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Disabilità e cicli di vita, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto di "Disabilità e cicli di vita. Le famiglie tra seduttivi immaginari e plausibili realtà" di C. Giaconi, R. Caldin

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 16/03/2022

crslv16
crslv16 🇮🇹

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Scarica Disabilità e cicli di vita e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Disabilità e cicli di vita La pedagogia speciale “incontra” le famiglie con figli con disabilità complesse (di Catia Giaconi*, Simone Aparecida Capellini**, Del Bianco Noemi*, Ilaria D’Angelo*) 1. Introduzione La letteratura sul costrutto della QdV porta ad interrogarsi sul collegamento tra il QdV e i caregivers di persone con disabilità. Prima di entrare nel vivo della questione, bisogna fare alcune premesse. - la Qualità di Vita di una persona, ed in particolar modo di persone con disabilità, è strettamente legata a quella della famiglia o dei suoi caregivers e quindi vi è collegamento tra la QdV del soggetto con disabilità e la QdV del caregivers. - Le aspettative di vita delle persone con disabilità cportano a ripensare alla QdV dei caregivers familiari. La progettualità del futuro stesso delle persone con disabilità devono superare le logiche dell’emergenza per lasciare spazio a pianificazioni sostenibili e pensate “per tempo”, sviluppate in sinergia tanto con la persona con disabilità quanto con i suoi caregiver e i servizi territoriali. 2. Cargivers e Qualità di Vita Il passaggio verso l’età adulta rappresenta un periodo critico per le famiglie di giovani adulti con disabilità; l’aumento dell’età di persone con disabilità complesse porta a nuove sfide perchè è necessario ripensare i percorsi di progettazione di vita, porta a ripensare al senso e alla qualità dei progetti (la definizione di disabilità complessa arriva in seguito alla definizione di PIMD, che sottolinea come le 2 caratteristiche principali siano la disabilità intellettiva e motoria). Proprio per ciò che significa “disabilità complessa”, vi è una necessità elevata di formulare delle risposte di sostegno in tutte le attività, anche quelle più semplici e quotidiane e quindi i caregiver di persone con disabilità complesse hanno compiti di cura particolarmente impegnativi. Probabilmente, è proprio la distanza tra il funzionamento della persona con disabilità e il livello di azione e adattamento quotidiano che crea un livello di QdV negativo dei caregivers, che indicano livelli minimi o inesistenti soprattutto nei domini riguardanti il tempo libero e le relazioni soprattutto perchè non vi sono sufficienti politiche socio-sanitarie, servizi o risorse a sostegno del nucleo familiare. Tra l’altro, i caregivers, oltre a dover affrontare le problematiche relative al soggetto e al suo invecchiamento, devono anche fare i conti con il loro di invecchiamento, che sicuramente peggiorerà il quadro generale della situazione. Con l’invecchiamento dei soggetti, inoltre, arriva anche il problema economico perchè i soggetti con disabilità e le loro famiglie perdono i sostegni economici garantiti, invece, durante il periodo scolastico. Con la fine della scuola dell’obbligo i familiari di persone con disabilità complesse fanno esperienza di maggiori livelli di ansia e frustrazione, dovuti alla necessità di cercare nuovi servizi, alla mancanza di adeguati supporti, anche nell’accesso alle informazioni, all’aumento delle spese economiche e alla paura della perdita della rete sociale finora conosciuta. Le preoccupazioni del nucleo familiare si estendono anche ai fratelli delle persone con disabilità complesse, che assumono sempre più spesso il ruolo di principale caregiver. Quando, infatti, i genitori non sono più in grado di prendersi cura del proprio figlio, nella maggior parte dei casi sono proprio quest’ultimi a succedere nei compiti di cura e assistenza. I fratelli adulti affrontano molteplici sfide, ricoprendo diversi ruoli nei confronti dei propri fratelli con disabilità durante l’arco della loro vita, trovandosi a fronteggiare molteplici situazioni che avranno un impatto sul loro stesso progetto di vita. Le esigenze principalmente avvertite dai sibling riguardano: - la formazione sull’assunzione di compiti di rappresentanza e responsabilità legale, - un sostegno da parte dei servizi prima dell’assunzione del ruolo, magari tramite gruppi di confronto e supporto - l’accesso alle informazioni sui servizi e alle politiche per l’età adulta di persone con disabilità 3. Verso un Sistema Integrato Sintentizzando, le criticità che vengono alla luce possono essere suddivise in 3 aree principali: a- la mancanza di sistematicità nella progettazione dei percorsi di vita futura; b- la difficoltà nell’accesso alle informazioni necessarie alla transizione verso nuovi contesti di vita; c- i pochi servizi per la presa in carico di persone adulte con disabilità complesse. Soprattutto in riferimento al terzo punto (c) viene ricordato che le risorse sociali, come l’assistenza domiciliare o la presenza di un centro di servizi per famiglie, possa offrire grandi aspetti positivi nella QdV sia del soggetto con disabilità che del caregivers. E’ necessario considerare l’importanza fondamentale di un sistema integrato, in cui considerare gli adulti con PIMD e la loro famiglia, in cui tutti sono riconosciuti, ascoltati, supportati. I caregiver familiari possono assumere ruoli centrali all’interno dei servizi, soprattutto per la formulazione dei bisogni dei loro cari, perchè sono degli esperti nelle pratiche di cura di questi. In questo ambito, è importante procedere nell’approfondimento delle migliori pratiche in grado di supportare la persona e i membri della famiglia, tanto nella costruzione dei percorsi di vita futura, quanto nella soddisfazione dei nuovi bisogni che emergono con l’avanzare dell’età della rete familiare e, dunque, sia per i caregiver familiari anziani, che per quanti succederanno loro in futuro. 4. Conclusioni e prospettive Le criticità pedagogiche affrontate in termini di supporto ai caregiver familiari di persone con PIMD, chiede di poter riformulare le modalità di presa in carico che dovranno essere pensate non solo per la persona ma anche per la sua rete di riferimento. E’ necessario, quindi, predisporre per tempo delle soluzioni personalizzate che possano divenire dei veri e propri progetti di vita senza operare come emergenza, ottenendo le giuste informazioni in riferimento alla rete dei servizi alla persona; e supportando le fasi dell’età adulta e dell’età senile. Dal significato della diagnosi al senso di un progetto esistenziale (di Francesca Salis) La tesi sostenuta in questo lavoro è che la comunicazione della diagnosi costituisca il primo passo verso la costruzione del progetto di vita e che sia necessaria la presenza del pedagogista nella struttura sanitaria neonatale anche alla luce dei recenti mutamenti legislativi che riconoscono tale figura come fondamentale nel processo di cura educativa. 2. Dalla coppia alla famiglia: una transizione complessa Nonostante si pensi che la pedagogia, così come la didattica tra l’altro, sia esclusiva nei contesti scolastici, la funzione pedagogico- didattica riguarda le diverse fasi e contesti del ciclo esistenziale, partendo dalla genitorialità. La genitorialità è un luogo interiore che si forma nell’infanzia, nel momento in cui ciascuna interiorizza i modelli che ci si trovano davanti, cioè comportamenti, regole, tradizioni, sguardi, tipici del nucleo familiare. Infatti, con la nascita di un figlio il patrimonio esperienziale dell’essere stati figli si riattiva, generando contestualmente il “Genitore interno” quindi la capacità di prendersi cura dell’altro, di essere genitore, si basa sulle tracce, sulle impronte, che i genitori hanno lasciato sulla propria esperienza. Ovviamente, oltre al modello infantile, il modello genitoriale che ognuno assume è contaminato anche dalla somma delle relazioni avute durante il corso della propria vita. - l’affermazione sociale dei pregiudizi e degli stereotipi che enfatizzano l’ipotetica incapacità di esercitare le funzioni genitoriali materne; 2. Identità-corpo e diritto all’affettività e alla generatività Per comprendere pienamente gli ostacoli culturali all’esperienza della maternità per le donne con disabilità è utile riflettere su come il corpo femminile con deficit sia stato interpretato all’interno del complesso dibattito dei Feminist Studies (FS) e dei Disability Studies (DS). Come approfondito in un altro lavoro (Taddei, 2020), il focus culturale e la motivazione socio-politica dei primi (FS) erano orientati a difendere i diritti della cosiddetta essential woman (Spelman, 1990) una donna bianca, di classe borghese e abile che fu esposta come un mito durante la seconda ondata del movimento femminista. Questa categoria di donne escludeva i diversi volti delle minoranze destinati a rimanere senza voce, ad eccezione del Black Feminist Movement (Crenshaw, 1989) che riuscì ad affermare il tema delle discriminazioni multiple a partire dalla questione razziale. In particolare, le situazioni delle donne anziane e di quelle con disabilità sono state totalmente assenti dal dibattito femminista. Al riguardo Morris sostiene che l’invisibilità e l’esclusione di queste due specifiche categorie è riconducibile «all’incapacità delle donne senza disabilità di identificarsi con l’esperienza soggettiva di coloro che necessitano di qualche forma di cura […]» (1993, p. 59). Di fatto non sono state riconosciute le loro esperienze e peculiarità all’interno di una società sessista e abilista. All’interno di questo scenario, le istanze delle donne con disabilità sul diritto all’assistenza personale attraverso i caregivers, alla tutela dalle diverse forme di violenza, alla riproduzione sessuale e alla maternità non hanno trovato ascolto. Un contributo significativo all’analisi della questione deriva dai Feminist Disability Studies, i quali finalmente avviano una revisione critica delle teorie femministe assumendo il binomio genere-disabilità, attraverso intellettuali come Michelle Fine, Adriane Asch, Barbara Hillyer Davis, Jenni Morris, Karen de Pauw, Susan Wendell e Garland-Thomson. La radice del problema è riconducibile all’assenza delle donne con disabilità dall’espressione del mondo femminile: infatti, rappresentate come eterne bambine indifese, vengono private, in modo particolare, del diritto di scegliere le strade appartenenti “normalmente” agli itinerari esistenziali delle donne senza disabilità: come avere relazioni affettive, lavorare o diventare madri (Fine e Asch, 1988). Il silenzio sulla voce delle donne con disabilità non ha riguardato solo i movimenti e gli studi femministi ma anche le organizzazioni per i diritti civili delle persone con disabilità e i Disability Studies i quali hanno inizialmente adottato una rigida interpretazione del modello sociale della disabilità in opposizione al modello medico individuale. Infatti, Schriempf (2001) argomenta come storicamente la disabilità sia stata associata al concetto di devianza rispetto ad un’idea di normalità convenzionale e della quale il concetto di “abilismo” ne è espressione. Tali assunti sono stati fatti propri dal modello medico-individuale, secondo cui la disabilità è sostanzialmente una malattia da curare per ridurre la distanza tra le condizioni psico-fisiche della persona con deficit e gli standard convenzionali di salute ed estetica. Le ricadute sociali di questa interpretazione trovano sintesi in un approccio che tende a separare, se non ad escludere, le persone con disabilità dai contesti e dagli spazi di vita pubblica per essere invece “istituzionalizzate” in apposite strutture o relegate in luoghi specifici e separati dalla società cosiddetta “normale o normodotata”. Il corpo viene quindi “rimosso” dagli ambienti sociali e culturali. La volontà di contrastare questa visione della disabilità spinge i sostenitori del modello sociale a far prevalere la dimensione sociale e politica della disabilità su quella soggettiva di cui il corpo è fondamentale manifestazione identitaria. Senza negare il contributo rivoluzionario offerto dal modello sociale, una significativa rappresentanza delle femministe con disabilità sostiene che la questione di genere viene occultata all’interno del modello stesso in quanto l’importanza del corpo è ignorata nell’analisi della condizione di disabilità e nella costruzione identitaria femminile. Schrimp afferma che tale visione «ha amputato i disabili (in particolare i corpi delle donne) delle loro menomazioni e delle loro esigenze biologiche e sociali» (2001, p. 60) alimentando i processi discriminatori nei confronti delle donne con disabilità. Il legame corpo-identità include anche la sfera affettiva e sessuale generalmente “dimenticata” dall’immaginario sulle persone con disabilità, come diversi studiosi della Pedagogia Sociale hanno approfondito nei loro contributi (Lascioli, 2016; Bocci, 2019). Le ragioni vanno ricercate nella dominanza di un modello culturale fondato sull’eterosessualità e sull’“abilismo” che automaticamente esclude eventuali difformità fisiche. All’interno del processo di oggettivazione della sessualità, le donne, in modo particolare, sono identificate in corpi neutri ritenuti inadeguati a vivere l’esperienza sessuale così come quella riproduttiva. Quest’ultima, in particolare, anima il complesso dibattito che ruota intorno al diritto alla vita e alla questione bioetica, che sottolinea il perpetrarsi di pratiche che violano il diritto alla riproduzione e quindi alla maternità delle donne con disabilità (Comitato Sammarinese di Bioetica, 2010; Garland- Thomson, 2012). Adrienne Asch ed altre colleghe hanno attentamente distinto tra il diritto delle donne di scegliere di interrompere la gravidanza dall’obbligo, invece, di “dover” rinunciare alla vita del proprio nascituro con disabilità (Asch, 1990; Asch e Geller 1996; Smith, 2005). Infine, la predominanza di un linguaggio che si riferisce costantemente ad un modello socio-culturale per donne abili afferma nella realtà dei fatti che il diritto di scegliere in merito alla gravidanza, all’aborto e alla riproduzione in generale, non è ancora tutelato nei confronti delle donne con disabilità (Krafer, 2013). 3. Qualità dei servizi socio-sanitari e materno-infantili: uno sguardo internazionale Al livello internazionale si nota come i servizi socio-sanitari e quelli materno-infantili per le donne con disabilità in maternità siano piuttosto impreparati rispetto ai servizi ginecologici. L’unico paese, attualmente, a differenziarsi è l’Australia, perchè mette in pratica parti specializzati in base alle diverse disabilità delle madri, disponendo anche di rete di sostegni per il post parto. Una ricerca in Regno Unito dimostra come siano principalmente le donne con disabilità sensoriale ad avere maggior difficoltà a raggiungere le informazioni (ad esempio, le donne con disabilità visiva lamentano la mancanza di accesso a informazioni durante la gravidanza). In conclusione, barriere comunicative, deficit nell’informazione sanitaria e una mancanza di competenze specifiche dei professionisti socio-sanitari rappresentano alcune dei maggiori ostacoli culturali affrontati dalle donne con disabilità. Emerge, quindi, la necessità di produrre materiale informativo accessibile, di formare adeguatamente le figure professionali coinvolte nei servizi di cura delle donne durante l’intero periodo della maternità, così come l’assegnazione di tempi di cura aggiuntivi e la flessibilità nella conduzione delle visite nel periodo post-natale. In una buona progettazione di servizi socio-sanitari efficienti bisogna - integrare le differenti tipolgie di servizio e di professionisti - considerare tutte le differenti tipologie di disabilità, con le rispettive caratteristiche (difficoltà, esigente, punti di forza) - focalizzare principalmente l’attenzione sulle capacità delle donne, e non solo esclusivamente sulle negatività. 3. Diventare madri. Sfide pedagogiche e questioni aperte Diventare madri costituisce un processo trasformativo e continuamente in evoluzione che si snoda principalmente in tre fasi: a- il concepimento, b- la gravidanza c- la maternità, condizione a tempo indeterminato. È opportuno sottolineare ancora una volta come la maternità per le donne con disabilità rappresenti una importante esperienza di emancipazione, storicamente riservata unicamente alle donne senza disabilità. La letteratura sull’argomento pone l’accento sulle numerose difficoltà vissute dai genitori con disabilità, per esempio il livello di stress molto più elevato rispetto ai genitori senza disabilità, il rischio di negligenza nei confronti dei figli nel caso di genitori con un livello cognitivo fragile. E’ bene, però, sottolineare che tutte queste considerazioni provengono da studi fatti su situazione già di base disagiate, a prescindere dalla situazione di disabilità, per cui è impossibile rendere i risulati attendibili al 100%. Gruson (2003) attraverso il suo studio intende individuare le azioni necessarie per costruire un progetto a sostegno dei genitori che necessitano di un accompagnamento nell’assunzione del ruolo genitoriale e sottolinea l’importanza di investire nelle competenze dei professionisti che svolgono una funzione di sostegno alla genitorialità nei confronti delle madri con disabilità per evitare che le donne continuino ad essere etichettate come eterne bambine o colpevolizzate per aver “osato” vivere l’esperienza della maternità. Thomas (1997) sottolinea la pressione a cui sono sottoposte le madri, per dimostrare che sono abbastanza brave per essere madri. Diversi studi si sono occupati dell’impatto che la disabilità esercita non solo sull’identità delle donne ma anche su quella dei loro figli; spesso i figli sin da piccoli assumano un ruolo attivo nella presa di cura della madre e/o nella partecipazione allo svolgimento delle attività domestiche, ruolo accolto positivamente dalle stesse madri. Le principali difficoltà dal punto di vista fisico riguardano soprattutto i compiti di cura come lavare, vestire, spostare i bambini, prenderli in braccio, per i quali è necessario l’aiuto di altre persone che generalmente le madri preferiscono siano membri della propria famiglia piuttosto che professionisti provenienti dai servizi sociali. Molte sono le donne che investono grandi energie nel dimostrare di essere madri alla pari delle donne senza disabilità, a tal punto da sfidare i limiti della propria resistenza e sofferenza fisica. Nell’essere madri si trovano costantemente a combattere stigmi sociali da cui a volte le loro identità di madri vengono imprigionate. Gli studi presentati evidenziano che le donne adottano alcune strategie per affrontare le sfide quotidiane, come: - sviluppare un pensiero creativo per trovare soluzioni personalizzate (escamotages) - ricercare sostegni fisici, psicologici ed economici per rispondere alle esigenze personali e dei propri figli; - ricercare ed accedere alle informazioni necessarie per tutelare i propri diritti; - trasformare la percezione della propria condizione di disabilità da situazione di svantaggio a fattore di empowerment 4. Prospettive formative e di ricerca Sarebbe interessante realizzare ricerche interdisciplinari tra la Pedagogia Speciale e le discipline mediche di ginecologia-ostetricia e paramediche, per progettare percorsi rispondenti ad una visione di benessere risultante dall’intersezione di numerosi fattori, tra cui, ad esempio, la qualità della relazione medico-paziente. Sono quindi necessari percorsi di accompagnamento alla maternità/genitorialità che coinvolgano donne e partnet, ma anche figure familiari. L’ottica in cui considerare tali percorsi è divisibile in: a) l’Universal Parent Training per sviluppare nei genitori la consapevolezza sui fattori di rischio che caratterizzano la propria funzione genitoriale e le competenze educative necessarie per vivere il proprio ruolo; b) il Peer Tutoring tra donne con disabilità che hanno vissuto o vivono l’esperienza della maternità e che acquistano coraggio e speranza attraverso un processo di rispecchiamento della propria esperienza grazie al confronto con altre donne che hanno vissuto positivamente la medesima situazione. Identità educative e differenze di genere nella relazione tra nonni e nipoti con disabilità (di Gianluca Amatori) 1. Nonni e nipoti con disabilità: una premessa Le dinamiche inclusive all’interno delle relazioni familiari, sono state “aggiustate” nel tempo. In modo particolare, i legami intergenerazionali (nonni, genitori, nipoti) hanno visto ridefinire gli equilibri ib base alle necessità della generazione centrale (genitori). Nello specifico delle relazioni familiari in presenza di un figlio con disabilità, il rapporto tra nonni e nipoti è ancora scarsamente indagato nell’ambito della pedagogia speciale eppure, proprio in virtù del fatto che per i genitori può risultare particolarmente difficile avviare i processi di “elaborazione del lutto” e di adattamento, il ruolo dei nonni e, più in generale, delle persone anziane è decisivo nel supportare la relazione educativa sotto il profilo progettuale.
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