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Diritto Pubblico Comparato - T. Frosini, Sintesi del corso di Diritto Costituzionale Comparato

Riassunto di tutti i capitoli del manuale di diritto pubblico comparato

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica Diritto Pubblico Comparato - T. Frosini e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Costituzionale Comparato solo su Docsity! 1 1 – IL METODO 1.1 Il metodo nel e del diritto comparato Fino all’Ottocento si teorizzava addirittura l’inutilità del diritto comparato ovvero dello studio degli ordinamenti stranieri, ritenendo che non potesse essere di nessun ausilio per l’ordinamento domestico. Oggi il diritto comparato risulta invece essere determinante per la formazione del giurista, per l’evoluzione della giurisdizione e per il consolidamento della giurisprudenza. Il diritto comparato si esplica quindi attraverso un confronto tra soluzioni normative adottate dai diversi ordinamenti. Comparare vuol dire mettere in luce analogie e differenze tra i sistemi giuridici, ovvero tra norme e istituti di vari Paesi, ai fini di un possibile trapianto nell’ordinamento di appartenenza, ovviamente solo in seguito ad una attenta valutazione del contesto culturale a cui ci si riferisce che può essere ottenuto solo dalla conoscenza degli ordinamenti oggetto della comparazione “law in action”. Non si può legiferare senza comparare. 1.2 Il diritto comparato tra struttura e funzione Il diritto comparato serve a trovare la soluzione a diversi problemi generati dalle trasformazioni del diritto, cogliendo in che modo è stato regolato un determinato problema altrove; serve inoltre alla circolazione da un ordinamento all’altro di leggi, norme, prassi, sentenze, dottrine. È fondamentale tenere in considerazione la capacità di trapianto dovuta a cultura e mentalità. La comparazione può essere: • Sincronica → si studino gli ordinamenti e i suoi derivati in un dato momento storico • Diacronica → si esaminano gli ordinamenti e i suoi derivati nella loro successione temporale Inoltre, distinguiamo tra: • Microcomparazione → si comparano specifici settori dell’ordinamento giuridico come singole norme ovvero gruppi di norme che formano particolari istituzioni (es. legislazione sul fine vita). La finalità è svelare consonanze e dissonanze. • Macrocomparazione → si sottopongono a confronto organi o istituti e quindi interi settori del diritto, ovvero le famiglie giuridiche e le loro declinazioni in termini generali di organizzazione politico-giuridica (parlamenti, governi). La finalità è individuare analogie e differenze. Si compara il diritto privato e il diritto pubblico. Lo studio del diritto straniero non include necessariamente il diritto comparato in quanto viene meno l’operazione intellettuale di raffronto, e quindi non c’è metodo. Si compara per consentire una crescita della propria legislazione, degli istituti giuridici domestici e delle scelte giurisprudenziali dei tribunali nazionali, affinché si possa pensare di creare una dimensione maggiore di libertà e giustizia. Bisogna tenere in considerazione i formanti dell’ordinamento, cioè definizioni elaborate dalla dottrina che si riferiscono a insiemi di regole e proposizioni le quali contribuiscono a formare l’ordine giuridico di una comunità. Formanti dell’ordinamento sono dunque la legge, la giurisprudenza e la dottrina, le sentenze. Attraverso i formanti si fa comparazione. La formula politica istituzionalizzata esprime invece l’essenza di quel dato sistema costituzionale individuandone gli elementi tipici e necessari. 1.3 Diritto comparato vs diritto globale Con il diritto globale ci si riferisce ad una giuridicità composita, fatta di pezzi diversi e spesso sfuggente a una chiara classificazione; si presenta dunque come un oggetto snodabile che si riarticola di continuo. La globalizzazione ha favorito il sorgere di nuove e varie fonti del diritto come la soft law, che si vanno sempre più espandendo senza confini e che sono frutto di una prassi giuridica. Questa evoluzione vale anche per la giustizia che sempre più vede risoluzioni alternative delle controversie affidate ai privati, ad esempio tramite degli arbitrati. 1.4 Comparazione e globalizzazione: più differenze che analogie Ma i processi di globalizzazione sono diversi e si snodano sotto tre principali forme: occidentalizzazione, islamizzazione e orientalizzazione: va dunque ridimensionata la prospettiva eurocentrica e statunitense-centrica. La legislazione mantiene comunque in parte il suo baluardo di sovranità, nel senso che sembra non subire – sul piano del contenuto – forme di contaminazione da parte di altre esperienze giuridiche; è questo il caso della legge elettorale. Altrettanto vale per le leggi ad alto contenuto etico: anche qui, dopo una fase di comparazione ovvero di verifica su come altrove sia stata regolamentata quella determinata materia, si passa ad una fase di legiferazione in proprio, cioè senza emulare quanto fatto altrove (es. procreazione medicalmente assistita, unioni civili). In questo caso incide fortemente la componente etica e religiosa presente sul territorio e nella cittadinanza. Altro caso in cui vi sono modelli diversi e 2 differenti è quello delle forme di governo: presidenzialismo statunitense, parlamentarismo, semipresidenzialismo ecc. Dunque, nel diritto comparato permane il metodo delle differenze anche in epoca di globalizzazione. 1.5 Il Dialogo fra istituzioni nel diritto comparato Derivati del diritto globale sono sicuramente il dialogo fra Parlamenti e il dialogo fra le corti; dialogo, quest’ultimo che è più un interscambio o addirittura un’interdipendenza fra le varie esperienze giurisdizionali nazionali, uno scambio per lo più di tipo unilaterale di decisioni giurisprudenziali: manca un vero e proprio dialogo fra le corti statali né tanto meno si verifica l’uso della comparazione, ma piuttosto un riferimento al diritto straniero. Invece, le assemblee legislative ricorrono al diritto comparato in fase istruttoria per capire come si sia regolato altrove il medesimo problema; questo rischia però di essere un lavoro acritico basato su una semplice ricognizione delle fonti e dei testi giuridici stranieri. Nella fase iniziale della proposta di legge si verifica sicuramente una tendenza maggiore a emulare testi legislativi stranieri per poi agire per differenze. In termini di circolazione delle esperienze e dei modelli giuridici, sta emergendo sempre più il tema della qualità delle leggi o della better regulation, tendendo a valorizzare la circolazione delle scelte legislative non sui contenuti delle norme ma piuttosto sulla corretta forma della redazione delle norme (drafting). Il processo comparativo risulta valido sia per le micro-leggi (regolano il quotidiano vivere di una comunità), che per le macro-leggi (quelle di alto contenuto politico o etico). 2 – TEORIA E STORIA DEL COSTITUZIONALISMO 2.1 Alcuni concetti essenziali Il primo dei concetti essenziali è sicuramente la Costituzione. Il termine inizia ad affacciarsi in Occidente già con i filosofi greci che lo utilizzavano per indicare il complesso degli assetti politici su cui si fondava la vita della comunità, la polis. Aristotele, nella costituzione degli ateniesi, fornisce un’accurata classificazione delle forme di organizzazione del potere fondata sulla combinazione di due criteri: il numero di persone che lo detengono e le caratteristiche con cui lo esercitano; considerando i rischi di degenerazione, è opportuno che ogni comunità ricerchi per sé la combinazione più adeguata. Siamo ancora ben lontani dal significato attribuito oggi al termine Costituzione. Tra gli altri, Polibio e Cicerone sottolineano l’importanza dell’apporto di tutti i corpi sociali alle funzioni pubbliche, come garanzia che nessun potere possa prevaricare gli altri e mettere quindi in pericolo le fondamenta della Repubblica: un concetto di Costituzione mista, dal significato più storico-politico che giuridico. Nel medioevo, con una pluralità di poteri sparsi sul territorio, non si poteva certo elaborare una concezione unitaria di Costituzione; sarebbe stato necessario prima un accentramento statale. Seguono, storicamente, la nascita dello Stato assoluto, la crisi dell’Assolutismo e l’affermazione delle libertà individuali e della divisione dei poteri, cui corrispondono varie elaborazioni intellettuali, avvenimenti rivoluzionari e sedimentazioni giuridiche, attraverso cui si affermeranno principi oggi presenti nei documenti costituzionali degli Stati che appartengono a questa tradizione. Le Costituzioni contemporanee sono dunque il frutto di questo lungo e accidentato percorso definito costituzionalismo, strettamente legato con la formazione dello Stato. Esso coincide con il passaggio da una pluralità di ordinamenti feudali all’accentramento del potere costituito dallo Stato moderno. Il vero punto di svolta viene fornito da Machiavelli: da quel momento in poi con “Stato” si indicherà quell’entità avente tre indispensabili elementi: sovranità, popolo e territorio. Pertanto, consiste nell’organizzazione politico giuridica di un popolo presente su un determinato territorio, su cui viene esercitata in via esclusiva una forma di sovranità le cui caratteristiche variano a seconda del periodo storico di riferimento. Introduciamo ora un elemento caratterizzante dello stato nazionale: la forma di stato. Questa espressione indica il rapporto intercorrente tra governi e governanti oppure l’insieme delle relazioni intercorrenti tra chi esercita la sovranità e la totalità del popolo presente sul territorio. 2.2 Lo stato assoluto come alba della modernità La formazione dello Stato moderno coincide con l’affermazione dell’Assolutismo monarchico. Nel periodo medievale i rapporti di potere sono fondati essenzialmente su relazioni di tipo privatistico. I regni venivano ereditati ed erano oggetti su cui il re esercitava i diritti di proprietario. Esisteva una pluralità di ordinamenti e quindi di fonti del diritto, ciascuna funzionale alla regolamentazione delle relazioni interne all’ordinamento di riferimento. Con l’avvento dell’assolutismo si verifica una nuova concezione dei rapporti di potere e delle relazioni tra chi lo detiene e chi lo 5 assistenza medica, istruzione. I partiti politici tradizionali (whig (poi liberali) e tory (conservatori)) si diedero una struttura organizzativa nazionale; in più, verso la fine del secolo, emerse anche il Partito laburista, espressione dei ceti popolari finora non rappresentati in Parlamento. 7. La Camera dei Comuni divenne sempre più rappresentativa della Nazione e da essa inizia a dipendere sempre più l’indirizzo politico del governo e il nome del primo ministro; inoltre, con il Parliament Act del 1911 viene sancita la sua supremazia rispetto alla Camera dei Lord per quanto riguarda il processo legislativo. È così compiuto il processo di democratizzazione del modello Westminster: suffragio universale, leader del partito di maggioranza nominato primo ministro, rapporto di fiducia tra Camera dei Comuni e governo. 2.7 L’evoluzione del costituzionalismo statunitense Le 13 colonie che avevano dato origine alla Costituzione rappresentavano solo una parte marginale della East Coast americana; di fatti, tra le prime missioni del nuovo governo federale compariva l’allargamento geografico. Nel 1803 l’amministrazione Jefferson comprò la Louisiana e, in seguito ad una guerra con il Messico nella prima metà del secolo, furono conquistati i territori a sud-ovest fino alla costa del Pacifico, furono poi acquisiti anche territori a nord-ovest in seguito a trattati con Inghilterra e Russia. Primo problema da affrontare, in seguito al completamento territoriale, era il contrasto tra federalisti e antifederalisti. I federalisti sostenevano un consolidamento e accrescimento del potere dello Stato federale, anche a scapito di una relativa compressione delle attribuzioni degli Stati membri; gli antifederalisti, invece, si fecero paladini dei diritti degli Stati, contro un’amministrazione centrale forte e invasiva. Ne uscirono vincitori i federalisti: in seguito all’allargamento territoriale era inevitabile la necessità di un governo forte ed efficace; i nuovi territori erano annessi dalla Federazione per la Federazione. Intanto prendevano forma gli organi costituzionali: il Congresso che legifera nei limiti della Carta; il Presidente (all’epoca meno rilevante) guida l’amministrazione nella funzione esecutiva delle leggi votate dal Parlamento; la Corte suprema che, tramite i suoi controlli, incide a rafforzare il carattere federale dello Stato. Si evolve anche il sistema dei partiti, giungendo al moderno bipartitismo; il partito federalista si trasforma in Partito democratico negli anni ’30 e nel 1854 vi si contrappone il Partito repubblicano. Risolta la questione tra federalisti e antifederalisti, bisogna occuparsi di una nuova frattura: quella socioeconomica tra un Nord industriale e avanzato e un Sud agricolo. Nel 1861 scoppia la Guerra per la secessione, la cui miccia è l’elezione a Presidente di un esponente repubblicano antischiavista: Abraham Lincoln. Sconfitto il fronte schiavista e rientrata la minaccia per l’integrità per la Nazione, gli Stati Uniti iniziano il cammino che il condurrà a diventare la maggiore superpotenza mondiale. Si consolidano i profili liberali in economia (lo Stato si limita a fare da regolatore della concorrenza) e nel rapporto tra cittadini e Stato; la forma di governo si trasforma in senso presidenzialista. Viene abolita la schiavitù, vietate le discriminazioni razziali in tema di diritto di voto, estese agli stati membri le norme costituzionali sul giusto processo e sull’uguaglianza di fronte alla legge. A cavallo tra le due guerre mondiali si verifica l’aumento di importanza della figura del Presidente soprattutto per quanto riguarda le questioni di politica estera e il suo ruolo di comandante delle forze armate. Saranno anche gli anni di un maggiore interventismo nell’economia (New Deal). Tuttavia, gli americani non hanno mai imboccato la strada della costruzione di un massiccio stato sociale. Elemento costante in tutti questi anni di trasformazioni è il bilanciamento tra poteri: il Presidente, pur essendo più potente di prima, si deve confrontare con un Congresso spesso ostile e una Corte suprema custode dei valori costituzionali più profondi. 2.8 Profili costituzionalistici dello Stato liberale nell’Europa continentale L’Europa continentale tra il XVIII e XIX secolo è dominata da eventi fondamentali, quali la fine dell’esperienze rivoluzionarie, l’era napoleonica e infine il Congresso di Vienna. Quest’ultimo è un tentativo di ripristinare l’ancien régime, tentativo che si rivelerà fallimentare. Si verificherà l’affermazione dello Stato liberale, in ogni Stato con caratteri e sfumature proprie. L’esperienza continentale è sicuramente diversa da quella anglosassone: i Paesi anglosassoni arrivano all’affermazione delle libertà individuali molto prima rispetto all’Europa Assolutista. Diverse sono le tendenze storiche europee: - la ribellione, in nome dei valori della Rivoluzione francese, ai tentativi di ripristinare l’Assolutismo; - i movimenti di unificazione nazionale e la conseguente trasformazione del concetto di Nazione; - l’affermazione dei canoni politici economici del liberalismo. In Francia si instaura la Costituzione Orleanista, Italia e Germania lottano per la loro riunificazione, insomma gli equilibri raggiunti con il Congresso di Vienna erano molto instabili. Molte altre arre europee sono percorse da moti rivoluzionari di matrice giacobina, democratica e repubblicana. Un ruolo fondamentale viene giocato dalla nuova 6 classe borghese che in seguito alla Rivoluzione industriale reclama sempre più potere politico per dare concretezza, anche giuridica, ai valori e alle idee liberali. Nascono nella maggior parte degli Stati le Costituzioni ottriate, cioè concesse dal sovrano, per evitare ulteriori fratture rivoluzionarie (es. lo Statuto Albertino). Esse esprimono una Costituzione dal valore politico che serve per definire la cornice istituzionale entro cui gli organi dello Stato possono dispiegare il loro potere; una Costituzione ancora flessibile, che non deriva da una discussione assembleare. Tra la Costituzione e la legge non si instaura un rapporto gerarchico: la legge ha il potere di derogare quanto sancito dalla Costituzione. L’architrave fondamentale è costituito dalla separazione dei poteri e dalla proclamazione di diritti di libertà. Il Parlamento è il luogo in cui si esercita la rappresentanza politica finalizzata alla produzione legislativa. La sua struttura è spesso bicamerale e solitamente solo uno dei due rami è elettivo; il suffragio è ristretto. Lo Stato liberale non è ancora democratico. Le divisioni politiche sono molto contenute e si riconoscono solo pochi cittadini “meritevoli” di tutela. Il singolo parlamentare aveva un peso importante anche grazie al libero mandato parlamentare: egli rappresentava l’intera Nazione. Le leggi prodotte dal Parlamento sono poche, generali e astratte. L’indirizzo politico dell’esecutivo sarà sempre meno legato all’influenza del re e sempre più a quella del Parlamento. La disciplina dei diritti individuali perde le radici giusnaturaliste e si afferma una concezione più statalista (le libertà sono concesse dallo Stato e possono essere esercitate nei limiti da esso stabiliti). Il costituzionalismo così formatosi tende ad essere oligarchico e non incisivo, quindi debole e spesso incline a cedere a tendenze autoritarie. Di fatti, la crisi dello Stato liberale vedrà l’affermazione di Stato socialista e Stato autoritario. Lo Stato socialista nasce in Russia nel 1917; sul piano giuridico-costituzionale è una radicale negazione dei capisaldi del costituzionalismo. Alla separazione dei poteri si sostituisce il partito unico, il quale seleziona le candidature dell’assemblea nazionale (il soviet supremo) e decide i componenti dell’esecutivo. Lo stato autoritario vede la luce inizialmente in Italia, per poi diffondersi in Germania, Grecia, Spagna e Portogallo, e si propone come un superamento del liberal-capitalismo e del socialismo. Vengono cancellati libertà e diritti, istituzioni e corpi intermedi. 2.9 Gli aspetti essenziali del costituzionalismo democratico L’affermazione generalizzata in Europa occidentale dello Stato democratico è il risultato della Seconda guerra mondiale, da cui scaturisce una generazione di nuove Costituzioni, tra cui quella Italiana. Una Costituzione simile e antecedente, fortemente innovativa dal punto di vista dei diritti sociali, è quella della Repubblica di Weimar. Le prime a dotarsi di una Costituzione furono le potenze sconfitte dell’Asse che necessitavano di una profonda cesura con il passato. Altro Stato che necessitava di una cesura era la Francia, che desiderava concludere l’esperienza collaborazionista di Vichy con l’instaurazione della IV Repubblica. Altri Stati invece conobbero un’evoluzione in senso ulteriormente democratico dei regimi già preesistenti. Ulteriori momenti di cesura da ricordare sono: - anni ’70 con la fine dei regimi dittatoriali di Spagna e Portogallo e la conseguente adozione di costituzioni democratiche; - anni ’90 con il crollo dell’unione sovietica, crollo dei regimi comunisti orientale cui seguono diverse modalità di democratizzazione (particolarmente tragico il caso della Jugoslavia). Lo stato democratico presenta elementi di continuità e di discontinuità con il precedente stato liberale: • Continuità → separazione dei poteri; riconoscimento delle libertà individuali sempre più allargate e protette; libero mandato. • Discontinuità → volontà di allargare a tutti i singoli la possibilità di essere parte integrante del patto costituzionale (suffragio universale); al posto di Carte ottriate ci sono Carte discusse da un’Assemblea costituente; diritti sociali per rendere più effettiva l’uguaglianza in senso materiale (welfare State). La Costituzione assume supremazia e rigidità; tutte le fonti si devono uniformare ad essa. Viene spezzata la sovranità assoluta: essa va esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. 2.10 Il costituzionalismo, tra presente e futuro Lo Stato democratico è stato l’approdo finale di esperienze che nulla avevano in comune, segno che esso rappresenta un’aspirazione dei popoli ad essere governati con il rispetto della dignità umana. L’esempio più importante è costituito dall’Unione Europea, nata con lo scopo di evitare il ripetersi di guerre. 3 – LE FAMIGLIE GIURIDICHE E LE FONTI DEL DIRITTO 3.1 Famiglie giuridiche: classificazioni e tendenze evolutive Vari sono i criteri a cui si è fatto ricorso per distinguere le famiglie giuridiche, ossia gli insiemi di ordinamenti accumunati da caratteristiche strutturali precise e distintive. Le prime distinzioni avvengono su base culturale/razziale 7 (romanistica, germanistica, anglosassone, slava e islamica) oppure su base antropologica. Bisogna aspettare gli anni ’50 per avere una distinzione basata su criteri esclusivamente giuridici (Arminjon, Boris Nolde, Wolff), da cui scaturirono 7 famiglie: francese, germanica, scandinava, inglese, islamica, indù e sovietica. Interessante la distinzione di Mattei e Monateri che nel 1997 identificarono la famiglia della rule of professional law che racchiudeva gli ordinamenti in cui la sfera giuridica è autonoma dalla religione, e la rule of political law in cui rientrano ordinamenti in cui gli obiettivi della politica prevalgono sul circuito giuridico. Le classificazioni comunque risultano spesso incomplete e in evoluzione. 3.2 Common law e civil law: origine e caratteristiche La distinzione più diffusa e radicata è quella tra i sistemi di common law e di civil law, anche se nella realtà contemporanea non esiste più una netta separazione tra i due modelli che sono da tempo oggetto di ibridazione reciproca. Il common law è nato e si è sviluppato in Inghilterra a partire dal 1066 con la conquista di Guglielmo il Conquistatore, che sostituì il sistema delle consuetudini locali con un sistema centralizzato; questa fase dura fino all’ascesa dei Tudor, momento in cui si consolida sull’intero territorio l’impianto di diritto comune. La spinta accentratrice era dovuta dalla volontà/necessità del sovrano di omogeneizzare una realtà con uno spiccato pluralismo giuridico gestito dai singoli baroni locali. In questo modo si sarebbe valorizzata anche la Corona e il suo ruolo grazie all’avocazione a sé del parametro giuridico, a discapito di un indebolimento dei nobili. A tale scopo rispondeva anche la scelta di non istituire organi giurisdizionali autonomi sul territorio, ma di fondare un sistema di giustizia itinerante, la Curia regis, che agiva per conto del sovrano che ne sceglieva direttamente i componenti. Tale organo garantiva la pace sociale occupandosi dei pleas of the Crown (giudizi che riguardavano direttamente la corona) e dei casi di chi contestava i giudizi delle corti locali. Gli scritti dei giuristi rafforzeranno poi il suo ruolo, affermando il primato della produzione giurisprudenziale come fonte primaria del diritto. Con la Magna Carta del 1215, l’organo si suddivise in varie componenti: • King’s Bench: corte che seguiva il sovrano nei suoi spostamenti, stabilizzatasi poi a Westminster, con funzione di giurisdizione nei pleas of the Crown, per le questioni riguardanti la pace del regno • Exchequer: nasce come sezione contabile della Curia regis, con funzione di raccolta delle entrate e di amministrazione delle finanze regie. In seguito, si suddivise in Court of Exchequer con competenza fiscale, e in Exchequer of Account and Receipt concernente la gestione contabile e amministrativa. • Common Pleas: è la corte delle controversie comuni, rilevanti nei rapporti tra individui; divenne tribunale autonomo durante il regno di Enrico III (1216-1272), assumendo competenza generale ed ebbe un ruolo cruciale nell’evoluzione del common law. Chi nell’Inghilterra del 1300, avesse lamentato la lesione di un proprio diritto, poteva presentarsi in cancelleria e chiedere un writ per ottenere giustizia. Trattandosi di un sistema tipizzato, chi si fosse trovato in una situazione rientrante tra quelle configurate da un writ preformulato poteva chiedere l’intervento della giustizia regia. Questo rigido formalismo determinò la nascita di un percorso giurisdizionale parallelo, volto a soddisfare le esigenze non riconducibili ad una delle fattispecie precostituite nelle forms of action, non riceventi giustizia. Questi casi venivano sottoposti direttamente al sovrano o, meglio, all’ufficio della Cancelleria, la quale presto divenne una vera e propria Corte (court of Chancery) che agiva discrezionalmente, senza ricorrere alla giuria. Qui si decideva secondo criteri di equità ovvero tenendo conto delle circostanze specifiche e delle peculiarità di ogni caso. Nel tempo si verificò una progressiva tecnicizzazione dell’equity, che assunse procedure simili a quelle del common law e venne infine del tutto assimilata nel sistema (equity follows the law). Il sistema giuridico inglese ha quindi un’origine consuetudinaria, ma si sviluppa e si attesta come diritto di base giurisprudenziale fondato sulle sentenze delle corti, imperniato attorno al principio dell’obbligatorietà del precedente vincolante. A partire dal 1966 la regola del binding precendent opera in senso verticale (con la Supreme Court che vincola le corti inferiori) e in senso orizzontale (con le corti obbligate a rispettare i precedenti propri e dei tribunali di pari grado, fatta eccezione per la Corte suprema). Il civil law affonda invece le sue radici nel processo di codificazione del diritto progressivamente attuato nell’Europa continentale. Entrambi i sistemi però derivano dal patrimonio comune del diritto romano e dall’influenza esercitata dalla religione cristiana. Nel continente europeo la nascita delle prime università favorì il superamento delle tradizioni giuridiche locali basate sulle consuetudini. I giuristi cominciarono ad essere riconosciuti come portatori di una conoscenza che veniva trasmessa tramite l’elaborazione di testi scritti attraverso un’opera di codificazione; nel common law, invece, i protagonisti del diritto erano i professionisti che si orientavano in una produzione giuridica di tipo giudiziale. Nei sistemi di civil law la raccolta organica delle norme giuridiche vigenti era inizialmente finalizzata a fornire un parametro di riferimento scritto, generale e astratto. La centralità conferita alle leggi scritte (sempre più quelle del 10 (la Costituzione pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, predeterminando alcuni dei contenuti che la legge deve avere). Si è affermato anche lo strumento delle leggi-provvedimento, che si concretizzano nel contenuto in veri e propri atti amministrativi, pur conservando la forma di legge. Le leggi formali sono invece prive di un contenuto normativo preciso. Per quanto riguarda le leggi di bilancio, le procedure spesso sono dettate in Costituzione. Il procedimento di elaborazione di una legge è disciplinato da norme della Costituzione e in quasi tutti gli ordinamenti costituzionali, pur presentando delle differenze, si suddivide in 4 fasi: iniziativa, costitutiva, intervento presidenziale e pubblicazione. − Iniziativa è garantita ai membri del Parlamento; i progetti di legge possono essere presentati su tutte le materie fatta eccezione per alcune riservate al governo; solitamente la Camera bassa può avere una posizione privilegiata dal punto di vista dell’iniziativa. Negli stati decentrati l’iniziativa può essere riconosciuta anche agli enti territoriali; inoltre sono previste forme di iniziativa popolare. − Fase costitutiva è l’acquisizione formale della proposta di legge; successivamente il progetto viene assegnato alla commissione competente che ne plasma il testo. Al termine dell’esame in commissione, il testo passa all’Aula dove si svolge il dibattito e possono essere presentati ulteriori emendamenti (ad eccezione di alcune materie). Dopo due letture infruttuose, il primo ministro o i presidenti delle Assemblee possono fare ricorso ad una procedura di mediazione. Una volta approvato da una camera si passa all’altro ramo del Parlamento. Qui si verificano le principali differenze tra i vari ordinamenti. Ad esempio, molte democrazie prevedono l’intervento del capo dello Stato tramite un rinvio o veto nel caso statunitense. − Segue la fase della pubblicazione utile a rendere conoscibile il contenuto di una nuova norma alla collettività (ignorantia legis non excusat). 3.9 Le funzioni normative dell’esecutivo I titolari dell’esecutivo possono esercitare alcune funzioni normative: delega legislativa da parte del Parlamento e decreti di urgenza. La delega legislativa è diffusa nelle forme di governo parlamentari; va esercitata seguendo le indicazioni relative all’oggetto, ai principi e ai limiti temporali stabiliti nella legge di delega. In Francia l’intervento è doppio: si manifesta in fase preliminare di autorizzazione e in quella finale di sanzione e ratifica. La delega legislativa si è affermata anche negli ordinamenti di common law, prima di tutto nel Regno Unito con lo Statutory Instrument Act del 1964: anche qui il Parlamento opera un controllo preventivo o successivo. Per i decreti di urgenza, la dinamica procedurale è opposta; l’esecutivo agisce senza chiedere il consenso avocando a sé il potere normativo e solo successivamente viene presentato l’atto al Parlamento affinché lo ratifichi. È necessaria una condizione di urgenza che va valutata dal Parlamento o dall’organo di giustizia costituzionale (come nel caso spagnolo). 3.10 Le fonti degli enti territoriali negli Stati decentrati In uno stato decentrato, aumenta la possibilità che vi siano contrasti tra norme; per questo, vi sono criteri di ripartizione delle competenze stabiliti dalla Costituzione. Gli enti decentrati sono retti da Statuti (Regioni) o da Costituzioni (Stati membri) che, in ragione della clausola di supremazia, sono sottoposti al controllo costituzionale. Possiamo distinguere tre tipologie di riparto: − La Costituzione elenca le materie di competenza del centro, lasciando quelle residuali alla periferia − La Costituzione elenca le materie di competenza della periferia, lasciando quelle residuali al centro − La Costituzione fa tre elenchi: uno per le materie riservate in via esclusiva al centro; un altro per le materie di competenza concorrente tra centro e periferia; un terzo per le competenze residuali della periferia (Germania). Il Regno Unito presenta una struttura fortemente centralizzata e solo a partire dagli anni ‘90 ha avviato un processo di devolution. 3.11 Contaminazioni al sistema delle fonti Lo spazio lasciato a norme non politiche è poco, infatti si è affermata la laicità e separazione tra Stato e Chiesa. Esistono ordinamenti a matrice religiosa (vedi paesi islamici o Città del Vaticano). Anche la consuetudine nelle democrazie stabilizzate risulta essere una fonte residuale. Ruolo fondamentale è invece svolto dagli organi di giustizia costituzionale, che hanno promosso anche la circolazione dei modelli, creando una sorta di diritto transnazionale a cui le corti attingono per motivare le decisioni. 3.12 Orientamenti e prospettive delle fonti del diritto: relatività e commistione dei modelli Il sistema delle fonti risulta essere particolarmente fluido, con un’ibridazione dei modelli. Anche nei sistemi di civil law i giudici tengono conto dei precedenti. Da qualche tempo si assiste al fenomeno di constitutional regression, che 11 comporta la messa in discussione degli elementi chiave del sistema democratico che si consideravano ormai assodati e strutturali. 4 – LE FORME DI STATO 4.1 Il concetto di forma di Stato e le varie classificazioni Non c’è una definizione univoca di forma di Stato. Aristotele individua ad esempio tre forme positive (monarchia, aristocrazia e politia) e tre forme negative (tirannia, oligarchia e democrazia). Polibio individua un’ulteriore forma: il governo misto. Machiavelli distingue unicamente tra governo di uno solo e governo di una pluralità e abbandona la distinzione tra forme buone e degenerate. In generale, la forma di uno Stato si evince dal rapporto che intercorre tra i suoi elementi costitutivi (popolo e governanti), quindi il rapporto tra le autorità pubbliche da un lato e i cittadini dall’altro. Le classificazioni più diffuse delle forme di Stato sono tre: - la prima distingue tra monarchie e repubbliche (basata sulla mancanza o meno di rappresentatività); - la seconda distingue le forme di Stato in base alla loro evoluzione storica, chiamata quindi diacronica; - la terza classificazione è quella sincronica (dando particolare rilevanza al territorio) con stati accentrati, federali o regionali. 4.2 Le forme di Stato in senso diacronico La classificazione forse più rilevante è quella diacronica. Senza soffermarsi sugli ordinamenti dell’antichità, si suole partire dai regimi medievali, che precedono la nascita deli Stati nel senso moderno del termine. La classificazione diacronica incontra: 1. il regime patrimoniale (periodo feudale) 2. lo Stato assoluto (ca. periodo pace di Westfalia 1648) 3. Stato di polizia (alcune esperienze del ‘700) 4. Stato liberale (Europa ‘800) 5. esperienze autoritarie o totalitarie (Italia, Germania, Spagna ‘900) 6. Stato pluralista/Stato sociale di diritto (‘900) Questo tipo di classificazione evidenzia la tendenziale crescita nel tempo della tutela delle situazioni soggettive, con un progressivo spostamento del potere dal sovrano ai cittadini e ai loro rappresentanti. 4.3 Il regime patrimoniale Il regime patrimoniale inizia a diffondersi in Europa a partire dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente; è un regime prestatuale, che ha caratterizzato larga parte dell’esperienza feudale. È caratterizzato dal rapporto fiduciario tra il re (proprietario delle terre) e i vari signori e feudatari minori ai quali le terre vengono concesse. L’unico titolare del diritto di proprietà è il signore feudale (dominio eminente); i soggetti legati dal rapporto di vassallaggio dispongono invece del cd. dominio utile, cioè del diritto di sfruttare le terre a essi concesse. Ogni signore locale ha comunque ampio potere di iurisdictio sulle terre concesse. In questa fase manca l’impersonalità del potere, si obbedisce ad una specifica persona: è il “governo degli uomini” di cui parla Rousseau. Gli accordi tra re e feudatari avvengono su base pattizia e sono caratterizzati dalla comune esigenza di difendersi da minacce esterne; manca quindi la politicità, cioè la generalità dei fini perseguiti. Inoltre, vi è una spiccata pluralità in tutti i campi: - pluralità delle fonti → città, terreni, corporazioni e altre situazioni sono disciplinati in modo diverso - pluralità del potere → titolati del potere di fatto sono i signori dei feudi (re solo formalmente) - pluralità della giurisdizione → ogni corporazione ha un giudice diverso, con diverse regole applicabili Il regime patrimoniale trova particolare diffusione intorno all’anno Mille, a seguito della progressiva destrutturazione dell’impero carolingio. L’assenza di un potere pubblico forte e il ripetersi di invasioni, porta a far emergere dal basso una richiesta di protezione. Nasce così il foedus, cioè il patto tra signore e vassallo che sta alla base dell’incastellamento (cioè la richiesta al signore locale di poter stare dentro le mura, con la duplice conseguenza di essere sottomessi e protetti. Tre elementi principali caratterizzano il sistema feudale vassallatico: − Elemento reale, concessione di terre o altri beni dal signore al suo vassallo − Elemento personale, dichiarazione di fedeltà del vassallo al signore tramite uno speciale rito, l’homagium − Elemento giuridico, il vassallo ottiene poteri di iurisdictio senza subire intromissioni da parte del signore. Assumono un ruolo di primo piano i corpi intermedi, in particolare le corporazioni di mestieri: ogni individuo è assoggettato a regole diverse a seconda delle corporazioni a cui appartiene. Un ruolo di primo piano è svolto dalla Chiesa Cattolica. 12 Sono gli anni della Magna Carta (che accorda tutela a tutti gli uomini liberi e riconosce il legame tra tassazione e rappresentanza), e dell’habeas corpus (cioè la necessità che gli arresti siano accompagnati da garanzie procedurali e organizzative predeterminate). Un ultimo istituto degno di nota è il diritto alla resistenza armata, qualora il re violi l’impegno di osservare i diritti e le garanzia previste nella Magna Carta. 4.4 Lo Stato assoluto È la prima vera forma di Stato; la si fa risalire per convenzione al 1648, anno della pace di Westfalia con cui si mette fine alla Guerra dei Trent’anni e si riafferma il principio cuius regio eius religio (rispettato fino alla Pace di Augusta 1555). Gli Stati si riconoscono tra loro in quanto sovrani, a prescindere dalla fede dei rispettivi principi. Lo Stato assoluto è caratterizzato dal passaggio dalla dimensione privatistica alla dimensione pubblicistica (rottura con il precedente assetto feudale). Scompare il patto tra signore e vassallo: il potere del principe si fonda sulla sua autorità, che legittima il patto sociale con i sudditi e la loro sottomissione (secondo quanto teorizzato da Bodin). Il nuovo potere sovrano è spersonalizzato, attribuito alla Corona e concentrato quindi nelle mani di uno solo. Scompare il frazionamento; vi è unità di potere, delle fonti (la legge astratta è uguale per tutti) e delle giurisdizioni (giudici come funzionari dello stato, scelti in base a competenze tecniche). Lo Stato assoluto non prevede una Costituzione, ma vengono comunque perseguiti interessi pubblici attraverso un sempre più ampio e più complesso apparato amministrativo statale. All’aumento di funzioni esercitate dallo Stato, si sommano le esigenze di armare e finanziare eserciti di professione: vengono quindi costruiti sistemi tributari stabili. In questo periodo, inoltre, si radica l’uso del denaro che sostituisce la terra e i suoi frutti quali merce di scambio. 4.5 Lo Stato di polizia È lo Stato che cura gli interessi della comunità, ma non comporta un superamento dei tratti fondamentali dello Stato assoluto. Vi è un progressivo aumento di interventismo in campo economico. Vengono istituiti il fisco (casse erariali deputate a rifondere i sudditi che abbiano subito danni patrimoniali dalle autorità pubbliche), strutture per il sussidio agli indigenti, il catasto dei beni immobili. Si consolidano le burocrazie nazionali. Questa evoluzione non si registra negli stessi tempi e modi in tutta Europa (fra gli esempi più noti: la Prussia di Federico II (1740-1786), l’Austria di Maria Teresa (1740-1780) e del figlio Giuseppe (1780-1790)). 4.6 Lo Stato liberale: caratteri giuridici Si afferma in seguito alla progressiva emersione della borghesia che assume sempre maggior peso economico e diventa in grado di condizionare le decisioni della Corona. Si chiede il riconoscimento di nuovi diritti, tra cui la possibilità di partecipare alle scelte politiche. È uno Stato monoclasse; le classi sociali più povere continuano a non essere rappresentate. Obiettivo è avere uno Stato minimo con finalità di garanzia delle attività borghesi, che ingerisca il meno possibile nelle attività private. Si afferma il principio di separazione dei poteri per evitare che chiunque detenga il potere sia tentato dall’abusarne. La funzione legislativa viene assegnata a un Parlamento composto in parte dai rappresentanti dei cittadini. Si afferma anche il principio di legalità: tutti gli atti devono essere conformi a legge e previsti da essa. A questo collegato, vi è il principio di uguaglianza formale, secondo il quale la legge è uguale per tutti e non possono essere effettuate discriminazioni (non vi è però un intervento statale per rimuovere o assottigliare le condizioni che causano diseguaglianza = no uguaglianza sostanziale). Fin dalla Costituzione francese del 1791, i rappresentanti, pur in rappresentanza del corpo sociale, agiscono senza vincolo di mandato. È uno Stato costituzionale di diritto; l’ordinamento giuridico è retto da una Costituzione che pone un argine al potere sovrano. Le Costituzioni di questo periodo sono però flessibili. Unica eccezione sono gli Stati Uniti che, a partire dalla sentenza Marbury vs Madison, prevedono un controllo di costituzionalità delle leggi già dal 1803. 4.7 Lo Stato di democrazia pluralista e lo Stato sociale Lo Stato di democrazia pluralista mantiene tutti i caratteri principali del modello ottocentesco, ma ne allarga la rappresentanza; si radica infatti soprattutto a partire dal secondo dopoguerra con l’estensione del suffragio universale nella maggior parte dei paesi Europei. Si afferma il principio della sovranità popolare: la volontà politica emerge dal voto di tutti i cittadini. Questa sovranità però non è né assoluta né immediata, in quanto si deve misurare con le Costituzioni rigide e rispettarne i suoi limiti. Anche nello Stato di democrazia pluralista troviamo la separazione dei poteri; Parlamento e governo collaborano alla determinazione e attuazione dell’indirizzo politico. Vengono istituite autorità indipendenti con funzioni di regolazione, controllo, sanzione. È uno Stato pluriclasse, e questo porta all’affermazione dei partiti di massa. Si ampliano anche i fini perseguiti dallo Stato sotto la spinta tutelatrice dei sindacati. 15 dell’indirizzo politico, cioè la maggior capacità di decisione politica di un potere rispetto all’altro. Va anche menzionato il criterio dell’opposizione garantita caratterizzato dalla presenza e tutela di quella minoranza politicamente qualificata che si è opposta all’investitura di un determinato governo. Il limite di tutti tali criteri è la staticità, inadatta alle forme di governo in continua trasformazione. 5.3 Le forme di governo nelle democrazie stabilizzate - Forma di governo presidenziale → esperienza più nota gli Stati Uniti d’America; nonostante vari tentativi di emulazione non è mai stata interamente riprodotta, soprattutto nella combinazione dei checks and balances. Il presidenzialismo è caratterizzato per avere un Capo di Stato che: - è eletto direttamente dal popolo (è anche capo del governo); non può essere sfiduciato dal voto parlamentare; ha una durata di mandato prestabilita - non ha alcun rapporto con il legislativo, salvo il caso estremo di essere messo in stato d’accusa (impeachment); esercita il suo potere prevalentemente in politica estera, meno in politica interna soprattutto quando il Congresso è a maggioranza politicamente opposta (governo diviso), - può usufruire del veto legislativo rinviando così la legge alle Camere per ragioni di legittimità o di merito politico. La capacità decisionale del Presidente accresce in condizioni di emergenza con l’adozione di atti aventi forza di legge. L’unico caso di presidenzialismo in Europa è quello di Cipro, il presidente della Repubblica, eletto ogni 5 anni, è anche capo del governo. - Forma di governo semipresidenziale → si può far risalire già all’esperienza della Repubblica di Weimar, ma ha trovato piena affermazione nella Costituzione francese della V Repubblica del 1958; è caratterizzata da: - elezione diretta a suffragio universale del capo di Stato - la presenza di un primo ministro, capo del governo, nominato dal Capo di Stato ma che deve avere la fiducia della maggioranza parlamentare (si occupa di politica interna) - eventuale voto di sfiducia del Parlamento nei confronti del governo. Il sistema ha una struttura di potere di governo bicefala: nel caso in cui i due presidenti siano di schieramenti politici comuni, il presidente finisce con l’essere il vero capo di governo; in caso contrario si ha coabitazione. Il capo di Stato ha i poteri di sciogliere anticipatamente l’Assemblea nazionale senza controfirma ministeriale; di nominare il primo ministro; di sottoporre a referendum ogni progetto di legge concernente l’organizzazione dei pubblici poteri. Presiede inoltre il Consiglio dei ministri ed esercita competenza esclusiva in politica estera. Questo modello si è rivelato adattabile in Austria, Finlandia, Portogallo, Irlanda e Islanda, seppur con differenti forme di attuazione. Ad esempio, nel caso di Austria, Irlanda e Islanda, il presidente della Repubblica, pur essendo eletto a suffragio universale, svolge un ruolo simbolico e formale: è il primo ministro il vero leader (semipresidenzialismo a preminenza del primo ministro). In Finlandia e Portogallo, il semipresidenzialismo è a esecutivo diarchico, cioè esalta il ruolo del presidente in caso di assenza di una maggioranza parlamentare forte. La Francia è l’unica forma di governo semipresidenziale a preminenza del presidente. - La forma di governo parlamentare → ha trovato la sua base in Gran Bretagna, quanto meno a partire dal 1782 in seguito alle dimissioni di Lord North, e ha iniziato a circolare in Europa a partire dalla seconda metà del Novecento. A prescindere dalle differenziazioni si caratterizza per: - rapporto di fiducia che deve intercorrere fra governo e Parlamento - possibilità in capo al Parlamento di sfiduciare il governo - presenza del capo dello Stato, organo neutrale e garante della Costituzione La forma di governo parlamentare è quindi basata sul rapporto fiduciario, sulla leale collaborazione fra governo e Parlamento che viene esplicitata tramite la fiducia che intercorre tra i due organi. Ormai la fiducia si dà per presunta; assume maggiore rilievo la possibilità di sfiducia. - Analizzando il Regno Unito, si è venuto a produrre un sistema bipartitico (conservatori vs labouristi), con uno dei due partiti destinato ad essere maggioranza nella House of Commons e l’altro a svolgere l’opposizione di Sua Maestà. Il sistema che ne deriva è di premierato: il leader del partito che ha vinto le elezioni diventa primo ministro. Prerogativa del primo ministro è quella di sciogliere anticipatamente la Camera dei comuni nel momento che ritiene più strategico e opportuno per la sua maggioranza. - Il governo parlamentare della Germania è razionalizzato grazie ad una serie di meccanismi di controllo costituzionale; viene definito del cancellierato; è a preminenza appunto del cancelliere, capo del governo. Viene eletto dal Bundestag su proposta del presidente federale. Il cancelliere propone la nomina e la revoca dei singoli ministri, stabilisce l’indirizzo politico e se ne assume la responsabilità. La mozione di sfiducia, in questo caso particolare, è costruttiva: può essere espressa solo eleggendo un successore del cancelliere sfiduciato, chiedendo al presidente federale di revocare il cancelliere attuale e nominare la persona eletta; 16 altrimenti, se il Bundestag non è in grado di eleggere un successore, entro 21 giorni viene sciolto dal presidente federale. Il tutto per evitare l’avvento di crisi politiche al buio e l’avvento di personalità politiche poco gradite (ciò è garantito anche dall’esclusione di partiti anticostituzionali). Il sistema tedesco è stato emulato in Spagna, il presidente del gobierno è l’equivalente del cancelliere tedesco, anche in termini di sfiducia costruttiva. - La forma di governo direttoriale → presente solo in Svizzera. Prevede che siano l’Assemblea federale (Parlamento), composta da Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati, e il Consiglio federale (governo) a determinare l’indirizzo politico. Ovviamente è il governo che poi svolge maggiormente l’azione politica. Il Consiglio federale è composto da 7 membri eletti, per 4 anni, dall’Assemblea federale. Uno dei componenti del Consiglio federale è eletto sempre dall’Assemblea, per un anno ed è presidente della Confederazione e presiede il Consiglio Federale. 5.4 Ragionando sulle forme di governo Le forme di governo sono soggette a continui cambiamenti. Ad esempio, lo stabile sistema del premierato del Regno Unito ha conosciuto di recente una crisi del modello a seguito dello hung Parliament, con il conseguente minority government con un primo ministro debole e costantemente in bilico. È necessaria quindi una nuova formulazione delle forme di governo che tenga più in considerazione il corpo elettorale e il ruolo che quest’ultimo svolge nella dinamica delle forme di governo; a tal proposito si può dunque distinguere tra forme di governo a legittimazione diretta (che valorizzano maggiormente il principio della sovranità popolare) e forme di governo a legittimazione indiretta (sovranità popolare ridimensionata). Il governo ha assunto un nuovo significato di potere che comanda: non si limita più ad eseguire i comandi altrui; è potere governante, il vertice del sistema costituzionale cui spetta il compito di assumere le grandi decisioni di indirizzo in sostanziale economia. In particolare, le forme di governo strutturate sulla base del potere governante sono: Regno Unito, Francia, Germania, Stati Uniti. In queste forme di governo, seppur con combinazioni differenti, il potere governante prende le grandi decisioni di indirizzo sostanziale e trae la sua legittimazione dal corpo elettorale. Infine, in base alla legittimazione del potere governante, distinguiamo le forme di governo tra quelle a legittimazione diretta (il potere governante è designato dal corpo elettorale) e quelle a legittimazione indiretta (la designazione del potere governante spetta al legislativo). 5.5 Sviluppi e prospettive Ferma restando la divisione in regime parlamentare e regime presidenziale, aumenta lo sviluppo di ordinamenti che prevedono elementi riferibili all’uno e all’altro. Nelle democrazie liberali moderne è diffusa l’esigenza di leadership visibili e personali, direttamente legittimate dagli elettori per controbilanciare l’influenza dei gruppi organizzati sulla politica pubblica. Valorizzare l’intervento popolare viene avvertito come il tentativo di ristabilire il circuito di fiducia tra popolo e potere, frenando le oligarchie dei partiti politici, e per garantire una stabilità governativa in grado di realizzare il proprio indirizzo politico. 5.6 Sul principio maggioritario Il principio maggioritario assume un duplice significato: 1. principio di rappresentazione → chi deve esserci al tavolo delle decisioni 2. principio funzionale → chi a quel tavolo è essenziale che concorra alla decisione perché questa si ritenga formata Inoltre, può essere identificato come: 1. Regola per eleggere → il sistema maggioritario premia il soggetto che ha ottenuto il maggior numero di voti 2. Regola per governare → si riferisce alle modalità di distribuzione e di impiego del potere politico La forma di governo in cui è riscontrabile un alto grado di applicazione del principio maggioritario è stata definita democrazia maggioritaria, in contrapposizione a quelle di democrazia consensuale fondata invece sulla regola del proporzionale. Il principio maggioritario appare intimamente collegato a un certo tipo di società omogenea, dove non ci sono forti contrapposizioni politiche, linguistiche, etniche o religiose. Presuppone che tutti gli uomini siano uguali tra di loro e che le fratture all’interno della società siano flessibili e non traumatiche. Si delega alla maggioranza un certo numero di decisioni pubbliche che diventano vincolanti per tutti. La minoranza deve però poter sostenere liberamente le proprie tesi ed essa va protetta da eventuali abusi di potere. Il principio maggioritario come regola per governare si propone come principio organizzativo e operativo, funzionale alla piena esplicazione del principio democratico. La maggioranza degli elettori può, in questi casi, decidere direttamente la formazione sia della maggioranza parlamentare sia del governo. L’obiettivo da raggiungere è 17 assicurare un governo stabile, efficace e che duri per l’intero corso della legislatura. È valorizzato il principio di responsabilità politica nei confronti dell’elettorato. 5.7 I sistemi elettorali Si definisce sistema elettorale quel meccanismo che consente di trasformare in seggi i voti che il corpo elettorale esprime. Sono anche definibili come sistemi istituzionali che organizzano l’esercizio della sovranità popolare. Essi condizionano la forma di governo: al loro variare varia l’assetto politico-istituzionale. Incidono anche sul numero e sul ruolo dei partiti (bipartitismo, multipartitismo). I sistemi elettorali servono per eleggere un organo monocratico oppure collegiale. Nel primo caso la procedura è più semplice, si può stabilire che verrà eletto il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti (first past the post) oppure il candidato che avrà ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (50,1%); se ciò non dovesse accadere i due candidati con il maggior numero di voti si affronteranno in un ballottaggio. Più complessi sono i sistemi elettorali per eleggere organi collegiali, si possono categorizzare due grandi famiglie: quella del maggioritario e quella del proporzionale. 5.8 Le formule elettorali tra proporzionale e maggioritario Con il sistema maggioritario, i seggi vengono assegnati ai candidati che abbiano ottenuto la prescritta maggioranza relativa, assoluta o qualificata. Il maggioritario può essere: - A maggioranza relativa (plurality) → vince il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti (Regno Unito per la Camera dei comuni e Stati Uniti camera dei rappresentanti) - A maggioranza assoluta (majority) → vince il candidato che ha ottenuto la metà più uno dei voti, più eventuale secondo turno (Francia per l’Assemblea nazionale (necessario superare una percentuale minima del 12,5% per passare al secondo turno) o Austria con voto alternativo per indicare ordine di preferenza). - A maggioranza qualificata → più frequenti per l’assegnazione di alte cariche (Italia per presidente della Repubblica o Giudici costituzionali). Il proporzionale, invece, è quel sistema con il quale si ripartiscono i seggi in rapporto percentuale rispetto ai voti dati dagli elettori a ciascun partito. I sistemi elettorali proporzionali si possono distinguere a seconda del metodo utilizzato per il riparto dei seggi, tenendo in considerazione la grandezza della circoscrizione. - Metodi basati sul comun divisore (totale voti ottenuti diviso un numero) - Metodi basati sul quoziente (quante volte il quoziente entra nel totale) Ci sono inoltre sistemi elettorali proporzionali con correttivo maggioritario, ad esempio contenenti clausole di sbarramento oppure attraverso l’attribuzione di un premio di maggioranza. 6 – I PARLAMENTI 6.1 L’origine dei Parlamenti La parola Parlamento deriva dal verbo parlare. Le prime adunanze pubbliche risalgono già alle democrazie ateniesi, ma è solo a partire dal Medioevo che il termine assume il significato di pubblica adunanza che tratta di affari pubblici, politici e amministrativi. Oggi, per essere chiamati tali, i parlamenti devono avere caratteristiche ben precise, non basta una discussione collettiva. Il Parlamento, infatti, per essere tale, deve rappresentare un contropotere rispetto agli organi di governo; si deve inoltre trattare di una struttura dotata di autonomia organizzativa, finanziaria, strumentale. I primi veri e propri Parlamenti si avranno in questo senso nel XIII secolo; ad esempio a Foggia con Federico II di Svevia, e successivamente il Magnum Parliamentum di Westminster del 1295. Da questo momento in poi la parola Parlamento indicherà un luogo fisico e una funzione: luogo in cui si riuniscono rappresentanti di porzioni di cittadini. È il frutto di una conquista dei cittadini verso il sovrano, con cui si rivendica uno spazio di libertà e diritti politici. 6.2 Le fonti del Parlamento e lo status del parlamentare Le fonti del diritto parlamentare possono essere scritte (Costituzione, leggi, regolamenti) e non scritte (consuetudini e prassi). Le Costituzioni, nell’istituire i Parlamenti, ne definiscono le attribuzioni essenziali, il raggio d’azione, la struttura, lo status dei suoi componenti e ovviamente le funzioni. La disciplina concreta delle funzioni viene poi rinviata ai regolamenti, i principali atti giuridici del parlamento. Ai membri del parlamento viene garantito il principio di insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni; tale principio trova la sua piena formalizzazione per la prima volta in Gran Bretagna. In seguito, grazie alla Costituzione francese, verrà sancito il principio dell’inviolabilità parlamentare. Diverse Costituzioni fissano inoltre il principio del divieto di mandato imperativo. Il divieto di mandato 20 disegni di legge finanziari o di bilancio. In Germania, invece, si prevede che siano esaminati solo i disegni di legge presentati da un numero minimo di parlamentari, il 5%. Nel Regno Unito e in Canada i lavori sono suddivisi in sessioni che si aprono con il Queen speech/Throne speech (letto dalla Corona nel Regno Unito e dal governatore generale in Canada); si tratta di un elenco dei provvedimenti che il governo intende far approvare durante quella sessione. In questi ordinamenti, i disegni di legge si dividono in 3 categorie: i public o government bills (di iniziativa governativa), i private members bills (leggi ad personam, di iniziativa dei singoli parlamentari) e i private bills (di iniziativa dei singoli cittadini). − Istruttoria → è la fase che diverge maggiormente nei vari ordinamenti. - Nei paesi di derivazione anglosassone, consta di 3 momenti diversi detti letture. La prima lettura è la presentazione del disegno di legge allo speaker; con la seconda comincia la vera e propria discussione generale. Terminata la discussione sono poste in votazione le mozioni e le proposte di stralcio presentate (report stage). A conclusione del report stage il disegno di legge è sottoposto alla terza lettura in cui si pongono in votazione gli emendamenti e gli articoli del testo nel suo insieme. Dopo il voto favorevole il provvedimento è inviato all’altra Camera dove si avvia il medesimo iter. - In Germania la fase istruttoria è simile a quella britannica con 3 distinte letture svolte in aula. (presentazione, discussione e eventuali modifiche, votazione finale). In Spagna i disegni di legge devono sempre essere istruiti dal Congresso dei deputati, la camera eletta a suffragio universale. Nel corso della fase istruttoria le commissioni che esaminano i disegni di legge possono disporre di udienze legislative. - Negli Stati Uniti esistono due tipologie di congressional hearings: le legislative e le oversight. la finalità di queste audizioni è acquisire più informazioni possibili sul provvedimento in esame o di discutere gli effetti prodotti dalle leggi in vigore. Sono dunque attivate per ogni provvedimento che rivesta un’importanza per l’opinione pubblica. − Approvazione → coincide con la terza lettura in Canada, Regno Unito e Germania. In Spagna spetta solo al Congresso dei deputati il compito di approvare in via definitiva il disegno di legge. Successivamente il testo è trasmesso a un terzo organo dello Stato, il presidente o il sovrano; egli può disporre di rinvio alle camere, ma se esse confermano il voto favorevole è costretto alla definitiva promulgazione. 6.8 La funzione di controllo e indirizzo È una funzione indefettibile. Il popolo, con l’elezione dei suoi rappresentanti, consegna a questi un mandato a verificare l’operato di chi detiene il potere di governo. Garantisce la visibilità dell’indirizzo politico del governo, facendone valere la sua responsabilità politica diffusa. Questa funzione è da tenere distinta da quella di garanzia costituzionale. Le modalità concrete di esercizio della funzione di controllo sono individuate dai regolamenti interni alle Camere. Tra gli strumenti tipici di controllo rilevano: interrogazioni, interpellanze, indagini conoscitive (disposte per acquisire notizie, informazioni e documenti utili all’attività delle Camere), inchieste parlamentari (una volta attivate, portano alla istituzione di una commissione speciale ad hoc). Nel Regno Unito rileva particolarmente il question time, una tipologia di interrogazione orale a risposta immediata e diretta. Per l’approvazione di alcuni procedimenti, la decisione del Parlamento avviene solo al termine di una serie di controlli in cui il Parlamento è chiamato a verificare la sussistenza di precise condizioni e a valutare politicamente la situazione (ratifica trattati internazionali, approvazione rendiconto consuntivo ecc.). La funzione di reindirizzo si svolge inizialmente con la mozione di fiducia e successivamente mediante l’approvazione di mozioni e risoluzioni su specifici temi. 6.9 La funzione dialogante La funzione dialogante è la costruzione di un permanente e costante dialogo aperto e trasparente con le espressioni della società civile e degli interessi organizzati, finalizzato a intraprendere un continuo confronto con i destinatari dell’azione del Parlamento. Questa funzione è strumentale all’esercizio delle altre funzioni. Si manifesta con il diritto di presentare petizioni o tramite la disciplina dei lobbisti (nella maggior parte degli Stati è stata resa obbligatoria l’iscrizione in specifici registri pubblici). In altri paesi come Spagna, Grecia, Portogallo e Italia il rapporto tra lobbisti e parlamentari è avvolto da oscurità a causa del ruolo di mediazione preponderante svolto dai partiti politici. 7 – IL CAPO DELLO STATO 7.1 La figura del capo dello Stato Monarca o presidente della Repubblica, a seconda della forma di Stato, il Capo dello Stato è presente in tutti gli ordinamenti costituzionali. Svolge una pluralità di funzioni; la principale è quella di rappresentare la comunità statale nell’ambito dell’ordinamento internazionale. È dotato, in ragione di ciò, di immunità. Tra le altre funzioni, vi sono 21 quelle di rappresentare l’unità nazionale, garantire l’indipendenza nazionale e il regolare funzionamento delle istituzioni democratiche. Ha il potere di sciogliere le Assemblee legislative e nominare il vertice del governo. Inoltre, nelle forme presidenziali, è il vertice del potere esecutivo. Le trasformazioni della sua figura sono sempre accompagnate da trasformazioni delle forme di stato o di governo. 7.2 Natura e ruolo È in posizione di preminenza rispetto a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento; storicamente, la sua figura viene ad emergere quando si viene progressivamente a sterilizzare il potere assoluto del monarca in seguito alle grandi rivoluzioni (inglese, francese e americana). Gli ordinamenti si distinguono in monarchie e repubbliche a seconda della natura del Capo dello Stato: - repubbliche → preminenza in funzione; si identifica come un organo rappresentativo della sovranità popolare. È sottoposto, al pari di tutti gli altri organi, alla Costituzione ed è tenuto a conformarvisi. - monarchie → preminenza in posizione; si viene a presentare come organo preminente in quanto espressione di una legittimazione di tipo teocratico-religiosa o dinastico-ereditaria. Nel passaggio da re a presidenti, e quindi da preminenza in posizione a preminenza in funzione, varie teorie sono state delineate per interpretare le sue funzioni e il suo ruolo: 1. Una prima concezione vede il capo di Stato come soggetto espressivo di un vero e proprio potere esecutivo; in questi termini egli deve essere eletto direttamente dal corpo elettorale. 2. Per altri, il capo dello stato va inteso come supremo reggitore e garante dell’unità statale soprattutto in periodi di crisi; quindi, si presenta come motore attivo dell’ordinamento ed è dunque legittimato ad intervenire direttamente nelle dinamiche politiche (V Repubblica in Francia). In questo senso può favorire la formazione di governi tecnici (vedi ad es. l’art. 81 della Legge fondamentale tedesca che prevede il ricorso allo stato di emergenza legislativo). 3. La terza concezione vede il capo di Stato come potere neutro, al di sopra delle fazioni politiche, posto a tutela e garanzia del rispetto costituzionale e delle regole del gioco democratico. Per alcuni è come se rappresenti una figura meramente simbolica, dotata di poteri esclusivamente formali (consigliare, incoraggiare, ammonire). È il soggetto capace di far mantenere, con il suo costante mediare, il regolare rispetto delle norme costituzionali. 7.3 Derivazione e durata in carica Sono 3 le fonti di legittimazione che identificano e delineano le modalità attraverso cui si diviene capo dello Stato negli ordinamenti moderni delle democrazie stabilizzate: 1. La prima è quella relativa alla successione ereditaria che caratterizza tutti gli ordinamenti di tipo monarchico come il Regno Unito. Il percorso d’ascesa al trono avviene nel rispetto delle norme costituzionali scritte e di quelle consuetudinarie che lo disciplinano. Laddove non vi sia un erede, i testi costituzionali prevedono l’intervento del Parlamento per regolare la successione dinastica. In Belgio, il Parlamento deve esprimere il suo consenso al designato dal re; in Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia il Parlamento nomina direttamente il nuovo monarca. Procedimento simile per la nomina del governatore generale in Australia, Canada e Nuova Zelanda. 2. La seconda fonte di legittimazione è l’elezione da parte del corpo elettorale negli ordinamenti presidenziali e semipresidenziali; diversi sistemi elettorali qualificano queste elezioni: maggiormente si utilizza un sistema maggioritario a doppio turno. Riguardo ai requisiti per essere eletti, si prevede che l’eletto abbia la Cittadinanza del Paese e un limite d’età che varia a seconda dell’ordinamento, che è comunque la più alta tra le altre cariche. 3. L’elezione da parte del Parlamento è la terza fonte di legittimazione e caratterizza le forme di governo repubblicane di tipo parlamentare. Elezione può avvenire da parte dello stesso Parlamento o da un’apposita assemblea ad hoc convocata in seduta comune (Germania). Il capo di Stato in Svizzera costituisce un’eccezione in quanto non è una figura monocratica ma collegiale, designato a rotazione tra i membri del consiglio federale per un anno. La durata in carica è di due tipologie. Nel caso monarchico è vitalizia, mentre nelle forme repubblicane è predeterminata dai testi costituzionali. In presenza di forme di governo di tipo presidenziale o semipresidenziale, la durata coincide con quella della legislatura parlamentare per evitare rischi di coabitazione politica. Nelle forme di governo parlamentari la durata è di tipo asimmetrico per garantire l’indipendenza del presidente. I limiti alla rieleggibilità esistono esclusivamente per le forme repubblicane e sono espressi nei testi costituzionali; generalmente la rielezione è prevista una sola volta e per il solo mandato immediatamente successivo. In Austria e 22 Francia la rielezione con terzo mandato non è esclusa in termini assoluti: può avvenire se non si realizza in modo consequenziale al doppio mandato già espletato. Nelle monarchie la cessazione della carica può avvenire per morte o abdicazione. Se l’erede è un minore è prevista una normativa per la disciplina della figura del reggente. Nelle forme di governo repubblicane, la cessazione della carica invece coincide con l’entrata in carica del successore. La cessazione può verificarsi anche prima della scadenza naturale del mandato per 4 cause specifiche: - la morte - le dimissioni → non vanno motivate - la destituzione → avviene in seguito alla messa in stato d’accusa - l’impedimento permanente → esplica l’impossibilità o incapacità di adempiere ai propri doveri e può essere temporaneo o permanente. L’istituto della cessazione della carica prima della scadenza del mandato si verifica in modo peculiare negli Stati Uniti, in cui avviene la sostituzione automatica a Presidente del vicepresidente federale. In altri ordinamenti si verifica invece la supplenza della carica, svolta da: presidente del Parlamento, se monocamerale; presidente della camera alta, se bicamerale. I poteri di supplenza sono limitati e circoscritti, ad esempio non è possibile sciogliere le camere. 7.4 Poteri Il capo dello Stato è dotato di penetranti e incisivi poteri nelle forme di governo presidenziali e semipresidenziali. Giappone e Svezia sono i paesi in cui i poteri sono meno intensi di tutti. Al netto delle singole peculiarità ordinamentali, nei testi costituzionali delle democrazie stabilizzate, la figura del capo dello Stato ha almeno le seguenti attribuzioni: - rappresenta l’unità nazionale - promulga le leggi e ratifica i trattati internazionali - può inviare messaggi alle Assemblee - dichiara lo stato di guerra - nomina il vertice del potere esecutivo - dichiara lo scioglimento delle Assemblee - indice elezioni e referendum - nomina i giudici di giustizia costituzionale - nomina gli alti funzionari dello Stato - ha il potere di grazia e di commutazione della pena - ha il comando supremo delle Forze armate - è irresponsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Il presidente degli Stati Uniti, in quanto titolare del potere esecutivo, incarna in sé tutti i poteri, di politica interna e di politica estera. Similmente accade per il Presidente francese qualora non vi sia coabitazione. I poteri dipendono dal ruolo e dalla posizione che esercita il capo dello Stato nell’ordinamento, quindi dalla sua natura formale o sostanziale. Per questo, nelle forme monarchiche i capi di Stato sono titolari di poteri meramente formali e i loro atti assumono rilievo grazie alla controfirma ministeriale. Unico atto per cui non è prevista la controfirma, che rende il re/presidente irresponsabile, sono le dimissioni, o altri atti di particolare rilevanza. In Francia e Portogallo invece, la controfirma ministeriale emerge solo per gli atti politicamente meno rilevanti del presidente. I due principali poteri sono comunque 1. la nomina del governo → ruolo più incisivo nelle forme di governo semipresidenziali (Francia e Portogallo), mentre in quelle parlamentari (Germania e Grecia) ha una presenza residuale (è chiamato più che altro a prendere atto dell’esito elettorale). 2. lo scioglimento anticipato del Parlamento → è un istituto tipo delle forme parlamentari e semipresidenziali; in Francia, il potere spetta al presidente senza controfirma ministeriale. In Grecia e Germania la decisione di scioglimento si configura come extrema ratio. Nella forma direttoriale Svizzera non è previsto lo scioglimento. Alcuni ordinamenti, come Austria e Regno Unito, hanno introdotto forme di autoscioglimento, cioè di scioglimento deciso dallo stesso Parlamento in capo al primo ministro. In molti ordinamenti, prima di procedere allo scioglimento, è richiesto il parere preventivo di diversi soggetti. Lo scioglimento è anche soggetto a limiti di tempo, generalmente inattuabile negli ultimi mesi di legislatura. Un altro limite che rende impossibile lo scioglimento è lo stato di guerra o di crisi. 7.5 Responsabilità Negli ordinamenti monarchici prevale l’irresponsabilità regia, personale, assoluta e permanente. I capi di stato repubblicani sono invece sottoposti a forme di responsabilità giuridica: penale, civile e amministrativa. Una seconda responsabilità e quella di tipo politico (più difficile da dimostrare); si delinea in responsabilità politico- 25 8.5 La Canadian Charter of Rights and Freedoms La nascita dello Stato del Canada deve essere fatta risalire al momento in cui il Parlamento inglese approva il British North America Act del 1867. Il testo normativo del 1867 si preoccupa di federare le comunità di cultura francese e quelle di cultura inglese che vivono a nord degli Stati Uniti e opta per dare vita a una Costituzione simile a quella del Regno Unito (seppur modificata da emendamenti successivi, è ancora oggi in vigore). Pur esistendo disposizioni puntuali in materia di diritti fondamentali, non è presente un catalogo sul modello del Bill of Rights. Alla Federazione viene affidato il compito di legiferare per assicurare il buon governo, e alle province quello di regolamentare la proprietà e i diritti civili. Nel secondo dopoguerra, anche in Canada si avverte la necessità di modificare il quadro costituzionale. Questa nuova fase ha come protagonisti i legislatori provinciali e nazionali; in ambito provinciale si iniziano a diffondere gli Human rights codes e peculiari sistemi giurisdizionali di controllo a questi connessi. Nel 1960 viene adottato il Bill of Rights nazionale, il quale, oltre ad affermare i diritti tradizionali, riconosce anche delle prerogative individuali peculiari come ad esempio il diritto di non discriminazione. Nel 1970 si approva il Canadian Human Rights Act che vincola le autorità federali al rispetto dei diritti in esso contenuti. La protezione a livello territoriale delle istanze della persona prolifera grazie a tredici codici, con cui si riconoscono ai cittadini nuovi diritti (in particolare sociali). Si sceglie quindi di affidare la protezione delle persone al legislatore, esponendole al rischio di abusi politici: non si evita che un nuovo intervento legislativo possa negare i diritti affermati. I giudici, inoltre, tendono ad interpretare le disposizioni in modo restrittivo. Soltanto negli anni ‘80 si avrà un’ulteriore svolta di avvicinamento a un migliore sistema di tutele; viene introdotta una Canadian Charter of Rights and Freedoms all’interno del Constitution Act del 1982; essa è formalmente posta al di sopra della legge ordinaria e segna la fine della sovranità parlamentare. Emerge anche un forte controllo giudiziario ad arricchire il panorama delle garanzie. Manca ancora, tuttavia, la presenza di clausole di immodificabilità e di alcuni meccanismi di compromesso. Sono ancora previsti casi di restringimento dei diritti per via legislativa, ma questi casi sono configurati come eccezionali e devono rispettare il limite della ragionevolezza e della giustificabilità, oltre a restare soggetti al controllo giudiziario. La carta sembra prediligere il riconoscimento di diritti di natura universale; soltanto il diritto di voto e il diritto alla circolazione sono garantiti in via esclusiva ai cittadini. Si applica sia a livello federale che provinciale e non contiene riferimenti ai nuovi diritti, riconosciuti però dalla giurisprudenza tramite le disposizioni provinciali. Inoltre, nella seconda parte dell’Act si introduce un procedimento aggravato per la modifica dei diritti riconosciuti alle popolazioni native del Canada: non possono essere modificati senza il consenso delle tribù. 8.6 I diritti fondamentali nell’esperienza costituzionale della Germania La strada scelta dall’ordinamento tedesco per tutelare i diritti si discosta dalle esperienze viste in precedenza. I sovrani dei vari regni tedeschi non tardano a concedere delle carte dei diritti: un’abile mossa volta alla conservazione dello status quo. I diritti riconosciuti sono circoscritti ai diritti civili; si rigetta il giusnaturalismo: i diritti sono concessi dal sovrano e possono essere liberamente revocati. Questa impostazione non viene meno neanche con i moti del 1848. Infatti, nel corso dei lavori che portano all’approvazione della Costituzione della Chiesa di San Paolo del 1849, viene sì ampliato il catalogo dei diritti e vengono riconosciute le prime forme di controllo di costituzionalità, ma si rigetta ancora l’impianto naturalistico dei diritti. Il fondamento dei diritti deve essere positivamente individuato nella volontà dell’organo che ha provveduto a operarne il riconoscimento; da questa scelta deriva anche la volontà di non attribuire alle disposizioni costituzionali un rango rafforzato. L’unica protezione offerta è nei confronti del potere esecutivo: gli atti adottati da questa branca sono tenuti al rispetto dei diritti, al contrario del legislativo. Peraltro, tale testo non è mai entrato in vigore, anche se molti Stati preunitari seguono il suo esempio. Nel momento in cu il paese viene riunificato, la Costituzione tedesca del 1871 non contiene un catalogo dei diritti; pur non privando di valore le disposizioni contenute nelle Carte costituzionali preunitarie, finisce per comprimere gli spazi necessari in cui queste possano svolgere la loro funzione di difesa. La Costituzione di Weimar del 1919 passa alla storia per essere il primo testo giuridico contenente una catalogazione dei diritti economici e sociali, anche se è pur sempre una Costituzione flessibile e non mette in discussione l’approccio positivistico. Dopo la Seconda guerra mondiale, la volontà di archiviare gli orrori del passato induce il Consiglio Parlamentare ad approvare nel 1949 la Grundgesetz, discostandosi dal positivismo ottocentesco e rafforzando la posizione dei diritti. È una costituzione rigida e apre al controllo giudiziario sul rispetto delle disposizioni in essa contenute. Il testo si apre con una dichiarazione dei diritti; si individuano alcuni limiti che il legislatore non può superare nel disciplinare la materia e si stabilisce che qualsiasi limitazione imposta dal legislatore debba essere proporzionale, limitando al massimo le conseguenze lesive. Viene introdotta anche una clausola che sancisce l’immodificabilità della disciplina dei 26 diritti: diritti in qualche modo preesistono alla loro definizione giuridica e pretendono di essere rispettati. Anche in questo caso l’elencazione è limitata ai diritti di prima e seconda generazione, ma il sistema consente l’apertura all’incorporazione di altri cataloghi più completi e aggiornati (vedi artt. 2, 20 e 23). Salvo alcune eccezioni, i diritti riconosciuti sono universali. La giurisprudenza ha con il tempo riconosciuto che i diritti hanno un’efficacia orizzontale e quindi possono essere ritenuti vincolanti anche nei confronti dei privati (cd. Drittwirkung). Si prevede anche la possibilità di ricorso individuale di costituzionalità per la violazione di un diritto fondamentale, in assenza di altri mezzi per tutelarsi. Nel 1956 viene infine introdotto un commissario parlamentare per le Forze armate, che – seppur in un ambito specifico – ha il compito di offrire ulteriori strumenti di protezione. 8.7 Diritti e libertà nel sistema giuridico spagnolo Il primo tentativo di introdurre in Spagna un primo nucleo di diritti risale alla Costituzione di Cadice del 1812. Occorre attendere il 1845 per l’entrata in vigore di un catalogo di prerogative personali. In un contesto di instabilità costituzionale, i testi di ispirazione liberale del 1837, 1869 e 1873 hanno breve vigenza e anche il tentativo di Costituzione del 1931 verrà represso nel sangue dal Franchismo. Alla fine dell’esperienza franchista si guarda con particolare attenzione alla Costituzione tedesca del 1949, al fine di creare un ordinamento stabile e promotore dei diritti come criterio di legittimazione dell’azione dei pubblici poteri. Il perno del sistema è il rispetto della persona. Anche in questo caso si è preferito limitare il riconoscimento testuale ai diritti di prima e seconda generazione e alcuni diritti sociali. Il testo entra in vigore nel 1978 e questo consente la recezione di molti strumenti; ad esempio le clausole di apertura hanno concesso di incorporare diritti riconosciuti a livello internazionale ed europeo. Si favorisce la protezione offerta ai diritti a livello regionale e la loro inclusione nell’ordine giuridico statale. Il capo II è suddiviso in due sezioni: la prima è dedicata ai diritti universalmente riconosciuti; la seconda ai diritti dei cittadini. Particolarmente ricco e articolato è il sistema delle garanzie; per tutti i diritti contenuti al Capo II si prevede la riserva di legge; per i diritti della sola sezione I, la relativa disciplina dovrà essere dettata solo con legge organica; la modifica di questa parte della Costituzione prevede un procedimento talmente complesso da rendere quasi impossibile l’approvazione di un emendamento. Tutti i diritti riconosciuti al Capo II sono altresì immediatamente invocabili davanti all’autorità giudiziaria; soltanto per la sezione I è previsto uno speciale procedimento davanti al giudice ordinario e la possibilità di invocare direttamente la protezione sussidiaria del giudice costituzionale (recurso de amparo). A supervisione del corretto funzionamento, al defensor del pueblo si affida la vigilanza del rispetto della costituzione da parte dell’amministrazione e il potere di attivare il controllo del Tribunale costituzionale. 8.8 Diritti e libertà fondamentali nell’esperienza dello Stato costituzionale La materia dei diritti ha avuto profonde trasformazioni nel corso dei secoli. Al netto delle differenze che ancora oggi caratterizzano ciascun ordinamento nazionale, è innegabile che le reciproche influenze abbiano favorito l’esistenza di alcuni tratti comuni. In tutti gli ordinamenti sono state archiviate sia la concezione puramente giusnaturalista che quella positivista; molte clausole presuppongono che l’esistenza dei diritti preceda quella dell’ordinamento giuridico e impongono quindi agli interpreti di prendere in considerazione quelle istanze sufficientemente consolidate sul piano sociale ma non ancora positivizzate. Tutti gli ordinamenti si sono poi mossi nella direzione di assicurare la più ampia sfera possibile di protezione. Si assiste a un’universalizzazione della tutela sia attraverso il riconoscimento normativo sia attraverso l’opera creatrice della giurisprudenza. Si registra anche un allargamento della cerchia dei soggetti tenuti a osservare e godere dei diritti. In Europa, inoltre, le lacune sono state colmate con l’incorporazione dei diritti previsti nell’ordine giuridico dell’Unione e della Convenzione europea. È osservabile anche l’introduzione, in alcuni ordinamenti, del principio di proporzionalità (Canada, Germania); della clausola di salvaguardia del contenuto essenziale (Germania, Spagna); del principio della riserva di legge (Stati Uniti, Francia, Germania). 9 – IL POTERE GIUDIZIARIO 9.1 Evoluzione storica del potere giudiziario: dalle origini all’affermazione Il potere giudiziario nasce a causa dell’esigenza di creare un sistema in grado di assicurare il rispetto delle norme giuridiche e quindi l’ordine. L’attività giurisdizionale quindi nasce con il nascere della vita in società. Nell’antica Grecia ogni polis stabiliva in maniera autonoma e differenziata i criteri di selezione e i poteri dei giudici nonché l’organizzazione e il funzionamento della giustizia, non potendosi quindi individuare un sistema unitario. 27 Nel passaggio all’esperienza romana, il termine iuris dictio è da intendersi in modo differente da come intendiamo oggi la giurisdizione. Il magistrato romano dotato di iuris dictio (pretori, urbani o peregrini, governatori delle province o altri magistrati eletti dal popolo o dal Senato) aveva il compito di impostare in termini giuridici la lite, di approvare o rigettare le formule individuate dai privati e di individuare il principio di diritto da applicare al caso concreto; non era dotato del potere di decidere la controversia nel merito emettendo un giudicato: tale prerogativa spettava al giudice, scelto dalle parti con consenso del magistrato. L’attività di iuris dictio era dunque diversa dalla iudicatio del giudice. A partire dal XII secolo, le due funzioni (iuris dictio e iudicatio) convergono e si viene così a creare una categoria di professionisti del diritto. Nel contesto dell’ancien régime francese, sebbene l’esercizio della giustizia fosse stratificato, il potere giudiziario restava saldamente nelle mani del monarca, giudice supremo (toute justice émane du roi). Tuttavia, non mancavano spinte autonomiste e conflitti tra il sovrano e le forme di giustizia feudale e signorile; queste furono superate con l’introduzione di un apparato di giudici “delegati”, tra cui i Parlements (il più famoso era quello con sede a Parigi, ma altri erano sparsi su tutto il territorio nazionale). Questi ultimi svolgevano anche la funzione di corte d’appello rispetto alle decisioni dei giudici di rango inferiore e si arrogavano spesso competenze legislative; questo esercizio di creazione del diritto portò a scontri con il re, il quale esercitò azioni repressive nei loro confronti. In questo contesto, si afferma il principio di separazione dei poteri enunciato da Montesquieu: secondo l’autore, il giudice deve limitarsi ad applicare ai casi concreti le leggi emanate dai detentori del potere legislativo, senza spingersi ad interpretare. I Parlements vennero eliminati a seguito dei moti rivoluzionari, e si venne a creare un sistema giudiziario con giudici privi di esperienza professionale, di estrazione popolare e in carica solo per un determinato periodo. La riduzione dell’ambito di autonomia dei giudici è un tratto comune dell’assolutismo, delle rivoluzioni e del periodo napoleonico, per favorire tanto la figura del re, quanto quella dell’Assemblea. Infatti, come previsto dalla Costituzione francese del 1791, i giudici dovevano obbligatoriamente rivolgersi all’Assemblea in caso di dubbi interpretativi. Si afferma come corollario il principio della sottoposizione del giudice solo ed esclusivamente alla legge, che ne vincola l’operato. Con le nuove Costituzioni adottate nel secondo dopoguerra, si assiste ad una notevole espansione del potere giudiziario tramite il processo di costituzionalizzazione della funzione giudiziaria e del riconoscimento della sua indipendenza. È in questo periodo che si afferma anche la questione della creatività giurisprudenziale, cioè dell’allontanamento del giudice dall’essere semplicemente bocca della legge: viene riconosciuta ai giudici la capacità interpretativa e, di conseguenza, di un certo margine di discrezionalità e di “forza produttiva” del diritto. La giurisprudenza, nei limiti delle proprie prerogative, assume funzione creativa anche nei sistemi di civil law. I limiti circa i rapporti tra poteri diventano sempre più difficili da individuare quando i giudici sono chiamati a tutelare nuovi diritti non inseriti espressamente nel dettato costituzionale; qui il divieto di interferire si scontra con l’esigenza di assicurare giustizia nel caso concreto. Gli stessi caratteri di imparzialità e indipendenza ben radicati nei sistemi di civil law, si sono venuti a individuare anche nei sistemi di common law. Qui il potere giudiziario si va ad inserire tra gli altri due ed è chiamato a intervenire laddove emerga una contraddizione tra stato di fatto e stato di diritto nello specifico singolo caso. Negli stati in cui esiste una commistione tra legge, giustizia e religione, si è sviluppato un sistema di giurisdizione dualistico, caratterizzato dalla presenza dei tribunali che applicano il diritto secolare da un lato, e i tribunali che applicano il diritto della comunità religiosa dall’altro. Queste corti hanno competenza per specifiche materie e sono riconosciute dallo Stato. Diverso è il caso dei tribunali religiosi (councils) che si inseriscono senza alcun riconoscimento dello Stato (islamic sharia councils nel Regno Unito) e solitamente decidono su matrimoni e divorzi religiosi. Diverso ancora il caso della giustizia ancestrale: si tratta forme di esercizio della giustizia proprie di comunità locali preesistenti allo stato moderno. 9.2 Il sistema giudiziario e l’organizzazione della magistratura: una prima analisi generale La funzione giurisdizionale può essere definita come l’attività svolta da un soggetto pubblico in condizioni di terzietà per risolvere una controversia tra due o più parti. Il sistema giudiziario, di conseguenza, è la fisionomia concreta che il potere giudiziario assume in un determinato contesto statale. L’ordinamento giudiziario può essere invece definito come quella sezione del diritto pubblico che opera con riferimento ai principi e agli istituti necessari a consentire agli organi l’esercizio dell’attività giurisdizionale. Queste definizioni sono applicabili alla realtà delle democrazie stabilizzate. Nell’ambito dell’organizzazione dei sistemi giudiziari rilevano le differenze tra gli ordinamenti di common law e quelli di civil law. Una prima distinzione riguarda la distribuzione delle funzioni; in tal senso si può avere: • Giurisdizione ordinaria → esercitata dai giudici ordinari sottoposti alla disciplina delle norme dell’ordinamento giudiziario 30 9.4 Il potere giudiziario nei paesi di common law Gli stati di tradizione common law prevedono per il reclutamento una selezione cd. politico-professionale, caratterizzata dalla nomina da parte dell’esecutivo o dall’elezione diretta da parte del popolo. Un esempio è offerto dall’ordinamento giudiziario statunitense; qui bisogna distinguere tra giudici federali e giudici statali. I primi vengono nominati a vita e possono essere rimossi solo tramite procedura di impeachment dal vertice del potere esecutivo (il Presidente); il Senato ha il compito di esprimere il suo advice and consent rispetto al nominativo indicato dal presidente (contropotere). L’individuazione dei giudici ricade su soggetti che abbiano raggiunto un elevato prestigio, stima e influenza nel mondo giuridico. La nomina diretta da parte del presidente è inoltre effettuata solo con riferimento ai giudici della Corte suprema, mentre per gli altri giudici federali è incaricato il ministro della Giustizia. Il dipartimento di giustizia è chiamato a svolgere una prima analisi dei nominativi proposti e il Bar Association a esprimere un giudizio. I giudici statali, invece, restano in carica soltanto per un periodo di tempo determinato; possono essere nominati dal Governatore di Stato oppure è possibile fare ricorso a un sistema di elezione vero e proprio nel quale i partiti politici possono intervenire a supporto di un candidato. A partire dal 1940, è stata introdotta una forma di reclutamento intermedia (Missouri Nonpartisan Court Plan) con cui si prevede l’istituzione di una commissione apposita che invia una lista di possibili candidati al governatore, che seleziona colui che svolgerà il compito di giudice per un anno; scaduto questo periodo, le votazioni popolari potranno confermare o revocare l’incarico. Così come il sistema statale, anche quello federale prevede tre gradi di giudizio. La maggior parte delle controversie vengono risolte a livello statale (le decisioni delle corti supreme statali sono impugnabili), a meno che la controversia non sia attinente al diritto federale. Non è sempre facile però distinguere e fissare i limiti della giurisdizione statale rispetto a quella federale. Per la rimozione di un giudice statale, accanto all’impeachment è previsto il metodo del recall (richiamo con referendum popolare) o dell’address (richiamo delle camere statali con votazione). A differenza del sistema americano, nel modello inglese il carattere professionale è stato esaltato a sfavore dell’ingerenza politica a partire dal 2005 con il Constitutional Reform Act. In passato, un ruolo dominante nel reclutamento dei magistrati era svolto dal Lord Chancellor al quale era attribuito il potere di nomina; egli era membro dell’esecutivo in qualità di speaker della camera dei Lord, quindi effettuava nomine di natura politica. Nel 2005 il ruolo del Lord Chancellor è stato ridotto con l’introduzione della Judicial Appointments Commission, un organo indipendente con il compito di selezionare e disporre una lista di nominativi da sottoporre al Lord Chancellor, che perde anche la carica di speaker. Posizione apicale del sistema giudiziario è ora attribuita al Lord Chief Justice. Critica: in particolare nelle corti superiori, i componenti sono spesso benestanti, quindi vi è una rappresentazione poco omogenea della società e si pongono difficoltà di avanzamento di carriera. A rafforzamento dell’indipendenza e imparzialità dei giudici, rileva anche l’incorporazione della CEDU e di alcune sentenze della corte EDU. Ulteriori modifiche sono state apportate in tal senso nel 2007 e 2013, andando a favorire il pluralismo all’interno della magistratura, modificando il meccanismo di nomina, riducendo l’ingerenza del ministro della Giustizia e ulteriormente quella del Lord Chancellor. Spetta al Lord Chief Justice nominare i giudici delle corti inferiori e della High court. Una particolarità del sistema inglese è il grande utilizzo dei magistrati onorari. Tutto questo si riferisce al sistema giudiziario di Inghilterra e Galles; sistemi separati sono previsti in Scozia e Irlanda del Nord. 9.5 Una particolare forma di garanzia dell’indipendenza della magistratura: gli organi di autogoverno Il principio di indipendenza costituisce una forte garanzia ai fini della concreta applicazione del principio di separazione dei poteri e di quello di legalità. L’indipendenza del potere giudiziario si manifesta sia sul versante interno che su quello esterno. Con “indipendenza interna” si fa riferimento ai rapporti interni alla magistratura; essa si concretizza con l’autonomia sul piano organizzativo (modalità di reclutamento, trattamento economico). Con “indipendenza esterna” si intende l’autonomia della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato, tramite l’istituzione di organi di autogoverno (tipici nel civil law) a cui viene assegnata la funzione di garante e controllore dell’autonomia dei magistrati e del loro assetto organizzativo. La Francia, già a partire dal 1883, si è dotata di un CSM, che in seguito a varie riforme (1993, 2008), è stato dotato di sempre maggiore autonomia. Diversa è la composizione del Consejo general del poder judicial spagnolo, dove tutti i componenti, ad eccezione del presidente, sono nominati dal re ma eletti dal Parlamento (designazione esclusiva in mano al potere politico). In Portogallo gli organi di autogoverno sono tripartiti. In Germania non esiste alcun organo di autogoverno. 9.6 Politicizzazione della magistratura e giudiziarizzazione della politica Se si ammette l’incidenza dell’attività giudiziaria rispetto al potere politico in qualità di creatrice del diritto, si distinguono due direzioni di azione: 31 - politicizzazione della magistratura → L’influenza dei giudici può manifestarsi attraverso lo schieramento e la partecipazione alle attività di un determinato partito politico. Solitamente si tende a vietare questo tipo di appartenenza diretta a uno schieramento per tutelare la figura del giudice come soggetto super partes. - giudiziarizzazione della politica → Di fronte all’immobilismo del legislatore, le corti possono svolgere, mediante la loro interpretazione dei dettami costituzionali, una funzione di supplenza giudiziaria che consente il riconoscimento di nuovi diritti che la società ritiene meritevoli di tutela. Sempre più spesso ci si rivolge si giudici non solo per ottenere singole risposte sul caso concreto ma anche su temi di più ampio respiro, andando così incontro a una giudiziarizzazione della politica (spostamento delle competenze decisionali dal potere legislativo ed esecutivo ai tribunali). Resta da stabilire quali siano i limiti del potere giudiziario. Sul profilo della responsabilità si distingue tra responsabilità politica, che sorge in caso di violazione dei principi costituzionali, e responsabilità civile, che si riscontra in caso di dolo o colpa grave e in seguito a danneggiamento di una o più parti in causa. 9.7 Le nuove frontiere e le sfide del potere giudiziario Nuove sfide riguardano il futuro del potere giudiziario; una di queste è la globalizzazione. Essa favorisce la creazione di diversi livelli di giurisdizione, sovranazionale e internazionale, ponendo in essere le condizioni per il judicial dialogue. Altre incertezze sono legate all’avanzamento tecnologico e alla privatizzazione della giustizia. Con riguardo al primo profilo è rilevante l’influenza delle nuove tecnologie sul lavoro del giudice, ad esempio si pensi all’introduzione di prove scientifiche legate al DNA, o di software in grado di calcolare la pena (già usati negli USA). Con riguardo al secondo profilo, aumenta sempre di più il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (arbitrato), con una conseguente sottrazione dell’esercizio del potere giudiziario a soggetti pubblici. 10 – LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE 10.1 La nascita e la fortuna della giustizia costituzionale: il “custode della Costituzione” Con l’espressione “giustizia costituzionale” ci si riferisce agli strumenti di difesa della Costituzione per via giudiziaria; essa rappresenta un argine soprattutto nei confronti di chi esercita i poteri pubblici. La giustizia costituzionale ha sviluppato una varietà di funzioni; tuttavia essa ne svolge tre tipi principali: 1. Controlla la legittimità degli atti attraverso cui i poteri pubblici esercitano le loro funzioni, soprattutto nel caso di atti aventi forza di legge 2. Dirime i conflitti tra le istituzioni dell’ordinamento 3. Giudica ed eventualmente reprime i comportamenti di soggetti che ricoprono funzioni politiche di alto profilo. Queste funzioni spesso divergono da paese a paese, oppure singoli istituti possono ricadere in più di una funzione tra quelle indicate. In particolare, negli ordinamenti in cui è presente un organo specificatamente deputato alla funzione di garantire il rispetto della Costituzione accade spesso che a tale organo vengano attribuiti ulteriori compiti. È stato però indispensabile, per lo sviluppo concreto di forme di giustizia costituzionale, che prima si affermassero delle Costituzioni scritte come strumento di legittimazione e di limite al potere dello Stato. L’idea di attuare una giustizia costituzionale emerge già in seguito alle rivoluzioni francese e americana del XVIII secolo. In Francia, Sieyès, enuclea l’idea di un giurì costituzionale, ossia di un’assemblea politico-giudiziaria con il duplice scopo di tutelare la Costituzione e di svilupparla e perfezionarla. Negli Stati Uniti, nel 1803, John Marshall redige la fondamentale sentenza Marbury vs Madison, attribuendo il potere di controllo costituzionale di una legge alla Corte suprema. Marshall sviluppa la sentenza dopo un’attenta riflessione per evitare di disattendere la Costituzione che nulla prevede a riguardo; giunge quindi alla conclusione che una Costituzione scritta e sovraordinata esige di essere protetta anche nei confronti delle altre norme dell’ordinamento qualora esse la contraddicano, e che spetta ai giudici fornire tale protezione, disapplicando le leggi contrastanti. Nel corso dell’Ottocento, la giustizia costituzionale si diffuse in tutta Europa; essa emerge negli Stati federali (in particolare negli stati di lingua tedesca) per la necessità di regolare i rapporti tra centro e periferia. Una terza fase decisiva per la storia della giustizia costituzionale ha il suo vertice in un confronto intellettuale che si svolge nella prima metà del Novecento in Europa. Il dissidio contrappone Karl Schmitt ad Hans Kelsen; i due discutono su chi debba ricoprire il ruolo di custode della costituzione. Per Schmitt, la funzione di custode spetta al capo di Stato; per Kelsen, è necessario avere una corte specializzata chi occupi della tutela della Costituzione: sarà la sua impostazione a prevalere. I due studiosi operano nel contesto della Costituzione di Weimar che esprime la consapevolezza che il potere vada regolato e contenuto. Nelle Costituzioni austriache e cecoslovacche si prevedono di lì a poco anche forme di giustizia costituzionale nei rapporti tra centro e periferia. 32 Sarà la Seconda guerra mondiale a dare una spinta decisiva a custodire la Costituzione dall’attività legislativa di maggioranze politiche; il compito verrà affidato a giudici in un solo organo apposito. In ritardo rispetto al resto dell’Europa, a causa del permanere di dittature, negli anni ’70 anche Grecia, Portogallo e Spagna adotteranno forme di tutela della costituzione di tipo giudiziario (la Spagna trarrà ispirazione da Germania e Italia). Infine, seguiranno l’ondata anche i paesi dell’est Europa in seguito al crollo sovietico. Un controllo di tipo politico (Schmitt) non è tuttavia completamente sparito dagli ordinamenti, anche se è fortemente ridotto (veto o rinvio leggi). Caso peculiare quello della Svizzera, che non consente di formalmente il vaglio di costituzionalità delle leggi federali, attribuisce al potere legislativo il ruolo di custode della Costituzione federale e ammette ampio ricorso ai referendum popolari come strumenti di opposizione al potere legislativo. 10.2 I modelli di giustizia costituzionale: il controllo accentrato o diffuso La sentenza americana Marbury si concentra sul modello di judicial review of legislation, contrapponendosi al Verfassungsgerichtsbarkeit di Kelsen, che affida la funzione giurisdizionale di giustizia costituzionale ad un organo specifico. Il modello Marbury giunge in Europa con la Costituzione del Portogallo del 1911 (modello che sarà reintrodotto alla fine della dittatura). Qui il controllo di costituzionalità è diffuso, cioè è distribuito presso l’intero potere giudiziario. All’interno di una controversia, il giudice può dunque ritenere un atto contrario alla Costituzione e disapplicarlo, ma, in quanto parte della sentenza, tale decisione sarà appellabile. Questo sistema ha il pregio di tutela immediata ed efficace per i singoli interessi, ma patisce di incertezza: un altro giudice potrebbe infatti ritenere valida la norma e applicarla. Nei sistemi di common law, grazie allo stare decisis si riduce questo rischio, in quanto si è vincolati dal precedente. Inoltre, negli Stati Uniti, si aggiunge il ruolo della Corte suprema che risolve i conflitti giurisprudenziali tra le corti di pari grado in casi di split. La corte ha però ampia discrezionalità nello scegliere i casi da trattare e può anche quindi decidere di non intervenire. Negli Stati Uniti vige la compresenza di due tipi di giurisdizione: il controllo sulle leggi statali si tiene presso le corti statali, mentre quelle federali sono soggette alle giurisdizioni federali. I modelli kelseniani sono invece accentrati e consentono a un solo organo il giudizio di costituzionalità che ha effetti erga omnes; tali modelli si sviluppano principalmente in ordinamenti di civil law. Irlanda, Grecia, Cipro, Estonia e Portogallo hanno optato per sistemi con un’ibridazione tra i due modelli. Vi sono infine ordinamenti, come la Germania, che adottano una soluzione accentrata, ma presso organi differenti. La giurisdizione federale valuta ad esempio la compatibilità degli atti con la Legge fondamentale e le corti dei Länder valutano invece la compatibilità tra lo Statuto del singolo Land e gli atti promanati dai suoi enti. Per Kelsen la corte avrebbe dovuto assumere la funzione di legislatore negativo, eliminando con la sua decisione quell’atto dall’ordinamento con efficacia generale. Per svolgere tale scopo, normalmente, la giurisdizione costituzionale riceve nei testi costituzionali un trattamento differenziato rispetto alla magistratura. 10.3 Le funzioni della giustizia costituzionale Tra gli elementi fondamentali del costituzionalismo del secondo dopoguerra, vi è la capacità di sottoporre a un controllo giurisdizionale gli atti dei titolari del potere politico, in particolare di quello legislativo; tuttavia, alcuni ordinamenti non sono dotati di tale funzione. Il Regno Unito non ne è dotato, se non limitatamente a materie relative al decentramento. La decisione è frutto di una scelta; infatti nel Seicento l’Inghilterra risultava pioniera nel riconoscimento del controllo di costituzionalità delle leggi. Il giudice Coke nel caso Bohnam aveva ì dichiarato nulla una legge contraria al common law e sosteneva la tesi di sottoporre al giudizio dei giudici l’attività parlamentare. Il suo giudizio venne immediatamente sconfessato dalla giurisprudenza successiva; da allora il giudice britannico non può più giudicare la costituzionalità di una legge ad eccezione del processo di devolution. Il controllo di costituzionalità sulle leggi ha due scopi: tutelare i diritti costituzionali nei confronti del potere legislativo ed esprimersi su leggi che violano la distribuzione delle competenze tra centro e periferia o la relazione tra pubblici poteri. Il conflitto tra le istituzioni può scaturire da un atto legislativo o da altri tipi di comportamenti, anche omissivi. Riguardo ai rapporti tra centro e periferia si cerca di tutelare entrambe le istanze, preservando la separazione delle competenze e quindi dei poteri. 35 All’estremo opposto, in Grecia, il controllo di legittimità costituzionale spetta a un consesso composto appositamente, comprendente i presidenti delle supreme corti amministrative, ordinarie e dei conti e da ulteriori 4 membri di tali corti; l’organo non ha quindi alcun legame con istituzioni di indirizzo politico. Esistono altri sistemi misti che fanno confluire soggetti eletti dalle magistrature con quelli selezionati dalle istituzioni di indirizzo politico: è il caso della Spagna. In Belgio, i giudici della Corte costituzionale devono essere sganciati dalle dinamiche politiche (per questo nominati a vita) e sottoposti al pensionamento al settantesimo anno di età; sono scelti in base ad una doppia lista, adottata a maggioranza qualificata e presentata alternativamente dalle due Camere. Inoltre, devono essere espressione della diversità linguistica; infatti sono per metà francofoni e per metà neerlandesi. Anche negli Stati Uniti, i 9 giudici della Corte Suprema federale hanno un mandato a vita, ma vengono nominati dal presidente con l’assenso del Senato. Il Tribunale federale della Svizzera (organo giudiziario di ultima istanza) è composto da un numero importante di giudici (da 35 a 45), in carica per 6 anni, eletti in seduta comune dall’Assemblea federale (che ne fissa il numero effettivo). 10.6 La tutela della Costituzione e i suoi limiti Tra i principali compiti della giurisdizione costituzionale rientrano: - il controllo dell’attività degli organi di indirizzo politico e delle relazioni tra i livelli di governo - la tutela dei diritti fondamentali previsti da un testo costituzionale Relativamente a questi due aspetti, gli ordinamenti hanno preso strade differenti. In Belgio, inizialmente, la Cour d’arbitrage ha avuto giurisdizione sul riparto delle competenze e in seguito si è esteso alla tutela dei diritti fondamentali. Stessa evoluzione si è verificata anche in Francia, soprattutto a partire dal 1971, data in cui è nato un Bloc de costitutionnalité, ossia una tavola di principi e diritti fondamentali rispetto al quale il Conseil ha stabilito la sua giurisdizione. Negli Stati Uniti il processo è stato altrettanto lento; solo nel Novecento si decise di applicare il Bill of Rights agli stati. In Svizzera la giurisdizione del Tribunale sugli atti si limita prevalentemente a valutare la compatibilità costituzionale delle leggi cantonali. Solo negli ultimi anni la prassi ha consentito al Tribunale di valutare la compatibilità anche della legislazione federale e di rivolgere moniti al legislatore affinché si adeguasse al dettato costituzionale. Il controllo di costituzionalità si può inoltre estendere alle riforme costituzionali, non solo in rifermento al modo in cui vengono introdotte (controllo su vizi), ma anche rispetto ai loro contenuti. Particolarmente di rilievo la formula della Legge fondamentale tedesca, la quale sancisce con la clausola di eternità, l’insuscettibilità di modifica ad un nucleo di diritti previsti dall’ordinamento. Negli ultimi anni la giurisdizione si allarga anche al controllo della conformità rispetto al diritto ultrastatale (UE e diritto internazionale). 10.7 Gli effetti delle decisioni La diversità dei modelli si replica anche negli effetti delle decisioni. I sistemi diffusi effettuano una verifica di costituzionalità all’interno di un giudizio più ampio, disapplicando la norma nel caso concreto. La disapplicazione inevitabilmente retroagisce, perché riguarda il rapporto giuridico oggetto della controversia (come già detto, il controllo diffuso è maggiormente utilizzato nei sistemi di common law), affinché sia assicurato il principio del precedente vincolante; inoltre una sentenza della corte di ultima istanza si caratterizza per avere efficacia erga omnes. Esempio: negli Stati Uniti, vari stati disciplinavano in modo diverso il diritto delle coppie omosessuali al matrimonio (split della giurisprudenza); nel 2015, la Corte suprema decide di incaricarsi della questione e dichiara erga omnes l’esistenza di tale diritto. Più sfumati, invece, sono i contorni delle decisioni prese da organi giurisdizionali presso i quali è accentrato il controllo di costituzionalità. Secondo i teorici di questo modello, esso doveva essere connesso ad un controllo di tipo preventivo, per questo non era necessario che i suoi effetti retroagissero, in quanto si sarebbe agito prima che i suoi effetti si esplicassero. Questa logica è stata però spodestata dall’affermarsi del controllo successivo. La questione si è risolta con l’introduzione del giudizio incidentale: l’atto dichiarato illegittimo non solo cessa di avere effetti pro futuro, ma diviene inapplicabile ai casi che già regolava sin dal suo sorgere (ex tunc), ad eccezione di sentenze passate in giudicato. Nel caso in cui i tribunali ordinari decidano in modo conflittuale, in molti ordinamenti sono chiamate a risolvere lo split le corti superiori (es. Grecia, Portogallo). Una volta dichiarata l’illegittimità di una norma, questo può provocare un vuoto nell’ordinamento, particolarmente quando la pronuncia retroagisce. Per esempio, nel caso di incostituzionalità di una legge elettorale, l’ordinamento rimane senza strumenti per procedere a nuove elezioni; per risolvere questi problemi gli ordinamenti regolano dei regimi di transizione tra la vecchia disciplina e la nuova. A tal proposito le corti possono stabilire anche che il loro 36 giudizio valga pro futuro, oppure possono procrastinare l’efficacia delle loro decisioni, per dare il tempo necessario al legislatore di intervenire con una nuova disciplina. In particolare, in Germania, il Tribunale ha disposto varie formule mitiganti: dichiarazioni di incompatibilità, di mera incostituzionalità, o di costituzionalità provvisoria. 10.8 La fortuna e le prospettive della giustizia costituzionale La giustizia costituzionale ha avuto il suo maggior successo in seguito al Secondo dopoguerra e le corti sono diventate le protagoniste dell’interpretazione costituzionale. La giustizia costituzionale ha dovuto elaborare strumenti di giudizio all’altezza del compito di bilanciare un ampio fascio di interessi di diversa natura. Per dipanare l’esercizio di diritti potenzialmente confliggenti, ha previsto tecniche di valutazione come la ragionevolezza (compatibilità di una norma con il contesto costituzionale nel suo complesso e non con un singolo precetto) o la proporzionalità (suddivisa in quattro fasi: 1) il giudice verifica che l’atto oggetto di giudizio abbia uno scopo costituzionalmente legittimo, 2) valuta il rapporto mezzi/fini, 3) verifica se l’atto persegue l’interesse cui è destinato nel modo meno invasivo di altri diritti e 4) valuta se i benefici dell’atto siano proporzionali ai sacrifici che richiede agli altri interessi). Una seconda sfida riguarda il contenimento del ruolo della giustizia costituzionale senza mettere a repentaglio l’idea stessa di costituzione, prevedendo i limiti alla revisione e al nucleo duro delle garanzie costituzionali. Una terza sfida concerne invece il rapporto tra giustizia costituzionale e la sostenibilità finanziaria delle sue decisioni (più diritti = più spese per garantirli = problema espansione debito pubblico e austerity). 11 – L’UNIONE EUROPEA 11.1 Che cos’è l’Unione Europea Convenzionalmente, definiamo l’Unione Europea come un’organizzazione economica e politica tra stati europei. Eppure, tale definizione non descrive al meglio la sua natura, in quanto non si può far rientrare l'Unione Europea tra le organizzazioni internazionali. I paesi dell’unione hanno limitato la loro sovranità a favore delle istituzioni europee; per questo motivo non può essere definita una semplice organizzazione di diritto internazionale, in quanto in tali organizzazioni gli stati restano detentori della loro sovranità. Altre ipotesi l’hanno spesso associata ad una Confederazione di Stati: anche in questo caso è difficile sostenere che lo sia, poiché anche gli stati facenti parte di una confederazione restano detentori di sovranità e disciplinano i loro rapporti attraverso il diritto internazionale. In alternativa, si è considerata l’Unione come tendente al raggiungimento di una Federazione, a causa del suo lento ma costante trasferimento di competenze e sovranità alle istituzioni europee. Il processo ancora oggi non può dirsi compito, mancando al completamento il riconoscimento di un solo Stato federale sovrano e di una Costituzione federale. 11.2 Nascita ed evoluzione dell’UE Il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, rappresenta l’ultima tappa dell’evoluzione dei trattati dell’Unione Europea, anche se è difficile qualificarlo come una Costituzione. Esso rappresenta il vertice delle fonti del diritto nell’ordinamento europeo. Il progetto comunitario ha inizio nel 1951 con la CECA, tra i sei paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi), e con l’Euratom e la CEE del 1957 si va a completare il quadro dei Trattati Istitutivi, i quali non contemplavano il fine di giungere ad un’unione politica bensì miravano alla realizzazione di un mercato comune. Tuttavia, l’art. 2 del Trattato di Roma (istitutivo della CEE) prevedeva tra i fini quello di promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche, di una stabilità accresciuta e di un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e delle relazioni tra gli stati: degli scopi ben al di là della semplice integrazione economica. Ne sono la prova le varie decisioni della Corte di giustizia europea, che fin dall’inizio ha enucleato i principi che insistevano sui diritti fondamentali derivanti dalle tradizioni comuni degli Stati membri e dei trattati internazionali cui questi avevano aderito (in particolare la CEDU). Un più concreto avvio dell’evoluzione politica si ha con l’Atto Unico Europeo del 1986, col quale si fissò meglio l’obiettivo dell’istituzione del mercato unico, si rafforzò il ruolo del Parlamento europeo e si gettarono le basi per la costituzione dell’UE. L’UE nasce formalmente nel 1993 con l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione Europea di Maastricht. Si istituisce così l’unione economica e monetaria e la creazione della moneta unica: l’euro (introdotto nel 2002). Il TUE era ripartito in tre pilastri: nel primo erano confluite le originarie tre Comunità (CEE, CECA, Euratom); nel secondo si prevedevano competenze di politica estera e sicurezza comune (PESC); nel terzo si disponeva la cooperazione in materia di giustizia e affari interni (GAI). Solo il primo pilastro era affidato al diritto europeo; gli altri due restavano alla cooperazione intergovernativa tra Stati; questo evidenziava un evidente deficit democratico delle decisioni europee. 37 Nel 2004 si verifica un tentativo di attuazione di una Costituzione europea, il quale tuttavia fallì per il voto referendario contrario di Francia e Paesi Bassi. Oltre ai trattati, fonti principali del diritto europeo, restano regolamenti e direttive. Il Trattato di Lisbona supera la struttura ripartita in 3 pilastri e pone tra gli allegati una Carta dei diritti fondamentali; viene inoltre consolidato il ruolo del Parlamento europeo e di istituti di partecipazione volti a comare il deficit democratico. Ultimamente il processo di evoluzione ha subito una battuta d’arresto anche in seguito all’affermazione di movimenti euroscettici e della Brexit. 11.3 Le istituzioni e le organizzazioni dell’UE L’assetto istituzionale dell’Unione Europea è oggi rinvenibile all’interno del Trattato di Lisbona, in particolare nel Titolo III. Le istituzioni dell’Unione Europea sono: Parlamento Europeo, Consiglio Europeo, Consiglio, Commissione europea, Corte di giustizia, Banca centrale e Corte dei Conti (a cui si aggiungono con funzioni consultive, il Comitato economico e sociale, il Comitato delle Regioni). → Il Consiglio europeo dà all’unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali; non ha funzioni legislative e non va confuso con il Consiglio. È composto dai capi di stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente, dal presidente della Commissione e dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri. Il presidente è eletto a maggioranza qualificata per un mandato di 2 anni e 6 mesi, rinnovabile solo una volta; ad egli spetta anche la rappresentanza esterna dell’unione per materie relative alla politica estera e alla sicurezza comune. Pur non esercitando funzioni legislative, riunendo al suo interno i leader politici a livello nazionale ed europeo, tale organo svolge un ruolo attivo nel quadro istituzionale, determinando le priorità generali dell’UE. → Il Parlamento europeo è l’organo di rappresentanza dei cittadini dell’Unione; la sua funzione principale è quella legislativa, che esercita congiuntamente al Consiglio; tra le altre funzioni troviamo quella di bilancio, l’elezione del presidente della Commissione, di controllo politico e consultiva. È composto da 751 membri eletti con sistemi elettorali differenti dai vari stati in proporzione alla loro popolazione. I parlamentari sono poi organizzati in gruppi politici di minimo 25 deputati eletti in almeno un quarto degli stati; negli ultimi anni sono emersi nuovi gruppi accanto a quelli tradizionali (PPE, PSE, Verdi, Liberali e democratici, Conservatori e riformisti, ecc.) spesso in aperto contrasto con il progetto comunitario. Di norma il parlamento delibera a maggioranza dei voti espressi. I membri del Parlamento operano poi all’interno delle commissioni parlamentari. → Il Consiglio è il principale organo decisionale dell’UE; esercita la funzione legislativa e di bilancio, nonché altre funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Nella prassi, prende il nome di Consiglio dei ministri dell’Unione europea; infatti, i ministri dei governi di ciascun paese si incontrano per discutere, adottare la legislazione e coordinare le politiche. Attualmente, sono previste 10 formazioni del consiglio; la formazione varia a seconda dell’ambito nel quale si debba decidere. Pur non essendovi una gerarchia tra le varie formazioni, svolge un ruolo prevalente il Consiglio degli affari generali e il Consiglio degli affari esteri. Inoltre, il consiglio per gli affari economici e finanziari ha una composizione peculiare: sono presenti solo i ministri degli stati appartenenti all’Eurozona. Il metodo di votazione del consiglio è a maggioranza qualificata per circa l’80% della legislazione. In materie delicate (come politica estera o fiscalità) è invece richiesto il consenso di tutti i Paesi membri. → La commissione è l'organo esecutivo dell'UE, al quale spetta l'attuazione delle decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio. Gode di una particolare posizione di indipendenza politica dalle altre istituzioni e dagli stati. La commissione dura in carica 5 anni ed è composta da un cittadino per ogni Stato membro. Ai sensi dell’articolo 17.5 TUE, nel 2014 il numero di membri doveva essere ridotto (prevedendo un sistema di rotazione); tuttavia questo articolo prevede la possibilità per il Consiglio europeo di modificare tale numero solo all’unanimità; così, prima dell’entrata in vigore della composizione ridotta della Commissione, a causa di una forte contrarietà di alcuni governi, il numero è rimasto invariato. Allo stato attuale vi sono: un presidente e 7 vicepresidenti (tra i quali rientrarono il primo vicepresidente e l’Alto rappresentante dell'unione per gli affari esteri e politica di sicurezza) nonché da altri 20 commissari incaricati dei rispettivi portafogli compatibili con i ministeri. Il presidente ha un ruolo di rilievo; è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono, su proposta del Consiglio europeo; è una figura politicamente in sintonia con gli Parlamento, infatti il Parlamento può respingere la proposta ricevuta dal Consiglio europeo che dovrà poi entro un mese proporre un secondo nome. L'approvazione del Parlamento è inoltre prevista anche per l'individuazione degli altri componenti della commissione, in seguito a valutazione del presidente della Commissione dietro proposta di ciascuno Stato membro.
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