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Diritto romano Istituzioni di diritto romano Franciosi, Sintesi del corso di Istituzioni di Diritto Romano

Riassunto tratto da registrazioni, diritto romano

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Diritto romano Istituzioni di diritto romano Franciosi e più Sintesi del corso in PDF di Istituzioni di Diritto Romano solo su Docsity! Istituzioni di diritto romano Lezione del 7/10/2013 (NON registrata) L’interpretazione della giurisprudenza: Nel V secolo a.C. a dare una serie di norme che disciplinassero i rapporti tra gli uomini vi era la legge delle dodici tavole. Dodici Tavole Si tratta della più antica opera legislativa di Roma. Secondo la tradizione riportata da Livio, fu redatta negli anni 451 e 450 a.C., per volontà della plebe ad opera di un collegio di dieci magistrati, allo scopo di rendere più conoscibile e certo il diritto, fino allora tramandato oralmente e applicato di volta in volta, caso per caso, in forza dell’interpretazione segreta dei giuristi-pontefici. Questi ultimi appartenevano al solo patriziato, e il fatto stesso che gli usi venissero messi per iscritto avrebbe rappresentato, a prescindere dal loro effettivo contenuto, un successo della componente plebea della popolazione. Le norme furono incise su dodici tavole di bronzo, da cui il nome “leggi delle XII tavole”, ed esposte nel foro romano dopo essere state sottoposte all’approvazione del popolo. Il diritto è l’insieme di regole imposte da una forza coattiva esterna, regole, che regolano il rapporto tra gli uomini. Il periodo da noi considerato si articola in 13 secoli, distinguiamo diversi periodi: 1) periodo arcaico (cioè il periodo che va dalle origini della civitas fino all’anno di emanazione delle leggi Licinie Sestie, 754 al 367 a.C.) 2) periodo preclassico (che si conclude con l’ultima repubblica fino all'avvento del principato 367-27 a.C.) 3) periodo classico (dal assunzione da parte di Augusto dei poteri di princeps fino all’abdicazione di Diocleziano 27 a.C. - 305 d.C.) 4) periodo postclassico (dall’abdicazione di Diocleziano fino alla morte di Giustiniano I 305-565 d.C.) Il corpus iuris Civilis, è tutta la raccolta del materiale giuridico fatta all’epoca di Giustiniano (VI secolo d.C.), è un opera composta da 4 parti: 1) Il codice, è una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali redatta per ordine di Giustiniano, ad opera di una commissione da lui nominata; 2) Il digesto, ossia una raccolta sistematica in 50 libri di frammenti delle opere della giurisprudenza. Quasi tutto ciò che sappiamo della giurisprudenza lo dobbiamo a Giustiniano. 3) Le Istituzioni, principi del diritto romano, sono un'opera didattica in 4 libri, un'operetta elementare destinata agli studenti del diritto nelle scuole dell'impero. 4) Le novelle costituzioni, raccolta di leggi emanate dall’anno successivo alla pubblicazione del Codice di Giustiniano, fino alla morte dell'imperatore, avvenuta nel 565. Le fonti di cognizione del diritto romano. Il diritto romano non è codificato. Le fonti di cognizione sono elementi esterni al nostro giudizio. Sono fonti di conoscenza del diritto romano tutti i documenti o scritti (membrane, papiri ecc.) o iscrizioni su lapidi, legno o bronzo nelle quali si trovi qualche norma o applicazione della stessa, tutto ciò che è stato studiato e commentato da uno storico moderno. A titolo orientativo possiamo introdurre una schematizzazione delle fonti di conoscenza del diritto romano, possiamo distinguere tra le fonti a carattere tecnico e fonti a carattere atecnico. Poi si compara con fonti primarie di diritto romano e fonti secondarie di diritto romano. Le fonti di cognizione in senso tecnico sono quella di cui si sa o si ha ragione plausibile di ritenere che riguardino la storia di Roma, particolarmente notizie sul suo ordinamento giuridico sono per esempio i documenti giuridici e gli scritti giurisprudenziali. invece le fonti di cognizione in senso atecnico sono quelle di cui si sa o si ha motivo plausibile di ritenere che pur riguardando il diritto romano stanno sostanzialmente a rappresentare altri lati della civiltà romana come ad esempio il lato artistico o culturale, essi però possono illuminarci lo stesso su contenuti giuridici del diritto. Differenza tra fonti di cognizione primaria e fonti di cognizione secondaria: Le fonti di cognizione primaria sono quelle che rappresentano o riproducono fedelmente lo stato dell’ordinamento giuridico romano, fedelmente nel senso che non ci sono elaborazioni o deformazioni di nessun genere. Le fonti di cognizione secondarie o derivate sono quelle che espongono una qualunque elaborazione dell’ordinamento giuridico romano e quindi impongono una ricostruzione indiziaria dell’ordinamento giuridico romano. Fonti di conoscenza del diritto romano: Possiamo trovare documenti di diritto romano nelle iscrizioni, papiri o nei ritrovati archeologici in genere, oltre naturalmente i libri di storia. Iscrizioni: sono delle rappresentazioni grafiche, che naturalmente sono in latino o in greco o altra lingua antica, fatte su materiali durevoli come pietra, marmo e bronzo allo scopo appunto di essere trasmesse ai posteri, per fissare visivamente una disposizione oppure il racconto di un evento. L’uso di queste iscrizioni fu molto diffuso nell’antichità e attraverso molti resti che ci rimangono delle antiche iscrizioni noi possiamo avere interessanti notizie sulla gente a Roma nei vari periodi della storia romana. Se riportano argomenti giuridici noi possiamo considerare queste iscrizioni come fonti in senso tecnico, però non sempre questi ci danno notizie veritiere, se ad esempio pensiamo agli elogi sepolcrali, molto spesso nell’attività del defunto venivano falsate queste iscrizioni per elogiare il defunto, e possono quindi utilizzare anche una terminologia non tecnica. Nelle iscrizioni c’è sempre il pericolo che colui che ha scolpito materialmente la frase nella pietra sia incorso in errore o non abbia capito che cosa doveva copiare o scrivere sulla pietra, riparando quindi all’errore con parole o con frasi proprie portandoci a leggere delle frasi errate. Per cui può capitare che ci siano delle falsificazioni volontarie o meno delle iscrizioni. Noi storici siamo aiutati in questo campo dal fatto che nel primo 1900 uno studioso del diritto romano, Teodoro Mommsenn cominciò una raccolta completa ed esatta delle iscrizioni latine, che si chiama corpo delle iscrizioni latine (Corpus Inscriptionum Latinarum), dove aveva raccolto tutte le iscrizioni in lingua latina che erano state trovate nell’antico impero romano e quindi cercò di comprendere i maniera filologica le iscrizioni stesse. A ciò si aggiunge anche una raccolta in lingua greca (corpus inscriptionum graecarum), noi ci serviamo di queste due raccolte quando abbiamo bisogno di utilizzare le iscrizioni ritrovate e conservate nel vasto territorio dell’impero romano. Complesso del diritto del popolo romano: • Essere cittadino romano La capacità giuridica prende anche il nome di personalità giuridica. La capacità giuridica era diversa in relazione ai diritti famigliari e ai diritti patrimoniali. Rispetto ai diritti famigliari la capacità giuridica veniva detta “connubium” o “ius connubii”. Mentre rispetto ai diritti patrimoniali veniva detto “commercium” o “ius commercii”. Può essere soggetto di diritto anche un’associazione di uomini considerata come un ente a se. Nel mondo moderno ogni persona fisica è un soggetto giuridico anche se non tutti gli uomini hanno la capacità di agire, cioè di gestire i propri diritti, in diritto romano la capacità di agire si acquista con la maggior età e si può perdere con l’interdizione. Perché l’uomo sia considerato esistente e capace di diritti occorre che sia separato dalla madre, il nascituro non è considerato uomo. Inoltre si richiede che sia nato vivo, non deve essere un aborto e deve avere una forma umana. La manomissione e le sue forme: La manomissione: liberazione dal potere, la rinuncia del padrone alla potestà che ha sullo schiavo. Con la manomissione cessa non solo la soggezione dello schiavo al suo padrone, ma se fatta nelle forme legittime, lo schiavo acquista una piena capacità giuridica ossia diviene libero e cittadino romano. (ovviamente non ingenuo ma libertino) Le forme legittime di manomissione erano 3: • Manumissio vindicta: Era una finta rivendicazione di libertà che si faceva davanti al magistrato, cioè il cittadino romano che aveva uno schiavo che voleva rendere libero si rivolgeva al magistrato dichiarando che quell’uomo non era uno schiavo ma libero, in tal modo lo schiavo veniva manomesso. • Manumissio censo: Si compiva con la registrazione dello schiavo nei registri del censo, il padrone che voleva liberare lo schiavo lo iscriveva nelle liste del censo* e in tal modo lo schiavo veniva liberato. • Manumissio testamento: Manifestazione di volontà voltà alla liberazione dello schiavo. *Censimento romano: serviva ad attribuire a ciascun cittadino la classe di appartenenza nel comizio centuriale. La volontà pura e semplice del padrone di voler liberare lo schiavo non era sufficiente, c’era bisogno di forme solenni per rendere libero lo schiavo attraverso le varie forme di manomissione. Successivamente però si andarono affermando forme di liberazione più semplici: Il padrone poteva, alla presenza di amici, manifestare la volontà di voler liberare lo schiavo. Poteva anche scrivere la sua volontà in una lettera e inviarla ad un amico. Tuttavia queste forme non garantivano lo schiavo, nel senso che il padrone poteva richiamarli in qualsiasi momento al suo servizio. Diritto dello straniero. Nel diritto romano lo straniero viene chiamato hostis in un primo momento e peregrinus in un secondo momento, lo straniero è libero nelle sue azioni ma nel momento in cui si instaurava un contenzioso egli non poteva usare gli strumenti del diritto romano. Con l’incremento del commercio venne però riconosciuta una certa capacità giuridica anche agli stranieri, per cui se vi era un contenzioso tra stranieri e romani interveniva un magistrato apposito per gli stranieri. La cittadinanza si perde per la deportazione fuori dallo stato romano con una delle pene accessorie stabilite dalle 12 tavole. Condizione di estinzione della capacità giuridica. La capacità giuridica si estingue per morte o capitis deminutio. • Per morte: nel momento in cui si muore non si ha più capacità giuridica. • Per capitis deminutio si intende l’alterazione di uno dei seguenti elementi, detti dai Romani status, e cioè lo status libertatis, lo status civitatis, lo status familiae: qualunque mutamento in uno di questi status costituisce una capitis deminutio. Nella capitis deminutio si distinguono dunque generalmente tre casi: la capitis deminutio maxima, perdita della libertà, la capitis deminutio media, perdita della cittadinanza, la capitis deminutio minima, mutamento nello status familiae. Alla capitis deminutio si collegano due importanti istituti: Lo Ius post liminio e la finzione (fictio) della legge Cornelia (lex Cornelia). • Ius post liminio: è un antichissimo istituto consuetudinario che stabilisce che qualora il padre sia stato fatto prigioniero dai nemici, il diritto sui figli è sospeso a causa del diritto di post liminio, quelli che sono catturati dai nemici se ritornano riacquistano tutti i loro diritti e cosi chi ritorna avrà sotto la sua potestà i suoi figli, ma se invece muore i figli saranno giuridicamente indipendenti. Limen liminis significa “in confine”. Il prigioniero che ritorna per post liminio riacquista tutti i diritti ad eccezion fatta per quei diritti che prevedono il consenso continuato, come per esempio il matrimonio. • Finzione della legge Cornelia: Se colui che fece il testamento viene catturato dai nemici e muore in prigionia, si considera morto al momento della cattura evitando l’invalidità del testamento. Condizioni modificatrici della capacità giuridica: Le condizioni che hanno un’influenza più generale sulla capacità giuridica nel senso di accrescerla o di diminuirla sono: l’essere una persona di proprio diritto o sottoposta al diritto di un altro (ossia Sui Iuris o alieni iuris subiectae), lo status familiae, l’età , il sesso, la sanità di corpo e di mente, la condizione sociale o professione, la religione, l’infamia, l’origine e il domicilio. • L’essere persona “Sui Iuris” o “alieni iuris subiectae” è una condizione che si richiama all’ordinamento della famiglia romana, Sui Iuris (di proprio diritto) è la persona indipendente dal potere famigliare romano che si chiama “patria potestas” o per quanto riguarda le donne “manus”. L’uomo sui iuris è il pater familias mentre tutti gli altri compresi i servi sono “alieni iuris subiectae”. A volte poteva anche verificarsi il caso di un console che fosse ancora soggetto alla potestà del padre. Alla morte del pater familias i singoli figli cominciano ad avere tante famiglie quanti sono, cioè ognuno di loro diventa pater familias della sua famiglia. • Lo status familiae, sarebbe l’appartenere ad una stessa famiglia, l’essere membro di una famiglia romana, si intendono non soltanto coloro i quali sono assoggettati ad un comune pater familias ma tutti coloro che avrebbero costituito una stessa famiglia se il comune pater familias non fosse morto, quindi anche la parentele comporta una modifica della capacità giuridica. • L’età, si suole fare una distinzione tra cittadini puberi e impuberi: puberi sono coloro i quali si sono sviluppati non solo dal punto di vista fisico ma anche dal punto di vista intellettuale, in passato si effettuava una visita medica, successivamente invece fu stabilito che la pubertà si raggiungesse per i maschi a 14 anni e per le femmine a 12 anni. L’impubere sui iuris che quindi non è sottoposto alla potestà del padre è sottoposto alla potestà di un tutore, se compie un atto che è per lui vantaggioso lo può fare anche senza l’assenso del tutore e ricade sul soggetto anche la responsabilità se compie un atto delinquenziale. L’impubere che ha superato l’infanzia (7 anni) non può sposarsi ne fare testamento ma può fare tutti gli altri atti giuridici che vuole se la sua volontà viene integrata dall’assenso del tutore. Oltre agli impuberi anche le donne devono avere un tutore che però dura tutta al vita • Il sesso, la capacità giuridica delle donne è inferiore a quella degli uomini. Innanzitutto la donna a Roma è incapace dal punto di vista del diritto pubblico ossia: non può diventare console, non può rivestire nessuna magistratura, non può svolgere nessuna funzione pubblica. La donna non può gestire la potestà genitoriale ne la tutela, non può essere testimone in un testamento, ne muovere un’accusa pubblica ne può stare in giudizio. • La sanità di corpo e di mente, non si deve essere pazzi e furiosi o dementi, o avere una ridotta capacità (persone sorde mute ecc.). Ai pazzi possono essere riconosciuti alcuni momenti di lucidità e in quei casi i loro atti possono essere considerati validi. • Condizione sociale o la professione, quella di essere liberto o ingenuos, in alcuni casi anche la condizione di nubile o celibe. • La religione, Con il cristianesimo in particolare cominciò ad essere presa in considerazione l’incapacità per coloro i quali appartenevano a una religione diversa rispetto al cristianesimo, in particolare gli ebrei furono a lungo • Elementi essenziali del negozio giuridico: Elementi senza i quali il negozio giuridico non può esistere. Essi sono: La volontà, la manifestazione di volontà, la forma (solo in certi casi) e infine la causa. • La volontà: occorre che il soggetto sia un soggetto capace (ossia in grado di compiere un atto volontario) e che la volontà sia chiara ed effettiva. La capacità di un soggetto di compiere l’atto si chiama capacità di agire*. Non è importante in quale modo si manifesti la volontà ma l’importante è che non vi siano dubbi sull’atto che si intende compiere e sugli effetti che si ricercano. La volontà può essere espressa anche in maniera tacita (ossia il compimento di azioni che sottintendono la propria volontà e non necessariamente atti formali). Non vale come manifestazione di volontà il silenzio (tranne in casi determinati dalla legge). La volontà può essere espressa anche per mezzo di altre persone (es. messo). *Capacità di agire: Non hanno capacità di agire i pazzi e gli infanti (7 anni), hanno capacità di agire limitata gli impuberi e le donne, gli impuberi e le donne non possono compiere alcun atto che rechi una diminuzione al proprio patrimonio senza l’intervento del tutore, la capacità di agire non è subordinata alla capacità giuridica. • La forma: Può essere “ad substantiam” o “ad probationem” : • Ad substantiam: Sono quelli atti che devono essere necessariamente fatti in una determinata forma secondo dettami di legge. Se non viene rispettata la forma l’atto è nullo. • Ad probationem: È la forma che viene richiesta per provare che il negozio è avvenuto. • La causa: Esprime che l’effetto del negozio giuridico non è lesivo del diritto altrui, rappresenta la volontà della legge difronte alla volontà privata. Bisogna distinguere la causa dai motivi che spingono a compiere il negozio, la causa non è il motivo soggettivo. La causa è la ragione d’essere oggettiva del negozio, cioè quello che si intende realizzare. Le cause si distinguono in onerose e gratuite. • Quelle onerose sono quelle in cui l’acquisto di un diritto viene controbilanciato da una perdita corrispondente. • Quelle gratuite sono quelle in cui chi acquista non subisce una perdita corrispondente. • Elementi accidentali del negozio giuridico: Elementi che possono essere apposti al negozio giuridico e nel momento in cui vengono apposti devono essere osservati. E sono: La condizione, il termine e il modus. • La condizione: Si chiamano condizioni quelle dichiarazioni accessorie per cui l’effetto giuridico si fa dipendere da un evento futuro e incerto. Abbiamo due tipi di condizione, la condizione può essere: • Sospensiva: Condizione nella quale è differito al verificarsi di un evento futuro e incerto, il prodursi degli effetti del negozio giuridico. • Risolutiva: Condizione nella quale si fa dipendere dall’evento il cessare degli effetti, cioè il risolversi del negozio giuridico. La condizione può inoltre essere affermativa (ti darò 100 se la nave verrà dall’africa) o negativa (ti darò 100 se la nave non verrà dall’africa). Le condizioni si possono trovare in 3 stati diversi: • Lo stato di pendenza: si ha finché la condizione non si è verificata però può ancora verificarsi. Durante lo stato di pendenza colui al carico del quale saranno gli effetti del negozio giuridico è vincolato in una certa misura, cioè non può compiere eventuali atti che possano ledere i diritti di colui che sta aspettando che si verifichi la condizione per ottenere gli effetti voluti del negozio giuridico. • Lo stato condicio existit: in quel momento si verifica la condizione, la condizione si avvera. • Lo stato condicio deficit: la condizione manca. Le condizioni possono poi essere Impossibili o necessarie: • Impossibili: sono quelle in cui l’effetto è fisicamente o giuridicamente impossibile da verificarsi. La presenza di condizioni impossibili sull’atto dovrebbe normalmente portare alla nullità dell’atto stesso, tuttavia per alcuni atti che non si potevano ripetere (es. testamento) la condizione veniva ignorata e veniva considerato tutto il resto. • Necessarie: Sono quelle che si devono necessariamente verificare, in questo caso il negozio non è condizionato ma è valido fin dall’inizio visto che dovendosi verificare per forza tale condizione è come se questa non ci fosse. • Il termine: è l’apposizione di una data dalla quale decorre o alla quale data termina l’effetto del negozio giuridico. La data dalla quale decorre o alla quale data cessa l’effetto del negozio giuridico. La data dalla quale decorre l’effetto del negozio giuridico si chiama termine sospensivo o termine iniziale. La data dalla quale cessa l’effetto si chiama termine risolutivo (dies ad quem). • Il modus: è un onere (un obbligo), che troviamo in genere nei negozi a titolo gratuito, esso non influisce sull’efficacia del negozio, era l’obbligo che i romani erano soliti apporre agli atti di ultima volontà. A differenza della condizione l'onere ordina ma non subordina, cosicché il negozio era immediatamente efficace anche qualora il beneficiario non avesse adempiuto. La invalidità dei negozi giuridici può essere di due specie: • Nullo: Se il negozio manca di qualche requisito essenziale viene considerato nullo. Perché la legge non può riconoscerlo e non ne può garantire le conseguenze. • Annullabile: Se è non è nullo ma annullabile chiunque può farne pronunciare l’invalidità. Cause di invalidità: Possono riguardare la capacità giuridica dei soggetti o la sua capacità di agire, possono riguardare la capacità dell’oggetto del negozio e il diritto del soggetto di disporne, può riguardare la volontà e la manifestazione esteriore della volontà, oppure può riguardare la causa del negozio giuridico. La volontà: è apparente quando non si vuole compiere nessun atto giuridico, ma da atti esteriori altri desumono che ci sia tale volontà, l’errore è commesso da chi mal interpreta il gesto e di conseguenza il negozio è nullo. La volontà è simulata nel caso in cui il negozio che si dice di compiere in realtà non si compie (simulazione assoluta), o se il negozio non è quello che si vuole compiere (simulazione relativa). La volontà della persona può mancare o essere determinata in maniera irregolare, per ragioni che operano su colui che compie il negozio giuridico. Sono i famosi 3 vizi della volontà che sono: l’errore, il dolo, la violenza. • Errore: Falsa conoscenza di un fatto o di un oggetto, quando l’errore si riferisce al negozio giuridico o nel suo complesso o a un elemento costitutivo del negozio giuridico l’atto è nullo di per se, perché manca la volontà. (errore essenziale). Gli errori che si riferiscono alla natura costitutiva dell’atto sono, l’errore sulla persona, sulla natura del negozio e l’errore sull’oggetto. • Il dolo: Nel compiere un atto il dolo è il proposito di nuocere deliberatamente agli altri. Nei negozi giuridici pertanto il dolo è ogni impiego di atti e raggiri per trarre in inganno o mantenere nell’errore la persona con la quale si è in rapporto, in modo tale da avvantaggiare se stessa. Se entrambe le parti cercavano di imbrogliarsi, ossia se il dolo era reciproco, nessuno dei due otteneva l’azione del pretore. Distinguiamo dolus bonus da dolus malus: • Dolus malus: consisteva nel comportamento fatto di raggiri e artifizi, di un soggetto nei riguardi di un altro soggetto con cui fosse in trattative o in rapporti giuridici, allo scopo e con gli effetti di indurlo ad un’azione pregiudizievole dei propri interessi. • Dolus bonus: è una esaltazione dei prodotti fatta da parte del commerciante ma che è lecita e ammessa finché tale esaltazione del prodotto non diventi una vera e propria esibizione di caratteristiche inesistenti e che non possiede il prodotto stesso • La violenza: La volontà può essere viziata da una violenza materiale o da una violenza morale. La violenza materiale esclude del tutto la volontà in questo caso il contratto è nullo. Per violenza morale si intendono minacce fatte ad un soggetto perché questo compia un atto o parte dell’atto. Non esclude del tutto il volere però c’è una costrizione. La violenza deve essere: ingiusta, il male minacciato deve essere grave, la minaccia deve essere temibile (cioè compiuta in circostanze tali da fare impressione a una persona seria e ragionevole), la minaccia deve essere fatta espressamente per indurre l’atto. Sanabilità degli atti giuridici. • Potestativo: La patria potestas dice Gaio è un potere proprio dei cittadini romani, di regola non esistono altri uomini che esercitino sui loro figli un potere come quello che abbiamo noi. I poteri nei quali si estrinseca la patria potestas sono: • Ius vendendi: (diritto di vendita) Era il diritto che aveva il pater familias di vendere il proprio figlio in caso di bisogno. • Ius noxae dandi: È il diritto di dare il figlio a titolo di responsabilità. Se il figlio di famiglia commette un furto o un ingiuria la responsabilità non ricade su chi lo commette ma su colui che ha la patria potestas, il padre può quindi scegliere se pagare per il figlio o consegnare il figlio all’offeso liberandosi dalla responsabilità. • Ius exponendi: È la possibilità di esporre, cioè di abbandonare il proprio figlio. (Perché sono troppi o nati con difetti fisici, ecc.) • Ius tollendi: È il diritto che ha il pater familias di riconoscere il proprio figlio, nel momento in cui voleva riconoscere il bambino come suo figlio la donna lo metteva ai suoi piedi e l’uomo lo sollevava sopra la propria testa. • Ius vitae ac necis: È il diritto di uccidere i membri della famiglia che avessero compiuto degli atti che potevano portare nocumento alla famiglia stessa. Prima di uccidere però dovevano essere chiamati dei testimoni (i vicini) che assicurassero che la decisione fosse quella giusta. Modi di acquisto della patria potestas. Per nascita da un matrimonio giusto, ad rogatio e adoptio (adozione): • Nascita da matrimonio giusto: Si ritiene nato da matrimonio giusto il figlio che nasce da una donna legittimamente sposata almeno 6 mesi dopo il matrimonio e non oltre i 10 mesi dallo scioglimento del matrimonio. Fuori da questi termini il figlio è considerato vulgo conceptus (concepito dal popolo, illegittimo, spurio,) questi figli seguivano la condizione giuridica della madre. • Ad rogatio: È la sottoposizione di un pater familias alla potestà di un altro pater familias. In genere ci si inseriva nella potestà di un altro pater familias per motivi ereditari. (si acquisiva l’eredità in caso di morte di un pater familias senza figli) con l’ad rogatio si acquisiva anche la gens della famiglia. • Adoptio: Riguardava i figli di famiglia che passavano dalla potestà di un padre a quella di un altro padre. Ciò si svolgeva davanti a un pretore. Sottoposizione della donna. Il potere che ha l’uomo sulla donna si chiama manus di regola il titolare di questo potere è il marito, nel caso il marito non fosse sui iuris il titolare della manus è il padre del marito. La donna sottoposta alla manus nell’ambito della famiglia occupa lo stesso posto della figlia. Per costituire la manus ci sono tre modi: • L’uso: Veniva sottoposta alla manus con l’uso colei che fosse stata sottoposta al marito per un anno di seguito. (convivenza per 1 anno) • Confarreatio: Cerimonia solenne di matrimonio nella quale i due sposi spezzavano pane fatto di farro alla presenza di testimoni recitando parole prescritte. • Coemptio: (Vendita immaginaria) Alla presenza di testimoni romani, l’uomo compra la donna che viene assoggettata alla sua mano. Trinoctii usurpatio: Vi era inoltre la possibilità che la donna non volesse essere sottoposta alla potestà del marito mantenendo la propria indipendenza economica, allora compiva la trinoctii usurpatio, cioè si allontanava per 3 notti dalla casa del marito interrompendo cosi il decorso dell’anno necessario alla costituzione della manus. La tutela. (del pupillo, della donna, del furiosus, del prodigus) Distinguiamo la Tutela impuberum dalla tutela mulierum: • Tutela impuberum: Tutela degli impuberi, era un surrogato della patria potestas, quando il padre moriva lasciando i figli di età minore. Alla morte del padre i maschi puberi divenivano sui iuris, gli impuberi invece di entrambi i sessi ricadevano sotto al tutela minorile. • Tutela mulierum: Le femmine invece se non sono sottoposte alla manus del marito o del padre del marito, vanno sotto la tutela mulierum. Gaio sottolinea il diverso regime tra uomini e donne accennando al fatto che la tutela dei maschi ha carattere provvisorio mentre la tutela delle donne ha carattere permanente. Il minore detto pupillus in antico si trovava in una situazione di incapacità, non solo di agire ma anche in una situazione di incapacità sostanziale. In età storica abbiamo tre diversi tipi di tutela impuberum: Tutela testamentaria, tutela legittima e tutela atiliana. • Tutela testamentaria: Il pater familias aveva la possibilità di designare nel testamento un tutore per i propri figli minori nel caso si trovassero ad essere minori alla sua morte. Anche il nonno poteva designare nel testamento il tutore per i propri nipoti, nel caso che alla sua morte i nipoti non avessero il padre. La designazione del tutore avveniva in modo solenne. Il tutore testamentario non era obbligato ad assumere l’incarico di tutore cosi come l’erede estraneo (non legittimo ma designato nel testamento) aveva la possibilità di rinunciare all’incarico. Solo a partire dal principato (Claudio) si comincia a chiedere che vi sia una giusta causa per la rinuncia alla tutela. I motivi sono detti excusationes, attraverso le quali si poteva rinunciare all’incarico apportando una giusta causa. • Tutela legittima: Se non esiste un tutore nel testamento si ricorre alla tutela legittima, ossia in questi casi divenivano tutori gli adgnati (i parenti più stretti del bambino). Il tutore legittimo a differenza del tutore testamentario non può sottrarsi alla tutela (essendo espressione della difesa degli interessi del gruppo gentilizio). • Tutela atiliana: Avveniva nel caso in cui il minore fosse privo di tutela testamentaria e legittima. In questo caso il tutore poteva esimersi dalla tutela utilizzando sempre il regime del excusationes, in tal modo il pretore individuava un altro tutore. La tutela che sia legittima, testamentaria o atiliana, si estingue con il raggiungimento della pubertà. La tutela testamentaria e la tutela legittima sono molto antiche mentre la tutela atiliana venne istituita molto probabilmente intorno al VI secolo a.C. con una legge che si chiama lex atilia de tutore dando. La tutela dei maschi termina anche per morte del tutore o per capitis deminutio massima e media del tutore o del pupillo, o in caso si presentino delle excusationes per non fare più il tutore. Funzioni del tutore impuberum: I compiti che ricordiamo sono essenzialmente l'auctoritatis interpositio (interposizione dell’autorità) e la negotiorum gestio (gestione degli affari). • Auctoritatis interpositio: Aveva la funzione di integrare la volontà del pupillo, essendo il pupillo incapace di esprimere la propria volontà, e garantiva nello stesso momento i testi che avevano condotto un affare con il pupillo, in quanto attestavano la regolarità e l’efficacia dell’atto. Il negozio posto in essere dal pupillo prima dell’auctoritatis interpositio viene detto negozio claudicante (negotium claudicans). • Negotiorum Gestio: Consisteva nell’amministrazione dei beni del pupillo e si faceva ricorso a questa amministrazione dei beni nel caso fosse minore di 14 anni e in caso di altre circostanze che fossero di impedimento alla espressione della volontà del fanciullo stesso (bambini molto piccoli). Al raggiungimento della maggiore età quindi l’uomo non ha più bisogno del tutore, mentre la donna una volta uscita dalla tutela impuberum entra nella tutela mulierum. La tutela mulierum seguirà la donna per tutta la vita finché non sarà sottoposta alla manus di qualcuno. Anche nel caso di tutela mulierum abbiamo tre tipi di tutela, tutela testamentaria, legittima e atiliana. • Tutela testamentaria: Il tutore testamentario veniva designato nel testamento da colui che aveva la manus sulla donna. Anche il tutore testamentario della donna poteva sottrarsi a questo onere presentando delle excusationes. Alla donna poteva essere attribuita per testamento la scelta del tutore. La donna poteva scegliere se prendere questo tutore definitivamente o per un solo utilizzo. • Tutela legittima: I tutori legittimi della donna erano gli adgnati prossimi e in subordine i gentili. Il tutore legittimo della liberta (donna liberata dalla schiavitù) è colui che l’aveva liberata. Il tutore della donna aveva l’auctoritatis interpositio cioè la possibilità di dare l’autorizzazione per gli atti ritenuti più impegnativi. La tutela mulierum si estingueva quando la donna passava sotto la manus del marito, per morte del tutore o per morte della donna. Se il matrimonio si conclude per morte del fidanzato la sposa deve restituire la metà dei doni ricevuti solo qualora però fosse già stata baciata dal fidanzato. Gli sponsalia si risolvono con la morte, con il sorgere di un impedimento contrario al matrimonio, con mutuo dissenso, con semplice dichiarazione di una delle parti di non volere il matrimonio. Il concubinato. I rapporti sessuali fuori dal matrimonio con persone di onesta condizione erano severamente proibiti era consentito invece il concubinato, questo non va a confondersi con il matrimonio vero e proprio. Quando il potere va agli imperatori cristiani, il concubinato diventa un’istituzione giuridica, poiché gli imperatori cristiani intendono sopprimere il concubinato per cui vietano o limitano le donazioni fatte alle concubine o ai figli che nascono da queste unioni, cercando di indurre le persone che hanno un rapporto di concubinato, al matrimonio o alla legittimazione dei figli. Sempre gli imperatori cristiani, (Teodosio II e Valentiniano III) concessero alla concubina e ai figli naturali un limitato diritto di successione intestata, cioè se il pater familias moriva senza aver lasciato testamento, avevano diritto alla successione la concubina e i figli che la concubina aveva avuto da questa persona. Si poteva avere una sola concubina, l’età coniugale era la stessa che valeva per il matrimonio e venivano considerati anche impedimenti di parentela e di affinità che nascevano dal concubinato. Rapporti tra genitori e figli. Nel diritto giustinianeo si comincia a fare una differenza tra figli legittimi (iusti) e i figli illegittimi (spuri o vulgo concepti). • Legittimi, sono i figli che hanno un padre giuridicamente certo cioè nati da un matrimonio giusto, anche per adozione o legittimazione. Si presume legittimo il figlio nato nel settimo mese (182 giorni dalla conclusione del matrimonio) e prima di dieci mesi dallo scioglimento del matrimonio (altrimenti si deve provare la paternità). Un istituto del periodo giustinianeo si chiama legittimazione che viene ammessa a favore dei figli di una concubina chiedendo appunto di legittimarli. Ci sono diversi tipi di legittimazione: • Subsequens matrimonium: (legittimazione per matrimonio susseguente) Venne concessa da Costantino a favore dei figli naturali avuti fuori dal matrimonio ove poi vi sia seguito un matrimonio. • Oblationem curiae: Venne concessa con l’intento di ripopolare le curie che avevano l’onere di garantire il pagamento delle tasse, permisero quindi di donare o di lasciare per testamento anche tutto il patrimonio ai figli naturali qualora venisse iscritto tra i decurioni* se maschio; o sposasse un decurione, se femmina. • Rescriptum principis: La legittimazione per rescriptum principis sorse nel diritto giustinianeo nel caso che non vi fossero figli legittimi e il matrimonio con la concubina fosse impossibile, si chiedeva al principe di legittimare un figlio. *I decurioni, nella società dell'Antica Roma, erano i funzionari che si occupavano di amministrare e governare le colonie ed i municipia per conto del potere centrale. La dote. È un istituto del diritto romano arcaico, consisteva in una o più cose o diritti che la moglie o il suo pater familias (o un terzo) consegnavano al marito come dote. •Dos profecticia: Dote data dal padre alla figlia. •Dos avventicia: Dote data da chiunque altro che non fosse il padre. Si pensa che la funzione originale della dote sia attribuita in relazione ai matrimoni in cui si stabiliva per mano del marito la manus sulla moglie, perché una volta stabilita la manus, la moglie si staccava completamente dalla famiglia di origine, perdendo ogni aspettativa all’eredità. Per i giuristi classici, la dote viene definita come un contributo per sostenere i pesi del matrimonio, giovava quindi direttamente al marito e indirettamente alla moglie, e poiché una volta sciolto il matrimonio la dote andava restituita alla moglie, fungeva da sostentamento a quest’ultima una volta vedova o divorziata. Costituzione della dote. La dote si poteva costituire mediante: • Datio dotis: (dazione per la dote) trasferimento di proprietà in favore del marito. • Promissio dotis: era una stipulazione compiuta per la dote, era un negozio formale bilaterale tra due parti (stipulante e promittente), la promissio dotis creava effetti obbligatori, nasceva l’obbligazione a carico di colui che doveva dare la dote. • Dictio dotis: È un negozio solenne proprio ed esclusivo della dote, colui che costituiva la dote pronunciava parole solenni. La dote poteva essere costituita prima del matrimonio, in previsione del matrimonio e anche durante il matrimonio stesso. Nel diritto giustinianeo la dote passa dall’essere un obbligo sociale all’essere obbligo civile. Con la lex Iulia il marito non poteva vendere la dote della moglie senza il suo consenso. Restituzione della dote. In caso di scioglimento del vincolo matrimoniale si poteva chiedere la restituzione della dote attraverso due azioni: • L’ actio ex stipulatu: ossia dopo la creazione di stipulationes private (che pattuivano la restituzione della dote in caso di divorzio o altre complicazioni), la moglie poteva riottenere la dote dalla parte inadempiente (il marito) alla stipulatiu (ossia da contratto verbale). • L’ actio rei uxoriae: azione con la quale la moglie o il suo adgnàtus pròximus chiamavano in giudizio il marito al fine di ottenere la restituzione della dote. La restituzione della dote doveva tener conto di alcune somme che venivano trattenute: • Retentio propter liberos: aveva luogo sciolto il matrimonio per colpa della donna o per la sua morte, in questo caso si tratteneva 1/6 di tutta la dote per ciascun figlio in caso di colpa della moglie e 1/5 per morte; • Retentio propter mores: divorzio per comportamento immorale della donna, veniva trattenuto 1/6 per adulterio della donna e 1/8 per colpe più lievi; • Retentio propter res donatas e retentio propter res amotas: erano relative a cose donate e cose sottratte al marito. • Retentio propter impensas: concerneva spese che il marito aveva fatto per mantenere la dote o per la gestione di questa. Il peculium. Il pater familias concedeva al figlio un piccolo patrimonio, ma di questo patrimonio il figlio non diventava padrone neanche se il padre lo avesse voluto. Di questo peculio il figlio aveva solo il godimento e l’amministrazione, ma non poteva disfarsene ne trasmetterlo ai suoi eredi. Questo peculium* si chiama peculium profecticium. *Peculium: piccolo danaro Il peculium profecticium era un fatto interno alla famiglia e non aveva rilevanza al difuori, il figlio aveva la libera amministrazione di questo patrimonio nei limiti fissati dal padre e rispondeva al padre in caso di cattiva amministrazione. All’inizio dell’età classica cioè quando si evolve la società romana, comincia a diffondersi un altro tipo di peculium, che si chiama peculio castrense ed è formato dai beni acquistati dal figlio durante il servizio militare. Facevano parte del peculio castrense anche i beni concessi dal padre al figlio al momento della partenza per il servizio militare. Per quanto riguarda il peculio castrense, da una parte era costituito dai beni che il padre dava al figlio nel momento in cui partiva per il servizio militare, dall’altra parte veniva arricchito dai beni che il figlio riusciva a racimolare come bottino di guerra. Il peculium profecticium rimane sempre sottoposto ad una legislazione particolare molto restrittiva invece il peculium castrense comincia ad essere utilizzato con più libertà dal filius familias. Infatti potevano far parte del peculium castrense anche degli schiavi, il soldato faceva prigionieri di guerra che poi divenivano schiavi, quando il servizio militare fosse cessato potevano essere manomessi o liberati dal filius. Se il filius familias moriva senza aver fatto testamento ma avendo un cospicuo peculio castrense, il peculio ritornava nelle mani del patrimonio del pater. Esisteva anche un altro tipo di peculio, il cosi detto peculium servile. Il peculium servile era un piccolo patrimonio che gli schiavi mettevano insieme spesso per pagarsi la libertà. Il peculium servile appartiene agli schiavi con il consenso del padrone, mantenuto separato dai fondi di quest’ultimo (visto che spesso gli schiavi amministravano i beni del padrone). La schiavitù. una funzione presente in tutta l’epoca romana, perché fin quando il diritto fu monopolio dei pontefici i magistrati dovevano tener conto di quelle che erano le indicazioni date dai pontefici. Quando invece si ebbe la laicizzazione della giurisprudenza* non vi era più quella funzione riservata al collegio dei pontefici e per cui il pretore non è più obbligato all’osservanza di quello che viene stabilito dalla giurisprudenza, diventando libero di esercitare attraverso il proprio editto anche la funzione di interpretazione delle norme di legge. * Laicizzazione della giurisprudenza: Per laicizzazione si intende che la giurisprudenza non è più monopolio di un ristretto gruppo di persone appartenenti al collegio pontificale ma qualsiasi cittadino fiducioso del proprio sapere può fare il giurista. Invece per lungo tempo il monopolio della “funzione di giurista” era stato riservato al collegio dei pontefici: • Fine del IV sec. a.C.: ai pontefici spettava in via esclusiva la definizione di regole; l’orientamento della prassi; la conoscenza e la trasmissione delle forme e dei riti giuridici. Si trattava così di un vero e proprio monopolio pontificale; • Fine III sec. a.C.: laicizzazione giurisprudenza e pubblicità dei modi di agire in giudizio (agere); • Inizi II sec. a.C.: redazione delle prime opere giuridiche letterarie per rendere la conoscenza del diritto accessibile e trasmissibile (es. discussione e disciplina di casi giuridici concreti). La funzione del magistrato era quella di ius dicere cioè era quella di esprimere la norma secondo la quale andava regolato il rapporto sottoposto alla sua condizione. Questa norma poteva essere già formulata nell’uso pratico delle azioni però potevano esserci casi in cui non era stata prevista questa situazione e bisognava perciò introdurre una nuova regola. L’editto del pretore. Il pretore lo troviamo in epoca repubblicana (509 – 27 a.C.) . All’inizio dell’anno di carica i magistrati stabilivano i criteri dell’esercizio della propria funzione attraverso editti e proclami. La facoltà di emanare editti (ius edicendi) l’avevano soprattutto i consoli che esercitavano questa funzione per riunire il popolo in assemblea o per ordinare la leva militare o altre occasioni. L’avevano anche il pretore urbano e pretore peregrino, i governatori delle province e gli edili curuli. Il pretore all’inizio dell’anno di carica stabiliva i criteri dell’esercizio delle sue funzioni attraverso l’editto, egli dell’editto prefigurava le diverse ipotesi in cui avrebbe nominato un giudice a coloro che si fossero rivolti al magistrato come parti di una controversia giudiziaria. Il pretore quando veniva nominato comunicava oralmente al popolo il proprio editto, facendo un discorso introduttivo parlando di se e dei suoi antenati. Una volta enunciato il contenuto dell’editto, questo veniva pubblicato nel foro su delle tavole imbiancate e veniva scritto in caratteri neri e rossi (perché cosi si poteva leggere più facilmente). Non sempre tutto quello che era scritto nell’editto veniva attuato dal pretore, infatti egli poteva anche allontanarsi dalle proprie previsioni. Lo stesso editto prevedeva dei casi per disonestà del funzionario esercitante la giustizia, e quali erano i rimedi apponibili a questa giustizia mancata. L’editto durava un anno, come un anno durava la carica del pretore. Quando finiva la carica del pretore l’editto perdeva ogni efficacia e veniva sostituito dall’editto del pretore successivo (cambiando solamente le disposizioni che avevano funzionato male). Ciò fino al principato di Adriano, quando fu ordinato a un giurista (Salvio Giuliano) di fissare una volta per tutte in un testo stabile quello che l’editto prevedeva e da quel momento l’editto non si cambiò più. Secondo la ricostruzione di Otto Lenel (giurista tedesco 1839-1945) l’editto sarebbe composto di 5 parti: • Titoli 01-13: introduzione della lite e suo svolgimento davanti al magistrato. • Titoli 14-24: giurisdizione ordinaria. • Titoli 25-35: mezzi urgenti di tutela giuridica. • Titoli 36-42: esecuzione della sentenza e procedimento fallimentare contro i debitori insolventi. • Titoli 43-45: interdetti, eccezioni processuali e le stipulazioni pretorie. Il potere del pretore deriva dall’imperium si tratta della facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non possono sottrarsi. La funzione normativa del pretore (emanare leggi) perde il suo senso nell’impero, perché il principe emana le norme (edicta, mandata, rescripta, decreta) e non vi è più necessità che vi sia il pretore ad emanare leggi. Il processo privato. Con l’espressione processo privato si intendono le attività volte all’accertamento e alla realizzazione di diritti soggettivi. L’impulso ad avviare il processo viene da un soggetto privato, e in questa azione interviene un organo pubblico, l’organo giudiziario. Il processo privato si divide in: • processo di cognizione, (accertamento) il processo di cognizione tende a ricercare la volontà della legge nel caso concreto, cioè stabilire chi ha diritto e chi ha torto. • processo di esecuzione, il processo di esecuzione tende ad attuare la sentenza di condanna. Nel corso dell’evoluzione giuridica romana troviamo diversi tipi di processo, il più antico è il processo per legis actiones, poi vi è il processo per formulas (o processo formulare), le cognitio extra ordinem, processo postclassico e processo giustinianeo. Il processo per legis actiones. Era l’unico processo privato fruibile dai cittadini romani in età arcaica. Le legis actiones (azioni di legge) nascono come pratica di autodifesa, solo con le leggi delle XII tavole sotto impulso delle rivendicazioni plebee, si trasformano in ben strutturati mezzi giurisdizionali. Le legis actiones erano caratterizzate dal loro rigido formalismo “certa verba”. Per compiere il processo inoltre era richiesta la partecipazione attiva e la presenza di entrambe le parti, attore* e convenuto*. Le legis actiones erano divise in due fasi: • in iure, aveva luogo davanti al magistrato e serviva a fissare i termini giuridici della lite, in questa fase una volta accertata la sussistenza di determinati presupposti, il magistrato nominava un giudice (iudicem dabat), cosicché le parti potessero procedere alla seconda fase, apud iudicem; • apud iudicem, in questa fase i contendenti ancora davanti al magistrato compivano un atto solenne di invocazione dei testimoni, che affermassero che il rito si fosse compiuto in maniera idonea, si parla di contestazione della lite. A questa contestazione si connetteva il principio di Gaio che dice: “non vi sia due volte un’azione per lo stesso affare.” Ossia si vietava che la questione fosse ripetuta ancora un’altra volta. Poi il magistrato nominava un arbitro o un giudice, che di solito era un privato cittadino, che avrebbe rivestito la funzione di giudice o di arbitro nelle controversie. Nelle cause dove vi era una particolare partecipazione sociale alla causa stessa (es. cause liberali) venivano nominati dei magistrati (anche se di infimo ordine) detti centumviri oppure i decemviri . Il compito di questo giudice/arbitro era quello di raccogliere le prove e quindi di emanare la sentenza. La sentenza con cui si concludevano i giudizi di cognizione, anche se emessa da un cittadino che aveva ricevuto l’incarico di emettere questa sentenza da un magistrato, proveniva pur sempre da un cittadino privato, allora poteva capitare che il soccombente non attuasse quello che era stato stabilito. In questi casi si ricorreva al procedimento di esecuzione, che portava a far si che il soccombente obbedisse alla decisione emanata da questo arbitro o giudice privato. Tipi processuali delle legis actiones. Si parla solitamente di procedura per legis actiones come se fosse un unico tipo di processo ma in realtà abbiamo diversi tipi processuali, tre di queste azioni di legge erano dichiarative, cioè volte all’accertamento di situazioni giuridiche controverse o incerte le altre due erano quelle esecutive, cioè volte alla realizzazione di posizioni giuridiche certe o ritenute tali. Queste azioni di legge avevano in comune: il fatto di chiamarsi legis actiones, il fatto di essere accessibili solo ai cittadini romani, e il fatto che si svolgevano oralmente e che erano sottoposte ad un rigido formalismo, per cui vi era bisogno di certa verba (determinate parole altrimenti non si otteneva il risultato voluto). Azioni di legge dichiarative: • La legis actio sacramenti si divide in: • Legis actio sacramenti in rem, era impiegata per il riconoscimento e per la tutela di posizioni giuridiche soggettive assolute, per le quali si parlava solitamente di vindicatio (con questa legis actio il proprietario cercava di ottenere la cosa affermando che gli apparteneva o magari l’erede cercava di ottenere l’eredità che riteneva essere sua). Il procedimento: innanzitutto bisognava che le due parti in conflitto fossero presenti, se il convenuto si rifiutasse di presentarsi si ricorreva alla manus iniectio vocati*. Oltre alle parti era necessaria la presenza della “cosa” oggetto di contenzioso (o un suo simbolo). Successivamente avveniva la litis contestatio, ossia l’attore con una bacchetta toccava la cosa, affermando solennemente che quella cosa gli apparteneva. La controparte se non era d’accordo compiva gli stessi gesti e pronunziava la stessa formula (trattasi di vindicatio e controvindicatio). Poi interveniva il magistrato, che ordinava ad entrambe le parti di lasciare la cosa davanti a lui, questi ubbidivano e si sfidavano con un giuramento detto sacramentum. Nei tempi più antichi vi era un vero e proprio giuramento legato alla Anche il processo formulare fu diviso in due fasi: la parte in iure e la parte apud iudicem. Mutò il procedimento davanti al magistrato, infatti non si era più legati a quel formalismo che invece aveva intriso di se tutto il procedimento in iure per legis actiones. Le parti infatti non si recavano più a pronunciare dichiarazioni solenne e certe (verba certa) davanti al magistrato, ma ricorrevano al magistrato per discutere con lui informalmente la questione concreta che divideva le due parti. Dopo di che il magistrato valutando con criteri di equilibrio (aequitas) le opposte ragioni della parte attrice e del convenuto, esprimeva se e in quali limiti avrebbe dato seguito alla pretesa dell’attore, o fino a che punto avesse sostenuto le pretese del convenuto. Alla fine tra le parti e il magistrato si giungeva all’impostazione concordata di una specifica formula di giudizio, detta anche iudicium. Alla quale si doveva attenere il giudicante (che non è il magistrato ma un arbitro o giudice privato). L’essenza del processo stava quindi in questa convenzione trilaterale da cui scaturiva la regola di giudizio. Sulla base di tale accordo il magistrato emetteva un decreto lo iussum iudicandi con cui incaricava il giudice (o l’arbitro) di procedere al giudizio. Distinguiamo vari tipi di azioni: • Azioni civili (civiles): Sono fondate su norme del diritto civile, oppure su provvedimenti integrativi dell’antico ius civile, e quindi competevano al soggetto giuridico che le invocasse per il semplice fatto che si fosse verificata la fattispecie completamente prevista da quella legge. • Azioni onorarie (honorariae): Sono quelle che dipendevano da una concessione (datio) del magistrato giusdicente. • Azioni reali (in rem): Erano quelle volte alla difesa di un diritto assoluto. • Azioni personali (in personam): Erano quelle volte alla difesa di un diritto relativo. • Azioni rei persecutorie: Erano rivolte ad ottenere il controvalore (e non la cosa) di ciò che fosse dovuto all’attore o che appartenesse all’attore. • Azioni penali (poenales): Erano rivolte ad ottenere il pagamento all’attore di un ammenda pecuniaria (penale). • Azioni miste (mixtae): Erano quelle rivolte sia all’ottenimento del controvalore che di un ammenda pecuniaria, erano quindi appunto un misto delle due precedenti. • Azioni di diritto stretto (stricti iuris): Erano azioni in personam caratterizzate da un iudicium che enunciava un obbligo del convenuto avente un contenuto certo e determinato. Cioè se il giudice si convinceva del buon diritto dell’attore, non poteva fare altro che condannare il convenuto all’importo preciso pecuniario già indicato nello iudicium • Azioni di buona fede (bonae fidei iudicia): Erano azioni civili e personali il cui iudicium attribuiva al giudice un largo margine di valutazione discrezionale. • Azioni arbitrarie (arbitrariae) : Erano azioni personali o reali il cui iudicium attribuiva al giudice, nell’ipotesi in cui il giudice si convincesse del buon diritto dell’attore, il potere di far precedere alla condanna un esplicito avvertimento con il quale rendeva note alle parti le conclusioni a cui era arrivato, dando quindi al convenuto la possibilità di ripristinare lo stato giuridico da lui alterato o subire la condanna pecuniaria prevista dal giudice. • Azioni dirette: (directae): erano accordate in maniera lineare per la tutela di certe situazioni giuridiche. • Azioni utili (utiles): Sono quelle impiegabili al di fuori della sfera di applicazione propria, azioni di ripiego. Distinguiamo due tipi di giudizi: • Iudicia legittima: Sono i giudizi che hanno queste caratteristiche: • Riguardano una lite tra attore e convenuto entrambi cittadini romani • Sono relativi a un processo celebrato nella città di Roma • Rimettono la decisione a un giudice unico, cittadino romano. • Questi giudizi dovevano terminare entro 18 mesi dalla litis contestatio • Iudicia imperio continentia: Sono i giudizi che non riguardano la zona di Roma, questi dovevano terminare entro l’anno di carica del magistrato. La struttura delle formule processuali. Le componenti della formula giudiziaria, era composta da varie parti: 1) Datio iudicis, l’assegnazione del giudice, il provvedimento di designazione con il quale il magistrato giusdicente sceglieva la persona o le persone che avevano il compito di giudicare. Poteva farlo sia autonomamente che a contatto con le due parti. 2) Pars pro actore (parte a favore dell’attore), nella quale veniva indicata la tesi sostenuta dall’attore e veniva formulata l’ipotesi che in caso gli argomenti addotti a sostegno di quella parte risultavano fondati e infondati quelli contrari, il giudice era invitato a emettere il provvedimento richiesto dall’attore. 3) Pars pro reo (parte a favore del convenuto), indicava l’ipotesi inversa, ossia che non risultassero fondati gli argomenti dell’attore invitando quindi il giudice a dichiarare il convenuto assolto. 4) Iussum iudicandi, provvedimento con il quale il magistrato giusdicente investiva l’arbitro o il giudice della funzione di giudicare. Il merito della formula di giudizio. Tra gli elementi che potevano confluire nel merito della formula di giudizio vi erano due elementi essenziali : • Intentio: era la tesi attrice cioè la tesi dell’attore. Questa doveva enunciare chiaramente tre punti: 1. Chi erano i soggetti del rapporto di responsabilità; 2. Qual era l’atto illecito che aveva causato la costituzione del rapporto di responsabilità (causa petendi, la causa della richiesta). 3. Situazione giuridica attiva cioè il potere di azione che dava la possibilità all’attore di chiedere il procedimento giurisdizionale di tutela. La intentio poteva essere riferita ad un diritto (ius concepta) o riferita a un fatto (in factum concepta). Era riferita ad un diritto se formulata riguardo a un rapporto o a una situazione giuridica soggettiva. Era invece riferita a un fatto se era formulata riguardo di una fattispecie ritenuta degna di tutela dal magistrato. • Condemnatio: era la richiesta di condanna o assoluzione. Dice Gaio: “È quella parte della formula in cui si concede al giudice il potere di condannare o di assolvere”. Oltre gli elementi essenziali della formula di giudizio ci sono alcuni elementi accidentali: • Le in integrum restitutiones (ripristini integrali), erano provvedimenti giurisdizionali costitutivi, che invalidavano per diretto intervento del magistrato, fatti giuridici formalmente validi. Avevano l’effetto di ripristinare integralmente una situazione giuridica che quei fatti avevano compromesso. Il magistrato emanava tale provvedimento di annullamento su richiesta dell’interessato dopo aver accertato la questione sulla base di valutazioni di equità. • Le stipulationes praetoriae, sono dei provvedimenti cautelari con i quali il magistrato ordinava a una delle parti di effettuare una promessa solenne di garanzia che veniva fatta nella forma del negozio di stipulazione (stipulatio). Se il destinatario del comando pretorio non si impegnava, la sanzione a suo danno era una denegatio dell’azione da lui promossa o una immissione nel possesso dei suoi beni, o un altro intervento pregiudizievole dei suoi interessi. • La missio in possessionem (immissione nel possesso), erano dei provvedimenti magistratuali a finalità cautelari o di costrizione indiretta all’adempimento. Consistevano nella concessione ad un soggetto della disposizione effettiva di alcuni o tutti i beni appartenenti ad un altro soggetto, in attesa che si chiarisse la sorte definitiva di questi beni. Nel caso di immissione nel possesso di un singolo bene si parlava di missio in rem, mentre in caso del possesso di un intero patrimonio del soggetto si parlava di missio in bona. • La bonorum venditio (vendita forzata del patrimonio), era il procedimento di esecuzione sul patrimonio del debitore, divenuto chiaramente ed irreversibilmente insolvibile, cioè era la vendita forzata del patrimonio del “fallito”. • La bonorum distractio (distrazione del patrimonio), era l’espediente di vendere un po’ alla volta i beni dell’insolvente, nel caso del pupillo che non avesse ancora un tutore, del prodigus , del furiosus e di altri soggetti incapaci, o anche nel caso del senatore per evitare il disonore. Le cognitio extra ordinem. Per cognitio extra ordinem si intendono tutti gli interventi di carattere giudiziario che si discostano dalle regole e dalla giustizia ordinaria. La procedura formulare non ebbe vita lunga, infatti già agli inizi del II secolo d.C. cominciò a decadere (contemporaneamente alla decadenza della magistratura repubblicana). Però rimase in vita il modo di procedere anche nelle congnitio extra ordinem. Queste si diffondono perché con l’impero la struttura dello Stato cambia e il pretore non ha più i poteri che aveva una volta, inoltre l’imperatore cerca di accentrare anche il potere giudiziario nelle sue mani. Le cognitio extra ordinem sono considerate più veloci delle procedure per formulas, infatti non vi è più la fase in iure e apud iudicem, ma il processo è unificato in un’unica fase. Caratteristiche generali della procedura sono: • Unità del procedimento; • Ufficialità del procedimento (il giudice una volta introdotta la causa aveva poteri di indagine molto limitati, non poteva andare aldilà delle richieste formulate dalle parti); • Possibilità di procedere anche nei confronti dell’assente; • La sentenza ritenuta ingiusta poteva essere impugnata (potendo ricorrere perfino all’imperatore in persona); • Specificità della condanna (la condanna non fu più pronunciata in una somma di danaro ma si traduceva in un equivalente pecuniario solamente se l’esecuzione della prestazione non fosse possibile). Insieme a questo tipo di processo extra ordinario ce ne sono delle altri nel periodo postclassico, ricordiamo in particolare l’episcopalis audientia, se una persona aveva una causa con un’altra persona potevano mettersi d’accordo e chiedere che la sentenza fosse emessa dall’episcopalis audientia, cioè dal tribunale vescovile. Si utilizzava il tribunale vescovile in caso ci fossero problemi nel rivolgersi al tribunale ordinario. Una volta scelta questa strada non si poteva cambiare. Diritti reali. La cosa (res) in relazione ai diritti reali è una parte limitata del mondo esterno che nella coscienza sociale è isolata e concepita come una entità economica a se stante. Oggetto dei diritti reali nel diritto romano, non può essere che la cosa in questo senso, cioè la cosa materiale. Questa materialità è un requisito presente nel mondo antico, perché le cose oggetto dei diritti reali erano veramente tangibili. Non sono cose le prestazioni e le cose immateriali. Dice Gaio “le cose corporali sono quelle che possono essere toccate (fondo, schiavo, vestito, moneta d’oro) , sono cose incorporali quelle che non possono essere toccate (eredità, usufrutto, obbligazioni). Gaio poi fa una distinzione tra le res in patrimonium e le res in extra patrimonium: • Le res in patrimonio sono le cose suscettibili di rapporti giuridici. • Le res extra patrimonium sono le cose che sono fuori dal patrimonio. Rientrano in questa categoria: • Le res umani iuris, cioè le cose che sono escluse dal commercio per diritto umano; Queste si distinguono in: • Res communes omnium, sono quelle che si reputano non suscettibili di appropriazione individuale, per cui non sono regolate dal diritto ma lasciate all’uso di tutti (aria, acqua corrente, mare, lido del mare questo oggetto però di un regime particolare); • Res publicae, sono le cose che anche se per se stesse sono suscettibili di appropriazione, sono riservate per fini di pubblica utilità all’uso di tutti quanti i cittadini (ponti, strade, fiumi perenni); • Res universitatis, cose destinate all’uso pubblico di una comunità (teatri, circhi, edifici pubblici, strade della città); • Le res divini iuris, cioè le cose che sono escluse dal commercio per un diritto divino. Queste si distinguono in: • Res sacrae, sono le cose consacrate al culto (templi, doni fatte alle divinità) ; • Res sanctae (mura e le porte della città); • Res religiosae (sepolcri e cose custodite nei sepolcri). Altra distinzione è tra le res derelictae e le res nullius: • Res nullius (cose di nessuno), le cose commerciabili che però attualmente non sono di proprietà di alcuno. • Res derelictae (cose abbandonate), cose che il proprietario ha rinunciato ad avere come proprie. Distinguiamo poi le: • Cose fungibili, quelle in cui ciascun oggetto di un determinato genere si considera identico a qualunque altro oggetto dello stesso genere (vini di pari qualità, grano, copie di uno stesso libro, ecc.). • Cose infungibili, cose in cui ciascun oggetto a un’individualità propria e distinta e pertanto non può essere sostituita con una cosa dello stesso genere (quadro, opera d’arte) • Consumabili, sono quelle cose la cui destinazione economica consiste appunto nel consumarle (generi commestibili, moneta, ecc.) • Inconsumabili, l’uso non consiste nel consumarli seppure possano logorarsi (vestito, ecc.) • L’accesso: il proprietario deve permettere che altri si rechino nel suo fondo in ogni caso sia riconosciuta la necessità che ci si rechi. (Es. quando è necessario che si appoggi nel fondo del vicino per riparare un muro, raccogliere qualcosa che sia caduto, raccogliere i frutti del suo albero caduti nel fondo del vicino (e non pendenti nel fondo del vicino). Se il proprietario del fondo ove sia richiesto l’accesso rifiuta di concederlo, ci si poteva rivolgere al pretore che emanava un provvedimento d’urgenza (c.d. interdetto). Inoltre il proprietario del fondo deve concedere l’accesso del suo fondo se questo è indispensabile per raggiungere un altro fondo. • Scavi: il proprietario deve permettere gli scavi a chi scopra metalli o pietre preziose, purché questo non danneggi la superficie e si corrisponda 1/10 del guadagno. • Rapporti di vicinato: Il proprietario deve lasciare tra la sua proprietà e quella del vicinato uno spazio di due piedi e mezzo quando si separano due edifici e cinque piedi quando si separano fondi coltivati. Non è permesso piantare alberi sul confine del vicino a distanze inferiori di quelle determinate dalla legge. Il proprietario di un edificio sul quale sporge un albero altrui, può esigere che colui cui appartiene l’albero lo tagli, se non lo fa può tagliarlo da se e trattenersi il legname. Se l’albero sporge su un fondo rustico altrui, il proprietario dell’albero è obbligato a tagliare i rami fino all’altezza di quindici piedi da terra, se non lo fa il proprietario del fondo su quale sporge può tagliarlo da se e tenersi la legna. Il proprietario è obbligato a sopportare le radici dell’albero del vicino sul proprio fondo, inoltre deve tollerare un’immissione di vapore, fumo, polvere, gocce d’acqua, ecc., fin quando ciò sia conforme alla natura del fondo del vicino. • L’espropriazione per pubblica utilità, il proprietario può essere costretto a cedere la sua proprietà per una causa di pubblica utilità legalmente riconosciuta e dichiarata, e naturalmente dietro il pagamento di una giusta indennità. Comproprietà. (communio) Due o più persone non possono avere ciascuno sulla stessa cosa la proprietà. Dice Celso: “Non ci può essere la proprietà o il possesso in solido di due persone, la stessa cosa però può appartenere in comune a due persone, in questo caso tutti i comproprietari sono padroni della cosa e nessuno è padrone esclusivo della cosa intera, come nessuno è padrone di una parte determinata della cosa stessa.” Sabbino dice: “nessuno può fare qualcosa sulla proprietà comune se l’altro non è d’accordo. Ciascuno tuttavia può disporre della sua quota di comproprietà, come ciascuno ha il diritto di rivolgersi al pretore per chiedere che la proprietà venga divisa con l’actio communi dividundo. I romani all’inizio conoscevano un solo tipo di proprietà che chiamavano dominium ex iure quiritiu (dominio che deriva dal diritto dei romani), chi teneva una cosa sua senza averne il dominium ex iure quiritiu, era un semplice possessore e non proprietario. Durante la repubblica però a questo dominium si affiancò il dominio pretorio in bonis esse (dominio bonitario), dominio che deriva dal pretore. Dice Gaio: “…dopo ci fu la divisione del dominio per cui una cosa fu il dominio che deriva dai quiriti e un altro il dominio che deriva dal pretore, questo nuovo tipo di proprietà si profilò per effetto dell’iniziativa assunta da altri pretori di favorire alcuni possessori che erano in attesa di usucapire il bene” Modi di acquisto della proprietà. Fatti giuridici in base ai quali la legge riconosce al soggetto il diritto di proprietà sulla cosa. Distinguiamo i modi di acquisto della proprietà in originari e derivativi. • Originari, rapporto diretto con la cosa; • Derivativi, il rapporto è con la persona dell’antico proprietario, in questo caso la cosa si acquista dall’antico proprietario cosi come era. Modi di acquisto originari: • Usucapione (spiegato nella lezione del 20/11); • Fruttificazione, l’acquisto con i frutti può avvenire dai frutti naturali o dai frutti civili. • Frutti naturali, sono prodotti delle piante, lana, latte, ecc. • Frutti civili, sono ad es. la pigione, il nolo, ecc. • Occupazione, consiste nell’impadronirsi di una cosa, ossia nella presa di possesso di una cosa che non apparteneva a nessuno (res nullius), però nell’impadronirsi di questa cosa ci deve essere l’intenzione di farla propria. Le res nullius suscettibili di occupazione in particolare, sono gli animali selvatici. Infatti il cacciatore acquista la proprietà a titolo originario (essendo l’animale di proprietà di nessuno), nel momento in cui lo prende, sia vivo che morto. È considerata cosa di nessuno anche l’isola nata dal mare (ad es. a causa di un terremoto). • Invenzione¸ riguarda le cose trovate in una res communes omnium (lido del mare), in questo caso è la scoperta stessa che fa nascere il diritto di proprietà. Le pietre preziose, le gemme e le cose che si trovino in riva al mare per diritto naturale diventano subito di chi le ha trovate. Il tesoro è qualunque oggetto mobile nascosto da molto tempo e su cui nessuno può vantare diritti. L’acquisto del tesoro fu variamente regolato nel corso della storia del diritto romano, in origine fu considerato di proprietà del dominus (del padrone del fondo). A partire da Adriano fu stabilito che chi trovasse il tesoro avrebbe ricevuto metà del valore del tesoro mentre l’altra metà spettava al proprietario del fondo. • Accessione, si intende l’acquisto di proprietà operato per effetto della congiunzione di due cose, la cosa principale e la cosa accessoria, quando la cosa accessoria sia assorbita dalla cosa principale fino a diventarne una parte integrante o un elemento costitutivo della stessa. Il proprietario del tutto è il proprietario della cosa principale. Abbiamo varie specie di accessione: • Accessione di cosa mobile a cosa mobile: • La saldatura: (ferruminatio) è la congiunzione di metalli uguali senza mezzo interposto; • La tessitura: avveniva nel caso in cui venissero tessuti dei fili in una stoffa, fili appartenenti ad altri. Nel caso venga tessuto con un filo di porpora un vestito, il proprietario del vestito diviene anche proprietario della porpora investita nel vestito. • La tintura: anche nel caso di tintura è sempre il padrone della stoffa che diviene proprietario anche della tintura usata. • La scrittura, riguardava il caso di chi scrivesse qualcosa su materiale scrittorio altrui. La proprietà rimaneva di colui che possedeva la carta o altro materiale scrittorio, compresi gli scritti. • La pittura, per quanto riguarda il caso di un pittore che dipingesse la sua opera su una tavola lignea appartenente ad un altro soggetto, abbiamo delle incongruenze delle fonti. Alcuni pensavano che la proprietà divenisse del proprietario delle tavole, salvo il pagamento delle spese al pittore. Altri che il proprietario divenisse il pittore, salvo il pagamento del materiale al proprietario. Quest’ultima opinione fu quella che prevalse. • Accessione di cosa mobile a cosa immobile: • Inaedificatio (edificazione), l’edificazione si ha quando un edificio viene costruito su suolo altrui, e l’edificio diviene di proprietà del proprietario del suolo • Implantatio (piantagione), l’accessione per piantagione avviene quando vengono piantati degli alberi in un terreno altrui e questi mettono radici salde e profonde ricevendo nutrimento dal terreno. In questo caso il proprietario del fondo diviene proprietario delle piante cosi piantate. • Satio (semina), fa si che i germogli che escono da questi semi appartengano al proprietario del fondo e non al proprietario dei semi. • Accessione di cosa immobile a cosa immobile: Questo genere di accessione avviene per incrementi fluviali, sono: • Avulsione, quando una parte del terreno per impeto della corrente del fiume o altra forza, si sia staccato da uno dei fondi posti sulla riva del fiume e va a congiungersi con un altro fondo. Quando si arriva alla congiunzione definitiva di queste zolle di terreno si ha avulsione, e quindi il proprietario possessore concede ad un altro il possesso della cosa mettendo come facoltà sua la possibilità di rientrare nel possesso a suo piacimento). Per aversi usucapione nel diritto giustinianeo occorrono determinati requisiti: • Possessio: (possesso) Per aversi usucapione è necessaria la detenzione della cosa con l’intento di tenerla come propria. Non si possono usucapire le cose che hanno perduto la loro esistenza individuale per essere diventate accessorie di un’altra cosa; • Tempus: (durata del possesso) Nel diritto giustinianeo ai fini di usucapione vengono fissati termini diversi che sono: la durata del possesso di tre anni per le cose mobili e 10 anni per gli immobili (quando le parti tra le quali avviene l’usucapione abitano nella stessa provincia, se sono assenti il termine è allungato a venti anni). La durata del possesso deve essere continua, si ha interruzione naturale con la perdita reale del possesso (non si ha più la cosa), invece, si ha interruzione civile con la rivendicazione intentata dal proprietario; • Res habilis: (capacità della cosa) Alcune cose non erano suscettibili di usucapione in particolare: Le res mancipi vendute da donne senza l’auctoritas del tutore, le res furtive (cose rubate), le res vi possessae (cose prese con violenza), le cose oggetto di concussione (regali fatti a magistrati), cose che appartenevano allo Stato, cose dei pupilli e dei minori, beni immobili delle chiese e delle fondazioni istituiti a scopi di bene, le res dotali (cose che facevano parte della dote), tutte le cose che non si potevano vendere; • Titulus: (giusta causa) È il rapporto con il precedente possessore, che dimostra l’assenza di lesione altrui nella presa del possesso. La causa giustificativa del possesso si indica con “pro” (pro dote, pro tutore, pro legato, pro derelicto); • Fides: (buona fede) È il comportarsi da persona onesta nella presa del possesso del oggetto, la buona fede deve essere presente all’inizio del possesso, poco importa se si conosce in seguito il vero stato delle cose; Perdita della proprietà. La proprietà si perde, o per il venir meno della capacità giuridica del soggetto o per il venir meno della capacità giuridica dell’oggetto (es. se la cosa viene messa fuori commercio, distrutta, venduta, abbandonata). Giustiniano stabilì che la proprietà cessa immediatamente all’atto dell’abbandono. Azioni a difesa della proprietà. • Rei vindicatio: Rivendicazione della cosa, l’azione con la quale il proprietario chiede il riconoscimento del suo diritto difronte al possessore illegittimo, ossia la restituzione della cosa con tutte le sue accessioni. La rei vindicatio la troviamo in varie epoche storiche, assume forme diverse a seconda del sistema processuale utilizzato. Se la restituzione della cosa è impossibile per il convenuto (ad es. perché questa è distrutta), egli è tenuto a risarcire i danni nei confronti dell’attore. Bisogna tuttavia determinare se il convenuto è possessore di buona o mala fede, il possessore di buona fede è responsabile solo delle colpe commesse successivamente alla litis contestatio, il possessore di mala fede è responsabile anche delle azioni fatte precedentemente alla litis contestatio. Il convenuto è responsabile anche se la cosa è stata distrutta per fenomeni naturali, a meno che non provi che la cosa sarebbe andata distrutta anche fosse stata restituita al proprietario. Il convenuto deve restituire la cosa con i frutti e con ogni aumento della cosa stessa. Il possessore di mala fede deve al proprietario tutti i frutti, sia percetti che percipienti. Il possessore di buona fede non è tenuto a risarcire il valore dei frutti consumati prima della litis contestatio e risponde dei frutti che il proprietario per sua colpa non ha percepito. • Actio negatoria: Questa azione poteva essere negatoria di un usufrutto o di una servitù, cioè di quei pesi che gravavano sulla proprietà non rendendola libera da vincoli per il proprietario. Questa actio serviva a far riconoscere la proprietà come libera da vincoli, cioè si tendeva ad accertare l’inesistenza di un diritto reale limitato. Nel caso di condanna del presunto titolare di un diritto di servitù o di usufrutto, permetteva al proprietario di godere a pieno del suo fondo; • Actio aquae pluviae arcendae: Compete al proprietario di un fondo rustico per l’alterazione delle acque piovane operata dal vicino, deviate dal decorso naturale (es. fondo superiore e inferiore vedi sopra “il corso dell’acqua”); • Cautio damni infecti: È un istituto diretto a dare garanzia contro i danni temuti nei rapporti fondiari, consiste in una stipulazione con la quale si promette di riparare eventualmente il danno non ancora accaduto (se ci sia motivo di credere che avvenga). Esempio è la cauzione per una casa diroccata che sta per cadere sulla casa di un soggetto. Chi ha ragione di temere un danno dall’edificio viene immesso dal tutore nella detenzione legale del fondo del vicino, per costringere il vicino a prestare la cauzione; • Interdictum quod vi aut clam: In caso qualcuno faccia opere di qualunque natura su di un suolo contro il divieto o clandestinamente, colui che viene danneggiato ha il diritto di chiedere la demolizione di queste opere o il risarcimento dei danni subiti per queste opere; • Nuntiatio novi operis: Consiste in una intimidazione fatta sul luogo, con parole sacramentali (certa verba), questa intimidazione era rivolta a chiedere al vicino di non compiere una determinata opera. L’opera deve essere nuova, tale da cambiare il vecchio aspetto del luogo, e non un semplice restauro. Il denunciato è tenuto ad interrompere l’opera che ha iniziato, ma il denunziante stesso deve subito cominciare il giudizio per provare il suo diritto a opporsi alla costruzione della opera, altrimenti su istanza del denunciato il pretore può annullare il divieto; • Actio finium regundorum: Azione di regolamento dei confini tra i fondi rustici; • Actio de arboribus caedendis: Azione con la quale un soggetto può esigere il taglio delle radici che oltrepassino il suo confine, oltre che le foglie e i rami che oltrepassino il confine fino a 15 piedi da terra; • Interdictum de glande legenda: Il diritto di esigere l’accesso nel fondo del vicino un giorno si e un giorno no per recuperare frutti caduti dal suo albero. Il possesso. Possedere una cosa significa averla nel proprio potere fisico, questo potere si intende puramente materiale, e non dipende dal fatto che il possessore abbia o meno il diritto di esercitare questo potere. Il possesso è di fatto ciò che la proprietà è di diritto. Il possesso costituisce solo un potere fisico, invece la proprietà implica un potere giuridico (legale). Il proprietario ha il diritto di possedere, il possessore esercita di fatto quello che è il diritto del proprietario. Il più delle volte chi è proprietario è anche possessore della cosa ma può anche darsi che una persona sia il proprietario e un’altra persona possegga la cosa. Il possesso non è un diritto ma un semplice fatto (res facti) che produce delle conseguenze giuridiche, in quanto è tutelato e garantito contro le turbative che possono venire da altre persone. Il possessore ha dei diritti, il cosiddetto ius possessionis (diritto di possesso), diritti che derivano dal semplice fatto del possesso, sono indipendenti dallo ius possidendi che invece può anche spettare ad un’altra persona. Possiamo dire che lo ius possidendi è il diritto di possedere la cosa mentre lo ius possessionis è il complesso di vantaggi che derivano dal fatto del possesso. Il proprietario ha il diritto di possedere la cosa che gli appartiene sebbene di fatto non possegga quella cosa (perché ce l’ha un altro). Il possessore ha dei diritti per il solo fatto di possedere quella cosa che non gli appartiene. Es. il ladro non ha alcun diritto sulla cosa rubata che tiene in suo possesso. Egli non ha il diritto di possederla (ius possidendi) eppure ha lo ius possessionis, cioè è un possessore giuridico della cosa, e come tale è tutelato da apposite azioni contro usurpative che possono venire da altri. Il possesso si distingue in possessio civilis e possessio naturalis: • Possessio civilis: È definita come la possibilità fisica di disporre di una cosa ad esclusione degli altri. Perché esista il possesso vero e proprio, si richiede che il possessore sia con la cosa in un rapporto diretto e indipendente ovvero che ci sia anche l’intenzione di stare in un rapporto immediato e indipendente con la cosa.. Questo possesso giuridico o civile è garantito da apposite azioni possessorie, i cosiddetti interdetti anche quando il possessore è in malafede e possiede senza giusto titolo. Il possesso se è di buona fede e accompagnato da giusta causa porta all’usucapione; • Possessio naturalis: Se manca l’intenzione parliamo di possesso naturale, che si chiama anche detenzione. La semplice detenzione di una cosa senza l’intenzione di averla per se non costituisce un vero possesso. La possessio può essere iusta o iniusta: • Possessio iusta: Il possesso si dice giusto quando è nato nec vi, nec clam, nec precario, cioè quando non c’è il vizio della violenza, della clandestinità e della precarietà. Si ha il vizio della violenza quando il possessore fece violenza al corpo o alla volontà del possessore precedente per spogliarlo del possesso (violenza sia fisica che morale). Il vizio della clandestinità si ha quando si occulta l’atto di acquisto al possessore precedente per evitarne la resistenza. Il vizio della precarietà si ha quando qualcuno entra nel possesso perché il Servitù personali. Hanno lo scopo di assicurare dei benefici, in genere una sussistenza vitalizia e un pieno godimento della cosa, senza trasmettere però il dominio della cosa stessa. • Usufrutto: È il diritto di usare la cosa altrui e di percepirne i frutti. Senza distruggere però la sostanza della cosa, senza alterare la destinazione economica dell’oggetto. La persona cui compete l’usufrutto si chiama usufruttuario. La proprietà dalla quale è dedotto l’usufrutto si chiama nuda proprietà. Il proprietario della cosa quando si voglia indicare come proprietario della cosa soggetta a usufrutto si chiama dominus proprietarius. L’usufruttuario acquista i frutti naturali della cosa quando li percepisce, nel momento in cui li prende. Quindi i frutti pendenti, al momento della morte dell’usufruttuario, non passano agli eredi ma appartengono al proprietario. L’usufruttuario naturalmente deve usare la cosa come farebbe un buon padre di famiglia, senza rovinarla, avendo cura di non oltrepassare i limiti del buon gusto. Naturalmente l’usufruttuario sopporta tutte le spese necessarie alla manutenzione della cosa e all’atto della restituzione è responsabile per ogni inadempimento di obblighi e per il deterioramento eventuale della cosa che aveva ricevuto in usufrutto. A garanzia degli obblighi di mantenimento delle cose nello stato in cui si sono avute, l’usufruttuario deve promettere al proprietario che l’userà da buona persona e restituirà la cosa cosi come l’ha ricevuta, questa cauzione fu imposta dal pretore. L’usufrutto è costituito a vantaggio di una persona e cessa con la morte di questa. Se è costituito a favore di una persona giuridica, il limite massimo è fissato dalla legge in cento anni. L’usufrutto non può consistere se non sulle cose inconsumabili, se facevano parte dell’usufrutto anche cose consumabili, la giurisprudenza stabilì l’obbligo di restituire (al termine dell’usufrutto) un’uguale quantità delle cose consumate. • Uso: È il diritto di usare cose di altri e percepirne i frutti nella misura dei propri bisogni. Essendo legato ai bisogni della persona l’usuario non può vendere il suo diritto, perché in questo modo verrebbe alterato il contenuto dell’uso. • Abitazione: È il diritto di abitare una casa e di darla in fitto. • Opere degli schiavi e degli animali altrui: Si chiamano servitù di opere. I modi di costituzione delle servitù sono modi di acquisto derivativo, cioè l’acquisto avviene in base a un rapporto con il proprietario precedente, e possono essere: un negozio con il proprietario, un adiudicatio, l’usucapione, la legge. Nel negozio tra vivi per la costituzione della servitù, occorreva per le servitù rustiche, che sono res mancipi, la mancipatio o la in iure cessio. Nel diritto giustinianeo una volta che erano venute meno la mancipatio e la in iure cessio non era necessaria alcuna forma per la costituzione delle servitù, essa si acquista semplicemente per convenzione tra le parti. La servitù si estingue per mancanza di oggetto, se viene ad essere sottratta o distrutta la cosa oggetto di servitù. Le servitù prediali si estinguono anche per distruzione del fondo dominante mentre quelle personali si possono estinguere per morte o perdita della capacità del titolare. Altra causa di estinzione è il non uso della servitù per un lungo periodo di tempo (10 anni o dipiù) per il diritto giustinianeo si estingueva il diritto. Origine dell’enfiteusi. L’enfiteusi Si può avvicinare a vari istituti del diritto romano. • La possessio del ager publicus: Quando veniva conquistato un popolo, il terreno di questo popolo vinto era diviso ed assegnato in proprietà ai privati, si parlava di ager ad signatus. O poteva essere venduto e in questo caso si parlava di ager quaestorius. Questi non erano però i modi normali di assegnazione del terreno, perché una larga parte del terreno, veniva concessa alla libera occupazione dei cittadini (occupatio). I cittadini che occupavano questi terreni dovevano pagare allo Stato 1/5 o 1/10 di quello che era il ricavato dell’occupazione. Lo Stato rimaneva proprietario delle terre cosi occupate, però i possessori si ritenevano padroni di questi terreni, che non solo passavano in eredità ai propri figli ma potevano perfino essere venduti e, colui che li aveva occupati aveva la certezza di un infinito godimento dei beni stessi. • Gli agri vectigali: erano i terreni dello Stato dati in affitto per un periodo di tempo molto lungo (100 anni o perfino in perpetuo). Il locatario doveva corrispondere il vectigal (un canone), fin quando corrispondeva questo canone poteva essere sicuro del godimento del fondo. Contro colui che eventualmente avesse voluto cacciarlo via, colui che godeva dell’assegnazione aveva l’actio in rem vectigalis. L’enfiteusi. Nell’epoca di Costantino compaiono molti terreni sui quali viene dato un diritto che si chiama ius enfiteuticum (diritto di enfiteusi), oppure un altro diritto che non si dissocia molto da quest’ultimo è lo ius perpetum. Il terreno viene dato in concessione dietro il pagamento di un canone, tra ius enfiteuticum e ius perpetum ci sono delle differenze, ma quali sono queste non ci è dato di saperlo. Un’ipotesi è che lo ius enfiteuticum è una concessione a lungo termine mentre lo ius perpetum è una concessione perpetua. Questi due istituti vengono fusi nel periodo di Giustiniano nell’enfiteusi, ciò avvenne perché la giurisprudenza classica discuteva sugli agri vectigalis se la locatio fosse una vera locazione o una vendita. Perché il pagamento della prestazione annua gli attribuiva il carattere della locazione ma il fatto che la cosa era attribuita in perpetuo all’enfiteuta (che poteva trasmetterla perfino ai propri figli), gli attribuivano i caratteri di una vera e propria vendita. Su questa questione intervenne l’imperatore Zenone (V secolo) che disse che non si trattava ne di locazione ne di vendita ma si trattava di una cosa nuova ossia l’enfiteusi. Naturalmente questo riguardava il “periculum”, cioè su chi incombeva lo svantaggio nel caso di distruzione del fondo. L’imperatore Zenone promulgò una legge con la quale stabilì che il contratto di enfiteusi aveva una propria natura che non si avvicinava ne alla locazione ne alla vendita, ma soggetto ad accordi propri. Se non è stabilito niente in relazione al pericolo della cosa allora la perdita della cosa intera ricadrà sul proprietario e la perdita di una porzione ricadrà sull’enfiteuta. Nel diritto giustinianeo l’enfiteusi si può definire come un diritto reale alienabile e trasmissibile agli eredi. Il corrispettivo era quello di non deteriorare il fondo e di pagare un canone annuo. L’enfiteuta acquista i frutti dei campi e può costituire sul fondo servitù, ipoteche, può dare in usufrutto o in sub enfiteusi il suo diritto. Sono a carico dell’enfiteuta tutte le spese necessarie per migliorare o mantenere a regime il campo. Nel momento in cui vuole cedere il suo diritto a una persona, l’enfiteuta deve dare la cinquantesima parte del prezzo riscosso al proprietario. Il proprietario ha un diritto di preferenza, nel caso non ritenesse idonea la persona che vuole acquistare il diritto di enfiteusi, il proprietario ha il diritto di poter scegliere se permetterlo o no. La vendita deve essere fatta a persone che non sono proibite e che possono pagare. L’enfiteusi cessa con: la distruzione del fondo, con la confusione dei soggetti (proprietario diventa enfiteuta o enfiteuta che diventa proprietario), con la decadenza, quest’ultima ha luogo nel caso di inadempimento degli obblighi che gravano sull’enfiteuta (fondo rovinato, canone non pagato, mancanza di notifica nel caso di vendita dell’enfiteusi). La superfice. La superfice era un rapporto assoluto reale in senso improprio in forza del quale un soggetto, detto superficiario, poteva costruire e mantenere sul suolo di un altro soggetto, in perpetuo o per lungo tempo, un edificio. Si aveva anche il diritto di difendere tale godimento erga omnes, ma con l’obbligo di pagare al padrone del suolo un canone periodico che si chiamava solarium. Si dice rapporto assoluto reale in senso improprio perché in età preclassica e classica c’era il principio che tutto ciò che è sopra il suolo è del proprietario del suolo. Per cui il proprietario di un fondo era anche proprietario delle opere costruite da lui o da terze persone sulla sua proprietà. Se avveniva che taluno costruisse con materiali propri o altrui un edificio, una casa in muratura o un chiosco, su suolo di un altro soggetto sia pure con l’autorizzazione di quest’ultimo, la proprietà di questa costruzione non gli spettava, al massimo poteva essere considerato comodatario o locatario. A correzione di questo sistema rigido che non rispondeva alle esigenze del tempo, gli enti pubblici operarono delle concessioni temporanee di suoli pubblici a soggetti privati che avevano un interesse ad essere i detentori di questo terreno per costruire. Naturalmente tutta questa concessione di costruire era subordinata alla corresponsione di una somma di danaro. Nell’epoca giustinianea viene sistemata la faccenda perché viene concesso l’uso ad altri di fabbricare e di goderne in perpetuo (o per lungo tempo) dietro il pagamento di un canone. Il proprietario dell’edificio non è chi costruisce l’edificio ma il proprietario del suolo, anche se al superficiario viene accordato un interdetto (interdictum de superficibus) questo interdetto viene accordato al superficiario che vuole rimanere nel godimento del bene di fronte a qualsiasi turbativa che possa essere intentata nei suoi confronti. L’ipoteca e il pegno. Il fine di offrire una garanzia reale dei loro crediti ai creditori ovvero il fine di offrire una garanzia che si risolveva in caso di inadempimento, nel diritto di soddisfarsi direttamente sui beni del debitore o di un garante del debitore fu attuato mediante l’istituzione di due rapporti assoluti reali in senso improprio che erano il pegno e l’ipoteca . In età preclassica e anche in età classica, la funzione di garanzia reale delle obbligazioni era attuata mediante un istituto tipicamente romano chiamato “fiducia” o dominium fiduciarium, la garanzia derivava dalla fattispecie negoziale che si chiama fiducia cum creditore e consisteva in ciò: il garante (debitore o un terzo che fosse garante di questo credito) trasferiva al creditore attraverso la mancipatio o la iure cessio, il dominio quiritario di una sua cosa mancipi, con l’espresso patto che la cosa gli sarebbe stata ritrasferita in caso di adempimento dell’obbligazione. In caso di inadempimento invece sarebbe rimasta per sempre in proprietà del creditore rimasto insoddisfatto. Dal momento che il dominio del garantito doveva essere tutelato, colui che rimaneva in possesso della cosa fiduciata aveva il diritto di acquistarla mediante un istituto che si chiama usureceptio, ovvero mediante una usucapione di favore, per la realizzazione di questa non occorreva il tempo dell’usucapione ma bastava un solo anno. Però in età postclassica, l’usureceptio era un istituto pur sempre primitivo, e perciò scompare. Giustiniano abolì formalmente la vecchia fiducia e l’unico rapporto assoluto di garanzia rimase il pignus. Il pignus si distingueva in: • Obbligazioni generiche: sono quelle in cui l’oggetto è determinato solamente nel genere o in una categoria di oggetti. Per quanto riguarda la responsabilità per perdita o deterioramento della cosa da prestare, nelle obbligazioni generiche non è possibile la perdita di tutto un genere; • Obbligazioni alternative: sono quelle in cui il soggetto obbligato (debitore) può liberarsi offrendo in via alternativa l’una o l’altra prestazione (es. un cavallo o una statua determinati). Nelle obbligazioni alternative gli oggetti tra cui si può fare la scelta possono in parte o del tutto deteriorarsi o distruggersi. In questo caso bisogna distinguere se il deterioramento è avvenuto in tutti gli oggetti o in uno solo degli oggetti, se siano periti tutti contemporaneamente o prima uno e poi l’altro e di chi è la colpa. Occorre valutare a chi competeva il diritto di scelta tra i vari oggetti che potevano essere oggetto della prestazione. Sia per le obbligazioni generiche che per le alternative, la scelta che occorre fare tra i vari oggetti è di solito di competenza del debitore, ma può spettare anche al creditore o a un terzo se ciò è stato espressamente pattuito. Se la scelta è attribuita al debitore o attribuita per patto al creditore, passa agli eredi perché si incorpora con l’obbligazione stessa. Se la scelta è stata attribuita ad una terza persona non passa agli eredi di questa persona. Il debitore e il creditore hanno il diritto di cambiare la scelta, il debitore fino a che non abbia pagato e il creditore fino a che non abbia chiesto giudizialmente il pagamento. Il terzo una volta fatta la scelta invece non può cambiarla. • Obbligazioni facoltative: In questo caso l’oggetto dell’obbligazione era uno solo e ben determinato, ma il debitore poteva liberarsi offrendo una prestazione diversa. Altra distinzione è quella tra obbligazioni divisibili e obbligazioni indivisibili: • Obbligazioni divisibili: quando la prestazione è di tale natura che possa eseguirsi in parte senza alterarne l’essenza. Sono divisibili le prestazioni il cui oggetto consiste nel dare, perché i diritti sulle cose si ritengono divisibili in quanto si possono costituire pro-parte. (es. si può costituire pro-parte il diritto di proprietà, il diritto di enfiteusi, il diritto di pegno.) • Obbligazioni indivisibili: In caso la prestazione non possa essere eseguita in parte (le servitù, dato che comportano un uso limitato della cosa sono tutte indivisibili ad eccezione dell’usufrutto). Le obbligazioni che consistono in un facere di regola sono indivisibili perché una parte non è l’intera opera e può non avere lo stesso carattere o il valore di tutto (es. se mi obbligo a dare una casa la devo dare completa e non a metà). Tuttavia rispetto alle obbligazioni di facere alcune sono divisibili e sono quelle che hanno per oggetto la prestazione di opere fungibili (opere che consistono nel numero, nel peso, nella misura). Questa distinzione tra obbligazioni divisibili e indivisibili ha importanza quando si hanno più debitori o più creditori in relazione ad una stessa obbligazione, perché se il creditore è uno solo la prestazione si deve eseguire tutta in una volta ed integralmente. Il caso che si abbiano più debitori di un unico oggetto indivisibile si ha in genere nel caso dell’eredità. Le dodici tavole stabilivano in questo caso che i debiti e i crediti fossero divisi ipso iure tra i vari coeredi, di conseguenza il diritto e l’obbligo correlativo veniva a scindersi in tanti diritti e tanti obblighi e l’oggetto di ciascuno di questi diritti ed obblighi era una parte dell’oggetto originario. Quando l’oggetto è indivisibile tale scissione è impossibile, in questo caso non abbiamo una decisione dei giuristi, ci sono dei principi speciali al fine di avere una congrua divisione e nello stesso tempo in modo da non perdere la parte che ciascun debitore dovrebbe dare e ciascun creditore dovrebbe avere. I principi sono questi: • Nell’ipotesi di più debitori, ciascuno ha il diritto di chiedere una proroga per il soddisfacimento dell’obbligazione al creditore, nel periodo di questa proroga egli si può rivolgere ai suoi condebitori ed esigere prima del pagamento l’indennizzo per la quota dei condebitori. • Se ci sono più creditori il debitore che paga ha il diritto di chiedere cauzione al debitore cui paga per essere garantito nei confronti degli altri debitori. • L’obbligazione indivisibile quando per inadempimento si trasforma nell’obbligo di risarcire il danno, diventa divisibile perché i danni si pagano in somme di danaro. I soggetti dell’obbligazione. Di regola i soggetti dell’obbligazione sono individualmente e per sempre determinati, tuttavia può accadere che anche i soggetti siano determinati solo relativamente ad un rapporto reale a cui l’obbligazione è congiunta e sono quindi variabili in quanto l’essere debitore o creditore dipende dall’essere in quel dato rapporto con la cosa, obbligazioni propter rem (es. actio acque pluvia arcendae, in questa come in tutte le altre azioni nate da rapporto di vicinato è importante il rapporto che si ha con la cosa stessa). Distinguiamo varie obbligazioni: • Obbligazioni parziarie: Quando più debitori sono tenuti ad una determinata prestazione o più creditori hanno diritto di esigere quella determinata prestazione, il rapporto si può configurare in diversi modi, cioè può succedere che l’obbligazione venga divisa tra i vari debitori, o divisa tra i vari creditori in maniera che ciascuno sia obbligato solo a una parte della prestazione complessiva o nel caso di creditore che abbia diritto ad esigere solo una parte della prestazione. Rispetto a ciascun soggetto si parla di obbligazione parziaria, pro- parte o pro-rata. • Obbligazioni solidali: Può capitare che l’obbligazione sia in solidum, per l’intero, nei confronti dei vari creditori. • Obbligazioni civili: Obbligazioni stabilite dagli organi legislativi del popolo romano o dalla libera interpretazione della giurisprudenza. • Obbligazioni onorarie: Obbligazioni introdotte dal pretore. • Obbligazioni civili: sono quelle che nascono dal diritto civile. • Obbligazioni naturali: sono quelle che nascono dal diritto naturale o ius gentium. Le fonti delle obbligazioni. Sono i fatti giuridici da cui può derivare un rapporto obbligatorio, fatti generativi delle obbligazioni. L’obbligazione può nascere dalle cause più svariate: da un negozio giuridico, da un atto illecito, da un fatto giuridico puro e semplice, senza l’intervento della volontà del soggetto, può nascere dalla legge. I negozi giuridici da cui nasce l’obbligazione sono i negozi giuridici bilaterali o detti contratti, dobbiamo ricordare che il termine contratto è usato esclusivamente per significare i contratti obbligatori, solo in casi eccezionali l’obbligazione nasce da una semplice promessa che si chiama pollicitatio. Le obbligazioni generate da fatti giuridici puri e semplici hanno una grande analogia con il fatto che costituisce l’elemento oggettivo del contratto (o del delitto) solo che vi manca l’elemento intenzionale. In questi casi l’obbligazione si dice che nasce quasi da delitto o quasi da contratto. Per cui a opera degli interpreti e della giurisprudenza si formarono varie categorie di fonti dell’obbligazione, abbiamo le obbligazioni nascenti da contratto da delitto da quasi contratto e da quasi delitto. La fonte più importante delle obbligazioni è il contratto, possiamo definire il contratto come l’accordo tra due o più persone diretto a costituire un rapporto obbligatorio riconosciuto dalla legge. Il contratto consta di due elementi, la causa (o fatto oggettivo) chiamato negotium contractum, e l’accordo delle parti (consensus o conventio). Nell’antico diritto romano la costituzione di obbligazioni che non nascevano dal delitto richiedeva l’uso di forme solenni. Ma nel periodo classico alcune determinate cause costituivano dei contratti indipendentemente dall’utilizzo di queste forme solenni che si utilizzavano nell’epoca più antica. Queste figure di contratti riconosciuti indipendentemente dall’uso di forme tipiche e solenni vennero distinte in due categorie: • Re contrahitur (contratti con la cosa), oggi detti contratti reali. In questi contratti l’essenza delle obbligazioni era la restituzione della cosa ricevuta. • Consensu contrahitur (contratti con il consenso) oggi detti contratti consensuali. In questo tipo di contratti ciò che era essenziale è il consenso. Secondo Gaio le obbligazioni da contratto si dividono in: • Obbligazioni re contractae: quando l’obbligazione nasce dalla dazione di una cosa a titolo di possesso, di proprietà o di detenzione (mutuo, comodato, deposito, pegno, la fiducia). Gaio nelle istituzioni annovera tra le obbligazioni re contractae anche la solutio indebiti, cioè il pagamento del non dovuto. • Obbligazioni verbis contractae: sono quelle per la cui nascita è necessaria la pronunzia di certa e solenne verba (promissio iurata, dotis dictio, stipulatio). • Sequestro: è il deposito di un oggetto perché venga restituito solo al verificarsi di alcune circostanze (es. la fine di un giudizio). • Il Pegno: È un contratto reale bilaterale, per il quale il debitore (pignoratario) si obbliga a restituire al creditore (pignorante) un oggetto ricevuto a titolo di garanzia di un credito, credito che il pignoratario ha nei confronti del pignorante. Il pignoratario è obbligato a custodire la cosa senza farne uso, altrimenti è colpevole di furto d’uso. Il pignorante può essere obbligato per le spese necessarie eseguite e per le imposte pagate dal pignoratario. È tuttavia responsabile per aver consegnato delle cose non adatte ad essere utilizzate come garanzia. Se per caso la cosa viene distrutta per caso fortuito, il pignoratario non è responsabile per il pegno. Obbligazioni verbis contractae sono: • La promissio iurata: Era una forma sacra che consisteva nel giuramento dell’obbligato, di solito fatta dal liberto al padrone (es. si giurava di costruire una statua per onorare la famiglia del padrone che lo ha liberato). • La dotis dictio: Era la promessa di dote, che veniva fatta dal padre della sposa al futuro marito o al madre del futuro marito. La dotis dictio insieme alla promissio iurata è fatta da una sola persona, che promette, si obbliga formalmente a dare la dote alla figlia o comunque di compiere una determinata opera (nel caso di promissio iurata). • La stipulatio: Era una sorta di interrogazione del futuro creditore (stipulator) e della congrua risposta del futuro debitore. Non si sa da cosa derivi la stipulatio ma si crede che derivi dal ritto sacro e dal giuramento. Perché la forma più antica di stipulazione era la sponsio, che veniva usata nel diritto pubblico per concludere alleanze, e nel diritto familiare veniva usata per promettere la figlia in sposa negli sponsalia. Come contratto verbale una delle caratteristiche della sponsio è che non si può costituire tra assenti e inoltre non viene permessa ai muti e i sordi (non potendo pronunciare o sentire le parole). L’atto deve essere un atto unico, tra la domanda e la risposta non deve intercorrere un periodo di tempo lungo ma bisogna dare la risposta immediatamente. La stipulazione era accessibile soltanto ai cittadini romani quindi non agli stranieri. Tra la domanda e la risposta vi doveva essere una stretta corrispondenza (niente trattative). Solo nel periodo successivo al periodo classico abbiamo un cambiamento per cui non vi è più la stessa rigidità e con il passare del tempo la stipulatio diviene utilizzabile anche dagli stranieri. Obbligazioni litteris contractae sono: • Nomen transscriptìcium (o expensilatio): sono scritture con le quali si riconosceva un debito e si prometteva un pagamento. Questo nomen transscriptìcium aveva la sua base nella regolare tenuta dei libri di conti della famiglia romana fatta dal pater familias, il libro dei conti si chiamava codex accepti et expensi, di quello che devo avere e di quello che devo dare. La trascrizione di un credito nel codex creava l’obbligo della restituzione. L’iscrizione nella colonna delle spese (expensum) era produttiva di obbligazione per le terze persone, perché indicava che si era prestata a qualcuno una somma di danaro, la scrittura creava l’obbligo della restituzione. A differenza della stipulatio che andava fatta tra presenti, il nomen transscriptìcium poteva essere fatto anche tra assenti. Nel periodo tardo classico come tutte le forme connesse all’organizzazione e alla tradizione nella famiglia romana , il nome transscriptìcium viene a sparire, perché cambia la società romana e vengono ad affermarsi delle situazioni diverse che sono i syngrapha e i chirografa, si tratta di obbligazioni letterali, mutuate nel diritto romano dal diritto greco. Scritture con cui si riconosceva un debito e si prometteva un pagamento. • I syngrapha: I syngrapha erano redatti in due originali, sottoscritti da entrambe le parti e scambiate tra di loro. • I chirografa: I chirografa erano redatti in un solo originale che era conservato dal creditore. Obbligazioni consensu contractae sono: • Emptio venditio (compravendita): È un contratto consensuale bilaterale per cui uno dei contraenti (venditore) promette all’altro (compratore) di cedergli per sempre il possesso di una cosa e di prestare la garanzia del possesso. Cioè il venditore promette di cedere qualsiasi diritto sulla cosa dietro la promessa di ricevere un corrispettivo in danaro (praetium). Abbiamo un unico negozio in cui sono fuse due cause obbligatorie. Il venditore acquista il diritto al prezzo (perché si è obbligato a dare la cosa), il compratore acquista il diritto ad ottenere la cosa (perché si è obbligato a dare il prezzo). La merce può essere una cosa corporale, un oggetto, un diritto su cosa altrui, un diritto di credito, un complesso di diritti come per es. l’eredità. In genere ogni cosa e ogni diritto può essere oggetto di vendita salvo determinati divieti (per es. è fatto divieto ai curatori di comprare le cose dei loro pupilli oppure ai militari stanziati in determinate province di comprare fondi nelle province dove risiedono). La vendita è nulla quando l’oggetto non può essere trasferito perché non esiste più. Oppure è nulla nel caso in cui vi sia un incapacità giuridica dell’oggetto. Se l’oggetto è distrutto bisogna vedere se è distrutto interamente o solo per metà. Se è distrutto totalmente non si può vendere se è distrutto solo per metà la vendita è valida ma il prezzo varia in riguardo al danno. Il prezzo della compravendita deve consistere in danaro, il prezzo deve essere certo e determinato, la decisione del prezzo può essere anche rimessa a una terza persona, Giustiniano stabilì che la vendita, quando il prezzo era determinato da un terzo, era considerata effettuata solo nel momento in cui veniva fatta la determinazione del prezzo. Naturalmente il venditore ha l’obbligo di garantire che la cosa è esente da vizi nascosti. Il compratore è obbligato a pagare il prezzo e a trasferire effettivamente la proprietà delle monete e naturalmente parlandosi di un contratto con il corrispettivo tra entrambe le parti, ci sono due azioni a difesa di entrambi i contraenti che sono: actio empti a favore del compratore e l’actio venditi a favore del venditore. Alla compravendita possono aggiungersi dei fatti accessori che sono la lex commissoria e la in diem addictio • Lex commissoria: Patto per cui la vendita si deve ritenere sciolta e la cosa ritorna al venditore quando il prezzo non sia stato pagato entro un certo termine. • In diem addictio: Per cui la compravendita si ritiene sciolta se al venditore vengono date delle offerte migliori • La locatio conductio (locazione conduzione): è un contratto consensuale bilaterale per cui una delle parti promette all’altra il godimento temporaneo di una cosa oppure promette la prestazione di una serie di servizi o di una opera determinata dietro la promessa di ricevere un corrispettivo. In essa ciascuna parte rappresenta quella del debitore e del creditore nello stesso tempo. Il corrispettivo da pagare si chiama mercede e di regola è il danaro. Distinguiamo come oggetto delle locazioni: • La locatio conductio rerum (di cose): Era un negozio analogo alla compravendita, l’obbligazione del locatore è di consegnare la cosa, in modo da servire all’uso promesso e garantire il libero godimento al locatario. Pertanto il locatore non può fare alcun mutamento della cosa finché la locazione dura. Il locatario è obbligato a corrispondere il pagamento del fitto nel momento in cui viene stabilito. Ala fine del contratto deve restituire la cosa non deteriorata. Chi abbandona il fondo locato prima del tempo era obbligato a pagare il fitto per l’intero periodo convenuto. • La locatio conductio operarum (di opere): consisteva in un rapporto di lavoro subordinato. Il lavoratore libero (non schiavo) dava in locazione se stesso e la sua forza lavoro. Locatore era il lavoratore subordinato, conduttore il datore di lavoro. • La locatio conductio operis (di un opera): In questo caso l’oggetto è un’opera determinata e si considera come locatore non chi fa l’opera ma colui per conto del quale quell’opera è fatta. • La società: È un contratto consensuale per cui due persone si obbligano reciprocamente a mettere insieme delle cose o delle opere per conseguire un fine lecito di comune utilità. Nella società si può far entrare qualsiasi oggetto, non è necessario che le cose messe dai soci siano uguali cosi come non è necessario che abbiano tutti parti uguali nei guadagni e nelle perdite. Non si può invece fare una società dove il guadagno vada ad un solo socio. A seconda dei mezzi messi a disposizione della società parliamo di societas di cose, di opere, e miste. Secondo lo scopo della società distinguiamo le società questuarie che hanno come fine il guadagno e le società non questuarie che non hanno come fine il guadagno. La società si estingue o per morte dei soci o per capitis deminutio massima e media di uno dei soci (bisogna rifare la società con i membri restanti). Poi si estingue per l’esaurimento dello scopo o del patrimonio o perché lo scopo diviene illecito, anche per volontà comune dei soci o per la rinunzia di uno di essi o perché era stata stabilita una durata della società o per trasformazione o scioglimento della società. • Il mandato: è un contratto consensuale bilaterale per cui una delle parti (mandatario) si obbliga gratuitamente a eseguire una prestazione o a gestire un affare per conto dell’altra parte (mandante) dalla quale ha ricevuto l’incarico. Oggetto del mandato è un’opera onesta e di possibile esecuzione che offra un interesse per il mandante.
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