, e non per l’appunto negoziale fine a se stesso). In sintesi allorquando si parla di scopo dell’atto processuale, tale definizione si identifica (pensiamo alla disciplina della “FORMA” art 121 cpc o delle “NULLITA’” art 156 cpc) nella funzione tipica e oggettiva dell’atto processuale, dunque lo scopo dell’atto processuale è quello di essere inteso come elemento oggettivamente funzionale al conseguimento del processo stesso. La volontà degli effetti non va confusa con la VOLONTARIETA’ del compimento dell’atto. Per la legge è importante che tale elemento, se pur in minima presenza, sussista appunto la volontà di compiere l’atto da parte del suo autore. In tale ambito, quindi, il legislatore impone i requisiti di forma, per la validità dell’atto, forma che appare strettamente funzionale per lo svolgimento tipico della funzione dell’atto stesso, cioè per il conseguimento del suo scopo. L’osservanza di tali forme, più o meno rigide, garantisce la volontà di compiere l’atto e la riferibiltà del suo autore, dunque l’essersi adeguato alle forme del processo è sintomo del fatto che un soggetto determinato abbia voluto porre in essere un atto determinato. In sintesi la volontà viene interamente assorbita dalla forma. In ambito di atti processuali da sottolineare la presenza di due Principi fondamentali: * Principio di Tassatività o legalità delle forme: ciò significa che i modelli dei principali atti del processo sono tassativamente predisposti per legge (es. la Citazione, Comparsa di risposta, Sentenza, Ordinanza e Decreto). Dunque in osservanza dell’art 121 cpc solo al di fuori dei casi stabiliti dalla legge, gli atti processuali possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento dello loro scopo, * Principio di Strumentalità delle forme: inteso che il rispetto delle forme è sempre in funzione di un determinato scopo (o risultato pratico), da ciò si evince che se tale scopo risulta comunque raggiunto nel processo, l’eventuale vizio di forma perde qualsiasi rilevanza. legittima il creditore, in caso di persistente inadempimento, a procedere ad esecuzione forzata sul patrimonio del debitore, ed assicurare dunque la soddisfazione dell’interesse creditorio. La sentenza ha come proprio carattere la irrevocabilità da parte del giudice che l’ha emessa. Essa diviene perfetta, e quindi irrevocabile, attraverso il deposito presso la cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Tale sentenza può essere rimossa solo mediante il ricorso ai mezzi di impugnazione e da un organo giudiziale che ha una composizione collegiale, e non già monocratica. Nel contenuto della sentenza troviamo, innanzitutto la dicitura “in nome del popolo italiano” con l’intestazione “Repubblica Italiana” e, oltre ai requisiti formali previsti dall’art 132 n. 1, 2 e 3 cpc, due elementi fondamentali la Motivazione la quale indica le ragioni di fatto e di diritto che giustificano il dispositivo, e il l’altro elemento fondamentale è il Dispositivo in esso troviamo la specifica e concreta decisione del giudice sulla domanda o sulla parte di essa (c.d. questioni di rito). La L.69/2009 ha modificato l’art. 132 cpc sostituendo la dicitura “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto ed in diritto”, l’ha sostituita in “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. A completamento di ciò il nuovo comma 1° dell’art. 118 delle disp. Att. Stabilisce che “la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 cpc 2° comma num. 4 consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”. Tale riforma mira a ridurre il contenuto espositivo e motivazionale della sentenza, la quale nel rispetto dell’art 111 Cost. deve contenere l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, cioè la motivazione, essendo la sentenza un provvedimento giurisdizionale. =» ORDINANZA: è un provvedimento che non ha, solitamente, carattere decisorio, ma contenuto ordinatorio o istruttorio. Esso è quel provvedimento del giudice predisposto al fine di istruire il processo e di ordinarne lo svolgimento e nonché in 5 base a quanto introdotto dalla Legge 69/2009 per emettere decisioni limitate alle questioni di competenza. Dunque possiamo definire molto elastico ed adattabile alle circostanze ed esigenze che si possono profilare durante il processo. Non tutte le ordinanze sono modificabili e revocabili, infatti in questo ambito la legge prevede delle eccezioni. I caratteri di modificabilità e revocabilità riguardano le ordinanze pronunciate nella fase istruttoria del processo di cognizione. Come anticipato le ordinanze talvolta possono avere carattere “decisorio” in queste circostanze tale carattere prevale sulla forma, il che riverbera ai fini della loro impugnabilità giacché se non sono impugnabili o assorbite dalla sentenza che chiude il giudizio (come ad esempio le ordinanze anticipatorie di condanna) sono impugnabili in Cassazione (art 111 Cost. e art 360 ult. Comma introdotto dal dlgs 40/2006); =» DECRETO: esso è un provvedimento che non presenta caratteri tipici ed assolve a varie funzioni sovente di carattere amministrativo e collaterale al processo vero e proprio. Un breve accenno ai Decreti nei procedimenti speciali che hanno contenuto e funzioni decisorie come la sentenza; in tale ambito esso non potrà essere modificato né revocato, se non con l'osservanza del procedimento predisposto dalla legge. Il decreto non presuppone necessariamente il contraddittorio, elemento con lo contraddistingue dall’altro provvedimento che invece prevede l’instaurazione del contraddittorio prima della sua emanazione, cioè l’ordinanza. 3. Atti di altri soggetti ed organi: essi sono rappresentati dagli atti che vengono posti in essere dagli “ausiliari del giudice” nell’ambito delle rispettive competenze. Tali figure sono: il Cancelliere, l’Ufficiale Giudiziario, il Custode, il Consulente Tecnico. Il cancelliere svolge funzioni di documentazione dell’attività proprie e di quelle degli organi giudiziari e delle parti, infatti per queste ragioni viene anche definito “il notaio del processo”, in aggiunta a questa documentazione competono, sempre al cancelliere, altre attività come le comunicazioni e le notificazioni prescritte dalla legge o disposte dal giudice. L’Ufficiale giudiziario è l’organo che esegue le notificazioni e compie gli atti del processo esecutivo (es. il pignoramento; consegna di cose mobili; rilascio di immobili; esecuzione forzata di obbligo di fare e di non fare). IL TEMPO PER IL COMPIMENTO DEGLI ATTI. L’art. 152 cpc sancisce che “i termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge, possono essere stabiliti dal giudice solo se la legge lo permette espressamente. I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari perentori”. Dunque dal contenuto di questo articolo si evince che i termini possono essere legali o processuali, nel primo caso si definiscono così quelli stabiliti per legge, nel secondo caso sono quelli indicati dal giudice. Distinguiamo ancora diversi termini in: * TERMINI ESTRINSECI o ACCIDENTALI, quando stanno ad indicare il periodo di tempo (ore, giorni, mesi ed anni) entro i quali un determinato atto del processo deve essere compiuto; *. TERMINI INTRINSECI o NATURALI; *. TERMINI PERENTORI, tali termini hanno una pluralità di caratteristica: o La perentorietà deve essere riconosciuta dalla legge; o La loro inosservanza determina la decadenza del soggetto dal potere di compiere l’atto processuale; o non sono prorogabili (anche se le parti chiedono, concordatamene l’abbreviazione e la proroga — art 153 cpc — ). La Legge 69/2009 prevede la rimessione nei termini , pertanto l’atto definito “tardivo”, cioè posto in essere dopo la scadenza del termine perentorio, ed in assenza di un provvedimento di rimessione, è NULLO. In ottemperanza del Principio sul Giusto Processo (art 111 Cost. ) non può essere pronunciata una decadenza a carico della parte se non è causata da un fatto ad essa imputabile. Come già esposto sopra l’art 153 cpc è stato arricchito di un secondo comma (apportato dalla legge 69/2009) il quale stabilisce che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”. Tale rimessione però non è automatica, infatti l’art. 294 comma 2 e 3 stabiliscono che essa è subordinata alla valutazione del giudice in merito alla verosimiglianza dei fatti allegati, il quale se deciderà in positivo lo farà con ordinanza. Resta salva l’ipotesi che “quando occorre” il giudice potrebbe, altresì, chiedere l’espletamento della prova dell’impedimento. 2) soggetta ad appello o già impugnata innanzi al giudice di appello “è provvisoriamente esecutiva tra le parti”, al contrario l’art 324 sancisce che “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per cassazione per i motivi individuati ai numeri 4 e 5 art. 395 cpc (rispettivamente 4. se la sentenza è il risultato di un errore di fatto risultante dagli atti o da documenti della causa, dunque vi è errore se la decisione è fondata dalla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o allorquando è supposta l’esistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno o nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; rispettivamente 5. se la sentenza è contraria ad una precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione). Cosa giudicata. La cosa giudicata si ha ogni qual volta la sentenza diviene irretrattabile perché non più soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, cioè appello, ricorso per cassazione e revocazione ordinaria. Quando il giudice emette la decisione, egli emette la regola del caso concreto partendo dalla fattispecie astratta: partendo da ciò, Andrioli ci da una definizione di cosa giudicata come ciò che tronca il nesso che collega la norma con la fattispecie concreta sostituendosi a quella (La norma) nella disciplina di questa. La cosa giudicata si può distinguere in cosa giudicata formale e sostanziale; la prima è la cosa giudicata valutata all’interno del processo come fenomeno processuale dell’irretrattabilità della statuizione, con riferimento all’art 324 (giudicato formale) e all’impossibilità di esperire i mezzi di impugnazione ordinaria verso la sentenza passata in giudicato. La cosa giudicata sostanziale si riferisce invece all’efficacia che la sentenza passata in giudicato esplicita all’esterno del processo, cioè all’irretrattabilità della statuizione come intervenuta sul diritto; non è un fenomeno processuale ma la regola del caso concreto. La maggioranza della dottrina ritiene che le sentenze che possono passare in giudicato sostanziale sono solo quelle che hanno deciso sul merito, quindi in linea di principio le sentenze di rito non potrebbero passare in giudicato sostanziale, perché non si ha con questo tipo di sentenze una statuizione concreta sul diritto che diviene irretrattabile. Una dottrina minoritaria, in particolare Liedman, ritiene invece che alcuni tipi di sentenze di rito possano avere una efficacia anche esterna, cioè sostanziale oltre che interna: si tratterebbe di quelle sentenze che hanno statuito su domande in relazione 10 al processo. Per esempio una sentenza di rito che abbia statuito sulle condizioni dell’azione in realtà ha deciso sull’esistenza del diritto a proporre l’azione e quindi su un diritto: ecco come non possa essere considerata come mera sentenza di rito che non statuisce sul diritto e non è dunque suscettibile di passare in giudicato sostanziale. Altra distinzione si pone fra giudicato esplicito e giudicato implicito. Il primo è quello formatosi sul dispositivo, quindi è la regola, la statuizione data dal giudice senza considerare la motivazione; il secondo è quello relativo alle motivazioni, cioè relativo alle questioni che il giudice ha affrontato per arrivare alla soluzione finale. Distinguiamo poi fra giudicato esterno ed interno. Il primo è quello che può esplicare efficacia all’esterno del processo, il secondo è quello che estrinseca la sua efficacia solo all’interno del processo, come il giudicato che si forma per acquiescenza parziale. Il giudicato interno ha un contenuto più ampio rispetto a quello del giudicato esterno perché si può formare anche sui meri fatti; in generale hanno efficacia di giudicato interno tutte le statuizioni del giudice sulle quali non si propone impugnazione e che dunque hanno efficacia all’interno del processo. LA NULLITA’ DEGLI ATTI PROCESSUALI. Quando si parla atto non valido, nullo e annullabile, ci si riferisce al fatto che determinate regole di diritto concernenti la struttura formale dell’atto non sono state ottemperate. Un atto è giuridico, proprio perché l’ordinamento ne fa scaturire effetti giuridici, cioè rilevanti nell’ambito del diritto (atto giuridico = fonte di effetti giuridici). Se si vuole che un determinato atto produca tali effetti, esso deve rispettare il modello fornito dalla norma, dunque laddove fosse assente la corrispondenza tra atto posto in essere e il modello astratto previsto dalla norma introdotta dal legislatore, tale atto sarà imperfetto e viziato proprio perché la struttura non rispetta quella prevista dalla legge. Si evince che l’atto imperfetto non può considerarsi valido, pertanto non produrrà gli effetti proprio di quell’atto. Infatti allorquando si parla di invalidità e nullità di un atto giuridico si fa riferimento a due aspetti fondamentali: = Difformità, tra l’atto concretamente posto in essere e la corrispondente struttura tracciata dal modello legale; = Imperfezione, ostacola il prodursi degli effetti che sono propri di quell’atto. 11 La legge, tra questi due elementi, opera una sorta di gradazione nello stabilire la produzione di effetti, infatti in alcuni casi si verificano delle nullità assolute ed insanabili (cioè totalmente ed irresistibilmente inidonee a produrre effetti), in altri casi riconosce una difformità meno grave, il caso dell’ annullabilità, tanto da essere sanati mediante sanatorie prontamente disposte dal legislatore, ma questo atto deve essere rimosso attraverso lo strumento dell’impugnazione da parte di chi vi abbia interesse, perché diversamente tale atto continuerebbe ad essere presente ed a produrre i suoi effetti. A completamento del discorso relativo all’invalidità, introduciamo anche la figura dell’inesistenza giuridica, la quale è rappresentata da quell’atto che manca di quel minimo di elementi idonei a conferirgli la semplice parvenza di atto giuridico. In conclusione vista la contraddittorietà della definizione di “atto inesistente” ci porta a ridimensionare l’elenco delle invalidità stabilendo che nel suddetto rientrino solamente la nullità e l’invalidità. Nell'ambito delle nullità distinguiamo: o NULLITA’ GENERALI art. 156 cpc o NULLITA’ SPECIALI art. 160 e 164 cpc Distinzione che appare importante da un punto di vista della rilevanza o irrilevanza dell’atto, e dunque la “processualità” degli stessi. Il rispetto dei requisiti formali determina la rilevanza dello stesso atto, atto che ha una funzione tipica prevista per legge. In conclusione l’atto posto in essere in modo conforme al modello legale non solo riverbera la volontarietà del suo compimento ma altresì permette all’atto di conseguire il suo scopo ultimo, cioè quello di essere preso in considerazione dal giudice per prendere una decisione. Tale discorso non lo si può far valere per quelle nullità di tipo assoluto, ma allorquando ci troviamo dinanzi a tutte quelle nullità, che malgrado verificatesi permettono comunque all’atto di raggiungere lo scopo, l’atto è comunque rilevante perché, raggiunto per l’appunto lo scopo, si dice che “si sana” e ciò comporta la preclusione per la parte interessata di eccepire e rilevare per il giudice e dichiarare la nullità. LE CAUSE DI NULLITA? ART. 156 CPC Di seguito l’elenco delle cause di nullità dell’atto processuale: 12 ANALISI DELLE DISPOSIZIONI POSITIVE IN MATERIE DI NULLITA?”. RILEVANZA DI NULLITA?. Circa la rilevanza delle nullità dobbiamo analizzare l’art 156 cpc rubricato in tal senso. Da subito è necessario sottolineare che non tutti i vizi degli atti processuali impongono una declaratoria di nullità e che tali vizi devono essere presi in considerazione in quanto rilevino nel processo, e incidano sul suo svolgimento. A. al 1° comma rileviamo il PRINCIPIO DI TASSATIVITA? delle nullità, la quale non appare come regola assoluta e trova un correttivo nella incidenza dell’elemento dello scopo; B. lo scopo dell’atto viene in evidenza come criterio per ampliare ma altresì per restringere l’ambito delle nullità, dunque distinguiamo: I. lo ampia in quanto commina la nullità quando, pur in assenza di una espressa prescrizione di nullità si manifesti inidoneo all’esercizio della funzione tipica riconosciutagli dalla legge; II. il criterio dello scopo restringe l’ambito delle nullità in quanto ci sia o no una espressa comminatoria di nullità, se lo scopo in concreto è stato raggiunto (PRINCIPIO DI SANABILITA” PER RAGGIUNGIMENTO DELLO SCOPO) la nullità perde rilevanza e si deve intendere pertanto sanata. Tale principio si applica non solo ai casi di nullità ma, altresì, a tutte le figure di invalidità diverse dalla nullità dunque anche ai casi di inammissibilità e improcedibilità. La sanatoria per il raggiungimento dello scopo ha carattere generale e investe anche, per analogia, tutti gli atti amministrativi ed anche gli atti amministrativi di imposizione tributaria. IMPO Gli effetti di un atto sanato si considerano prodotto ex nunc, cioè dal momento de l’atto risulta essere sanato (ex nunc = non retroattivo — ex tunc = retroattivo). 15 RILEVABILITA’ E SANATORIA DELLA NULLITA». I LIMITI SOGGETTIVI. Da rivedere perché il paragrafo del libro non è chiarissimo I LIMITI OGGETTIVI DELLA NULLITA?. L’art 159 “estensione delle nullità” ci riporta al Principio di conservazione dell’atto processuale fissando diversi punti importanti: la nullità dell’atto non comporta la nullità degli atti precedenti né di quelli successivi, che non siano al primo conseguenti o connessi (Principio di conservazione esterna). Dunque da ciò si evince che la dottrina prevalente ritiene che la nullità di un atto non comporta la nullità degli atti precedenti né di quelli successivi INDIPENDENTI da quello nullo (NB in ipotesi eccezionali la nullità può operare in senso inverso, vale a dire se la nullità dell’atto successivo frustra il raggiungimento dell’atto anteriore). Per intenderci, l’atto nullo inficerà quello successivo solo laddove i due (o più atti) fossero tra loro dipendenti o il primo fosse propulsivo a quelli successivi; la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne siano indipendenti (Principio di conservazione interna). Questo concerne sia quegli atti che sembrano apparentemente unici (esempio la procura posta a margine o in calce all’atto di citazione), sia quegli atti unici nella forma e nella sostanza ma sono frazionabili (esempio all’atto di citazione, in cui sono chiaramente distinguibili i requisiti differenti alla vocatio in ius e quelli relativi alla edictio actionis); se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo (Principio di conversione) (esempio: pensiamo alla domanda di revocazione di un decreto ingiuntivo non opposto emesso dal giudice di pace va introdotta con atto di citazione e non con ricorso, in merito alla tempestività della sua presentazione è necessario avere riguardo alla data di notificazione della citazione stessa (ovvero del ricorso) ove esistano i presupposti per la sua conversione in citazione e 16 sempre che esso risulti notificato unitamente al decreto contenente l’indicazione della data di comparizione), (altro esempio il regolamento di competenza che si converte in ricorso ordinario per cassazione e viceversa). Le nullità per i vizi relativi alla costituzione del giudice e dell’intervento del pubblico ministero. Con riferimento ai vizi relativi della costituzione del giudice, trovano applicazione tutte quelle ipotesi di inosservanza delle norme del codice di rito, che non incidono sulla legittimazione del giudice ad esercitare il suo magistero, perché in questi casi si potrebbero esperire le garanzie processuali legate all’ Astensione ed alla Ricusazione. Secondo la giurisprudenza si può parlare di nullità di costituzione del giudice solo allorquando gli atti giudiziali sono posti in essere da persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata (esempio: nullità della sentenza di merito deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso, in uno o più componenti, da quello che ha assistito alla discussione della causa o, se discussione non vi è stata, diverso da quello innanzi al quale sono state precisate le conclusioni). Ricorre la nullità per vizio relativo all’intervento del pubblico ministero quando la sentenza è stata pronunciata senza che questi abbia partecipato al giudizio, nei casi in cui il suo intervento fosse obbligatorio a pena di nullità (art 70 comma 1 cpc), ciò infatti comporterebbe una violazione delle norme sull’integrità del contraddittorio, con la conseguenza che, se tale vizio fosse rilevato in appello, si dovrebbe disporre la rimessione della causa al primo giudice (art 354 cpc). In questi casi bisogna precisare che il mancato intervento del PM riguarda la sola sentenza a norma dell’art 158 cpc ma non si estende agli atti anteriori alla deliberazione della stessa, validamente formatasi anche senza la partecipazione del PM posto che ai fini di tale partecipazione è sufficiente che egli spieghi intervento all’udienza di discussione innanzi al collegio. NULLITA’ DELLA SENTENZA E MEZZI DI IMPUGNAZIONE. 17 la rinnovazione della stessa pubblicazione da parte dello stesso organo il quale, pronunciata sentenza, perde la sua funzione giurisdizionale. Dunque tale nullità va accertata e dichiarata in sede di impugnazione, ne consegue rimessione della causa al medesimo organo che ha accertato la decisione carente di sottoscrizione. A questa ipotesi si affianca, altresì, l’ipotesi di sentenza emessa dal giudice ormai trasferito ad altro ufficio giudiziario (la cd sentenza che proviene a non judice). L’art 161 comma 2 cpc in merito di atto non sottoscritto dal giudice, parla di inesistenza, per differenziare il regime giuridico della “nullità per difetto di sottoscrizione” che, in questa ultima ipotesi, sopravvive al passaggio in giudicato della sentenza stessa. Infatti all’art 161 comma 2 cpc non si consente alla sentenza di produrre i suoi effetti anche in modo precario, non è sanabile, e tale vizio potrà essere fatto valere senza limiti di tempo, con un’autonoma actio nullitatis con l'apposizione all'esecuzione ed anche in via di mera eccezione. Dunque secondo la dottrina prevalente, ma anche la giurisprudenza sembra essersi schierata a favore di questa tesi, individua l’inesistenza a categoria generale nella quale confluiscono tutti i vizi che , pur non espressamente previsti dal legislatore, siano talmente gravi da impedire il passaggio in giudicato della sentenza. Vengono ricondotte alla categoria di inesistenza: = la sentenza resa nei confronti di un soggetto inesistente o deceduto prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio; = la sentenza priva di dispositivo o dal dispositivo incerto, contraddittorio, incomprensibile o impossibile; =» ipotesi su cui vi è assoluta concordia, la sentenza pronunciata a non judice. In merito all’ambito di applicazione e regime giuridico dell’inesistenza la giurisprudenza ha precisato: o è configurabile come inesistenza, altresì, nei casi in cui la sentenza difetti di quel minimo di elementi e presupposti indispensabili per produrre l’effetto di certezza giuridica, che è lo scopo del giudicato (oltre all’ipotesi dell’art 161 cpc, di mancanza di sottoscrizione della sentenza); o tale inesistenza va rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo con una autonoma azione di accertamento non soggetta a termini di prescrizione o decadenza, o con un’eccezione ad altresì in sede di opposizione all'esecuzione; 20 o allorquando l’inesistenza è stata fatta valere con gli ordinari mezzi di impugnazione, il giudice, diversamente da quanto accade per i vizi che comportano nullità, dichiara l'inesistenza della sentenza, deve rimettere le parti nel grado in cui tale radicale vizio si sia verificato, venendo in tale ipotesi, consentita, a differenza dell’ipotesi di esperimento dell’actio nullitatis, la continuazione del giudizio, con la pronuncia di una decisione di merito, nell’ambito dello stesso processo. LA RINNOVAZIONE DEGLI ATTI NULLI. Art 162 cpc “il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende”. Tale disposizione ha un portata generale e di conseguenza si applicherà a tutti gli atti, compresi quelli “propulsivi o necessari”. Pensiamo alla pronuncia della nullità dell’Atto Introduttivo al processo, nullità che va pronunciata per evitare che, la non pronuncia, da esso possa conseguirne un effetto virale a tutti gli atti seguenti. Sempre in ambito di difetti della vocatio in ius nel rito del lavoro (mancato rispetto del termine di comparizione, omissione o incertezza sull’udienza di discussione) che non comportano nullità del ricorso ai sensi dell’art. 159 comma 1 cpc, e così in ogni ipotesi in cui sussistano dubbi sull’applicabilità dell’art 291 cpc. In ambito della rinnovazione degli atti nulli deve essere ricondotta la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art 182 modificato dall’art 46 comma 2 Legge 69/2009. Tale disposizione attribuisce al giudice un potere che egli deve esercitare non solo ex officio e quindi senza la necessità di ogni istanza di parte, ma anche senza essere condizionato dalla esistenza e dalla dimostrazione di una causa non imputabile alla parte. Il contenuto del novellato comma 2 dell’art 182 stabilisce che il giudice, allorquando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza e di autorizzazione o una nullità della procura alle liti, assegna ex officio alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, o per la rinnovazione della stessa, se invalida. L’impossibilità di disporre la rinnovazione può essere: = materiale: esempio nella rinnovazione di una prova testimoniale per l’intervenuto decesso del teste, o per l’intervenuto mutamento dei luoghi nella ispezione; =. giuridica: esempio a causa di una intervenuta decadenza. 21 In merito ai rapporti tra l’atto nullo e l’atto rinnovato da sottolineare che l’intervenuto rinnovazione dell’atto nullo consente sia la conservazione degli effetti eventualmente già raggiunti dall’atto irritualmente posto in essere, sia il perseguimento degli ulteriori effetti originariamente impedita dal vizio. Dunque si realizza ciò che accade quando si profila una situazione di sanatoria della nullità. In sintesi gli effetti di tale atto rinnovato si considerano formati ex tunc, cioè in modo retroattivo, con la retrodatazione di tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda al momento della prima notificazione (ciò in ottemperanza di quanto stabilisce la giurisprudenza che esclude la possibilità di rinnovazione dell’atto quando al momento della pronuncia di nullità è scaduto il termine perentorio (o comunque a pena di preclusione) entro cui compiere l’atto. In conclusione una specificazione da fare è che l’attività del giudice, in sede di pronuncia di nullità, si traduce in un'attività discrezionale, ed insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici (si pensi al giudizio sul raggiungimento dello scopo o al giudizio di impossibilità materiale di disporre la rinnovazione dell’atto nullo). LE NOTIFICAZIONI LE NOTIFICAZIONI IN GENERALE. È uno strumento processuale attraverso il quale si comunica ad una parte del processo, che si sta (o si deve) compiere un atto od una attività. Le notificazioni sono, dunque, una sequenza di atti posti in essere da diversi soggetti. Tali procedure sono finalizzate a realizzare la trasmissione e notificazione legale dell’atto processuale verso un soggetto predeterminato. L’atto può essere: 1. di parte (istanza) che determina il sorgere e giuda lo svolgimento; 2. dell’ufficiale giudiziario e degli altri soggetti (ufficiale postale assegnatario), i quali n modo gradualmente diverso cooperano al raggiungimento dello scopo. Da chiedersi, quando si intende perfezionata la notificazione? La risposta ci è stata data con sentenza emessa nel 2004 dalla Cassazione la quale ha stabilito “il principio secondo cui il momento della notificazione si perfeziona per l’istante (cioè colui che trasmette l’atto) deve essere distinto da quello in cui si perfeziona per il destinatario, differenziazione meramente cronologica, visto che in ogni caso la produzione degli 22 L’osservanza della norma rientra nella piena disponibilità del consegnatario, che risulta essere l’unico ad esigere il rispetto e rifiutare, legittimamente, di accettare l’atto (rifiuto che non può determinare gli effetti previsti dall’art 138.2 cpc e art 140 cpc) costringendo l’ufficiale giudiziario a ripetere l’operazione. Viceversa, qualora il consegnatario dovesse accettare la consegna dell’atto fuori orario, sarà superato quanto prevede la norma, ma sarà preclusa da parte del consegnatario stesso la manifestazione di una sua doglianza. CONSEGNA DELL’ATTO A MANI DEL CONSEGNATARIO. La consegna dell’atto ad personam è identificativo del momento in cui la notificazione si perfeziona, procedura che, tra l’altro, determina l'immediata presa di conoscenza che l’atto è stato ricevuto dal destinatario. Quest'ultimo non può, legittimamente, rifiutare la copia dell’atto quando questa venga consegnata a lui personalmente. In caso di rifiuto l’art. 138.2 cpc stabilisce che la notificazione si considera fatta in mani proprie (salvo quanto detto sopra, non si applica in caso di consegna fuori dal tempo stabilito dal codice di rito ore 07:00/21:00). Competerà all’ufficiale giudiziario ricercare dapprima presso l’abitazione del destinatario e solo laddove non sia possibile o il destinatario stesso non venga rinvenuto, potrà eseguire la notificazione ovunque lo trovi. L’art 138.1 cpc deve essere coordinato al disposto dell’art 139 cpc nel senso che, in forza del primo, la notificazione può essere effettuata nelle mani proprie del destinatario, per l’art. 139 è sufficiente che venga rintracciato anche un uno dei luoghi dove si dovrebbe svolgere la sua vita e la sua attività (casa di abitazione, ufficio o locali dell’azienda, disposti dalla legge, alternativamente) perché diventi possibile l'esecuzione della notificazione attraverso consegna della copia ad altri soggetti. MODI DI INDIVIDUAZIONE DEL DESTINATARIO. I criteri stabiliti dalla legge per poter individuare il soggetto al quale consegnare la copia dell’atto si possono così riassumere: A. V’art 141 cpc si presenta come norma speciale il cui ambito di applicabilità è limitato agli atti del processo civile (rispetto alla norma generale dell’art 47 cc rubricato, appunto, “elezione di domicilio” stabilendo: si può eleggere domicilio speciale per determinati atti 25 o affari. Questa elezione deve farsi espressamente per iscritto”). Dunque l’elezione di domicilio speciale per determinati affari e la specialità della norma appare in continuità della natura dell’affare che in realtà è una controversia giudiziaria. Dall’art 141 cpc si evince la facoltà, legittima, di elezione di domicilio, la quale però diventa obbligatoria se tale elezione è inserita in un contratto e che l’obbligatorietà di tale notifica sia espressamente “dichiarata”; B. nell’ipotesi in cui non fosse eletto, volontariamente, un domicilio si fa ricorso ai criteri legali che impongono tre condizioni per l’individuazione: 1. la prima condizione impone che il consegnatario venga ricercato nella sede del destinatario, sede che il soggetto istante ha l’onere di indicare (l’ordine da seguire per la ricerca: residenza, dimora e, in ultimo, domicilio; essi sono alternativi rispetto alla casa di abitazione ed ai luoghi in cui il destinatario ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio. La notificazione può essere effettuata nel territorio del comune di dimora del destinatario, solo laddove fosse ignoto il comune di residenza, in ultimo sarà operata nel comune di domicilio qualora fossero ignoti sia residenza che dimora. Tale alternatività soggiace al mancato reperimento di quelli che sono i luoghi deputati per il ricevimento dell’atto da notificare; 2. la seconda condizione si determina mediante l’individuazione, dei luoghi sopra indicati, di una persona che si trovi in un rapporto determinato con il destinatario, con riferimento a tre categorie di soggetti: e personadi famiglia o addetta alla casa, all’ufficio, o all'azienda; * portiere dello stabile, anche se condominiale, dove sono situati l’abitazione, l’ufficio o l'azienda; e. vicino di casa. 3. la terza condizione è che vengano predisposte due garanzie prevista dal codice di rito a favore del destinatario nelle ipotesi in cui l’atto fosse consegnato al portiere o al vicino: o sottoscrizione tali soggetti devono apporre non sull’originale ma su una apposita ricevuta, se accettano di ricevere la copia; ? Per la notificazione degli atti nella residenza, nella dimora o nel domicilio. Chi ha eletto domicilio può essere convenuto davanti al giudice del domicilio stesso 26 Cc. o invio al destinatario, nelle forme della corrispondenza raccomandata, di un avviso contenente la comunicazione dell’avvenuta notifica. Tale momento è meramente integrativo ed è irrilevante ai fini del perfezionamento della notificazione. L’art 139.5 cpc e art 146 cpc prevede forme particolari per la consegna dell’atto per le ipotesi in cui il destinatario si trovi in condizioni eccezionali (pensiamo chi vive abitualmente a bordo di una nave mercantile, o essere militare in attività di servizio). Nella prima ipotesi, art 139.5 cpc, è prevista una forma meramente facoltativa di notificazione che individua tra i possibili consegnatari dell’atto diretto a chi vive abitualmente a bordo di una nave mercantile: al capitano della nave o a chi ne fa le veci. Nella seconda ipotesi, art 146 cpc, militari in attività di servizio (sia quelli in servizio permanente in servizio, sia i militari in mobilitazione, i volontari, anche se caduti prigionieri, e gli appartenenti ai corpi militarizzati di polizia), è prevista in questa ipotesi una forma necessaria la quale prevede che le operazioni di notifica devono essere integrate con la consegna di un ulteriore copia al PM che ne cura il recapito al comandante del corpo al quale il militare appartiene. IRREPERIBILITA’, INCAPACITA’ E RIFIUTO DEL CONSEGNATARIO. Analizziamo il procedimento al verificarsi di due situazioni patologiche: > Irreperibilità: si verifica questa situazione allorquando, pur essendo noto il soggetto destinatario della notificazione non si conoscono, però, residenza, domicilio e dimora. Si deve trattare di ignoranza incolpevole non superabile con ricerche gravate sul soggetto istante dalla normale diligenza ma quando questa persista (nell’impossibilità di individuare un qualsiasi consegnatario) sarà sufficiente per la determinazione degli effetti della notificazione, il compimento di una formalità essenziale: il deposito di una Incapacità: in questa situazione si conoscono residenza, domicilio e dimora del destinatario ma si abbia difficoltà nell’individuare uno dei consegnatari previsti dall’art 139 cpc, effettuate le ricerche nessuno dei consegnatari trovati intende ricevere l’atto. Pensiamo che l’unico consegnatario, rintracciato, sia minore di 14 anni o comunque risulti incapace ictu oculi. Anche in questa circostanza è disposto il deposito di una 27 2. giurisdizione speciale: essa è regolata da leggi, appunto, “speciali”, che le attribuiscono la competenza a giudicare su determinati rapporti che in astratto spetterebbero al giudice ordinario. La Costituzione stabilisce il divieto di istituire nuovi giudici speciali al di fuori di quelli attualmente esistenti (art. 102, secondo comma). Tra i giudici speciali si menzionano: Tribunale superiore delle acque pubbliche, Corte dei Conti, Tribunale militare. Dai giudici speciali, bisogna differenziare le “sezioni specializzate” che appartengono alla giurisdizione ordinaria e si occupano soltanto di certe materie e/o soggetti (es. Tribunale dei minori, Sezione specializzate agrarie presso il Tribunale ordinario e le Corti d'Appello). Rientrano nella giurisdizione speciale, anche i giudici amministrativi, posti a tutela degli interessi legittimi del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione (i quali, di solito, trovano tutela attraverso un giudizio col quale i loro titolari possono ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo che lede tali interessi, con la conseguente possibilità di esercizio dell’azione risarcitoria). Nel rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, si evidenzia come abbia rilevanza, non tanto il fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione , quanto la natura della causa stessa. Pertanto, qualora la p.a. con i suoi atti violi diritti soggettivi, essa può essere convenuta davanti al giudice ordinario come qualsiasi altro soggetto giuridico. Attualmente, la regola generale è nel senso che contro la p.a. i diritti soggettivi possono essere fatti valere davanti al giudice ordinario. Mentre gli interessi legittimi possono essere fatti valere davanti a giudici speciali, quali sono i giudici amministrativi: in primo grado il Tribunale amministrativo regionale (T.A.R.), ed in secondo grado il Consiglio di Stato. GIURISDIZIONE ITALIANA E STRANIERA Altra distinzione rilevante è tra la giurisdizione italiana e straniera. Tale rapporto è regolato dalla legge 31 maggio 1995 n. 218 (che ha riformato il sistema italiano del diritto internazionale privato), con cui sono stati abrogati gli artt. 2, 3, 4 e 37, comma 2, del cpc. L’art. 2 c.p.c., sanciva “l’inderogabilità della giurisdizione italiana”; attualmente la legge n. 218, riconosce alle parti la possibilità di derogare la giurisdizione italiana in favore della straniera, ponendo però due condizioni alla base di questa possibilità: - una di forma, la deroga deve risultare da atto scritto; - una di contenuto, la causa deve vertere su diritti disponibili. 30 L’art. 3 c.p.c. (abrogato dall’art. 7 della legga n. 218), dettava la c.d. “irrilevanza della litispendenza straniera”, situazione che si verifica quando dinanzi al giudice italiano venga instaurata una causa con oggetto e titolo uguali a quella già in corso davanti al giudice straniero. Si rendeva, così, possibile lo svolgimento di due processi uguali con il pericolo di giudicati contrastanti. Oggi, invece, la litispendenza è rilevante qualora una parte la eccepisca innanzi ad un giudice italiano. Quest'ultimo dovrà sospendere il giudizio ove ritenga che il provvedimento possa produrre effetti per l’ordinamento italiano. IMPLI] L’art 7 della legge 218/1995 attribuisce, appunto, al giudice italiano il potere d sospendere il giudizio in corso innanzi a lui, allorquando sussistano le seguenti condizioni: 1. è necessario che sia eccepita da una delle parti la pendenza tra le stesse parti dinanzi ad un giudice straniero di domanda avente il medesimo titolo, pendenza che si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge; 2. occorre che il giudice italiano sia stato adito successivamente e cioè quando la domanda davanti al giudice straniero era già pendente; 3. bisogna che il giudice italiano ritenga che il provvedimento del giudice straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano. Dunque il giudice italiano valuterà se vi sono concrete possibilità che il giudizio straniero, preventivamente instaurato, si concluderà con un provvedimento che saà riconosciuto dal nostro ordinamento ai sensi dell’art 64 della legge 218/1995 rubricato “riconoscimento delle sentenze straniere”, infatti si tratta di operare una sorta di giudizio prognostico concernente la futura riconoscibilità della pronuncia straniera che verterà sui punti a, b, c ed f e non ai punti d e gi quali presuppongono la già avvenuta pronuncia della sentenza. Laddove sia disposta la sospensione, l’art 7 prevede espressamente due ipotesi di prosecuzione del giudizio: v se il giudice straniero declina la propria giurisdizione; v_ se il provvedimento straniero non è riconosciuto dall’ordinamento italiano, il giudizio in Italia prosegue, previa riassunzione ad istanza della parte interessata. Anteriormente alla citata legge n. 218/95, ai fini della determinazione della giurisdizione aveva rilevanza il luogo di cittadinanza del convenuto (soggetto passivo dell’azione, colui contro cui l’azione è proposta); ossia il potere di giudicare su una determinata controversia spettava al giudice italiano, soltanto nel caso in cui il convenuto avesse la “cittadinanza” italiana. In seguito all’entrata in vigore di detta legge (che ha abrogato l’art. 4 c.p.c.), 31 invece, dal criterio della cittadinanza, si è passati al criterio del domicilio o della residenza del convenuto. (“la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c.p.c. e degli altri casi in cui è prevista dalla legge”, art. 3 legge n. 218/1995). La qualità di straniero ha perciò, nel nuovo sistema, un rilievo solo marginale e residuale. A questa enunciazione di portata generale segue nello stesso art. 3, un esplicito richiamo ai criteri stabiliti con riguardo all'ambito comunitario, dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, con la conseguente applicazione dei suddetti criteri anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione (materia civile e commerciale), mentre rispetto alle altre materie, la giurisdizione sussiste anche in base a criteri stabiliti per la competenza per territorio; ossia, in queste “altre materie”, la giurisdizione sussiste in quanto sussiste la competenza per territorio. La legge 218/95 stabilisce le regole speciali informate al favor jurisdictionis per l’esercizio della giurisdizione italiana. Si tratta delle seguenti disposizioni: art 9 in materia di giurisdizione volontaria; art 22 in materia di scomparsa, assenza e morte presunta; * art 32 in materia di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio; art 37 in materia di filiazione; art 40 in materia di adozione; art 42 in materia di protezione dei minori; art 44 in materia di protezione degli incapaci maggiori di età; art 50 in materia successoria. Momento determinante della giurisdizione Criterio di ordine generale è quello enunciato dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione (come anche la competenza) si determinano con riguardo “alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, restando senza conseguenze gli eventuali mutamenti successivi (c.d. perpetuatio jurisdictionis). Non avendo, quindi, 32 soppressa dal d.lgs. n. 51/98, le cui funzioni sono passate al Tribunale in composizione monocratica (ossia costituito da un unico membro). Competenza per materia e per valore Ai sensi del primo comma dell’art. 7, disciplinante la competenza del Giudice di pace, questi è competente per le cause relative a beni mobili che abbiano un valore non superiore ad euro 5.000,00 (la legge parla esplicitamente di beni mobili, poiché le questioni riguardanti beni immobili, sono di competenza esclusiva del Tribunale). L'art. 7, comma secondo, riserva al Giudice di pace le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli o di natanti (ovviamente nei confronti sia dei danneggiati che delle società assicuratrici), nei limiti di euro 20.000,00 (oltre i quali la competenza è del Tribunale). Senza limiti di valore è invece l’attribuzione della competenza al Giudice di pace delle cause nelle materie elencate nell’art. 7, terzo comma, e cioè: * quelle relative ad opposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi; * quellerelative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case; * quellerelative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissione di fumo o di calore, esalazioni, rumori o scuotimenti che superino la normale tollerabilità (rapporti di buon vicinato); * la legge 69/2009 ha attribuito al giudice di pace la competenza per le cause concernenti agli interessi accessori ed assistenziali, precisando, con l’aggiunta di un 3° comma all’art 442 cpc, che per tali non si applica la disciplina delle controversie individuali di lavoro né la disciplina delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria . La Competenza del Tribunale è, invece, una competenza “residuale”; difatti ai sensi del 1° comma art. 9 c.p.c., il Tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice (attualmente il solo Giudice di pace). Il secondo comma dell’art. 9, stabilisce, inoltre, dei casi di competenza esclusiva del Tribunale: in materia di imposte e tasse, stato e capacità delle persone, diritti onorifici, querela di falso, per l'esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile. Il concetto di indeterminabilità del valore della causa esprime la specifica inidoneità dell’oggetto della lite ad essere tradotto in termini monetari; dunque se la parte 35 non provvede alla determinazione in concreto del valore della controversia, se l’oggetto è comunque suscettibile di valutazione economica, non si può parlare di indeterminabilità. Fuori dai casi generali previsti dall’art 9 cpc, spetta alla controversia del tribunale ratione materiae nei seguenti casi: 1. le controversie in materia di lavoro (art 423 cpc) e di previdenza ed assistenza obbligatoria (art 444 cpc); 2. i procedimenti di repressione della condotta antisindacale legge 300/1970) e delle attività discriminatorie tra uomini e donne nell’accesso al lavoro (legge 903/1977); 3. i procedimenti della convalida di sfratto e di licenza per finita locazione (art 661 cpc); 4. i procedimenti cautelali (art 669 ter cpc); 5. le controversie attribuite alla competenza per materia del pretore prima della soppressione dell’ufficio (dlgs 51/1998), quali le controversie locatizie, le azioni possessorie e le denuncie di nuova opera e di danno temuto. Per quanto riguarda il Tribunale dobbiamo ricordare che questo di norma svolge le sue funzioni in composizione monocratica, ma nei casi previsti dall’art. 50 bis c.p.c. la composizione del tribunale sarà necessariamente collegiale. DETERMINAZIONE DEL VALORE L’art. 10 c.p.c., stabilisce, al primo comma, che il valore della causa si determina in base alla domanda dell’attore. Tale regola generale impone all’interprete (il giudice) di avere riguardo al contenuto della domanda al momento della sua proposizione. La determinazione del valore, indicata ab initio dalla parte e desumibile dalla domanda stessa, non vincola nel merito il giudice, chiamato ad accertare l’effettivo valore dell’oggetto della lite, nella prospettiva della decisione della causa. Dunque ciò che conta ai fini della competenza è il quid disputandum e non il quid decisum. Sovente la domanda presenta un contenuto oggettivamente e soggettivamente semplice, vale a dire che indica un solo oggetto ed una sola parte. Talune volte questa domanda si presenta oggettivamente e soggettivamente complessa. Analizziamo: A. da un punto di vista oggettivo può accadere che vengano proposte più domande verso la stessa persona e nello stesso processo, in questa ipotesi, ai fini della competenza, le domande si sommano (addizionandosi il loro valore) in base a quanto stabilito dall’art 10.2 cpc (cd CUMULO OGGETTIVO). Ai fini della competenza per valore, le domande 36 proposte dal creditore contro il debitore, di risarcimento dei danni già maturati, di pagamento degli interessi scaduti, nonché di rimborso di tutte le spese sostenute al momento della proposizione della domanda, si sommano tutte con la domanda per il pagamento della sorte capitale; da un punto di vista soggettivo può accadere che più domande fondate sullo stesso titolo (legate da una connessione oggettiva) possono essere avanzate nello stesso processo dall’attore contro più convenuti, o da più attori contro un convenuto o da più attori contro più convenuti. Ci troviamo nell’ambito del cd CUMULO SOGGETTIVO, in tale ambito manca un principio generale che determini la sommatoria tra le singole domande ai fini della competenza per valore (anche se la linea che gli studiosi tendono a seguire è quella di escludere la sommatoria tra domande soggettivamente cumulate). Vi sono alcune disposizioni speciali che prevedono, per determinati rapporti, più domande cumulate soggettivamente possano sommarsi ai fini della competenza. Ne è un esempio l’art 11 cpc secondo il quale, se viene chiesto da più persone o contro più persone, l'adempimento di quote di un’unica obbligazione, il valore della controversia è determinato dall’intera obbligazione. Dunque il presupposto per dar vita alla sommatoria tra più domande (ai fini della competenza) è che esse siano cumulativamente accolte dal giudice (discrezionalmente? O lo stesso giudice valuta se tali domande siano fisiologicamente cumulabili? O segue un altro criterio?). A te proposito si possono verificare diverse situazioni: > cumulo semplice: quando la parte chiede al giudice di accogliere ognuna della domande proposte, indipendentemente dalla decisione delle altre o quando la richiesta di pronuncia su una domanda, contestuale, è condizionata al previo accoglimento di un’altra domanda, cumulativamente proposta (cumulo condizionale consequenziale: ad esempio l’attore chiede la risoluzione del contratto per inadempimento, e conseguentemente, la restituzione delle somme versate); cumulo alternativo, oggettivo o soggettivo: non può darsi luogo a sommatoria, ai fini della determinazione della competenza per valore, allorquando si chieda al giudice di accogliere una soltanto delle domande alternativamente proposte contro la stessa parte o contro parti diverse (ad esempio: l’attore chiede, alternativamente, l’adempimento della prestazione o l'annullamento del contratto); 37 permettere loro di esercitare, senza particolare disagio, il proprio diritto di difesa introducendo una regola della derogabilità della competenza per territorio, salvi alcuni casi esplicitamente indicati. In questa regola si evince che il legislatore tra i due interessi delle parti in causa si è espresso in favore del convenuto; infatti l’attore che promuove la causa ha, di gran lunga, più tempo a disposizione per preparare la propri offensiva giudiziaria, mentre il convenuto ha un tempo decisamente più limitato per difendersi, pertanto il legislatore ha ritenuto preferibile non costringerlo a gravosi spostamenti territoriali. Importante distinzione da fare è quella che intercorre tra: * fori generali (artt 18 cpc “per le persone fisiche” e 19 cpc “per le persone giuridiche, per le associazioni non riconosciute, e le società prive di personalità giuridica); * fori speciali che si dividono in fori facoltativi (art 20 e art 30 cpc) e esclusivi (artt 21,22,23,24,25,26 e 27 cpc). In tale ambito le parti possono, concordatamene, derogarvi e tale violazione non sarebbe rilevabile d’ufficio. Il foro speciale facoltativo è indicato dall’art 20 cpc per le cause relative a diritto di obbligazione, rispetto alle quali è anche competente il giudice del luogo dove è sorta o dove deve essere eseguita l’obbligazione. Dunque la norma indica i due fori speciali concorrenti, alternativi tra loro, oltre che alternativi al foro generale. L’art 30 cpc attribuisce all’attore la facoltà di citare il convenuto, oltre che nel foro competente secondo la natura del rapporto, anche davanti al giudice del luogo nel quale ha eletto il domicilio. Infatti il foro del domicilio eletto è normalmente facoltativo, con la caratteristica che ci troviamo dinanzi ad un foro creato ad hoc tra le parti (facoltizzati, comunque dalla legge). Le parti, o una sola, comunque saranno chiamati ad indicare la causa dinanzi al giudice scelto in deroga ai fori ordinari perché il carattere facoltativo del foro del domicilio eletto non rappresenta un elemento fisiologico o necessario, potendo le parti attribuirvi natura obbligatoria ed esclusiva in base all’art 29.2 cpc. Il foro speciale esclusivo preclude all’attore la possibilità di instaurare ritualmente la causa di fronte al giudice che sarebbe competente in base agli artt 18 e 19 cpc e cioè in base al foro generale. I FORI GENERALI 40 Art 18 cpc convenuta persona fisica e art 19 cpc convenuta persona giudica (o ente privo di personalità giuridica), entrambi gli articoli prevedono il ricorso al foro generale. Secondo l’art 18 cpc è territorialmente competente il giudice del luogo in cui il convenuto persona fisica ha la propria residenza, o in via alternativa e concorrente, il proprio domicilio. In via sussidiaria, laddove fossero sconosciuti entrambi, è competente il giudice del luogo ove lo stesso convenuto ha la propria dimora. Nell’ipotesi in cui fossero sconosciuti tutti i recapiti del convenuto (residenza, domicilio e dimora) o avesse dimora all’estero l’attore potrà ritualmente instaurare la causa dinanzi al giudice del luogo di propria residenza che sarà, in questo caso, territorialmente competente. Secondo l’art 19 cpc è territorialmente competente il giudice del luogo ove la persona giuridica (convenuto) ha la propria sede o, in via alternativa e concorrente, uno stabilimento od un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda. Per gli enti privi di personalità giuridica è territorialmente competente il giudice del luogo in cui tali soggetti svolgono la propria attività in modo continuativo. Malgrado la legge non lo disponga espressamente, ma laddove fossero sconosciuti tutti i luoghi sopra citati o la sede di questi enti fossero all’estero, si applicherà in via residuale il disposto dell’art 18.2 cpc competente sarà il giudice del luogo in cui l’attore ha la residenza o sede. FORI SPECIALI Importante distinguere tra: * fori speciali facoltativi e concorrenti: art 20 cpc “per le cause relative ai diritti di obbligazioni” è competente il giudice del luogo in cui è sorta l'obbligazione o il foro del luogo in cui la stessa deve essere adempiuta. Il carattere facoltativo di questo foro, concorrente con il foro generale artt 18 e 19 cpc, stabilisce che per le cause relative ai diritti di obbligazioni sono “anche” competenti i giudici dei luoghi indicati. In ambito di obbligazioni dobbiamo operare una distinzione tra: A. individuazione in cui sorge l’obbligazione: I. obbligazioni contrattuali: il forum contractus coincide con il luogo di conclusione del contratto; II. obbligazioni derivanti da lodo irritale: la giurisprudenza ritiene che il giudice territorialmente competente, in via facoltativa rispetto ai fori concorrenti, sia il 41 IL B. ii giudice del luogo in cui viene conclusa la convenzione per arbitrato libero e non il giudice del luogo in cui viene pronunciato il lodo irritale; obbligazioni extracontrattuali da fatto illecito: il foro facoltativo in esame è quello del luogo in cui avviene il fatto produttivo del danno, ma spesso la giurisprudenza ha ribadito che se l’evento dannoso si consuma altrove, rispetto al luogo in cui avviene il fatto causativo, è competente per territorio il giudice del luogo in cui si verifica il danno; il luogo in cui deve essere adempiuta l’obbligazione, se le parti non hanno convenuto nulla a riguardo: la consegna di cosa certa e determinata: avviene nel luogo in cui la cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta; l'adempimento di obbligazioni aventi ad oggetto una somma di danaro va effettuata presso il domicilio del creditore; iii. tutte le altre obbligazioni vanno eseguite presso il domicilio del convenuto. (una deroga alla disciplina civilistica in ambito di adempimento di obbligazioni, ci viene dal regime speciale che regola l'adempimento di obbligazioni in danaro di enti pubblici non economici, ai fini della competenza territoriale è il luogo in cui è situato il servizio di tesoreria o di cassa dell’ente debitore e non il domicilio del creditore, come nel caso delle norme generali). Colui che agisce in giudizio in merito ai diritti di obbligazione, ha facoltà di scelta, alternativamente, tra il foro generale (artt 18 e 19 cpc) e il foro speciale (art 20 cpc) e nell’ambito di quest’ultimo, potrà scegliere tra il luogo in cui è sorta l’obbligazione e quello in cui la stessa deve essere eseguita. Dunque la parte che assume l’iniziativa processuale ed il convenuto si limita a prendere atto, perché ciascun giudice adito ai sensi dell’art 20 cpc è territorialmente competente a decidere in merito alla causa fori speciali esclusivi: cioè quelli relativi le persone fisiche o giuridiche , delle associazioni non riconosciute, sono elencati dagli art 21 all'art 27 cpc. Questi fori prevalgono sui fori generali. Dunque nei casi stabiliti dai su indicati articoli il foro generale è incompetente. Di seguito l’elenco dei fori speciali esclusivi: 42 - espropriazione forzata di crediti: è competente il giudice del luogo in cui risiede il terzo debitore; - se si pignorano beni mobili del debitore verso il terzo: è competente il giudice del luogo in cui si trova la cosa mobile da assoggettare all’esecuzione; - @bblighi di fare e non fare: è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. L’art 27 cpc indica l’individuazione del giudice territorialmente competente per le cause di opposizione all’esecuzione. Per regola generale la competenza territoriale per le sopraccitate opposizioni spetta sempre al giudice per l’esecuzione, individuato dalla norma 26 cpc. Esiste un’eccezione prevista dall’art 27.1 cpc che richiama la disposizione dell’art 480.3 cpc il quale prevede che se il creditore non inserisce nell’atto di precetto la dichiarazione di residenza o l’elezione del domicilio “nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione” non individuando in questo modo il giudice competente, l’opposizione a precetto si propone al giudice del luogo in cui lo stesso precetto è stato notificato. DEROGABILITA’ DELLA COMPETENZA TERRITORIALE. Ulteriore distinzione all’interno del foro territoriale è quella tra foro derogabile ed inderogabile. La competenza per territorio, al di fuori dei casi previsti dalla legge, può essere derogata dalle parti mediante un atto scritto, anche se prima di tale deroga deve essere eletto un domicilio speciale per determinati atti o affari a norma dell’art 47 cc (che richiede per l'appunto l’atto scritto). Dunque tale elezione incide sulla competenza territoriale determinando la creazione volontaria di un foro facoltativo che consente, appunto, alle parti una deroga alla competenza territoriale. Una parte che intende citare colui che ha eletto il domicilio speciale non è vincolato al tale foro, ma questo foro rimane concorrente a quelli previsti dalle regole generali. La deroga può risultare o da un accordo anteriore al processo, oppure da un accordo successivo all’inizio del processo prevedendo da questo accordo scritto che quel foro venga inteso come obbligatorio. I casi in cui la deroga non è ammissibile, sono elencati nell’art. 28: 45 1) nelle cause previste nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70, ossia nei casi di intervento obbligatorio del pubblico ministero; 2) nei processi di esecuzione forzata e di opposizione alla stessa; 3) nei procedimenti cautelari e possessori; 4) nei procedimenti in camera di consiglio; 5) e in generale in ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge (es. foro in cui parte è la p.a., art. 25 c.p.c.). MODIFICAZIONI DELLA COMPETENZA Modificazioni della competenza per la qualità di parte. Quanto già detto dell’art 25 cpc in materia di competenza del giudice che deve essere adito nel caso in cui parte del processo fosse un’Amministrazione dello Stato, analizziamo, a completamento del tale discorso e in ottemperanza a questo, l’individuazione del giudice competente nelle ipotesi in cui parte del processo fosse un magistrato togato od onorario. La legge 420/1998 ha introdotto l’art 30 bis cpc il quale stabilisce che “le cause in cui siano parti i magistrati, sono di competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto del corte d’appello in cui il magistrato esercita le sue funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art 11 cpp”. Dunque con il nuovo articolo si abbandona il criterio del capoluogo del distretto di corte d’appello con il criterio di rinvio ad una tabella definita dal legislatore (così stabilito si evita una competenza incrociata o reciproca). L’art 30 bis è applicabile esclusivamente alle azioni civili concernenti le: * restituzioni e risarcimento del danno da reato (di cui è parte un magistrato); ad eccezione dei processi di esecuzione forzata. Modificazioni della competenza per ragioni di connessione. 46 Il codice disciplina delle ipotesi particolari di connessione - disciplinate dagli artt. 31 al 36 - a causa delle quali si potrebbero verificare degli spostamenti della competenza. Gli artt. 31, 32 e 33 dispongono lo spostamento della competenza “originario”. Dunque quanto stabilito da questi articoli è quello di attribuire allo stesso giudice il potere di giudicare su più cause le quali si trovano in un rapporto per cui dalla connessione delle singole vicende del diritto sostanziale ne discende la necessità ed, altresì, la convenienza dello svolgimento di un unico giudizio (se non per una questione di efficienza e speditezza, quantomeno per ragioni di economia processuale). Infatti a riprova dell’ultima affermazione il simultaneus processus determina, oltre ad un risparmio generale, altresì che si eviti la sospensione necessaria della causa accessoria dipendente sino al passaggio in giudicato della pronuncia della causa principale pregiudiziale. Tale spostamento si concreta per la competenza orizzontale, cioè quella per territorio, a favore del giudice per la causa principale, perciò il giudice territorialmente competente per la causa principale è, altresì, competente per la causa accessoria. (impOl pensiamo a due domande che rientrano nella competenza per valore del giudice di pace si applica, proprio per la relatio presente nell’art 31 cpc, la regola generale del cumulo della domanda principale e della domanda accessoria — art 10.2 cpc — con possibile attribuzione della competenza per valore al tribunale). Il riverbero di questa connessione è uno spostamento della competenza, con annessa sottrazione della controversia al giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie e la sua devoluzione ad un altro giudice, con deroga della competenza per territorio ed eventualmente a quella per valore e alla competenza per materia, ma NON a quella funzionale. Di seguito le regole mediante le quali si realizza lo spostamento della competenza per ragioni di connessione: * CAUSE ACCESSORIE: L’accessorietà è il rapporto che intercorre tra due cause connesse oggettivamente (ma anche soggettivamente), nel senso che la decisione su una di esse (quella c.d. accessoria) dipende dalla decisione sull’altra (quella c.d. principale). Di seguito diversi esempi: Y l’accoglimento della domanda di pagamento degli interessi dipende dall’accoglimento della domanda di restituzione di una somma data a mutuo: perciò la prima è accessoria rispetto alla seconda. In questi casi l’art. 31 c.p.c 47 giudice, dinanzi alla proposizione di una questione pregiudiziale appartenente per materia e valore alla competenza di un giudice superiore, non rimette tutte le cause a quest’ultimo. È il caso previsto dall’art 313 cpc in materia di “querela per falso” proposta innanzi al giudice di pace. Infatti per la querela di falso è competente il Tribunale, pertanto qualora la querela fosse presentata dinanzi ad un altro giudice, pensiamo appunto al giudice di pace, quest’ultimo non dovrà rimettere tutta la causa al tribunale, ma dovrà limitarsi a rimettere le parti dinanzi al tribunale per la sola querela di falso, sospendendo il giudizio (ex art 295 cpc), in attesa che il tribunale decida sulla proposta querela di falso. Eccezione, art 35 e 36 cpc questi articoli regolano le modificazioni di competenza per effetto della eccezione di compensazione (art 35) e della domanda riconvenzionale (art 36) esse sono espressione di attività difensiva della parte contro cui si avanza una pretesa nel processo. 1. il primo livello di difesa è garantito dall’eccezione, la quale può conseguire un’efficacia ed una incisività diverse. Eccezione significa qualunque contestazione e difesa proposta dalle parti. a) a negare i fatti costitutivi invocati dalla controparte senza introdurre in giudizio fatti nuovi in senso da respingere l'altrui domanda. Nell'ambito della categoria delle eccezioni proprie rientrano le attività difensive finalizzate all’introduzione di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa azionata dalla controparte; b) eccezione intermedia, la prima ipotesi di eccezione in senso proprio è rappresentata nella contrapposizione al fatto costitutivo, collocato a sostegno della pretesa di parte, di un fatto impeditivo o estintivo, che sia finalizzato a contrastare la prospettazione dalla stessa proposta, negandone il fondamento (esempio: il caso in cui una parte deduca a sostegno della propria domanda un’obbligazione contrattuale assunta nei suoi confronti dalla controparte e quest’ultima eccepisca la mancata scadenza del termine, quale fatto impeditivo, o l’avvenuto pagamento della somma, quale fatto estintivo dell’altrui pretesa); c) eccezione in senso stretto, esse si differenziano dalle eccezioni in senso proprio perché queste ultime possono costituire oggetto di rilievo d’ufficio, da 50 parte del giudice, mentre quelle in senso stretto sono riservate esclusivamente alle parti. Dunque le caratteristiche delle eccezioni in senso stretto sta nel fatto che i fatti impeditivi e quelli estintivi sono inidonei a manifestare i propri effetti, se non vengono posti a fondamento della parte interessata. In sintesi il fatto posto a fondamento di una eccezione in senso stretto non è inidoneo di per sé ad impedire la pretesa avversaria o ad estinguere l’altrui diritto, né manifesta alcun effetto, fintantoché non viene allegato, dalla parte legittimata, attraverso un’apposita eccezione; 2. il secondo livello di difesa è rappresentato dalla compensazione, attraverso di essa il convenuto oppone al diritto vantato dall’attore un proprio credito nei confronti dello stesso, così facendo paralizza la pretesa fatta valere in giudizio; 3. il terzo livello di difesa è rappresentato dalla riconvenzione, essa consiste in una vera e propria controdomanda, avanzata nei confronti del soggetto che ha esercitato una determinata azione nel processo ed il cui accoglimento non è necessariamente incompatibile con l’accoglimento della domanda dell’attore. Ora è bene analizzare in che modo e a quali condizioni le possibili manifestazioni di attività difensive delle parti siano suscettibili di provocare spostamenti di competenza per ragioni di connessione. Nel primo livello di difesa, ogni proposizione dell’eccezione in qualsivoglia espressione, non fa emergere alcun problema in merito alla competenza del giudice. Questo perché all’eccezione, allegandovi in giudizio i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto vantato dall’avversario, comporta solamente l’ampliamento della quaestio facti in riferimento alla domanda già proposta ed al diritto vantato dalla controparte che attraverso l'introduzione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, si chiede al giudice di non accogliere o di non riconoscere. Dunque il thema decidendum rimane invariato, anche se esso risulta essere sostanziato dagli ulteriori elementi introdotti in giudizio per gli elementi sopraccitati (impeditivi, modificativi e/o estintivi), pensiamo al convenuto che eccepisce l’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere dall’attore, a tal proposito il giudice dovrà pronunciarsi sull’unica domanda proposta e dovrà deliberare se il diritto azionato sia sostenuto da un fatto costitutivo idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda 0, diversamente esiste un fatto estintivo suscettibile di portare ad una decisione di rigetto sempre della stessa domanda, si intende. 51 Principio importante è quello per cui il giudice adito con la domanda principale è sempre competente a conoscere tutte le eccezioni sollevate per contrastarla nello stesso processo. Nel secondo livello di difesa dobbiamo soffermarci all’art 1243.2 cc (ma anche l’art 35 cpc), il quale prevede che il giudice possa dichiarare la compensazione solo se il credito opposto in compensazione abbia ad oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e sia liquido o comunque “di facile e pronta liquidazione” ed esigibile. Ora analizziamo le conseguenze dell’eccezione di compensazione sollevata nel processo, ovviamente in tema di competenza. Da subito dobbiamo affermare che nessuna conseguenza sulla competenza si avrà nell’ipotesi in cui il credito opposto in compensazione non sia contestato o è, comunque, riconosciuto in giudizio dalla controparte; in tale prospettiva non si riscontra alcun problema di competenza perché il giudice non è chiamato a nessun accertamento circa l’esistenza e l'ammontare del controcredito e, di conseguenza, può dare luogo alla compensazione anche se il credito opposto (riconosciuto dalla controparte) eccede la sua competenza. Diversa sarà la situazione paventabile nella quale la controparte non riconoscerà il credito opposto in compensazione, e quindi contestato, perché in una siffatta circostanza il giudice dovrà verificare se è competente a pronunciarsi anche in ordine a tale credito secondo quanto stabilisce l’art 35 cpc. Nell’ipotesi in cui il credito opposto in compensazione ecceda il limite di competenza per valore del giudice adito, l’art 35 cpc pone il giudice dinanzi ad una alternativa: - se la domanda dell’attore è fondata su un titolo non controverso o di non complessa accertabilità, il giudice adito può pronunciarsi su di essa (eventualmente subordinando l'esecuzione della sentenza al versamento di una cauzione) e rimettere le parti al giudice competente per l’eccezione di compensazione; - se la domanda sia fondata su titolo controverso o di difficile accertabilità l’art 35 cpc, nel richiamare, l’art 34 cpc, chiede il trasferimento dell’intera causa al giudice superiore. Dunque in queste ipotesi potrebbe determinarsi una modifica della competenza in senso verticale, a favore del giudice superiore chiamato a decidere, sia sul credito oggetto della domanda principale sia sulla compensazione dello stesso con il controcredito opposto. Di converso, nell’ipotesi in cui il credito opposto in compensazione non ecceda la soglia di competenza del giudice adito, questi si pronuncerà anche in ordine al controcredito. 52 Ai sensi del citato comma primo, è competente il giudice adito per primo mentre quello adito successivamente, “in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo”. Per giudice adito per primo, si intende il giudice “preventivamente adito”. Il criterio della prevenzione (art. 39, comma terzo), si determina in base alla notificazione della citazione; pertanto, si considera adito preventivamente, il giudice il cui relativo atto di citazione sia stato notificato per primo. Qualora la stessa causa viene proposta per la seconda volta di fronte allo stesso giudice, questi ne ordina la riunione (art. 273 c.p.c.). Da ricordare che il giudice adito per secondo non ha l’obbligo di verificare la propria competenza o quella del giudice adito per primo; infatti laddove la stessa causa penda dinanzi a giudici diversi, quello adito successivamente non potrà fare altro che pronunciare la litispendenza e cancellare la causa dal ruolo. Semmai ogni valutazione sulla competenza dovrà essere effettuata dal giudice preventivamente adito. CONTINENZA La continenza di cause (art. 39, comma secondo), si verifica in presenza di due cause che hanno in comure i soggetti e la causa petendi, ma il petitum di una è più ampio in modo da “contenere” il petitum dell’altra (ad es: in un processo si chiedono tutte le rate di un mutuo ed in un altro processo se ne chiede una sola). Se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il secondo giudice con sentenza* deve dichiarare la continenza e fissare un termine per la riassunzione della causa davanti al primo giudice (criterio della prevenzione). In caso contrario - ossia quando il primo giudice non è competente anche per la causa proposta successivamente - è quest’ultimo ad emanare la sentenza‘ di continenza ed a fissare un termine per la riassunzione davanti al secondo giudice (criterio dell’assorbimento). Sia la sentenza sulla litispendenza, sia quella sulla continenza possono essere impugnate con regolamento necessario di competenza. SOLUZIONE DELLE QUESTIONI DI GIURISDIZIONE E DI COMPETENZA # Con ordinanza per le cause instaurate dopo il 04/07/2009 giorno dell’entrata in vigore della L.69/2009 “idem come la nota 3 55 Come sappiamo la giurisdizione e la competenza, determinate dall’attore sulla base dei criteri codicistici, possono essere contestate dalle altre parti e su tale contestazione il giudice è chiamato a pronunciarsi. Dunque il giudice potrà ritenere tali contestazioni infondate e riconoscere la propria giurisdizione o la propria competenza, ovvero, sempre sulla base delle contestazioni di parte (ma in certi casi anche d’ufficio) potrà arrivare alla conclusione opposta e perciò dichiararsi privo di giurisdizione e/o di competenza. Di seguito si analizzeranno, nello specifico, i problemi legati alle: * condizioni di proposizione: della questione di giurisdizione la quale, salve le ipotesi in cui tale questione può essere sollevata ex officio, è necessario che la parte costituita sollevi tempestivamente la relativa eccezione. Poi vedremo come l’eccezione di parte deve essere sollevata entro un termine stabilito dalle norme del cpc per il tempestivo deposito della comparsa di costituzione e risposta, mentre quello ex officio potrà essere sollevata nella prima udienza; * modalità di soluzione: una volta sollevata o rilevata d’ufficio la questione, il giudice è obbligato a decidere sulla stessa questione sollevata, decisione che si concreta con un’ordinanza assoggettabile a regolamento di competenza necessario se la decisione abbia ad oggetto esclusivamente questioni di competenza e negli altri casi (e cioè allorquando decide la questione di competenza unitamente al merito) con sentenza assoggettabile agli altri mezzi di impugnazione. In fine, da ricordare, che oltre ai mezzi ordinari di impugnazione esistono due mezzi di tutela speciale (azionabili dalle parti): v regolamento di giurisdizione: il quale è un mezzo preventivo cioè proponibile nel corso del giudizio e prima che il giudice abbia emesso una decisione nel merito in primo grado; v regolamento di competenza: il quale è un mezzo successivo poiché presuppone che vi sia già stata una pronuncia sulla competenza, anche se unitamente al merito della causa. LA PROPOSIZIONE DELLE QUESTIONI DI GIURISDIZIONE E DI COMPETENZA Questione di Giurisdizione. Esse sono indicate nell’art 37 cpc, il quale sancisce che la questione avente ad oggetto il difetto di giurisdizione può essere sollevata sia dalle parti che 56 ex officio ed in qualunque stato e grado del processo. Disciplina, questa, che è stata parzialmente abrogata da un recente intervento delle sezioni unite della Cassazione (con una sentenza del 2008) la quale, sottolineando i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, hanno ritenuto di interpretare l’art 37 cpc negando, di fatto la rilevabilità anche officiosa del difetto di giurisdizione in ogni “grado” del processo. Esse vengono regolate, altresì, dalla legge 218/1995 all’art 11, disciplinando le ipotesi in cui il convenuto che si sia costituito o si tratti di casi in cui il convenuto sia rimasto contumace o le cause che abbiano ad oggetto controversie concernenti beni immobili situati all’estero o si tratti ancora di casi in cui la giurisdizione italiana sia esclusa per effetto di convenzioni internazionali. Qualora il convenuto non sia costituito o si tratti dei casi di azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero o controversie per le quali la giurisdizione italiana sia esclusa per effetto di una norma internazionale (art 5 legge 218/95) il difetto di giurisdizione del giudice italiano è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, come nel contenuto dell’art 37 cpc. Qualora il convenuto non è residente né domiciliato in Italia e si sia costituito, il regime da seguire per individuare il difetto di giurisdizione è profondamente differente, in tale ipotesi il difetto può essere rilevato (in ogni stato e grado del processo) solo dal convenuto stesso “che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana”. Quest'ultima disposizione va coordinata con la disposizione del comma 1° dell’art 4 della legge 218/95 il quale stabilisce che “il convenuto che si costituisca in giudizio senza eccepire il difetto di giurisdizione nel suo primo atto difensivo, accetta validamente, ancorché tacitamente, la giurisdizione del giudice italiano che di conseguenza non potrà più dichiarare il proprio difetto di giurisdizione (per primo atto difensivo si intende ad esempio : la comparsa di risposta o l’atto di costituzione del convenuto). IMPLI La giurisprudenza afferma che si abbia accettazione tacita non solo nel caso in ai i convenuto non eccepisca il difetto di giurisdizione, ma altresì nell’ipotesi in cui sollevi l’eccezione in via subordinata rispetto alle proprie difese nel merito (cass. Sentenza del 1990). La decisione sulle questioni di giurisdizione nella Legge n. 69/2009, essa è intervenuta anche in tale ambito con un apposito articolo rubricato “decisione delle questioni di giurisdizione” anche se concerne esclusivamente la declaratoria di “difetto di giurisdizione”. 57 Di seguito descrizione del regime del regolamento di giurisdizione: =» legittimazione: ciascuna parte può proporre il ricorso, in questo caso la soluzione della questione di giurisdizione viene devoluta alla Suprema Corte di cassazione anche dalla parte che abbia agito dinanzi al giudice ordinario e che intenda contrastare l’eccezione del difetto di giurisdizione sollevata dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice. Dunque saranno legittimati sia l’attore, sia il convenuto, sia coloro che siano intervenuti volontariamente o coattivamente nel processo e che abbiano acquisito la qualità di parte; = competenza: essa spetta alle sezioni unite della Corte di cassazione; = forma e contenuto del ricorso: da subito è necessario precisare che non è un mezzo di impugnazione. Secondo quanto stabilito dall’art 41 cpc il regolamento di giurisdizione si propone come ricorso ai sensi dell’art 364 cpc e seguenti articoli, cioè si presenta come un ordinario ricorso per cassazione. Per quanto concerne il contenuto del ricorso per il regolamento di giurisdizione non si possono applicare le disposizioni relative all’indicazione della sentenza o del provvedimento impugnato ed ai motivi per i quali si chiede la cassazione. Ora analizziamo solamente il contenuto del ricorso: esso non deve contenere l’indicazione della sentenza o decisione impugnata né l’indicazione dei motivi, mentre conterrà, a pena di inammissibilità, l'esposizione dei fatti la cui cognizione è necessaria alla soluzione della questione di giurisdizione. Per quel che concerne la [BiMiANdeINRiC0rS9: rimandiamo all’art 365 cpc il quale stabilisce che detto ricorso debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in un apposito albo dei patrocinanti innanzi alla Corte di cassazione e deve essere notificato a tutte le altre parti in ottemperanza a quanto indicato dall’art 170 cpc e pertanto, non a queste ultime, ma al procuratore costituito. Notificato, il ricorso per regolamento di giurisdizione è soggetto ad un duplice deposito: v copia del ricorso deve essere depositata presso la cancelleria del giudice dinanzi al quale pende la causa di merito, al fine di consentirgli di valutare l’opportunità della sospensione (art 367 cpc); v deve essere depositato, a pena di improcedibilità, congiuntamente alla procura, agli atti, ai documenti su cui il ricorso si fonda ed alla richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio, presso la cancelleria della corte (art 360 cpc) entro 20 giorni dall’ultima notificazione. 60 Alle parti è consentito contraddire solo nella forma del controricorso da notificarsi e depositari rispettando l’art 370 cpc; termine per la proposizione: il codice di rito indica all’art 41 solo il termine finale, quello iniziale andrà ricostruito dall’interprete. Il dies ad quem (termine finale) per la proposizione del regolamento di giurisdizione è stabilito in base al momento in cui “la causa non sia deciso nel merito in primo grado”, nel senso che non deve essere stata pronunciata una sentenza avente ad oggetto le questioni relative al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, nonché i problemi relativi ai soli fatti impeditivi o estintivi del diritto (prescrizione, decadenza, pagamento del debito). La suprema Corte di cassazione ritiene che qualsiasi sentenza emessa in primo grado, sia di merito che di rito, preclude definitivamente la proposizione del regolamento di giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione può essere proposto fino alla pronuncia del provvedimento che dispone la rimessione della causa al collegio o, nel caso di decisione del giudice in composizione monocratica, del provvedimento che dispone lo scambio di comparse conclusionali e delle memorie di replica; effetti: il primo effetto che riscontriamo alla proposizione del regolamento di giurisdizione è la sottrazione al giudice del merito della questione di giurisdizione, ciò avviene per devolverla alle sezioni unite della cassazione. Gli effetti sul giudizio del merito sono stabiliti (e disciplina la sospensione) dall’art 367 cpc. La proposizione del regolamento comporta l’onere, per la parte che lo presenta, di depositare copia del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, e ciò è finalizzato a permettere al giudice stesso di valutare l’opportunità, o no, di sospendere il processo instaurato dinanzi a lui (il 1° comma dell’art 367 non indica un termine entro il quale debba effettuarsi il deposito, ma indica genericamente che ciò deve avvenire al momento successivo alla notificazione alle parti. Da ricordare che il mancato deposito non provoca alcuna conseguenza in ordine alla procedibilità del regolamento, ma impedisce, al limite, che il giudice del merito possa provvedere sulla sospensione del giudizio). Comunque, in conclusione, il giudice del merito sospende il processo con ordinanza solo laddove non ritenga “l’istanza manifestatamene inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata”. Sospeso il processo esso dovrà essere riassunto entro il termine perentorio di 3 mesi dalla comunicazione dell’ordinanza della Corte di cassazione che dichiari la giurisdizione del giudice adito o di altro giudice ordinario; 61 = il procedimento: art. 375 cpc la Corte di cassazione provvede, a sezioni unite, all’istanza del regolamento di giurisdizione in camera di consiglio e con ordinanza impugnabile per revocazione per errore di fatto (art 391 bis). L’art 380 ter cpc stabilisce che il presidente può chiedere al PM le sue conclusioni scritte le quali, unitamente al decreto presidenziale che fissa l’udienza della corte di cassazione, sono notificate almeno 20 giorni prima, agli avvocati delle parti. Le parti hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti se compaiono, limitatamente al regolamento di giurisdizione. Comunque è possibile, altresì, che il presidente ritenga di provvedere in ottemperanza al comma 1 dell’art 380 bis cpc, qualora al regolamento di giurisdizione si presentino le situazioni contemplate e disciplinate dall’art 375 n. 1,2,3 e 5 cpc; = la decisione: la corte è tenuta a risolvere la questione sulla base dell’apprezzamento diretto delle risultanze istruttorie e degli atti della causa di merito, in modo assolutamente autonomo ed indipendente rispetto alle deduzioni delle parti e delle valutazioni del giudice a quo. Ai sensi dell’art 386 la corte determina la giurisdizione in base all’oggetto della domanda. Dunque la corte dovrebbe raggiungere la decisione avendo riguardo unicamente al petitum sostanziale e perciò non soltanto all’oggetto della domanda ma anche alla natura della controversia. La corte prende la decisione mediante ordinanza attraverso la quale potrà riconoscere la: - giurisdizione in capo al giudice adito ovvero - in capo adaltro giudice ovvero - il difetto assoluto di giurisdizione ovvero - l’assenza di qualsivoglia giudice sul territorio italiano, dotato di giurisdizione sulla controversia dedotta in giudizio. Nell’ipotesi in cui il giudice a quo abbia provveduto a sospendere il giudizio pendente dinanzi a lui, la corte che dichiara la giurisdizione dello stesso giudice adito o di altro giudice, comporta l’onere della riassunzione del processo, che proseguirà dinanzi all’organo dichiarato giurisdizionalmente competente. La traslatio judicii davanti al giudice investito di giurisdizione è ora espressamente prevista dalla L. n. 69/2009 quando venga proposta la questione di giurisdizione ai sensi dell’art 59 della stessa. Laddove il giudice adito non avesse ritenuto di sospendere il processo pendente dinanzi a lui e venisse, poi, confermata la sua giurisdizione, nessun atto compiuto ne verrebbe 62 Mentre il giudice che si pronuncerà sia sulla competenza che sul merito (e quindi definisca il giudizio), lo farà sottoforma della sentenza. Ora analizziamo la situazione inversa, cioè quella in cui il giudice si ritiene incompetente, in questo caso la declaratoria che indicherà la sua incompetenza indicherà, altresì, il nome del giudice ritenuto competente; se le parti riassumeranno tempestivamente il giudizio innanzi al giudice ritenuto competente, salveranno gli effetti della domanda originariamente proposta. La decisione sulla competenza potrebbe essere errata, e proprio in tale senso che risulta necessario poterla sottoporre a controllo, mediante la proposizione (o il dispiegamento) di un ordinario mezzo di impugnazione al giudice superiore, o attraverso la proposizione del ricorso per regolamento di competenza alla corte di cassazione. Dunque dal contenuto del riquadro si evince che l’unico giudice naturale chiamato a risolvere i conflitti di competenza è la Corte di cassazione, la quale una volta che si pronuncia, stabilisce, in via definitiva, il giudice competente per una determinata causa. In sintesi, le parti sono dotate di uno strumento rapido e immediato, da parte della cassazione, che decide sulla competenza senza pesare sulle parti stesse il passaggio di tutti i gradi del giudizio. A completamento di questo discorso vediamo il caso in cui le parti concordino con il giudice di merito che declina la competenza e riassumano, nei termini stabiliti per legge, la causa dinanzi al giudice ritenuto competente; a questo punto, nulla dovrebbe escludere che il giudice ritenuto competente, possa anch'egli verificare la propria competenza. Emerge, però, subito che tale meccanismo potrebbe innescare un eterno peregrinare della parti che richiedono tutela giurisdizionale, poiché ogni giudice sarebbe legittimato a dichiarare officiosamente la propria incompetenza; dunque al fine di evitare una situazione del genere, l’ordinamento esclude il potere del secondo giudice di decidere sulla propria competenza consentendogli solamente di rivolgersi alla suprema corte di cassazione, laddove revochi in dubbio la propria competenza per materia, valore o territorio. Il regolamento ad istanza di parte. Una prima importante distinzione da fare è quella tra: 65 regolamento di giurisdizione: è sempre preventivo 66 regolamento di competenza: è sempre successivo ad una sentenza. Ora bisogna cercare di rispondere alla domanda, vale a dire se il regolamento di competenza può essere considerato un mezzo di impugnazione. Parte della dottrina si è pronunciata positivamente in merito, la quale ha individuato nell’art 324 cpc la base della propria tesi, infatti detto articolo stabilisce che, per individuare il momento in cui la sentenza è passata in giudicato, si include il regolamento di competenza tra gli strumenti la cui proposizione o, per meglio dire, la cui preclusione è coordinata al passaggio in giudicato della sentenza. Tale argomentazione sembra essere suffragata anche da un altro articolo il 323 cpc rubricato, appunto, “mezzi di impugnazione” il quale elenca il regolamento di competenza accanto all’appello, al ricorso per cassazione, alla revocazione ed all’opposizione. Ma ad un vaglio più attento, dell’art 323 cpc, evinciamo che se da un lato il legislatore ha inserito in questo articolo il regolamento di competenza fra i mezzi di impugnazione, dall’altro ha isolato tale regolamento da quegli altri strumenti di tutela delle parti contro la sentenza, la cui natura di mezzo di impugnazione, non può essere revocata in dubbio. Questo perché l’articolo recita “....i mezzi per impugnare oltre il regolamento di competenza, nei casi previsti dalla legge, sono....”. La differenza che riscontriamo tra il regolamento di competenza edi mezzi di impugnazione è che il Regolamento di competenza può essere, a determinate condizioni, proposto anche dalla parte vincolatrice, che può inoltre, in ogni caso, aderirvi, posto che l’interesse al regolamento della competenza, non derivi dalla soccombenza, ma è coordinato al diritto della parte, di tutte le parti, di non attendere l’esaurimento di tre fasi di giudizio per sentire sentenziare, dopo tanti anni. La cognizione della corte di cassazione adita con ricorso per regolamento di competenza si estende a tutti i profili relativi alla competenza, anche se non individuati nel ricorso ed anche se non presi in considerazione nella sentenza impugnata. Un altro elemento di esclusività del regolamento di competenza lo traiamo dall’art 45 cpc nell’ipotesi di conflitto negativo di competenza, cioè di due giudici che ritengono entrambi di essere incompetenti per quella causa per ragioni di materia o territorio nei casi dell’art 28 cpc, il regolamento può essere chiesto d’ufficio. In sintesi il RAC rappresenta essere uno strumento messo a disposizione delle parti per contrastare il provvedimento che qualunque giudice, tribunale o corte d’appello, abbia emesso con riferimento alla propria competenza, con l’unica eccezione fatta che è quella 67 il ricorso ordinario di cassazione, seppur la disciplina in esame si caratterizza per la presenza di elementi di accelerazione e semplificazione i quali sono funzionali ad una decisione più rapida possibile della questione. Analizziamo: a. è un ricorso che si esperisce presso la Corte di cassazione e può essere sottoscritto dallo stesso avvocato che difende la parte nel giudizio di merito (o dalla parte direttamente se questa è costituita in giudizio a norma dell’art 86 cpc, pensiamo ad esempio a quella parte che, davanti al giudice di pace, sta in giudizio personalmente senza l’ausilio di un difensore, possibilità che gli è concessa allorquando il valore della causa non supera i 516,46 euro) senza che sia iscritto nell’apposito albo dei patrocinanti innanzi alle corti superiori, e che venga rilasciata procura speciale per il giudizio di cassazione. In ottemperanza all’art 366 cpc il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i seguenti elementi: - indicazione delle parti; - indicazione della sentenza o decisione da impugnare; - esposizione sommaria dei fatti della causa; - imotivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto stabilito dall’art 366 bis cpc; - indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; - la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti sui quali il ricorso si fonda. Dunque oltre questi elementi, il ricorrente dovrà indicare la questione di competenza di cui si chiede la risoluzione alla corte e le doglianze della parte avverso la sentenza impugnata. Con l’abrogazione dell’art 366 bis cpc con la legge 69/2009 comporta l’inapplicabilità del precetto ai ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati dopo il 04/07/2009, cioè dopo l’entrata in vigore della legge. Questo ricorso va notificato a tutti coloro che hanno assunto la qualità di parte nel giudizio di merito, a meno che non vi abbiano aderito, adesione conferita alle parti 70 che risulta essere funzionale all’esigenza di celerità propria del regolamento di competenza, posizione che comunque non vincola ne limita la posizione difensiva degli aderenti. L'adesione sostituisce la notificazione e può risultare dalla semplice sottoscrizione del ricorso. Laddove il ricorrente non avesse provveduto alla notificazione delle controparti si applicheranno le disposizioni degli artt 331 e 332 cpc. La notificazione può essere effettuata mediante la consegna di copia del ricorso alle controparti; il termine per la proposizione del regolamento è pari a 30 giorni e decorre dalla comunicazione, effettuata dal cancelliere alle parti, del deposito del provvedimento che abbia pronunciato sulla competenza. Laddove l’ordinanza fosse notificata prima ancora che comunicata, o nell’ipotesi in cui la comunicazione sia del tutto mancata, si ritiene che il termine decorra dalla data di notificazione. Laddove mancassero, sia la notificazione sia la comunicazione, il regolamento può essere proposto nel cd termine di 6 mesi dalla pubblicazione del provvedimento. Se si tratta di regolamento facoltativo il termine di 30 giorni decorre dalla data di notificazione dell’impugnazione ordinaria, se questa viene proposta per prima, diversamente si ritiene che il regolamento non possa più essere proposto qualora, anche se non ancora interamente decorso il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza, l’impugnazione ordinaria sia già preclusa. Entro 5 giorni dalla data di notificazione del ricorso per regolamento, la parte istante deve chiedere al cancelliere del giudice davanti al quale pende il processo che il relativo fascicolo sia trasmesso alla cancelleria della corte di cassazione. In assenza di tale richiesta, il ricorso per regolamento è ritenuto improcedibile quante volte l’esame del fascicolo del processo di merito risulti necessario per la risoluzione della questione di competenza demandata alla corte. Tale richiesta è funzionale alla sospensione del processo di merito che, è sospeso automaticamente dal giorno in cui è presentata l’istanza di trasmissione. In ultimo, sempre dalla data di notificazione, decorre il termine di 20 giorni per il deposito, presso la cancelleria della corte, del ricorso con i relativi documenti (compresi la 71 copia autentica del provvedimento impugnato e la procura laddove fosse conferita con atto separato) non è ammesso il deposito di documenti nuovi rispetto a quelli già acquisiti nel giudizio di merito; il contraddittorio viene garantito alle parti con la concessione di un termine di 20 giorni per il deposito di scritture difensive e documenti, decorrente rispettivamente dal giorno in cui abbiano ricevuto la notificazione del ricorso o vi abbiano aderito. Questo termine non è indicato dal codice di rito come perentorio, e dunque se ne deduce la sua natura meramente ordinatoria, dunque se tali documenti fossero tardivamente depositati potrebbero essere presi in considerazione dalla corte. Nel ricorso per regolamento di competenza non sussiste, per le parti che vogliano controdedurre, l’onere di utilizzare la forma del controricorso (diversamente da quanto accade per il ricorso per cassazione); l’art 48 cpc prevede la sospensione dei giudizi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza sia operata ipso iure dal momento un cui è depositata presso la cancelleria del giudice di merito l’istanza per la trasmissione dei fascicoli (lettera b di questo elenco). Questa sospensione viene definita come “impropria” perché il processo, in realtà, prosegue innanzi ad un giudice diverso, la suprema corte, ancorché per lo svolgimento di una peculiare fase. La sospensione opera di diritto e il relativo provvedimento del giudice (assume la forma dell’ordinanza) ha natura meramente dichiarativa. Oggetto della sospensione sono: - igiudizi di primo grado; - igiudizi di secondo grado, a conclusione dei quali è stato pronunciato il provvedimento oggetto di regolamento. Nel caso di regolamento facoltativo, inoltre, laddove questo sia stato proposto successivamente all’instaurazione del giudizio di impugnazione ordinaria, sarà quest’ultimo ad essere sospeso. La sospensione concerne solamente i processi di cognizione, infatti si esclude che essa possa essere applicata al processo esecutivo, o direttamente sull’efficacia esecutiva della sentenza. Al giudice del 72 dichiarato competente, rende incontestabile (non solo dalle parti, ma anche dal giudice in essa indicato) l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicata, ma limitatamente ai casi di incompetenza per valore o per territorio derogabile. Qualora si trattasse di incompetenza per materia o per territorio inderogabile (cd criteri forti) ci troveremmo dinanzi ad un conflitto negativo di competenza. L’art. 45, disciplina il c.d. conflitto negativo di competenza, il quale si verifica nel caso in cui il giudice adito dovesse dichiarasi incompetente, indicando come competente altro giudice dinanzi al quale le parti riassumono la causa; se anche quest’ultimo dovesse dichiararsi a sua volta incompetente si verifica allora quella situazione che la legge chiama “conflitto di competenza” - o regolamento di competenza d’ufficio - che rappresenta l’unico caso in cui il regolamento di competenza non ha le caratteristiche del mezzo di impugnazione. Tale secondo giudice, davanti al quale la causa è stata riassunta, e che si ritiene a sua volta incompetente, può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza, soltanto, però, nei casi di incompetenza per materia e territorio inderogabile. Il regolamento d’ufficio è proposto da giudice con ordinanza, la quale deve essere comunicata alle parti. Lo stesso giudice deve ordinare alla cancelleria la trasmissione del fascicolo alla corte di cassazione, con la medesima ordinanza verrà, altresì, sospeso il giudizio di merito. Anche in questo caso, le parti avranno la facoltà di depositare entro 20 giorni memorie con eventuali documenti. Infine verrà pronunciata una decisione che prenderà forma di una ordinanza. ASTENSIONE DEL GIUDICE L’art 51 cpc disciplina questa garanzia processuale, elencando i casi in cui un giudice non possa garantire la terzietà ed imparzialità costituzionalmente sancite dall’art 111.2 Cost. Il primo caso indicato dall’art 51 cpc è quello per cui un giudice ha il dovere di astenersi nel caso in cui abbia interesse nella causa o in un’altra vertente su identica questione di diritto. L’interesse a cui si riferisce il codice di rito va inteso come interesse che potrebbe avere il giudice perché litisconsorte (anche solo facoltativo) o perché potrebbe intervenirvi spontaneamente. In via generale il giudice ha l’obbligo di astenervi nel caso in cui potrebbe trarre vantaggio privato dalla sua pronuncia o, al contrario, potrebbe essere danneggiato 75 dalla sua pronuncia, e quindi la legge vuole che egli non sia mosso da tale interesse personale, potendo, così, garantire massima imparzialità. Il secondo caso è quello per cui il giudice deve astenersi se egli stesso (o il coniuge) è parente fino al quarto grado, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori. Sono ipotesi in cui i vincoli di parentela o stretti legami di amicizia possono determinare, verosimilmente, un coinvolgimento emotivo del giudicante tale da spingerlo ad avvantaggiare indebitamente la parte o il difensore cui è legato. Il giudice dovrà astenersi anche nell’ipotesi in cui sia legato da vincoli di parentela, non alla parte o al suo difensore, ma al coniuge di uno di essi. Malgrado la disposizione fa riferimento alla sola parentela legittima, si dovranno equiparare ad essa anche quella naturale e adottiva. L’art 51.2 cpc non fa riferimento esplicito all’affinità derivante dalla parentela propria del giudice o del suo coniuge, vada ben inteso che anche in questi casi si tratta di una situazione nella quale il giudice ha facoltà di astenersi. Il giudice dovrà astenersi anche laddove egli stesso o il suo coniuge ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o con alcuno dei suoi difensori. Entrambi i casi fanno rilevare un conflitto tra il giudice ed una delle parti o dei difensori tale per cui il primo potrebbe perdere la propria serenità di giudizio ed imparzialità. Il rapporto debito — credito potrebbe indurre nel giudice un interesse alla vittoria o alla sconfitta della propria controparte negoziale. Esso rappresenta l’unico rapporto giuridico rilevante ai fini dell’astensione anche nella sua fase fisiologica, infatti per tutti gli altri istituti giuridici il dovere di astenersi si deve espletare solo laddove tali rapporti siano degenerati in controversie giudiziali. Per “grave inimicizia” si intende una posizione tale da far credere che il giudice possa essere un probabile alleato dell’altra parte; inoltre le situazioni che hanno determinato tale inimicizia grave debbono essere estranee al processo e devono avere scaturito da parte del giudice rancore o avversione tali da alterare l’imparzialità e la serenità del giudizio. Per “causa pendente” si intende una controversia civile, penale o amministrativa instaurata tra il giudice ed una delle parti o dei difensori. Riferendoci con più attenzione a quelle civili, sia quelle instaurate dinanzi al giudice italiano che straniero, o dinanzi ad arbitri, è condizione necessaria che possano considerarsi pendenti secondo i dettami del sistema processuale applicabile ed il dovere di astensione persiste sino al passaggio in giudicato della relativa sentenza o alla inimpugnabilità del lodo o sino al passaggio in giudicato della 76 sentenza che ne conclude l’impugnazione. 77 ricorso al presidente del tribunale se è ricusato un giudice di pace, o al collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte d’appello. Questo ricorso deve contenere diversi elementi: = indicazione degli motivi specifici (tra quelli individuati dall’art 51.1 cpc) per cui si chiede la ricusazione del giudice; = i mezzi di prova che per questo vengono offerti a tal fine. Per essi si fa riferimento a quanto indicato dal codice civile, dunque facendo rientrare come strumenti probatori: - dichiarazioni rese dal giudice ricusato; - le presunzioni, soprattutto se bisogna dimostrare l’inimicizia nei confronti di una delle parti o del difensore; - le prove documentali o testimoniali, le quali debbono passare al vaglio dell’ammissibilità e della rilevanza. Il giudice ricusato non rivestendo la qualità di parte nel procedimento che lo vede ricusato, gli è riconosciuta l’inammissibilità del giuramento e dell’interrogatorio. Tale richiesta deve essere depositata in cancelleria due giorni prima dell’udienza se al ricusante è noto il nome del giudice oppure qualora non lo fosse, potrà depositarlo prima dell’inizio della trattazione o della discussione, a pena di inammissibilità (art 52 cpc). La ricusazione sospende il giudizio di merito in corso (a discrezione del presidente del collegio che se riterrà opportuno darà disposizione affinché vengano compiuti gli atti urgenti, e se si tratta di giudice appositamente delegato, qualora dovesse compiere atti dopo il procedimento di ricusazione saranno affetti da nullità) e viene decisa, sentito il giudice ricusato ed assunte le prove offerte, con ordinanza non impugnabile che, qualora accogliesse il ricorso, designerebbe il giudice che dovrà sostituire quello ricusato, diversamente respinge il ricorso o lo dichiara inammissibile, prevedendo altresì le spese condannando la parte o il difensore ad una pena pecuniaria che, dopo l’entrata in vigore della L. 69/2009 non può essere superiore a 250 euro. Entro 6 mesi dalla comunicazione dell’ordinanza che pronuncia sull’istanza di ricusazione, alle parti è fatto onere di riassumere il processo di merito, pena la sua estinzione. L’ordinanza è espressamente qualificata come non impugnabile e non impugnabile o meno, si esclude la ricorribilità in cassazione ai sensi dell’art 111 della costituzione, perché difetta del requisito della definitività. 80 IL PUBBLICO MINISTERO Il Pubblico Ministero, è un organo dello Stato destinato ad operare accanto agli organi giurisdizionali nell’interesse pubblico rappresentato dall’attuazione della legge. Il PM trova spazio anche nella costituzione, agli articoli: * 104 cost. questo articolo sancisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere; * 107 cost.: sancisce che i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni e che il PM gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme dell’ordinamento giudiziario. L’ordinamento giudiziario all’articolo 73 stabilesce che “il PM veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci”. Sempre l’ord giudiz. All’art 75 attribuisce al PM il potere di azione e di intervento nel processo civile, nei casi stabiliti dalla legge. IMPU Il PM non ha poteri decisori La legge distingue tra due diverse figure di PM: agente ed interveniente. PM agente (o attore): l’art. 69c.p.c. dispone che il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge. Nel vasto gruppo di situazione in cui il PM deve agire, si distingue un gruppo in cui tale azione tende ad ottenere dal giudice un provvedimento favorevole ad una determinata persona (es. la nomina del curatore dello scomparso), ed un gruppo in cui essa si pone come il limite di ordine pubblico alla libera esplicazione della volontà delle parti (es. opposizione al matrimonio). PM interveniente: ai sensi dell’art. 70 c.p.c. (il 1° e 2° comma), l’intervento del PM può essere necessario o facoltativo. Il PM deve intervenire a pena di nullità (“intervento necessario”, art. 70, comma primo) rilevabile anche d’ufficio in una serie di ipotesi, che sono tassativamente elencate nel testo della norma: v nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; v nelle cause matrimoniali comprese quelle di separazione personale dei coniugi; v nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, e negli altri casi previsti dalla legge”; Y ha inoltre l’obbligo di intervento in ogni causa davanti alla Corte di Cassazione (art. 70, comma secondo). 5 Un esempio di intervento obbligatorio previsto dalla legge, si ha nel procedimento della “querela di falso”. 81 Infine, il PM ha la facoltà di intervenire (“intervento facoltativo”), in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse (art. 70, ult. Comma, cioè 3°); tale apprezzamento riverbera la discrezionalità operata dal PM ed è dunque incensurabile. Affinché, il PM sia posto in condizione di poter intervenire, l’art. 71 c.p.c. contempla l’obbligo del giudice davanti al quale è proposta una delle citate cause, di ordinare al cancelliere la comunicazione degli atti del processo al PM stesso. Resta ferma la valutazione del giudice per individuare la presenza dell’interesse pubblico che giustifica tale intervento. L'intervento può essere utilmente compiuto fino al momento che precede il giudizio, ossia il momento nel quale le parti precisano le conclusioni. Il PM non è mai titolare del diritto sostanziale coinvolto nel processo, con la conseguenza che egli potrà rinunciare all’azione esercitata nel processo, ma non potrà porre in essere atti dispositivi del diritto sostanziale (esempio: la transazione, la rinuncia, ecc) escludendo, altresì, che possa sollevare eccezioni sostanziali (come l’eccezione di prescrizione). Le funzioni del PM, sono rappresentate dagli interessi che egli tutela, e da questo punto di vista possiamo ben affermare che ciò lo avvicina al giudice (più che alla parte e meno ad un organo amministrativo). I poteri del PM. (art. 72 c.p.c.) Qualora si tratti di PM agente o interveniente nelle cause che avrebbe potuto proporre (n. 1, comma primo, art. 70), al PM vengono riconosciuti gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime (ciò riconosciuto implicitamente dall’art 2907 cc che sancisce il principio secondo il quale “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del PM o d’ufficio”). Negli altri casi di intervento, tranne che nelle cause davanti alla Corte di Cassazione, il PM può produrre documenti, dedurre prove, dare conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti. Inoltre, può proporre impugnazioni contro le sentenze relative a cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale. Infine, l’art. 73 c.p.c. stabilisce che al PM si applica la norma relativa all’astensione del confronti di una delle parti in giudizio si determini un fenomeno successorio inter vivos o mortis causa. Le azioni di gruppo, la cd AZIONE DI CLASSE. Iniziamo subito con un esempio: Azioni a tutela dei diritti dei consumatori e risparmiatori e degli utenti. La legge 244/2007 entrata in vigore nel 2010 ha subito diverse modifiche che hanno riguardato aspetti importanti della normativa come le categoria dei soggetti legittimati all’esercizio dell’azione e la discussa ed alla eliminata retroattività dell’azione collettiva rispetto a situazioni precedenti. Analizziamo gli aspetti essenziali della legge 99/2009 che disciplina le azioni collettive risarcitorie proponibili a partire dal 01/01/2010, per gli illeciti commessi a partire dal 15/08/2009 data di entrata in vigore della legge. Analizziamo: 1. Ambito oggettivo: l’oggetto della tutela accordata è triplice: a) I diritto contrattuali di una pluralità di consumatori ed utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; b) I diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, ma anche a prescindere da un diritto rapporto contrattuale; c) I diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. 2. Ambito soggettivo: l’individuazione dei soggetti legittimati ad agire non lascia dubbi, infatti il legislatore non ha riservato il “privilegio” o il “monopolio” dell’azione a soggetti o enti associativi interessati, ma li estende, altresì, a ciascun componente della classe. Più farraginosa è la questione che si estende a certi tipi di soggetti, ad esempio: = 1 soggetti che aderiscono all’azione di classe: l’adesione determina la possibilità di godere degli effetti dell’accoglimento della domanda (giacché il tribunale che emette il provvedimento di accoglimento, liquida le somme dovute o stabilisce il criterio di calcolo per effettuare tale liquidazione) anche a favore di coloro che hanno aderito all’azione, però comporta rinuncia di ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sullo stesso titolo; = 1 soggetti che vi restano estranei: dunque per coloro che non vi aderiscono resta salva l’azione individuale. Comunque importante da sottolineare: -. Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa, dopo la scadenza del termine per l'adesione fissato dal giudice; - Le azioni proposte prima della scadenza di questo termine sono riunite alla prima azione intrapresa. Gli effetti dell’azione esercitata ed i benefici del provvedimento di accoglimento non si estendono all’intera classe o categoria di consumatori o di utenti, ma sono limitati esclusivamente al gruppo che con l’esercizio dell’azione o con l'adesione è stato coinvolto nel procedimento 3. Svolgimento del procedimento: la domanda è proposta con citazione al tribunale ordinario e la competenza territoriale viene determinata con riferimento al capoluogo della regine in cui ha sede l’impresa. L’atto di citazione è notificato anche al PM presso il tribunale adito, il quale avrà il potere di intervento (facoltativo) limitatamente al giudizio di ammissibilità. Il procedimento si sviluppa in due fasi: I. Fase di ammissibilità: si conclude con un’ordinanza emessa dal tribunale adito con la - Quando è manifestatamene infondata; - Quando sussiste un conflitto di interessi, - Quando non vi è identità dei diritti individuali tutelabili; - Quando il proponente non appare in grado di tutelare l’interesse della classe. Quando, invece, il tribunale ritenga la domanda ammissibile, fissa anche le modalità pubblicitarie idonee a provocare la tempestiva adesione degli appartenenti alla classe; II. Fase di merito: si conclude con una sentenza che giudica sull’an, accogliendo la domanda sul quantum, liquidando le somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilendo il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione delle somme. La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti di coloro che hanno aderito. 4. Reclamo di ordinanza di ammissibilità e impugnazione delle sentenze: contro l'ordinanza che decide sull’ammissibilità è proponibile reclamo alla corte d’appello nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione. La sentenza diventa esecutiva decorsi 180 giorni dalla pubblicazione ed è impugnabile innanzi la corte d’appello. La condizione giuridica della parte al processo. Tra i problemi relativi alla parte è di rilevanza quello che concerne la capacità della stessa 0, per meglio dire, la sua partecipazione al giudizio quale soggetto abilitato ad esercitare poteri processuali ed a compiere atti processuali. Al tal proposito esaminiamo la Legitimatio ad processum (che non va assolutamente confuso con la legitimatio ad causam che concerne i problemi legati alla legittimazione ad agire ed a contraddire nel processo). Infatti legati alla legitimatio ad processum consideriamo i profili della presenza della parte e della sua partecipazione al giudizio, riconducibili agli istituti, previsti dall’art 75 cpc: Della capacità; Della rappresentanza; Dell’assistenza e dell’autorizzazione. La dottrina opera una distinzione, rispetto alla condizione di parte, tra: * Capacità processuale, cioè capacità di essere parte, che compete a qualsiasi soggetto di diritto; Capacità di stare in giudizio, presuppone la capacità d’agire; Jus postulandi, è riservato al difensore, salvi particolari casi. Dunque per parte si deve intendere il soggetto concreto del processo e le persone che non hanno il libero esercizio di diritti che vi si fanno valere, non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate. Sorge una legittima domanda, e cioè che significato abbia dire che un minore o un interdetto hanno la capacità di esser parti, ma non la capacità di stare in giudizio quando, concretamente, se essi mancano della necessaria assistenza o rappresentanza, non possono essere affatto contraddittori legittimi in un processo, né come attori e né come convenuti, dunque, in sintesi, non possono essere parti cioè titolari di situazioni giuridiche processuali. Dunque coloro che hanno il libero esercizio dei loro diritti sono capaci d’agire in giudizio, hanno capacità di essere parti (soggetti concreti del processo) e cioè di situazioni giuridiche processuali (possibilità preclusa all’incapace, se privo di assistenza o rappresentaza), ma questo discorso NON è da intendersi nel senso che possono compiere atti idonei ad essere inseriti nel processo. A raccordare tutte queste definizioni affermiamo che: la capacità del soggetto — parte è capacità dispositiva del diritto sostanziale, che rappresenta uno svolgimento della sua 4 Difetto di capacità della parte. È rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio; e può essere eccepito per la prima volta anche in Cassazione. Tale difetto è, comunque, sanabile in qualunque stato e grado del giudizio con effetto retroattivo. La sanatoria si realizza sempre con la costituzione nel successivo grado di giudizio del rappresentante legittimato. Dalla rappresentanza legale - in cui, per l'incapacità dei rappresentati, o per altre cause, è la legge che conferisce il potere rappresentativo al rappresentante - differisce la rappresentanza volontaria (art. 77 c.p.c.), in cui il potere rappresentativo è conferito dal titolare del diritto (che così diverrà il rappresentato) attraverso un negozio (la procura). Infine, la legge ha preso in considerazione un’eventualità contingente, ossia l’ipotesi che: * per una ragione qualsiasi, manchi la persona alla quale spetti la rappresentanza o l’assistenza e, d’altra parte, esistano ragioni di urgenza; * ilconflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato. Per questa eventualità, l’art. 78, comma primo, prevede la nomina - su istanza dell’interessato, ancorché incapace, dei suoi prossimi congiunti o del p.m. (art. 79 c.p.c.) - di un curatore speciale all’incapace, alla persona giuridica o all'associazione non riconosciuta, con i poteri di rappresentanza o di assistenza in via provvisoria, ossia finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza. Queste disposizioni delineano una tutela speciale circoscritta al solo processo e rientra nella competenza dello stesso giudice innanzi al quale pende (lo si nota dalla legittimazione all’istanza attribuita all’art 79.2 cpc a “qualunque altra parte in causa”, che si traducono nel: PM, i prossimi congiunti dell’incapace e , in caso di conflitto di interessi, al rappresentante, anche alla persona che deve essere rappresentata o assistita, sebbene incapace) o in ottemperanza dell’art 80.1 cpc deve essere proposta la causa nell’interesse dell’incapace. RAPPRESENTAZA PROCESSUALE. Partendo da quanto stabilisce l’art 1387 cc, l’autore dell’atto e il soggetto al quale vengono imputati gli effetti di questo atto posto in essere dal primo, tale imputazione si determina SNota il principio secondo cui il soggetto incapace conserva, comunque, una potestà residuale di attivare il procedimento per reintegrare la sua capacità o per essere tutelato nell’ipotesi di conflitto di interessi con il suo rappresentante. perché l’autore dell’atto agisce in nome e per conto del rappresentato ed esercitano un potere che gli è conferito dalla legge o per volontà del rappresentato. Poiché l’art 81 cpc rubricato “sostituzione processale” stabilisce “fuori dai casi espressamente previsti dalla legge (artt 108 cpc, 111 commi 1 e 2 cpc, 2900 cc) nessuno può far valere nel processo in nome un diritto altrui. Dunque la lettura di questo precetto non lascia dubbi “un soggetto agirebbe non in nome e per conto altrui (e cioè con la spendita del nome) ed esercitando l’altrui interesse (come agisce il rappresentante) ma piuttosto facendo valere nel processo in nome proprio, un diritto altrui”. La condizione dell’ammissibilità della rappresentanza volontaria nel processo è interdetta se non congiunta con la corrispondente rappresentanza volontaria. In sintesi: Dalla rappresentanza legale - in cui, per l'incapacità dei rappresentati, o per altre cause, è la legge che conferisce il potere rappresentativo al rappresentante - differisce la rappresentanza volontaria (art. 77 c.p.c.), in cui il potere rappresentativo è conferito dal titolare del diritto (che così diverrà il rappresentato) attraverso un negozio (la procura). Il falsus procurator è colui che agisce nel nome di un soggetto senza averne il potere, o per cessazione del suo ufficio o per difetto di procura. Secondo il regime della rappresentanza senza potere (disciplinato dall’art 1398 cc) si deve riconoscere la possibilità per l’interessato di ratificare anche nel processo l’operato del falsus procurator giovandone direttamente del risultato utile. A tale facoltà, assolutamente discrezionale, del falsamente rappresentato combacia l’onere per lui di impugnare la sentenza che emesso nel giudizio intrapreso dal falus procurator, gli venga notificata personalmente ed anche se in difetto la sentenza passerà in giudicato. SOSTITUZIONE PROCESSUALE. A un’attenta analisi dell’art 81 cpc l’esame della disposizione far valere “in nome proprio un diritto altrui” dimostra che il soggetto che agisce non si limita alla spendita del proprio nome per far valere un diritto altrui. I casi più frequenti in cui tale sostituzione processuale: » impugnazione a norma dell’art 117 cc da parte dei genitori, del PM, Itre che dei coniugi, del matrimonio contratto in violazione degli artt: art 84 cc: età art 86 cc: libertà di stato - art 87 cc: parentela, affinità, ecc - art 88 cc: delitto. » Impugnazione da parte dei coniugi del secondo matrimonio dell’altro coniuge (ex art 124 cc); » L’azione surrogatoria (art 2900 cc). Prendiamo l’esempio del padre che impugna il matrimonio del figlio minorenne, egli non si limita a spendere il proprio nome esercitando il diritto del figlio, ma esercita un proprio diritto riconosciutogli dalla legge all’art 117 cc. Dunque, in sintesi, il sostituto processuale non si limita ad agire nel proprio nome, ma esercita un proprio diritto che interferisce in un rapporto altrui. La successione nel processo e nel diritto controverso. Durante il processo può accadere che la parte venga meno, sia: 1. per morte (se persona fisica) 2. per altra causa (es: soppressione autoritativa dell’ente al quale sia affidato di regolare i rapporti preesistenti o allo Stato) 3. per l’estinzione dello della società conseguente a fusione o ad incorporazione. Nella prima ipotesi può accadere che il diritto controverso venga trasferito a titolo particolare (come nel caso di legato di specie nelle successioni testamentarie). A_ questa ipotesi di successione mortis causa (a titolo universale o a titolo particolare) affianchiamo il caso della successione inter vivos, seguendo l’opinione comune, solo a titolo particolare (non già a titolo universale). Dobbiamo, quindi, individuare quali conseguenze si determinano nel processo a seguito di questi eventi successori, nel dettaglio: a. chi succede nel processo: bisogna distinguere: I. successione mortis causa (operando una doverosa distinzione tra successione a titolo universale e a titolo particolare), laddove si paventasse un’ipotesi del genere, le conseguenze per il processo in corso sarebbero influenzate dal fatto che il bene della vita, coinvolto nella controversia, sarebbe oggetto di una disposizione a titolo particolare (cioè di un legato) o rientrerebbe nell’universum jus attribuito all’erede. Il processo proseguirebbe sempre nei confronti del successore universale; IL PROCESSO CON PLURALITA’ DI PARTI Si ha litisconsorzio quando nel processo vi è una pluralità di parti, e cioè quando vi sono più attori (litisconsorzio attivo) o più convenuti (litisconsorzio passivo). Il litisconsorzio è ammesso per due ragioni: il principio dell'economia dei giudizi, e quello della non contraddittorietà dei giudicati. Rispetto al momento in cui si verifica la presenza di più parti il litisconsorzio può essere “originario” o “successivo” (c.d. intervento). Rispetto al rapporto che lega le parti tra loro, il litisconsorzio originario può essere necessario o facoltativo. Il litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.): esso si ha quando la decisione non può essere pronunciata che nei confronti di più parti, in tal caso queste devono agire o essere convenute nello stesso processo (es. la domanda di divisione deve proporsi nei confronti di tutti gli eredi, o di tutti i condomini). Nel caso in cui il giudizio viene promosso senza la presenza di tutti i litisconsorti - e cioè da alcune parti o soltanto nei confronti di alcune di esse -, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito, decorso inutilmente, si avrà come conseguenza, l’estinzione del processo. Inoltre, qualora il giudice dovesse proseguire il giudizio nonostante la mancanza di un litisconsorte necessario, la sentenza pronunciata sarà come inutiliter data, ossia non produrrà effetti neanche nei confronti delle parti costituite. Il litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.): questo si verifica quando per ragioni di convenienza pratica, due azioni vengono esercitate nello stesso processo; non si tratta però di una riunione imposta dalla legge. Questo può essere proprio (più persone possono agire o essere convenute nello stesso processo a condizione che fra le cause proposte esista connessione per l’oggetto o per il titolo), e può essere improprio (quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla soluzione di identiche questioni). Nel litisconsorzio facoltativo le azioni connesse, sebbene proposte nello stesso processo, rimangono distinte e possono essere decise in modo differente: a norma dell’art. 103, comma secondo, c.p.c., il giudice può disporre, nel corso dell’istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, 12 se vi è istanza di tutte le parti, o quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza. L’intervento (litisconsorzio successivo, L’intervento si verifica quando in un processo già iniziato subentra un soggetto estraneo, diverso dalle parti originarie. Con l’intervento, il terzo, acquista la qualità di parte, e determina spesso un ampliamento dell’oggetto processuale. La ragione pratica di tale istituto è data dal fatto che la posizione del terzo potrebbe subire delle conseguenze indirette dalla sentenza altrui. La legittimazione all’intervento si fonda su una connessione oggettiva tra l’azione in corso e quella che il terzo vuole proporre, ovvero che si vuole esercitare contro di lui. L’intervento può essere di tre tipi: volontario, coatto su istanza di parte e coatto per ordine del giudice (cd jussu judici). L’intervento volontario (art. 105 c.p.c.): è l’intervento dovuto all'iniziativa spontanea del terzo, che, potendo in qualche modo risentire delle conseguenze derivanti da un processo di cui non è parte, ha interesse allo svolgimento e all’esito del processo stesso. Si tenga comunque presente che il terzo potrebbe attendere la fine del processo e proporre l’opposizione di terzo (ex art. 404 c.p.c.) contro la sentenza. Tale intervento a sua volta può essere: 1) principale, quando l’interveniente afferma un diritto proprio in contrasto sia con l’attore che con il convenuto (es. Tizio rivendica una cosa nei confronti di Caio, Sempronio interviene sostenendo che quel bene è il suo); 2) adesivo autonomo o litisconsortile, quando l’interveniente, pur facendo valere un diritto autonomo, assume una posizione uguale a quella di una delle parti; la sua difesa, pur coincidendo con quella di una delle parti, comunque rimane sempre distinta da essa. Proprio per tale motivo l’interventore adesivo autonomo può proporre domande nuove o impugnare autonomamente la sentenza; 3) adesivo dipendente (ad adiuvandum), anche qui il terzo sostiene le ragioni di una delle parti, ma non potrebbe agire da solo, non vantando nessun diritto, ma avendo solo un interesse nella causa (es. il sub-conduttore che interviene nella causa pendente tra il locatore ed il conduttore altro condebitore.). Per tale situazione di dipendenza processuale, 13 l’interventore non può proporre impugnazione autonoma se la parte adiuvata vi abbia rinunciato. L’intervento coatto su istanza di parte (art. 106 c.p.c.): tale tipo di intervento può essere di due tipi: 1) intervento coatto su istanza di parte “in senso proprio”, il quale si verifica quando una delle parti ritenga la sua causa comune ad una terzo. Siamo davanti ad un’ipotesi di connessione oggettiva per oggetto o titolo. Si tratta di chiamare in causa i terzi che avrebbero potuto spiegare intervento principale o adesivo autonomo; 2) “chiamata in garanzia”, che ricorre quando il convenuto chiama in causa il proprio garante per essere coadiuvato nella difesa e, in caso di soccombenza, per esercitare nei suoi confronti l’azione di regresso. L’intervento coatto per ordine del giudice (cd jussu judici) (art. 107 c.p.c.): il giudice può disporre l’intervento quando ritiene che il processo si debba svolgere nei confronti di un terzo al quale la causa sia comune. L’ordine di intervento non è diretto al terzo, ma alla parte che deve provvedere alla chiamata, mediante citazione. Se la parte non ottempera la causa viene cancellata dal ruolo. Il giudice può ordinare l’intervento per economia dei giudizi, per garantire unità e uniformità di decisione sui rapporti connessi, oppure per tener conto dell’interesse del terzo e tutelare le sue ragioni. IL DIFENSORE Le parti possono stare in giudizio soltanto con l’assistenza di un difensore legalmente esercente, al di fuori di ipotesi tassative, in cui possono agire personalmente: * davanti al giudice di pace, nelle cause il cui valore non ecceda euro 516,46 (art. 82, comma primo); * il giudice di pace, tenuto conto della natura e dell’entità della causa, su istanza di parte, può autorizzare la stessa a stare in giudizio di persona (art. 82, comma secondo); * quandola parte ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore (art. 86). Davanti alla Corte di Cassazione le parti devono farsi assistere da avvocati iscritti nell’apposito albo. Quando le parti stanno in giudizio con il ministero di un avvocato, questi deve essere munito di procura generale (ad lites) o speciale (ad litem). La procura speciale 14
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