Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Contraddittorio e Prove nel Processo Penale: Formazione e Valutazione, Appunti di Diritto Processuale Penale

Sul concetto di prove costituite e precostituite nel processo penale e come il diritto alla difesa si esercita in relazione a esse. il ruolo del contraddittorio nella formazione della prova e le implicazioni per le dichiarazioni preliminari e le regole del processo penale.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 12/11/2018

rekuzzina92
rekuzzina92 🇮🇹

4.1

(25)

20 documenti

1 / 43

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Contraddittorio e Prove nel Processo Penale: Formazione e Valutazione e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! Diritto Processuale Penale II GIUSTO PROCESSO Ci riferiamo all'articolo 111 costituzione, anche detto manifesto del giusto processo. Per risalire alla storia che ha portato alla riforma del giusto processo, dobbiamo partire dal momento dell'entrata in vigore del c.p.p nel 1989. ha introdotto un processo di tipo accusatorio, in sostituzione del precedente modello di processo di tipo inquisitorio, che era il sistema del codice Rocco del 1930. Nonostante l'entrata in vigore della costituzione repubblicana del 1948, il c.p.p Rocco del 1930 è rimasto in vigore fino al 1988 con una serie di modifiche. Caratteristiche modello accusatorio: – separazione netta tra i soggetti del processo: tra il giudice e le parti. Separazione che riguarda specialmente la parte accusatrice, PM, e il soggetto giudicante, il giudice. Nel processo inquisitorio, il giudice tendeva a trasformarsi in una parte con il rischio che lo stesso giudice sarebbe accusatore. Si evita con l'accusatorio che il giudice si trasformi in accusatore e l'accusatore in giudice. – Tema della prova: parlando di prove ci riferiamo al materiale utilizzabile ai fini della decisione. Non è possibile pensare a qualcosa che possa essere utilizzata per la decisione che non sia prova. Se è valutabile, è prova! Distinguiamo tra: – prove costituite: prove che si formano nel processo (testimonianza) – prove precostituite: prove che si formano fuori dal processo (arma del delitto). (Caso dubbio dell'intercettazione: se si considera come strumento che registra la conversazione, allora è stata disposta nel processo e quindi prova costituita; se si considera la conversazione intercettata, questa avviene fuori dal processo, quindi prova precostituita). Tra processo accusatorio ed inquisitorio, nelle prove precostituite, non c'è un grande divario, perché in entrambi l'imputato ha diritto di vederle. Sul terreno delle prove precostituite un embrione di difesa si realizza, mostrando la prova precostituita stessa alla difesa dell'imputato, invitandolo a dire quanto crede. Questo indifferentemente in entrambi i modelli. Differenza sostanziale sta nelle prove costituende: nell'inquisitorio si tratta la prova costituenda come quella precostituita, nell'ambito della difesa. Si ascoltano i testimoni in segreto e una volta che hanno deposto, si fanno vedere i verbali delle disposizioni alla difesa dell'imputato, affinché possa dire quanto crede. Nel processo accusatorio il diritto di difesa si realizza su una prova già formata → contraddittorio sulla prova. Nel processo accusatorio, nell'ambito della prova costituita, il diritto alla difesa si esercita nel momento stesso della formazione della prova. Si fa intervenire la difesa mentre si ascolta il testimone e la testimonianza si forma attraverso le domande delle parti → contraddittorio per la prova. Inquisitorio → sulla prova Accusatorio → per la prova Il codice del 1988 , ha introdotto il principio del contraddittorio per la prova= REGOLA d'ORO, delineata da due regole fondamentali: – nella decisione io posso utilizzare come prova tutto ciò che il teste ha detto nel contraddittorio, alla presenza e con l'intervento delle parti, quindi è valutabile ai fini della decisione. Non posso utilizzare per la decisione una sola sillaba di quello che è stato detto fuori dal contraddittorio, se no si trasformerebbe in prova qualcosa che non è stato assunto in contraddittorio e si ritornerebbe nel processo inquisitorio. Il c.p.p all'articolo 500 diceva: “ le dichiarazioni raccolte unilateralmente, quindi raccolte dalla PG, dal PM, dal giudice o dal difensore, e in segreto, possono essere utilizzate per contrastare la dichiarazione dibattimentale, ma non costituiscono prova dei fatti in essa affermati”. Teste dice in interrogatorio durante le indagini: nero; arriva in dibattimento e dice: bianco. Nel 1930 , il giudice in queste situazioni poteva dire: credo a bianco, non credo né a bianco, né a nero, oppure credo a nero. Ora o si crede a bianco, oppure non si crede a bianco, ma non si può credere a nero, perché raccolto fuori dal contraddittorio. – Corollario della prima regola: art 195 c.p.p : “ io non posso utilizzare come prova quel verbale dove c'è scritto nero della PG”. Ci poteva comunque essere un trucco per ovviare a questa regola: chiamo a testimoniare in contraddittorio delle parti, l'ufficiale di PG e gli chiedo cosa gli ha dichiarato il teste. Così posso credere a nero, non sulla base del verbale , ma sulla base della testimonianza resa dall'ufficiale → si elude il divieto. Se dico che i verbali della PG non hanno valore di prova, allora non posso poi ammettere che vi sia la prova testimoniale della PG sul contenuto dei verbali stessi. Quest'ultima precisazione non è una disparità di trattamento. Si dice: il cittadino può sempre testimoniare. Cioè il cittadino che sente una conversazione al bar di due criminali, può testimoniare, perché il cittadino può sempre testimoniare su prove precostituite, su ciò che ha sentito fuori dal processo. Ma la polizia giudiziaria ha solo il divieto di testimoniare su prove costituende, formate nel processo, perché a queste si applica la regola d'oro. Quindi, se al bar ,al posto del cittadino, ci fosse la PG, questa potrebbe testimoniare? Certo che sì, perché si tratta di prove precostituite, non costituende. Per tanto non abbiamo disparità di trattamento. Queste regole sono state dichiarate incostituzionali entrambe. La Corte Costituzionale le ha dichiarate illegittime, come ha fatto? Non troviamo una norma costituzionale che collida con queste regole. Spesso, per dichiarare l'incostituzionalità, quando non c'è una norma violata, si invoca l'articolo 3 della costituzione. Queste norme vengono dichiarate tali per contrasto con l'articolo 3, nello specifico con il principio di ragionevolezza. È normale che con l'articolo 3 posso dichiarare incostituzionale tutto ciò che è irragionevole. Il prof ha seri dubbi che queste due norme siano così irragionevoli. 1) La prima norma a cadere è stato l'articolo 195 c.p.p con la sentenza n° 24/1992 Ccost. Non possono essere usati i verbali. Escamotage: la PG viene chiamata a testimoniare. Il caso era: il PM aveva chiamato a deporre la PG e la difesa si era opposta dicendo che la polizia non può deporre su quel verbale, poiché vietato dal codice. Il caso trattava di un inseguimento tra trafficanti di droga, quando la polizia viene sul posto trova uno di questi pugnalato, che in punto di morte confessa alla polizia i nomi degli altri complici. Dichiarazione sentita solo dalla PG e su cui verrà basata tutta l'indagine e poi anche il processo. Il giudice decide di rimettere la questione alla Corte Costituzionale, la quale pensa che il processo accusatorio porti a queste folli conseguenze e dichiara incostituzionale la norma. Ma qual è stato l'errore della difesa? La testimonianza resa in punto di morte alla PG è prova precostituita, quelle dichiarazioni del morente sono extraprocedimentali, su cui la PG può deporre. La polizia , secondo l'articolo 195 cpp, non può deporre quando agisce come polizia giudiziaria, perché in quel modo la prova diventa costituita. La Corte non ha rilevato questa cosa, non ha riconosciuto che la prova era precostituita. La Corte dichiarò incostituzionale la norma su questo divieto,perché contraria al principio di ragionevolezza e anche perché se può testimoniare il privato cittadino, non si vede il perché non può farlo anche la PG. Questa conclusione fa ridere, perché non c'è disparità di trattamento. (Ora è stata reintrodotta la norma). 1. Con questa sentenza si permise la testimonianza sulle dichiarazioni rese alla PG in segreto. 2. Così facendo la Corte sarebbe poi stata costretta a dichiarare incostituzionale la norma che vieta di usare come prove le dichiarazioni difformi rese al PM in segreto e utilizzabili solo per contestazione. Perché ci sarebbe disparità con la PG. nell'inquisitorio, mettevano al rogo le streghe e si era convinti di accertare la verità. Il prof dice: non possiamo, dopo innumerevoli sacrifici affermare che la verità si cerca torturando le persone. La verità si cerca, invece, attraverso il metodo del contraddittorio. Damaska invece dice: – o si realizza il contraddittorio e si rinuncia alla verità, quindi: processo come risoluzione dei conflitti, guardando chi ha giocato meglio, però rinunciamo alla verità da attuare nel diritto penale sostanziale; – oppure se non vogliamo rinunciare alla verità bisogna ricorrere alle maniere forti. Però è proprio il contrario. Ciò che si accerta nell'inquisitorio con la tortura e le maniere forti, infischiandosene delle regole, non è la verità , la verità si trova più facilmente tramite il metodo del contraddittorio. In definitiva: ci sono due tipi di processo, che hanno entrambi l'obiettivo di attuare il diritto penale sostanziale, ma hanno due modi diversi per attuarlo. 1- uno è quello del contraddittorio con il modello accusatorio 2- l'altro è quello del segreto ,del calpestare le regole, ossia quello inquisitorio. Non possiamo dire che il contraddittorio garantisca la verità, ma tra i due è il meno peggio. Non possiamo dire: è il metodo ideale, perché possono ,in sede di processo, succedere tante cose. Ma tra i due dà sicuramente più garanzie quello del contraddittorio. Il patteggiamento è sicuramente più inquisitorio che accusatorio. È inquisitorio perché decide sulla base di atti di indagine, Damaska lo mette come tipico del processo come risoluzione dei conflitti. Non c'è lo scontro dialettico, non c'è contraddittorio. Non piace classificarlo né come accusatorio, né come inquisitorio , ma come giustizia negoziata. Perché c'è questa tendenza a dire che, per raggiungere la verità, si debbano usare le maniere forti e abbandonare le certezze del contraddittorio? Se una banda di rapinatori entra in casa e vuole sapere dov'è la cassaforte e me lo chiede puntandomi una pistola alla tempia, io sarò più portato a dire la verità, perché questo andrà a cercarla dove gli ho detto e potrà confrontare se ho detto il vero. Altrimenti tornerebbe e potrei rischiare la vita. In questi termini di efficienza, certamente qualunque persona ragionevole direbbe che funziona meglio il sistema forte. Però immaginiamo ,ad esempio, che mi trovi invece di fronte ad una banda di rapinatori che hanno prelevato un ostaggio e l'hanno nascosto da qualche parte, quale metodo funzionerà meglio? Ciò che voglio dire è che: quando si tratta di qualcosa di materiale , il metodo del contraddittorio fa sorridere. Funziona meglio il metodo brutale. Una volta che l'oggetto esistente, emerge, viene alla luce, può essere confrontato con ciò che mi è stato detto. Ma ora trasferiamo questo discorso nel processo penale. Cosa si propone di cercare il processo penale? La verità in ordine all'accusa, ma l'accusa da cosa è composta? Da un enunciato che riguarda un fatto storico, il fatto del passato. È qui l'enorme differenza. Nel processo penale io non vado alla ricerca dell'oggetto( chiave della cassaforte), non vado alla ricerca di qualcosa che una volta trovato potrà documentare il buon esito. Nel processo penale vado alla ricerca della verità di un fatto che non esiste più , non devo scoprire qualcosa di esistente, devo ricostruire un fatto passato e non avrò la possibilità del confronto con l'originale. Il passato non lo scopro più, non lo ritrovo come una cassaforte, avrò solo la mia ricostruzione che potrà essere vera o falsa, ma non ho questa possibilità di aggancio ,di confronto. Immagine di Popper: l'idea che la verità non si trovi tanto attraverso conferme, quanto attraverso smentite e falsificazioni. Una tesi per essere ritenuta fondata non ha bisogno tanto di conferme, ma soprattutto di smentite. Questo è il compito della difesa : fare di tutto per smentire e la tesi sarà rafforzata dal fatto che non vi è smentita, che resiste ai tentativi di falsificazione. Popper ha detto: siamo come degli alpinisti che si trovano nella tempesta avvolti nella neve, che tentano di raggiungere la vetta della montagna, non la vedono , ma devono procedere a tentoni verso questa meta → questa è la ricerca della verità secondo Popper. Ma questa immagine è sbagliata se riferita al processo penale. La vetta nel processo penale non esiste più. Perché il nostro è un fatto passato, non esiste più, dobbiamo RICOSTRUIRE: ossia costruire di nuovo quel passato. Ma quella verità è una mia: COSTRUZIONE, non posso portargli davanti il fatto passato. Quali metodi, in definitiva, sono quindi idonei per la ricostruzione? È insensato puntare il coltello alla gola di una persona per fare una ricostruzione, perché non parliamo di una cosa materiale, quindi diventa essenziale per ricostruire il metodo del contraddittorio. Con il metodo del contraddittorio c'è sempre l'errore perché facciamo una ricostruzione: dalle travve del presente, risaliamo ai fatti del passato. Non occorre, però, che si faccia questa ricostruzione e quindi si verifichi che l'imputato abia commesso il fatto, non basta questo per condannare, ma dobbiamo aggiungere quello che si chiama: valore giuridico: accertare che quel fatto costituisce o meno reato. Si è condannati a due condizioni: – si è commesso il fatto di cui si è accusati – che il fatto di cui si è accusati sia considerato dalla legge come reato Come si procede? Cosa valutiamo per prima? Valutiamo prima se il fatto costituisce reato, perché altrimenti è inutile sentire i testimoni. L'importante è che manteniamo fisso il fatto che devono esserci entrambe le condizioni suddette. Potremmo immaginare un'accusa per un fatto X, la proposizione: “Tizio ha ucciso Caio” → proposizione da provare, che rappresenta un fatto che dobbiamo ricostruire: l'accusa. Ma non basta questo, affinché Tizio sia condannato, il fatto deve essere previsto dalla legge come reato. Quindi in tal caso deve corrispondere alla figura dell'omicidio, confrontando l'accusa con la legge. Questo deve essere valutato dal giudice, soggetto con competenza giuridica, competenza semantica: deve conoscere bene il significato delle parole e della legge. Giudizio di carattere storico → dobbiamo introdurre il concetto di verità. “Tizio ha ucciso Caio” , a quale condizione posso dire che è vero? È vera SE e SOLO SE corrisponde a realtà. Aristotele diceva che questa proposizione è vera solo se corrisponde a realtà. Un certo matematico Taski ha tentato di dare una definizione per trovare una corrispondenza tra proposizione e fatto → teoria semantica della verità / teoria del virgolettamento. Ha preso il concetto: “la neve è bianca” e l'ha messo tra virgolette dicendo: “la neve è bianca” è vero se e solo se la neve è bianca. Metto un concetto tra virgolette e dico che è vero solo quando posso toglierle. Ciò che è importante , tra le teorie di Aristotele e Taski, è che un enunciato è vero solo se in un rapporto con l'oggetto su cui verte, cioè è fatica sprecata dare una definizione di verità mettendo a confronto un enunciato con altri diversi enunciati, non funzionerà mai. Il compito del giudice è quello di accertare la corrispondenza tra l'enunciato ed il reale passato → linea referenziale ® o linea della verità → l'enunciato è vero se e solo se corrisponde al passato. Ma qui ci imbattiamo in una difficoltà: quel fatto essendo passato è scomparso, non c'è più. I concetti di Aristotele e Taski ci possono essere utili per il concetto di verità, ma non ci sono di nessun aiuto nell'attività di ricerca, perché questa linea referenziale è una linea inconoscibile, sparita. Il giudice non ha nessuna possibilità di confrontare l'accusa con la realtà del passato, perché il passato è scomparso → questa linea serve solo per dare il significato del vero. Io posso solo dire che il passato ha determinato il presente. Il presente è il risultato del passato. I fatti del passato sono la causa dei fatti del presente, il presente è l'effetto dei fatti del passato → linea della causalità © . Ho le tracce , che sarebbero i fatti del passato. Il giudice e le parti percepiscono i fatti del presente → linea della percezione (P). Quei fatti del presente , nel momenti in cui li percepisco, li trasformo in enunciati, che nel linguaggio processuale si chiamano PROVE. Il fatto è descritto attraverso la lingua e le prove a loro volta sono descritte attraverso la lingua, quindi ho quelle che chiamerò proposizioni probatorie (premesse probatorie o prove). I fatti del presente enunciati in forma linguistica, trasformati in proposizione, potranno provare o non provare i fatti della proposizione da provare, ossia la descrizione fatta dall'accusatore. La linea probatoria la possiamo chiamare → linea epistemica (E) , che consente di provare la verità dell'enunciato. Epistemica = conoscenza, il modo attraverso cui conosco che Tizio ha ucciso Caio, attraverso il metodo di conoscenza dei fatti del presente, invertendo la linea di causalità che va dal passato verso il presente. Devo verificare l'accordo tra gli enunciati del presente con quelli del passato e vedere se c'è un accordo tra i due enunciati. Il significato di vero è dato dalla corrispondenza di un enunciato con la realtà a cui si riferisce e quando si riferisce al passato questa linea è inconoscibile, scomparsa. Il metodo della verità,quindi, mi è dato dal confronto con gli enunciati del presente e sono le prove. Come procede il rapporto di causalità? Dalla causa verso l'effetto, data una causa, ti posso dire sulla base di una legge scientifica qual è l'effetto. Nel processo penale inverto i termini: non vado dalle cause agli effetti, come vuole la legge scientifica, vado dagli effetti alla causa. Ma sappiamo che da un effetto non si può mai risalire con sicurezza alla causa, perché ogni effetto può avere cause diverse. (se è madre allora è donna : è vero; ma non è detto sia vero: se è donna, allora è madre). Il giudice nel processo fa proprio questo errore a cui è costretto. Non si trova davanti ai fatti del passato dai quali dedurre del presente, ma si trova di fronte i fatti del presente e deve ricavare quelli del passato, ma le leggi scientifiche di cui dispone gli dicono solo le leggi di causalità. attendibile colui a cui è rivolta la domanda. La testimonianza corrisponde a questa logica, ed è una prova importante. 2) Vado sul posto e cerco qualche residuo di pioggia: prova critico- indiziaria. Non possiamo dire quale delle due sia la più attendibile, perché nel primo caso ci si basa sulla fiducia, nel secondo caso sulla causalità. Potrebbero per tanto fallire entrambe. Dire : “io sono innocente” è una proposizione probatoria di tipo dichiarativo, da verificare. Mentre le gocce di pioggia, le pozzanghere, sono critico indiziarie, perché io non ho una proposizione da provare, la quale deve essere determinata. Non è già contenuta. Nelle dichiarazioni di prova tutto dipende dalla fiducia, nella prova tecnico indiziaria tutto dipende dalla regola/legge su cui ci si basa. Se è una legge scientifica è molto forte, se è una massima di esperienza, molto debole. (videoregistrazione rapina: tecnico indiziaria; alcol test: tecnico indiziaria..). Se i rapinatori dicono: “non siamo noi” : prova dichiarativa. Sarà più probabile che il giudice creda alla videoregistrazione. Caratteristiche della prova dichiarativa: 1) Ci deve essere COMUNICAZIONE: trasmettere un significato, che non è naturale, ma artificiale. Siamo noi che diamo alle parole un certo significato. Però a volte è difficile classificare la prova dichiarativa, perché quando consiste in parole è semplice, se consiste in gesti o suoni bisogna valutare. Quando c'è comunicazione è prova dichiarativa; quando non c'è comunicazione è prova non dichiarativa. (comunicazione: trasmetto un'informazione al destinatario). Se io dico qualcosa a qualcuno perché riceva l'informazione, attraverso il mio riconoscimento, è quella dell'intenzione di dirglielo → se è così è comunicativa. Intercettazioni di dichiarazioni, conversazioni. Per mezzo telefonico si può intercettare una conversazione. Invece per quanto riguarda le videoregistrazioni? Registrano non più i suoni, ma ciò che sta avvenendo. Il codice non le disciplina, ma la giurisprudenza ha detto: distinguiamo tra → – mettere una telecamera per registrare comportamenti comunicativi è come se intercettassimo una conversazione. Abbiamo un video, ma ha contenuto dichiarativo. – Se invece io mettessi una telecamera per intercettare un comportamento non comunicativo: passo la busta a Tizio sotto la scrivania. Secondo la cassazione si può mettere una videoregistrazione , telecamera in un domicilio privato, se si tratta di comportamenti comunicativi, perché è come se intercettassi una conversazione, quale potrebbe essere una conversazione tra gesti. In caso contrario non si può intercettare, perché è domicilio privato e non possiamo applicare le nostre intercettazioni, per tanto è vietata. Perché ci sia comunicazione, non basta che vi sia trasmissione dell'informazione, bisogna che questa avvenga tramite intenzione di trasmettere. Non basta solo il processo comunicativo 1), ci deve essere anche: 2) Una proposizione da provare: deve essere qualcosa di vero o falso, oppure né vero, né falso. Se io devo provarla, evidentemente la proposizione da provare dev'essere qualcosa di vero o di falso, non avrebbe senso provare una proposizione che non sia né vera,né falsa. “portami da bere” è un processo comunicativo, ma non è una prova dichiarativa perché non si riesce a dire se è vero o falso. Quindi la seconda caratteristica è che la comunicazione sia qualche cosa di vero o falso. Quando ho a che fare con comunicazioni che non sono né vere, né false , questi enunciati sono delle prove, ma non dichiarative, sono critico indiziarie di qualche altra proposizione da provare. Se ho solo il primo elemento, la comunicazione, m non ho il secondo, la prova diventa di tipo critico indiziaria. Articolo 192 cpp: “ l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti”. Cosa significa INDIZI? Qui indizi non significa prova critico indiziaria, perché significherebbe dire che l'esistenza di un fatto non può essere desunta da prove critico indiziarie a meno che queste non siano gravi, precise e concordanti. Qua si voleva alludere a un particolare tipo di prove critico indiziarie, basate sul comportamento umano che sono regolate non da leggi scientifiche, ma da massime di esperienza. (dedurre la stagione dall'abbigliamento). Sono prove di un'attendibilità minore rispetto a quelle prove basate su leggi scientifiche. Sono di tipo induttivo. Nel processo penale queste prove sono indispensabili , perché non riusciamo ad attribuire la colpevolezza solo sulla base di leggi scientifiche. L'indizio è una prova, perché prova è tutto ciò che può essere valutato. Le prove dichiarative e le critico indiziarie, possono combinarsi tra di loro. Vi sono due tipi di combinazione: a) combinazione a raggiera: p1+p2+p3 → proposizione da provare. Queste prove indiziarie si sommano e raggiungono addirittura un valore maggiore di quello che deriva dalla loro semplice sommatoria. b) combinazione in sequenza: data la proposizione da provare X, io potrei disporre le prove in un altro modo. Io provo X, quando ho provato X , dico che può provare Y e Y a sua volta prova Q, che prova Z. in questa sequenza diminuisce l'efficacia della prova , perché ad ogni passaggio devo tenere conto dell'errore dei passaggi precedenti. È come una catena. - Dichiarazione su dichiarazione → ES: Tizio dice che Caio gli ha detto di aver visto l'imputato Sempronio compiere un reato. Se è vero quel che dice Tizio, io ne ricavo che Caio ha detto che Sempronio ha commesso un reato: questa è la proposizione che ritengo provata se credo a Tizio, e questa proposizione diventa una premessa probatoria e a questo punto se credo a Caio, Sempronio è colpevole. – Dichiarazione su critico indiziaria – Critico indiziaria su dichiarazione – Critico indiziaria su critico indiziaria Intercettazione: mezzo di formazione della prova, non mezzo di ricerca della prova (codice ha sbagliato). GIUSTO PROCESSO Significa che un processo deve avere determinate caratteristiche, ci deve essere una legge che lo regola. Una regolamentazione che assicuri valori fondamentali, quali: – la terzietà del giudice – parità tra le parti – garantire a tutti il contraddittorio Che cosa serve invece perché la decisione si possa considerare giusta? A quali condizioni la tua condanna o assoluzione è giusta? Servono le precedenti condizioni dette, più: 1- regolamentazione della legge 2- legge equa 3- occorre che questa legge equa sia stata osservata in concreto 4- occorre che sia stata applicata al fatto la qualifica giuridica corretta 5- occorre anche che l'imputato sia condannato solo “oltre ogni ragionevole dubbio”. Molti dicono che il discorso si ferma qui, non vi è alcuna altra condizione da aggiungere, ma io non sono di questo parere. 6- occorre che tu sia davvero colpevole non mi basta che il giudice ti abbia reputato colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Potrebbe essere possibile che la persona risulti colpevole oltre ogni ragionevole dubbio, ma in realtà non lo sia. Come può essere vero il contrario, quindi che sia colpevole , ma risulti oltre ogni ragionevole dubbio che sia innocente. La condanna di un innocente è una decisione ingiusta. La sesta condizione posta dal professore è una condizione metafisica e inconoscibile, perché io non la posso provare, ma è posta, perché il fatto che non sia conoscibile non significa che non costituisca un ideale. (si rifiuta di considerare giusta la condanna di un innocente). Non riesce il processo penale a condannare tutti i colpevoli, ma nemmeno di assolvere tutti gli innocenti, in buona parte sì. Secondo il prof il processo è una giustizia imperfetta, poiché non riuscirà ad assolvere tutti gli innocenti e condannare tutti i colpevoli e quindi un'ingiustizia sarà commessa. Senza la mia concezione il processo è una giustizia pura, molti obiettano a questa mia concezione, io non posso dimostrare ciò, ma voglio dirlo. Rawls ha distinto tre tipi di giustizia, individuati attraverso una bipartizione: – giustizia che si riduce all'osservanza delle regole, non ha nessun criterio esterno alla procedura sulla base del quale io potrei dire che è giusto o ingiusto quel risultato: procedurale pura (giochi e scommesse). – Altro tipo di giustizia le cui regole sono funzionali ad un criterio esterno alle regole. Casi in cui si gioca per ottenere un risultato che sta oltre le regole. Le regole sono solo uno strumento per il risultato. La giustizia qui non è pura, si divide in due sotto cateogrie: – Giustizia perfetta: regole che mi consentono di raggiungere infallibilmente il risultato esterno, quindi sono regole perfette. – Procedurale imperfetta: ho il risultato esterno, ho delle regole funzionali al risultato, ma non sono tali da garantirmi infallibilmente il risultato esterno. Rawls colloca il processo penale in quest'ultima categoria, li processiamo perché l'obiettivo è condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti per dare attuazione al diritto penale sostanziale. Ma le regole procedurali che abbiamo non sono tali da garantire questo fine. Se togliamo la sesta condizione il processo penale diventa procedurale puro, quindi perfetto. ARTICOLO 111 costituzione 1° comma: “ La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Giurisdizione: attività dello ius dicere: dire il diritto in situazioni di conflitto. È un struttura tripartita , poiché abbiamo un giudice che dice la parola del diritto e due parti contraenti, sia nel processo penale che in quello civile. Il fine del processo, secondo il prof, non è risolvere i conflitti, ma di fatto questa attività di giurisdizione risolve la lite. oggi può accoglierla o respingerla. Col nuovo progetto avrebbe guardato alla fondatezza della richiesta, poi se la rigettava, niente, se appariva fondata, a quel punto,chiamava davanti a sé la persona in questione , andandola a chiamare in vinculis (coattivamente). A quel punto la persona con il suo difensore, avrebbe potuto controbattere. Dopo di ché ci sarebbe stata l'udienza di decisione del giudice di emettere o meno il provvedimento. In tal caso il contraddittorio non sarebbe posticipato, ma anticipato, con qualche inconveniente: – se lo si anticipa, lo si perde dopo. È difficile riconoscerlo nuovamente dopo. Il contraddittorio posticipato ha il vantaggio di preparare meglio la difesa. – Per alcune persone la minaccia del carcere può essere peggio che il carcere stesso. Spesso il carcere viene usato vs l'individuo per indurlo a parlare. Rischio: di fare ancora maggior pressione sul soggetto, costringerlo a dire qualcosa per far piacere agli inquirenti. Avere la paura di finire in carcere,quindi dire di tutto pur di tornare a casa. “condizioni di parità” → non significa di certo uguaglianza. Accusa e difesa sono parti disuguali tra di loro, l'accusa è parte pubblica, difesa è parte privata. Il PM in quanto organo di giustizia deve cercare di non omettere elementi a favore dell'imputato,oltre che quelli contro. Però è una affermazione a cui credo poco,perché se il PM dovesse mettersi anche a cercare elementi a favore dell'imputati non avrebbe senso, se mai usa questi elementi per rafforzare l'accusa. Il PM rappresenta la società offesa dal reato e rappresenta l'accusa, ossia la vittima del reato. È suo dovere chiedere l'archiviazione se non vi sono sufficienti elementi per la condanna. Il difensore,invece, non deve alterare o truccare le prove, ma sicuramente farà di tutto per far assolvere il suo cliente. È brutale, ma il difensore è pagato dall'imputato, deve fare il suo interesse nei limiti legali. Il giudice condivide con il PM la funzione cognitiva del processo, la giustezza della decisione, il colpevole condannato e l'innocente assolto. Il difensore, no!! la parità, quindi, non sta nell'uguaglianza, ma sta nell'equilibrio dei poteri, essi sono diversi ,però sono appropriati all'individuo al quale appartengono. Anche sul piano dell'onere della prova i poteri sono diversi. Ragioniamo in termini di disuguaglianza, ma di equilibrio. Separazione delle carriere: riguarda il rapporto di parità tra PM e la difesa. Si accede alla professione di PM o di giudice, tramite lo stesso concorso. Un tempo potevi cambiare mansione, passare da PM a giudice, oggi è più complesso. Gli avvocati sostengono la separazione delle carriere secondo due argomenti: – parità delle parti – terzietà del giudice Non ci sarà mai contraddittorio se PM e giudice vanno sotto braccio, vorrebbero separarli. Altro argomento è la responsabilità civile dei magistrati e l'istituzione di un difensore pubblico per i non abbienti. Alcuni dicono che sarebbe più economico istituire un difensore pubblico, ma gli avvocati fanno già fatica così a recuperare i soldi dallo stato. Per quanto riguarda la separazione delle carriere, cosa dicono i magistrati? Negano che ci sia uno strapotere dei PM, gli avvocati dicono che guarda a caso i giudici accolgono sempre le misure cautelari, e i PM si difendono dicendo che loro le chiedono solo quando servono. I magistrati dicono inoltre che se vi fosse questa separazione i PM sarebbero più potenti di prima. In America è così, la nostra costituzione non prevede. “la legge ne assicura la ragionevole durata” → si evince il problema della ragionevole durata del processo. Può essere: – garanzia oggettiva: il processo si deve concludere in tempi brevi ,non solo perché lo desidera l'imputato,ma anche nell'interesse della società stessa e le vittime del reato. – diritto soggettivo: diritto dell'imputato ad essere giudicato entro un tempo ragionevole. La vede così anche la Convenzione Europea, ma la prospettiva oggi è cambiata. Spesso, dati termini contenuti di prescrizione del reato, l'imputato fa il possibile per allungare i tempi del processo. Articolo 6 della Convenzione Europea: “ogni persona ha diritto a un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole” → diritto della persona, soggettivo. Come possiamo considerare la ragionevole durata? Bisogna fare una distinzione tra principi e regole. Regola: se X allora Y, è qualcosa di categorico e netto, fattispecie chiusa. SPECIFICHE Principio: più vago , più diffuso, è una fattispecie aperta. GENERALI Nel c.p.p. sono più regole, nella Costituzione più principi. Le regole sono suscettibili di eccezioni , perché possono esserci o non esserci eccezioni. Per i principi non è prevista l'eccezione. Però i principi hanno un temperamento che corrisponde ad eccezione, ma non si chiama così: bilanciamento. Il bilanciamento sta ai principi come le eccezioni stanno alle regole. Abbiamo: un principio di difesa, un principio di ricerca della verità, un principio di ragionevole durata. Cosa dobbiamo fare? Cercare di attuarli tutti attraverso il bilanciamento, in modo che ciascuno di questi principi sia rispettato nella sostanza, ma allo stesso tempo non si espanda in modo da soffocare gli altri. L'osservanza del principio è nel più o nel meno, posso osservare di più o di meno un principio, ma l'osservanza della regola è nel tutto o nel niente, è qualcosa di categorico. Allora, la ragionevole durata, intesa come garanzia oggettiva, è certamente un principio,non una regola e quindi deve entrare in una tecnica di bilanciamento con gli altri principi: terzietà deò giudice, contraddittorio tra le parti.... ES: il principio del contraddittorio riceve un bilanciamento dalla ragionevole durata (protrarre l'intervento dell'imputato per diversi giorni, lo tutelerei al massimo, ma lederei il principio della ragionevole durata). Naturalmente la prospettiva cambierebbe se la ragionevole durata non fosse una garanzia oggettiva, ma fosse un diritto soggettivo dell'imputato, perché è evidente che se io costruisco la durata ragionevole esclusivamente come un diritto dell'imputato, allora a quel punto è chiaro che non entra più in bilanciamento con le esigenze, perché è soltanto nel suo interesse, quindi in questo modo verrebbe in essere un principio che è offeso solo quando nuoce all'imputato,ma questo potrebbe tranquillamente dire: non ho nulla da ridire, quindi il processo preveda pure 10gradi di giudizio e così dovrebbe essere perché l'imputato è d'accordo? No! Secondo questa visione della ragionevole durata esclusivamente come diritto soggettivo il comportamento ci sarebbe solo in quanto lo chieda l'imputato, ma se no nulla vieterebbe di espandere la durata del processo a tempo indeterminato. La tesi della ragionevole durata come garanzia oggettiva è sostenuta da diversi autori, ma con attacco di chi ritiene che la ragionevole durata sia un diritto soggettivo con l'accusa di aver ridotto le garanzie difensive. (tesi minoritaria). NB: la regola non entra in bilanciamento, questo discorso vale solo tra i principi. Le regole si applicano in modo categorico, non posso mai in nome della ragionevole durata attuare una regola,ma solo principi. Capisco che in nome della ragionevole durata si possano togliere molte garanzie difensive, ma non possiamo nemmeno giungere all'estremo opposto moltiplicando le garanzie difensive all'infinito. Er evitare questo rischio della giustizia sommaria (riti speciali), il prof, ha stilato una gerarchia, distinguendo tra: – principi di giustizia veri e propri: contraddittorio, imparzialità del giudice, sono principi veri e propri di giustizia e sono sovraordinati. – principi di efficienza: ragionevole durata = modo di essere della giustizia ,che può essere più o meno rapida. Il legislatore solo dopo aver tutelato i principi di giustizia veri e propri , potrà occuparsi della ragionevole durata, quindi dei principi di efficienza. Problema sulla ragionevole durata: possono le parti perseguire tattiche che abbiano il fine di allungare artificiosamente il corso dei processi? Per quanto riguarda il PM: NO! Perché il PM è un organo di giustizia e potrà solo perseguire la condanna del colpevole e l'assoluzione dell'innocente. Per la difesa non mi sento di dire che scopo esclusivo della difesa sia l'assoluzione dell'innocente e la condanna del colpevole. La difesa può tranquillamente, senza imposizioni, perseguire l'assoluzione del colpevole. Probabilmente non riuscirà nella sua opera, perché vi sarà un giudice che condannerà il colpevole, però nulla vieta alla difesa di sostenere l'assoluzione di un colpevole. Nulla vieta alla difesa far di tutto perché il processo vada in prescrizione. → caso dell'appello pretestuoso. Alcuni si rifiutano di ammettere l'idea che un difensore possa adoperarsi a ciò,però non posso nemmeno vietare al difensore di proporre appello infondato. L'appello sarà respinto, ma può essere proposto. C'è chi ha parlato di abuso del diritto: ma il legislatore non può dare un diritto alla difesa e poi dire però tu non devi abusarne, perché se mi si da un diritto io lo esercito come voglio. Il prof crede che non si possa imporre all'imputato e al suo difensore di farsi carico della ragionevole durata. Anche se in certi casi è inevitabile, avremo la sensazione che l'imputato presenti certe richieste solo esclusivamente per ottenere la prescrizione, fa bene a farlo. Il legislatore ha solo da allungare i termini di prescrizione. C'è un solo limite: nelle istanze non devi dire il falso manifestamente. Quando il legislatore da troppe garanzie c'è proprio il rischio di questo paternalismo giudiziario (es: concedere 1000 testimoni), in nome dell'abuso del diritto io ti riduco le garanzie, trovo che sia preferibile che degli eventuali abusi se ne occupi il legislatore con delle norme. Quello che fa paura è quando al legislatore si sostituisce il giudice. “condanna oltre ogni ragionevole dubbio” è regola o principio? Principio , non dirò che è una regola , è travestito da regola: c'è una parola che fa sì che la regola si trasformi in principio → ragionevole, perché con questo termine apro il via ai bilanciamenti. Anche quando parlo di giusto o ingiusto, trasformo la regola in principio, perché si apre la discrezionalità del giudice con bilanciamenti e valutazioni discrezionali. Garanzie previste dal terzo comma – il giudice chiamato a giudicare potrebbe voler sentire in prima persona i testimoni. Il giudice vorrebbe vedere l'atteggiamento psicofisico dei testimoni. La seconda tesi dice che il diritto al contro esame e all'interrogazione si esercita davanti al giudice del dibattimento, ne consegue che: – la prova assunta in incidente probatorio è sempre e comunque valida, perché rispettato il contraddittorio – ma in più per la difesa scatta il diritto a rinnovare la prova in sede dibattimentale. Richiamare i testimoni per farli deporre nuovamente è un diritto della difesa. Si possono verificare due ipotesi con il rinnovo della testimonianza: – il teste ripete tutte le cose dette in precedenza davanti all'altro giudice – cambia versione. Quella resa precedentemente è valida come è anche valida quella resa in dibattimento; ci troviamo di fronte a due prove. Qui è il giudice che deve decidere. ES: Caso Mills e Berlusconi, processati insieme e in dibattimento sono state assunte le varie testimonianze. Mentre il processo era in corso è stata approvata una legge per la quale il processo a carico di Berlusconi è stato sospeso a causa della sua alta carica. Quindi il processo è proseguito solo per Mills. Giunti alla sentenza i giudici condannano Mills per corruzione. Qualche tempo dopo la corte costituzionale dichiara incostituzionale la legge che aveva portato alla sospensione del processo di Berlusconi, il quale riprende. Ma quel processo riprenderà dinanzi a quegli stessi giudici che lo stavano processando? NO. Quei giudici sono incompatibili, non sarebbe stato corretto che il processo a Berlusconi fosse ripreso davanti a loro perché essi, condannando Mills, avevano già manifestato la loro opinione. Quindi è stato ripreso davanti ad un nuovo collegio. Netta differenza tra le due tesi: – se si segue la prima diremmo che tutto il materiale, le dichiarazioni e le testimonianze raccolti nel processo precedente, di Mills e Berlusconi, non devono essere rinnovati in dibattimento del processo contro Berlusconi, perché assunte precedentemente. – Se applicassimo la seconda tesi ammetteremmo che le testimonianze raccolte davanti a giudice precedente alla presenza dei difensori di Berlusconi sono certamente valide, ma quel giudice oggi non è quello chiamato a giudicare Berlusconi, per cui si riconoscerebbe il diritto all'imputato di rinnovare le prove. Cosa dice in merito il codice? È prevalsa la seconda soluzione, infatti la giurisprudenza ritiene che se la prova è stata assunta in incidente probatorio o di fronte ad un giudice diverso da quello ce giudica, l'imputato ha diritto a rinnovare la prova. Limite: deve trattarsi di una testimonianza non manifestamente superflua. Art 525 cpp: immediatezza della deliberazione la sentenza è deliberata dai giudici che hanno partecipato al dibattimento, nel senso che: – o hanno partecipato al dibattimento anche se le prove sono state assunte altrove; – o hanno partecipato al dibattimento nel senso che sono stati partecipi delle prove che sono state assunte nel dibattimento. A questo punto ecco che scatta il diritto alla rinnovazione. La giurisprudenza, la cassazione e la corte costituzionale ritengono via sia questo diritto al rinnovamento. Un ostacolo a questa seconda tesi potrebbe essere la ragionevole durata del processo. Questo limite si pone non tanto per l'incidente probatorio, ma quando il dibattimento va avanti per le lunghe, ad esempio uno dei giudici del dibattimento muore e viene sostituito con un altro, ecco che a questo punto si dovrebbe rinnovare la prova, qui il problema diventa più complesso. Art 190 cpp diritto alla prova “le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge, quelle che manifestamente sono superflue e irrilevanti”. Non vi può essere rinnovo solo in questi due casi, oppure se vi sono molte testimonianze che dicono la stessa cosa. Se si sposasse la prima tesi: durante l'incidente probatorio non si sa che piega prenderanno le indagini, quindi non si potrebbero rivolgere ai testimoni ulteriori domande sulla base di sviluppi successivi. È solo nel dibattimento che si esercita in pieno la difesa. Il contraddittorio dell'incidente probatorio è un contraddittorio basato sulle conoscenze che si hanno in quel preciso momento, ma si sa molto poco sui fatti. Più avviene all'inizio delle indagini, meno si è in grado di controesaminare il testimone. Se dagli sviluppi successivi si venisse a conoscenza di nuovi fatti, è giusto che la difesa rivolga ai testimoni altre domande di cui prima non era a conoscenza. Un problema però sorge a proposto del 190bis: requisiti della prova in casi particolari. In quei processi il diritto a rinnovare la prova viene limitato. Infatti si dice che in questo tipo di processi il diritto ad assumere nuovamente la prova c'è solo se: – il testimone depone su circostanze nuove – il giudice o le parti lo ritengono necessario. Cosa si ricava da questa norma? Per quel che riguarda gli altri casi prevale la seconda tesi, que proposta dal prof, infatti l'articolo 190 bis dice che c'è rinnovo della prova “solo se”=al di fuori di questi casi di criminalità organizzata,invece, il diritto alla rinnovazione è pieno. Ferrua muove una critica al 190 bis: è costituzionale questo articolo? (a) se si segue la seconda tesi, di Ferrua, forse no perché il diritto alla rinnovazione della prova viene limitato e riconosciuto solo in due casi specifici. Ferrua ha dei dubbi e risponderebbe NO! (b) però anche se si seguisse la prima tesi questa norma a Ferrua non piace comunque, perché il problema è il seguente: si può giustificare una differenza tra i processi contro la criminalità organizzata e i processi comuni sulla base del principio di uguaglianza dell'articolo 3? problema grosso! Sicuramente i processi di criminalità organizzata possono avere delle regole particolari,come la protezione dei testimoni... Ma ci sono delle ragioni valide per ammettere questa disparità? Tra gli imputati di criminalità organizzata possono anche esservi degli innocenti: con che diritto si stabilisce in questi processi il diritto alla prova è inferiore? Per Ferrua dovrebbe essere il contrario, cioè superiore. Più cresce la gravità del delitto, più è diffamante il reato di cui si è accusati, più si ha il diritto di avere ogni mezzo di difesa, compreso il diritto alla prova e alla rinnovazione nella sua pienezza. Opinione di Grevi: le regole per un processo devono valere anche per l'altro. Se si ritiene giusto l'articolo 190 bis , lo si dovrebbe far valere per ogni processo, senza applicarlo solo a quelli contro la criminalità organizzata. (tesi opposta a Ferrua, sostenuta da Grevi). Prescrizione processuale Non deve essere confusa con la prescrizione del reato che significa che il reato si estingue. Passato un certo periodo di tempo perché cancelliamo quel reato come se non fosse stato commesso? (1) motivazione principale: legata all'oblio. Col passare del tempo decresce l'interesse punitivo (2) la società offesa del delitto a distanza di tanto tempo perdona o dimentica i crimini commessi in passato (3) la persona che ha posto in essere quel comportamento può essere cambiata (4) quando è passato molto tempo ormai le tracce del reato sono scomparse e i testimoni hanno perso la memoria. Diciamo che il passaggio del tempo logora l'interesse alla cognizione. Ovviamente i termini di prescrizione devono essere molto lunghi, perché il reato è qualcosa di grave e quindi l'interesse a punire c'è , ma naturalmente quando si superano quei limiti 10,20,30 anni, l'interesse punitivo va scemando. Ma ci sono anche dei reati imprescrittibili: l'interesse punitivo per questi reati si mantiene sempre e comunque. Distinzione: – Il processo non ha ancora preso il via e matura la prescrizione del reato → il processo non avrà luogo, il reato è estinto e non si avrà più l'azione penale. – Se si sta procedendo e sopraggiunge il termine di prescrizione → si proscioglie l'imputato non sul presupposto dell'innocenza, ma per l'estinzione del reato, il reato non c'è più per l'intervento del termine di prescrizione stabilito dalla legge. SENTENZA di PROSCIOGLIMENTO. Non ci sarà l'innocenza dell'imputato, con la prescrizione, ma nemmeno ciò significa che l'imputato sia colpevole. La prescrizione può dar luogo a certi inconvenienti, che si manifestano in due casi particolari: – è noto che questi termini sono molto lunghi, se il processo inizia subito dopo la commissione del reato, sarà molto difficile che il reato si prescriva, poiché ci vuole molto tempo. L'inconveniente è che il giudice se la prenda molto comodamente. – Il reato viene scoperto molto tempo dopo la sua commissione, quando ormai i termini di prescrizione sono vicini. Si deve accelerare, ma non si può non procedere, perché l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio. Se il reato viene scoperto subito, il processo può anche durare molto tempo, perché nessuno ha fretta, i termini di prescrizione sono lontani. Se invece è scoperto tardi, è facile che si verifichi la prescrizione perché il tempo per procedere è poco, ma si deve procedere accelerando i tempi. Una soluzione in questi due casi estremi, sarebbe quella di determinare che una volta iniziato il processo, non ci sia più la prescrizione, il reato non sia più prescrittibile. Questa è una soluzione proposta da molti, ma ha un inconveniente: si violerebbe la ragionevole durata, i processi sarebbero eterni. Il PD aveva avanzato una proposta: non si parla più di prescrizione del reato, ma di prescrizione processuale: siccome non si può lasciare che il processo duri all'infinito, si stabiliscono dei termini entro i quali il processo si deve concludere, oltrepassati i quali si ha prescrizione processuale. Hanno proposto di spezzare in due la prescrizione: continuare a parlare di prescrizione del reato sino all'inizio del processo, poi, una volta iniziato, parlare di prescrizione processuale. Questa proposta cade nel vuoto, viene poi ripresa dal PDL con una variante: mentre il PD proponeva l'abbandono della prescrizione del rato,introducendo quella processuale in caso di inizio del processo, il PDL proponeva di tenere la prescrizione del reato e affiancare ad essa la prescrizione processuale. Questa proposta sconvolgerebbe il sistema, è mostruosa! Secondo Ferrua è inconcepibile estinguere il processo nel momento in cui il reato è in vita. Un antidoto per il prof sarebbe stabilire che oltre un certo tempo l'imputato deve essere risarcito, o deve avere un condono di pena, oppure che se si giunge alla condanna oltre un certo limite il PM non può proporre appello... Ci sono varie soluzioni, ma l'importante è che non si tenti di uccidere l'articolo 111 costituzione io ti contesto il nero che tu hai reso nelle indagini, io ti sottopongo il nero al contraddittori, lo sottopongo, non l'ho formato in contraddittorio. L'articolo 111 non dice che il processo penale è regolato dal contraddittorio e basta,o meglio non parla di contraddittorio sulla prova, ma di: contraddittorio nella formazione della prova. Quindi, quando io ti contesto nero, lo sottopongo al contraddittorio, realizzo contraddittorio su nero → nella teoria della prova complessa, viene confuso il contraddittorio sulla prova, con il contraddittorio nella formazione della prova. LIMITAZIONI ED ECCEZIONI DELLA REGOLA D'ORO Questa regola ha due limiti impliciti ed eccezioni. – le eccezioni le troviamo nel 111, 5° comma; – i limiti della regola invece non sono menzionati in quanto stanno al di fuori di essa. Essi sono due: (1) la regola del contraddittorio nella formazione della prova non si applica alle prove precostituite: quelle che si formano fuori dal dibattimento, perché la regola presuppone che si tratti di una prova costituenda. Le prove che ha senso formare in contraddittorio sono quelle che si formano nel procedimento. ES: arma del delitto; (2) la regola non si applica alla prova dei temi incidentali del processo: si applica solo per quanto riguarda la prova della colpevolezza o no, quindi il tema principale del processo. I temi diversi dalla colpevolezza sfuggono alla regola d'oro. Questo limite è necessario indurlo, altrimenti non si metterebbe in carcere più nessuno. Per quanto riguarda il primo limite, sulle prove precostituite, qualcuno preferisce inserirlo nelle eccezioni alla regola, apparentemente non cambia molto, anche se il percorso è differente. Questo limite viene inserito come eccezione riguardante l'impossibilità di natura oggettiva (secondo il prof è meglio come limite). LE APPLICAZIONI della REGOLA D'ORO (1) la prima applicazione si ha proprio nel caso del teste che nelle indagini preliminari aveva detto nero e che in dibattimento dice bianco. Sulla base della regola d'oro noi diremo che nero non è utilizzabile come prova, ma può essere utilizzato per contestare bianco. Come dice l'articolo 500, dopo che il teste mi dice in dibattimento bianco, gli posso far notare, contestare, che precedentemente aveva detto nero. OBIEZIONE - Un giudice aveva sollevato questione di incostituzionalità in questi termini: sappiamo che nel processo accusatorio il giudice potrà solo credere o non credere a bianco, ma non potrà usare nero come prova. Egli dice che i sostenitori della regola d'oro sono incoerenti, perché se fossero coerenti dovrebbero dire che nero non è in alcun modo utilizzabile, tirarci una bella riga sopra. Invece i sostenitori della regola d'oro dicono che nero può essere utilizzato per provare che non è bianco, cioè non possono utilizzare nero per provare che è nero, perché essi dicono che nero non è una prova, però secondo loro può togliere valore a bianco. Sono incoerenti perché consentono al giudice di convincersi che è nero per togliere valore a bianco, ma poi gli impediscono di credere a nero e utilizzarlo come prova. Dove sta qui l'errore? Se fosse come prospettato da loro, è vero, i sostenitori della regola d'oro sarebbero incoerenti. Quello di cui non hanno tenuto conto è che il processo accusatorio funziona in modo diverso. Cioè non possiamo dire: il teste prima ha detto nero, ora dice bianco, quindi io non credo a bianco perché prima ha detto nero. Il giudice non crede a bianco, per una ragione specifica: non è che lui non creda a bianco perché c'è un nero precedente. Io contesto al teste nero, lo avviso che in precedenza aveva detto nero e ora dice bianco, e gli chiedo di spiegarmi il perché ora cambia versione. Dopodiché io non gli crederò non perché in precedenza non abbia detto bianco, ma perché non è stato in grado di fornire in dibattimento, in contraddittorio, spiegazioni convincenti sul suo mutamento di prospettiva. Il motivo per cui non credo a bianco non è fuori dal dibattimento, ma nel dibattimento stesso. La Corte Costituzionale ha respinto questa questione e ha fatto bene, però non ha compreso a fondo la questione, perché ha detto: “è una scelta legittima del legislatore”. Quello che il prof vuole far capire è che il motivo per cui, nel processo accusatorio, il giudice non crede al teste ,non sta nel fatto che il teste abbia detto cose diverse da prima, ma sta nel fatto che il teste nel dibattimento stesso, in cui ha detto bianco, non riesce a spiegare in modo convincente il motivo della sua contraddizione. In sostanza la corte non ha dato una risposta “all'accusa” di incoerenza di quel giudice sul processo accusatorio. LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA Vi sono due formulazione: – quella della Costituzione – quella della Convenzione Europea Costituzione, articolo 27 “l'imputato non è considerato colpevole” Dire non colpevole è uguale a dire innocente, ma se io ti dico: “non ti considero colpevole”, non ho affatto detto che non ti considero innocente. Secondo il prof nella nostra Costituzione non c'è la presunzione di innocenza. C'è invece nella Convenzione europea, la nostra costituzione ci vieta di presumere, non ci impone di presumere. Se io dico: “non ti considero colpevole”, sto dicendo che io mi proibisco di fare dei giudizi su di te di colpevolezza. Se io ti dico: “ti considero non colpevole”, invece, sto dando un giudizio → in tal caso si ravviserebbe presunzione di innocenza. C'è una ragione per cui nella nostra Costituzione, a differenza delle Convenzione, si è seguita la negazione passiva, dicendo “non considero colpevole”. La Convenzione è andata ben oltre e ha detto: “ti presumo innocente”, perché dice: “ti considero non colpevole”. Nella nostra Costituzione tutti parlano di presunzione di innocenza, ma il prof non la vede. Se ne parla per un motivo storico-politico, perché il Codice Rocco diceva: per noi l'imputato non è né colpevole, né innocente, è una persona che deve essere giudicata. Questo ha portato alla presunzione di innocenza, se una persona si azzardasse a dire che non c'è, verrebbe etichettata come una nostalgica del Codice Rocco.La Convenzione trasforma la non considerazione di colpevolezza, in considerazione di innocenza. La nostra Costituzione dice: “fino alla sentenza definitiva”, quindi per tutto l'arco del processo; la Convenzione europea,invece, fissa la presunzione di innocenza solo fino al primo grado di giudizio. La nostra Costituzione è più arretrata rispetto alla convenzione, però è anche più avanzata, perché la non colpevolezza va fino alla sentenza definitiva. Perché c'è stata questa differenza di formulazione? Facciamo questa distinzione: se io parlo solo del giudizio di primo grado, da un punto di vista concettuale, è meglio dire : “ ti considero non colpevole”, perché non c'è ancora stato nessuno che ha affermato la mia colpevolezza, quindi: ti considero innocente fino a prova contraria. Siccome la Convenzione si riferisce solo al giudizio di primo grado, questa ha dato una formulazione logica della presunzione di innocenza. Però, se andiamo oltre a quello che è il giudizio di primo grado? Io ho di fronte una persona che è già stata dichiarata colpevole in primo grado e le dico: “ti considero innocente”, fa ridere. Qui è molto più corretto dire : “non ti considero colpevole” → nonostante il giudice ti abbia considerato colpevole, io non ti considero tale, ma sarebbe ridicolo dirgli: ti considero innocente. Fino alla condanna è più corretto per il prof dire: “ti considero non colpevole”, come fa la Convenzione. Dopo la condanna è più corretto dire, come fa la nostra Costituzione, “non ti considero colpevole” Articolo 111, 4° comma : “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto* all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore”.  Cosa significa? Sottrarsi ha un senso. Quando possiamo dire che qualcuno si è sottratto? Ci si sottrae ad un interrogatorio, in quanto c'è stata una chiamata: se una persona non è mai stata convocata come testimone o come coimputato non potremmo dire che si è sottratta. Il presupposto è che la persona sia stata citata o chiamata a deporre, ma abbia rifiutato l'invito:  non presentandosi  restando in silenzio.  “sempre e volontariamente e per libera scelta”, cosa significa? Sembrano ripetizioni. Una di queste espressioni potrebbe essere tolta: “volontariamente” , perché se è una libera scelta, questa è volontaria, ma non potremmo togliere “libera scelta” perché la volontà non sottintende necessariamente una libera scelta, perché la volontà potrebbe essere viziata.  Cosa significa “libera scelta”?  Per quanto riguarda l'ipotesi che la persona resti in silenzio dopo essere stata chiamata, direi che è evidente che quando resta in silenzio è cosciente di farlo, a meno che non sia stata minacciata, ma allora andremmo a finire nell'eccezione alla regola d'oro della provata condotta illecita. Però quando una persona resta in silenzio, vediamo con chiarezza che c'è questa libera scelta, salvo poi indagare che non vi sia sta minaccia nei suoi confronti, poiché il fatto di restare in silenzio è un gesto volontario.  Più difficile è l'ipotesi in cui la persona non si presenti. La persona è scomparsa e allora ci si pone un problema: è scomparsa per libera scelta o no? Punto importante → la libera scelta va sempre riferita alla sottrazione: deve esserci, da parte del soggetto, la volontà di non sottoporsi all'interrogatorio. La libera scelta va riferita non tanto al comportamento in sé, quanto a questa volontà finalizzata ad eludere l'interrogatorio. Perché vi sia sottrazione per libera scelta, dobbiamo pensare ad una persona che di proposito si sia messa in condizioni tali da non poter essere interrogata: è sparita, si è recata altrove in modo da non farsi trovare per l'interrogatorio. Deve esserci qualunque comportamento delle persona, tenuto per libera scelta e che abbia come finalità specifica quella di impedire di essere interrogata → actiones liberae in causa: in penale se ne parla nel caso in cui una persona si sia ubriacata al fine di commettere un reato,è come se lo avesse commesso coscientemente. La libertà c'è nella causa che ha determinato l'effetto → io mi reco all'estero così non potranno interrogarmi. ES: scappare, oppure, caso estremo capitato: suicidarsi. C'è stato un caso in cui una persona si era suicidata e alcuni giorni dopo il suicidio doveva essere interrogata. Cosa ha fatto la difesa? Ha detto che le sue precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate come prova nei confronti dell'imputato, poiché questa persona suicidandosi si è sottratta per libera scelta, perché si tratta di un suicidio voluto liberamente. La Cassazione ha respinto l'eccezione difensiva dicendo: quando c'è la morte di una persona c'è una sottrazione che non è per libera scelta, ma rientra nell'impossibilità di natura oggettiva. Questo ragionamento non convince del tutto, poiché bisogna distinguere sui motivi del suicidio: se PM nel dibattimento? Se ci fosse solo la regola che dice che le prove si devono formare in contraddittorio e poi le eccezioni del 5° comma? Io rivolgo come difensore le domande, ma il teste rimane in silenzio. Io posso ritenere che la prova si sia formata, perché il contraddittorio non richiede che l'altro risponda, ma si realizza per il solo fatto che mi è data la possibilità di rivolgere le domande. Se non ci fosse questa disposizione speciale, concluderemmo che, quando un teste ha parlato al PM e non parla con la difesa, quello che ha detto al PM è un prova formata in contraddittorio e quindi non direi che sia inutilizzabile → tutela la difesa. Quando un teste o un imputato risponde al PM , ma non alla difesa in questo caso si realizza la fattispecie della sottrazione per libera scelta, perché quel teste non ha mai voluto sottoporsi al contro esame difensivo e di conseguenza diventa impossibile pronunciare una sentenza di condanna fondandosi su quella dichiarazione. “dichiarazioni rese” → non si riferisce solo alle dichiarazioni delle indagini, ma anche a quelle rese in dibattimento, seguite dal rifiuto di rispondere alla difesa. La conseguenza di questa disposizione è che non si può provare la colpevolezza, per tanto nelle ipotesi che abbiamo formulato prima, se una persona risponde al PM, poi non risponde alla difesa non possiamo condannare l'imputato. NB: perché non è stabilito qualcosa del genere anche nell'ipotesi inversa? Un teste risponde alla difesa e conferma bianco, quando il PM si avvicina non risponde. Possiamo assolvere l'imputato? È difficile da sostenersi, se ha risposto su un alibi alla difesa, ma non al PM, non vedo come quell'alibi possa essere attendibile. Semmai potrei condannare l'imputato, dicendo che quell'alibi non ha trovato conferme in dibattimento. Però il legislatore ha fatto ancora una volta un danno: non ha previsto la norma inversa che dice che non si può condannare sulla base di dichiarazioni di un teste che abbia risposto alla difesa e non al PM → il legislatore se n'è reso conto e ha rimediato: ART 500 cpp : “se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al congruo esame di una delle parti nei confronti di questo non possono essere utilizzate ,senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte ….”. quando però c'è anche la parte civile? Il teste risponde all'accusa, al difensore, ma non risponde alla parte civile, cosa succede in questo caso? Stando a questa norma non possiamo utilizzarlo contro il responsabile civile, non c'è altra soluzione (casi rari). Il criterio di valutazione non può mai togliere spazio alle eccezioni ,perché dove ci sono le eccezioni non può esserci criterio di valutazione. Rivedo ultime due pagine sbobina 13-............ Articolo 111, 5° comma : eccezioni alla regola d'oro. Vi sono tre casi di eccezione: – consenso dell'imputato – impossibilità di natura oggettiva – provata condotta illecita Premessa sulla regola d'oro → riguarda tutte le dichiarazioni rese segretamente all'interno del processo al PM o alla PG o al difensore. Questa regola ha delle eccezioni, che stanno nel cerchio più piccolo, in quello grande stanno le regole. Le eccezioni sono appunto i casi in cui non si ha applicazione della regola d'oro. Fuori dal cerchio, invece, c'è l'universo di dichiarazioni, raccolte fuori dal processo (chiacchere al bar, confidenze...). C'è una differenza strutturale tra essere: – eccezione alla regola: dichiarazioni nel processo – fuori dalla regola: dichiarazioni fuori dal processo ma sono trattate entrambe allo stesso modo, perché per entrambe non si applica la regola d'oro, ma per ragioni diverse. Ci sono divergenze di opinioni tra il prof e alcuni autori: caso di una lettera che ha scritto un imputato o un testimone, è chiaro che si applica la regola d'oro, ma secondo il prof no, perché è una lettera scritta fuori dal processo, dal contraddittorio, quindi fuori dalla regola. Altri autori la fanno rientrare tra le eccezioni → impossibilità di natura oggettiva. Dicono che alla lettera, potenzialmente, sarebbe applicabile la regola d'oro, ma in questi casi c'è impossibilità oggettiva di formare la prova in contraddittorio. Vi sono due implicazioni se si segue l'una o l'altra tesi: (1) Immaginiamo sia stato detto qualcosa fuori dal processo, io posso far deporre la persona che ha sentito queste cose fuori dal processo come teste indiretto. La difesa chiederà sicuramente di sentire il teste diretto. – Se seguiamo l'opinione del prof di questa chiacchierata abbiamo due testimoni :teste diretto e teste indiretto. Nel caso in cui il teste diretto smentisse la versione del teste indiretto, il giudice potrebbe ugualmente credere al teste indiretto, oppure potrebbe credere anche a quella del teste diretto o ad entrambe → ampia possibilità di scelta del giudice. – Se seguiamo l'opinione degli altri autori → impossibilità di natura oggettiva: se il teste diretto non si presenta, si può condannare sulla base della testimonianza indiretta, perché siamo nell'impossibilità di natura oggettiva, quindi eccezione alla regola d'oro, di formare la prova in contraddittorio. Ma se il teste diretto, invece, si presenta e smentisce la dichiarazione,non si può utilizzare la testimonianza indiretta, non si può perché non siamo nell'eccezione di impossibilità oggettiva, poiché questa c'è solo quando il teste indiretto non si presenta, è morto o irreperibile, sempre che non vi sia stata libera scelta. La tesi del prof è sicuramente meno garantista per l'imputato, perché da al giudice la possibilità di fare una scelta, nell'altro caso il giudice può valutare la testimonianza indiretta solo quando manca la diretta, perché solo in quel caso si ricade nell'eccezione di impossibilità oggettiva. La norma, secondo il prof, dovrebbe essere più dettagliata, dovrebbe esserci scritto: “le prove (costituite nel processo) si formano in contraddittorio”. La tesi alternativa a quella del prof è un'interpretazione puramente letterale del 111 , perché dice: “le prove”, quindi loro dicono TUTTE le prove. Per quanto riguarda i documenti non cambia molto, perché sono utilizzabili per entrambe le tesi. Per i sostenitori del prof perché fuori dalla regola, per gli altri in qualità di eccezione alla regola. (2) l'onere della prova → se io costruisco qualcosa come eccezione, c'è poi l'onere di provare i presupposti dell'eccezione, se no cade la regola. Nel decidere se una dichiarazione sta nella regola, oppure sta fuori dalla regola, devo trovare la soluzione non può esserci presunzione, dice il prof, ma non ho nessun criterio che ci aiuta. Devo indagare finché non riesco a capirlo. Ci sono dei casi dubbi: due agenti salgono su un treno con due imputati facendoli chiacchierare su delle informazioni. È una dichiarazione resa nel procedimento o fuori? Se nel procedimento le chiacchiere valgono zero, se fuori dal procedimento possono essere utilizzate come testimonianza indiretta. Come le consideriamo? Se guardiamo il luogo, il treno, diremmo che siamo fuori dal procedimento, però se si pensa al fatto che la PG lo ha fatto apposta per avere delle prove precostituite, si penserebbe che sono nel procedimento. La Cassazione ha detto che vanno trattate come se fossero nel procedimento, perché qui gli agenti hanno voluto eludere la regola. Fosse avvenuto casualmente, sarebbero state considerate fuori dal procedimento e quindi utilizzabili. LE TRE ECCEZIONI alla REGOLA d'ORO dell'articolo 111 , 5° comma, Costituzione. 1. Il consenso dell'imputato Gli atti del procedimento diventano prova con il consenso dell'imputato sono con il Patteggiamento. Il prof si chiede se può essere considerato illegittimo per l'articolo 111 cost.? Nel patteggiamento l'imputato chiede la pena, la costituzione nel 111 prevede che l'imputato acconsenta a essere giudicato sulla base di prove che non sono formate in contraddittorio, ma non rinuncia all'accertamento dei fatti. Nel patteggiamento non c'è deroga alla regola del contraddittorio, ma c'è deroga più intensa: rinuncia dell'imputato all'accertamento della sua colpevolezza. Ci sono due forme di rinuncia: – rito abbreviato: si rinuncia a non essere giudicato sulla base di atti segreti, – patteggiamento: rinuncia di essere disponibile all'applicazione della pena, non chiedo di essere giudicato,infatti si risparmia molto tempo. Si apre il problema della legittimità costituzionale, perché il rito abbreviato è coperto dal 111 costituzione, perché c'è il consenso dell'imputato ad essere giudicato senza contraddittorio. Mentre il patteggiamento è il consenso direttamente alla pena, che ha come merce di scambio il corpo dell'imputato. Dato che il patteggiamento nessuno lo dichiarerà mai incostituzionale, vi sono due vie per ritenerlo legittimo, poiché il 111 consente solo la rinuncia al contraddittorio non al fine dell'accertamento. Se bisogna ammettere il patteggiamento, vi sono due possibili risposte per salvarlo dall'incostituzionalità: (1) Dire che c'è l'accertamento della responsabilità Questo diventa un duplicato del rito abbreviato, perché non si chiede l'applicazione della pena , ma di essere giudicato sulla base di quegli atti. Per mettere in carcere bisogna accertare la responsabilità. L'articolo 111 sarebbe rispettato e quelli che finiscono in carcere per aver patteggiato sono colpevoli accertati, non sono persone che si sono scelte loro il carcere , mettendo il corpo a disposizione , ma sono persone che hanno chiesto gli venisse accertata la responsabilità, scontando una certa pena da loro richiesta → visione ipocrita, questo accertamento non si vede. Chi dice che le pene vanno applicate solo a chi è colpevole , dovrebbe ritenere incostituzionale il patteggiamento. Si vogliono mantenere fermi degli ideali e poi accettare la realtà squallida del patteggiamento, fingendo che ci sia un accertamento della colpevolezza, che in realtà non c'è. Questo accertamento c'è nell'abbreviato, ma non nel patteggiamento. Cosa c'è di accertamento nel La Costituzione nel 111 dice: “consenso dell'imputato”, non delle parti, quindi non sta scritto da nessuna parte che ci voglia anche quello del PM, quindi non vi può essere incostituzionalità. Ovviamente il fatto che l'imputato possa trasformare in prova i suoi atti fa ridere, è implicito che qui si intendevano gli atti del PM, quindi ne deriva che quelli dell'investigazione difensiva non diventano prova, lo saranno solo se il teste muore o se c'è condotta illecita. La conseguenza più clamorosa di questa tesi, la più improbabile, è che diventa non solo illegittimo l'abbreviato nella parte in cui consente di dare valore agli atti dell'investigazione difensiva, ma diventa incostituzionale l'accordo delle parti, ossia l'acquisizione concordata degli atti. Oggi è possibile che PM e difesa si mettano d'accordo per dare valore ad atti reciproci. Seguendo questa prospettiva l'istituto salta, perché gli unici atti che possono trasformarsi in prova sono quelli del PM → lettura che non ha nessuna probabilità di essere accolta, sarebbe opportuno l'intervento del legislatore. 2. Impossibilità di natura oggettiva quando qualcuno si sottrae al controesame applichiamo una norma speciale, anche se l'imputato è d'accordo ad essere condannato. Prevale la norma speciale che non interferisce invece sulla provata condotta illecita e sulla responsabilità di natura oggettiva, perché dove c'è l'una, non può esservi l'altra. – non è possibile procedere al conto esame : – materiale: persona morta; – funzionale: teste inabile a deporre, impazzisce... – non dipende da una libera scelta: il teste si è reso irreperibile. Chi deve provare l'impossibilità? – Testi della difesa: se la difesa ha un alibi da un teste che è sparito, per usare l'alibi deve provare cge il teste è sparito, quindi che c'è un'impossibilità che è di natura oggettiva. Se no l'alibi non ha valore di prova. – Teste del PM: il PM prova che c'è l'impossibilità oggettiva, poi si rivolge alla difesa e dice che la testimonianza è utilizzabile. La difesa dirà no perché è sparito il sua scelta, ma il PM dirà: ok, prova la libera scelta del mio teste! Se il teste è sparito per libera scelta, applichiamo la norma speciale, ma devono esserci i presupposti. Nel dubbio sulle ragioni, l'impossibilità è oggettiva se è sparito il teste del PM ; se è sparito quello della difesa nel dubbio è per libera scelta. Quali limiti ha l'impossibilità funzionale? Il problema si pone nei processi in cui il minore è sentito come testimone. La giurisprudenza dice che si realizza tutte le volte in cui la ripetizione della testimonianza esporrebbe il minore ad un trauma. La costituzione non prevede eccezioni sul minore. Interviene la Cassazione: caso in cui era stato portato un certificato medico che diceva che il minore era in stato di nevrosi e il dibattimento l'avrebbe aggravata. La Cassazione risponde che era impossibilità di natura oggettiva, perché se si esonerassero dal dibattimento tutte le persone con l'ansia, verrebbe meno il diritto al contro esame. La Corte Europea ha detto invece che non è corretto usare come prova le dichiarazioni rese dal minore in segreto, perché il 111 non prevede alcuna deroga per il minore. Bisogna sentirlo già prima → incidente probatorio: vi sono due limiti però → – L'incidente probatorio non è discrezionale, vi sono casi tassativamente previsti. – Mettiamo che il minore sia sentito in incidente probatorio, ma se la difesa chiede che il minore venga nuovamente a deporre in dibattimento? L'incidente probatorio non risolve il problema,perché c'è sempre il diritto della parte di rivolgere nuove domande in dibattimento. 3. Provata Condotta Illecita Vi sono alcuni problemi: – come si prova questa condotta illecita → “provata” : cambierebbe qualcosa se non ci fosse questo termine? Il prof crede di no, perché siccome si tratta di un'eccezione chi p interessato a far valere la condotta illecita, deve provarla. Il termine provata ha certo funzione di garanzia, ma non ci fosse dovrei provare lo stesso la condotta illecita. – L'espressione “accertata” se non ci fosse cosa cambierebbe? Niente, perché tanto bisognerebbe comunque dimostrare che si tratta di una impossibilità di natura oggettiva. Anche quando la legge dice: “ con il consenso dell'imputato” , allora dovrebbe aggiungere “con l'accertato o provato consenso dell'imputato”. Provare il consenso è più semplice, provare una condotta illecita è sicuramente più difficile. Questa condotta illecita come va provata? Alcuni dicono: seguire la regola del contraddittorio nella formazione della prova → tesi assurda. Qui è un tema incidentale → non occorre vi siano prove formate in contraddittorio, ma qualsiasi prova utile, anche un atto formato in segreto, verbale.. Non è la condotta illecita dei testimoni, ma è condotta illecita sul testimone, si allude a quelle pressioni, minacce o promesse di utilità che vengono rivolte al testimone che gli tolgono la libertà di autodeterminazione, lo costringono a dire ciò che non vorrebbe. Il bene protetto è la perdita della libertà di autodeterminazione del testimone. La Corte ha detto che quando si parla di condotte illecite, non ci si riferisce alla falsa testimonianza del teste, ma a quelle condotte che costituiscono una pressione sul testimone. L'articolo 500 cpp ha tolto ogni dubbio dicendo: “ ...quando vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di ogni altra utilità, affinché non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM precedentemente rese dal testimone, sono acquisite al fascicolo per il dibattimento”. Esse diventano prova, quindi utilizzabili. Non ha più senso interrogare una persona che si trovi in uno stato simile. Problemi a cui dà luogo l'articolo 500 cpp: – la costituzione parla di condotta illecita che deve essere provata. Nell'articolo 500 non compare la parola “prova” , si parla di “elementi concreti per ritenere”, espressione più attenuata: buona ragione per sospettare. Inizialmente si è detto :come faranno i PM a provare la condotta illecita? L'unico modo sarebbe di chiederlo al teste stesso e lui lo ammetta. A questo punto quando ci serve la dichiarazione precedente? Quando il teste non vuole ammettere di essere stato intimidito, ma bisogna dare una prova e i PM come fanno? Bisognerebbe fare un nuovo processo di accertamento dell'intimidazione? Secondo Maddalena questa norma non avrebbe trovato applicazione e quindi il legislatore coscienziosamente avrebbe attenuato il concetto. Il Tribunale di Torre Annunziata, richiamandosi all'articolo 500 emana un'ordinanza in cui ha detto: per addurre alla condotta illecita non occorre la prova delle prove in senso proprio, ma bastano elementi concreti , che sono qualcosa in meno della prova → al prof non piace. Possiamo ,secondo questa tesi, immaginare che nel processo ci sono cose che non vanno provate, ma vanno semplicemente ritenute, come l'articolo 500 cpp. Però c'è un ostacolo a ciò: la costituzione dice: “provata”. È possibile provare senza prove? NO! Il prof dice: non tutte le prove provano, ma per provare servono le prove, quindi gli elementi concreti non sono altro che prove, per tanto sbaglia il tribunale di Torre Annunziata a dire che gli elementi concreti sono qualcosa in meno delle prove. Vi sono due modi per interpretare il 500 cpp: – se riteniamo che gli elementi concreti non siano prove, dobbiamo immediatamente dire in seguito che per tanto l'articolo 500 è incostituzionale; – oppure possiamo dire che il 500 cpp risulta ambiguo, ma siccome la Costituzione dice “prove”, dobbiamo rispettarla e ritenere che quegli “elementi concreti” siano prove e quindi dobbiamo così interpretarli. IMPUGNAZIONI NEL GIUSTO PROCESSO Il problema del nostro sistema, in materia di impugnazioni, è che esso:  Da una parte, è IPERGARANTISTA- da mettere perfino in discussione il principio della ragionevole durata? in un sistema processuale che aspira ad avere una ragionevole durata del processo, 3 gradi di giudizio sono troppi. In genere, i sistemi accusatori si articolano su 2 gradi di giudizio. Un giudice condanna l’imputato sviluppando questo movente: egli era geloso della vittima del reato. Nella sentenza, questo giudice sviluppa questa unica prova del processo, cioè la gelosia dell’imputato. Immaginiamo che il giudice d’appello confermi la condanna sulla base dell’unica prova della gelosia. 1. Secondo il modello del prof ( 1°+2°+ 3°di diritto): la Cassazione non potrebbe entrare nel merito di questa questione, perché è un giudice che si occupa di motivi di solo diritto. 2. Nel nostro sistema vigente (1°+2°+ 3°di merito), la Cassazione si comporta come un giudice di fatto perché entra nel merito della questione in 3° grado. Se fosse un giudice di puro diritto, la Cassazione dovrebbe dire che non si può occupare di questo ricorso perché quella valutazione attiene le prove (e non motivi di diritto).  Dall’altra parte, è IPOGARANTISTA chi è condannato in 1° grado ha davanti a sé il pieno giudizio d'appello e poi il semi-giudizio della Cassazione; invece chi è condannato per la prima volta in appello ha davanti a sé solo il semi-giudizio della Cassazione Art.14 (punto 5) Patto Internazionale sui diritti civili e politici “Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l'accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge” diritto a un riesame della propria colpevolezza e dell’accertamento. Questo articolo 14.5 non è rispettato per chi è condannato per la prima volta in appello perché non ha in senso proprio il diritto al riesame, poiché la Cassazione non compie un riesame ma un controllo sulla motivazione: entra nel merito, ma non riesamina da capo la colpevolezza. sostanza eliminare l’appello contro le sentenze di assoluzione. Ma questa via che era stata seguita dalla LEGGE PECORELLA è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.26 del 06/02/2007: questa norma, che rendeva inoppugnabile l’assoluzione e impugnabile la condanna, violava il principio di parità tra le parti. (Come l’imputato può appellare la condanna, così il PM deve poter impugnare l’assoluzione). Ferrua non approva il ragionamento della Corte per questi motivi: 1. Ma non è vero che la condanna è per l’imputato quello che è l’assoluzione per il PM, per il la legge Pecorella ha abolito la clausola: “mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato” inizialmente Pecorella aveva detto togliamo la virgola, la frase, e infatti l’ha tolta via. Cosa è successo quando l’ha tolta via? le proteste dei giudici sono giunte persino al Colle e il Presidente della Repubblica di allora ha rinviato alle Camere la legge Pecorella per un rinnovo della valutazione. Alla fine la scelta prevalsa è quella che leggete oggi: “Mancanza, manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato + O quando risulta da altri atti processuali questa parte aggiunta di fatto distrugge la clausola.E poi hanno aggiunto specificamente indicati nei motivi di gravame: bisogna indicare specificamente gli atti . Quindi ha messo un primo argine il principio di autosufficienza del ricorso: se tu non ci dai già tutto come uno schema di ipotetico annullamento della sentenza, cioè non ci dici già tutti i motivi, specificamente indicati per cui la sentenza va annullata, noi ti dichiariamo inammissibile il ricorso senza neanche andare a leggere gli atti. Però ugualmente QUALCOSA È CAMBIATO, in un primo tempo le resistenze da parte dei giudici della cassazione sono state di due tipi: - cioè indicare esattamente i motivi specificamente indicati per cui se non ti arriva la fotocopia del punto in cui c’è il contrasto altrimenti la cassazione dichiara inammissibile il ricorso. - la reazione del tamquam non esset ( meno legittima della prima)e cioè la V sezione si è comportata come se quella legge non esistesse quasi, o meglio l’ha interpretata in un modo tale che praticamente l’ha distrutta. N.B. quando la legge pecorella dice che il vizio di motivazione deve risultare o dal testo o dagli atti, non si riferisce agli atti del processo le prove, neanche per idea, le prove continuano a essere non valutabili, a cosa si riferisce atti del processo? La mirabolante teoria e che atti del processo quali sarebbero? Le domande delle parti. Per la 5^ sezione gli atti del processo non sono le prove, per le altre sezioni sì. E qui è scoppiata una grossa polemica tra le sezioni. Al prof sembra che il primo orientamento, quello della 1^ 2^ e 3^ sezione sia tutto sommato accettabile, quello della 5^ a me sembra insostenibile però c’è stato. Poi quell’orientamento è rimasto isolato, adesso il sistema è rientrato, però resta come esempio di una sostanziale, vanificazione di una legge attraverso una astuta interpretazione. art 606 vizio di motivazione e risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame il gravame non è sicuramente il ricorso in Cassazione cioè si usa la parola gravame come sinonimo di impugnazione, ma in realtà non è cosi dal punto di vista tecnico, perché il gravame è un mezzo particolare di impugnazione in cui si rinnova interamente il giudizio (è un lapsus innocuo) Le sezioni diverse dalla V, hanno detto che il contrasto tra la motivazione della sentenza e le prove, non può essere un semplice contrasto, ma deve essere un contratto particolarmente qualificato - un contrasto dirompente, vale a dire che non basta che un passo della sentenza si ponga in contrasto con gli atti del processo e con le prove, occorre che questo contratto sia tale da disarticolare tutto l’iter della sentenza. questa interpretazione potrebbe trovare un appiglio letterale nell’art 606 dove si parla di “mancanza di contraddittorietà o manifesta illogicità contrasto non deve riguardare un singolo punto ma deve riguardare tutto l’iter argomentativo, deve completamente sovvertirlo? Es. immagine degli anelli che compongono una catena, anche uno solo salta, ne risente tutta la catena. Quindi se è un passo che non ha rilevanza, un passo che è puramente descrittivo, allora posso essere d’accordo che non basta il contrasto per disarticolare la motivazione; di conseguenza bisogna dividere i contrasti rilevanti e irrilevanti. ultimo problema dei ricorsi in Cassazione è dare un significato a questa MANIFESTA ILLOGICITA’. Qua si prendono in considerazione 3 vizi: - Mancanza di motivazione Non si allude alla mancanza intesa come assenza perché la mancanza della motivazione è, per l’art 125 CPP, causa di nullità della sentenza. Allora se la motivazione è assente, io non posso proporre ricorso in cassazione per la lettera E, ma lo devo proporre per la lettera C, dicendo che la sentenza è nulla. È evidente che si riferisce alla mancanza in senso logico – è un insufficienza Ma che differenza c’è tra fare ricorso in Cassazione secondo la lettera E o C? In Cassazione probabilmente non c’è differenza, ma in appello c’è una differenza enorme: quando il giudice di appello si trova di fronte ad una sentenza in cui manchi la motivazione, deve dichiarare la nullità e deve rinviare gli atti al giudice di primo grado e si ricomincia da capo. Se il giudice d’appello invece si trova davanti ad una motivazione carente, in cui le prove non appaiono sufficienti a condannare l’imputato, e l’imputato è stato condannato, non dichiara nessuna nullità ma assolverà l’imputato che è stato condannato c’è semplicemente una riforma della sentenza. Ma potrebbe addirittura capitare che il giudice d’appello confermi una motivazione illogica, modificando la motivazione. Quindi quando c’è una carenza in senso logico di una motivazione, il giudice d’appello rigiudica e può darsi che raggiunga le stesse conclusione che aveva raggiunto il giudice di primo grado. In Cassazione questo non è possibile e quindi annullerà, perché non può rifare la motivazione, quindi è costretta a rinviare ad un giudice. Quindi in sede di ricorso in cassazione, la differenza tra mancanza in senso logico e mancanza in senso fisico un po’ si attenua - Contraddittorietà: può essere usata per designare due vizi. Il primo è quello in cui ci sia passo della sentenza che entra in contrasto con l’altro, il giudice si contraddice. Potrebbe anche essere tra la motivazione della sentenza e gli atti del processo. Quindi la contraddittorietà può sussistere sia all’interno della motivazione stessa sia, tra la motivazione e gli atti del processo - Manifesta illogicità: (li comprende tutti perché una motivazione contraddittoria è anche illogica) - manifesta non può essere intesa in senso letterale di “evidente”, di “palese”, cioè di vizio che si manifesta icto oculi quindi non si può tracciare qui la distinzione tra hp meritevole di annullamento in base al grado di evidenza che ha il vizio. L’altra ipotesi, che anche il prof sarebbe tentato di battere, sarebbe quella di considerare l’aggettivo come se non ci fosse, cioè diventa un’interpretazione certamente meritevole dal punto di vista dell’esito, però in contrasto con la legge. Terza ipotesi che si riallaccia a quello sul contrasto dirompente o non dirompente. Cioè l’unico criterio che regge, è quello di chiederci, nell’hp della condanna, se questo contrasto è tale da introdurre un ragionevole dubbio sulla colpevolezza. Se sì allora la sentenza crolla e quindi va annullata. Se invece quel contrasto c’è ma non è tale da fare dubitare ragionevolmente della colpevolezza, allora la sentenza regge. Questo era stato il criterio che mi era sembrato di indicare, e tutt’oggi penso che sia ancora un buon criterio. Cioè ci salva ancora un volta questo criterio del colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Quindi quando i giudici di Cassazione devono decidere se il contrasto merita o no l’annullamento, si chiederanno se quel contrasto introduce un ragionevole dubbio sulla colpevolezza. In definitiva il criterio più utile è proprio della distinzione tra l’esserci o non esserci un ragionevole dubbio sulla colpevolezza. Secondo il prof il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio è un buon criterio per distinguere le sentenze da annullare da quelle da ratificare, però bisogna aggiungere un punto particolare che consente di dare un senso a dal giudice d’appello, non può riformulare lui il giudizio sulla colpevolezza come se fosse un giudice di primo o secondo grado. In effetti l’art 606 CPP dice che il giudice di Cassazione controlla la motivazione. Quindi c’è un controllo non direttamente sulla colpevolezza o sull’innocenza, è un controllo sempre sulla motivazione. In sostanza devono chiedersi se la colpevolezza è stata ben argomentata, che significa entrare nel merito, vedere se le prove giustificano il passaggio. Il controllo diventa di merito ma formalmente l’oggetto non è il medesimo. Per il prof c’è una zona grigia, proprio questa in cui vi è il dubbio sulla ragionevolezza del dubbio, in cui può essere considerata legittima tanto l’assoluzione quanto la condanna: naturalmente ogni giudice deve sapere che una delle due è sbagliata, però ha questa discrezionalità; discrezionalità del giudice Quando c’è una zona in cui coesistono diverse possibilità decisorie, tutte legittime, nel senso che tu puoi con una motivazione tanto giustificare la condanna quanto puoi giustificare l’assoluzione. Non ho discrezionalità Quando vado fuori da questa zona il giudice di primo grado e di appello deve chiedersi quale sia la soluzione più corretta e quindi non può astenersi dal prendere una decisione netta, deve rifletterci e chiedersi se lui ritiene che quel dubbio sia o non sia ragionevole. Non può stare lì in uno stallo decisorio, e a un certo punto se lo ritiene ragionevole assolve, se lo ritiene irragionevole condanna. Cosa fa la cassazione? è qui che cerco di dare un senso a qual “manifesta” ; se il giudice di merito sia rimasto in quella sfera di discrezionalità che è aperta dalla vaghezza dell’aggettivo ragionevole; e cioè se il giudice di merito si è trovato in quella zona grigia in cui poteva tanto assolvere quanto condannare Quindi la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio entra in cassazione, però ci entra in questa forma indiretta, e cioè risparmiando questi casi difficili in cui si riconosce appunto che il giudice di merito ha correttamente esercitato il suo potere, anche se magari i giudici di cassazione non lo condividono.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved