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Costituzione Italiana: Principio di Legalità, Potere Legislativo e Referendum Abrogativo, Appunti di Diritto Pubblico

Una panoramica della Costituzione Italiana in merito al principio di legalità, al potere legislativo e al referendum abrogativo. Viene spiegata la distinzione tra legge formale e legge ordinaria, il ruolo del Governo nella presentazione di disegni di legge e la procedura per il referendum abrogativo. Inoltre, vengono illustrate le riserve di legge e la distinzione tra legge e regolamento europeo.

Tipologia: Appunti

2013/2014

Caricato il 03/02/2022

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Scarica Costituzione Italiana: Principio di Legalità, Potere Legislativo e Referendum Abrogativo e più Appunti in PDF di Diritto Pubblico solo su Docsity! Diritto pubblico LE FONTI DEL DIRITTO Le fonti del diritto sono tutti gli atti o fatti idonei a produrre norme giuridiche che hanno il carattere della generalità, dell'astrattezza e dell'innovazione. Occorre distinguere da un lato le fonti di produzione giuridica, fonti che pongono in essere nuove regole di comportamento o regole di organizzazione che tutti devono rispettare, e dall'altro, le fonti sulla produzione giuridica, che sono meccanismi (organi e procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione. Ad esempio, una fonte di produzione è la legge che obbliga tutti a pagare una certa imposta in ragione di una determinata aliquota per scaglione di reddito mentre la fonte sulla produzione è quella che prevede come debba essere approvata quella legge (quindi con che procedura, quali maggioranze, controlli ecc). A queste tipologie di fonti se ne affianca un'altra che completa il quadro introduttivo sulle fonti: le fonti di cognizione. Le fonti di cognizione sono tutti quei supporti (normalmente scritti), attraverso i quali si rendono conoscibili le fonti di produzione; esse rappresentano soltanto degli strumenti volti a rendere pubblici gli atti normativi in modo che tutti li possano conoscere. Sono fonti di cognizione la Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica o la Gazzetta Ufficiale. Il settore delle fonti di cognizione è quello che risente maggiormente dell'evoluzione delle fonti di comunicazione. Uno degli aspetti innovativi sono i cosiddetti testi unici, testi che raccolgono una serie di fonti di produzione in vigore con lo scopo di riunirle in un solo documento. I testi unici possono essere semplici mezzi di conoscenza delle norme in vigore oppure possono introdurre innovazioni. Nel primo caso si parla di testi unici meramente compilativi perché si limitano a raccogliere in un unico testo l'insieme delle disposizioni vigenti su un medesimo oggetto (senza innovazioni); nel secondo caso, si parla di testi unici normativi (o innovativi) perché il loro fine non è solo quello di agevolare la conoscenza delle norme ma provvedono anche ad introdurre nuove disposizioni o a modificare quelle esistenti. Il procedimento di formazione dei testi unici è quello dei decreti legislativi: vengono, quindi, approvati dal Governo sulla base di una legge delega del Parlamento secondo quanto previsto dall'art. 76. Esistono vari modi per classificare le fonti normative: sulla base del soggetto che le produce, del tipo di contenuto, degli effetti ecc. Una regola può nascere perché è lo stesso destinatario (o gli stessi soggetti destinatari) a porla ed in questo caso si parla di fonti autonome. In quest'area vanno collocate due grandi famiglie di fonti: da un lato, quelle convenzionali cioè quelle in cui le regole nascono da un accordo reciproco tra i diversi destinatari, a livello “micro” da un contratto e a livello “macro” dai trattati internazionali; dall'altro, le fonti di autoregolamentazione, quelle in cui le regole sono adottate in forma di codici di autoregolamentazione. Le regole, però, al contrario, possono anche essere prodotte da meccanismi (istituzioni) esterni alla volontà dei destinatari e in tal caso si parla di fonti eteronome. Atti e fatti normativi In base all'elemento della volontarietà si distinguono: le fonti-atto e le fonti-fatto. Per fonti-atto si intendono quelle fonti di produzione del diritto che sono il risultato di procedimenti finalizzati a produrre norme giuridiche (intenzione di creare un risultato normativo). Sono fonti atto, ovvero atti normativi, le leggi, i trattati, i decreti, i regolamenti e tutti gli atti (manifestazioni di volontà) approvati da organi collegiali (come il Parlamento e il Governo) oppure monocratici (come il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio) in grado di produrre norme giuridiche. Nel sistema giuridico, però, esistono anche fonti-fatto ovvero fatti normativi, in cui le regole non nascono dalla volontà espressa di regolare in un certo modo i comportamenti ma nascono da accadimenti esterni rispetto alla volontà. L'esempio più noto di fatto normativo è la consuetudine o l'uso in cui la norma giuridica nasce dalla ripetizione costante nel tempo di un determinato comportamento da parte di una generalità di soggetti che lo ritengono obbligatorio dal punto di vista giuridico. Interpretazione: disposizione e norma Le fonti normative, oltre ad essere analizzate nell'ottica della loro forma, possono anche essere analizzate per il contenuto. La disposizione è un enunciato normativo che reca con sé una formulazione linguistica e grammaticale mentre la norma è il significato dell'atto, la regola giuridica che verrà utilizzata per decidere come comportarsi. Ad esempio, l'art 575 del codice penale stabilisce che: “chiunque cagiona la morte di uomo è punito con la reclusione (pena) non inferiore ad anni 21”; Da questa disposizione è possibile ricavare la norma ossia non uccidere. L'attività che consente di cogliere il significato (norma) di una formulazione normativa (disposizione) si chiama interpretazione giuridica. L'INTERPRETAZIONE DELLA NORMA GIURIDICA Nel procedere all'interpretazione di un enunciato giuridico prescrittivo, l'operatore giuridico può attingere a diverse modalità tecniche: 1. INTERPRETAZIONE LETTERALE = La formulazione dell'art. 12 delle Disposizioni preliminari del codice civile (le cosiddette Preleggi), individua il primo criterio di interpretazione ossia quello letterale secondo il quale l'enunciato prescrittivo va interpretato tenendo conto del senso cioè del significato grammaticale delle parole non considerate isolatamente ma secondo la loro connessione sintattica. Può capitare di trovarsi di fronte a espressioni e formule che possono avere molteplici significati. In questo caso, si ricorre alla cosiddetta interpretazione teleologica che fa riferimento all'intento proprio del precetto in esame (individua il fine). 2. INTERPRETAZIONE TELEOLOGICA = Dall'art 12 delle Preleggi, l'interprete oltre al significato proprio delle parole, deve fare riferimento alla cosiddetta intenzione del legislatore. Per intenzione del legislatore si intende la ratio del precetto, cioè il suo senso e fine oggettivo. 3. INTERPRETAZIONE SISTEMATICA = il significato all'enunciato prescrittivo viene attribuito - il secondo elemento che porta a parlare di ordinamento è l'esistenza dei criteri di risoluzione delle antinomie. Un'antinomia è un conflitto tra norme che si verifica quando nell'ordinamento si hanno norme che contengono precetti differenti/conflittuali. I criteri per la risoluzione delle antinomie nel nostro ordinamento sono: 1. criterio cronologico 2. criterio gerarchico 3. criterio di competenza 4. criterio della specialità 1. Criterio cronologico: Il criterio cronologico viene definito anche come criterio dell'abrogazione ossia il criterio in virtù del quale la norma successiva è idonea ad abrogare la norma antecedente. Questo criterio si applica tra fonti aventi la stessa forza formale e la stessa competenza (ad es tra 2 leggi, tra una legge e un decreto ma non tra legge statale e legge regionale perché non hanno la stessa competenza ma sono nella stessa scala gerarchica ovvero nelle fonti primarie). L'articolo 15 delle Preleggi definisce tre forme di abrogazione: quella espressa cioè disposta dallo stesso legislatore attraverso una specifica dichiarazione; tacita cioè quando si rileva incompatibilità nel contenuto di 2 norme e quella per nuova disciplina dell'intera materia che interessa il caso di successione nel tempo di due normative di una certa materia nel quale la più recente sostituisce integralmente la preesistente anche in assenza di specifici contrasti tra norme. Nel primo caso l'abrogazione ha efficacia erga omnes (vale per tutti perché è scritto nella legge) mentre negli altri 2 casi l'abrogazione ha efficacia inter partes (per le parti prese in esame perché non è scritto e sarà l'interprete a valutare caso per caso). Vige il principio generale di irretroattività disciplinato dall'art. 11 delle disposizioni preliminari del codice civile (Preleggi): l'abrogazione ha effetto irretroattivo ossia produce effetti solo EX NUNC (da ora e per il futuro / da questo momento in poi) ossia la norma abrogata non può più regolare i rapporti futuri ma si applica ai RAPPORTI PENDENTI ancora aperti sorti quando essa era ancora vigente. L'irretroattività è assoluta e inderogabile per le leggi in materia penale essendo prevista dall'art 25 della Cost. L'art 25 della Cost. dice: "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso ". Ciò significa che la legge penale deve essere già vigente al momento in cui il fatto viene commesso per cui non si può essere puniti per un fatto che si commette oggi da una legge che entra in vigore domani. L'effetto abrogativo si produce automaticamente per il semplice fatto che entra in vigore la norma successiva incompatibile dove ne può prendere cognizione ogni operatore giuridico senza che vi sia bisogno (come nel caso dell'annullamento) dell'accertamento e della dichiarazione di antinomia da parte di un organo specifico a cui è assegnato tale compito dall'ordinamento: infatti, l'abrogazione può essere rilevata da qualunque interprete come il cittadino, la PA e il giudice. NOTE: Ex nunc (irretroattività) = significa che l'atto ha effetto solo per il futuro e non per il passato, e dunque, vige un generale principio di irretroattività della legge, come espresso nelle preleggi. Nel diritto penale, tale principio è assoluto (non ci possono essere deroghe) ed è sancito in Costituzione. Ex tunc (retroattività) = significa che l'atto ha effetti anche per il passato. C riterio gerarchico: Il criterio gerarchico è il criterio che sancisce la preminenza della norma di rango superiore sulla norma di rango inferiore. A differenza del criterio cronologico e di quello della specialità, che si limitano a scegliere la norma applicabile al caso in questione senza comportare l'eliminazione della norma incompatibile, l'applicazione del criterio gerarchico determina l'invalidità della norma di rango inferiore incompatibile da parte della norma di rango superiore. Infatti, il criterio gerarchico postula che fra 2 norme in contrasto collocate in una posizione diversa nella scala gerarchica ( ad es Costituzione e legge, regolamento governativo e legge), prevale quella posta da fonte gerarchicamente sopraordinata (più elevata) anche nel caso in cui quella posta da fonte subordinata (sotto) fosse successiva. La risoluzione con il criterio gerarchico è affidata a soggetti particolari che hanno il potere di dichiarare l'invalidità della norma con la conseguenza dell'annullamento (la Corte Costituzionale per la legge e gli atti aventi forza di legge mentre per i regolamenti TAR e Consiglio di Stato). L'annullamento si sostanzia in una cancellazione della norma dall'ordinamento giuridico che ha efficacia generale (erga omnes: per tutti la norma è cancellata) ossia nei confronti di tutti i soggetti dell'ordinamento ed ex tunc /retroattiva (da allora: annullata per sempre, passato e futuro). Questo vuol dire che l'atto annullato non può più essere applicato a nessun rapporto giuridico (l'annullamento non opera solo per il futuro ma anche per il passato). L'annullamento è un istituto PATOLOGICO deriva da una invalidità, da un vizio. Questo criterio, fondato sulla superiorità di un tipo di fonti rispetto ad un altro, non sempre consente di superare l'antinomia accertata: infatti, non è applicabile alle ipotesi di ripartizione e separazione delle competenze normative (es. riserve di legge o di regolamento) per le quali è necessario ricorrere al criterio della competenza. Ricapitolando, gli effetti dell'annullamento sono : erga omnes ed ex tunc. C riterio della competenza: Il criterio della competenza si basa su un principio di organizzazione e distribuzione delle competenze delle fonti. In base a tale criterio, fra 2 norme in conflitto, l'una posta dalla fonte competente, l'altra invece da quella non competente prevale quella posta dalla fonte competente (ad es. il rapporto tra legge statale e regionale). Tale criterio si applica solo se nell'ordinamento vi siano norme che distribuiscono le competenze normative fra organi e fonti. Tale distribuzione può avvenire secondo 2 modalità: la prima è che una materia venga riservata o solo allo Stato o solo alle Regioni (competenza assoluta); la seconda riguarda le materie di legislazione concorrente in cui la legislazione dello Stato deve determinare i principi fondamentali mentre spetta alle Regioni la potestà legislativa su ogni altro aspetto. Questa distribuzione dei poteri è espressamente sancita dall'art. 117 della Cost. Con questo articolo si realizza anche il principio di sussidiarietà perché si tende a dare una potestà legislativa molto ampia alle regioni, mentre lo Stato ha la potestà solo per le materie espressamente sancite dalla norma stessa (competenza ampia per regioni perché si suppongono più vicine ai cittadini). Anche il criterio della competenza (come il criterio gerarchico) determina l'invalidità della norma incompetente che deve essere dichiarata di volta in volta da parte dell'organo deputato (incaricato)all'accertamento del relativo vizio ed annullata dall'ordinamento. Quindi, il mancato rispetto delle regole di competenza si traduce nell'invalidità dell'atto. La Costituzione, dunque, non si limita a prevedere solo norme sulla produzione del diritto primario ma individua anche sfere di competenza riservata: ad esempio, il reparto di competenza per materia tra legge statale e legge regionale (art. 117). L'art. 117 al secondo comma individua un elenco di materie di competenza esclusiva dello Stato; al terzo comma l'elenco di materie di competenza concorrente ossia quelle in cui interviene sia la legge statale che quella regionale: la legge statale è una legge recante norme di principio mentre quella regionale norme di dettaglio; infine, al quarto comma si disciplina che tutto ciò che non è riconducibile al secondo comma (competenze esclusive dello Stato) e al terzo (competenze concorrenti) è competenza regionale. Incompetenza e non applicazione: In alcuni casi, l'incompetenza non si traduce nell'invalidità ma nella non applicazione. Per quanto riguarda l'incompetenza per territorio, la norma incompetente per territorio non troverà applicazione. Un esempio di questo tipo, potrebbe essere una legge di smaltimento dei rifiuti della regione Sardegna che è incompetente per territorio con riferimento alla Toscana e viceversa, ma non si può dire che vi sia una legge invalida e l'altra no (sono valide solo per il loro territorio: si procede alla non applicazione e non l'annullamento perché altrimenti si eliminerebbe dall'ordinamento la regola di Toscana o Sardegna). Ciascuna ha la propria competenza per territorio e si applicherà la norma competente per territorio mentre non verrà applicata quella incompetente per territorio. Con riferimento al rapporto tra norma interna e regolamento europeo, anche in questo caso l'incompatibilità porta alla non applicazione. Il regolamento europeo è un atto direttamente applicabile (nel senso che non necessita di atti di recepimento interni) ed è un atto che prevale su tutte le norme interne, comprese quelle di rango costituzionale con l'unico limite dei principi supremi. Nel caso di contrasto tra legge interna e regolamento europeo, la Corte costituzionale ha preferito la non applicazione, una misura meno forte dell'utilizzo del criterio di gerarchia. C riterio della specialità: Il criterio cronologico non risulta utile per la risoluzione delle antinomie se le norme in contrasto sono una generale e una speciale. Con il criterio della specialità, la norma speciale prevale su quella generale anche se quella generale è successiva (il criterio della specialità vince sul criterio cronologico). L'eccezione a ciò però si ha nell'ipotesi in cui ad essere successiva sia la norma speciale che determinerà l'effetto di abrogazione parziale della norma generale precedente. Per norma speciale si intende quella norma che regolando una fattispecie particolare rispetto ad un'altra di maggiore ampiezza (fattispecie generale), la sottrae alla disciplina generale. Applicando la norma speciale derogatoria si avrà soltanto una restrizione della portata della disposizione generale che non viene sostituita (come nel caso dell'abrogazione) ma affiancata da quella speciale. Perciò, la norma speciale non produce un effetto abrogativo della norma generale ma solo una deroga. La disposizione generale, quindi, non perde completamente la possibilità di disciplinare la fattispecie oggetto della norma speciale, ma ove venisse meno la norma speciale, essa potrebbe riespandere la sua portata. LO STATO (esempio di ordinamento legislativo /giuridico) • suffragio universale ristretto (stato monoclasse): esistevano camere parlamentari elettive ma elette non a suffragio universale in quanto non tutti i cittadini hanno diritto di voto ma solo alcuni individuati sulla base di un criterio: censo ed istruzione; • garanzia dei diritti di libertà e di proprietà da parte della Costituzione; • separazione dei poteri come garanzia di libertà: il potere statale va ripartito tra il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario; • principio di legalità: principio di preminenza della legge sugli atti del potere esecutivo sia relativamente a quelli a carattere normativo che provvedimentale; • uguaglianza contro il particolarismo giuridico che in passato era dovuto alla divisione in ceti. L'art. 1 della Dichiarazione del 1789 afferma che gli uomini sono liberi e uguali nei diritti. Infatti, mentre nello Stato assoluto la società era ripartita in ceti e il trattamento di ciascun individuo era determinato in base all'appartenenza di un certo ceto, nello Stato liberale di diritto tutti gli uomini sono uguali senza che abbia alcun rilievo la loro posizione sociale (principio di uguaglianza formale). Nello Stato liberale l'intervento pubblico in campo economico viene fatto soltanto per fissare regole che assicurino una pacifica convivenza. Vi è , perciò, un intervento limitato nell'economia secondo la legge di mercato del laissez faire (“lasciate fare”). La forma di Stato attualmente vigente in Italia ha diverse caratterizzazioni: - è Stato pluralista (pluralità di interessi perseguiti dallo Stato); - è Stato democratico (la sovranità appartiene al popolo); - è Stato costituzionale (è caratterizzato da una Costituzione scritta); - è Stato sociale (ha come fine principale l'uguaglianza sostanziale). Stato pluralista: Con lo Stato pluralista si fa riferimento alla plurisoggettività dell'ordinamento per indicare quindi che esistono gruppi di soggetti diversi fra loro, la cui diversità viene riconosciuta dall'ordinamento (al contrario di quanto avveniva nello Stato Ottocentesco che era definito monoclasse). Gli elementi che caratterizzano questa forma di Stato sono: 1. allargamento del suffragio (riconoscimento del diritto di voto ai maggiorenni quindi suffragio universale maschile e femminile, formazione dei partiti politici e riconoscimento della libertà sindacale art. 39 della Cost); 2. tutela della personalità dell'uomo e delle formazioni sociali in cui essa si sviluppa (art. 2 della Cost): ad esempio si riconosce il pluralismo religioso , famiglia, organizzazioni dei lavoratori. Stato democratico: Nello Stato democratico si mira ad una corrispondenza tra governanti e governati secondo il principio per cui la sovranità appartiene al popolo. Le caratteristiche dello Stato democratico sono: 1. il principio della maggioranza: le decisioni vengono assunte con il consenso della maggioranza dei soggetti politicamente attivi; 2. è, però, garantito il rispetto delle minoranze: è assicurata alla minoranza la possibilità di partecipare alla competizione politica e poter diventare a sua volta maggioranza mediante il sistema delle libere elezioni. E', dunque, necessario garantire i diritti politici, di associazione, di opinione ecc. ; 3. le minoranze devono poter controllare le decisioni assunte dalla maggioranza mediante organi indipendenti dalle maggioranze. Stato costituzionale: Lo Stato costituzionale è uno Stato caratterizzato da una Costituzione rigida, ossia che si pone al vertice delle fonti del diritto. La legge, atto prodotto dal Parlamento, deve rispettare la Costituzione. La rigidità della Costituzione e le sue garanzie sono date grazie ad: 1. un controllo della costituzionalità delle leggi da parte dei giudici; 2. sono previste, nella stessa Costituzione,procedure per la propria modifica diverse dal procedimento legislativo ordinario (nel senso che sono necessarie maggioranze più ampie). Stato sociale: Nello Stato sociale, l'azione dei pubblici poteri è quella di ridurre le disuguaglianze esistenti tra i cittadini che ostacolano il reale godimento dei diritti civili e politici (si abbandona, quindi, l'ottica del laissez faire e si chiede l'intervento dello Stato). Questa forma di Stato si caratterizza per il perseguimento di fini ulteriori ed aggiuntivi rispetto a quelli dello Stato di diritto: con lo Stato sociale, si ha l'affermarsi anche dei cosiddetti diritti sociali (ad es. il diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto all'assistenza ed alla previdenza sociale) volti ad eliminare le disuguaglianze esistenti all'interno della società, garantendo ai cittadini delle posizioni attive di pretesa nei confronti dei poteri pubblici. Con il riconoscimento e la garanzia dei diritti sociali si riflettono i bisogni e i valori dei ceti in passato erano stati esclusi. LE FORME DI GOVERNO La forma di Governo indica il modo in cui si distribuisce il potere fra gli organi principali dello Stato apparato e l'insieme dei rapporti che intercorrono tra essi. Le 3 classiche funzioni sono: legislativa, esecutiva e giudiziaria. Per quanto riguarda la funzione giurisdizionale, vi è una separazione più rigida mentre per le altre 2 funzioni esistono diversi modi di separare i poteri in base all'indirizzo politico: - la monarchia costituzionale; - governo parlamentare; - governo presidenziale; - governo semipresidenziale; - governo direttoriale. Da un punto di vista storico, la prima forma di governo alla quale occorre fare riferimento è quella costituzionale pura (monarchia costituzionale). In tale forma di governo esiste una netta separazione dei poteri: al re e al suo Governo spetta il potere esecutivo, al Parlamento il potere legislativo e alla magistratura il potere giudiziario. Re e Parlamento (titolari entrambi dell'indirizzo politico), avevano forme di legittimazione distinte: il re manteneva la legittimazione dinastica mentre il Parlamento era formato sulla base del principio rappresentativo nonostante la rappresentanza fosse limitata ad una parte del popolo a causa delle restrizioni del diritto di voto. Tale forma di governo si sviluppò in Inghilterra alla fine del 17esimo secolo molto prima degli altri Stati d'Europa. La monarchia costituzionale è la forma di governo nata dal passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale. Vede il superamento dell'assolutismo: infatti, il sovrano ha poteri limitati e stabiliti dalla Costituzione. La monarchia costituzionale si presentava come forma tipicamente duale in cui il Parlamento costituisce l'organo che poteva contrapporsi all'autorità del re. I compiti del re erano nominare e revocare i suoi ministri e dirigere le azioni di governo svolte dai ministri. Il Parlamento, invece, tramite l'esercizio del potere legislativo, poneva dei limiti all'esecutivo ma non poteva partecipare direttamente alla determinazione dell'indirizzo politico. La forma di governo parlamentare è quella in cui il Governo è legato al Parlamento da un rapporto di fiducia (art. 94 della Cost). Tale rapporto deve sussistere con continuità. Il suo venir meno comporta l'obbligo per il Governo di dimettersi aprendo la fase detta crisi di governo. Ogniqualvolta che la loro relazione sintonica si interrompe, occorre costituire un nuovo governo. La nomina del nuovo governo spetta al Capo dello Stato (Re o Presidente della Repubblica) che assume un ruolo importante nella soluzione della crisi, tanto che potrebbe sciogliere le camere se al loro interno non si riuscisse a formare una maggioranza in grado di sostenere con il voto di fiducia un nuovo Governo. La nostra Costituzione delinea un governo parlamentare. Inizialmente, il Governo aveva una doppia fiducia, essendo legato sia al Parlamento che al re (forma di governo parlamentare dualista). Solo in un momento successivo matura la forma di governo monista in cui il re perde ogni possibilità di incidere sulla composizione del Governo, che è formato unicamente dalla volontà del Parlamento. Chiaramente, con l'allargamento del suffragio e la nascita dei partiti di massa, si determinò una maggiore difficoltà di funzionamento della forma di governo parlamentare (il Parlamento diventa il luogo dove si proietta il conflitto sociale e dunque diventa più difficile assicurare la stabilità del Governo). Per questo motivo, si tentò di razionalizzare tale forma di Governo, in particolare mediante la scrittura nella Costituzione delle regole sul rapporto di fiducia. Si può anche notare che tale forma di Governo è profondamente influenzata dal sistema dei partiti, a sua volta, influenzato dal sistema elettorale. La cosiddetta prevalenza del corpo elettorale esige la partecipazione dei cittadini per definire gli orientamenti politici generali tramite i partiti politici. La forma di governo presidenziale è la forma tipica degli Stati Uniti d'America e si caratterizza per la presenza di un potere esecutivo monocratico affidato ad un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e non legato al Parlamento da un rapporto di fiducia. Per alcun aspetti assomiglia alla monarchia costituzionale : infatti, entrambe le forme di governo presentano l'impronta di sistemi duali composti, in un caso, (sistemi di governo presidenziali) dal Presidente della Repubblica e dalle Assemblee elettive, nell'altro caso, (monarchia costituzionale) dal re e dal Parlamento. Il Presidente della Repubblica esercita funzioni esecutive e di indirizzo politico mentre Costituzionali” e comprende gli articoli 138 e 139. E' vero che la Costituzione è rigida e ,quindi, non può essere modificata con leggi ordinarie, ma questo non vuol dire che essa è del tutto immodificabile anche se comunque esistono dei limiti alla possibilità di modifica. La Costituzione stessa prevede nell'art. 138 una procedura speciale ed aggravata attraverso la quale viene prodotta una fonte che prende il nome di legge costituzionale. Le leggi costituzionali, nel nostro ordinamento, possono servire a: • modificare il testo della Costituzione (in tal caso si chiama legge di revisione costituzionale); • soddisfare le riserve di legge costituzionale ossia disciplinare quelle materie che la Costituzione stessa affida esclusivamente a tali fonti, per esempio gli statuti delle regioni speciali in base all'art 116 della Cost); => certe materie previste in Costituzione possono essere disciplinate solo con legge costituzionale • irrigidire la disciplina di certe materie che in tal caso viene sottratta alla disponibilità del legislatore ordinario. Tali leggi costituzionali sono adottate attraverso un procedimento che ricalca in parte quello legislativo ordinario ma presenta alcuni aggravamenti procedurali (+ difficile) Il procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost: In base all'art 138 della Cost, occorre una doppia deliberazione da parte di ciascuna Camera (anziché una sola come per le leggi ordinarie), e tra le 2 deliberazioni deve intercorrere un intervallo di tempo non meno di 3 mesi. Nella prima deliberazione è sufficiente la maggioranza assoluta (la metà + 1); Nella seconda deliberazione, poi, è necessaria la maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera. Questi leggi possono essere approvate anche se alla seconda votazione non si siano ottenuti i 2/3 ma comunque almeno la maggioranza assoluta (cioè la maggioranza dei componenti) di ciascuna Camera. In questo caso, però, le leggi possono essere sottoposte a referendum popolare se,entro 3 mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda 1/5 dei membri di una Camera o 500.000 elettori o 5 Consigli regionali => dato che non si è raggiunta una maggioranza dei 2/3 in Parlamento, lo strumento a cui si ricorre in un ordinamento democratico è il popolo. La legge sottoposta a referendum non viene promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Limiti alla revisione costituzionale: Vi sono dei limiti al procedimento di revisione costituzionale perché non tutti gli articoli della Costituzione possono essere modificati mediante tale procedimento: questi sono i principi supremi (es. diritti fondamentali dell'uomo) perché sono il fondamento dello Stato democratico e repubblicano. Attraverso la revisione costituzionale si può modificare o integrare la Costituzione (regole costituzionali ordinarie, le uniche modificabili), ma non i principi supremi perché, modificando questi, si darebbe vita ad un vero e proprio nuovo ordinamento costituzionale. Si pensi al fatto che l'Italia è una Repubblica: l'art 139 della Cost stabilisce espressamente che questo principio (cioè la forma repubblicana) non può essere modificato neanche seguendo il procedimento speciale dell'art. 138. LA LEGGE ORDINARIA E IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO La legge assume un posto di rilievo nel panorama delle fonti primarie statali. Per legge si intende l'atto normativo deliberato dalle due Camere del Parlamento in un identico testo promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, che trova le sue norme sulla produzione negli articoli 70 e i seguenti della Cost. Tale atto viene definito anche legge formale ordinaria da cui si distinguono gli atti legislativi dell'esecutivo (decreto legislativo delegato e decreto-legge). Il procedimento legislativo, preordinato (organizzato) alla formazione dell'atto finale “legge” si articola in 3 fasi: 1. la fase dell'iniziativa = L'atto di iniziativa consiste in un testo scritto redatto in articoli e accompagnato da una relazione che ne illustra oggetto e finalità. Gli atti di iniziativa legislativa decadono (scadono) a seguito della fine della legislatura con le eccezioni degli atti di origine popolare che non devono essere ripresentati all'inizio della nuova legislatura, quelli già approvati dalle 2 Camere ma ad esse rinviati dal Presidente della Repubblica per una nuova deliberazione e di quelli di conversione dei decreti-legge (art. 74 della Cost). La fase dell'iniziativa viene trattata dall'art. 71 della Cost che prevede che l'iniziativa delle leggi spetti al Governo, ai singoli parlamentari e agli altri organi a cui è conferita dalla Costituzione (ossia il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, i Consigli regionali e i Comuni limitatamente alla modifica delle circoscrizioni provinciali). L'ultimo comma di tale articolo, riconosce il potere di iniziativa anche al popolo che la esercita mediante la proposta di almeno 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli. Nella prassi, l'iniziativa governativa è l' iniziativa più importante in quanto: i disegni di legge governativi sono attuazione del programma politico della maggioranza, ossia quel programma sul quale si fonda il rapporto fiduciario; dal punto di vista giuridico, alcune tipologie di leggi possono essere presentate solo dal Governo (come ad esempio i disegni di legge aventi per oggetto il bilancio e il rendiconto consuntivo, la legge di stabilità, i disegni di legge di conversione dei decreti-legge e quelli di ratifica dei trattati internazionali). Nel regime di bicameralismo perfetto è necessaria la deliberazione conforme di Camera e Senato sul medesimo testo. Ciò significa che quando la deliberazione del disegno di legge non è conforme, il testo deve ritornare alla Camera di provenienza (la cosiddetta navetta); 2. la fase costitutiva = tale fase viene disciplinata dall'art. 72 della Cost e riguarda l'esame, la discussione e la votazione. Questa fase deve svolgersi in maniera obbligatoria nelle Commissioni permanenti che compongono ciascun ramo del Parlamento. Nell'art. 72 della Cost, si distinguono più procedimenti legislativi: - il procedimento legislativo normale al comma 1 dell'art. 72: ogni disegno di legge è esaminato dalla Commissione in sede referente e poi dalla Camera stessa che lo approva articolo per articolo e con votazione finale. Si ha, quindi, prima un passaggio in Commissione, poi in aula e sono necessarie le cosiddette 3 letture: una discussione generale, la votazione articolo per articolo con gli emendamenti ad essi correlati e la votazione finale su tutto il disegno di legge; - il procedimento legislativo abbreviato di cui al comma 2 dell'art. 72: tale procedimento viene adottato per i disegni di legge dichiarati urgenti. L'approvazione della dichiarazione di urgenza comporta che i tempi della discussione e della votazione si riducano drasticamente; - il procedimento legislativo speciale con commissione in sede deliberante di cui al comma 3: le commissioni parlamentari non si limitano ad esaminare il progetto di legge ma lo approvano anche. Dunque, mentre nel procedimento normale, la Commissione parlamentare è detta in sede referente perché svolge un ruolo di carattere istruttorio (esame preventivo) ma la deliberazione avviene in aula, nel procedimento speciale, si parla di Commissione in sede deliberante poiché delibera senza il passaggio in aula; - il procedimento redigente o misto è previsto dai regolamenti parlamentari e consiste nell'affidare alle commissioni la redazione del progetto di legge cioè la sua definitiva formulazione in articoli, riservando però l'approvazione finale alle Assemblee. In questo caso, quindi, è l'aula che, con una deliberazione, chiede ad una commissione parlamentare di redigere un disegno di legge,fatto per articoli, su un determinato oggetto (procedimento poco utilizzato). Vi sono, però, delle leggi che riguardano interessi molto delicati per i quali il costituente ha imposto che debbano necessariamente seguire il procedimento legislativo normale: questo avviene per le leggi di revisione costituzionale, leggi elettorali, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e l'approvazione delle leggi di bilancio e consuntivo). In questo caso si parla di riserva di legge di Assemblea; il secondo correttivo è presente nella seconda parte del comma 3 dell'art. 72: se si procede con il deferimento (sottoposto) alla commissione parlamentare ma sorgono contrasti importanti, allora è possibile portare il disegno di legge in aula, convertendo la commissione parlamentare da deliberante a referente (necessaria una maggiore discussione/ procedimento più lungo). Una minoranza parlamentare o il Governo possono, quindi, convertire il procedimento in normale. 3. fase integrativa dell'efficacia = riguarda la produzione degli effetti normativi e si divide in promulgazione e pubblicazione. La legge approvata nello stesso testo dalle 2 Camere è “perfetta” ma non ancora efficace in quanto l'efficacia dipende da successivi atti come la promulgazione e la pubblicazione dell'atto. Entro 1 mese dall'approvazione, la legge deve essere promulgata con decreto del Presidente della Repubblica. Si tratta di un atto di controllo da parte del Presidente che può anche rifiutarsi di promulgare la legge esercitando il potere di rinvio secondo quanto stabilito dall'art. 74 della Cost. In quest'ultimo caso, se le Camere approvano nuovamente la legge nel medesimo testo, il Presidente della Repubblica la deve promulgare, sempre che l'atto di promulgazione non determini la commissione di un reato presidenziale (alto tradimento e attentato alla Costituzione: art. 90 della Cost), potendo soltanto in questo caso opporre un definitivo rifiuto => se l'atto determina alto tradimento e attentato alla costituzione il Presidente può rifiutarsi è una fonte davvero paradossale: esso è , infatti, destinato in ogni caso a scomparire dopo 60 giorni o perché è convertito in legge, e allora la fonte che permarrà nell'ordinamento è la legge di conversione, o perché non è convertito e allora è come se non fosse stato mai emanato. Naturalmente, la conversione ad opera della legge, potrà avvenire solo se il decreto sia stato adottato in casi straordinari di necessità ed urgenza; se , infatti, il decreto-legge nasce illegittimo sul piano costituzionale, la sua invalidità si trasmette alla legge di conversione. Secondo l'art. 77, comma 3 della Cost, le Camere possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti, dando così vita a quel tipo di legge che si chiama sanatoria, la quale ha il compito di “salvare” gli effetti prodotti dal decreto-legge decaduto sollevando il Governo dalle responsabilità alle quali sarebbe altrimenti tenuto. Quindi, se un decreto-legge decade oppure è espressamente respinto dal Parlamento e questo non approva una legge di sanatoria, il Governo risponde direttamente di tutti gli effetti prodotti sia nei confronti dei cittadini che delle istituzioni. Una delle tante questioni poste dalla prassi è quella che riguarda la possibilità di introdurre emendamenti (modifiche) durante il percorso parlamentare di conversione. Queste modifiche entreranno in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione (effetto emendamento : irretroattivo ex nunc: da questo momento in poi perché la modifica riguarda il futuro). Sul versante della REITERAZIONE DEI DECRETI-LEGGE ( prassi per cui al 60esimo giorno di vigenza di un decreto-legge non convertito, se ne ripresentava un altro di identico contenuto), la Corte Costituzionale ha interrotto tale pratica incostituzionale con un'importante sentenza del 1996 sul versante dei decreti adottati in palese violazione dell'art. 77 della Cost perché emanati in casi in cui non c'è alcuna straordinaria necessità ed urgenza. => il presupposto della nuova emanazione era la mancata conversione del primo decreto-legge La legge n. 400 del 1988 ha vietato al Governo di usare il decreto-legge per: • conferire deleghe legislative • provvedere nelle materie indicate nell'art 72 , quarto comma della Cost ossia in materia costituzionale, elettorale, autorizzazione a ratificare trattati internazionali e approvazione di bilanci e consuntivi; • rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle 2 Camere; • ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale per vizi non attinenti al procedimento di formazione del decreto-legge. (vizi che riguardano il contenuto). IL REFERENDUM ABROGATIVO Esistono 2 tipi di referendum: quello costituzionale che riguarda il procedimento legislativo di revisione costituzionale (detto anche confermativo) e quello abrogativo di leggi o di atti aventi forza di legge. Il referendum abrogativo è previsto dall'art. 75 della Cost ed è un istituto attraverso il quale il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi sull'abrogazione (totale o parziale) di una legge o di un atto avente valore di legge dello Stato. Attraverso il referendum se ne determina l'abrogazione ossia la perdita di efficacia ex nunc, per il futuro (irretroattiva). Sono escluse dal referendum alcune categorie di leggi come quelle tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (limiti espliciti previsti dall'art. 75 della Cost). Il procedimento referendario si articola in 6 fasi: 1) l'iniziativa spetta a 5 Consigli regionali o a 500.000 elettori. In quest'ultimo caso deve formarsi un comitato promotore composto da almeno 10 cittadini. La richiesta deve essere depositata presso un apposito ufficio della Corte di cassazione (Ufficio centrale per il referendum) entro il 30 settembre di ogni anno; 2) L'Ufficio centrale per il referendum effettua un controllo sulla legittimità delle richieste, rilevando eventuali irregolarità entro il 31 ottobre (entro mese successivo) e assegnando un termine ai proponenti per sanarle (tolgo l'irregolarità) o per contestarne l'esistenza (non c'è irregolarità secondo chi ha fatto la proposta); 3) La Corte Costituzionale giudica sull'ammissibilità delle richieste dichiarate legittime con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio; 4) Se le richieste sono ammesse, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, induce il referendum fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno; 5) Sono previsti 2 quorum (per la validità del referendum): uno di partecipazione (il referendum è valido solo se hanno partecipato la metà più uno degli aventi diritto) e uno sull'esito del voto (l'abrogazione viene fatta soltanto se si ha la maggioranza dei voti validi); 6) Nel caso di abrogazione, essa è dichiarata dal Presidente della Repubblica con decreto; nel caso contrario, l'esito del referendum è reso pubblico dal ministro della giustizia e per 5 anni la stessa disposizione non potrà essere sottoposta a referendum abrogativo (lo stesso referendum non viene ripresentato perché i cittadini non sono d'accordo). La Corte costituzionale oltre a fornire dei limiti espliciti ne ha elencato anche impliciti: non sono ammissibili referendum abrogativi che abbiano ad oggetto la Costituzione, le leggi costituzionali, i regolamenti parlamentari, gli atti legislativi a forza passiva peculiare (come ad es. la legge ordinaria che recepisce i Patti lateranensi o anche la direttiva europea che viene recepita con un atto interno => leggi rinforzate: anche se sono fonti ordinarie, sono dotate di una maggiore forza passiva ossia per essere abrogate è necessario un procedimento più difficile rispetto all'abrogazione), le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e leggi costituzionalmente necessarie. Tra questi vi rientra la legge elettorale. Esempio della legge a contenuto costituzionalmente vincolato: la Corte si è pronunciata in riferimento alla legge sull'aborto per tutelare la salute della donna; Esempio di legge costituzionalmente necessaria: sono quelle leggi il cui contenuto non è vincolato dalla Costituzione (per contenuto intendo come ci si deve organizzare e ciò non è stabilito dalla Costituzione) ma devono essere necessariamente adottate perché riguardano il funzionamento di organi costituzionali; La seconda direttrice fa perno sul requisito della libertà del voto previsto dall'art. 48 comma 2 della Cost. Affinché il cittadino possa esprimere un voto libero, il quesito che gli viene proposto deve essere omogeneo, chiaro, univoco e non contraddittorio (il referendum abrogativo deve essere chiaro). L EGGE REGIONALE La legge regionale è una fonte primaria introdotta con la Costituzione perché l'ordinamento preesistente non contemplava le Regioni. La norma che disciplina il riparto di competenze tra la legge statale e la legge regionale è l'art. 117 della Cost: tale norma si trova nel titolo V (quinto) della seconda parte della Costituzione che è stato modificato dalla legge costituzionale n.3 del 2001. Una delle modifiche più importanti consiste nel fatto che la legge non può disporre in contrasto con i vincoli derivanti dall'UE e dagli obblighi internazionali. Il comma 2 dell'art. 117, elenca le materie di competenza esclusiva dello Stato (ad esempio la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali garantiti su tutto il territorio nazionale). Se la legge regionale dovesse regolare una di queste materie di competenza statale, l'antinomia si risolverebbe con il criterio della competenza e in applicazione di tale criterio, la Corte Costituzionale può annullare la legge incompetente. Nel terzo comma di tale articolo, vi sono le materie di competenza concorrente cioè quelle in cui interviene sia la legge statale che quella regionale: la legge statale è quella che reca norme di principio mentre quella regionale norme di dettaglio. Infine, il quarto comma prevede la competenza residuale cioè tutto ciò che non è riconducibile al secondo e terzo comma è di competenza regionale. In passato, era il contrario ossia che tutto ciò che non era indicato nella Costituzione spettava allo Stato. L'art. 118 della Cost, afferma che la legge debba dare la funzione amministrativa ai Comuni ossia l'ente più vicino al cittadino e deve salire di livello (provincia, regione e Stato) solo se si ritenga che il livello inferiore non sia adeguato. Le Regioni hanno anche uno Statuto: ci sono delle Regioni a statuto speciale il quale viene approvato con legge costituzionale a differenza degli statuti ordinari che vengono approvati con un procedimento simile a quello delle leggi costituzionali. Lo Statuto disciplina aspetti dell'organizzazione e della struttura interna della Regione: forma di governo, funzionamento dei vari organi ecc. Lo Statuto deve essere approvato per 2 volte dal Consiglio Regionale a maggioranza assoluta con un intervallo di 2 mesi tra la prima e la seconda approvazione. Dopo l'approvazione, la legge viene pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione e entro 3 mesi può essere richiesto un referendum o sospensivo o approvativo dello Statuto (per togliere o mettere) da parte da 1/50 degli elettori della Regione o da 1/5 dei membri del Consiglio Regionale. La Corte Costituzionale per salvare leggi statali che interferiscono in materie di competenza regionale, ha utilizzato il concetto di competenza trasversale nel senso che alcune competenze non sono legate ad una sola materia ma “toccano” più materie consentendo l'invasione nella sfera di competenza regionale. La Corte costituzionale,inoltre, ha introdotto un meccanismo che consente allo Stato di attrarre su di sé competenze regionali con la chiamata in sussidiarietà. Per fare ciò, ci devono essere 2 condizioni: 1. un interesse unitario che giustifichi il fatto che la legge venga fatta a livello nazionale e non regionale; regionale, ma ad essa si fa riferimento sia quando si riconosce al Presidente della Giunta il potere di emanare i regolamenti (art. 121 comma 4), sia quando si attribuisce allo statuto il compito di regolarne la pubblicazione (art. 123 comma 1). A livello secondario andrebbero collocati anche gli statuti di province e Comuni. La nuova formulazione dell'art. 114 della Cost, ora fa riferimento agli Statuti degli enti locali, menzionando, le Regioni, i Comuni e le Province e le neoistitute Città metropolitane. E' stabilito ora che i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà normativa (= ossia la potestà statutaria e regolamentare) secondo i principi fissati dalla Costituzione. Lo statuto stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente specificando le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze. Lo statuto stabilisce anche le forme di collaborazione fra Comuni e Province e l'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi. Il procedimento di approvazione dello statuto prevede una deliberazione dei rispettivi Consigli con il voto favorevole dei 2/3 dei consiglieri assegnati; se tale maggioranza non viene raggiunta, la votazione viene ripetuta in successive sedute che si effettuano entro 30 giorni e lo statuto è approvato se ottiene per 2 volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Lo Statuto, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione, entra in vigore decorsi 30 giorni dall'esposizione nell'albo pretorio (cioè da rendere pubblico) dell'ente. LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UE O FONTI COMUNITARIE Il sistema normativo dell'Unione comprende: 1. le fonti di diritto primario, ossia i Trattati istitutivi delle Comunità europee (il Trattato sull'UE e il Trattato sul funzionamento dell'UE), modificati e integrati da atti ed accordi successivamente stipulati, e a partire dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, anche la Carta dei diritti fondamentali; 2. le fonti di diritto secondario o derivato, ossia gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie nei limiti delle competenze ad esse attribuite dai Trattati; Sulla base di quanto sancito dall'art. 263 TFUE, non vi è alcun dubbio in ordine alla superiorità gerarchica del diritto primario rispetto al diritto derivato. Non esiste, invece, alcuna gerarchia tra le stesse norme del diritto primario, né tra gli atti di diritto secondario, con la conseguenza che l'eventuale antinomia nell'ambito di un medesimo livello normativo deve essere risolta ricorrendo al criterio della specialità, in base al quale si applica la norma più confacente (adatta/conveniente) alla fattispecie in esame. IL DIRITTO PRIMARIO: I 2 Trattati sono posti sullo stesso piano: il Trattato dell'UE contiene norme generali mentre il Trattato sul funzionamento dell'UE contiene norme, in linea di massima, meno generali e costituzionali (ad esempio i settori di politica europea sono disciplinati in quest'ultimo Trattato). IL DIRITTO DERIVATO: Le fonti di diritto secondario o derivato sono espressamente previste dall'art. 288 TFUE (Trattato sul funzionamento dell'UE) e sono i regolamenti, le direttive, le decisioni, le raccomandazioni e i pareri. La loro finalità principale è quella di ravvicinare le legislazioni nazionali e tale finalità può essere perseguita mediante atti immediatamente applicabili in tutti gli Stati membri o mediante atti che fissano principi generali a cui le singole legislazioni devono uniformarsi (adattarsi). In questo secondo caso, l'atto comunitario, per poter produrre i suoi effetti, necessita di una attuazione da parte dello Stato membro. A questi 2 diversi strumenti corrispondono le principali fonti comunitarie definite atti legislativi: i regolamenti e le direttive. R egolamento europeo: L'art. 288 TFUE dice che il regolamento europeo è un atto che ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Portata generale significa che si riferisce ad una collettività indeterminata di soggetti. La formula “è obbligatorio in tutti i suoi elementi” significa che il regolamento è un atto normativo integralmente precettivo e obbligatorio. Invece, “direttamente applicabile” ha 2 significati dati dalla Corte europea di giustizia: 1. il regolamento in quanto direttamente applicabile, non deve essere recepito con atto interno; 2. il regolamento deve essere direttamente applicato da parte di tutti i suoi destinatari: giudici, PA ed ogni altro soggetto di diritto. Secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia europea il regolamento prevale su ogni norma interna, anche quelle di rango costituzionale con l'unico limite dei principi supremi (diritti fondamentali della persona umana: teoria dei controlimiti). D irettive: Le direttive europee sono atti che vincolano gli Stati membri a perseguire certi obiettivi, lasciandoli liberi nella scelta delle forme e dei mezzi. Sono, quindi, atti di carattere programmatico in quanto individuano delle finalità. Le direttive, dunque, non hanno portata generale ma si limitano ad imporre obblighi di risultato nei confronti degli Stati membri, che ne sono gli unici destinatari. A differenza del regolamento, è un atto non direttamente applicabile in quanto deve essere recepito con atto interno. Lo Stato membro può scegliere l'atto interno con cui recepirlo (ad es. con decreto legislativo, legge o decreto-legge): all'interno del sistema delle fonti italiane, la legge che permette di recepire le direttive è la LEGGE COMUNITARIA ANNUALE. Le direttive hanno un termine entro cui devono essere recepite. Alcune direttive possono essere provviste del carattere dell'effetto diretto: questo avviene quando le direttive sono particolarmente precise e dettagliate (direttive self- executing). Il particolare dettaglio di queste direttive fa sì che producano effetti diretti nei confronti di tutti i soggetti, senza necessità di alcuna interposizione degli Stati. Se la direttiva non viene recepita, inizia una procedura di infrazione (sanzione) promossa dalla Commissione europea alla Corte di Giustizia che si può concludere con il pagamento di una somma di denaro. Accanto a queste 2 principali tipologie, i Trattati disciplinano ulteriori forme di normazione: le decisioni (atti vincolanti) e le raccomandazioni e i pareri (atti ad efficacia non vincolante). D ecisioni: Le decisioni hanno alcune caratteristiche proprie dei regolamenti europei ovvero la diretta applicabilità e l'obbligatorietà, ma manca la portata generale in quanto hanno destinatari determinati (ad es. uno Stato o un soggetto di diritto). Esempio: La Commissione può adottare decisioni nei confronti delle imprese, applicando le norme dei Trattati sulla concorrenza per applicare le sanzioni. Raccomandazioni e pareri: Sono entrambi atti non vincolanti. La raccomandazione contiene l'invito diretto dall'UE a uno Stato a porre in essere un certo comportamento oppure a non tenerlo, però non essendo vincolante non ci sono delle conseguenze sanzionatorie nel caso di mancato rispetto. Il suo effetto è quello della liceità: se viene raccomandato un certo comportamento e lo Stato si conforma alla raccomandazione, nessuno potrà chiamare in causa lo Stato per far valere una qualsiasi responsabilità per quel comportamento nel senso che non può essere ritenuto illecito se è conforme alla raccomandazione. I pareri sono atti tendenzialmente endoprocedimentali (dentro il procedimento) che un'istituzione può essere chiamata a dare all'interno di un procedimento europeo. I pareri sono obbligatori ma non vincolanti. Come risolvere il contrasto tra norme interne e norme europee Il fondamento costituzionale della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno è stato individuato nell'art. 11 della Cost. La Corte di Giustizia ha affermato che alla diretta applicabilità (regolamento) corrisponde la non applicazione della norma interna. La Corte Costituzionale ha accettato questo ragionamento, però, non ha utilizzato il criterio gerarchico ma quello della competenza (Sentenza Granital). Nel rapporto fra norma europea direttamente applicabile e norma interna, l'applicazione del criterio di competenza si traduce nella disapplicazione della norma interna (e non del suo annullamento). Anche le norme costituzionali non sono applicate se in contrasto con norme europee direttamente applicabili ma l'unica eccezione sono i principi supremi per cui la forza delle norme europee non è assoluta. La direttiva, invece, deve essere recepita entro un certo termine. Se una norma interna è in contrasto con la direttiva europea, non si può procedere alla disapplicazione della norma interna in quanto non è direttamente applicabile. Ciò che il giudice deve fare è sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 117 comma 1 che dice che le leggi statali e regionali non possono violare la Costituzione, i vincoli derivanti dall'UE e gli obblighi internazionali. Le direttive self-executing hanno effetto diretto: dunque, l'eventuale contrasto con norma interna si risolve con la disapplicazione. Riassumendo: In caso di contrasto fra legge e regolamento europeo non vi è un giudizio di legittimità costituzionale poiché il regolamento europeo è direttamente applicabile e si procede con la non applicabilità delle legge interna, mentre nel caso di contrasto fra legge e direttiva europea il cui termine di recepimento sia scaduto, non si può dare luogo all'applicazione della direttiva ed alla non applicazione della norma interna perché la direttiva non è direttamente applicabile, quindi, vi sarà un giudizio di legittimità costituzionale in quanto violando la direttiva, si viola anche la Costituzione amministrativi ; 2)se hanno carattere particolare concreto sono PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI. Gli atti amministrativi a carattere generale-astratto contengono delle prescrizioni riferibili ad una collettività indeterminata di soggetti (concetto di generalità) e suscettibili di un numero indefinito di applicazioni (concetto di astrattezza). Un esempio di atto normativo generale astratto è la norma del codice penale che punisce il diritto di omicidio ovvero chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con una pena non inferiore ad anni 21. La norma sul diritto di omicidio viene applicata in una serie indeterminata e indeterminabile di applicazioni ogniqualvolta si verifica un fatto ascrivibile a quella fattispecie, cioè ogniqualvolta vi è posto in essere una condotta in cui l'evento è la morte di un uomo. Un esempio di provvedimento amministrativo, invece, potrebbe essere il provvedimento di espropriazione adottato dal Comune. Questo atto amministrativo non è riferibile ad una generalità di individui ma solo ad un individuo ovvero il proprietario del fondo che viene espropriato. Si applica una sola volta con riferimento all'espropriazione di un fondo determinato. Il principio di legalità si articola in 3 corollari: 1. PRINCIPIO DI PREFERENZA DI LEGGE = esiste un rapporto di non contraddizione tra legge e regolamento cioè il regolamento non è abilitato a disporre in contrasto con la legge. In caso di contrasto tra regolamento e legge, la conseguenza sarà l'invalidità del regolamento (criterio gerarchico), quindi, il regolamento è suscettibile di annullamento da parte del TAR (Tribunale amministrativo Regionale)di primo grado e Consiglio di Stato di secondo grado. La Corte Costituzionale, invece, giudica la legittimità di leggi e atti aventi forza di legge utilizzando la Costituzione come parametro; 2. LEGALITA' IN SENSO FORMALE = i poteri dell'esecutivo sono basati su una norma di legge che li preveda e autorizzi :quindi, il regolamento è illegittimo se non è autorizzato dalla legge; 3. LEGALITA' IN SENSO SOSTANZIALE = questa famosa legge di autorizzazione deve individuare norme di principio che circoscrivano (limitino) la discrezionalità del governo e della PA nell'adozione dell'atto.6 Dunque, pone forti vincoli al potere esercitabile dal potere esecutivo che deve essere autorizzato e disciplinato dalla legge. Ad esempio, il potere esecutivo può procedere ad arresto nei soli casi di flagranza di reato (situazione dove viene sorpreso l'autore di un reato commettere un reato). Può procedere ad esproprio solo di determinate categorie di beni e solo a determinati fini. La norma di legge definisce criteri e modalità di esercizio del potere. LA CORTE COSTITUZIONALE La giustizia costituzionale è una forma di garanzia giurisdizionale della rigidità della Costituzione ossia della sua supremazia su tutti gli atti e i comportamenti dei poteri pubblici, compresa la legge del parlamento. Questa funzione viene svolta da un soggetto estraneo al circuito dell'indirizzo 6 Legalità in senso sostanziale = si vincola l'attività del Governo. Il Governo non può fare quello che gli pare per cui vengono messe norme di principio cioè norme che deve rispettare. politico che agisce attraverso lo strumento del processo (ordinanze, decreti e sopratutto sentenze) per risolvere le controversie tra i diversi organi di vertice e per controllare sopratutto che i poteri esercitati dalle Assemblee parlamentari siano conformi alla Costituzione. In Italia, l'organo di giustizia costituzionale è la Corte Costituzionale. Il vero momento in cui si ebbe l'idea del sindacato di costituzionalità si ha negli Stati Uniti d'America, la cui Costituzione del 1787 non prevedeva espressamente la possibilità di un tale controllo. Con la sentenza Marbury vs. Madison si può dire che nasce il giudizio sulle leggi anche se manca una vera e propria Corte costituzionale. Il controllo di costituzionalità statunitense si sviluppa con carattere diffuso nel senso che non esiste una Corte la quale eserciti questo specifico compito, ma ogni giudice, al fine di tutelare i diritti di ciascun cittadino, deve valutare se gli atti legislativi da applicare siano conformi alla Costituzione. La Corte suprema mantiene la sua funzione nomofilattica però non detiene il controllo accentrato sulla costituzionalità delle leggi. => funzione nomofilattica = interpretazione e creazione delle norme, funzione tipica delle Corti superiori. Nell'esperienza europea, invece, si forma l'idea di affidare il sindacato di costituzionalità ad un apposito Tribunale per 2 ragioni: 1. offrire una garanzia della Costituzione di carattere obiettivo (cioè non soggettivo come si avrebbe nel caso di più giudici); 2. assicurare al legislatore il privilegio di non essere controllato da qualsiasi giudice , ma solo da una Corte speciale. La giustizia costituzionale si è sviluppata con forme diverse, essenzialmente a seconda che ci sia o meno un apposito Tribunale costituzionale. Nel caso in cui il sindacato di costituzionalità sia svolto da un'apposita sezione della Corte suprema (tribunale), si parla di sindacato accentrato (come in Italia=> unico tribunale). Se, invece, il sindacato di costituzionalità compete a tutti i giudici si parla di sindacato diffuso (America). Una differenza fondamentale tra queste 2 forme di controllo riguarda gli effetti della decisione di incostituzionalità: nel modello accentrato, la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge ha effetti generali (erga omnes) nel senso che annulla una volta per tutte, l'atto dall'ordinamento sia per il futuro sia per il passato (efficacia retroattiva). Nel sistema diffuso, invece, la decisione di incostituzionalità vale solo rispetto alle parti del singolo giudizio in cui è stata pronunciata (effetto di disapplicazione inter partes). Le altre variabili da prendere in considerazione sono: - il controllo di costituzionalità viene effettuato dopo l'entrata in vigore della legge, quindi in forma successiva mediante un ricorso contro leggi già perfette e vigenti (cioè pubblicate). Esiste anche una forma di controllo (possibile solo nei sistemi accentrati) esercitata da Tribunali costituzionali in via preventiva, come ultima fase del procedimento di formazione della legge (è il sistema tradizionalmente utilizzato in Francia). Inoltre, il controllo preventivo impedisce generalmente ogni altro controllo successivo. => se c'è il controllo preventivo, normalmente non ci sarà anche un controllo successivo; - il controllo di costituzionalità può essere: astratto, quando non trae origine da un procedimento giudiziario in concreto ma effettua un confronto fra norme di grado diverso (legislative e costituzionali) mentre è concreto, quando riguarda una norma di legge applicabile da un giudice nel corso di un giudizio, in cui sono in discussione interessi concreti dei consociati e il giudice controlla che le leggi da applicare siano conformi ai precetti costituzionali. ACCESSI ALLA CORTE A seconda che il controllo sia astratto o concreto, vi sono due diverse vie processuali per adire (ricorrere/rivolgersi) la Corte costituzionale: la via incidentale e la via principale. La via incidentale: La via incidentale è un controllo di tipo successivo e concreto perché interviene su leggi e atti legislativi già in vigore (i quali hanno già potuto produrre effetti) e in seguito a una questione sollevata da una delle parti o rilevata d'ufficio dallo stesso giudice nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale. Il giudizio in via incidentale si caratterizza per l'importante ruolo svolto dai giudici comuni: una questione di costituzionalità può essere sollevata da un giudice (che viene definito giudice a quo) nel momento in cui deve applicare una legge in un giudizio. Egli, qualora abbia un dubbio sulla costituzionalità della legge che deve applicare può sospendere il processo e richiedere l'intervento della Corte costituzionale. A tal fine, deve emanare un'ordinanza di rimessione, nella quale deve motivare l'esistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Per rilevanza della questione di legittimità costituzionale si intende che il giudice a quo deve dimostrare di dover applicare quella specifica norma di legge nel giudizio, e che questa applicazione eserciterà un'influenza sull'esito del giudizio. Deve avere il carattere di necessarietà (senza quella legge non si può risolvere il giudizio) Per non manifesta infondatezza si intende l'esistenza di un dubbio ragionevole sulla costituzionalità della norma e non campato in aria. La via principale: La via principale è un procedimento diretto in quanto è data la possibilità a determinati soggetti di chiamare in causa la Corte Costituzionale senza che sia necessario l'intervento di un giudice, come avviene, invece, nel caso di giudizio in via incidentale, per tutelare le proprie competenze legislative. Questo procedimento viene disciplinato nell'art 127 della Cost e può essere promosso con ricorso dallo Stato qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, o dalle regioni quando ritengano che una legge statale invada la loro competenza. Tale ricorso può essere effettuato entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge. L'accesso diretto alla Corte Costituzionale è riconosciuto allo Stato, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano. Il controllo effettuato dalla Corte costituzionale nel giudizio in via principale è di tipo successivo perché Stato e Regioni possono ricorrere alla Corte entro 60 giorni dalla pubblicazione, ed ha carattere astratto. Il ricorso successivo sia per lo Stato sia per le Regioni è stato introdotto dalla legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001 che ha modificato il titolo quinto della Costituzione. Prima di tale riforma, le Regioni potevano ricorrere nei confronti delle leggi dello Stato solo successivamente alla loro entrata in vigore mentre lo Stato poteva ricorrere nei confronti delle leggi regionali prima della loro entrata in vigore. Con la riforma del 2001, la situazione è profondamente cambiata perché ora Le decisioni della Corte Costituzionale possono essere di 2 tipi: decisioni processuali e decisioni di merito. Le decisioni processuali possono essere: 1. di inammissibilità: di regola, sono ordinanze ossia decisioni brevi e motivate sinteticamente con cui la Corte Costituzionale afferma che la questione non è rilevante o che la questione non è stata posta da un soggetto legittimato (giudice) oppure manca nel ricorso la legge da giudicare o il parametro di giudizio. In questi casi, la Corte non entra neanche nel merito del giudizio; 2. di manifesta infondatezza: sono sempre delle ordinanze in cui la Corte reputa che la questione sia manifestamente infondata (palesemente sbagliata). Ciò avviene di solito quando la Corte si era già pronunciata su una questione ma nonostante ciò le vengono riproposti ricorsi sempre sulla stessa questione. Le decisioni di merito sono sentenze ossia decisioni più elaborate con cui la Corte si pronuncia sul merito della questione di legittimità e,quindi, effettua il confronto tra oggetto e parametro. Esse possono essere: 1. di accoglimento: con esse la Corte costituzionale accoglie la questione di legittimità ossia dichiara l'incostituzionalità delle leggi sottoposte al suo giudizio. La Corte,dunque, annulla la legge incostituzionale in applicazione del criterio gerarchico. La sentenza di accoglimento ha efficacia retroattiva (ex tunc) perché gli effetti sono eliminati per il presente e per il passato CON IL LIMITE DEI RAPPORTI GIURIDICI ESAURITI e erga omnes cioè vale nei confronti di tutti. Le sentenze di accoglimento possono essere manipolative ossia non si limitano a eliminare una legge incostituzionale ma introducono norme nuove ritenute costituzionalmente necessarie. Le sentenze manipolative possono essere di 3 tipi: - additive : dichiarano illegittima la legge nella parte in cui non prevede qualcosa che sarebbe invece corretto prevedere. Dunque, con tale sentenza la legge non viene eliminata dall'ordinamento ma le si è aggiunge qualcosa di nuovo. - riduttive (o ablative) : dichiara illegittima la legge nella parte in cui prevede qualcosa che non avrebbe dovuto prevedere e,dunque, elimina una parte della legge. - sostitutive : dichiarano illegittima la legge nella parte in cui prevede una cosa al posto di un'altra e,dunque, elimina la parte della norma sbagliata sostituendola con la parte giusta mancante. 2. di rigetto: dichiara non fondata la questione ma non significa che la legge sia costituzionalmente legittima: non impedisce che la questione di legittimità venga riproposta in altri giudizi o in altri gradi dello stesso giudizio. L'unico che non può riproporre la stessa questione è il giudice che aveva fatto il ricorso in quel particolare giudizio. • Fondata= giusta • non fondata = non giusta/ non va bene Le sentenze di rigetto possono essere anche sentenze interpretative di rigetto con cui la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale in relazione ad una particolare interpretazione della legge. Dunque, la legge resta salva (nel senso che non viene annullata perché non abbiamo accolto il ricorso), però, la Corte invita a leggere la sentenza in cui dà un'interpretazione della legge coerente con la Costituzione. Le sentenze monito (o monitorie) sono le sentenze di rigetto con cui la Corte Costituzionale invita il legislatore ad adeguare una legge alla Costituzione. 2. I conflitti di attribuzione: La seconda competenza assegnata alla Corte è il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra Regioni. Per poteri dello Stato si intendono tutti quegli organi che godono di una sfera di attribuzioni garantita dalla Costituzione (es. potere legislativo, esecutivo, giudiziario, Presidente della Repubblica). L'oggetto del conflitto di attribuzione è costituito da un qualunque atto emanato da un potere dello Stato, ritenuto lesivo della competenza di un altro potere. Il parametro è dato dalle norme costituzionali che assegnano le sfere di competenza a ciascun potere. Il procedimento è avviato attraverso un ricorso da parte di uno dei poteri dello Stato. Una volta fatto il ricorso, la decisione della Corte Costituzionale dovrà dichiarare a quale potere spettava la competenza per l'atto, e annullare l'atto incompetente. 3 . Il giudizio penale nei confronti del Capo dello Stato: La terza funzione della Corte Costituzionale è giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica prevista dall'art. 90 della Cost (alto tradimento e attentato alla Costituzione). Il Presidente della Repubblica è politicamente irresponsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. Il Presidente è responsabile per i reati presidenziali: alto tradimento e di attentato alla Costituzione ossia quei comportamenti dolosi (intenzionali) di natura anticostituzionale volti a sovvertire l'ordinamento e a rompere il legame di fedeltà della Repubblica. In questo caso, derogando alla giurisdizione ordinaria (piuttosto che andare dal giudice penale ordinario), il Presidente viene messo in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta ed è giudicato dalla Corte Costituzionale in composizione integrata. Il giudizio si conclude con l'applicazione da parte della Corte costituzionale di sanzioni penali, costituzionali, amministrative e civili. La Corte costituzionale, sino ad oggi, non ha mai esercitato tale competenza (nel senso che non è mai accaduto). 4. Il giudizio di ammissibilità sulle richieste di referendum abrogativo: La quarta funzione della Corte costituzionale non è prevista in Costituzione ma nell'art 2 della legge costituzionale n.1 del 1953: si tratta del giudizio sull'ammissibilità delle richieste del referendum abrogativo. Infatti, la Corte costituzionale ha elencato dei limiti espliciti che l'art. 75 pone per il referendum abrogativo, introducendo anche dei limiti impliciti. (vedi paragrafo sul Referendum abrogativo) Composizione della Corte Costituzionale: Secondo l'art. 135 comma 1 della Cost, la Corte costituzionale è composta di 15 giudici nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica , per 1/3 dal Parlamento in seduta comune e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative. Al secondo comma, invece, vengono indicati i requisiti per essere nominati: i giudici della Corte costituzionale sono scelti fra magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati con più di 20 anni di esercizio. In Costituzione non sono stabilite le procedure per giungere concretamente alle designazioni (elezioni) dei giudici costituzionali. => In Costituzione, i giudici vengono scelti sulla base dei requisiti senza indicare i modi con cui devono essere eletti Il fatto che sia la stessa Corte costituzionale a verificare i requisiti per l'effettiva assunzione della carica di giudice (cosiddetta verifica dei poteri) indica la posizione di indipendenza da ogni ingerenza esterna in cui si trovano l'organo e i suoi componenti. Tale caratteristica consiste nell'immunità dei giudici per le opinioni espresse e nella loro inamovibilità (stabilità) che può essere disposta solo dalla stessa Corte; => i giudici non possono essere tolti dal loro incarico se non dalla stessa Corte e per gravi motivi nell'immunità della sede in cui non può accedere la forza pubblica (polizia) senza il consenso del Presidente e nell'autonomia organizzativa dell'organo. I giudici durano in carica 9 anni e il loro mandato è incompatibile con ogni altra carica. Espressamente disposti dalla Costituzione sono il divieto di rinnovo del mandato e la cessazione dell'esercizio delle funzioni allo scadere del termine dei 9 anni. => possono essere giudici della Corte costituzionale una sola volta Infatti, alla scadenza del termine, il giudice costituzionale cessa della carica e dell'esercizio delle funzioni; ciò significa che ai giudici costituzionali non si applica la cosiddetta prorogatio cioè il principio in forza del quale i titolari di pubblici uffici possono continuare ad esercitare i propri compiti istituzionali nonostante sia scaduto il loro mandato sino alla concreta sostituzione, in maniera da garantire la continuità d'ufficio. La Corte elegge, tra i suoi componenti, il Presidente della Corte che rimane in carica per un triennio ed è rieleggibile, sempre nei limiti del suo mandato di giudice. La votazione per il Presidente avviene a scrutinio segreto e richiede la maggioranza assoluta dei componenti. Se non si raggiunge tale maggioranza nelle prime due votazioni si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti, eleggendo, in caso di parità, il più anziano di carica e in mancanza di quest'ultimo, il più anziano di età. Il Presidente rappresenta la Corte e svolge funzioni di organizzazione , direzione e impulso dei lavori senza assumere un ruolo determinante, stante il principio di collegialità che caratterizza il funzionamento dell'organo. I PRINCIPI COSTITUZIONALI DELLA MAGISTRATURA / MAGISTRATURA La funzione giurisdizionale che compete alla magistratura consiste nell'applicazione della legge per risolvere controversie concrete. I principi relativi alla magistratura e alla giurisdizione sono contenuti sia nella prima parte che nella seconda parte della Costituzione. L'art. 24 della Cost stabilisce che il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del giudizio e riconosce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Nella stessa che hanno una competenza per specifiche materie: essi sono i tribunali amministrativi regionali TAR, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e i tribunali militari in tempo di pace. I tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato esercitano funzioni di giustizia amministrativa rispettivamente di primo e di secondo grado: contro le decisioni del TAR è ammesso il ricorso al Consiglio di Stato le cui sentenze sono definitive e normalmente essi giudicano le controversie nelle quali una delle parti sia soggetto pubblico. La Corte dei conti è un organo giurisdizionale competente nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge ed infine, i tribunali militari in tempo di pace, hanno giurisdizione per i reati militari commessi da chi appartiene alla Forze armate. La Costituzione fissando il divieto di istituire giudici speciali, ha voluto evitare di frammentare la giurisdizione in una pluralità di giudici cui affidare specifiche materie. Dunque, la Costituzione vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali ma ammette l'esistenza di quelli già previsti (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei conti e i tribunali militari in tempo di pace). Il giudice straordinario, invece, è un giudice istituito successivamente al verificarsi di determinati fatti sottoposti al suo giudizio e anche questi sono vietati dalla Costituzione (sono creati apposta per giudicare su un certo fatto). Diritti soggettivi, interessi legittimi e doppia giurisdizione: Secondo le previsioni costituzionali sulla tutela giurisdizionale, ogni soggetto è titolare di 2 diverse posizioni giuridiche: il diritto soggettivo oppure l'interesse legittimo. Sulla base di queste diverse posizioni, esistono due diverse giurisdizioni: la giustizia ordinaria che si occupa dei diritti soggettivi e la giustizia amministrativa che si occupa degli interessi legittimi. Il diritto soggettivo è la pretesa di un soggetto che l'ordinamento giuridico protegga un suo interesse. L'interesse legittimo, invece, è la pretesa che la PA, quando interferisce con l'interesse di un soggetto privato, agisca rispettando la legge. In passato, le controversie tra PA e privati erano decise dall'amministrazione stessa, e dunque, i ricorsi avevano una natura amministrativa e non giurisdizionale. => in passato, non c'era il giudice amministrativo e il privato doveva andare dalla PA per difendersi. Con la legge di unificazione amministrativa,poi, vennero aboliti questi ricorsi amministrativi (cioè PA) riconoscendo la giurisdizione del giudice ordinario per questioni in cui era parte anche la PA, però solo per lesioni di diritti soggettivi e non per gli interessi legittimi che erano ancora privi di tutela. Con la legge Crispi del 1889 viene istituito anche il giudice amministrativo e,quindi, si crea una doppia giurisdizione ossia in caso di lesione di un diritto soggettivo si va dal giudice ordinario mentre per la lesione di un interesse legittimo si va dal giudice amministrativo. IL PARLAMENTO Il Parlamento è l'organo legislativo dello Stato italiano costituito da 2 assemblee (Camera dei deputati e Senato della Repubblica), la cui funzione principale è quella legislativa. L'origine dei Parlamenti si colloca già nel Medioevo; successivamente, il Parlamento ebbe un ruolo fondamentale nell'esperienza politica della Gran Bretagna e in seguito si sviluppa anche negli altri paesi europei. La nostra Assemblea costituente ha,dunque, optato per un sistema bicamerale di tipo perfetto: in base all'art. 55 della Cost, il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Si è arrivati al principio del cosiddetto bicameralismo perfetto per paura di un assolutismo parlamentare, cui avrebbe potuto portare l'accoglimento della soluzione monocamerale in quanto tutto il potere legislativo si sarebbe concentrato in una sola Camera. Con il bicameralismo perfetto si ha una parità funzionale tra le due Camere => LE CAMERE ESERCITANO GLI STESSI POTERI. Vi è,però, una differenza fra le 2 camere sotto il profilo strutturale- rappresentativo: inizialmente, l'art. 60 primo comma prevedeva una durata in carica differenziata per Camera e Senato perché la durata in carica per la Camera dei deputati era di 5 anni e per il Senato 6 anni ma poi tale disposizione fu modificata con legge costituzionale n. 2 del 1963 pervenendo alla parificazione della durata del Senato a quella della Camera (entrambe le Camere elette per 5 anni). Oggi, la differenza, tra le due Camere è data: • dalla composizione: 315 membri del Senato e 630 membri della Camera; • dalla presenza di una limitata componente non elettiva nel Senato, costituita dai senatori di diritto e a vita (gli ex presidenti della Repubblica) e dai 5 senatori a vita nominati dal Capo dello Stato fra i cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale,scientifico, artistico e letterale; • Dalla differente individuazione dei requisiti di elettorato attivo e passivo: mentre per la Camera dei deputati si richiede la maggiore età per rivestire la qualifica di elettore (elettorato attivo) e di 25 per essere eletto (elettorato passivo), per il Senato sono necessari rispettivamente il compimento del 25esimo (elettorato attivo) e del 40esimo anno di età (elettorato passivo). Ciascuna camera dura in carica 5 anni e tale periodo assume il nome di legislatura. La legislatura dura dall'entrata in funzione delle Camere (prima riunione) fino alla loro naturale scadenza. La Costituzione precisa che la prima riunione ha luogo non oltre il 20esimo giorno dalle elezioni. La legislatura, però, può essere anche più breve: infatti, in base all'art 88 della Cost, il Presidente della Repubblica, tranne nel caso in cui si trovi nel cosiddetto semestre bianco, può sciogliere anticipatamente le Camere. => Per semestre bianco si intendono gli ultimi 6 mesi del mandato del Presidente della Repubblica: in questi 6 mesi, egli non può sciogliere le Camere a meno che non coincidano anche con gli ultimi 6 mesi della legislatura. Le Camere possono essere prorogate ma soltanto in caso di guerra ai sensi dell'art.60 comma 2 della Cost.: in questo caso il mandato parlamentare può durare più di 5 anni. Vi è una netta differenza tra la proroga (prevista solo in caso di guerra) e la prorogatio in quanto quest'ultima serve ad evitare discontinuità nell'esercizio dei poteri parlamentari nel periodo che intercorre tra lo scioglimento delle Camere e le elezioni delle nuove. Questo significa che fino a quando non sono riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti (poteri però, che sono limitati alla cosiddetta ordinaria amministrazione). La Costituzione indica un numero minimo di sedute ordinarie e la possibilità di riunioni straordinarie per iniziativa del Presidente di ogni Assemblea, del Presidente della Repubblica o di 1/3 dei componenti (art.62 della Cost). La Costituzione prevede il principio della generale pubblicità dell'attività parlamentare a meno che non ne sia deliberata la segretezza. L'aspetto più importante della pubblicità dei lavori è la pubblicazione dei resoconti delle sedute che possono essere consultabili da tutti sia nella versione cartacea che sul sito web delle Camere. In Assemblea è necessaria la presenza di un certo numero di parlamentari per la validità delle sedute. Il quorum costitutivo serve per la validità della seduta ed è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti; invece il quorum deliberativo che serve per assumere le decisioni è a maggioranza relativa ossia la maggioranza dei presenti. Lo status del parlamentare: L'art.68 della Cost tratta delle immunità funzionali dei singoli parlamentari, ossia dell'insindacabilità e inviolabilità. Al comma 1 di tale articolo si parla della insindacabilità consistente nella irresponsabilità dei membri delle Camere per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Questo significa che nei confronti di deputati e senatori, anche dopo la cessazione della carica, non possano essere avviate azioni di responsabilità in sede civile, penale e amministrativa per le opinioni espresse e i voti dati. Nel secondo e terzo comma del medesimo articolo si ha la cosiddetta inviolabilità in base alla quale nessun parlamentare può essere sottoposto a misura limitativa della libertà personale (ad es. arresto e perquisizioni) oppure ad intercettazione delle comunicazioni o sequestro della corrispondenza (posta) senza autorizzazione della camera alla quale appartiene. Mentre con l'insindacabilità l'immunità continua anche quando il parlamentare cessa dalle sue funzioni, l'inviolabilità offre al parlamentare una tutela che è temporalmente circoscritta alla durata del mandato parlamentare. L'art. 56 della Cost, tratta dell'ineleggibilità e incompatibilità. Per ineleggibilità si intende quella condizione/posizione soggettiva che impedisce di essere eletti in quanto si tratta di soggetti che, per la posizione che ricoprono, potrebbero influenzare gli elettori e ,dunque, condizionare la libertà di voto: ad esempio, i Presidenti delle Province. L'incompatibilità, invece, si ha quando l'eletto non può esercitare funzioni o cariche che non risultano cumulabili con il mandato parlamentare. Le cause di incompatibilità possono essere rimosse mediante una scelta: in sostanza, l'eletto deve scegliere quale carica mantenere e a quale rinunciare. Il Parlamento in seduta comune: L'art. 55 della Cost prevede che il Parlamento può riunirsi in seduta comune dei membri delle 2 Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Il Parlamento in seduta comune è un organo collegiale composto da tutti i parlamentari per lo svolgimento di funzioni tassativamente individuate nella Costituzione, che riguardano soprattutto l'elezione di alcune cariche dello Stato e la funzione “accusatoria” per il Presidente della Repubblica. L'art. 63 , aggiunge che quando il Parlamento si riunisce in seduta comune il Presidente e l'Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati. Esso è presieduto dal Presidente della Camera, si riunisce nell'aula della Camera dei deputati e usa come proprie regole di funzionamento e organizzazione quelle del regolamento della Camera. Al Presidente della Camera dei deputati spetta il potere di convocazione del Parlamento in seduta comune, che si riunisce nella sede della Camera a Palazzo Montecitorio. Le competenze del Parlamento in seduta comune elencate dalle fonti costituzionali sono le seguenti: • in base all'art. 83 della Cost elegge il Presidente della Repubblica e in base all'art. 91 della Cost assiste al suo giuramento; • In base all'art. 135 comma 1 della Cost, elegge 1/3 dei membri della Corte costituzionale. • A norma dell'art. 135 comma 7 della Cost, provvede alla formazione della lista di 45 nomi Le funzioni del Parlamento sono: 1). la funzione normativa= è l'insieme di attività in cui il Parlamento produce norme giuridiche di diverso grado. Si tratta di una funzione complessa che si attua in diversi momenti della vita parlamentare. Il punto di partenza per l'analisi di questa funzione si ha l'art. 70 della Cost nel quale si legge che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle 2 Camere. Gli articoli successivi (fino al 74) individuano il procedimento legislativo, disciplinando con cura le diverse fasi (iniziativa, costitutiva ed integrativa dell'efficacia). Oltre al potere di approvare le leggi ordinarie, le Camere esercitano il potere di approvare le leggi costituzionali e di revisione costituzionale secondo il procedimento previsto nell'art. 138 della Cost. Inoltre, ciascuna Camera ha di approvare il proprio regolamento interno che disciplina l'organizzazione, il funzionamento e soprattutto contiene le disposizioni di attuazione del procedimento legislativo; 2). la funzione di indirizzo= Il Parlamento esercita una funzione di indirizzo nei confronti del Governo. Vi sono 3 tipi di atti per indirizzare il Governo: le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno. La mozione consiste in un documento riguardante tutti o determinati aspetti dell'azione del Governo, che l'assemblea è chiamata a deliberare. La discussione sulla mozione si conclude con un voto che, se positivo, impegna politicamente il Governo a comportarsi nel modo indicato nella mozione. Possiamo richiamare la mozione di fiducia, cioè l'atto con il quale viene concessa la fiducia al Governo e la mozione di sfiducia, cioè l'atto con il quale si mette fine al rapporto fiduciario. Molto simile alla mozione è la risoluzione ossia un atto di indirizzo con il quale le commissioni e l'assemblea possono esprimere il loro punto di vista e un indirizzo al Governo sull'argomento in discussione. La struttura e le finalità della risoluzione sono molto simili a quelli della mozione ma differiscono per quanto riguarda alcuni aspetti procedurali. Infine, abbiamo il terzo tipo di atto di indirizzo: l'ordine del giorno, un documento a carattere accessorio (cioè che si accompagna ad un altro atto) rispetto ad un altro testo (un disegno di legge o una mozione) su cui l'assemblea o una commissione è chiamata a deliberare. In questi casi, l'ordine del giorno serve a precisare il significato della deliberazione principale (che è la nostra mozione o disegno di legge), impegnando politicamente il Governo a rispettarla. Vi sono anche gli atti di indirizzo politico- economico che provengono sia dal parlamento sia dal Governo per assicurare il corretto funzionamento dei mercati e quello di disciplinare l'intervento pubblico nell'economia. Sono ad esempio: le leggi di bilancio, la legge di stabilità. 3). la funzione di informazione e controllo= Vi sono numerosi strumenti per esercitare la funzione di informazione e controllo nei confronti del Governo e della PA. I due strumenti informativi più importanti sono: - le interpellanze= l'interpellanza , che può svolgersi solo in assemblea, è presentata in forma scritta e con essa si chiede al Governo perché si è comportato in un certo modo e cosa intende fare successivamente in riferimento ad un elemento della sua politica (si chiede il perché); e - le interrogazioni= l'interrogazione è una richiesta fatta al Governo di essere informati su un fatto e sulla posizione che il Governo stesso assume a riguardo. Viene posta per iscritto e può avere una risposta scritta o orale; può essere presentata anche in Commissione. Le interrogazioni a risposta immediata sono caratterizzate da un contraddittorio immediato (nel senso che viene posta la domanda parlamentare e immediatamente il membro del Governo risponde). Oltre a questi atti di informazione finalizzati al controllo del Governo o della PA, esiste anche una particolare tipologia di attività parlamentari che hanno lo scopo di consentire alle Camere o alle commissioni di acquisire informazioni su temi ritenuti di rilevante interesse. L' organo deputato a tale attività prende il nome di Commissione d'inchiesta (= commissioni ad hoc). Il diritto di elettorato: Il diritto di voto o diritto di elettorato attivo è previsto dall'art. 48 della Cost che stabilisce al primo comma che sono elettori tutti i cittadini (uomini e donne) che hanno raggiunto la maggiore età mentre al secondo comma stabilisce che il voto è personale, eguale, libero e segreto ed il suo esercizio è un dovere civico. Si tratta di requisiti positivi che bisogna possedere ai fini dell'imputazione del diritto di voto ma che possono non essere sufficienti all'esercizio dello stesso ogniqualvolta ad essi si accompagni la presenza di condizioni ostative (di impedimento) che vengono definiti requisiti negativi. Per quanto riguarda i requisiti negativi, l'art. 48 prevede che il diritto di voto può essere limitato solo per incapacità civile (incapacità di agire) o per effetto di sentenza penale irrevocabile (chi ha commesso reati) o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Per la nostra legislazione gli incapaci sono i minori, gli interdetti e parzialmente gli inabilitati. Per quanto riguarda le condizioni poste dall'art. 48 per l'esercizio del diritto di voto, tale articolo esclude la possibilità dell'intermediazione di un soggetto diverso tranne nei casi in cui l'intervento del terzo sia assolutamente necessario per esprimere il voto (si pensi ad esempio al caso dei ciechi; in questi casi la legge consente che vengano accompagnati nella cabina elettorale da parente o persona di fiducia. Si tratta del cosiddetto voto assistito). => per il voto non può andarci un'altra persona per un'altra L'eguaglianza del voto indica che il voto espresso da un cittadino ha la stessa importanza e stesso peso di quello espresso da un altro, per cui va ad escludere la possibilità che il voto espresso da alcuni possa avere un peso quantitativamente maggiore di quello degli altri oppure che alcuni possano esprimere più di un voto. Per quanto riguarda la libertà e segretezza del voto, esse indicano 2 condizioni complementari ed implicate l'una nell'altra: mentre la libertà consiste in una garanzia di assenza di costrizioni, la segretezza è vista come una modalità di espressione della scelta elettorale che non consente di sapere il voto del votante. Il diritto di elettorato passivo L'elettorato passivo consiste nella possibilità di essere eletti. Gli elementi che incidono sull'elettorato passivo sono: l'ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità (segue alla condanna definitiva per determinati reati). I sistemi elettorali I sistemi elettorali possono differenziarsi a seconda della dimensione del collegio: • Collegio unico : coincide con tutto il territorio nazionale • Collegio plurinominale : il territorio nazionale è suddiviso in più collegi in cui sono eletti 2 o più candidati • Collegio uninominale : ci sono più collegi e in ogni collegio può essere eletto un solo candidato. I sistemi elettorali si dividono in due grandi famiglie: - SISTEMI MAGGIORITARI= Un sistema è maggioritario quando chi ottiene più voti all'interno di un collegio/circoscrizione conquista tutti i seggi assegnati alla circoscrizione stessa. Di solito, si tratta di collegi piccoli ai quali spetta un solo seggio=> è basato, quindi, su un collegio uninominale. Ogni partito (o coalizione di partiti) presenta un candidato e viene eletto quello che ottiene più voti: questo si chiama anche sistema a turno unico. Esistono anche i sistemi a doppio turno, in cui il candidato più votato viene eletto solo se conquista almeno una certa percentuale di voti (di solito il 50%). Se questa percentuale non viene raggiunta, si effettua una seconda votazione chiamata ballottaggio a cui partecipano quei candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti e viene eletto chi ottiene più voti. Il sistema maggioritario consente di individuare una chiara maggioranza politica ma comporta una perdita di rappresentatività degli organi elettivi poiché vengono esclusi i partiti più piccoli. - SISTEMI PROPORZIONALI= prevedono circoscrizioni più grandi perché in esse sono eletti molti rappresentanti e la competizione si svolge non tra candidati ma tra liste concorrenti: i seggi sono attribuiti alle liste in proporzione ai voti ottenuti. Il sistema proporzionale assicura una corrispondenza tra l'organo elettivo e la volontà popolare ma soprattutto in paesi caratterizzati dalla presenza di molti partiti, non garantisce la governabilità perchè l'organo elettivo risulta composto da molti partiti (anche piccoli). Per cercare di eliminare i difetti dei 2 sistemi, sono stati elaborati dei sistemi misti che cercano di correggere il sistema maggioritario e il sistema proporzionale. I correttivi più utilizzati sono: 1. la soglia di sbarramento: che rappresentano il livello minimo di voti per ottenere i seggi in un'assemblea elettiva; con esse non sono ammesse alla ripartizione dei seggi le liste che non ottengono almeno una certa percentuale di voti; 2. il premio di maggioranza: consiste nell'assegnare un certo numero di seggi in più ad una lista rispetto a quelli che avrebbe ottenuto solo in proporzione ai voti ottenuti. Il sistema elettorale attuale (in Italia) è un sistema proporzionale con liste bloccate (l'elettore può esprimere preferenza per il partito ma non può indicare un nominativo; saranno eletti i nominativi indicati dai partiti nell'ordine da loro scelto). E' previsto un premio di maggioranza eventuale (che viene dato solo se nessuna lista consegua un certo numero di voti) e soglie di sbarramento. E' anche previsto che i partiti possono allearsi in coalizioni oppure concorrere (gareggiare) da soli. IL GOVERNO • il decreto di nomina del Presidente del Consiglio; • il decreto di nomina dei singoli ministri; • il decreto di accettazione delle dimissioni del Governo uscente. Il giuramento Successivamente alla firma dei decreti di nomina, il procedimento di formazione del governo si conclude con l'ultima fase ossia una fase integrativa dell'efficacia disciplinata dall'art. 93 della Cost. Ai sensi di tale articolo, prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i ministri devono prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Con il giuramento, il nuovo Governo entra in carica sostituendosi, secondo il principio di continuità, con il Governo uscente, il quale contestualmente cessa dall'esercizio delle sue funzioni. Il Governo, effettuati la nomina e la prestazione del giuramento, non è ancora pienamente in funzione ma deve limitarsi a svolgere i compiti di ordinaria amministrazione fino a quando non ottiene la fiducia delle Camere. Infatti, entro 10 giorni dalla nomina, il Governo deve presentarsi alle Camere con il programma che intende attuare, lo espone e deve ottenere la maggioranza semplice in ciascuna aula per avere la fiducia. La crisi di Governo: Le crisi di governo possono essere: - parlamentari - extraparlamentari Le crisi parlamentari si verificano quando c'è un voto contrario al Governo: per una mancata approvazione della mozione di fiducia; per l'approvazione di una mozione di sfiducia o per il voto contrario al Governo su una questione di fiducia. Infatti, il Governo appena si costituisce, deve presentarsi alle Camere per il voto di fiducia che viene dato mediante l'approvazione di una mozione di fiducia. Se la fiducia non viene concessa da parte del Parlamento, il Governo non può formarsi e si apre la cosiddetta crisi di governo parlamentare. Allo stesso modo, la fiducia può essere revocata dalle Camere mediante l'approvazione di una mozione di sfiducia. La mozione di fiducia o di sfiducia è sempre parlamentare (perché la fa sempre il Parlamento), invece, la questione di fiducia viene posta dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio pone la questione di fiducia al Parlamento su questioni considerate particolarmente importanti e, in caso di risposta negativa da parte del Parlamento, il Governo è costretto a dimettersi. Le crisi extraparlamentari portano alle dimissioni spontanee del Presidente del Consiglio e,quindi, non a seguito di un voto contrario da parte delle Camere. Si verificano, ad esempio, quando il Governo è posto in minoranza su una proposta di alto rilievo politico; quando un partito della maggioranza del Parlamento dichiara di voler revocare la fiducia al Governo e di voler uscire dalla maggioranza ( in quanto non è d'accordo); quando appare chiaro che il Governo non ha più la maggioranza in Parlamento e ,infine, nel caso in cui si vogliono sostituire i ministri: o i ministri si dimettono spontaneamente e vengono sostituiti senza crisi di Governo (il cosiddetto rimpasto) oppure se i ministri non si dimettono spontaneamente allora il Presidente del consiglio si dimette provocando la crisi di Governo e si formerà un nuovo Governo che avrà lo stesso Presidente del Consiglio ma con diversi ministri (strumento che consente di modificare la struttura). La responsabilità del Governo Per responsabilità si intende che un soggetto risponde ad un altro degli atti che compie. Sul piano costituzionale, esistono 2 forme di responsabilità del Governo: • RESPONSABILITA' DI TIPO GIURIDICO: significa che è possibile citare in giudizio per violazione di norme giuridiche i titolari di funzioni pubbliche. In base all'art. 28 della Cost, ogni funzionario dello Stato e i singoli esponenti del Governo sono civilmente responsabili per i danni arrecati a terzi nell'esercizio delle loro funzioni, e di fronte alla Corte dei conti per i danni arrecati alla PA. Penalmente, in base all'art. 96 della Cost, il Presidente del Consiglio e i ministri sono responsabili per i cosiddetti reati ministeriali cioè per quei reati che commettono nell'esercizio delle funzioni di governo, dei quali ne rispondono anche dopo la cessazione dalla carica dinanzi alla magistratura ordinaria. Al di fuori dei reati ministeriali, ciascun membro del Governo risponde dei reati comuni come qualsiasi altro cittadino; • RESPONSABILITA' DI TIPO POLITICO: Il Governo ottiene la fiducia sulla base di un certo programma ma se poi non lo realizza o lo realizza in parte può essere chiamato a rispondere del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il Presidente del Consiglio è responsabile della direzione della politica generale del Governo e per il coordinamento dell'attività dei ministri. Egli si trova in una posizione di preminenza ma non di superiorità gerarchica rispetto ai ministri, per cui non può revocarli. I ministri, invece, sono individualmente responsabili degli atti che provengono dal loro ministero e sono anche responsabili collegialmente degli atti emanati dal Consiglio dei ministri. I L PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico che qualifica il nostro ordinamento come repubblicano. Egli è eletto da uno speciale collegio che è il Parlamento in seduta comune integrato con rappresentanti delle Regioni. In particolare, ogni Regione ha il potere di designare (nominare) tre delegati, ad eccezione della Valle d'Aosta che può esprimere un solo delegato. Il Presidente della Repubblica dura in carica 7 anni ed è rieleggibile. Per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, la convocazione del Parlamento in seduta comune e dei delegati regionali per l'elezione, è fatta dal presidente della Camera dei deputati, 30 giorni prima che scada il termine di 7 anni (art. 85 della Cost). Per quanto riguarda i quorum, l'elezione del Presidente della Repubblica avviene a maggioranza di 2/3 nei primi due scrutini e maggioranza assoluta a partire dal terzo scrutinio. La definizione del suo ruolo si trova nell'art. 87 comma 1 della Cost, che lo qualifica come Capo dello Stato e rappresentante dell'unità nazionale. Come Capo dello Stato, egli è chiamato a verificare il corretto funzionamento dell'ordinamento costituzionale mentre come rappresentante dell'unità nazionale, invece, egli rappresenta simbolicamente non soltanto la popolazione ma anche la comunità statale che condivide un insieme di valori comuni. Nel caso in cui il Presidente della Repubblica sia permanentemente o temporaneamente impedito, le funzioni vengono esercitate dal Presidente del Senato che acquista automaticamente la carica senza che sia necessario prestare giuramento, il quale potrà svolgere tutti gli atti propri del Presidente della Repubblica sino alla fine degli impedimenti (si tratta della cosiddetta supplenza). I requisiti personali richiesti per essere eletto Presidente della Repubblica, disciplinati dall'art. 84 comma 1 della Cost, sono: essere cittadino italiano (e quindi non si può essere stranieri), aver compiuto 50 anni di età e godere dei diritti civili e politici. Il mandato del Presidente della Repubblica è di 7 anni a decorrere dal giuramento e tale durata della carica può essere ridotta da eventi naturali come la morte o l'impedimento permanente, dalla perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti politici e civili, e per atto volontario del Presidente(le dimissioni). Nella prassi, le dimissioni sono considerate un atto personale del Presidente e, dunque, non vengono assoggettate alla controfirma ministeriale. In base all'art. 91 della Cost, il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. Tale articolo esplicita per il Presidente una responsabilità politica diffusa nei confronti del paese perché qualora questo rapporto si rompa, può portare alle sue dimissioni. Al di là di questa generica forma di responsabilità, il Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 90, non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni (ad eccezione dei casi in cui tali atti integrino reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione) in quanto la responsabilità politica degli atti presidenziali è assunta dai ministri che sono tenuti ad apporre la controfirma. => Irresponsabilità politica. Al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, come privato cittadino, il Presidente della Repubblica è, invece, responsabile sia civilmente che penalmente per cui risponde al pari di ogni cittadino => Irresponsabilità giuridica. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri (si è inteso coinvolgere anche il Presidente del Consiglio dei ministri nella responsabilità di quegli atti di maggiore rilievo politico ossia gli atti aventi valore legislativo e gli altri atti indicati dalla legge). La Costituzione richiede la controfirma ministeriale non solo per trasferire la responsabilità politica dal Presidente al ministro, ma anche come requisito di validità degli atti stessi. Nei casi di reati di attentato alla Costituzione e di alto tradimento (due fattispecie simili ma non identiche che individuano comportamenti dolosi di natura anticostituzionale), il Presidente viene messo in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri ed è giudicato dalla Corte costituzionale in composizione integrata. Per effetto del giuramento, infine, il Presidente decade automaticamente da tutte le cariche ricoperte in precedenza e per le quali è prevista l'assoluta incompatibilità. G li atti presidenziali vengono distinti in 3 categorie : 1. quelli formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi: questi atti anche se assumono la forma del decreto del Presidente della Repubblica, vengono predisposti dal Governo per quello che riguarda il loro contenuto. Rispetto a tali atti, quindi, il Presidente della Repubblica esercita solo un mero controllo di legittimità. Essi sono: ad esempio, i l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse pubblico. => i bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi Il principio di adeguatezza significa che l'entità organizzativa che è titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà. Se l'ente territoriale a cui è affidata una funzione amministrativa, che per il principio della sussidiarietà dovrebbe essere quello più vicino al cittadino amministrato, non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita all'entità amministrativa territoriale superiore. Il principio di differenziazione stabilisce che per assegnare una potestà amministrativa, si devono considerare le caratteristiche degli enti amministrativi riceventi come le caratteristiche demografiche, territoriali e strutturali che possono variare a seconda della Regione. GLI ATTI DELLA PA: PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO L'amministrazione pubblica persegue i suoi scopi attraverso una serie di atti che si distinguono giuridicamente da quelli di natura privata. Questo, però, non toglie che essa possa adottare atti di diritto privato (ad esempio anziché espropriare un terreno, stipula un contratto ponendosi in una posizione paritaria rispetto agli altri soggetti di diritto) ma gli atti di diritto pubblico restano la categoria principale degli atti adottati da una PA. All'interno della categoria “atto amministrativo” si distinguono: • il provvedimento amministrativo (atto provvedimentale) = il provvedimento amministrativo è un atto amministrativo che reca una dichiarazione di volontà da parte della PA nell'esercizio dei suoi poteri con cui può raggiungere effetti giuridici in maniera unilaterale cioè senza la volontà dei soggetti su cui tali effetti ricadranno. Si tratta, dunque, di atti imperativi capaci di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive (ad esempio un provvedimento di espropriazione). Per evitare che la PA abusi di tali poteri e agisca arbitrariamente (come vuole), il principio di legalità la obbliga ad utilizzare procedimenti e i gli atti provvedimentali previsti dalla legge. I principali tipi di provvedimento: - provvedimenti restrittivi, che riducono la sfera giuridica del destinatario imponendogli obblighi o divieti. Fanno parte di questa categoria i comandi (come l'ordine di demolizione di un fabbricato), i divieti (come quello di circolazione automobilistica in alcune zone urbane) e i provvedimenti ablativi (ad esempio l'espropriazione); - provvedimenti ampliativi, aumentano la sfera giuridica del destinatario consentendogli o conferendogli nuove posizioni giuridiche attive. In questa categoria vi sono le ammissioni (ad esempio il conferimento della cittadinanza), le iscrizioni (l'iscrizione negli albi professionali), le autorizzazioni (il rilascio della patente) e le concessioni (la concessione all'uso di un bene demaniale). E' importante distinguere le autorizzazioni dalle concessioni: mentre con l'autorizzazione la PA conferisce un diritto preesistente, con la concessione viene attribuito al richiedente un diritto totalmente nuovo. I caratteri del provvedimento amministrativo , dunque, possono essere così sintetizzati: 1. tipicità : i provvedimenti sono tutti previsti dalla legge per cui la PA non può adottare provvedimenti non previsti. Ciò deriva dal principio di legalità; 2. esecutorietà : la PA può dare immediata esecuzione senza ricorrere al giudice; 3. inoppugnabilità : gli interessati hanno a disposizione tempi brevi (da 30 a 60 a 120 giorni) per ricorrere contro il provvedimento amministrativo. Trascorso questo termine, il provvedimento diviene inoppugnabile, anche se viziato cioè non sarà più impugnabile da parte degli interessati tramite ricorsi amministrativi o giurisdizionali. Questa rappresenta una garanzia di tutti i rapporti che sono stati costituiti, modificati e estinti con provvedimento amministrativo perché decorsi questi tempi, non è più possibile fare venire meno gli effetti del provvedimento, così da mantenere stabilità; 4. imperatività :il provvedimento amministrativo produce immediatamente e unilateralmente i suoi effetti imperativi, anche se invalido (nel senso di annullabile) e nel caso di provvedimento amministrativo illegittimo non può essere annullato dal giudice ordinario ma solo da quello amministrativo. • l'atto amministrativo in senso stretto (atto non provvedimentale) = gli atti amministrativi non provvedimentali cioè non recano una dichiarazione di volontà da parte della PA ma indicano gli atti strumentali, ausiliari che nell'ambito di un procedimento amministrativo precedono e preparano la decisione. Essi sono ad esempio le valutazioni tecniche, i pareri, le ispezioni e le comunicazioni delle decisioni agli interessati. Il procedimento previsto dalla legge che permette di produrre l'atto finale provvedimento è il procedimento amministrativo. Le fasi del procedimento amministrativo sono: 1. fase preparatoria = si apre con l'iniziativa la quale può provenire ad istanza di parte (=cioè chiesto dal cittadino) oppure dall'amministrazione stessa, ed in tal caso si dice d'ufficio. 2. fase dell'istruttoria = individuazione dei soggetti che esaminano sotto i diversi aspetti il provvedimento da adottare, valutando tutti gli interessi in gioco ossia quello pubblico perseguito dalla PA e gli altri interessi pubblici e privati da conciliarsi; 3. fase della decisione = individuazione del soggetto che decide il contenuto dell'atto; 4. fase integrativa dell'efficacia = Questa fase riguarda il momento in cui l'atto comincia a produrre i suoi effetti: ciò può avvenire immediatamente oppure può essere subordinato ad altri fatti esterni al contenuto della decisione (ad esempio in alcuni casi si ritiene che l'atto per produrre i suoi effetti debba essere conosciuto da tutti i destinatari). Gli elementi dell'atto amministrativo Gli elementi dell'atto amministrativo possono essere: essenziali o accidentali/eventuali. Gli elementi essenziali sono gli elementi che costituiscono gli atti amministrativi, indispensabili affinché l'atto possa dirsi giuridicamente esistente. Gli elementi essenziali dell'atto amministrativo sono: - il soggetto, il quale è rappresentato da quell'organo di una PA al quale la legge affida il potere di assumere il provvedimento; - l'oggetto, con il quale si intende la persona, la cosa, la situazione giuridica a cui è rivolto l'atto; - il contenuto, consiste nella dichiarazione di volontà del soggetto che ha emanato l'atto; - la forma, documenta che l'atto adottato dalla PA abbia rispettato lo schema procedimentale che la legge impone. In alcuni casi la forma è vincolata mentre in altri casi la forma è libera. Di solito prevale la forma scritta ma non può escludersi che un provvedimento sia semplicemente orale oppure che possa consistere in un semplice comportamento. In quest'ultima ipotesi assume notevole rilievo il silenzio dell'amministrazione che può tradursi in un vero e proprio provvedimento: in alcuni casi, la legge prevede che il silenzio di accoglimento quando la PA accoglie le richieste del privato e in altri, invece, può tradursi in un rifiuto del provvedere. Gli elementi eventuali (o accidentali), che sono: - la condizione, rappresenta un evento futuro ed incerto al verificarsi del quale l'atto inizierà a produrre effetti (condizione sospensiva) oppure l'atto cesserà di produrre effetti (condizione risolutiva). - il termine, è l'evento futuro e certo cui è subordinata la produzione degli effetti (termine iniziale) o la loro cessazione (termine finale). - il modo o l'onere, è ciò a cui è assoggettato il beneficiario dell'atto affinché tale atto produca effetto. I VIZI DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI La PA nell'esercitare i poteri attribuiti dalla legge, può incorrere in violazioni delle prescrizioni. Vi sono alcune violazioni che non producono invalidità dell'atto ma si traducono in mere irregolarità oppure violazioni che provocano addirittura la nullità dell'atto (forma più grave di invalidità), ed infine, violazioni che si traducono nell'annullabilità dell'atto. L'invalidità dell'atto può consistere nella sua difformità da una norma legislativa, regolamentare o da una regola di buona amministrazione, e in questo caso si parla di vizio di legittimità dell'atto, mentre i vizi di merito riguardano l'inopportunità dell'atto (l'atto non è opportuno perché potevi non farlo). I vizi di legittimità si distinguono in vizi formali (se siano violate le norme che disciplinano il procedimento di produzione dell'atto) o sostanziali (quando si ha contrasto con il contenuto della norma previa). I vizi di legittimità sono di 3 tipi: 1. violazione di legge = è un vizio residuale poiché si ha in tutti i casi in cui non rientrano La via giurisdizionale: La seconda alternativa al ricorso amministrativo è la tutela giurisdizionale che può essere effettuata entro 60 giorni dalla conoscenza dell'atto. In via giurisdizionale, il ricorso può essere fatto al giudice ordinario quando viene leso un diritto soggettivo e al giudice amministrativo quando viene leso l'interesse legittimo. In via giurisdizionale possono essere fatti valere solo vizi di legittimità. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA Il principio di eguaglianza formale è sancito dall'art. 3 comma 1 della Cost, e stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, e di condizioni personali e sociali. Attraverso tale principio, il legislatore non deve introdurre discriminazioni irragionevoli: infatti, ogni qualvolta che il legislatore tratti in modo diverso situazioni eguali e in modo eguale situazioni diverse, tale principio risulta leso. Questo significa che la legge deve essere egualmente differenziata per trattare in modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso situazioni diverse. L'art. 3 comma 1 detta una serie di divieti di discriminazione: 1. il primo divieto menzionato nella Costituzione è quello della distinzione in base al sesso. Il divieto di discriminazione in base al sesso, trova applicazione nell'ambito della famiglia definita dall'art. 29 comma 1 della Cost riconoscendo alla donna una posizione di reale parità nella conduzione della vita familiare, nei rapporti di lavoro (parità di trattamento tra lavoratori di sesso diverso); 2. il secondo tipo di distinzione vietata è relativo alla razza; 3. il divieto rispetto alla lingua va letto congiuntamente alla tutela delle minoranze linguistiche prevista all'art. 6 della Cost ; 4. il divieto di discriminazione relativo alla religione,secondo cui tutti i cittadini non devono essere discriminati a seconda della fede professata ed a seconda che siano o meno credenti. Per tutelare la pluralità delle religioni, esiste nel nostro ordinamento il principio di laicità dello Stato, che implica imparzialità verso tutte le religioni. Tale principio si collega con il principio della libertà religiosa (art. 19 della Cost), che garantisce a tutti, sia come singoli che come gruppi, la libertà di professare la propria fede religiosa in tutte le possibili manifestazioni con il solo limite dei riti contrari al buon costume e la libertà di non appartenere ad alcuna confessione religiosa. 5. Il divieto di discriminare in base alle opinioni politiche; 6. il divieto di discriminare in base alle condizioni personali e sociali. Poi la nostra Carta costituzionale al principio di uguaglianza formale ha affiancato il principio dell'eguaglianza sostanziale sancito al secondo comma dell'art. 3. In base al principio di uguaglianza sostanziale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Da tale articolo si può capire che il compito della Repubblica non è solo di riconoscere che tutti siano uguali davanti alla legge, ma di aiutare coloro che si trovino in condizioni svantaggiate a poter raggiungere la piena promozione della loro personalità al pari di chi si trova in condizioni migliori. Questo tipo di eguaglianza si nota soprattutto nei cosiddetti diritti sociali; l'eguaglianza sostanziale, infatti, giustifica il riconoscimento dei diritti sociali come il diritto al lavoro, il diritto alla salute e all'istruzione. I DIRITTI COSTITUZIONALI La libertà personale: La libertà personale, qualificata come libertà inviolabile, è disciplinata dall'art. 13 della Cost che tutela la libertà fisica e psichica della persona: infatti, l'individuo ha diritto a non subire coercizioni nella propria sfera di autodeterminazione psicofisica. La coercizione non si verifica necessariamente in presenza di un obbligo. Si pensi al divieto di sosta: il divieto di sosta non è coercitivo, pur essendo un obbligo che indirizza la condotta dell'individuo ma è un divieto ascrivibile alla limitazione della libertà di circolazione. Una limitazione della sfera psicofisica è, invece, data da una aggressione oppure quando un individuo è soggetto ad un provvedimento limitativo della propria libertà personale come nel caso del fermo di polizia, dell'arresto. La norma si applica non solo ai cittadini ma anche agli stranieri e agli apolidi (a tutti). Il secondo comma dell'art. 13 riconosce la possibilità di limitazione della libertà personale ma nel rispetto di 2 garanzie che sono: 1. l'istituto della riserva di legge da intendersi assoluta: la libertà personale può essere limitata solo se esiste una norma di legge o un atto equiparato (decreto legge e decreto legislativo) che ne disciplina i casi e i modi di limitazione. 2. la seconda garanzia è la cosiddetta riserva di giurisdizione in base alla quale qualunque restrizione della libertà personale può avvenire solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria e viene esclusa, quindi, l'autorità amministrativa: non può essere né l'ufficiale né l'agente di pubblica sicurezza a disporre la limitazione della libertà personale. Tuttavia, nei casi di necessità e d'urgenza (come ad es. l'arresto in flagranza ed il fermo di polizia), l'autorità di pubblica sicurezza può procedere a restrizioni della libertà personale anche in assenza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria. In questa circostanza, però, essa deve comunicare il provvedimento provvisorio entro 48 ore all'autorità giudiziaria, la quale ha tempo 48 ore dalla comunicazione per la convalida. Se la comunicazione non ha luogo entro le 48 ore oppure se la convalida non ha luogo entro le successive 48 ore dalla comunicazione, il provvedimento di limitazione della libertà personale si intende revocato e privo di ogni effetto. La libertà di domicilio: La libertà di domicilio è disciplinata dall'art. 14 della Cost : il domicilio è lo spazio primario di vita dell'individuo che si estende anche ad ogni luogo in cui il soggetto può svolgere attività connesse alla propria vita privata (ad es. anche il luogo di lavoro). Anche la libertà di domicilio è inviolabile e gode delle stesse garanzie della libertà personale ossia la riserva assoluta di legge e la riserva di giurisdizione. Però, l'art. 14 al terzo comma introduce una deroga alla disciplina generale, prevedendo che leggi speciali, per soli motivi di sanità e incolumità (salute) pubblica o a fini economici e fiscali, possano regolare alcuni atti limitativi del domicilio come gli accertamenti e le ispezioni: infatti, ci sono delle ipotesi in cui l'autorità amministrativa può, nei casi previsti dalle leggi speciali, esercitare una compressione della libertà di domicilio. Ad es. la ASL può ispezionare la cucina di un ristorante. La libertà e segretezza delle comunicazioni: /corrispondenza La libertà e segretezza delle comunicazioni è sancita dall'art. 15 della Cost, e si caratterizza per: l'intersoggettività cioè la comunicazione deve essere indirizzata ad uno o più soggetti determinati e non ad una pluralità generale di destinatari, altrimenti si ricadrebbe nell'ambito di applicazione dell'art. 21 della Cost che riguarda la libertà di manifestazione del pensiero rivolta ad una generalità di soggetti. Le limitazioni alla libertà e segretezza delle comunicazioni, anche in questo caso, sono garantite dalla riserva di giurisdizione e di legge. La differenza che si presenta tra questo articolo e gli articoli 13 e 14 è che nelle ipotesi degli articoli 13 e 14, ci sono dei casi in cui il provvedimento può essere adottato da autorità diverse rispetto a quella giudiziaria ossia l'Autorità di pubblica sicurezza mentre questa previsione non è presente nell'art. 15. La libertà di circolazione e soggiorno: L'art. 16 della Cost al primo comma garantisce al cittadino la libertà di circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio nazionale. Questa libertà non è ricompresa nella libertà personale perché i 2 diritti hanno una disciplina differenziata per i soggetti titolari (l'art. 16 fa riferimento ai soli cittadini mentre la libertà personale art. 13 spetta a qualsiasi individuo) e per le garanzie apprestate e le limitazioni consentite. La libertà di circolazione e soggiorno, infatti, non è coperta da riserva di giurisdizione ma solo da una riserva di legge rinforzata, perché l'art. 16 stabilisce che la legge ha il compito di stabilire le limitazioni per motivi di sanità e di sicurezza. Ad esempio, in caso di epidemia, la legge impone limiti alla libertà di circolazione per evitare il contagio. Al secondo comma l'art. 16 della Cost, garantisce la libertà di espatrio ovvero la libertà di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi senza imporre alcun limite specifico se non l'adempimento di alcuni obblighi di legge (ad es. di dotarsi di un passaporto). La libertà di pensiero: La libertà di pensiero viene disciplinata dall'art. 21 della Cost che stabilisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Viene,quindi, tutelata la libertà di informazione ossia l'interesse generale della collettività ad informare e ad essere informati. Un regime democratico riconosce il cosiddetto principio del pluralismo dell'informazione cioè una pluralità di fonti di informazione, il libero accesso alle medesime e l'assenza di ostacoli alla circolazione delle notizie. Tra gli strumenti di diffusione del pensiero conosciuti all'epoca della Costituzione, vi era la stampa: per questo motivo, l'attenzione del Costituente si dirige soprattutto agli stampati in quanto la stampa, nel periodo in cui era stata approvata la Costituzione, era il principale strumento di manifestazione del pensiero (non c'era ancora internet o la televisione). Il Costituente ha fornito delle norme precise sulla stampa stabilendo richiedere l'azione della Repubblica laddove sia necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono questa piena e libera soddisfazione (art. 3 comma 2). La caratteristica dei diritti sociali è ben evidente già dai primi articoli della Cost ( 1,2,3). Il diritto all'istruzione è contenuto negli articoli 33 e 34 della Cost. In particolare, l'art. 33 si riferisce alla libertà dell'arte e della scienza e del loro insegnamento. L'introduzione di questo principio nel nostro ordinamento sta a significare che la cultura è libera e che può trovare espressione in diversi ambiti di vita ossia le scuole (pubbliche e private), le università, le accademie e le istituzioni di alta cultura. L'art. 32 della Cost, dichiara che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Nell'art. 32 della Cost si afferma il compito della Repubblica di garantire cure gratuite agli indigenti (bisognosi), e poi che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge, però nonostante può fare ciò, deve sempre rispettare i diritti della persona umana. Sempre nello stesso articolo c'è anche la possibilità del risarcimento del cosiddetto danno biologico ossia la diminuzione dello stato di benessere psico-fisico prodotto dall'azione altrui illecita nei rapporti tra privati. I diritti politici: Le norme della Costituzione che riguardano i rapporti politici comprendono i diritti politici ossia quei diritti (articoli 48-51) mediante i quali i cittadini contribuiscono alla formazione della volontà dello Stato (come il diritto di voto, il diritto di associazione in partiti politici, il diritto di accesso ai pubblici uffici) e quei doveri (articoli 52-54) per i quali i cittadini devono prestare solidarietà politica, economica e sociale (come il dovere di difesa della patria, l'obbligo di concorrere alle spese pubbliche, il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi). I due diritti politici più importanti sono: il diritto di voto e il diritto di associazione partitica. Il diritto di voto viene definito dalla Costituzione un dovere civico (art. 48 Cost) nel senso che il suo adempimento non è un obbligo giuridico accompagnato da sanzioni ma risponde ad un sentimento di partecipazione alla vita pubblica delle comunità nel momento di espressione della sovranità popolare. Il diritto di voto spetta ai cittadini italiani che hanno raggiunto la maggiore età e che non siano incapaci civilmente, moralmente indegni (condannati) secondo la legge o condannati con sentenza passata in giudicato. Il voto deve essere personale, nel senso che non può venire esercitato né per delega né per procura, uguale cioè ogni testa vale un voto, libero cioè che non può essere sottoposto ad alcuna forma di violenza o coercizione e segreto, requisito strumentale a renderlo effettivamente libero da forme di pressione morale. Il diritto di associazione partitica: I partiti politici sono associazioni previste dall'art. 49 della Cost che hanno una tutela maggiore rispetto alla tutela prevista dall'art. 18 Cost (diritto di associazione in generale) poiché consentono ai cittadini di partecipare alla gestione della “cosa pubblica”. La libertà di associazione partitica viene,quindi, disciplinata dall'art. 49 che dice che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. In tale disposizione viene indicato il limite della libertà di associazione partitica cioè il metodo democratico. I cittadini, infatti, possono concorrere liberamente attraverso i partiti alla determinazione della vita politica purché tale concorso sia effettuato con metodo democratico cioè senza il ricorso alla violenza per imporre determinate idee politiche. Questa norma va letta, quindi, in correlazione con l'art. 18 laddove vieta associazioni che perseguono fini politici mediante un'organizzazione a carattere militare. Un altro limite è dato dal divieto di riorganizzare sotto qualsiasi forma il partito fascista. I doveri costituzionali: Nella Costituzione esistono vari riferimenti ai doveri dei cittadini, come ad esempio l'art. 2 dove si fa riferimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale. Un altro esempio di doveri imposti nella Costituzione può essere rappresentato dall'art. 4 secondo il quale ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e scelte, un'attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Altri doveri poi si trovano nell'art. 23 della Cost, che stabilisce che nessuna prestazioni personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Per prestazioni personali si intendono quelle attività che comportano l'utilizzo di energie fisiche o intellettuali, mentre per prestazioni patrimoniali si intendono le sottrazioni del patrimonio dei privati. Inoltre, nell'art. 52 della Cost si prevede il dovere di difesa della patria e nell'art. 53 Cost, il dovere di concorrere alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva. Infine, all'art. 54 Cost, è contenuto il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. LA COSTITUZIONE ECONOMICA La Costituzione economica è l'insieme delle norme costituzionali che riguardano le posizioni e le relazioni degli individui intesi come soggetti economici. Essa si riferisce alle disposizioni costituzionali che riguardano i diritti e le libertà economiche e il ruolo dello Stato nell'economia. Anche all'interno della Costituzione economica , come avviene anche per le libertà in generale, al centro dell'attenzione c'è la persona umana, in questo caso nella qualità di lavoratore a cui debbono essere garantite delle condizioni minime vitali. Il lavoro, secondo la definizione data all'art.4, è quell'attività che concorre al progresso materiale o spirituale della società e, quindi, non solo un moltiplicatore di ricchezza. Esso costituisce sia un diritto che un dovere di solidarietà sociale ed economica. Tra le varie attività lavorative, secondo il costituente, quello dipendente rappresenta l'anello debole della catena lavorativa a cui viene conferita una maggiore tutela. Infatti, l'art. 37, nell'ambito della tutela del lavoro subordinato, i destinatari ritenuti vulnerabili sono le donne e i minori. Le condizioni di tutela per questi soggetti le troviamo nell'art. 3 comma 2 della Cost che prevede la cosiddetta uguaglianza sostanziale: secondo tale articolo alle donne è garantita una condizione di uguaglianza nelle possibilità lavorative rispetto agli uomini cioè hanno stessi diritti e, a parità di lavoro/mansione, stessa remunerazione dell'uomo lavoratore. Naturalmente, la retribuzione tra uomo e donna varierà solo a seconda della concreta produttività del singolo (cioè a quanto lavorano). Però, un'estensione della ratio di questo articolo si è avuta anche per le donne lavoratrici non dipendenti in quanto,altrimenti, la tutela riservata solo per le donne lavoratrici dipendenti comporterebbe una violazione dell'uguaglianza formale nei confronti delle altre donne lavoratrici ossia non dipendenti. Ecco,quindi, che il Testo unico delle disposizioni a sostegno della maternità e della paternità ha previsto un trattamento previdenziale anche per le lavoratrici autonome e libere professioniste, in caso di maternità. All'art. 35 della Cost, viene indicato che la Repubblica cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori; e si stabilisce la promozione di organizzazioni internazionali per l'affermazione dei diritti del lavoro. La più importante di queste è l'Organizzazione internazionale del lavoro ossia un'agenzia delle nazioni unite incaricata di promuovere la giustizia sociale e i diritti attinenti al lavoro. Sempre l'art. 35,tutela anche le situazioni di assenza di lavoro. Le garanzie del lavoratore non riguardano solo garanzie sulla retribuzione ma anche garanzie di salute, di svago e di partecipazione alla vita sociale. Il riposo settimanale e le ferie annuali sono qualificati come diritti irrinunciabili in quanto la sospensione del lavoro è ritenuta essenziale per la salute del lavoratore, e a sua volta, il mantenimento di condizioni di salute del lavoratore non solo è bene individuale ma è interesse di tutta la comunità. L'individuazione della corretta ricompensa per il lavoro effettuato segue 2 criteri: da un lato il criterio minimo della sufficienza, che rappresenta un limite al di sotto del quale la ricompensa sarebbe illegittima affinché il lavoratore e la sua famiglia non si trovino nella condizione di poter vivere dignitosamente e dall'altro il criterio ragionevole della proporzione ossia che la remunerazione viene data in proporzione al lavoro svolto sia per qualità che per quantità. Infine, vi è l'art. 38 della Cost che introduce il concetto della sicurezza sociale cioè di quei diritti sociali di previdenza e assistenza rivolti ai cittadini e ai lavoratori: ai lavoratori vengono assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Questi sono tutti eventi che incidono sulla capacità lavorativa, e dunque sulla possibilità di produrre reddito, a prescindere dalla volontà del soggetto. I lavoratori non sono soltanto destinatari delle garanzie approntate dal legislatore ma hanno anche il diritto a partecipare alla politica economica o alle scelte aziendali. In particolare, ai lavoratori viene riconosciuto il diritto di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero. Il primo diritto appartiene a tutti i lavoratori mentre del diritto di sciopero sono titolari i lavoratori dipendenti e soltanto a certe condizioni i lavoratori autonomi. 1) Le associazioni sindacali sono associazioni di lavoratori o datori di lavoro per la tutela di interessi professionali collettivi. L'art. 39 della Cost sui sindacati, dopo aver affermato che l'organizzazione sindacale è libera, prescrive che l'unico obbligo che si può imporre ai sindacati è quello della registrazione. La registrazione conferirebbe loro personalità giuridica e farebbe sì che i contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, divengano efficaci cioè nei confronti di tutti i lavoratori che fanno parte della categoria a cui si riferisce il sindacato=> efficacia erga omnes e non solo inter partes cioè tra i lavoratori e i datori di lavoro iscritti. La legge sulla registrazione dei sindacati, però, non è mai stata adottata non per inerzia ma per la scelta dei sindacati di restare semplici associazioni libere rispetto agli eventuali oneri e obblighi che sono imposti alle associazioni registrate. Questo vuol dire che l'art. 39 della Cost rimane inattuato. Se fosse stata fatta la registrazione, i sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro avrebbero potuto stipulare contratti collettivi efficaci non solo per i lavoratori iscritti al sindacato ma anche per ogni lavoratore non iscritto appartenente a quella categoria. Il diritto di sciopero: L'art. 40 della Cost riconosce loro il diritto di sciopero ossia il diritto all'astensione collettiva dal lavoro finalizzata al conseguimento di un comune interesse dei lavoratori. Nessun soggetto che esercita il diritto di sciopero potrà mai subire conseguenze giuridiche pregiudizievoli per il fatto di essersi astenuto al lavoro: non potrà,quindi, incorrere in una responsabilità penale e neppure in alcuna forma di responsabilità civile (se ad esempio, un soggetto scioperando reca un danno, egli non è richiamato a risarcirlo o a risponderne in alcun modo). Tutto ciò significa che se una legge prevedesse ad esempio lo sciopero come reato, questa risulterebbe illegittima in violazione dell'art. 40. La serrata (sospensione), invece, si ha quando a scioperare sono i datori di lavoro che chiudono l'attività produttiva per un determinato periodo di tempo, impedendo ai lavoratori di svolgere la propria mansione. La Costituzione non prevede il diritto di serrata, per cui
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