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Il diritto alla prova contraria: onere formale e sostanziale, Appunti di Diritto Processuale Penale

Il concetto di diritto alla prova contraria nel contesto del processo penale italiano. Il diritto consente all'imputato e al pubblico ministero di presentare prove a carico e a discarico, rispettivamente. anche l'onere formale e sostanziale della prova, che pone l'obbligo sui parte di chiedere all'arbitro della causa l'ammissione delle prove utili per dimostrare la loro tesi. Il testo inoltre tratta della verificabilità, falsificabilità, sottoposizione al controllo della comunità scientifica, conoscenza del tasso di errore e generale accettanza come criteri per l'ammissione di prove scientifiche.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 26/05/2018

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Scarica Il diritto alla prova contraria: onere formale e sostanziale e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PARTE I F 0E 0 Evoluzione storica del processo penale F 0 E 0 le fonti CAPITOLO I F 0E 0 Sistema inquisitorio, accusatorio e misto 1. Diritto penale e diritto processuale penale: La legge penale definisce i “tipi di fatto” che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. La legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se è stato commesso un fatto di reato, se l’imputato ne è l’autore e, nel caso, quale pena debba essergli applicata. Una volta che è stato commesso un reato, occorre accertare le modalità del fatto, scoprirne i responsabili ed applicare le sanzioni. Questo compito, in una società ordinata, spetta allo Stato in base al diritto. Il compito di accertare se un imputato è responsabile di un reato è demandato al giudice. Le modalità di svolgimento del processo penale non devono essere lasciate alla discrezione di quest’ultimo, ma devono essere regolate dalla legge. Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all’attuazione del diritto penale del caso concreto. In questo senso comunemente si afferma che il diritto processuale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale. Il giudice accerta se il fatto commesso dall’imputato rientra nella fattispecie ( e quindi tipi di fatto) prevista dalla legge penale incriminatrice; in caso positivo, l’imputato deve essere condannato. Le due branche di diritto penale (diritto penale sostanziale e diritto processuale penale) hanno per oggetto norme giuridiche; tuttavia sono differenti le attività che vengono regolamentate. • Il diritto penale sostanziale F 0 E 0 vieta determinati fatti attraverso la minaccia di una pena. I suoi precetti si rivolgono a tutti i cittadini; • Il diritto processuale penale F 0 E 0 regola l’accertamento di una responsabilità penale e, quindi, prescrive i comportamenti processuali da tenere; i suoi precetti si rivolgono specificamente al giudice, al P.M.. e agli altri soggetti del procedimento. La legge penale sostanziale ha la finalità di regolare le azioni delle persone, e non di accettarle. L’accertamento dei fatti spetta al processo. Mentre la legge processuale penale ha una duplice finalità: 1. da un lato regola l’attività del giudice e delle parti; 2. dall’altro lato, predispone strumenti logici mediante i quali il giudice, col contributo dialettico delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi. 2. La protezione della società e la difesa dell’imputato: L’esigenza di scoprire i reati e di applicare le sanzioni è dettata dalla necessità di proteggere la società contro il pericolo della delinquenza. Nel perseguire questo compito, occorre allo stesso tempo predisporre gli strumenti che permettano di accertare se il fatto di reato è stato commesso dall’imputato; ciò è imposto dall’ esigenza di difendere di difendere l’imputato innocente dal pericolo di una condanna ingiusta. Ma anche nell’ipotesi in cui l’accusato fosse colpevole, il processo dovrebbe difenderlo dal pericolo costituito dall’applicazione di sanzioni più grandi di quelle che conseguono ai fatti che vengono accertati. Quindi il processo penale, nell’applicare la legge sostanziale, deve perseguire contemporaneamente la funzione di tutelare la società contro la delinquenza e di difendere l’accusato dal pericolo di una condanna ingiusta. Le due esigenze hanno uguale importanza. Le norme processuali devono assicurare insieme la protezione della società e la difesa dell’imputato. Sta di fatto che la protezione della società è realizzata con mezzi che impediscono o ostacolano la difesa dell’imputato. Il limitare le possibilità di difesa può ridurre il pericolo di assolvere il colpevole, ma aumenta il rischio di condannare l’incidente o di irrogare pene sproporzionate. Viceversa, l’ampliamento dei diritti di difesa aggrava il pericolo che siano assolti i colpevoli. La difficoltà di coordinare le due esigenze contrapposte sta nel fatto che, prima della sentenza irrevocabile, non è possibile stabilire se l’imputato è innocente o colpevole. In definitiva si tratta di scegliere se accettare il rischio di condannare un innocente o accettare il rischio di assolvere un colpevole. Gli stessi studiosi hanno rilevato che esiste una stretta correlazione tra regime politico e sistema processuale. La distinzione tra modello processuale inquisitorio e accusatorio ha assunto il nuovo significato di criterio di scelta politica per valutare l’accettabilità delle norme che devono regolare il processo penale. La formulazione di queste norme non è soltanto un problema di tecnica giuridica, ma è soprattutto una questione di scelte politiche. PAGE \* MERGEFORMAT151 Per valutare se un ordinamento sia effettivamente garantista basta esaminare quale modello processuale accolga. 3. Sistema inquisitorio e sistema accusatorio: Già in epoca medievale era denominato inquisitorio quel sistema processuale che attribuiva al giudice il potere di attivarsi d’ufficio per perseguire i reati e acquisirne le prove. Questa nomenclatura derivava dall’organo che prendeva l’iniziativa in quel tipo di processo, e cioè il giudice inquisitore. Sempre nello stesso periodo storico era denominato accusatorio quel tipo di processo nel quale il giudice non esercitava alcun potere d’ufficio, poiché erano le parti ad avere l’iniziativa. L’avvio del processo, il suo svolgimento e la ricerca delle prove erano lasciati ad una parte, cioè all’accusatore. Il giudice aveva solo il potere di prendere decisioni su richiesta di parte. Al potere d’iniziativa e di richiesta dell’accusatore corrispondevano simili poteri esercitabili dall’accusato personalmente o attraverso un difensore. Oggi con i termini accusatorio ed inquisitorio ci riferiamo a “tipi” di processo penale, ai quali sono attribuite determinate caratteristiche. In linea di massima, si afferma che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre quello accusatorio si fonda sul contradditorio e sull’oralità. I due sistemi non sono altro che modelli: essi vengono ricavati attraverso astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili in un determinato ordinamento. Quindi si tratta di due modelli che si possono ricostruire seguendo una contrapposizione ideale delle rispettive caratteristiche. E’ pertanto prevalentemente inquisitorio quel processo che permette al giudice di decidere su prove scritte, e cioè limitandosi a leggere i verbali di atti compiuti in un momento anteriore da parte di altri soggetti. Viceversa, è prevalentemente accusatorio quel processo che impone al giudice di decidere soltanto in base a prove che siano assunte oralmente davanti a lui; gli elementi acquisiti in precedenza non possono essere utilizzati dal giudice per accertare la reità dell’imputato. 4. Sistema inquisitorio e principio di autorità: All’origine logica della distinzione tra sistema inquisitorio ed accusatorio sta la fondamentale contrapposizione tra principio di autorità e principio dialettico. Il sistema inquisitorio è quel modello di procedimento penale che è caratterizzato da due principi: • dal principio di autorità F 0 E 0 secondo cui la verità è meglio accertata quanti più poteri sono attribuiti al giudice; • dal principio di cumulo delle funzioni processuali d’accusa, di difesa, e di giudizio in un unico soggetto, il giudice; Per quanto riguarda le caratteristiche di questo sistema, il giudice inizia il processo d’ufficio, e cioè senza la richiesta di una parte. Parimenti, ricerca le prove d’ufficio. Il processo si svolge in segreto e per iscritto, nel senso che il giudice decide sulla base di dichiarazioni verbalizzate; non vi è alcun limite all’ammissibilità delle prove. L’imputato è presunto colpevole. La regola è la carcerazione preventiva. Infatti, il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente. In lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice, come accusatore e come difensore dell’imputato. Da questo postulato, deriva che ad un unico soggetto devono essere concessi pieni poteri in ordine sia all’iniziativa del processo, sia alla formazione della prova. Questo soggetto nella storia assume varie denominazioni, la più nota delle quali è quella di giudice inquisitore. Non importa se si tratta di un giudice singolo o collegiale; quello che conta è il tipo di potere che gli è concesso. In definitiva, si crede nel cumulo delle funzioni processuali in un unico organo. Correlativamente, si tende a non riconoscere alcun potere alle parti; l’offeso e l’imputato sono puri oggetti del giudizio, poiché tutti i poteri risiedono nel giudice. Dal principio del cumulo dei poteri processuali derivano le principali caratteristiche del sistema inquisitorio F 0 E 0 1. iniziativa d’ufficio F 0 E 0 l’iniziativa del processo penale deve spettare al giudice. Il giudice deve poter iniziare il processo d’ufficio anche se nessuna persona è uscita allo scoperto per costituirsi come parte che accusa. Per mettere in funzione il giudice inquisitore è sufficiente una denuncia anonima; 2. iniziativa probatoria d’ufficio F 0 E 0 La ricerca delle prove non deve spettare alle parti, ma al giudice stesso, perché egli ha più poteri e quindi può meglio conoscere il vero ed il giusto. Non è necessario che un organo di accusa abbia poteri nel processo. Il giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi, e cioè arrestando imputati e testimoni e compiendo perquisizioni; PAGE \* MERGEFORMAT151 Il regime politico totalitario trova nel sistema processuale inquisitorio lo strumento di potere più efficace. Attraverso giudici parziali il potere politico può far iniziare il processo penale; può far assumere o no le prove; può favorire o meno gli appartenenti alla propria fazione. La mancanza del contradditorio è uno strumento efficace per realizzare ogni arbitrio e per creare una “verità di Stato”. In un regime totalitario il processo penale funziona come strumento di controllo sociale, e cioè come mezzo per indottrinare le masse. Il processo penale è usato come strumento di lotta politica. Il processo penale serve ad inculcare un ideologia. Viceversa, un processo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista. Alla maggioranza in parlamento spetta indicare quale è l’interesse pubblico da perseguire. Il giudice non deve porsi questo problema; deve soltanto accertare se l’accusa ha dimostrato che l’imputato è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. Se il giudice si dimostra parziale, le parti devono avere il potere di ricusarlo; anzi, deve essere consentito di dimostrare che il singolo magistrato o giudice popolare non è in condizioni tali da “apparire” imparziale. Per evitare che un giudice commetta errori, deve essere agevolato l’intervento di parti con interessi contrapposti. Gli strumenti, che tendono a ridurre gli arbitrii, sono: • la separazione delle funzioni processuali di accusa, difesa e giudizio; • la distinzione tra potere di direzione del dibattimento ed il potere di decidere sull’accusa; • la parità tra i poteri delle parti in tema di prova. Nel sistema accusatorio la pubblicità svolge la funzione di permettere all’opinione pubblica di verificare se la Giustizia è amministrata in modo corretto e se i diritti della persona umana sono rispettati; non deve mai essere uno strumento di indottrinamento e di controllo sociale. Quello che conta è accertare se l’accusa è fondata, non quali conseguenze politiche possano derivare da una condanna o da un assoluzione. Il processo penale deve svolgersi nelle aule di udienza e non sui mezzi di divulgazione di massa, nei quali non è tutelato il diritto di difesa. Non è consentito offendere la reputazione di un imputato nel momento in cui si celebra il processo penale. Il diritto di critica è funzionale al controllo sul corretto svolgimento dell’amministrazione della Giustizia e non può diventare un’aggressione al giudice o alle parti. Il giudice deve poter accertare l’esistenza di un fatto, anche se ciò è sgardito al potere politico o all’opinione pubblica. 7. Sistema processuale ed efficacia: Il sistema inquisitorio utilizza una sorta di “terrorismo di Stato” che è capace di debellare le più agguerrite bande criminali. L’inconveniente sta nel fatto che questo sistema non garantisce a sufficienza contro il rischio che sia condannato un innocente; ma soprattutto permette al potere politico di utilizzare il processo penale come strumento per limitare la libertà dei cittadini ed indottrinare le masse. Se, viceversa, l’obbiettivo si identifica nella predisposizione di una regolamentazione idonea a tutelare la libertà politica e la persona umana, il sistema accusatorio è più rispettoso dei diritti fondamentali, ma soprattutto rende più difficile al potere politico manipolare i fatti e costruire verità di Stato. Tuttavia al sistema accusatorio si ravvisano anche degli svantaggi. Ad esso si addebita un’eccesiva combattività che rischia di giungere al linciaggio del testimone. Gli ampi poteri, di cui gode l’accusa pubblica (polizia e P.M..) impediscono al giudice di effettuare un efficace controllo soprattutto nei momenti anteriori al dibattimento. Le regole che escludono le prove raccolte fuori da questa fase tutelano i diritti di libertà del cittadino, ma tendono ad ostacolare l’accertamento del fatto di reato. Occorre tener presente che questo è il modello cosiddetto puro, che è stato ricavato per antitesi rispetto al modello inquisitorio e che costituisce il frutto di un’elaborazione messa in opera fin dal 1700. 8. Cenni storici sul processo penale F 0 E 0 A. Considerazioni introduttive F 0 E 0 La storia del processo penale è, in ampia parte, un susseguirsi di esempi di sistemi inquisitori. Lo stesso fenomeno si verifica per le istituzioni politiche: la storia degli ordinamenti costituzionali è piena di esempi di regimi totalitari nelle versioni più disparate, da quelli in cui prevale il potere esecutivo a quelli in cui prevale il potere legislativo o giudiziario. L’effetto è sempre una dittatura, a prescindere dall’organo che la esercita. Nel corso dei secoli gli uomini hanno dovuto lottare duramente per ottenere garanzie sia nell’ordinamento costituzionale sia nel processo penale. B. Il diritto romano F 0 E 0 PAGE \* MERGEFORMAT151 Nell’antico diritto romano il re disponeva, in materia di repressione criminale, di un’ incondizionato potere di coercizione e di giurisdizione per la repressione dei reati più gravi che mettevano in pericolo la vita della civitas e l’istituto monarchico. Egli stesso procedeva a far arrestare l’autore del crimine, a stabilire la sanzione e a far eseguire la pena di morte. Successivamente, trasformatosi il regime da monarchico a repubblicano, la repressione dei reati era affidata al popolo riunito nelle assemblee comiziali. Il potere di coercitio dei magistrati superiori, in particolare i consoli, veniva in qualche modo temperato dall’istituto della provocatio ad populum, che attribuiva al perseguito la facoltà di ricorrere all’assemblea. Il processo popolare venne progressivamente cedendo il posto a tribunali stabili istituiti per legge e presieduti da un magistrato, che in un primo tempo limitarono e, successivamente, assorbirono l’antico processo davanti ai comizi per diventare, infine, l’organo ordinario della repressione criminale dell’ultima età repubblicana e dei primi tempi dell’impero. Il processo davanti alle questiones perpetuae era tipicamente accusatorio: l’iniziativa spettava a qualsiasi privato cittadino, quale rappresentante dell’interesse pubblico. Se i postulanti per lo stesso fatto criminoso erano più di uno, si svolgeva una procedura preliminare (divinatio) diretta alla scelta dell’accusatore da preferire. La giuria decideva a quale cittadino doveva essere conferito il potere d’accusa. I giurati erano estratti a sorte nella classe dei senatori e dei cavalieri; l’accusatore ed il difensore dell’imputato avevano il potere di recusare i singoli giurati, finché si perveniva ad un collegio su cui concordavano. L’accusatore prescelto formulava l’imputazione (nominis delatio); il magistrato la raccoglieva in un processo verbale. Quindi autorizzava l’accusatore a procedere alla raccolta delle prove con poteri coercitivi (imperium) e fissava la data del dibattimento. Nell’udienza dibattimentale, davanti ad una differente giuria, prendevano la parola prima l’accusatore e poi il difensore dell’imputato. Successivamente si procedeva all’escussione dei testimoni. Essi prestavano giuramento davanti al magistrato, che dirigeva il dibattimento, venivano interrogati dalla parte che li aveva chiamati a deporre e, successivamente, dall’avversario. Seguivano le orationes dell’accusa e della difesa. Dopodiché il magistrato invitava i giurati a ritirarsi per deliberare in segreto. La decisione di condanna non indicava la pena, perché questa era stabilita dalla legge. Contro la decisione non era ammesso appello. Il sistema delle questiones perpetuae poteva funzionare soltanto per il concorrente di determinate circostanze favorevoli. Lo svolgimento di funzioni pubbliche era demandato all’iniziativa dei cittadini. Il compito di accusa richiedeva al singolo di contribuire a tutelare l’interesse pubblico. L’organizzazione delle giurie esigeva la partecipazione diretta dei cittadini migliori. Finché la tensione morale fu alta, il sistema potè funzionare. Quando prevalse il disinteresse, la giuria subì un declino. Il sistema delle questiones perpetuae fin dai primi anni dal principato iniziò a subire la concorrenza di un nuovo tipo di processo più coerente con il nuovo assetto costituzionale dello Stato. La questione era affidata ad un delegato dell’imperatore, che cumulava il potere di accusare, di raccogliere le prove e di giudicare. L’imperatore si riservava il potere di decidere sull’impugnazione presentata dal cittadino romano, che si “appellava a Cesare”. Questo procedimento, definito cognitio extra ordinem, venne poi a sostituirsi alle questiones perpetuae. C. Il periodo medievale F 0 E 0 Nei primitivi regimi barbarici il processo penale era considerato un fenomeno irrazionale, nel quale si manifestavano credenze magiche. Si credeva che la divinità fosse presente nel processo e che non potesse lasciar soccombere l’innocente. Il giudizio era basato sull’ordalìa, che era una prova fisica subita dall’accusato; dal suo risultato si pretendeva di ricavare la prova dell’innocenza, perché la divinità sarebbe dovuta intervenire; ciò comportava una sorta di onere della prova a carico dell’imputato. Oggi si usa dire “metterei la mano sul fuoco”. Ciò costituisce il retaggio dell’ “ordalia del fuoco”: l’accusato doveva afferrare con una mano un ferro rovente e doveva fare qualche passo senza lasciarlo cadere. Poi si applicava sulla ferita una medicazione e la si sigillava. Quando si toglieva il medicamento, l’aspetto della ferita provava la reità o innocenza dell’accusato. Con il ritorno della civiltà, l’ordinamento barbarico recepì gli insegnamenti del diritto romano. Nel diritto penale, in relazione ai delitti pubblici, ciò comportò il ripristino del sistema della cognitio extra ordinem che, da quel periodo, venne denominata inquisizione. A questo sistema si orientò il diritto canonico nel perseguire le eresie sorte nel popolo e le malefatte dei vescovi-conti. Il sistema inquisitorio fu accolto anche dai Comuni trasformatisi in Principati e dai vari Stati assoluti che si formarono nell’Europa continentale. 9. Il processo penale nello Stato assoluto: Fra i vari ordinamenti accolti dagli Stati assoluti nel ‘600, merita esaminare quello entrato in vigore in Francia all’inizio della Rivoluzione nel 1789. In primo luogo vi è un motivo teorico, poiché questo ordinamento ha quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio. In secondo luogo vi sono ragioni storiche, poiché lo stesso è stato oggetto di critica da parte di filosofi illuministi ed è stato sostituito, all’inizio della Rivoluzione, con un ordinamento ispirato al processo penale inglese del tempo, caratterizzato dal sistema accusatorio. Le leggi rivoluzionarie successive hanno introdotto correzioni e modifiche che PAGE \* MERGEFORMAT151 contemperavano i due sistemi, finché, con il codice napoleonico del 1808, è stato elaborato un sistema “misto”. Il codice è stato preso a modello dal pensiero liberale ed è stato introdotto in Italia ed in quasi tutti gli altri Stati dell’Europa continentale nel corso dell’800. In Italia il sistema misto è rimasto misto fino al 24 ottobre 1989. Per quanto riguarda il sistema misto, occorre innanzitutto precisare che quasi tutte le forme di processo penale, che si sono manifestate nel corso della storia, sono di carattere misto, e cioè accolgono elementi del sistema inquisitorio e di quello accusatorio. Tuttavia, da parte di molti studiosi, viene denominato sistema misto quello che caratterizza il codice francese del 1808. Esso tende a contemperare le esigenze che ispirano i due sistemi: • da un lato, la tutela della società dal crimine; • dall’altro lato, la difesa dell’imputato. Nel sistema misto l’istruzione è prevalentemente inquisitoria, perché è segreta e condotta da un giudice, anche se accoglie alcuni caratteri del sistema accusatorio; il dibattimento è prevalentemente accusatorio perché è fondato sul contradditorio tra le parti, ma accoglie alcuni caratteri del sistema inquisitorio. In particolare, l’istruzione è svolta dal giudice istruttore; è diversa dall’inquisizione in quanto sono presenti vari temperamenti, cioè: • l’istruzione inizia dopo che il P.M.. ha fatto formale richiesta al giudice istruttore; • l’istruzione termina dopo che il P.M.. ha chiesto il proscioglimento o il rinvio a giudizio; • è garantito all’imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio. La fase del dibattimento è prevalentemente accusatoria, ma è temperata da 2 principi: • le domande ai testimoni sono rivolte dal presidente della Corte; • gli atti compiuti in segreto prima dle dibattimento possono essere letti e su di essi può essere fondata la decisione. Tornando al sistema assoluto , l’Ordonnance criminelle del 1670, promulgata in Francia nel periodo di maggior potenza dello Stato assoluto, costituisce uno snodo fondamentale della storia del processo penale. Fino ad allora agli organi giudicanti era riconosciuto il potere di di determinare le regole del proprio operare. La normativa processuale si era venuta completando nel tempo sulla base della prassi creata da giudici e avvocati, con l’aiuto della dottrina. Re Luigi XIV si impossessò in breve tempo del potere di legiferare in via esclusiva in materia processuale. L’effetto fu quello di rafforzare i tratti del sistema inquisitorio. In base alle ordonnance il processo penale si metteva in moto in seguito di una denuncia di un privato, di una querela della persona offesa o su iniziativa del procuratore del re o del giudice d’ufficio. Seguiva una procedura preparatoria denominata information, che aveva la funzione di raccogliere elementi e di individuare le fonti di prova. In seguito i testimoni erano sentiti dal giudice, che provvedeva ad arrestare l’imputato e ad interrogarlo senza la presenza del difensore. L’imputato doveva prestare giuramento di rispondere secondo verità. Conclusa l’informazione, il giudice comunica gli atti al procuratore del re, che poteva chiedere la liberazione dell’arrestato e la prosecuzione del processo secondo il rito civile o la prosecuzione con il rito penale. Se il giudice decideva di procedere con il rito penale, iniziava l’istruzione definitiva . In segreto davanti al giudice inquisitore il singolo testimone doveva ascoltare la lettura del verbale delle dichiarazioni che aveva reso in precedenza; gli era chiesto se le confermava; scopo dell’atto era quello di evitare ritrattazioni. Quindi il testimone era messo al cospetto dell’imputato; erano lette le dichiarazioni che gli aveva reso in precedenza e gli veniva chiesto, davanti all’imputato, se persisteva; se il testimone non persisteva, doveva essere punito. Conclusi i confronti con l’imputato, il procuratore del re e la parte civile presentavano le conclusioni definitive. L’imputato poteva rispondere con una domanda di attenuazione, che tende a dimostrare la falsità delle allegazioni. Di fronte al collegio giudicante l’inquisitore svolgeva la sua relazione sul processo. Veniva quindi effettuato l’interrogatorio dell’imputato; se i fatti da lui allegati erano ritenuti gravi e seri, il collegio ordinava di sentire il testimone. L’imputato poteva essere sottoposto alla tortura preparatoria a condizione che il delitto comportasse la pena di morte e vi fosse una prova considerevole contro l’accusato. In seguito alla condanna poteva essere fatta la “tortura preliminare” allo scopo di far rivelare il nome dei complici. La sentenza di assoluzione non poteva mai dar luogo al giudicato: l’imputato era prosciolto allo stato degli atti. Contro alla condanna l’imputato poteva fare appello: successivamente poteva presentare impugnazione al consiglio del re. Il processo inquisitorio era criticato da Cesare Beccaria nel suo volume intitolato “dei delitti e delle pene” che fu pubblicato a Livorno nel 1764 ed ebbe ampia risonanza in Europa. Beccaria sosteneva che le denunce e le accuse non dovevano essere segrete; che si doveva vietare che l’imputato fosse sottoposto al giuramento e alla tortura. Egli proponeva che il processo penale si svolgesse in pubblico, che vi fosse un PAGE \* MERGEFORMAT151 principio di separazione delle funzioni tra accusa e giudizio. La fase anteriore al dibattimento era segreta, ma non si trattava dell’inquisizione dell’ Ancien Regime perché vi erano 4 temperamenti: 1. l’istruzione iniziava dopo che il P.M.. aveva fatto formale richiesta al giudice istruttore; 2. essa terminava dopo che il P.M.. stesso aveva chiesto il rinvio a giudizio o il proscioglimento; 3. il giudice non poteva rifiutarsi di compiere l’istruzione; 4. era garantito all’imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio. Nella fase istruttoria il sistema misto si caratterizzava per il fatto che l’assunzione delle prove era affidata al giudice, cioè ad un organo separato dal potere esecutivo; quest’organo era sotto il controllo della Corte d’Appello, dalla quale ricavava allo stesso tempo la forza di apporsi all’ufficio del P.M.. A quest’ultimo, poiché dipendeva dal potere esecutivo, non si volevano attribuire poteri coercitivi. Soltanto in presenza di flagranza di reato il principio veniva meno: sia il P.M.. sia la polizia potevano arrestare l’imputato e potevano disporre la perquisizione. A sua volta, la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria; tuttavia essa era temperata da 2 principi: • le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente, che era un giudice togato; • gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e su di essi la giuria popolare poteva fondare la sua decisione. Il sistema misto creato dal codice del 1808 mirava a fondere in un'unica struttura processuale i caratteri del sistema inquisitorio e di quello accusatorio, cercando di sommarne gli aspetti positivi e, allo stesso tempo, di contemperare la difesa della società e la tutela dell’imputato. L’istruzione era un assunzione della prova, mentre il dibattimento costituiva una critica ed un controllo sulla stessa. Il sistema misto è stato criticato in quanto le prove sono raccolte in segreto senza che la difesa possa svolgere un controllo: colui che rende dichiarazioni può subire pressioni dall’inquirente. Soltanto in dibattimento l’imputato è autorizzato a demolire le prove, già assunte. In definitiva, il difetto del sistema misto napoleonico sta nel non aver assicurato il principio di separazione delle fasi. Nel momento in cui è sorto il sistema misto ha sostituito il processo inquisitorio. Però, dopo il 1815, tornano al potere i sovrani assoluti, i quali ripristinano immediatamente il processo inquisitorio. Faticosamente, il movimento liberale, nel corso dell’ ‘800, riuscì ad imporre negli stati dell’Europa continentale il ripristino del sistema misto napoleonico. Infatti, il sistema misto è accettabile a patto che funzionino i controlli politici, che sono tipici della separazione dei poteri. 13. I codici italiani di procedura penale: Il 1848 fu un anno fondamentale della storia italiana per quanto riguarda sia l’ordinamento costituzionale che il processo penale. Nello Stato del Piemonte fu promulgato lo Statuto, che poi doveva diventare la Carta fondamentale del Regno d’Italia, quando nel 1861 avvenne l’unificazione. L’1 maggio 1848 entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, il quale accoglieva il modello napoleonico. Nel 1859 venne promulgato un nuovo codice basato sul sistema misto; questo codice, con alcune modifiche, fu esteso nel 1865 al Regno d’Italia. Dal 1866 iniziarono gli studi che tendono a riformare il processo penale; ma solo nel 1892 una commissione fu incaricata di redigere il progetto di un nuovo codice. Nel frattempo il Parlamento era stato assorbito dalla riforma del diritto penale, che si era conclusa con l’approvazione del codice liberale del 1889. Il primo codice di procedura penale italiano vide la luce nel 1913. Anche se conservava il modello misto, esso era nuovo rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all’accusato già nel corso della fase istruttoria. Il difensore dell’imputato aveva il diritto di assistere con preavviso alle peripezie, agli esperimenti giudiziali e alle ricognizioni; poteva assistere senza preavviso alle perquisizioni domiciliari. Inoltre il difensore aveva il diritto di prendere visione dei verbali degli atti detti, oltre che dei sequestri, delle perquisizioni personali, delle ispezioni e dell’interrogatorio dell’imputato. In dibattimento fu introdotta la giuria popolare. Essa decideva sul fatto, mentre i giudici togati determinavano la quantità della pena. La giuria deliberava in udienza attraverso schede segrete, su quesiti formulati dal presidente; erano presenti il P.M.. ed il difensore. Quindi, il codice del 1913 apparteneva al sistema misto, ma con la presenza di istituti ricollegabili al processo accusatorio. In Italia con la riforma del nuove regime, si procedette alla riforma dei codici. Il codice di procedura penale fu promulgato nel 1930 insieme al nuovo codice penale; essi entrarono in vigore nel 1931. Nella relazione al codice di procedura penale il Ministro della Giustizia Rocco dichiarava di proporsi un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quello dell’imputato. Però il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta. Il P.M.., dipendente dal potere esecutivo, ottenne gli stessi poteri coercitivi che erano esercitati dal giudice istruttore. Infatti, il P.M.. conduceva una sua istruzione, denominata PAGE \* MERGEFORMAT151 sommaria, nella quale poteva limitare la libertà personale dell’imputato. Inoltre, poteva assumere le prove e decidere di rinviare l’imputato a giudizio, come se fosse stato un giudice. Da parte sua, il giudice istruttore, nella cosiddetta istruzione formale, procedeva d’ufficio alla ricerca delle prove che assumeva in segreto e decideva se rinviare l’imputato a giudizio. Infine, il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori. Il codice era riuscito ad attuare un insieme di funzioni: • da un lato, il P.M.., pur essendo parte, cumulava i poteri del giudice; • dall’altro lato, il giudice istruttore cumulava i poteri dell’accusa. Si abbandonava per la prima volta il principio della separazione delle funzioni processuali, che costituiva una conquista del codice napoleonico. Il sistema appariva formalmente misto, ma sostanzialmente prevalevano le caratteristiche del sistema inquisitorio. Mi furono varie modifiche: scomparse l’istituto della scarcerazione automatica dell’imputato per decorrenza dei termini massimi; era abolita la giuria popolare. Al suo posto si introdusse la Corte d’Assise, composta da 2 giudici togati e da 5 cittadini. CAPITOLO II F 0E 0 Il processo penale dalla Costituzione al Codice vigente 1. I principi del processo penale nella Costituzione del 1948: Il ritorno al regime di libertà politica ha provocato ripercussioni sul processo penale e sull’ordinamento Giudiziario. Le conseguenze immediate sono dovute alla legislazione intervenuta tra la data dell’armistizio (8 settembre 1943) e la data di entrata in vigore della Costituzione (1 gennaio 1948). Le conseguenze riflesse vanno individuate nei nuovi principi consacrati nella Costituzione stessa. Per quanto riguarda la produzione legislativa, non appena fu liberata una parte del territorio nazionale il governo Badoglio limitò i poteri della polizia in tema di fermo e sottrasse al P.M.. il potere di archiviare le denunce in modo insindacabile. Tuttavia la più importante modifica di rilievo costituzionale interessò l’ordinamento giudiziario. Il R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie della magistratura restituì l’inamovibilità ai giudici e riconobbe alla magistratura nel suo complesso l’indipendenza dal governo, infatti adesso tutti i membri del CSM erano eletti da magistrati. Per quanto riguarda la Costituzione, furono notevoli le novità rispetto allo Statuto Albertino, che trascurava quasi completamente i principi attinenti al processo penale. A causa del tempo limitato a loro disposizioni, infatti, i costituenti hanno posto solo le garanzie fondamentali che riguardavano i punti nevralgici del processo penale, dando per scontato che alcuni principi fondamentali (ad es. la pubblicità del processo penale) costituissero ormai una conquista consolidata e che quindi non necessitassero di una espressa previsione nella Costituzione. In essa troviamo, accanto a norme che toccano direttamente il processo penale, altre norme che lo influenzano indirettamente. Infatti vi sono dei principi generali che manifestano la loro portata anche in relazione al processo penale. Possiamo ulteriormente precisare che, nel corso dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, hanno portato un contributo importante partii di matrice ideologica profondamente differenti. All’orientamento liberale si devono: • le norme costituzionali che introducono la separazione dei poteri dello Stato, riaffermata con particolare enfasi a garanzia dell’ordine giudiziario; • quelle disposizioni che stabiliscono la separazione delle funzioni nel processo penale F 0 E 0 il diritto di difesa, proclamato “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (art. 24,II, cost.); l’azione penale che spetta al P.M.. (art. 112, cost.); il principio del “giudice naturale” precostituito per legge (art. 25,I, cost.). L’insieme di queste norme dimostra che il costituente ha ritenuto che le attività relative al processo penale dovessero spettare ad organi distinti. All’orientamento personalistico si ricollegano le norme che riconoscono i diritti inviolabili della persona umana (art. 2, cost.). L’elenco è dettagliato anche nelle garanzie di riserva di legge e di giurisdizione, precisate in singoli articoli a tutela della libertà personale (art.13,cost.), della libertà di domicilio (art. 14,cost.) e di circolazione (art. 16,cost.). Il quadro è completato dalla presunzione di innocenza, affermata PAGE \* MERGEFORMAT151 nell’art. 27,II,cost., che voleva salvare la legittimità della custodia cautelare applicabile in pendenza del processo penale (art. 13,II, cost.). Infine, l’orientamento solidaristico trova la sua consacrazione negli artt. 2 e 3 della Costituzione. A tale orientamento si possono ricondurre tutte le norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono l’eguaglianza sostanziale: • Art. 24,III,cost. F 0 E 0 “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”; • Art. 24,III,cost. F 0 E 0 “La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”; • Art. 112 cost. F 0 E 0 “Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale”. Questo articolo nel porre come obbligatorio l’azione penale vuole garantire che l’iniziativa del processo prescinda dalle condizioni economiche svantaggiate dalla persona offesa dal reato. All’orientamento solidaristico fanno capo quegli obblighi che la legge processuale impone al testimone, al denunciante e al cittadino chiamato a svolgere le funzioni di giudice popolare; sotto quest’ultimo profilo, l’art. 102,III, cost. dispone che “la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della Giustizia”. Oggi si ritiene che siano costituzionalizzati alcuni tra i principi fondamentali del sistema accusatorio, quale il contradditorio nella formazione della prova; mentre non appare recepito nella Carta fondamentale il principio di oralità nella sua concezione più estrema. 2. Le riforme parziali al codice del 1930: Negli anni successivi all’entrata in funzione della Corte Costituzionale hanno preso corpo due iniziative differenti. Da un lato, si sono effettuate modifiche parziali al codice del 1930, che era orientato prevalentemente in senso inquisitorio. Dall’altro lato si è pensato ad un processo penale. Il primo orientamento è prevalso almeno fino al 1968. L’inizio dell’attività della corte costituzionale ha imposto al legislatore di adeguare ai principi costituzionali le norme che più direttamente si ispiravano alle scelte inquisitorie. Si reintrodussero in sostanza le garanzie già sperimentare nel codice liberale del 1913. E’ stata ripristinata la partecipazione del difensore nell’istruzione; è stata migliorata la disciplina delle notificazioni; è stata riproposta la categoria delle nullità insanabili; sono stati limitati i casi di obbligatorietà del mandato di cattura; è stato disciplinato il fermo di polizia giudiziaria e si è reintrodotto l’istituto della scarcerazione automatica per decorrenza dei termini. Le innovazioni più incisive derivano dalle sentenze della Corte costituzionale, le quali hanno dichiarato l’illegittimità delle norme poste dal codice del 1930 a cardine del sistema misto prevalentemente inquisitorio. L’effetto complessivo è quello di pervenire ad un sistema misto di tipo prevalentemente accusatorio. Le garanzie si manifestavano nella partecipazione della difesa a quasi tutti gli atti precedenti al dibattimento, ad eccezione delle deposizioni testimoniali. L’unico aspetto che non è stato toccato è stata la struttura mista del processo e di conseguenza il principio del cumulo delle funzioni processuali. Da un lato, il giudice istruttore procedeva d’ufficio alla ricerca delle prove; dall’altro lato, il P.M.. poteva condurre una sua istruzione, detta sommaria, in cui esercitava i poteri coercitivi e istruttori che spettavano al giudice. Infine, il giudice del dibattimento nella decisione definitiva poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori. 3. I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale: Il secondo orientamento, tendente ad operare una riforma della struttura del processo penale, cominciò a manifestarsi nel 1962. Il Ministro della Giustizia insediò una commissione per la riforma, presieduta da Francesco Carnelutti. Questa commissione non pervenne a conclusioni unanimi; Carnelutti nel 1963 presentò a titolo personale una “Bozza di uno schema del codice di procedura penale” accompagnata da una relazione. Si ipotizzava un sistema di tipo accusatorio puro, basato sull’oralità e sulla netta separazione tra le fasi processuali, tuttavia senza alcuna previsione né regolamentazione dell’esame incrociato. Era una riforma radicale che incontrò forti opposizioni. Nel 1963 il Governo presieduto da Giovanni Leone, ritenendo impossibile affidare al Parlamento l’elaborazione di una legge complessa, com’era un codice, formulò un disegno di legge-delega che prevedeva la riforma del codice di procedura penale. Questo disegno di legge fu presentato in parlamento, ma non fu posto in discussione. Soltanto nel 1966 la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati iniziò ad esaminare un disegno di legge delega, proposto dal Ministro Oronzo Reale. Nella V legislatura fu presentato un nuovo disegno di legge che fu ampiamente discusso; nella VI legislatura il Parlamento approvò in via definitiva un ulteriore disegno di legge. La relativa legge delega fu PAGE \* MERGEFORMAT151 • un primo fascicolo per il dibattimento F 0 E 0 contiene i verbali degli atti assunti in contraddittorio ed i verbali degli atti non ripetibili assunti dal P.M.. e dalla polizia giudiziaria. Questi verbali sono conosciuti dal giudice e possono essere letti in dibattimento ed utilizzati ai fini della decisione; • un secondo fascicolo, denominato del P.M. F 0 E 0 ha un contenuto residuale, in quanto in esso sono contenuti i verbali degli atti assunti dal P.M., dalla polizia giudiziaria e dal difensore. Il fascicolo è conosciuto soltanto dalle parti e non dal giudice e gli atti in esso contenuti non sono utilizzabili per la decisione dibattimentale. In casi eccezionali, i verbali sono utilizzati come prova del fatto rappresentato. C. Il dibattimento: Nel dibattimento il principio del contraddittorio è attuato attraverso l’istituto dell’esame incrociato , in cui le domande sono poste direttamente dal P.M. e dal difensore; il presidente del collegio giudicate ha il potere di ammettere o meno le domande. Il presidente può intervenire per assicurare la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni; può rivolgere direttamente domande e perfino indicare temi di prova nuovi o più ampi che siano utili alla completezza dell’esame. Quando è terminata l’assunzione delle prove richieste dalle parti, il giudice può ordinare anche d’ufficio che siano assunti nuovi mezzi di prova. D. I principi semplificati: Il principio della semplificazione del procedimento F 0 E 0 lo svolgimento ordinario del processo penale impone ampie garanzie e richiede tempi lunghi, specialmente dalla fase dibattimentale. Gli ordinamenti, che adottano un sistema processuale accusatorio, prevedono anche meccanismi di semplificazione che riservano la procedura più garantita soltanto ai casi veramente controversi o ai reati gravi. Il nuovo codice prevede sei riti semplificati: 1. patteggiamento F 0 E 0L’imputato si può accordare con il P.M. sulla specie e sulla misura di pena da applicare (c.d. patteggiamento).L’accordo tiene conto della possibilità, prevista dalla legge, di ridurre la pena fino ad un terzo. Con la L. 134/2003 il massimo di pena patteggiabile è stata estesa (dai precedenti 2) a 5 anni, mentre non vi è alcun limite per la pena pecuniaria. Il giudice ha il potere di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena; 2. giudizio abbreviato F 0 E 0 L’imputato può chiedere che il processo sia definito nell’udienza preliminare sulla base degli atti raccolti nel fascicolo delle indagini (giudizio abbreviato). Nell’udienza preliminare il giudice può pronunciare una sentenza di proscioglimento o di condanna. In quest’ultimo caso vi è un incentivo per l’imputato: la pena è ridotta di un terzo; 3. giudizio immediato F 0 E 0 Se la prova è evidente e l’imputato è stato invitato a rendere interrogatorio, il P.M. può chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio senza udienza preliminare (giudizio immediato). Il giudice, se respinge la richiesta, restituisce gli atti al P.M. Se la accoglie, dispone il giudizio immediato. Entro 15 giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Se l’imputato non presenta richiesta, ha luogo il dibattimento; 4. giudizio immediato F 0 E 0 Dopo che il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio, l’imputato può chiedere al giudice di essere rinviato al dibattimento senza udienza preliminare (giudizio immediato). In questo caso il giudice è obbligato a pronunciare il decreto che dispone il giudizio; 5. giudizio direttissimo F 0 E 0 Quando una persona è arrestata in flagranza o quando l’indagato ha confessato nel corso dell’ interrogatorio, il P.M. può condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento (giudizio direttissimo); 6. procedimento per decreto F 0 E 0 Per reati meno gravi il P.M. può presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria (procedimento per decreto). Il P.M. chiede l’applicazione di una pena diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale. Il giudice può accogliere la richiesta o respingerla, restituendo gli atti alla pubblica accusa. L’imputato, al quale è notificato il decreto penale di condanna a pena pecuniaria, può proporre opposizione chiedendo lo svolgimento del dibattimento o, in alternativa, il patteggiamento o il giudizio abbreviato. 5. Le modifiche successive al 1989: PAGE \* MERGEFORMAT151 Con il nuovo codice di procedura penale, promulgato il 24 ottobre 1988, si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. Il legislatore ha voluto configurare questo passaggio non per gradi, ma in modo netto. Ciò ha comportato vari problemi di assestamento: • Dal punto di visto teorico F 0 E 0 il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi ad affermare il principio di oralità-immediatezza, cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento. In definitiva, si è accolta una visione distorta del sistema accusatorio, che è basato sulla separazione delle funzioni processuali e sulla presenza di controlli anche nelle fasi anteriori al dibattimento; • Dal punto di vista “operativo” F 0 E 0 il legislatore ha voluto che la mancata predisposizione di strutture idonee non ritardasse l’entrata in vigore del codice. Di conseguenza, fin dall’inizio la carenza di personale, di uffici e mezzi ha condizionato negativamente l’avvio della riforma; • Dal punto di vista psicologico F 0 E 0 si sono manifestati problemi di adattamento degli operatori ad una logica processuale che è completamente diversa da quella accolta dal precedente codice e che è basata sul principio dialettico. Ne sono derivate forti reazioni nei confronti dei nuovi principi. L’art. 7, della L. 81/1987 aveva conferito al Governo l’ulteriore delega ad emanare, entro 3 anni dall’entrata in vigore del codice, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei criteri direttivi fissati e su conforme parere di una commissione parlamentare. Tuttavia il Governo ha utilizzato tale strumento in modo eccessivamente cauto, nonostante da più parti e della stessa Commissione ministeriale si fosse segnalata la necessità di introdurre sostanziose modifiche. Le esigenze pratiche venivano percepite dagli operatori, in particolare quelle che erano ricollegate ai processi per i delitti di criminalità mafiosa. La situazione è diventata esplosiva tra il 1991 ed il 1992, a causa del forte incremento dei delitti di mafia. La carenza di iniziativa del Governo e l’inerzia del Parlamento sono state superate dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni del codice, in quanto contrarie al principio di ragionevolezza. Le declaratorie di incostituzionalità e la situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei magistrati Livatino (1991), Falcone e Borsellino (1992) hanno indotto il Governo a modificare alcuni punti fondamentali della disciplina del processo penale. Il testo originario del codice limitava in modo eccessivo la possibilità di utilizzare ai fini della decisione i verbali delle dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento. Il legislatore ha ecceduto nel senso opposto, estendendone l’utilizzabilità, ledendo in tal modo il principio del contraddittorio, che costituisce il fulcro del sistema accusatorio. Un parziale ritorno alla tutela del contraddittorio si è avuto. In particolare la L. 332/1995 ha ripristinato alcuni aspetti della separazione delle funzioni prima del dibattimento: si tratta di uno dei settori in cui il codice del 1988 è stato più carente. La legge, da un lato, ha aumentato i poteri di controllo spettanti al giudice per le indagini preliminari sugli atti che devono essere valutati al fine di applicare le più gravi misure cautelari; dall’altro lato, ha riconosciuto espressamente la legittimità delle indagini svolte dal difensore (dell’indagato o dell’offeso), sancendo che la relativa documentazione potesse essere presentata al giudice per le indagini preliminari. Mentre la L. 267/1997 occupandosi dell’ipotesi in cui un imputato nel corso delle indagini renda dichiarazioni contro un altro imputato, ha limitato l’utilizzabilità di tali dichiarazioni ai fini della decisione sulla reità dell’imputato accusato. In base a questa disciplina, quando in dibattimento l’accusatore si avvaleva della facoltà di non rispondere invocando il diritto al silenzio, che gli spettava in quanto imputato, le precedenti dichiarazioni non erano utilizzabili contro l’accusato. Queste dichiarazioni erano utilizzabili in dibattimento soltanto: • Se raccolte fin dall’origine nel rispetto del contradditorio (incidente probatorio); • Se l’accusatore si presentava in dibattimento e rispondeva nel corso dell’esame incrociato permettendo all’accusato di contro esaminarlo; • Se diventano non ripetibili per cause sopravvenute non prevedibili al momento in cui le stesse erano state rese. Ma la Corte Costituzionale ha ridimensionato il contraddittorio introdotto con la L. 267/1997 e con la sentenza 361/1998 ha assimilato la situazione dell’imputato accusatore, chiamato a deporre su di un “fatto altrui”, a quella del testimone, rendendo quindi applicabili a tale ipotesi le norme che permettevano di utilizzare le precedenti dichiarazioni del testimone che fosse rimasto in silenzio. Ma in realtà la somiglianza con il testimone era solo formale, in quanto il silenzio del testimone configura un’ipotesi delittuosa, mentre il PAGE \* MERGEFORMAT151 silenzio di un soggetto imputato (in questa ipotesi l’imputato accusatore) costituisce l’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge. 6. La costituzionalizzazione dei principi del “giusto processo” F 0 E 0 A. Considerazioni preliminari: Secondo l’interpretazione prospettata dalla Corte costituzionale doveva essere assicurato il contradditorio nella formazione della prova. La sentenza 361/1998 ha suscitato la reazione del Parlamento, che ha addebitato alla Corte di aver legiferato in una materia riservata alla competenza del potere legislativo. Il Parlamento ha preso nuovamente in esame quella parte del progetto della Commissione bicamerale che aveva cercato di rendere effettive le norme della CEDU. Poiché la giurisprudenza si rifiutava di riconoscere valore costituzionale a queste norme, la Commissione Bicamerale aveva proposto di inserire direttamente nella Carta fondamentale il nucleo centrale delle garanzie, cioè i principi del giusto processo. Il 10 novembre 1999 è stata definitivamente approvata la legge di revisione costituzionale dell’art. 111 con una maggioranza superiore ai 2/3. Il nuovo testo dell’art. 111 mostra la sua vera natura di interpretazione autentica della Costituzione. B. I principi attinenti ad ogni processo: A norma dell’art. 111,cost: 1. “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. 2. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. 3. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. 4. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. 5. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. 6. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. 7. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. 8. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. 9. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.” Il legislatore costituzionale ha introdotto nell’art. 111,cost. 5 nuovi commi che consacrano i principi cardine ai quali deve informarsi ogni processo ed in particolare quello penale. Si tratta di principi che sono sintetizzati nell’espressione giusto processo e che consistono nella riserva di legge in materia processuale, nell’imparzialità del giudice, nella parità delle parti e nella ragionevole durata dei processi. Per quanto riguarda la riserva di legge F 0 E 0 “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Questo è il I comma. Qui la disposizione prevede una riserva di legge: soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo; questo compito non può essere svolto da organi amministrativi o giurisdizionali. Per quanto riguarda il “giusto processo” F 0 E 0 Il termine giusto processo si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all’art. 2,cost., si impegna a riconoscere. PAGE \* MERGEFORMAT151 Il processo penale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale, nel senso che è un veicolo necessario per applicare la legge penale. Quest’ultima indica i fatti che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. Il processo penale si propone il fine di accertare i fatti storici che costituiscono il reato, di identificarne gli autori e di conoscere la personalità di quest’ultimi. B. L’azione penale: Per quanto riguarda il procedimento penale F 0 E 0 con l’espressione “procedimento penale” si indica una serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione penale, ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo ed è esso stesso realizzato in adempimento di un dovere posto dal suo antecedente. Nel concetto di procedimento penale sono ricompresi almeno 3 elementi fondamentali: 1. In primo luogo la legge prevede una serie cronologicamente ordinata di atti, nel senso che gli atti stessi devono essere compiuti rispettando una determinata sequenza temporale; 2. In secondo luogo, tutti gli atti del procedimento hanno la finalità di accertare l’esistenza di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona; 3. In terzo luogo, il compimento di un atto del procedimento fa sorgere in un altro soggetto il dovere di compiere un atto successivo, fino alla decisione definitiva. Quest’ultima potrà essere una sentenza di condanna o di proscioglimento, se viene percorsa l’estensione massima del procedimento; o, sarà un decreto d’archiviazione, se il procedimento si arresta prima che venga formulata un’imputazione. Il procedimento penale ordinario è diviso in 3 fasi F 0 E 0 indagini preliminari; udienza preliminare; giudizio. Per quanto riguarda il processo penale F 0 E 0 L’espressione processo penale indica una porzione del procedimento penale. Fanno parte del processo le fasi dell’udienza preliminare e del giudizio. Il momento iniziale del processo corrisponde all’esercizio dell’azione penale; il momento finale si ha quando la sentenza diventa irrevocabile, cioè non più impugnabile perché nessuna parte ha presentato ricorso nei termini o perché tutte le impugnazioni ordinarie sono state esperite. Con l’espressione “in ogni stato e grado del procedimento” si intende escludere un periodo puramente procedimentale, cioè la fase delle indagini preliminari. Con l’espressione “in ogni stato e grado del procedimento” s’intende ricomprendere sia le indagini sia il processo. Con il termine grado si vuole indicare se il giudice prende cognizione dell’oggetto, su quale deve decidere, in primo esame o in appello, o, infine, in sede di ricorso per cassazione. Con il termine stato invece si vuole indicare una fase del procedimento; nel procedimento ordinario si susseguono nell’ordine le fasi delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare e del giudizio. Per quanto riguarda l’azione penale F 0 E 0 La nozione di azione penale è correlata a quella di processo penale. Con l’espressione processo penale si fa riferimento a quella serie cronologicamente ordinata e necessitata di atti che ha come atto iniziale l’azione penale. Per quanto invece riguarda l’espressione azione penale, con essa si indica la richiesta, diretta al giudice, di decidere sull’imputazione. Il codice precisa con quali atti si esercita l’azione penale. A norma dell’art. 405,I, cod. proc. pen., nel procedimento ordinario il P.M. esercita l’azione penale quando chiede il rinvio a giudizio dell’imputato. La richiesta è rivolta al giudice e contiene la formulazione dell’imputazione. Nei procedimenti speciali, che eliminano l’udienza preliminare, l’azione penale è esercitata quando il P.M. formula l’imputazione nell’atto che istaura il singolo procedimento. Per quanto riguarda l’imputazione F 0 E 0 essa consiste nell’addebito della responsabilità di un fatto storico di reato; nel procedimento ordinario l’imputazione è formulata dal P.M. al termine delle indagini preliminari. Gli elementi dell’imputazione sono: • l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto storico di reato addebitato all’imputato; • l’indicazione degli articoli di legge che si ritiene siano stati violati; • le generalità della persona alla quale è addebitato il reato. L’esercizio dell’azione penale determina due effetti: 1. pone al giudice l’obbligo di decidere su di un determinato fatto storico; 2. fissa in modo immutabile l’oggetto del processo, cioè impone al giudice il divieto di decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell’imputazione. Pertanto, nel processo ordinario, l’azione penale è esercitata quando il giudice è chiamato a decidere nell’udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio. Mentre nei procedimenti speciali che omettono l’udienza preliminare, l’azione penale è esercitata con quell’atto introduttivo del singolo procedimento, con il PAGE \* MERGEFORMAT151 quale è precisata l’imputazione. La contestazione operata dal P.M. ha la funzione di mettere in grado l’indagato di esercitare il diritto di difesa. C. I soggetti e le parti: Il primo libro del codice fa rientrare tra i soggetti de procedimento penale: 1. il giudice; 2. il P.M.; 3. la polizia giudiziaria; 4. l’imputato; 5. la parte civile; 6. il responsabile civile; 7. il civilmente obbligato per la pena pecuniaria; 8. la persona offesa; 9. il difensore. Per quanto riguarda i soggetti F 0 E 0Si ritiene che possano esser definiti “soggetti” coloro che sono titolari di poteri di iniziativa nel procedimento. I soggetti vengono definiti in relazione alla nozione di procedimento penale, cioè in relazione anche alla fase delle indagini preliminari, quando ancora non è stata esercitata l’azione penale. Per quanto riguarda le parti F 0 E 0 il concetto di parte invece è correlato a quello di “azione”: ne consegue che sono parti il soggetto attivo e quello passivo dell’azione penale che consiste nella formulazione dell’imputazione unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio o al compimento di un altro atto che istaura un procedimento speciale. Pertanto si può definire parte colui che ha chiesto al giudice una decisione in relazione all’imputazione e colui contro il quale questa decisione è chiesta. Con riferimento all’esercizio dell’azione penale, sono parti necessarie il P.M. e l’imputato. Per quanto riguarda l’azione civile di danno F 0 E 0 ntro il processo penale il danneggiato dal reato può esercitare l’azione civile che tende ad ottenere la condanna dell’imputato al risarcimento del danno che deriva dal reato. Il danneggiato esercita l’azione civile costituendosi parte civile in un momento successivo a quello in cui il P.M. ha esercitato l’azione penale. L’esercizio dell’azione civile in sede penale è “eventuale” , in quanto risulta subordinato ad una scelta facoltativa del danneggiato. In questo senso la parte civile è una parte poiché chiede al giudice una decisione in relazione all’imputazione; ed è una parte eventuale perché la sua esistenza deriva da una scelta facoltativa del danneggiato. A sua volta, la parte civile può chiedere il risarcimento dei danni, oltre che contro l’imputato, anche contro il responsabile civile. Costui è il soggetto responsabile civilmente per il fatto dell’imputato. Qualora il responsabile civile sia citato o intervenga nel processo penale, costui diventa parte. Anche in questo caso si tratta di una parte eventuale. 2. Il giudice F 0 E 0 A. Giudici ordinari e speciali: Il termine “giurisdizione” può avere un duplice significato; può riferirsi alla funzione o all’organo che la svolge. Nel primo senso può essere definita “giurisdizione” quella funzione dello Stato che consiste nell’applicare la legge al caso concreto con forza cogente da parte di un giudice terzo. Nel secondo senso “giurisdizione” è quel potere dello Stato che è impersonato da organi che hanno la caratteristica dell’indipendenza e dell’imparzialità. La giurisdizione non è impersonata da un organo unitario, ma è diffusa, cioè frazionata, in più organi ciascuno dei quali ha una competenza limitata. Per quanto riguarda la competenza F 0 E 0Si può definire competenza quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. Essa è individuata per approssimazioni successive che tengono conto della materia (titolo del reato), del territorio (luogo in cui è stato compiuto il reato), della funzione che deve essere svolta in una determinata fase o grado del procedimento e della eventuale connessione con altri procedimenti. La prima distinzione è quella tra giudici ordinari e giudici speciali: • Sono organi giudiziari “ordinari” quelli che hanno una competenza generale a giudicare tutte le persone e che, inoltre, sono composti da magistrati ordinari; i magistrati ordinari sono magistrati che PAGE \* MERGEFORMAT151 fanno parte dell’ordinamento giudiziario ed ai quali la Costituzione garantisce l’indipendenza, l’autonomia (104,cost.) e l’inamovibilità (107,cost.); • Sono organi giudiziari speciali quelli che sono competenti a giudicare solo alcune persone e che inoltre sono composti da magistrati speciali, cioè non appartenenti all’ordinamento giudiziario. Le garanzie d’indipendenza dei giudici speciali non sono previste direttamente dalla Costituzione, che rinvia la regolamentazione della materia alla legge ordinaria (art. 108,II,cost.). Per quanto riguarda i giudici penali ordinari F 0 E 0 Sono giudici penali ordinari di primo grado: 1. il tribunale in composizione collegiale (3 magistrati di carriera, c.d. togati) o in composizione monocratica (1 magistrato togato); 2. la Corte d’Assise (2 magistrati togati e 6 giudici popolari); 3. il giudice di pace (1 magistrato non togato); 4. il tribunale per i minorenni (2 magistrati togati e 2 esperti). Si tratta di un giudice ordinario specializzato con competenza sui reati commessi dai minori degli anni 18. Sono giudici penali ordinari d’appello: 1. la Corte d’Appello (3 magistrati togati); 2. la Corte d’Assise d’Appello (2 magistrati togati e 6 giudici popolari); 3. la sezione della Corte d’Appello per i minorenni (3 magistrati togati e 2 esperti). Vi è poi la Corte di cassazione, che ha sede a Roma ed è unica per tutto il territorio nazionale; davanti ad essa possono essere impugnate tutte le sentenza per motivi di legittimità. Essa può controllare se vi è stata inosservanza della legge e se il giudice inferiore ha motivato in modo corretto. Non può condurre un esame di merito, quindi ad es. non può valutare l’attendibilità delle dichiarazioni di un teste. Per quanto riguarda i giudici penali speciali F 0 E 0 Sono giudici penali speciali: 1. i giudici militari. I tribunali militari in tempo di pace sono competenti soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. Sono reati militari quelli previsti esclusivamente dalla legge militare e quelli previsti dalla legge comune, ma richiamati dal codice penale militare, in quanto tutelano l’ordinamento giuridico delle forze armate. La L. 180/1981 ha esteso ai magistrati militari alcune delle garanzie d’indipendenza previste per i magistrati ordinari. In grado d’Appello sulle decisioni dei tribunali militari è competente la Corte d’Appello militare. Per il giudizio di legittimità è competente un giudice ordinario, cioè la Corte di Cassazione; 2. la Corte Costituzionale. Essa è competente a giudicare i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal presidente della Repubblica. In questo caso, la composizione ordinaria della Corte, di 15 giudici, è integrata con altri 16 (c.d. giudici aggregati) estratti a sorte da un elenco formato dal Parlamento ogni 9 anni. Per quanto riguarda la giurisdizione F 0 E 0 Il termine giurisdizione può essere utilizzato anche con ulteriore significato. Questo termine, infatti, può indicare l’insieme delle regole che permettono di distinguere i procedimenti di competenza della magistratura ordinaria dai procedimenti di competenza della magistratura speciale. Per quanto riguarda autorità giudiziaria e magistrato F 0 E 0 Quando la costituzione o la legge ordinaria utilizzano l’espressione autorità giudiziaria si riferiscono sia al giudice che al P.M. come organi. Allo stesso modo, a livello di persone fisiche, il termine magistrato è utilizzato per indicare il magistrato giudicante o quello requirente o entrambi. B. Giurisdizione e “giusto processo”: La costituzione, all’art. 104,I, utilizza il termine “ordine” e non “potere” giudiziario riferendolo alla magistratura, della quale è garantita l’indipendenza. L’attività della magistratura ha una prevalente funzione garantista. La Costituzione, quando afferma che la magistratura è autonoma e indipendente “da ogni altro potere”, riconosce implicitamente che la stessa è un potere dello Stato. Le caratteristiche dell’indipendenza e dell’imparzialità distinguono il potere giudiziario da altri poteri dello Stato. Il potere legislativo ha, come PAGE \* MERGEFORMAT151 • la minaccia semplice; • i furti lievi; • il danneggiamento semplice. Per i reati procedibili d’ufficio attribuiti al giudice di pace, possiamo ricordare alcune fattispecie contravvenzionali previste dal codice penale: • la somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente; • la determinazione in altri dello stato di ubriachezza; • gli atti contrari alla pubblica decenza; • l’inosservanza dell’obbligo d’istruzione elementare dei minorenni. Il Tribunale F 0 E 0 è competente a giudicare i reati che non appartengono alla competenza della Corte d’Assise o del Giudice di pace. Oltre a questa competenza “residuale”, il Tribunale ha una competenza qualitativa a giudicare reati che sono previsti in modo specifico da singole norme di legge e che presuppongono una conoscenza in materie tecniche o di una qualche complessità. Il Tribunale in composizione collegiale F 0 E 0 è formato da 3 giudici. Conosce i reati puniti, anche nelle ipotesi di tentativo, con una pena detentiva superiore nel massimo a 10 anni, ma inferiore a 24 anni, purché non si tratti di reati di competenza della Corte d’Assise (criterio quantitativo). Inoltre conosce una serie di fattispecie indicate nominativamente nell’art. 33-bis,I,(criterio qualitativo). In applicazione di questi criteri, appartengono alla cognizione del tribunale collegiale quasi tutti i reati riconducibili all’associazione per delinquere, lo scambio elettorale politico mafioso, i delitti riguardanti le armi, i reati in materia di aborto e l’usura. Il Tribunale in composizione monocratica F 0 E 0 è composto da 1 solo giudice. Esso conosce dei delitti di produzione e traffico illecito di sostanza stupefacenti e dei reati puniti con pena detentiva fino a 10 anni nel massimo, purché non siano di competenza del Giudice di pace. Per quanto riguarda la perdita della garanzia della collegialità F 0 E 0 La L. 479/1999 ha aumentato la competenza del giudice singolo, dai precedenti 4, ai 10 anni di pena edittale nel massimo. Per quanto riguarda la competenza funzionale F 0 E 0 in dottrina si usa distinguere l’ulteriore competenza di competenza funzionale, che è la competenza a svolgere determinati procedimenti o particolari fasi o gradi del procedimento o a compiere determinati atti. La competenza a giudicare sull’appello, proposto contro le sentenze pronunciate in primo grado dalla Corte d’Assise e dal Tribunale spetta rispettivamente alla Corte d’Assise di appello e alla Corte d’Appello. D. La competenza per territorio: Essa è determinata dal luogo nel quale il reato è stato commesso. Prendiamo l’art. 8 F 0 E 0 “-La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. - Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione. -Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. -Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto.” Per quanto riguarda le regole suppletive F 0 E 0prendiamo l’art.9: “-Se la competenza non può essere determinata a norma dell'art. 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. -Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. -Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del PAGE \* MERGEFORMAT151 luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art.335.” Inoltre singole leggi speciali prevedono criteri di determinazione della competenza per territorio diversi dal luogo nel quale è commesso il reato. Per quanto riguarda il procedimento nei confronti di un magistrato F 0 E 0Infine una importante deroga alle norme ordinarie sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui un magistrato (giudice o P.M.) assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato, quando in base alle regole ordinarie tali procedimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello nel quale il magistrato esercita le sue funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto; in questi casi la competenza è attribuita al giudice competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d’appello individuato dalla tabella A annessa alla L. 420/1998; tale regola vale anche in caso di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato. E. Competenza per connessione F 0 E 0 riunione e separazione dei procedimenti: Per quanto riguarda la connessione di procedimenti F 0 E 0 La connessione è un criterio attributivo della competenza del giudice. Vi è connessione di procedimenti di competenza del Tribunale e della Corte d’Assiste in 3 casi (art.12): 1. quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro oppure quando più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento (ad es. morta di una persona attribuita a chi lo ha ferito e al dottore che ha sbagliato nel curarla); 2. quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) o con più azioni od omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato); 3. quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri. Quando vi è connessione, un solo giudice è competente a giudicare tutti i reati connessi. Il giudice competente in caso di connessione viene individuato in base ai seguenti criteri F 0 E 0 Fra i giudici competenti per materia, la Corte d’Assise prevale sul Tribunale (art.15: “Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della corte di assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la Corte d’Assise”). Applicata questa regola, se più giudici sono egualmente competenti per materia ed hanno quindi una diversa competenza per territorio, prevale il giudice competente per il reati più grave. In caso di pari gravità, prevale il giudice competente per il reato commesso per primo (art. 16). Per quanto riguarda le deroghe alla connessione F 0 E 0 siste un’importante deroga alla connessione in presenza di procedimenti contro imputati minorenni. Questi devono sempre essere giudicati dal Tribunale per i minorenni, ossia da un giudice specializzato che deve tener presente il fine primario della rieducazione. Infine, vi sono regole particolari per la connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali e per la connessione di procedimenti appartenenti alla competenza del giudice di pace. Per quanto riguarda la riunione dei procedimenti F 0 E 0Quando i procedimenti sono connessi, di regola essi possono essere riuniti. Il processo riunito permette di ricostruire con maggiore chiarezza e completezza il quadro probatorio e i rapporti tra i vari fatti di reato. Perché si possa disporre la riunione sono necessari 4 requisiti (così come disposto dall’art.17): 1. che i procedimenti siano pendenti nella stessa fase e nello stesso grado; 2. che i procedimenti siano di competenza dello stesso giudice; 3. che i procedimenti siano connessi o vi sia comunque tra gli stessi una delle ipotesi di collegamento probatorio che sono previste dall’art. 371,II,lett. b); 4. che la riunione non determini un ritardo nella definizione dei procedimenti. Per quanto riguarda la separazione dei procedimenti F 0 E 0 Il codice pone il dovere di separare i procedimenti, che scatta in presenza di determinate ipotesi previste dall’art.18. Per quanto riguarda le ipotesi di separazione obbligatoria F 0 E 0 La separazione deve essere disposta dal giudice in 6 casi: PAGE \* MERGEFORMAT151 • quando nel corso dell'udienza preliminare è possibile decidere subito la posizione di un imputato; • quando per un imputato si debba sospendere il procedimento; • quando un imputato non è comparso in dibattimento ed occorra rinnovare la citazione nei suoi confronti; • quando uno o più difensori di imputati non sono comparsi in dibattimento per motivi legittimi; • quando per un imputato l’istruzione dibattimentale è già stata conclusa, mentre per altri deve continuare con tempi lunghi; • quando stiano per scadere i termini di custodia cautelare in relazione ad alcuni dei delitti elencati nell'art. 407,II, lett. a), (reati di criminalità organizzata e ipotesi assimilate), ed occorra definire con urgenza la fase o il grado per evitare la scarcerazione automatica. Fuori dei casi previsti, la separazione può essere altresì disposta, sull'accordo delle parti, qualora il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo. Per quanto riguarda il provvedimento del giudice F 0 E 0 La riunione e la separazione dei processi sono disposte con ordinanza del giudice anche d’ufficio, ma devono comunque essere sentite le parti. F. Il principio del giudice naturale: In base all’art. 25, I, Cost. “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Da questa norma deriva: • il principio della riserva assoluta di legge in materia di competenza, per cui la competenza del giudice può essere determinata soltanto dalla legge e non da fonti secondarie; • il contenuto che devono avere le disposizione di legge che sono destinate a regolare la competenza: le norme non devono conferire un potere di scelta discrezionale; • il divieto di applicazione retroattiva delle norme concernenti la competenza (infatti si parla di giudice “precostituito”). Il principio del giudice naturale impedisce che un organo possa sottrarre discrezionalmente un procedimento ad un determinato giudice. Ne risulta anche tutelata anche la garanzia d’indipendenza dell’organo giudicante. Mentre con il termine “giudice naturale” è quello che l’ordinamento considera il più idoneo ad accertare il fatto di reato nel rispetto della legge e dei diritti dell’imputato. Il legislatore assicura il giudice naturale attraverso le norme sulla competenza che ripartiscono i procedimenti tra gli organi giurisdizionali. G. I conflitti di giurisdizione e di competenza: I conflitti di giurisdizione ne intervengono tra un giudice ordinario ed uno speciale. I conflitti di competenza intervengono tra giudici ordinari. Si ha conflitto positivo quando due o più giudici contemporaneamente prendono cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Si ha conflitto negativo quando due o più giudici contemporaneamente rifiutano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona, ritenendo la propria incompetenza. Il conflitto può sorgere in ogni stato e grado del processo. Esso può essere denunciato dal P.M. presso uno dei giudici in conflitto o dalle parti private, ma può anche essere rilevato d’ufficio da uno dei giudici. L’ordinanza che rileva l’esistenza del conflitto è trasmessa alla Corte di Cassazione con la copia degli atti necessari alla decisione. La Corte di Cassazione decide in Camera di Consiglio con sentenza ed indica qual è il giudice competente a procedere. La decisione della Corte è vincolante, salvo che risultino nuovi fatti che determinino la competenza di un giudice superiore. N. L’imparzialità del giudice: Per quanto riguarda l’imparzialità ed il sistema processuale F 0 E 0La materia dell’imparzialità del giudice assume una differente configurazione in ragione del modello processuale accolto da un determinato ordinamento. PAGE \* MERGEFORMAT151 Il procedimento è giurisdizionale. Una volta accertata la situazione pregiudizievole, viene designato un altro magistrato in base alle norme sull’ordinamento giudiziario. Nel frattempo il giudice ricusato non deve sospendere la sua attività, ma non può pronunciare sentenza. Tuttavia, nel caso in cui concorrano sia una dichiarazione di ricusazione che di astensione, l’accoglimento di astensione fa considerare come non proposta la ricusazione. E’ comunque dovere del singolo magistrato, che creda di trovarsi in una situazione di dubbia imparzialità, che deve astenersi. La sua richiesta viene valutata dal capo dell’ufficio giurisdizionale al quale appartiene. In alternativa, spetta alle parti l’onere di presentare una dichiarazione di ricusazione, sulla quale deciderà un distinto organo giurisdizionale. Per quanto riguarda i motivi comuni all’astensione e alla ricusazione F 0 E 0 Sono numerosi i motivi comuni ai due istituti della ricusazione e astensione: • In primo luogo il giudice deve astenersi (art. 36) e può essere ricusato (art.37) se si trova in una delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 del codice di procedura penale o dalle leggi sull’ordinamento giudiziario. Nel caso in cui l’incompatibilità non abbia funzionato come criterio di organizzazione preventiva della giurisdizione, le situazioni di assenza di impregiudicatezza si trasformano si trasformano in motivi di astensione e ricusazione, in modo che il giudice possa essere comunque rimosso; • In secondo luogo integrano motivi comuni di ricusazione ed astensione tutte quelle situazioni in cui il giudice abbia legami con le parti o con l’oggetti del procedimento. Il giudice inoltre ha l’obbligo di astenersi e può essere ricusato: 1. se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli. Occorre precisare che l’interesse non deve essere teorico, ma deve essere un interesse tale che il giudice sia talmente coinvolto nella vicenda che questa potrebbe portargli un vantaggio economico o morale; 2. se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private o se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; 3. se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie; 4. se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; 5. se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; 6. se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di P.M. Q. La rimessione del processo: Quando è pregiudicata l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente a prescindere da situazioni che riguardino il singolo magistrato, il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale (con la medesima competenza per materia) situato presso quel capoluogo del distretto di Corte d’appello individuato in base all’11 (caso in cui un magistrato sia imputato, persona offesa o danneggiato). Lo spostamento è deciso dalla Corte di Cassazione se e in quanto quest’organo accerti l’esistenza di almeno uno dei requisiti della rimessione. La richiesta motivata di rimessione può esser presentata solo: • dall’imputato; • dal P.M. presso il giudice che procede; • e dal Procuratore generale presso la Corte d’appello. Per quanto riguarda i casi di rimessione F 0 E 0 Nei tre casi nei quali è prevista la rimessione devono essere presenti gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili. La situazione deve quindi essere: • grave F 0 E 0 cioè occorre che sia presente una obbiettiva situazione di fatto che lasci fondatamente presagire un esisto non imparziale e non sereno del giudizio; PAGE \* MERGEFORMAT151 • locale F 0 E 0 cioè non diffusa sull’intero territorio nazionale; • esterna rispetto al processo F 0 E 0cioè non deve consistere in un fenomeno connesso alla dialettica processuale; • non eliminabile con gli strumenti a disposizione del potere esecutivo. Quindi i 3 casi di rimessione sono: 1. Primo caso di rimessione F 0 E 0 si ha quando sono pregiudicate la sicurezza e l’incolumità pubblica; 2. Secondo caso di rimessione F 0 E 0 sussiste quando è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Ad es. quando giudici popolari e testimoni sono intimiditi da associazioni mafiose. Quindi occorrono fenomeni di vera e propria coartazione fisica o psichica di persone che possono anche essere diverse dal giudice; 3. Terzo caso di rimessione F 0 E 0 consiste in gravi situazioni locali che determinano motivi di legittimo sospetto. Quest’ipotesi fa riferimento ad una grave d oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolosi non imparzialità del giudice, inteso questo come l’intero ufficio giudicante della sede in cui si svolge il processo. La Corte di Cassazione, investita della richiesta presentata dall’imputato o dal P.M., verifica l’esistenza di una delle situazioni che impongono la rimessione. Se accoglie la richiesta, trasferisce il processo ad un altro giudice che ha la stessa competenza per materia e che ha sede nel capoluogo del distretto della Corte d’Appello individuato in base all’art.11. Per quanto riguarda la decisione sulla richiesta F 0 E 0 La cassazione decide in camera di consiglio ai sensi dell’art.127, dopo aver assunto le necessarie informazioni. L’ordinanza che accoglie la richiesta di rimessione è comunicata senza ritardo al giudice che procede e a quello designato. Il giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratta di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione. La normativa cerca di assicurare un bilanciamento tra il principio di imparzialità del giudice e il principio del giudice naturale. Tra questi due prevale il principio dell’imparzialità. 3. Il pubblico ministero F 0 E 0 A. Le funzioni: Il P.M. è quel complesso di uffici pubblici che rappresentano nel procedimento penale l’interesse generale dello Stato alla repressione dei reati. Il P.M. non è un organo unitario, ma è frazionato in tanti uffici, ciascuno dei quali svolge le sue funzioni, di regola, soltanto davanti all’organo giudiziario presso cui è costituito. Per quanto riguarda gli uffici del P.M. davanti al giudice ordinario F 0 E 0 Le funzioni del P.M. nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato “Procura della Repubblica presso il Tribunale”. Quest’ufficio svolge anche le funzioni di P.M. per i reati di competenza della Corte d’Assise e del giudice di pace. Presso il Tribunale per i minorenni vi è un apposito ufficio di Procura della Repubblica. Mentre per i giudizi d’appello vi è una procura generale presso la Corte d’Appello. Presso la Corte di Cassazione vi è un ufficio di procura generale. Per quanto riguarda gli uffici del P.M. davanti al giudice speciale F 0 E 0 Presso il giudice speciale militare vi sono la procura militare presso il tribunale e la procura generale militare presso la Corte d’Appello. Presso la Corte di Cassazione vi è un apposito ufficio denominato “procura generale militare”. Per i delitti commessi dal Presidente della Repubblica (90 Cost.) le funzioni di P.M. sono svolte da uno o più commissari eletti dal Parlamento in seduta comune dopo che quest’ultimo ha deliberato l’atto d’accusa. Per quanto riguarda le funzioni del P.M F 0 E 0 Le funzioni svolte dal P.M. sono indicate nell’ordinamento giudiziario. In particolare il P.M.: • “veglia all’osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci” (art.73, ord. giud.); • “promuove la repressione dei reati” (art.73,ord. giud.), cioè svolge le indagini necessarie per valutare se deve chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione; PAGE \* MERGEFORMAT151 • “esercita l’azione penale” in ogni caso in cui non debba richiedere l’archiviazione, cioè quando dalla indagini sono emersi elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio; • “fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge” (art.73,ord.giud.). Il P.M. svolge nel procedimento penale la funzione di parte pubblica. Egli rappresenta l’interesse generale dello Stato-comunità, cioè l’interesse della società che è stata lesa dal reato. Distinta è la situazione soggettiva dello Stato-persona, che è rappresentato dall’Avvocatura dello Stato. Infatti, qualora il reato abbia cagionato un danno ad un bene dello Stato, il ministro competente può decidere di chiedere il risarcimento nel processo penale. In questo caso il ministro, che si costituisce parte civile, è rappresentato dall’Avvocatura dello Stato. Per quanto riguarda lo status del P.M. F 0 E 0 Il magistrato che fa parte dell’ufficio del P.M. ha una piena indipendenza di status (art.105 Cost.). In quanto magistrato, è inamovibile nel grado e nella sede (art.107 Cost.). E’ nominato a seguito di pubblico concorso (art. 106,I,Cost. ). I provvedimenti disciplinari e le promozioni che lo riguardano sono deliberati dal C.S.M. (art. 105 Cost. ). Per quanto riguarda le funzioni, la costituzione impone al P.M. l’obbligo di esercitare l’azione penale. Da ciò si fa comunemente derivare la soggezione del P.M. alla legge. La principale differenza rispetto al giudice sta nel fatto che, in base all’art. 107,IV, cost., “ il P.M. gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. La gerarchia, comunque, è assente all’interno degli uffici del giudice. B. I rapporti con il potere politico: Occorre fare una prima distinzione tra sistemi totalitari e garantisti: • I sistemi totalitari F 0 E 0 non accettano la separazione dei poteri dello Stato se non a fini puramente burocratici. In questi il P.M. è diretta espressione del potere politico, che può essere impersonato dal re, dal direttore, dal partito unico, dal potere esecutivo, legislativo o giudiziario che esercitano una dittatura sul Paese; • I sistemi garantisti F 0 E 0 sono fondati sull’opposto principio della separazione dei poteri dello Stato, nel senso che vi è un controllo reciproco fra gli stessi. Il P.M. può essere configurato in 3 modi diversi: 1. Il P.M. come rappresentante della società F 0 E 0 questa soluzione deriva dal periodo iniziale della Rivoluzione francese, che ha introdotto la figura dell’accusatore pubblico elettivo. Esso era eletto con modalità simili a quelle dei parlamentari; 2. Il P.M. come rappresentante del potere esecutivo F 0 E 0 questa soluzione è stata accolta in Francia ai tempi del Consolato e dell’Impero. Più che magistrato, il P.M. sembra essere una sorta di funzionario che dipende direttamente dal potere esecutivo; 3. Il P.M. come rappresentante della legge F 0 E 0 questa soluzione tende a svincolare il P.M. dal controllo operato dal potere esecutivo o legislativo. Il P.M. è vincolato alla legge, cioè al prodotto del potere legislativo. Nel nostro sistema il P.M. è configurato come un magistrato con garanzie d’indipendenza simili a quelle dei giudici. C. I rapporti all’interno dell’ufficio: I rapporti d’indipendenza gerarchica, che esistono all’interno dell’ufficio del P.M., assumono una configurazione particolare perché devono contemperare due esigenze contrapposte: 1. È un esigenza imposta dalla costituzione e consiste nel garantire la posizione d’indipendenza del singolo magistrato del P.M, che ha l’obbligo di far osservare la legge; 2. È l’esigenza che tende ad assicurare la buona organizzazione dell’ufficio della pubblica accusa, ma ha oneri di iniziativa e d’impulso del procedimento penale. Per quanto riguarda l’evoluzione legislativa F 0 E 0 la materia dei rapporti di dipendenza gerarchica ha cambiato la configurazione che aveva nel 1988 a seguito della legge delega 150/2005 sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, alla quale è seguito il d.lgs. 106/2006 e la legge 269/2006 che hanno PAGE \* MERGEFORMAT151 3. se vi era già in precedenza una inimicizia grave tra il magistrato e una delle parti private; 4. se un prossimo congiunto del magistrato è offeso o danneggiato o parte privata. Il codice in questi casi impone al procuratore capo un obbligo di sostituzione che presuppone che sia stato violato, dal magistrato addetto all’ufficio, il dovere di astenersi. Si vuole che il P.M. non abbia nel procedimento un interesse privato che possa influenzare l’obbligo di perseguire l’interesse pubblico alla repressione dei reati. Inoltre, se il capo dell’ufficio omette di provvedere alla sostituzione, il procuratore generale presso la Corte d’Appello designa per l’udienza un magistrato appartenente al suo ufficio. Si tratta di un caso di avocazione obbligatoria. Per quanto riguarda il dovere di lealtà processuale F 0 E 0 Il P.M. è un magistrato indipendente che svolge la funzione di una parte pubblica. • Nella sua qualità di magistrato indipendente egli si distingue dal giudice per il fatto di essere collocato in un ufficio che dipende da un capo; • Per la sua qualità di parte pubblica egli si distingue dalle parti private che perseguono un loro personale interesse. L’interesse pubblico impone al P.M. l’obbligo di lealtà processuale, in cui la parte privata ricerca soltanto le prove a sé favorevoli e non ha l’obbligo di far conoscere alle altre parti le prove che giovano a queste. Il P.M. invece deve svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. Tutti i risultati delle indagini devono essere depositati dal P.M. nei tempi previsti e comunque contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini. Quindi, sul P.M. incombe un obbligo di lealtà processuale al quale non sono tenute le altre parti private. Questo è l’aspetto che connota la funzione di parte pubblica che è svolta dal P.M. F. Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia: Dopo l’entrata in vigore del codice di procedura penale (24 ottobre 1989) è apparso evidente che la struttura degli uffici del P.M. provocava difficoltà agli inquirenti che conducevano indagini sui delitti di criminalità organizzata mafiosa. Infatti il codice auspicava che vi fosse un coordinamento tra gli uffici del P.M. impegnati in indagini collegate (art. 371), ma tale coordinamento non era reso controllabile e coercibile e la mancanza di coordinamento impediva di impostare le investigazioni in modo efficace. Per quanto riguarda il collegamento tra le indagini F 0 E 0 L’art. 371,II, elenca i casi in cui le indagini si considerano collegate. Si tratta delle ipotesi in cui: • i procedimenti sono connessi a norma dell’art.12 e non sono stati riuniti; • se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, o se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza; • se la prova di più reati deriva anche in parte dalla fonte stessa. In presenza di queste situazioni, il codice pone ai diversi uffici del P.M., al fine di ottenere speditezza, economia e efficacia delle indagini. Ciò vuol dire che gli uffici devono scambiarsi gli atti e le informazioni e devono comunicarsi reciprocamente le direttive impartite alla polizia giudiziaria. Solo con la L. 356/1991 e 8/1992 il legislatore ha sanzionato la violazione dell’obbligo di coordinamento mediante l’istituto dell’avocazione previsto: • nell’articolo 371-bis,III,lett. h); • nell’articolo 372,I-bis; La soluzione, proposta da Giovanni Falcone, è stata quella di istituire le procure distrettuali e di porle sotto il controllo e lo stimolo del procuratore nazionale antimafia (legge 8/1992). Per quanto riguarda la procura distrettuale antimafia F 0 E 0 La procura distrettuale è l’ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente; a tale ufficio sono attribuite le funzioni del P.M.. in primo grado in relazione: • ai delitti di criminalità organizzata mafiosa ed assimilati (art. 51, III-bis); PAGE \* MERGEFORMAT151 • ai delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo (art.51, III-quater); • ai delitti consumati o tentati in materia di pedopornografia, di reati informatici, di intercettazione abusiva (art.51,III-quinquies introdotto dalla L.48/2008) All’interno della procura distrettuale è costituita una direzione distrettuale antimafia (D.D.A.) che è un gruppo (pool) di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti riguardanti la criminalità organizzata mafiosa; questi magistrati hanno l’obbligo di ordinarsi in modo stretto sia tra di loro, sia con il procuratore capo; inoltre possono essere applicati temporaneamente presso altre procure distrettuali. La nuova organizzazione fa si che le indagini sulla criminalità mafiosa siano attribuite alle 26 procure distrettuali e non alle oltre 160 procure della Repubblica presso i tribunali. Per quanto riguarda la procura nazionale antimafia F 0 E 0 è un ufficio con sede in Roma; capo dell’ufficio è il procuratore nazionale antimafia, sottoposto alla sorveglianza del procuratore generale presso la corte di cassazione. Il procuratore nazionale è nominato dal CSM in seguito ad un accordo con il ministro della Giustizia. La direzione nazionale è composta da 20 magistrati del P.M. nominati dal CSM, sentito il procuratore nazionale. Il procuratore nazionale antimafia ha poteri di coordinamento, cioè ha compiti di controllo che gli permettono di verificare se sia effettivo il coordinamento tra i singoli uffici del P.M. che stanno compiendo indagini per i delitti di criminalità organizzata ed assimilati, poteri di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali e poteri di controllo sull’attività degli organi centralizzati di polizia giudiziaria. Il procuratore nazionale non può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali, né compiere direttamente indagini, ma può avocare le indagini condotte da quella procura distrettuale che abbia dimostrato una grave inerzia o che non abbia voluto coordinarsi con gli altri uffici. 4. La polizia giudiziaria F 0 E 0 A. Polizia giudiziaria e di sicurezza: Lo Stato tutela l’ordine e la legalità servendosi di 5 corpi di polizia: 1. Polizia di Stato; 2. L’Arma dei Carabinieri; 3. La Guardia di Finanza; 4. Il Corpo di polizia penitenziaria; 5. Il Corpo forestale dello Stato. Questi corpi svolgono, in presenza di determinati presupposti, funzioni che sono definite di polizia giudiziaria e di polizia di sicurezza. E’ questa distinzione che è importante ai fini del processo penale. Per quanto riguarda la polizia amministrativa e di sicurezza F 0 E 0 La polizia amministrativa si occupa dell’osservanza della legge e dei regolamenti amministrativi, in esecuzione delle funzioni proprie del potere esecutivo. La polizia amministrativa si distingue a sua volta in molte specializzazioni, quali ad es. la polizia tributaria, la polizia sanitaria, la polizia stradale e la polizia di sicurezza. In particolare la polizia di sicurezza ha come compito la tutela della collettività contro i pericoli della società civile come sono l’ordine pubblico (inteso come assenza di reati) e la sicurezza delle persone. Quindi, la polizia di sicurezza è quella funzione che tende a prevenire il compimento di reati; essa è descritta nell’art. 1 del TU delle leggi di pubblica sicurezza. Per quanto riguarda la polizia giudiziaria F 0 E 0 La funzione di polizia giudiziaria trova la sua definizione nell’art. 55, cod. proc. pen. La polizia giudiziaria “deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. PAGE \* MERGEFORMAT151 La differenza tra polizia di sicurezza e giudiziaria si basa sulla contrapposizione tra “prevenzione dei reati” e “repressione di un reato”. Con quest’ultima espressione si vuole indicare la raccolta di tutti gli elementi necessari per accertare il reato e per rendere possibile lo svolgersi del processo penale. Per quanto riguarda la distinzione tra polizia giudiziaria e di sicurezza F 0 E 0 La distinzione tra le due funzioni ha finalità garantiste. Quando svolge la funzione di prevenire i reati, la polizia di regola non gode di poteri coercitivi, cioè non può direttamente limitare le libertà fondamentali. Viceversa, non appena arriva la notizia che è stato commesso reato, viene esercitata la funzione di polizia giudiziaria con l’uso dei poteri coercitivi. In situazioni di necessità ed urgenza la polizia giudiziaria procede all’arresto in flagranza o al fermo di una persona gravemente indiziata. Inoltre, in caso di flagranza può perseguire persone o luoghi. L’esercizio di poteri coercitivi avviene in relazione al successivo svolgersi di un procedimento penale, con la garanzia del diritto di difesa e sotto il controllo del giudice e del P.M. Le funzioni di polizia di sicurezza e di polizia di giudiziaria sono poste sotto una differente dipendenza. La funzione di polizia di sicurezza è diretta da un organo unitario, cioè il ministro dell’interno. In sede locale la direzione spetta al prefetto e al questore. Per quanto riguarda la dipendenza funzionale della polizia giudiziaria F 0 E 0 La funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione del P.M. e sotto la sorveglianza del procuratore generale presso la corte d’appello. Quest’ultimo può dare inizio al procedimento disciplinare contro l’ufficiale o l’agente per le trasgressioni rispetto ai doveri relativi alla funzione di polizia giudiziaria. Pertanto la sorveglianza sul corretto esercizio di questa funzione spetta ai 26 procuratori generali presso le Corti d’Appello. Per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta da un organo centrale chiamato “direzione investigativa antimafia” (D.I.A.) che è posto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore nazionale antimafia. Indipendentemente dalla sua funzione, la polizia è sotto la dipendenza organica del potere esecutivo. Quindi per le promozioni e la carriera il singolo agente dipende dal corpo di appartenenza e dal ministro presso cui è incardinato il corpo stesso. In definitiva, colui che svolge funzioni di polizia giudiziaria dipende funzionalmente dal P.M. e organicamente dal potere esecutivo. Per questo motivo vi è il rischio che, in relazione a determinati reati, non siano ricercate le fonti di prova e non siano eseguite le direttive dell’autorità giudiziaria. B. La dipendenza dall’autorità giudiziaria: Per evitare questi pericoli, sono previsti vari strumenti che rafforzano la direzione funzionale spettante all’autorità giudiziaria. La finalità è quella di attuare il principio costituzionale secondo cui “l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria” (art. 109 Cost.). Il codice distingue 3 strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria che, fermo restando la dipendenza organica dal potere esecutivo, si differenziano per il diverso grado di dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria: 1. Le sezioni di polizia giudiziaria F 0 E 0 Il maggior grado di dipendenza è riscontrabile nelle sezioni. Si tratta di organi costituiti presso gli uffici del P.M. di primo grado e composti, di regola, da ufficiali ed agenti della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza. Inoltre, possono essere applicati ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altre amministrazioni quando vi sono particolari esigenze di specializzazione. Le sezioni svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria sotto la dipendenza del capo del singolo ufficio del P.M., che dirige e coordina le attività. Nel quadro di queste direttive, il singolo magistrato del P.M. dispone direttamente del personale della sezione, cioè incarica delle indagini nominativamente un ufficiale di polizia giudiziaria. Il potere direttivo dell’autorità giudiziaria è rafforzato attraverso deli strumenti che incidono su carriera, mobilità e promozioni del personale appartenente alle sezioni; 2. I sevizi di polizia giudiziaria F 0 E 0 Un minor grado di dipendenza funzionale è riscontrabile nei servizi di polizia giudiziaria. Questi sono costituiti presso i corpi di appartenenza. A prescindere dalla loro denominazione, si considerano servizi “tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni” di polizia giudiziaria. Il dirigente del servizio è responsabile dell’operato proprio e delle persone che da lui dipendono. Questa responsabilità si esplica nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale ( o del procuratore generale presso la corte d’appello a seconda che l’ambito territoriale di competenza del servizio coincida con il circondario del tribunale o lo superi). Il minor grado di PAGE \* MERGEFORMAT151 Per quanto riguarda le regole generali F 0 E 0 sono precisate nell’art. 64. In base al comma I dall’interrogatorio si potranno ottenere dichiarazioni solo se e nei limiti in cui l’indagato decida liberamente di renderle (libertà di scelta dell’indagato). Secondo il comma II “Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti” (indisponibilità della libertà di scelta dell’indagato). Per quanto riguarda gli avvisi F 0 E 0 In base al comma III, prima che abbia inizio l'interrogatorio, l’indagato deve ricevere una serie di avvisi: • è avvertito che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti. Le dichiarazioni rilasciate dall’indagato sono utilizzabili nei suoi confronti sia durante le indagini, sia nel corso del dibattimento anche se lo stesso non si presenta o tace. Pertanto l’ordinamento avvisa l’indagato del fatto che quanto egli dirà potrà essere utilizzato sia contro di lui che in suo favore. Se l’autorità inquirente omette di rivolgere questo avviso, o lo rivolge in modo incompleto, il codice stabilisce che le dichiarazioni rese dall’interrogato sono inutilizzabili. Dalla gravità della sanzione processuale si desume l’importanza dell’adempimento, che è posto a tutela del diritto di difesa; • l’indagato deve essere avvertito che ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda. Il codice riconosce all’indagato il diritto di restare silenzioso su tutte le domande o su alcune di esse a sua scelta. L’indagato è anche avvisato che, se anche non risponde, comunque il procedimento seguirà il suo corso, ha tuttavia l’obbligo di rispondere secondo verità sulla sua identità personale; • l’indagato è avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone. Il legislatore per un dovere di lealtà vuole che l’indagato sia informato che prima o poi diventerà testimone se coinvolge la responsabilità di un'altra persona. L’omissione dell’avviso comporta una duplice conseguenza. In primo luogo, le dichiarazioni eventualmente rese dall’indagato sui fatti che riguardano la responsabilità di altri non utilizzabili nei loro confronti. In secondo luogo, l’indagato non potrà assumere la qualità di testimone sulle dichiarazioni rese in assenza di un rituale avvertimento. Il tutto finchè la sentenza a suo carico non sarà diventata irrevocabile. Per quanto riguarda le regole dell’interrogatorio sul “merito” F 0 E 0 queste regole sono contenute nell’art.65. Il P.M., prima di rivolgere domande all’indagato, deve rendergli noto in forma chiara e precisa il fatto che gli è attribuito. Quindi deve indicargli gli elementi di prova esistenti contro di lui. Infine deve comunicargli le fonti di prova, salvo che ciò comporti un pregiudizio per le indagini. Pertanto, se c’è il pericolo di inquinamento delle prove, il P.M. non rende note le fonti di prova. A questo punto il P.M. invita l’indagato a rispondere alle domande. L’indagato ha tre possibilità: 1. prima di tutto, l’indagato può rifiutare di rispondere a tutte le domande o ad alcune soltanto di esse. In tal caso il P.M. dà atto nel verbale che l’indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere; 2. in secondo luogo, l’indagato può rispondere. Se i fatti, che egli ammette, sono a lui sfavorevoli, si ha una “confessione”; 3. in terzo luogo, l’indagato può rispondere dicendo il falso. Da un lato, egli non commette il delitto di falsa testimonianza o di false informazioni al P.M. in quanto questi reati richiedono la qualifica di testimone o di possibile testimone, che l’indagato non ha; dall’altro lato, in relazioni ad ulteriori reati che possa integrare rendendo dichiarazioni mendaci, egli è protetto dalla causa di non punibilità prevista dall’art. 384, I, cod. pen. Per quanto riguarda i limiti alla possibilità di mentire F 0 E 0 Casi in cui l’indagato commette reato: • è punibile quando compie simulazione di reato, cioè afferma falsamente che vi è stato reato, che però nessuno ha commesso; • è punibile anche quando calunnia un’altra persona, cioè incolpa di reato qualcuno che egli sa essere innocente. C. La distinzione tra l’indagato e la persona informata (possibile testimone): Per quanto riguarda il testimone e la persona informata F 0 E 0 La persona che ha conoscenza di fatti che devono essere accertati nel procedimento penale è denominata “testimone” quando depone davanti al giudice. Viceversa, quando è esaminata dal P.M., è qualificata “persona che può riferire circostanze utili ai PAGE \* MERGEFORMAT151 fini delle indagini”. Questa persona è stata denominata nella prassi come “persona informata”. Viene ammonita dall’inquirente circa il l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che le sono rivolte. Se il testimone di fronte al giudice dice il falso o tace ciò che sa, commette il reato di “falsa testimonianza”. Se la persona informata di fronte al P.M. tiene la stessa condotta, commette il delitto di false informazioni. Il codice pone un’incompatibilità tra la qualifica di indagato e quella di persona informata. Pertanto, l’indagato è incompatibile a deporre come persona informata e dunque non ha obbligo di verità. Per quanto riguarda le dichiarazioni auto-indizianti F 0 E 0 Può accadere che nel corso della deposizione il testimone renda dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico (dichiarazioni auto-indizianti). In questo caso l’art. 63,I, stabilisce una serie di obblighi per l’autorità procedente e la sorte processuale delle dichiarazioni rese. A seguito delle dichiarazioni indizianti l’autorità procedente deve: 1. interrompere l’esame; 2. avvertire la persona che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti; 3. invitarla a nominare un difensore. Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Viceversa possono essere utilizzate a suo favore o contro altre persone. Per quanto riguarda l’elusione della qualità di indagato F 0 E 0 Nel caso di elusione della qualità di indagato, cioè nel caso in cui un soggetto inquirente (P.M. o polizia giudiziaria) interroghi un indagato senza riconoscergli tale qualità e senza quindi rispettare il suo diritto di non rispondere, le dichiarazioni della persona ascoltata come testimone o possibile testimone, quando invece doveva essere sentita sin dall’inizio come imputato o persona sottoposta alle indagini, non possono essere utilizzate (art.63,II ). D. La verifica dell’identità fisica e anagrafica dell’indagato: Può accadere che nel corso delle indagini ci si trovi di fronte ad una persona fisica e non si sappia con certezza se si tratta davvero del soggetto al quale l’inquirente attribuisce il reato. Occorre procedere a verificare l’identità di tale persona. La verifica dell’identità dell’imputato o dell’indagato comporta 2 accertamenti: 1. L’accertamento dell’identità fisica dell’indagato F 0 E 0 si tratta di stabilire se l’indagato coincide con la persona che è responsabile del reato. A tale accertamento si può pervenire se, in via preliminare, si prova che le impronte digitali o il DNA rilevate sul luogo del fatto sono identiche a quelle dell’indagato. L’accertamento dell’identità fisica può rendersi necessaria anche quando lo stesso soggetto in vari tempi abbia fornito differenti generalità o in quei procedimenti che in origine si svolgono contro ignoti e poi si orientano contro un determinato soggetto. Non esiste un diritto dell’indagato a non essere identificato, al massimo egli può scegliere di non collaborare con l’inquirente nella raccolta delle prove che comportano la propria identificazione. In questa sede l’indagato è oggetto di prova e deve sopportare il compimento di accertamenti quali, ad es., la ricognizione personale, purché questi non siano lesivi della propria integrità personale o contrari alla dignità umana. Tuttavia l’indagato può essere costretto a subire il prelievo del materiale biologico (come saliva e capelli). Una volta operato l’accertamento dell’identità fisica dell’indagato, il processo nei suoi confronti può svolgersi anche se resta incerta la sua identità anagrafica. Infatti, in base all’art.66,II, “l’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di qualche atto da parte dell’autorità procedente, quando sia certa l’identità fisica della persona”. 2. L’accertamento dell’identità anagrafica dell’indagato F 0 E 0 si tratta di attribuire un nome ed un volto all’indagato. Il principale strumento per accertare l’identità anagrafica dell’indagato è l’interrogatorio. Infatti fin dall’inizio del procedimento il P.M. e la polizia giudiziaria procedono all’identificazione dell’indagato, che viene invitato a dichiarare le proprie generalità e viene ammonito circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false. E’ sanzionato penalmente il rifiuto di dare indicazione sulla propria identità personale e il dichiarare una falsa identità. E. La sospensione del procedimento per incapacità processuale dell’imputato: PAGE \* MERGEFORMAT151 In presenza di determinati presupposti il giudice deve valutare se l’imputato è in grado di partecipare coscientemente al procedimento penale e quindi se può esercitare consapevolmente il proprio diritto di autodifesa. Per quanto riguarda i presupposti dell’accertamento dell’incapacità processuale dell’imputato F 0 E 0 Quando il giudice non può pronunciare una sentenza di proscioglimento (in giudizio) o di non luogo a procedere (in udienza preliminare), cioè quando il giudice, in base allo stato degli atti, si trova nella condizione di dover accertare la responsabilità penale e di conseguenza è probabile una condanna perché l’imputato era imputabile o semi-imputabile al momento del fatto, il giudice deve valutare se l’imputato, a causa di una infermità mentale esistente al momento, non è in grado di partecipare consciamente al procedimento penale. Ove sia accertata l’incapacità il giudice deve sospendere il procedimento penale con ordinanza ricorribile per cassazione (la sospensione tuttavia non determina una totale paralisi delle attività processuali e consente il compimento degli atti tassativamente previsti dalla legge) e contestualmente nominare un curatore speciale (preferibilmente il apprestante legale dell’imputato). Allo scopo di ridurre il fenomeno degli eterni giudicabili, il giudice ogni sei mesi dispone perizia per accertare lo stato psichico dell’imputato; l’ordinanza di sospensione è revocata qualora l’imputato risulti in grado di partecipare consciamente al procedimento penale oppure se, durante la sospensione, sono assunte prove che legittimano una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. 6. Il difensore F 0 E 0 A. La rappresentanza tecnica: A norma dell’art. 24,II, Cost. “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.” In generale, si può definire difesa la tutela contro un attacco che venga mosso ai diritti di un soggetto con qualsiasi procedura giudiziaria. In particolare la difesa penale è quella forma di tutela che permette all’imputato di ottenere il riconoscimento della piena innocenza o comunque di essere condannato ad una sanzione non più grave di quella applicabile secondo la legge. La difesa è un diritto, cioè consiste nel potere di esigere da altri soggetti un comportamento conforme alla legge. Sono titolari del diritto di difesa le parti ed alcuni fra i soggetti del procedimento penale. Per quanto riguarda le modalità di esercizio, tale diritto può essere esercitato sia personalmente (autodifesa), sia per mezzo del difensore (difesa tecnica). Per quanto riguarda il difensore F 0 E 0 Il difensore è una persona che ha particolare competenza tecnico- giuridica e che ha determinate qualifiche di tipo penalistico, privatistico e processuale. La qualifica penalistica è quella di esercente un servizio di pubblica necessità. Infatti alla funzione di avvocato si accede mediante una speciale abilitazione dello Stato e i privati sono per legge obbligati ad avvalersi dell’opera del difensore. La qualifica privatistica si individua nel rapporto di prestazione di opera intellettuale che lega il difensore al cliente. La qualifica processuale è quella di rappresentante tecnico della parte. Per quanto riguarda la rappresentanza tecnica F 0 E 0 è il potere, conferito al difensore, di compiere atti processuali “per conto” (cioè nell’interesse) del cliente. La rappresentanza tecnica attribuisce al difensore il potere di compiere per conto del cliente tutti quegli atti che il codice riferisce a quella parte, a condizione che gli stessi non siano personali, cioè non siano dalla legge espressamente riservati alla parte. La rappresentanza tecnica è conferita dal cliente al difensore mediante una procura ad litem. L’imputato e l’indagato conferiscono tale rappresentanza mediante la nomina che è contenuta in una dichiarazione che può essere resa oralmente davanti all’autorità procedente che ne redige verbale o può essere effettuata per iscritto, senza necessità di autentica della firma. In tal caso la dichiarazione scritta deve essere consegnata all’autorità procedente dal difensore o deve essere trasmessa dall’interessato con raccomandata all’autorità procedente. Le altre parti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) conferiscono al difensore la rappresentanza tecnica mediante una procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. PAGE \* MERGEFORMAT151 e con una multa fino a 1.500 euro. L’ammissione al patrocinato a spese dello Stato è deliberata dal magistrato davanti al quale pende il processo o da quello che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Cassazione. Nel corso delle indagini è deliberata dal giudice per le indagini preliminari. L’ammissione produce varie effetti: • sono rilasciate gratuitamente le copie necessarie degli atti del procedimento; • sono anticipate dallo Stato le spese per l’audizione dei testimoni e gli onorari del difensore, dell’eventuale consulente tecnico di parte, del sostituto e dell’investigatore privato. Al difensore il giudice applica le tariffe professionali in modo che non siano superati i valori medi. La legge consente che la persona, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nomini un consulente tecnico anche fuori dei casi di perizia. Inoltre, il difensore può nominare un sostituto o un investigatore privato autorizzato al fine di svolgere l’attività di investigazione difensiva. F. L’incompatibilità del difensore: L’art. 106,I, prevede la possibilità che la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili. Affinché ci sia incompatibilità deve sussistere in concreto un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole all’altro imputato. Quando l’autorità giudiziaria rileva la sussistenza di una situazione di incompatibilità, deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla. L’incompatibilità può essere eliminata in due modi: 1. mediante la rinuncia del difensore a sostenere una o più difese; 2. mediante la revoca della nomina da parte dell’imputato Nel caso in cui l’incompatibilità non venga rimossa entro il termine fissato il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile con un difensore d’ufficio. Se l’incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il provvedimento di sostituzione è adottato dal giudice su richiesta del P.M. o di qualcuna delle parti private, sentite le parti interessate. In base all’art. 106,IV-bis, un difensore può assistere più imputati che abbiano reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità di un altro imputato nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. G. L’abbandono e il rifiuto della difesa: L’art. 105,I, riconosce al consiglio dell’ordine forense la competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della difesa o di rifiuto della difesa di ufficio. A tal fine, l’autorità giudiziaria riferisce al consiglio dell’ordine i casi di abbandono della difesa, di rifiuto della difesa di ufficio e i casi nei quali il difensore abbia violato i doveri di lealtà e probità, e infine se il difensore ha assunto la difesa di più imputati in una situazione di incompatibilità presunta per legge. A norma dell’art. 105,III, se l’abbandono o il rifiuto sono motivati da violazioni del diritto di difesa (che l’avvocato addebita all’autorità giudiziaria) e il consiglio dell’ordine ritiene giustificato il comportamento del difensore, la sanzione non si applica anche se il giudice ha escluso la sussistenza della violazione del diritto di difesa (ciò conferma l’indipendenza dell’ordine forense rispetto all’ordine giudiziario). H. Le garanzie per il libero esercizio dell’attività difensiva: La scelta del legislatore è stata quella di assicurare al difensore la possibilità di svolgere la propria attività di patrocinio e consulenza in favore del cliente senza subire alcun condizionamento. Le garanzie di carattere generale consistono nella tutela del segreto professionale assicurata all’art. 200 agli avvocati, che “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero”. Le garanzie di carattere speciale riguardano la tutela dell’ufficio e dei colloqui con i clienti e sono finalizzate ad assicurare la libertà di predisposizione delle strategie difensive in un processo di tipo accusatorio. Occorre che la raccolta di elementi di prova da contrapporre alle altre parti in condizioni di parità avvenga in modo riservato ed immune da interferenze ad opera dell’autorità inquirente. Il libero dispiegamento dell’attività difensiva e segreto professionale trovano diretto supporto nell’art. 24,cost. Per quanto riguarda l’ufficio del difensore F 0 E 0 Lo studio legale nel quale opera il difensore ha delle garanzie: PAGE \* MERGEFORMAT151 1. Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra gli stessi e le persone da loro assistite; 2. Le ispezioni, le perquisizioni ed i sequestri di regola sono vietati. Sono ammessi in casi tassativi previsti dalla legge. Inoltre, essi devono essere effettuati con determinate modalità da osservarsi a pena di inutilizzabilità dei risultati; 3. le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse quando i difensori risultano essere imputati. Questi atti devono essere disposte limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito. In questo caso il difensore viene in considerazione come imputato. 4. Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse anche per rilevare le tracce o altri effetti materiali del reato; 5. Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse per ricercare cose o persone specificatamente predeterminate, che siano nascoste nell’ufficio di un avvocato; 6. Il sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa è vietato nell’ufficio del difensore o dei suoi ausiliari incaricati in relazione al procedimento (investigatore privato autorizzato e consulente tecnico). Il sequestro è ammesso soltanto in relazione ad oggetti che costituiscono corpo del reato. Per quanto riguarda la non delegabilità degli atti di ricerca F 0 E 0 Questi atti, quando ammessi, devono essere compiuti di regola da un giudice personalmente. Nel corso delle indagini, possono essere compiuti personalmente dal P.M. purché autorizzato dal giudice con decreto motivato. Per quanto riguarda il preavviso al Presidente del consiglio dell’ordine F 0 E 0 Il giudice o P.M. autorizzato, quando deve compiere una perquisizione, ispezione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, deve preavvisare, a pena di nullità, il presidente del consiglio dell’ordine perché questi possa assistere alle operazioni. Quella che è tutelata è la funzione difensiva. Quindi non è necessario il preavviso al consiglio dell’ordine quando il difensore è egli stesso imputato del reato per cui si procede. Per quanto riguarda i colloqui per esigenze difensive F 0 E 0 ’ anche previsto il divieto di intercettare le conversazioni o comunicazioni che intercorrono tra i difensori, gli investigatori privati, i consulenti tecnici ed i loro ausiliari in relazione al procedimento e le conversazioni tra i predetti ed i loro assistiti. E’ anche previsto il divieto di sequestrare la corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che la corrispondenza stessa costituisca corpo del reato. Per quanto riguarda i colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare F 0 E 0 Il codice vuole assicurare all’indagato la possibilità di entrare immediatamente in contatto con l’avvocato al fine di concordare le strategie difensive e di esercitare il proprio diritto di difesa in funzione dell’interrogatorio e prima di questo. La possibilità di conferire con il difensore viene garantita anche in favore dell’imputato che sia sottoposto all’arresto, al fermo o alla custodia cautelare e deve potersi esercitare fin dall’inizio dell’esecuzione della misura. A questo scopo l’indagato è avvisato dalla facoltà di nominare un difensore di fiducia. L’indagato ed il difensore d’ufficio devono essere immediatamente informati dell’avvenuta esecuzione della misura. Quindi il difensore ha diritto ad accedere al luogo di custodia senza alcuna autorizzazione e ciò al fine di conferire con l’indagato arrestato. Sul difensore incombe l’onere di dimostrare la sua qualità. Nel corso delle indagini preliminari il diritto a conferire con il difensore può essere dilazionato, per un tempo non superiore a 5 giorni, con un decreto motivato emanato dal giudice su richiesta del P.M. Il giudice deve accertare che esistano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela. In caso di arresto o fermo, simile provvedimento può essere disposto dal P.M. fino al momento in cui l’arrestato è posto a disposizione del giudice, cioè fino a 48 ore dall’esecuzione della misura. 7. La persona offesa dal reato e la parte civile F 0 E 0 A. La persona offesa dal reato: La persona offesa dal reato è il titolare dell’interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente, da quella norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal reato. Il codice attribuisce alla persona offesa la qualifica di “soggetto” del procedimento; la qualifica di “parte” le viene riconosciuta solo se, nella veste di danneggiato dal reato, la persona offesa abbia esercitato l’azione risarcitoria costituendosi PAGE \* MERGEFORMAT151 parte civile (spesso infatti la stessa persona riveste le qualifiche di offeso e di danneggiato). Per quanto riguarda i poteri sollecitatori F 0 E 0 La persona offesa dal reato, nella sua qualità di soggetto del procedimento, può esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge. Tra i poteri che può esercitare, possiamo ricordare quelli definibili come sollecitatori dell’attività dell’autorità inquirente, come il presentare memorie o l’indicare elementi di prova nel corso del procedimento, escluso il giudizio di cassazione. Per quanto riguarda i diritti d’informativa F 0 E 0 L’offeso gode anche di poteri di carattere informativo. Egli riceve l’informazione di garanzia. L’informazione di garanzia è inviata dal P.M. quando questi sta per compiere un atto garantito nei confronti di un indagato. Se mancano queste informazioni, l’informazione di garanzia non deve essere spedita alla persona offesa, che pertanto non riceve alcuna comunicazione ufficiale dell’esistenza di un procedimento in corso. Al pari dell’indagato, la persona offesa ha un potere di accesso al registro delle notizie di reato, attraverso apposita richiesta al P.M. Un altro diritto di informativa spetta alla persona offesa nei casi in cui il P.M. proceda al compimento di un accertamento tecnico non ripetibile. Il P.M. avvisa l’offeso, l’indagato e i difensori del giorno, del luogo e dell’ora del conferimento dell’incarico, informandoli anche che hanno la facoltà di nominare un consulente tecnico di parte. La persona offesa ha ulteriori diritti di informazione: • deve essere avvisata della data e del luogo nel quale si svolgerà l’udienza preliminare; • deve esserle notificato il decreto che dispone il giudizio. Questi avvisi servono a mettere l’offeso in grado di valutare se gli convenga costituirsi parte civile. Per quanto riguarda la partecipazione al procedimento F 0 E 0 Parliamo dei poteri di partecipazione al procedimento. Essi possono essere esercitati dalla persona che abbia nominato un difensore. Il difensore o può limitarsi ad assistere ai pochi atti d’indagine per i quali è ammessa la sua presenza oppure può svolgere le cosiddette “investigazioni difensive”. Si tratta di indagini compite personalmente dal difensore o attraverso un suo sostituto, di un consulente tecnico di parte o di un investigatore privato autorizzato. L’obbiettivo di queste investigazioni è quello di permettere al difensore di ricercare ed individuare elementi di prova e di intervistare le persone che possano dare informazioni. Ancora, tra i poteri di tipo partecipativo possiamo ricordare che la persona offesa (personalmente o per mezzo del difensore) può chiedere per iscritto al P.M. di promuovere un incidente probatorio, nel quale venga assunta una prova non rinviabile in dibattimento. In ogni caso, se l’incidente si svolge, il difensore della persona offesa sarà preavvisato, potrà parteciparvi e chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame. Per quanto riguarda i poteri di controllo sull’eventuale inattività del P.M. F 0 E 0 alla persona offesa sono riconosciuti dei poteri di tipo penalistico, che cioè tendono a tutelare il suo interesse ad ottenere il rinvio a giudizio dell’imputato. All’offeso non è attribuita una vera e propria azione penale, cioè il potere di chiedere al giudice il rinvio a giudizio dell’indagato. Viceversa, gli sono attribuiti poteri di controllo sull’eventuale inattività del P.M. Essi consentono all’offeso di mettersi in contatto con il giudice per le indagini preliminari e presentargli le proprie conclusioni in due ipotesi: 1. quando il P.M. abbia chiesto al giudice la proroga delle indagini; 2. quando il P.M. abbia chiesto al giudice l’archiviazione. In questi due casi l’iniziativa del P.M. deve essere nota solo alla persona offesa che abbia precedentemente chiesto di esserne informata. Quindi la persona offesa non ha poteri d’azione penale, ma solo il potere di attivare il controllo del giudice in due casi, in cui si palesa l’inerzia del P.M. B. La parte civile: Il reato, oltre a costituire un offesa ad un bene giuridico (illecito penale), può provocare in concreto un danno (illecito civile) e in tal caso colui che ha commesso il reato è obbligato a risarcire il danno. Il danno risarcibile può manifestarsi in 2 diverse forme: 1. Danno patrimoniale; 2. Danno non patrimoniale. Per quanto riguarda il danno patrimoniale F 0 E 0consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno emergente e del lucro cessante. Esso viene quantificato per equivalente pecuniario nel senso che si deve ripristinare quella situazione economica e patrimoniale del danneggiato che era preesistente e che avrebbe dovuto proseguire, se non fosse stato commesso il reato; PAGE \* MERGEFORMAT151 Per quanto riguarda l’azione risarcitoria davanti al giudice civile F 0 E 0 Il codice di procedura penale prevede che il danneggiato dal reato possa compiere altre due scelte in alternativa a quella di costituirsi come parte civile: 1. Può esercitare l’azione di danno (l’azione risarcitoria) davanti al giudice civile F 0 E 0 qualora il danneggiato eserciti l’azione risarcitoria davanti al giudice civile in modo tempestivo (cioè prima che il giudice penale abbia pronunciato una decisione in primo grado), l’azione civile può svilupparsi senza subire sospensioni, parallelamente allo svolgersi del processo penale. 2. Può restare inerte, cioè non esercitare l’azione risarcitoria né in sede penale che in quella civile F 0 E 0 se il danneggiato resta inerte, corre il rischio che il giudice penale assolva l’imputato con una formula che acquista la forza del giudicato. Infatti, quando il danneggiato è stato messo in grado di partecipare al processo penale ma non ha voluto difendersi, la sentenza di assoluzione con formula ampia ha un efficacia vincolante in relazione al fatto che sia stato accertato. Pertanto da ciò si può costatare che il legislatore, in materia di risarcimento del danno che deriva da reato, detta orientamenti tra loro contrastanti. In particolare: • Orientamento prevalente F 0 E 0 in cui processo penale e quello civile, in caso di danno che deriva da reato, si devono svolgere separatamente. Sia di fronte ad un orientamento prevalente per il fatto che il danneggiato non subisce gli effetti del giudicato penale se inizia tempestivamente l’azione risarcitoria in sede civile; • Orientamento non prevalente F 0 E 0 è un orientamento che permette al danneggiato di esercitare l’azione civile entro il processo penale. In questo caso si accoglie il principio di unione dei due processi, che può comportare una situazione di vantaggio nell’esercitare l’azione civile nel processo penale. C. Offeso e danneggiato nel codice 1988: Il codice del 1988 ha fatto una scelta singolare, abbandonando sia la tradizione italiana che il modello francese da cui deriva: • Persona offesa F 0 E 0 a questa il codice ha riconosciuto un ruolo puramente penalistico, cioè solo l’interesse ad ottenere solo la condanna del responsabile del reato; • Danneggiato costituito come parte civile F 0 E 0 a questo il codice ha riconosciuto un ruolo puramente civilistico, cioè ha voluto tutelarne solo l’interesse ad ottenere il risarcimento del danno che deriva da reato. La scelta del codice ha un primo riflesso sulla struttura del procedimento penale. Infatti nelle indagini preliminari è tutelata solo la persona offesa dal reato nel suo interesse penalistico ad ottenere il rinvio a giudizio dell’imputato. Al contrario, non viene in alcun modo tutelata la situazione giuridica soggettiva di danneggiato dal reato. Dopo la formulazione dell’imputazione i ruoli sono capovolti. Infatti la persona offesa, in quanto tale, cioè se non si costituisce parte civile in qualità di danneggiata del reato, può solo presentare memorie ed indicare elementi di prova, ma non ha la possibilità di partecipare attivamente all’udienza preliminare o al dibattimento. Viceversa, solo la parte civile può parteciparvi. Quindi, la persona offesa, dal momento in cui il P.M. formula l’imputazione, ha riconosciuti poteri processuali solo se cumula la veste di danneggiato e se esercita l’azione civile entro il processo penale. Questa è stata la scelta del legislatore perché esso vuole che i due processi, penale e civile, si svolgano separatamente, sia per evitare che il problema del risarcimento del danno condizioni l’accertamento della responsabilità penale, sia per non alterare l’equilibrio per le parti nel processo, ove il ruolo dell’accusa è già assunto dal P.M. Una volta eliminata la parte civile dalla fase delle indagini preliminari, si è dovuto creare uno strumento di sostituzione che almeno tutelasse la persona offesa da reato. Pertanto alla persona offesa è stata riconosciuta la qualifica di soggetto del procedimento e le sono stati attribuiti poteri processuali ricollegati esclusivamente al possesso di questa qualifica. CAPITOLO II F 0E 0 Gli atti PAGE \* MERGEFORMAT151 1. Gli atti del procedimento penale F 0 E 0 A. Considerazioni generali: Viene tradizionalmente definito “atto del procedimento penale” quell’atto che è compiuto da uno dei soggetti ( giudice, P.M., polizia giudiziaria, parti private, ecc.) e che è finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale (sentenza, ordinanza o decreto). Il primo atto del procedimento penale è quello che segue la ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del P.M. Con il termine atto si designa quell’attività che è compiuta da un soggetto. Tuttavia, nella prassi, il termine atto individua anche il risultato permanente dell’attività che è stata compiuta. In quest’ultimo significato atto sta ad indicare sia il verbale che documenta l’attività compiuta sia il testo del provvedimento pronunciato. Per quanto riguarda gli atti a forma vincolata F 0 E 0 Gli atti più importanti del procedimento penale hanno una forma vincolata. Il libro II del codice prevede i “modelli legali” che sono prefissati in via generale per gli atti del procedimento, mentre nei libri successivi vi sono “modelli legali” speciali che sono previsti per singoli tipi di atti. Il rispetto delle forme legali è una delle garanzie poste a tutela dei soggetti che sono implicati nel procedimento penale. Per quanto riguarda gli atti a forma libera F 0 E 0 Quando il codice non impone una forma vincolata, l’atto ha una forma libera. Per quanto riguarda la lingua degli atti F 0 E 0 A norma dell’art. 109,I, gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana. Inoltre, davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali. Queste garanzie valgono per le parti private, i testimoni, i periti ed i consulenti tecnici e sono assistite dalla previsione di una nullità speciale. Per quanto riguarda la sottoscrizione degli atti F 0 E 0 Quando è richiesta la sottoscrizione di un atto, se la legge non dispone altrimenti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. Non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa annotazione in fine dell'atto medesimo. Per quanto riguarda la data e luogo di formazione degli atti F 0 E 0 In base all’art.111,I, “quando la legge richiede la data di un atto, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente descritta.” Mentre,a norma del II comma, “se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi.” Per quanto riguarda copie, estratti e certificati F 0 E 0 A norma dell’art. 116,I, “durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti.” Il rilascio avviene su autorizzazione, salvo che la legge riconosca espressamente al richiedente il diritto al rilascio. L’autorizzazione è disposta dal P.M. o dal giudice che procede al momento della presentazione della domanda o, dopo la definizione del procedimento, dal presidente del collegio o dal giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza. A norma dell’art. 116,III-bis, “quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una copia.” Per quanto riguarda la richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del P.M. F 0 E 0 Ai sensi dell’art. 117, il P.M. titolare di un procedimento può chiedere personalmente all'autorità giudiziaria competente (P.M. o giudice dell’udienza preliminare o della fase del giudizio) copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. Il potere è funzionale alla necessità di svolgere indagini ed opera nelle situazioni in cui non scatta quel più forte regime di coordinamento tra gli uffici del P.M. che è previsto in caso di indagini collegate. L'autorità giudiziaria richiesta provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato, contro il quale non è previsto rimedio processuale. Il procuratore nazionale PAGE \* MERGEFORMAT151 antimafia, nell'ambito delle funzioni previste dall'art. 371-bis, ha il potere di accedere al registro delle notizie di reato e alle banche dati istituite appositamente presso le direzioni distrettuali antimafia. Per quanto riguarda la richiesta di copie di atti da parte del ministro dell'interno F 0 E 0 Il ministro dell'interno, direttamente o a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziaria o del personale della Direzione investigativa antimafia appositamente delegato, può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al segreto investigativo, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzione dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Ai medesimi fini l'autorità giudiziaria può autorizzare i soggetti delegati dal ministro dell’interno all'accesso diretto al registro delle notizie di reato. L'autorità giudiziaria richiesta provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato. Infine, il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere all’autorità giudiziaria copie di atti del procedimento penale che sono indispensabili per il sistema di informazioni per la sicurezza. Per quanto riguarda la partecipazione del sordo, muto e sordomuto ad atti del procedimento penale F 0 E 0 Ai sensi dell’art. 119, quando un sordo, un muto o un sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni: • al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; • al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; • al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. Se il sordo, il muto o il sordomuto non sa leggere o scrivere, l'autorità procedente nomina uno o più interpreti, scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui. Per quanto riguarda i testimoni ad atti del procedimento F 0 E 0 Determinate persone possono assistere ad atti del procedimento penale, in quanto persone di fiducia di uno dei soggetti interessati allo svolgimento del relativo atto, del quale garantiscono la regolarità e sul quale possono essere chiamate a testimoniare. Ciò avviene per l’ispezione personale, per la perquisizione personale e locale. Il codice definisce queste persone “testimoni ad atti del procedimento” ed indica, all’art.120, alcune cause di invalidità che impongono alcuni divieti. Infatti, non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento: • i minori degli anni 14 e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. La capacità si presume sino a prova contraria; • le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione. Per quanto riguarda l’obbligo di osservanza delle norme processuali F 0 E 0 L’art. 124 impone di “osservare le norme di questo codice anche quando l’inosservanza non comporta nullità o altra sanzione processuale”. L’obbligo è diretto a magistrati, cancellieri, gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare. B. Gli atti del giudice: Gli atti del giudice sono la sentenza, l’ordinanza e il decreto: - la sentenza è l’atto con cui il giudice adempie al dovere di decidere, che gli è posto a seguito dell’esercizio dell’azione penale; la sentenza esaurisce una fase o un grado del processo; con essa il giudice si spoglia del caso. Dal punto di vista della forma, la sentenza deve essere sempre motivata (cioè deve dare conto del processo logico seguito dal giudice per giungere alla decisione); l’obbligo della motivazione è posto direttamente dalla Costituzione (111.6) e ripetuto dal codice, che prevede la sanzione della nullità (relativa) per l’eventuale inosservanza. - l’ordinanza è il provvedimento col quale il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento; essa deve essere sempre motivata a pena di nullità; di regola, è revocabile dal giudice. PAGE \* MERGEFORMAT151 ricevute da lui da altro pubblico ufficiale che egli assiste; per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tal caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell'autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione. Circa le modalità, la documentazione può essere effettuata con almeno tre modalità differenti: 1) di regola deve essere redatto il verbale in forma integrale con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale. 2) Una seconda modalità di documentazione è il verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica; in tal caso spetta al giudice vigilare che sia riprodotta nell’originaria genuina espressione, la parte essenziale delle dichiarazioni, quindi il termine riassuntivo non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma solo sommaria esposizione degli elementi extradichiarativi 3) Infine, vi è una terza modalità di documentazione che si effettua quando vi sia una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici o anche quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza: si tratta della verbalizzazione in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica. F. La notificazione F 0 E 0 I. Considerazioni preliminari: La notificazione è lo strumento previsto dalla legge per render noto al destinatario un atto (o un’attività) del procedimento. Essa è eseguita, di regola, mediante la consegna al destinatario della copia dell’atto (o dell’avviso); l’organo che esegue la notificazione è di regola l’ufficiale giudiziario (ausiliare del giudice) o chi ne esercita le funzioni. Della consegna dell’atto è redatto un verbale, chiamato “relazione di notificazione” in cui l’ufficiale giudiziario (o altro soggetto legittimato) scrive, in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione in cui indica l'autorità o la parte privata richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della copia, apponendo la propria sottoscrizione. II. I soggetti legittimati a disporre le notificazioni: Notificazioni disposte dal giudice. Di regola le notificazioni disposte dal giudice sono eseguite dall’ufficiale giudiziario; nei procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso d’urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Sono previste forme equipollenti alla notifica: - la consegna di copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria - la lettura dei provvedimenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che siano presenti Notificazioni disposte dal P.M.. Le notificazioni di atti del P.M.. nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall’ufficiale giudiziario ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Sono previste forme equipollenti: - la consegna di copia dell’atto da parte della segreteria - la lettura di provvedimenti e avvisi in presenza degli interessati Notificazioni chieste dalle parti private. Le parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo le regole ordinarie (richiesta all’ufficiale giudiziario), oppure valersi di una modalità semplificata (invio di copia dell’atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di PAGE \* MERGEFORMAT151 ricevimento) III. I destinatari delle notificazioni: Notificazioni al P.M.. Le notificazioni al P.M.. sono eseguite nel modo ordinario ovvero direttamente dalle parti mediante consegna di copia dell’atto alla segreteria; allo stesso modo vengono notificati gli atti e i provvedimenti del giudice, a cura della cancelleria Notificazioni al difensore. Le notificazioni al difensore possono essere eseguite nel modo ordinario; tuttavia una forma semplificata può essere disposta sia dal giudice sia dal P.M..: l’autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. Notificazioni all’imputato detenuto. Le notificazioni all’imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona; se questa si rifiuta di ricevere l’atto o non è comunque possibile la consegna diretta, l’atto è consegnato al direttore dell’istituto. Notificazioni all’imputato o all’indagato non detenuto. Per rendere più celere ed agevole l’attività di notificazione all’indagato ed all’imputato non detenuto, il codice disciplina la dichiarazione o l’elezione di domicilio: nel primo atto compiuto con l’intervento dell’imputato o dell’indagato, l’autorità procedente lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio: - dichiarare il domicilio significa indicare quel luogo, ove l’imputato abita o lavora, nel quale gli atti saranno a lui notificati - eleggere il domicilio comporta l’indicazione di un domiciliatario, cioè di una persona differente dall’imputato che viene da lui scelta per ricevere copia degli atti da notificare L’imputato è avvertito che, ove egli si rifiuti di ottemperare alla dichiarazione o elezione o successivamente ometta di comunicare un eventuale mutamento del domicilio dichiarato o eletto, le notificazioni saranno eseguite mediante consegna al difensore. Nel caso in cui non sia stato possibile invitare l’imputato a dichiarare o eleggere il domicilio, il codice distingue tra la prima notificazione e le successive notificazioni: Prima notificazione all’imputato non detenuto: - di regola la prima notificazione è eseguita mediante consegna di copia alla persona (c.d. consegna a mani proprie); - se non è possibile la consegna a mani proprie, la notificazione avviene nel luogo in cui l’imputato è reperibile (cioè nella sua abitazione o nel luogo di lavoro, se conosciuti); se tali luoghi non sono conosciuti, la notificazione avviene ove l’imputato ha temporanea dimora o recapito; nei predetti luoghi la notificazione è eseguita mediante consegna di copia dell’atto ad una persona che conviva anche temporaneamente con l’imputato o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. - se non è possibile consegnare la copia alle predette persone, si procede a nuova ricerca e in caso negativo la notificazione è effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale di abituale residenza o lavoro, con affissione dell’avviso di deposito alla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro; l’avvenuto deposito è altresì comunicato all’imputato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento - nell’ipotesi in cui, malgrado l’attivazione delle modalità sopra indicate, non sia comunque possibile effettuare la notificazione all’imputato perché questi non è reperibile, il giudice o il P.M.. devono disporre nuove ricerche dell’imputato particolarmente nel luogo di nascita, dell'ultima residenza anagrafica, dell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e PAGE \* MERGEFORMAT151 presso l'amministrazione carceraria centrale; qualora non sia possibile rintracciare l’imputato, il giudice o il P.M.. emettono un decreto di irreperibilità: con tale provvedimento viene designato un difensore all’imputato che ne sia privo e viene ordinato che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, che rappresenta l’ireperibile. Successive notificazioni all’imputato non detenuto: esse sono eseguite in relazione all’esito della prima notificazione e quindi rispettivamente - nel domicilio indicato o eletto - nel luogo in cui è stata effettuata la prima notificazione - presso il difensore, se l’imputato è stato dichiarato irreperibile Notificazioni all’imputato all’estero. Se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero della persona nei cui confronti si deve procedere, il giudice o il pubblico ministero le invia raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l'indicazione della autorità che procede, il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso nonché l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Se nel termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Quando dagli atti risulta che la persona nei cui confronti si deve procedere risiede o dimora all'estero, ma non è nota la residenza o la dimora dell’imputato, il giudice o il pubblico ministero, prima di pronunciare decreto di irreperibilità, dispone le ricerche anche fuori del territorio dello Stato nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali. Le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile, al civilmente obbligato per la pena pecuniaria e agli altri soggetti. Le notificazioni alla persona offesa e agli altri soggetti diversi dalle parti private (es. testimoni e consulenti tecnici), nonché la prima citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono eseguite con le modalità della prima notificazione all’imputato non detenuto, e cioè mediante consegna di copia alla persona. Le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato, già costituiti in giudizio, sono eseguite presso i difensori. G. La traduzione degli atti F 0 E 0 l’interprete: La materia è regolamentata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che pone tre garanzie in favore dell’accusato che non comprende la lingua del processo: 1) il diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico 2) il diritto, spettante ad ogni persona che non comprenda o non parli la lingua impiegata in udienza, di farsi assistere gratuitamente da un interprete 3) il diritto, spettante, specificamente all’arrestato, di essere informato dei motivi dell’arresto Tale normativa è stata recepita nell’articolo 111 comma III Cost. con l’enunciato generale secondo cui l’accusato deve essere assistito da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il c.p.p. a sua volta prevede le due funzioni dell’interprete: PAGE \* MERGEFORMAT151 deve essergli concesso, salvo che sia accertata una delle seguenti situazioni: 1) che l’imputato abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento e al contempo abbia rinunciato a comparire 2) che l’imputato abbia avuto conoscenza effettiva del provvedimento e al contempo abbia rinunciato volontariamente a proporre impugnazione Ciò che l’imputato ottiene dalla decisione, che concede la restituzione nel termine, è la possibilità di presentare una impugnazione contro la sentenza contumaciale; la sentenza quindi non è annullata, bensì viene eliminato il carattere di irrevocabilità. · restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna; essa è costruita sul modello predisposto per la sentenza contumaciale con i necessari adattamenti; ottenuta la restituzione l’imputato potrà proporre opposizione. Le norme procedurali sono comuni ai tre rimedi. Di regola decide sulla richiesta di restituzione quel giudice che procede al tempo della presentazione della stessa; ma ci sono delle eccezioni: - prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari - dopo che sono stati pronunciati sentenza o decreto di condanna, decide il giudice che sarebbe competente sulla impugnazione o sulla opposizione Per quanto riguarda i termini (previsti a pena di decadenza) - la richiesta di restituzione generica deve essere presentata al giudice competente entro 10 giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore - le richieste di restituzione specifica devono essere presentate al giudice competente entro 30 giorni da quello in cui l’imputato ha avuto conoscenza effettiva del provvedimento La restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento; l’ordinanza che concede la restituzione nel termine deve essere motivata; essa può essere impugnata non autonomamente, bensì soltanto con la sentenza che decide sulla impugnazione o sulla opposizione; al contrario l’ordinanza che respinge la richiesta è autonomamente impugnabile (contro di essa può essere proposto ricorso in cassazione) E. La nullità: La nullità è una causa di invalidità che colpisce un atto del procedimento compiuto senza l’osservanza di quelle disposizioni che sono imposte dalla legge appunto a pena di nullità; anche per la nullità vale il principio di tassatività: l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge (articolo 177) Sulla base delle modalità di previsione dell’inosservanza si distingue tra: - le nullità speciali sono quelle previste per una determinata inosservanza, precisata nella species (ad es. le inosservanze relative alla lingua degli atti del procedimento); - le nullità generali sono previste per ampie categorie di inosservanze e sono indicate nell’articolo 178 Art. 178. Nullità di ordine generale. È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; b) l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al PAGE \* MERGEFORMAT151 procedimento; c) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio, della persona offesa dal reato e del querelante. Per quanto riguarda il regime giuridico, le nullità si distinguono in tre tipi: Le nullità assolute sono quelle nullità generali indicate nell’articolo 179 come appunto nullità assolute; esse: - riguardano i soggetti necessari del procedimento - sono rilevabili anche d’ufficio - in ogni stato e grado del procedimento - sono insanabili (esse sono sanate dall’irrevocabilità della sentenza) L’articolo 179 indica quali fra nel nullità generali sono assolute (tuttavia vi possono essere delle nullità speciali che prevedono espressamente il regime giuridico nella nullità assoluta; ad es. alla deliberazione della sentenza concorrono a pena di nullità assoluta gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento); rientrano nella categoria delle nullità assolute: a) le violazioni delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice, intese nel senso di capacità generica all’esercizio della funzione giurisdizionale b) la violazione delle disposizioni concernenti il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario c) la violazione delle disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale; in tale nozione rientrano i vizi che si risolvono nel mancato promovimento dell’azione penale, ma può essere ricompreso anche l’invalido promovimento dell’azione penale esercitata in modo non conforme al modello legale d) l’omessa citazione dell’imputato; la citazione ricomprende il decreto di citazione a giudizio e la sua comunicazione all’imputato mediante notificazione: la loro omissione da luogo a nullità assoluta (mentre non comporta nullità assoluta qualsiasi vizio della notificazione oppure l’erronea valutazione del giudice sulla probabilità che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza del decreto) e) l’assenza del difensore dell’imputato nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza; la presenza del difensore dell’imputato è obbligatoria nelle udienza dibattimentali ed inoltre nelle altre occasioni nelle quali è prescritta espressamente (a pena di nullità assoluta è necessario in queste ipotesi l’avviso al difensore e se il difensore non è comparso deve essere nominato un sostituto) Le nullità intermedie sono quelle nullità generali che non sono ricomprese nell’articolo 179 fra quelle assolute (sono indicate nell’articolo 180 con l’espressione “altre nullità”); esse: - riguardano una sfera più ampia di soggetti - sono rilevabili anche d’ufficio - entro determinati limiti di tempo: se verificatesi prima del giudizio devono essere dedotte dalle parti entro la chiusura del dibattimento ovvero devono essere rilevate dal giudice al momento della deliberazione della sentenza di primo grado; se invece si sono verificate nel giudizio, non possono essere dedotte né rilevate dopo la sentenza del grado successivo - sono sanabili. Fra le nullità a regime intermedio rientrano: a) l’inosservanza delle disposizioni attinenti alla “partecipazione” del P.M.. al procedimento (quindi anche prima del processo); PAGE \* MERGEFORMAT151 b) l’inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Le nullità relative sono quelle nullità speciali che non rientrano tra quelle assolute e quelle intermedie; esse: - sono dichiarate dal giudice su eccezione della parte interessata (anche se poi singola disposizioni del codice prevedono la rilevabilità d’ufficio di determinate nullità speciali) - entro brevi limiti di tempo: le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare (quando manchi l’udienza preliminare devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio); le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti preliminari al dibattimento devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio; le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza. - sono sanabili. Il limite di deducibilità (istituto relativo alle nullità intermedie ed assolute) dà luogo ad un difetto di legittimazione della parte, di modo che quest’ultima trova un ostacolo ad eccepire la nullità; in particolare · le nullità intermedie e quelle relative non possono essere eccepite - da colui che vi ha dato o ha concorso a darvi causa; - da colui che non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. · quando una parte assiste ad un atto, la nullità dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se non è possibile, immediatamente dopo (quando la parte non assiste al compimento dell’atto valgono gli ordinari limiti temporali per eccepire e rilevare le nullità intermedie e relative La sanatoria (istituto anch’esso relativo alle nullità intermedie ed assolute) è quel fatto giuridico ulteriore e successivo rispetto all’atto viziato che affiancato a quest’ultimo lo rende equivalente all’atto valido; quindi la sanatoria, se si verifica, impedisce a qualsiasi parte di eccepire e al giudice di rilevare la nullità dell’atto; il codice distingue tra sanatorie generali e speciali. Le sanatorie generali si applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo (non si applicano alle nullità generali per espressa disposizione del 179 comma I); le cause di sanatoria generale sono le seguenti: - la nullità è sanata se la parte interessata a rinunciato espressamente ad eccepire la nullità ovvero ha accettato gli effetti dell’atto anche tacitamente (si tratta di una forma di acquiescenza tipizzata) - la nullità è sanata quando la parte si è avvalsa della facoltà. Al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato F. L’inutilizzabilità F 0 E 0 I. Profili generali: Il termine inutilizzabilità descrive due aspetti del medesimo fenomeno: da un lato il “vizio” da cui può essere affetto un atto o un documento, da un altro lato il “regime giuridico” al quale l’atto viziato è sottoposto; in questo senso l’inutilizzabilità è quel tipo di invalidità che colpisce non l’atto in se, ma il PAGE \* MERGEFORMAT151 dall’imputato è conforme al fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice, il giudice condanna; se il fatto storico non è conforme al fatto tipico, il giudice assolve l’imputato con una delle formule previste dal codice. Accertamento del fatto storico. All’inizio del processo il “fatto storico commesso dall’imputato” non è certo (l’accusa ne afferma l’esistenza e la difesa in tutto o in parte la nega) e deve quindi essere verificato mediante un accertamento basato su principi razionali; perché l’accertamento sia razionale deve avere le seguenti caratteristiche: 1) deve essere basato su prove; “provare” vuol dire indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto in un determinato modo. Tale fatto deve essere rappresentato al giudice mediante altri fatti; la prova è quel procedimento logico in base al quale da un fatto noto si deduce l’esistenza del fatto storico da provare e le modalità con le quali si è verificato 2) deve essere oggettivo; l’accertamento perché sia oggettivo non deve fondarsi sulla conoscenza privata del giudice, bensì su elementi esterni e cioè su prove 3) deve essere basato sui principi della logica; l’accertamento deve essere logico, cioè basato sui principi razionali che regolano la conoscenza; il giudice deve riportare nella motivazione il percorso logico che ha seguito nella ricostruzione del fatto storico. Individuazione della norma penale incriminatrice. Il giudice esamina la legge penale e ricava da essa il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice; il ragionamento svolto dal giudice è di tipo giuridico perché ha ad oggetto le disposizioni di legge e perché usa il metodo dell’interpretazione per chiarire il significato esatto della legge e per ricostruire il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. Giudizio di conformità. Il giudice valuta se il fatto storico ricostruito mediante prove è conforme al fatto tipico previsto e sanzionato dalla norma penale incriminatrice 3. Il ragionamento inferenziale F 0 E 0 prova ed indizio: Il termine prova può avere almeno quattro diversi significati: - fonte di prova sono le persone ce le cose che forniscono un elemento di prova, cioè le persone o le cose dalle quali possono essere tratte le informazioni utili per ricostruire il fatto di reato - mezzo di prova è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione (ad es. mezzo di prova è una testimonianza); - elemento di prova è l’informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova, quando ancora non è stata valutata dal giudice; - risultato probatorio è l’elemento di prova valutato in base ai criteri della credibilità e della attendibilità Si distingue tra prova rappresentativa ed indizio: · con il termine prova rappresentativa (definita anche prova storica) si fa riferimento a quel procedimento logico che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l’esistenza del fatto da provare; il giudice accertato il grado di credibilità della finte ed il grado di attendibilità della rappresentazione, valuta quanto della rappresentazione fornita è accettabile razionalmente · con il termine indizio (definito anche prova critica) si allude a quel procedimento (detto ragionamento inferenziale) mediante il quale, partendo da un fatto provato (la circostanza indiziante), si ricava, attraverso massime di esperienza o leggi scientifiche, l’esistenza di un fatto storico da provare, che può essere sia il fatto principale (il fatto storico addebitato all’imputato), sia un fatto secondario (un’altra circostanza indiziante) dal quale, con una ulteriore inferenza, si può ricavare l’esistenza del fatto PAGE \* MERGEFORMAT151 principale La massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi; più precisamente essa è una regola che è ricavabile da casi simili al fatto noto (circostanza indiziante); la massima di esperienza è una regola, cioè non appartiene al mondo dei fatti e di conseguenza dà luogo ad un giudizio di probabilità e non di certezza. Riteniamo che il meccanismo con cui è costruita la prova indiziaria (detta anche critica) debba essere configurato nel modo seguente: il giudice applica un ragionamento di tipo induttivo quando esamina casi simili e formula una regola di esperienza (cioè da casi particolari ricava l’esistenza di una regola generale); successivamente il giudice svolge un ragionamento deduttivo, cioè applica al caso in esame la regola generale che ha ricavato in precedenza. Anche le leggi scientifiche c.d. universali che appartengono al patrimonio conoscitivo comune dell’uomo medio possono essere usate dal giudice nel suo ragionamento sul fatto. Viceversa, in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina, i quali valuteranno quale legge della natura è applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le cause. Nel processo penale sono utilizzate anche leggi probabilistiche (ad esempio le leggi della scienza medica); non bisogna però confondere la probabilità statistica con la probabilità logica (denominata anche certezza processuale al di la del ragionevole dubbio), apprezzata dal giudice sulla base degli elementi di prova raccolti in un determinato processo. Le leggi scientifiche universali hanno la caratteristica della generalità (non ammettono eccezioni o comunque il margine di errore è esattamente conosciuto), della sperimentabilità (il fenomeno scientifico è riconducibile ad esperimenti misurabili quantitativamente) e della controllabilità (la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità di esperti); mentre le regole di comune esperienza sembrano essere carenti dei predetti caratteri: non sono generali perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni, non sono sperimentabili in quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile, non sono controllabili perché non ci sono tecnici del diritto in grado di seguire il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità; per questi motivi sia nella formulazione di una regola di esperienza, sia nella sua applicazione il giudice deve essere molto cauto. L’indizio comunque non è una prova minore, bensì una prova che deve essere verificata. Esso è idoneo ad accertare l’esistenza di un fatto storico di reato solo quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell’accaduto. Il principio è formulato nel 192.2: L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. - la gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è grave l’indizio resistente alle obiezioni. - gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni. - gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la medesima conclusione. Gli indizi devono essere gravi precisi e concordanti solo quando tendono a dimostrare l’esistenza di un fatto; viceversa se l’oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico operata nell’imputazione (ci si riferisce all’alibi), è sufficiente anche un solo indizio; naturalmente la circostanza indiziante su cui si basa l’alibi deve essere sottoposta al vaglio di attendibilità da parte del giudice come ogni altro elemento di prova. 4. Il procedimento probatorio e il diritto alla prova: Il procedimento probatorio è regolamentato dal codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell’ammissione, dell’assunzione e della valutazione della prova; i poteri in materia di prova risentono del principio della separazione dei poteri: - alle parti spetta esclusivamente il potere di ricerca e di domanda - al giudice spetta il potere di decidere l’ammissione e di emettere una valutazione sulle prove Tutti i poteri sono comunque regolati dalla legge, affinché i soggetti non ne abusino; in proposito si può affermare che esiste un vero e proprio “principio di legalità processuale in materia probatoria” PAGE \* MERGEFORMAT151 A. La ricerca della prova: La ricerca delle fonti di prova spetta alle parti: - in primo luogo al P.M.., sul quale incombe l’onere della prova, e cioè l’onere di convincere il giudice della reità dell’imputato; - successivamente spetta all’imputato, al fine di confutare le tesi dell’accusa, ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità dell’elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente. B. L’ammissione della prova: L’ammissione del singolo mezzo di prova, di regola, deve essere chiesta dalle parti al giudice (principio di dispositivo in materia probatoria); il giudice deve provvedere sulla richiesta di ammissione senza ritardo con ordinanza motivata; ciò significa che egli deve motivare le’eventuale rigetto della richiesta e soprattutto deve provvedere subito, senza poter riservarsi di decidere successivamente sull’ammissione (ciò perché le parti hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre). Il giudice decide di ammettere la prova in base a quattro criteri. 1) la prova deve essere pertinente, cioè essa deve tendere a dimostrare l’esistenza del fatto storico enunciato nell’imputazione o l’esistenza di uno dei fatti indicati nell’articolo 187 Oggetto della prova: “Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato” 2) la prova non deve essere vietata dalla legge 3) la prova non deve essere superflua, cioè non deve tendere ad ottenere un risultato conoscitivo già acquisito. 4) la prova deve essere rilevante, e cioè tale che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare. Il diritto alla prova contraria: ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall’accusa, l’imputato ha il diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; il medesimo diritto spetta al P.M.. in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico; quindi il codice prevede che la prova contraria sia sempre pertinente. Limiti al diritto all’ammissione della prova: il diritto di ottenere l’ammissione della prova di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa, delitti ad esso collegati o alcuni reati in materia di violenza sessuale e di pedofilia; se la persona che una parte vuole sentire in dibattimento ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio l’esame è ammesso soltanto in due casi: 1) se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni 2) se il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze Poteri di iniziativa probatoria del giudice: nella fase dell’ammissione della prova il giudice, di regola, non può assumere un mezzo di prova d’ufficio e ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti; la legge tuttavia prevede dei casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio, in deroga al principio dispositivo in materia probatoria; ad esempio nel corso del dibattimento il PAGE \* MERGEFORMAT151 La legge 46/2006 il Parlamento ha modificato l’articolo 533 comma I relativo alla sentenza di condanna e ha stabilito che il giudice pronuncia sentenza di condanna quando l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio; tale modifica si ripercuote sull’interpretazione della norma relativa alla sentenza di assoluzione, confermando l’interpretazione giurisprudenziale. L’aggettivo ragionevole significa comprensibile da una persona razionale e dunque oggettivabile attraverso una motivazione che faccia riferimento ad argomentazioni logiche, cioè che rispetti il principio della non contraddizione; quindi si può ritenere che: - l’accusa ha adempiuto all’onere della prova quando ogni differente spiegazione del fatto addebitato, basata sulle prove, appare non ragionevole - l’accusa non ha adempiuto all’onere della prova quando le risultanza processuali non sono idonee ad escludere una ragionevole ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa sulla base delle prove acquisite Circa la posizione dell’imputato, il dubbio va a favore dell’imputato anche quando questi abbia l’onere della prove, cioè quando egli deve convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole: infatti in base all’articolo 530 comma III “se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione”; quindi l’imputato avrà soddisfatto l’onere della prova e sarà prosciolto se, attraverso la prova delle scriminanti, avrà fatto sorgere nel giudice un dubbio ragionevole sulla propria reità. 8. Oralità, immediatezza e contradditorio: In prima approssimazione al termine oralità si può attribuire il significato di “comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole destinate ad essere udite”. Si ha oralità in senso pieno solo quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante. Il principio di immediatezza Il principio di immediatezza è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l’assunzione della prova e la decisione finale sull’imputazione: - da un lato si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con la fonte di prova - dall’altro si tende ad assicurare che vi sia identità fisica tra il giudice che assiste al’assunzione della prova e colui che prende la decisione di condanna o assoluzione Il principio del contraddittorio Il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova (Articolo 111.4 Cost. “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”) Eccezioni al contraddittorio: l’articolo 111.5 ha tipizzato le situazioni eccezionali nelle quali è possibile derogare al principio del contraddittorio: esso dichiara che La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. 10. Il giudice, lo storico e lo scienziato: PAGE \* MERGEFORMAT151 CAPITOLO IV F 0E 0 I mezzi di prova 1. Mezzi di prova tipici e atipici: Con l’espressione “mezzo di prova” si vuole indicare quello strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova. Il codice prevede sette mezzi di prova tipici, per i quali le modalità di assunzione sono predisposte in maniera tale da permettere al giudice ed alle altre parti di valutare nel modo migliore la credibilità della fonte e l’attendibilità dell’elemento di prova che si ricava dall’esperimento del singolo mezzo; pertanto i mezzi di prova tipi sono considerati dal codice idonei a permettere l’accertamento dei fatti; essi sono: - la testimonianza - l’esame delle parti - i confronti - le ricognizioni - gli esperimenti giudiziali - la perizia - i documenti. Il codice tuttavia non impone la tassatività dei mezzi di prova e a determinate condizioni prevede la possibilità di mezzi di prova atipici, cioè dei mezzi di prova aventi una componente non regolamentata dalla legge; in particolare l’articolo 189 stabilisce che la prova atipica può essere ammessa soltanto se presenta due requisiti: 1) deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, cioè deve essere in concreto capace di fornire elementi attendibili e di permettere una valutazione sulla credibilità della fonte di prova 2) deve assicurare la libertà morale della persona – fonte di prova, cioè deve lasciare integra la facoltà di determinarsi liberamente rispetto agli stimoli Inoltre occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione e sulle modalità di assunzione della prova; l’ordinanza del giudice che accoglie o respinge la richiesta è controllabile mediante l’impugnazione della sentenza. Configurabilità dei mezzi di ricerca della prova atipici: le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che è possibile configurare mezzi di ricerca della prova atipici e a tal fine occorre procedere ad una interpretazione adeguatrice dell’articolo 189: qualora si tratti di mezzi di ricerca della prova atipici, anziché configurare un contraddittorio anticipato sulla ammissione nel corso delle indagini preliminari si potrà svolgere un contraddittorio successivo sulla utilizzabilità degli elementi acquisiti. 2. La testimonianza F 0 E 0 A. Considerazioni preliminari: Testimoni e parti sono in grado di dare un rilevante contributo conoscitivo al processo penale; essi sono esaminati sui fatti che costituiscono oggetto di prova e cioè sulla responsabilità dell’imputato e sui fatti che servono a valutare la credibilità delle fonti e l’attendibilità degli elementi di prova. La loro deposizione avviene nella forma dell’esame incrociato, ma il codice distingue pone una netta PAGE \* MERGEFORMAT151 distinzione tra i due mezzi di prova: la testimonianza (art. 194 ss.) e l’esame delle parti (art. 208 ss.), distinzione che riguarda aspetti sia di diritto processuale, sia di diritto penale sostanziale: - il testimone ha l’obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità. - viceversa l’imputato, e più in generale le parti private, quando vengono esaminate ai sensi del 208 non hanno l’obbligo di presentarsi, né l’obbligo di rispondere alle domande, né l’obbligo di dire la verità. Infatti la qualità di testimone è di regola incompatibile con la qualità di parte privata e, in particolare, di imputato; un’eccezione è la parte civile, che può esser sentita come testimone coi relativi obblighi penali. Le altre parti private (responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) non possono essere chiamate a deporre come testimoni, né possono offrirsi spontaneamente in tale ruolo. La qualità di testimone la qualità di testimone può essere assunta dalla persona che ha conoscenza dei fatti oggetto di prova ma che al tempo stesso non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconduce l’incompatibilità a testimoniale; tale persona diventa testimone soltanto se e quando su richiesta di parte (o d’ufficio nei casi previsti) è chiamata a deporre davanti ad un giudice. Gli obblighi del testimone: il testimone ha i seguenti obblighi: · l’obbligo di presentarsi al giudice; se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo e può condannarlo al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa. · l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali; · l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte: se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza. Divieto probatorio circa le modalità di assunzione della prova dichiarativa Ex articolo 188 non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata (il divieto opera oggettivamente) metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione (tortura) o ad alterare la capacità di ricordare i fatti (narcoanalisi e l’ipnosi) o di valutare i fatti (macchina della verità); tale divieto se violato comporta l’invalidità dell’atto acquisitivo B. La deposizione F 0 E 0 oggetto e forma: La deposizione è resa in dibattimento. Forma della deposizione ® la deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Oggetto della deposizione ® il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. In particolare le domande devono: · essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. · avere ad oggetto “fatti determinati”; di conseguenza, il testimone di regola non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali (salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti) e non può deporre su voci correnti nel pubblico. Inoltre: - l’esame del testimone può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni - l’esame del testimone può avere ad oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti, sia dei testimoni - le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici. PAGE \* MERGEFORMAT151 colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza) A tali regole sono state poste due eccezioni: - gli imputati concorrenti nello stesso reato possono essere chiamati a rendere testimonianza quando nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento - gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole e gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento; inoltre essi divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell’interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui, cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi teleologicamente (in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui) Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell’intervista. E. Il privilegio contro l’autoincriminazione: Il codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell’esame; tuttavia può accadere che le parti, durante l’esame incrociato, formulino domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato: in una situazione del genere il codice tutela il testimone e stabilisce che egli non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (tuttavia alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l’obbligo di informarlo che può non rispondere, né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone); quindi quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare; si tratta di un divieto probatorio la cui violazione comporta l’inutilizzabilità del dato che è stato acquisito: se il giudice costringe il teste a deporre e successivamente si riconosce l’esistenza del privilegio, le dichiarazioni rese sono inutilizzabili. Ovviamente il testimone che oppone il privilegio deve dare una giustificazione allo stesso; il giudice valuta le giustificazione addotte e se le ritiene infondate può rinnovare al testimone l’avvertimento che ha l’obbligo di dire la verità; se il testimone ritiene di aver correttamente eccepito il privilegio, può persistere nel rifiuto ovvero dichiarare il falso. Il testimone quindi rischia che gli sia contestato il reato di falsa testimonianza; tuttavia se nel procedimento per falsa testimonianza si accerta che il soggetto effettivamente aveva il privilegio contro l’autoincriminazione, egli dovrà essere assolto. In ogni caso il testimone è libero se crede di rispondere alle domande autoincriminanti; nel caso in cui il testimone sceglie liberamente di rendere dichiarazioni contro se stesso il codice appresta una apposita regolamentazione: entra il gioco la norma sulla dichiarazioni indizianti rese davanti ad una autorità giudiziaria da una persona che non sia imputata o indagata, in base alla quale il giudice deve: - in primo luogo interrompere l’esame - in secondo luogo avvertire il soggetto che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte PAGE \* MERGEFORMAT151 indagini nei suoi confronti - invitare il soggetto a nominare un difensore F. Il testimone prossimo congiunto dell’imputato: I prossimi congiunti dell’imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni. Sono prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i prossimi congiunti non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole; sono assimilati ai prossimi congiunti: - colui che è legato all’imputato da vincoli di adozione - chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso - il coniuge separato dell’imputato - la persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell’imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione. Se l’avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa e l’eventuale reato di falsa testimonianza non è punibile. Nel caso in cui il prossimo congiunto decida di non astenersi e, quindi, deponga come testimone, egli va incontro all’obbligo di verità e non può più rifiutarsi di rispondere alle singole domande. Da precisare che i prossimi congiunti e i soggetti equiparati non possono astenersi e quindi sono obbligati a deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi od un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato. G. La violazione degli obblighi del testimone: Prima che inizi l’esame incrociato, il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale; il testimone legge la formula con la quale si impegna a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza; dopodiché è invitato a fornire le sue generalità e ha quindi inizio l’esame incrociato. Quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità (rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite), solo il giudice può rivolgergli l’ammonimento a rispettare l’obbligo di dire il vero (le parti non possono ammonire il testimone, ma possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere); ove il P.M.. non prenda un’immediata iniziativa (cioè non chieda subito copia del verbale d’udienza) il giudice potrà attivarsi soltanto alla fine del dibattimento; in particolare con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il P.M.. trasmettendogli i relativi atti. Quando il testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità; se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge. H. Il segreto professionale: Alcuni testimoni con determinate qualifiche di tipo privatistico hanno la facoltà di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la violazione dell’obbligo del segreto professionale; tali soggetti sono i c.d. “professionisti qualificati” espressamente indicati dall’articolo 200: il professionista “qualificato” può rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che lo induca a narrare un fatto segreto appreso per ragione del proprio ministero, ufficio o professione. Possono opporre il segreto professionale, quando sono sentiti in qualità di testimoni: PAGE \* MERGEFORMAT151 a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (cioè accaduto in relazione ai consulenti del lavoro, ai dipendenti dei servizi pubblici o privati convenzionati che si occupano del recupero dei tossico dipendenti, ai dottori commercialisti, ai ragionieri e periti commerciali, agli assistenti sociali iscritti all’albo professionale. Il segreto professionale è poi esteso ai giornalisti, con alcuni limiti: - esso può essere mantenuto relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell’esercizio della professione; - possono opporre questo segreto solo i giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale; - il giornalista è comunque obbligato ad indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia. Il professionista comune (non rientrante nelle categorie indicate nel 200) ha l’obbligo di deporre nel processo penale anche se al di fuori di questo è tenuto al segreto professionale; egli è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti dei quali è venuto a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato od ufficio quando ciò possa nuocere al cliente, ma deve rispondere secondo verità quando è sentito come testimone nel processo penale (giusta causa). Per “segreto” si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. I. Il segreto d’ufficio e di Stato; gli informatori di polizia: Il segreto d’ufficio vincola il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio e mantenere il segreto su alcune specie di notizie che concernono lo svolgimento del servizio pubblico; ad essi è imposto di non rispondere alle domande sui fatti coperti dal segreto, ma l’obbligo di astenersi viene meno quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio hanno l’obbligo di riferire all’autorità la notizia di reato (e cioè in sostanza quando hanno l’obbligo di denuncia); quindi tali soggetti non possono mantenere segreti sui quei fatti che concernono reati. Se il testimone (pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio) oppone il segreto d’ufficio, il giudice valuta se tale eccezione è fondata e ove non lo sia ordina al testimone di deporre. Una particolare specie di segreto d’ufficio è il segreto di Stato, che copre gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato; i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. Quando la persone che ha una delle predette qualifiche e che è sentita in qualità di testimone oppone l’esistenza del segreto di stato, l’autorità giudiziaria procedente (P.M.. o giudice) ha due obblighi: - deve informare il presidente del consiglio dei ministri, chiedendo l’eventuale conferma del segreto - deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto PAGE \* MERGEFORMAT151 verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altro imputato (collegato o connesso teleologicamente), da quel momento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitatamente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità. Stante la vaghezza del concetto di “fatti concernenti la responsabilità altrui”, in concreto il discrimine tra l’area degli obblighi testimoniali e l’area coperta dai privilegi riconosciuti dall’articolo 210 deve essere individuato dal giudice di volta in volta. F. Il riscontro delle dichiarazioni rese dall’imputato connesso o collegato: Il codice pone un obbligo di riscontro come condizione per valutare le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato, dall’imputato di un procedimento connesso teleologicamente o collegato e dal testimone assistito; il codice di esprime in questo modo “le dichiarazioni…sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”; quindi non occorre che gli elementi di prova siano tali da permettere di provare da soli il fatti affermato, ma è sufficiente che gli altri elementi di prova siano tali da permettere semplicemente di affermare l’attendibilità del dichiarante. Da sottolineare che il codice pone questo obbligo di riscontro senza pero eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; infatti non afferma che se il riscontro ha esito positivo, il fatto affermato deve ritenersi vero. Il codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto altri elementi di prova; da ciò si ricava ch’egli elementi devono essere esterni o estrinseci rispetto alla dichiarazione stessa; tuttavia la giurisprudenza ha ragionato in questo modo: se si è imposto il più (cioè il riscontro esterno o estrinseco), si è dato per scontato che debba essere fatto il meno (riscontro interno o intrinseco alla medesima dichiarazione); quindi in primo luogo la dichiarazione deve essere valutata al sua interno al fine di valutare se essa è precisa, coerente in se stessa, costante e spontanea. G. La testimonianza assistita: Quando è sentito eccezionalmente in qualità di testimone, l’imputato è assistito obbligatoriamente dal proprio difensore di fiducia (o d’ufficio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. Il legislatore ha introdotto due categorie di testimonianza assistita: 1) La testimonianza assistita dell’imputato giudicato, che scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile (di proscioglimento di condanna o di patteggiamento) il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo: l’imputato giudicato può essere “sempre” chiamato come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l’avviso previsto dal 64.3 lett. c). L’imputato connesso o collegato giudicato è testimone “permanete”, in quanto l’obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni ed egli potrà essere esaminato anche su fatti ulteriori rispetto a quelli già dichiarati ed anche sul fatto proprio. Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l’autoincriminazione, in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso. Viceversa, il testimone assistito “giudicato” di regola non gode di alcun privilegio contro l’autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile, a meno che nel procedimento originario abbia negato la propria responsabilità o non abbia reso alcuna dichiarazione. A seguito della sentenza 381/2006 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali i commi 3 e 6 dell’articolo 197 – bis, l’imputato, assolto con sentenza irrevocabile per non aver PAGE \* MERGEFORMAT151 commesso il fatto deve essere esaminato quale testimone senza l’assistenza di un difensore e senza che sia indispensabile acquisire un riscontro esterno. 2) La testimonianza assistita dell’imputato prima della sentenza irrevocabile, che opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso teleologicamente: affinché scatti l’obbligo di deporre come testimone è necessario: - in primo luogo che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l’ufficio di testimone; - in secondo luogo, una volta avvertito, l’imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. L’imputato collegato o connesso teleologicamente prende l’impegnativa di deporre secondo verità, sia pure limitatamente al fatto altrui già dichiarato; per fatto altrui si deve intendere un fatto che concerne la responsabilità di altri per un reato connesso teleologicamente o collegato con quello addebitato al dichiarante. Anche qui il testimone assistito può non rispondere sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede; ma poiché l’obbligo testimoniale è limitato ai fatto altrui già dichiarati, l’unico caso in cui l’escussione del teste assistito può inerire la propria responsabilità è l’ipotesi in cui la precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili; quindi quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere si estende inevitabilmente anche al fatto altrui, ma se il teste assistito decide di rispondere, egli ha un obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (in sostanza perde la facoltà di mentire). Disposizioni comuni alle due ipotesi: - Le dichiarazioni dei teste assistiti sono utilizzabili solo in presenza di riscontri che ne confermino l’attendibilità (gli imputati connessi o collegati sono ritenuti poco affidabili). - Le dichiarazioni rese da coloro che depongono come testimoni assistiti non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto o ggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. La deposizione degli indagati connessi o collegati oggetto archiviazione o di non luogo a procedere Gli imputati concorrenti, gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole e gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento; tale norma non menziona né l’archiviazione né la sentenza di non luogo a procedere, quindi per quagli indagati nei confronti dei quali sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede valgono le regole generali sulla prova dichiarativa; ne deriva che: - gli imputati connessi per concorso nel medesimo reato, che siano stati oggetto di archiviazione o sentenza di non luogo a procedere sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste e sono esaminati ai sensi dell’articolo 210 comma I - gli indagati collegati o connessi teleologici, che siano stati oggetto di archiviazioni o sentenza di non luogo a procedere, sono sentiti come testimoni assistiti se hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui precedute da rituale avvertimento; in caso contrario essi sono esaminati ai sensi dell’articolo 210 comma I PAGE \* MERGEFORMAT151 4. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali F 0 E 0 A. Considerazioni preliminari: Questi mezzi di prova hanno una caratteristica comune: nella fase di assunzione esiste un vero e proprio potere di direzione spettante al giudice e rispetto a tali atti le parti hanno un ruolo marginale 8si limitano a controllare che l’atto si svolga in modo regolare, in particolare non possono procedere ad esame incrociato nello svolgimento del singolo atto. B. Il confronto: Il confronto consiste nell’esame congiunto di due persone (testimoni o parti) che siano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti; per poter ammettere questo mezzo di prova devono sussistere quindi due presupposti: - esistenza di un disaccordo tra due o più persone su fatti e circostanze importanti - che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate; protagonisti quindi possono essere sia imputati (o indagati), sia testimoni, sia altre parti private e il confronto può realizzarsi fra soggetti in posizione processuale omogenea o eterogenea Momento in cui può essere disposto il confronto: nella fase delle indagini preliminari, quando si siano già raccolte dichiarazioni; in udienza preliminare; in dibattimento; in appello; nel giudizio di rinvio; nel giudizio di revisione Il confronto di regola è richiesto dalle parti ma in dibattimento può anche essere disposto dal giudice. I caratteri della pertinenza e della rilevanza sono legati ai presupposti di ammissibilità: - il confronto non è manifestamente irrilevante quando vi è un disaccordo fra dichiaranti - il confronto è pertinente quando il disaccordo verte su fatti e circostanze importanti, e cioè oggetto di prova ai sensi dell’articolo 187 Modalità di svolgimento: il giudice richiama ai soggetti le precedenti dichiarazioni discordanti e chiede se le confermano; ove il disaccordo persista li invita a contestare reciprocamente le dichiarazioni contrastanti. Tutto ciò che avviene durante il confronto deve essere verbalizzato, in particolare deve anche essere annotato il contegno dei partecipanti. C. La ricognizione: La ricognizione è il mezzo di prova mediante il quale ad una persona che abbia percepito coi propri sensi una persona o una cosa si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. L’atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell’incidente probatorio e si svolge nel rispetto del contraddittorio. Accertamenti sull’attendibilità: il giudice invita chi deve eseguire la ricognizione (c.d. ricognitore) a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi: a) se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento b) se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere c) se la stessa gli sia stata indicata o descritta d) se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento PAGE \* MERGEFORMAT151 - se l’esperto è qualificato - se lo strumento è comprensibile, perché il giudice e le parti devono poterlo dominare B. La perizia: La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto; essa è infatti disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche; sono quindi tre le sue funzioni: 1) svolgere indagini per acquisire dati probatori 2) acquisire dati probatori selezionandoli e interpretandoli 3) acquisire valutazioni sui dati assunti La perizia non è l’unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate: esiste anche la consulenza tecnica di parte entro e fuori dei casi di perizia: sia il P.M.. sia le parti private possono avvalersi dell’opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari. Quindi il giudice si trova di fronte ad una alternativa: - utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte ovvero - disporre una perizia. La perizia si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell’incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste (tuttavia ogni potere decisionale e valutativo compete unicamente al perito) L’ammissione della perizia Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte; può essere però disposta d’ufficio nel dibattimento. Durante le indagini preliminari la perizia può essere svolta nella forma dell’incidente probatorio e quindi soltanto a richiesta di parte (P.M.. o indagato); essa è disposta dal giudice per le indagini preliminari: - quando la persona, le cose o i luoghi da esaminare sono soggetti a modificazione non evitabile - quando si prevede che la perizia durerà più di sessanta giorni - quando l’accertamento tecnico determina esso stesso modificazioni delle cose o delle persone tali da rendere l’atto non ripetibile La scelta del perito Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: tra gli iscritti negli appositi albi o (al di fuori di tali albi) tra persone fornite di particolare competenza (sulla quale dovrà dare congrua motivazione). Sono previste situazioni di incompatibilità, simili a quelle previste per il giudice; in particolare non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità: - il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; - chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte; - chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione; - chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete; - chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. PAGE \* MERGEFORMAT151 Il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che sussista una dei motivi di astensione dell’art. 36. Il conferimento dell’incarico Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità; la formulazione dei quesiti spetta al giudice, ma con la più ampia garanzia del contraddittorio: il giudice sentite le parti presenti (il perito, le parti e i loro consulenti tecnici) formula i quesiti. Da questo momento i consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini. L’attività del perito Una volta che il giudice ha precisato i quesiti il perito gode di propri poteri di direzione e di impulso; tuttavia egli resta sotto il controllo del giudice sia nel momento in cui prende contatto con il materiale probatorio, sia quando occorre risolvere questioni relative ai propri poteri; in particolare: - il perito può prendere visione del materiale probatorio, ma può conoscere solo gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento (viceversa il consulente di parte può leggere gli atti del fascicolo del P.M..) - il giudice può autorizzare il perito ad assistere all’esame delle parti o all’assunzione di prove - il perito può chiedere notizie all’imputato, all’offeso e ad altre persone informate, con il limite che gli elementi acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale - il giudice ha il potere di adottare tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali La relazione peritale Il prodotto finale di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito (di regola) svolge oralmente ovvero (eccezionalmente, su autorizzazione del giudice) formula per iscritto; dopo aver svolto la relazione orale ovvero dopo aver presentato la relazione scritta, il perito è sottoposto all’esame incrociato su richiesta di parte. Al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, il giudice non è vincolato dalla perizia: può disattenderne le conclusioni dando adeguata motivazione del proprio dissenso. Il divieto di perizia criminologica Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche; in definitiva sono ammesse sull’imputato soltanto quelle perizie che tendono ad accertare una malattia mentale. Il divieto di accertamento corporale coattivo Alla sentenza 238/1996 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 224 comma II nella parte in cui la disposizione non prevede i casi e i modi nel quali il giudice può ordinare coattivamente misure che comunque incidano sulla libertà personale dell’imputato o dell’indagato o di terzi idonee a consentire lo svolgimento della perizia, non ha avuto seguito un intervento legislativo in tal senso. Di conseguenza oggi, nonostante che l’esigenza di acquisire una prova di un reato costituisca un valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità, il prelievo ematico può essere disposto soltanto su consenso dell’interessato. In base alla sentenza l’accertamento corporale può essere disposto in modo coattivo soltanto in presenza di alcuni requisiti di forma e di sostanza: PAGE \* MERGEFORMAT151 - dal punto di vista formale occorre che la legge indichi i casi ed i modi dell’accertamento (riserva di legge c.d. rinforzata) ed è necessario che un giudice autorizzi l’accertamento stesso (riserva di giurisdizione) - dal punto di vista sostanziale l’accertamento non deve violare la dignità della persona umana né porre in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute dell’interessato C. Il consulente tecnico di parte: Le parti possono nominare consulenti tecnici: - in relazione ad una perizia già disposta (articolo 225); disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti; i consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell'incarico al perito e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale; possono poi partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione. - per contrastare il risultato di una perizia già svolta; se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia. - al di fuori della perizia (articolo 233) L’oggetto della consulenza tecnica di parte è identico a quella della perizia: svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche Sono richiamate le incompatibilità previste per il perito. Il perito svolge indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice; gli esiti delle operazioni tecniche sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale. Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in un parere esposto oralmente o in memorie. Identico è lo strumento col quale il perito ed il consulente tecnico sono sentiti in dibattimento: essi sono sottoposti all’esame incrociato, che si svolge in forme simili a quelle con le quali è escusso il testimone. A differenza del perito, che assume l’obbligo penalmente sanzionato di far conoscere la verità, nessun obbligo del genere è previsto dal codice per il consulente di parte. Il consulente tecnico della parte privata e il consulente tecnico del P.M.. fuori dalla perizia. Il codice detta una regolamentazione unitaria della consulenza di parte al di fuori della perizia (cioè quando il giudice non ha disposto la perizia), alla quale sfugge soltanto il consulente del P.M.. limitatamente alla fase delle indagini preliminari. Il consulente nominato da una parte provata può: - svolgere investigazioni difensive per riconoscere ed individuare elementi di prova; - conferire con le persone che possono dare informazioni; - visionare, previa autorizzazione, il materiale che l’autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro Di regola gli elementi di prova, che siano stati raccolti, possono essere prodotti o meno dalla parte privata in dibattimento; essi devono necessariamente esser prodotti ed entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento qualora si tratti di accertamenti tecnici non ripetibili. Circa il consulente tecnico del P.M.., la differenza rispetto a quello di parte sta nell’interesse che muove l’attività del P.M..: l’obbligo spettante al P.M.. di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato deve intendersi riferito al consulente tecnico nominato dalla parte pubblica. Poi nella sola fase delle indagini preliminari il P.M.. può nominare consulenti tecnici in base ad una normativa che costituisce una specificazione del 233. I risultati delle consulenze devono essere inseriti nel fascicolo delle indagini. 6. La prova documentale F 0 E 0 PAGE \* MERGEFORMAT151 modificazioni. Se necessario l’ispezione si svolge con l’impiego di poteri coercitivi: sia il giudice che il P.M.. possono chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica. L’ispezione personale Prima di procedere all’ispezione personale l’interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell’articolo 120. L’ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. L’ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso l’autorità giudiziaria può astenersi dall’assistere alle operazioni. L’ispezione di luoghi o di cose All’imputato e in ogni caso a chi abbia l’attuale disponibilità del luogo in cui è eseguita l’ispezione è consegnata, nell’atto di iniziare le operazioni e sempre che essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento. Nel procedere all’ispezione dei luoghi, l’autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore. L’ispezione è disposta con decreto motivato: nel corso dell’udienza preliminare o dibattimentale l’ispezione è disposta dal giudice durante le indagini preliminari l’ispezione è disposta di regola dal P.M.., che può delegare la polizia giudiziaria; è compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di “accertamenti e rilievi” (rilievi sulle perone che sono diversi dall’ispezione personale). Quando il P.M.. procede ad ispezione personale, il difensore dell’indagato deve essere preavvisato almeno 24 ore prima; tuttavia nei casi di assoluta urgenza: - quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione della prova, il P.M.. può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo - se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate, il P.M.. può procedere prima del termine fissato anche senza darne avviso E’ fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di intervenire. Inoltre quando omette l’avviso o procede prima del termine, il P.M.. deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell’avviso. 3. Le perquisizioni: La perquisizione consiste nel ricercare una cosa da assicurare al procedimento o una persona da arrestare; in particolare: · la perquisizione personale è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona (cioè le cose che hanno la funzione di provare il reato o la responsabilità del suo autore) · la perquisizione locale è disposta Quando vi è fondato motivo di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso · la perquisizione informatica è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza; devono essere adottate misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione Nel compiere una perquisizione devono essere osservate alcune formalità a tutela dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione: PAGE \* MERGEFORMAT151 - se deve essere eseguita la perquisizione di una persona, occorre consegnare a questa una copia del decreto con l’avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché prontamente reperibile ed almeno quattordicenne - se deve essere eseguita la perquisizione di un luogo, va consegnata copia del decreto all’interessato ed a colui che abbia la disponibilità del luogo, se costoro sono presenti. Ad essi deve essere dato avviso della facoltà di farsi assistere o rappresentare da una persona di fiducia, alle solite condizioni che questa sia prontamente reperibile ed idonea. Le cose rinvenute nel corso della perquisizione, se costituiscono corpo del reato o sono pertinenti al reato sono sottoposte a sequestro; se nel corso della perquisizione si trova la persona ricercata, si da esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare o ai provvedimento di arresto e di fermo. La ricerca di una cosa determinata: quando si cerca una cosa determinata l’autorità giudiziaria può limitarsi ad invitare taluno a consegnare la cosa: se l’invito è accolto non si fa luogo a perquisizione, salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini. La perquisizione è disposta dall’autorità giudiziaria (cioè dal giudice o dal P.M..) con decreto motivato: - nel corso dell’udienza preliminare o dibattimentale la perquisizione è disposta dal giudice - nel corso delle indagini preliminari la perquisizione è ordinata dal P.M.., che vi provvede personalmente o delegandola ad un ufficiale di polizia giudiziaria; la polizia giudiziaria può procedere di sua iniziativa a perquisizione personale o locale, ma solo in flagranza di reato o nel caso di evasione; la polizia giudiziaria deve trasmettere il verbale delle operazioni senza ritardo al P.M.. del luogo nel quale la perquisizione è stata eseguita e la pubblica accusa convalida la perquisizione nelle 48 ore successive, se ne ricorrono i presupposti 4. Il sequestro probatorio: Il codice prevede tre distinte forme di sequestro: il sequestro probatorio, il sequestro preventivo ed il sequestro conservativo: il primo è un mezzo di ricerca della prova, gli altri due sono misure cautelari; comune ai tre tipi di sequestro è la caratteristica di creare un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile od immobile, attraverso uno spossessamento coattivo. Il sequestro probatorio consiste nell’assicurare una cosa mobile o immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima (il vincolo di indisponibilità serve per conservare immutate le caratteristiche della cosa, al fine dell’accertamento dei fatti); devono sussistere due requisisti: - requisito naturalistico: è necessario che vi sia un bene materiale - requisito giuridico: occorre che si tratti del corpo del reato o di una cosa pertinente al reato e, soprattutto, che la cosa sia necessaria per l’accertamento dei fatti. Il sequestro è mantenuto fin quando sussistono le esigenze probatorie; il limite massimo è la sentenza irrevocabile, dopodiché la cosa deve essere restituita, salvo che ne sia stata ordinata la confisca. Il sequestro è disposto dall’autorità giudiziaria con decreto motivato; al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto - nel corso del dibattimento il sequestro probatorio è disposto dal giudice. - nel corso delle indagini preliminari il decreto è emanato, di regola, dal P.M..; la polizia giudiziaria, se vi è fondato pericolo nel ritardo e il P.M.. non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, essa effettua il sequestro; il relativo verbale è trasmesso PAGE \* MERGEFORMAT151 entro 48 ore al P.M.. del luogo dove il sequestro è stato eseguito, il quale, nelle 48 ore successive, convalida il sequestro con decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti Quando si contesta la legittimità o il merito del provvedimento di sequestro, contro il decreto di sequestro (ovvero il decreto di convalida) l’indagato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, sulla quale decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Quando invece sorge la questione sulla necessita di mantenere o meno il sequestro (in quanto si discute se questo è ancora utile a fini probatori), durante le indagini preliminari la persona interessata può presentare al P.M.. richiesta motivata di restituzione della cosa sequestrata; il P.M.. decide con decreto motivato, contro il quale l’interessato può presentare opposizione al giudice per le indagini preliminari, che provvede in camera di consiglio; è possibile infine impugnare il provvedimento del giudice con ricorso per cassazione ex articolo 127 comma VII. La cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria; quando ciò non è possibile o non è opportuno, l’autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell’articolo 120. 5. Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni F 0 E 0 A. La nozione di intercettazione: Per intercettazione si intende quell’attività che si effettua mediante strumenti tecnici di percezione e che tende a captare il contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l’apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza. L’intercettazione può avere ad oggetto sia le conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazione, sia il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici i telematici ovvero intercorrente tra più sistemi. Differiscono dalle intercettazioni perché non hanno per oggetto una comunicazione: - il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare GPS, che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica - l’acquisizione di tabulati del traffico telefonico B. I requisiti per disporre le intercettazioni: L’articolo 15 della Costituzione tutela la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, segretezza la cui violazione è ammessa soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (riserva di legge e riserva di giurisdizione); di conseguenza le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni sono ammesse con molti limiti: - le intercettazioni possono essere disposte in procedimenti relativi ai soli reati previsti nell’articolo 266 - l’intercettazione di comunicazioni tra presenti (da parte di una persona non presente) è ammessa di regola fuori del domicilio privato; in via eccezionale l’intercettazione di comunicazioni tra presenti è consentita anche nel domicilio privato se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa - devono essere autorizzate dal giudice su richiesta del P.M.. - sono ammesse solo quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini - sono previsti divieti di utilizzazione e garanzie in favore dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari (ad esempio è vietata l’intercettazione relativa a comunicazioni dei difensori o a comunicazioni tra i medesimi e le persone da loro assistite PAGE \* MERGEFORMAT151 finale del giudice; da tale caratteristica derivano due corollari: - in primo luogo, il provvedimento cautelare mantiene la sua esecutività fino a che non sia divenuta esecutiva la sentenza definitiva; - in secondo luogo, il provvedimento cautelare è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva. 6) previsione per legge: la Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle libertà personale e domiciliare (articoli 13 e 14 Cost.), si tratta dei principi di riserva di legge e di passività; 7) giurisdizionalità: le misure cautelari sono disposte con un provvedimento emanato dal giudice, perciò di regola il P.M.. e la polizia giudiziaria non hanno il potere di disporre misure cautelari; tuttavia la riserva di giurisdizione non è assoluta: infatti sia la Costituzione (articolo 13.3) sia il codice ammettono che i provvedimenti temporanei possano esser disposti dal P.M.. e dalla polizia giudiziaria; tali provvedimenti sono definiti “precautelari”: essi devono essere sottoposti a convalida da parte del giudice entro un tempo predeterminato, altrimenti l’indagato deve essere rimesso in libertà; 8) impugnabilità: nei confronti dei provvedimenti cautelari è possibile presentare impugnazione. La Costituzione (111.7) impone al legislatore, quanto meno, il ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutti i provvedimenti che comportano una limitazione della libertà personale. Il codice ha esteso questa garanzia perché ha previsto per tutti i provvedimenti cautelari anche un’impugnazione di merito, e cioè l’appello od il riesame. Il codice prevede varie CATEGORIE DI MISURE CAUTELARI: Le misure personali comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali; esse si dividono in tre ulteriori categorie: 1) misure coercitive: · obbligatorie: - divieto di espatrio, che impone all’imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l’autorizzazione del giudice - obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, che impone all’imputato di presentarsi preso gli uffici della polizia giudiziaria nei giorni e nelle ore indicati dal giudice - allontanamento dalla casa familiare, che impone all’imputato di lasciare subito la casa familiare ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza autorizzazione - divieto di dimora, che impone all’imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice - obbligo di dimora, che impone all’imputato di non allontanarsi, senza l’autorizzazione del giudice, da un comune o da una sua frazione · custodiali: esse comportano per l’imputato una situazione di custodia, dalla quale derivano due conseguenze: quella negativa consiste nella configurabilità del delitto di evasione, ove l’imputato si allontani dal luogo di custodia; quella positiva sta nel fatto che il periodo trascorso in custodia sarà computato come esecuzione della pena detentiva, nel caso in cui questa debba essere eseguita in seguito a condanna: - arresto domiciliare, che impone all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza; si possono PAGE \* MERGEFORMAT151 aggiungere limiti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano; è poi possibile un’attenuazione della misura - custodia in carcere; con il relativo provvedimento il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto di custodia a disposizione dell’autorità giudiziaria - custodia in luogo di cura; se l’imputato necessita di cure specialistiche che non possono essere fatte in un luogo di detenzione, il giudice ne dispone la custodia cautelare in un luogo di cura; se la malattia è un infermità mentale e l’imputato non è socialmente pericoloso, il giudice dispone il ricovero presso il servizio psichiatrico ospedaliero 8cioè in un centro di igiene mentale); se invece l’imputato è socialmente pericoloso (cioè può commettere nuovi reati) il giudice deve disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (se l’infermità è totale) o in una casa di cura e custodia (se l’infermità è parziale) 2) misure interdittive: consistono nell’applicazione provvisoria a scopo cautelare di determinati divieti. Sono previsti tre tipi di misure interdittive che il giudice può adattare alle particolarità del caso concreto su richiesta del P.M..: - la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, - la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio - il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese 3) misure di sicurezza applicate provvisoriamente a titolo di provvedimento cautelare; la persona nei cui confronti è applicata provvisoriamente la misura di sicurezza è un soggetto ritenuto incapace di intendere e volere al momento del fatto; egli è ricoverato (in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia) in attesa di una sentenza che lo dichiarerà non punibile per infermità totale o parziale; per la loro applicazione occorre che siano presenti i seguenti presupposti: - gravi indizi di commissione del fatto; - che l’imputato sia socialmente pericoloso (probabilità di commissione di reati); - che non siano applicabili in concreto le cause di giustificazione di non punibilità o di esenzione del reato Le misure reali toccano singoli beni mobili o immobili ed impongono il divieto di disporre di tali beni; il codice prevede: - il sequestro conservativo è posto a tutela della garanzia del pagamento delle somme dovute, tra l’altro, per le spese del procedimento penale o per i danni cagionati dal reato; - il sequestro preventivo è posto al fine di evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato. 2. Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali F 0 E 0 A. La riserva di legge e giurisdizione: La Costituzione permette la restrizione della libertà personale solo nei casi e modi previsti dalla legge solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria (articolo 13.2: Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge). La riserva di giurisdizione è attuata dell’articolo la riserva di legge è attuata dall’articolo 272 il quale 279 del codice, secondo cui sull’applicazione, afferma che le libertà della persona possono essere PAGE \* MERGEFORMAT151 revoca o modifica delle misure cautelari provvede limitate con misure cautelari soltanto a norma delle il giudice che procede; infatti le misure cautelari delle disposizioni del presente titolo (titolo I libro IV) possono essere soltanto richieste dal P.M.. Poiché il giudice deve motivare il suo provvedimento, ne deriva che il P.M.. ha l’onere di convincerlo che sussistono in concreto i presupposti che fondano la singola misura; dopo che la misura coercitiva è stata eseguita (o notificata), l’imputato ha diritto di essere sentito dal giudice in un interrogatorio definito “di garanzia”, in cui il difensore ha la possibilità di conoscere la richiesta del P.M.. e gli atti che quest’ultimo ha presentato al giudice. Quindi le misura cautelari sono applicate inaudita altera parte: per cui il contraddittorio è posticipato al un momento successivo all’applicazione della misura. I presupposti che consentono di disporre le misure cautelari sono suddivisi nelle seguenti categorie: B. Condizioni generali di applicabilità: · una determinata gravità del delitto addebitato all’imputato Non sono applicabili le misure coercitive ed interdittive nei procedimenti per le “contravvenzioni” (si possono solo adottare misure cautelari reali). Inoltre non si possono applicare misure coercitive ed interdittive al di sotto di una soglia minima di gravità del delitto addebitato; tale soglia fa riferimento alla pena detenuta stabilita del massimo per il delitto; il codice distingue tre fondamentali categorie di delitti: - nella prima categoria rientrano i delitti punibili con la reclusione fino a tre anni, per i quali di regola nessuna misura cautelare personale può essere disposta - nella seconda categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione superiore a tre anni, ma inferiore a quattro, per i quali sono applicabili le misure coercitive diverse dalla custodia in carcere - nella terza categorie rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione di almeno quattro anni o con l’ergastolo, per i quali è applicabili anche la misura della custodia in carcere · la presenza di gravi indizi di reità; il termine indizio qui comprende sia le prova logiche che quelle rappresentative e quindi indica un elemento acquisito durante le indagini a prescindere dalla sua natura di prova rappresentativa o logica; ovviamente, poiché in genere le misure cautelare vengono applicate nella fase delle indagini preliminari, si tratta di una base probatoria provvisoria, in attesa di ricevere una piena conferma attraverso il contraddittorio dibattimentale; il giudice quindi deve formulare il giudizio prognostico concernente la probabilità che si pervenga alla condanna sugli elementi esistenti “allo stati degli atti”, i quali (in ragione del principio della presunzione di innocenza) devono prospettare come molto probabile la reità dell’indagato. · la punibilità in concreto del delitto: nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata. Passando alle esigenze cautelari, le misure personali possono essere applicate solo quando esiste in concreto almeno una delle esigenze cautelari indicate tassativamente dal 274, cioè: · il pericolo di inquinamento della prova: il P.M.. deve dimostrare che vi sono in concreto situazioni di attuale pericolo sia per l’acquisizione della prova (pericolo di occultamento), sia per l’acquisizione in modo genuino (pericolo di alterazione); la situazioni di pericolo deve essere fondata su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità · il pericolo di fuga: questa esigenza ricorre quando l’imputato di è dato alla fuga o vi è in concreto il pericolo che si dia alla fuga; occorre tuttavia che il giudice ritenga possibile che all’imputato possa essere irrogata con la sentenza una pena superiore a due anni di reclusione; PAGE \* MERGEFORMAT151
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