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Discorso scienze e arti, Discorso origine e fondamenti disuguaglianza, Rousseau, Sintesi del corso di Filosofia morale

Riassunto del "Discorso sulle scienze e sulle arti" e del "Discorso sull'origine e sui fondamenti della disuguaglianza", Rousseau

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 08/02/2023

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Scarica Discorso scienze e arti, Discorso origine e fondamenti disuguaglianza, Rousseau e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia morale solo su Docsity! Bruschi Pietro 1 Scritti politici 1 JEAN JACQUES ROUSSEAU INTRODUZIONE Tutte le opere di Rousseau si possono dire, fino ad una certa estensione, politiche. Questo perché al centro della sua ricerca vi è sempre l’uomo; una concezione antropocentrica del mondo all’interno della quale i problemi dell’individuo precedono i problemi della natura umana in generale. Rousseau impone di studiare la società negli uomini e gli uomini nella società, poiché separare morale e politica significherebbe privare l’una o l’altra di una sua componente essenziale. Precursore del moderno individualismo, sorto a difese delle illimitate libertà del sentimento individuale, in Rousseau coesiste anche il seme del socialismo che sacrifica l’individuo alla comunità, costringendolo ad entrare in una rigida forma statale. Questo perché, dato che l’uomo ormai è stabilmente integrato nel sistema politico, la risposta stessa ai propri problemi esistenziali è rintracciabile unicamente all’interno di questo sistema. L’uomo adesso può farsi uomo non alienato solo attraverso quella totale alienazione senza riserve che attua una unione perfetta tra gli uomini politici. Il male e il peccato originale non hanno niente a che vedere con Dio, non hanno come causa né l’uomo singolo né la natura umana in genere; nascono bensì dall’istituzione della società com’è quella contemporanea a Rousseau. Un patto iniquo dalle origini ancestrali, che subordina l’uomo all’uomo tramite la proprietà e il lavoro, che costringe l’uomo all’alienazione e alla sopraffazione dell’altro. L’homme sauvage, quell’uomo prima della società, è ingenuo, innocente, ignaro del possesso e del confronto, mancante di vita morale e di pratica intellettuale. L’uomo selvaggio è isolato. L’homme de homme, ovvero l’uomo risultato dall’associazione con altri uomini, è l’uomo della società, l’uomo che parla e pensa, l’uomo del male e del bene, del vizio e della virtù, delle leggi e della società. L’uomo non è quindi animale politico per natura (Aristotele): l’uomo – da essere isolato come era alle origini – si è scelto di essere come essere sociale, e quindi come essere parte di un tutto. L’uomo non è nemmeno quell’essere predatorio, egoista e malvagio come lo intendeva Hobbes: l’uomo preferiva evitare il contatto, non aveva né bisogno né capacità di parola, e se aveva relazioni di qualsiasi tipo queste erano solo occasionali. L’idea di una società naturale degli uomini e di un diritto naturale anteriore alla legge civile – temi cari ai giusnaturalisti – non è che la proiezione alle origini dell’esperienza storica dei contemporanei. Diritto, morale e legge hanno senso unicamente quando l’uomo diviene cittadino, solo quando raggiunge la propria umanità nella società. Non esiste nessun diritto naturale perché non esiste nessuna originaria società generale del genere umano; il diritto nasce unicamente con il patto sociale. L’uomo è quindi travagliato dalla tensione fra due poli: stato naturale e stato societario. Un ritorno all’isolamento naturale originario è impossibile, ma è anche impossibile realizzare pienamente l’unità totale nella società giusta. Quella tra l’homme sauvage e l’homme de l’homme è una tensione mai risolta, perché la transizione è stata corrotta dal patto iniquo. Il patto sociale che avrebbe permesso un giusto equilibrio avrebbe anche permesso agli individui di essere veramente sé stessi nel rapporto con gli altri, non gli avrebbe annullati nella loro autenticità, e gli avrebbe comunque fatti essere uguali fra loro, in modo tale da fondere l’io dell’uomo civile nel grande io della comunità. La virtù nasce solo con la società, e si realizza solo quando la volontà particolare è in armonia con la volontà generale, ossia all’interno di una società civile e giusta. Le volontà singole si unificano nella volontà generale, permettendo alla virtù di regnare, fondando libertà e giustizia. Bruschi Pietro 2 Nel nuovo patto sociale – risultato dell’unificazione della politica con la morale – si troverà una nuova libertà dove non avrà più senso parlare di priorità o subordinazione. Non si tratterà comunque di un risultato raggiunto con una rivoluzione, le quali traviano gli intenti iniziali e permettono l’ascesa di secondi fini, ma di una palingenesi, ovvero di un ristabilimento a seguito di una distruzione: la medicina al male del patto iniquo può essere trovata solo nel male originario stesso, ovvero nelle leggi (e quindi in un nuovo patto). DISCORSO SULLE SCIENZE E LE ARTI Prefazione: Composto tra 1749 e 1750, il Discorso sulle Scienze e le Arti rappresenta la risposta fornita da Rousseau ad un concorso bandito dall’Accademia di Digione che aveva come quesito: “Se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi”, e quindi se il progresso culturale-scientifico-tecnologico dell’età moderna avesse portato ad un’elevazione materiale e spirituale dell’uomo. Rousseau, come folgorato sulla via di Damasco, sostiene la tesi negativa nonostante la consapevolezza di far parte di una minoranza, ma vince comunque il concorso (anche se in molti ritengono che la vittoria sia da ascrivere più alle doti retoriche dimostrate piuttosto che alle tesi sostenute). Principiando con una citazione di Orazio (“ci lasciamo ingannare dall’apparenza del giusto”), Rousseau sostiene quindi che “il rinascimento delle scienze e delle arti” abbia contribuito a corrompere i costumi, anziché a migliorarli. La cultura avrebbe corrotto le anime. Nella prima parte del discorso vengono posti degli esempi della storia antica a favore della propria tesi decadentista e anti-illuminista; nella seconda parte viene messa a fuoco la società contemporanea. Concentrandosi qui soprattutto sul dualismo essere-apparire, il Discorso sulle Scienze e le Arti rappresenta quasi l’incipit preparatorio alle tesi del Discorso sull’Origine e i Fondamenti della Disuguaglianza e del Contratto Sociale: la natura ha fatto ogni cosa buona, uomo compreso, e ha preservato quanto possibile quest’ultimo dall’uso malefico dell’intelletto e del linguaggio; col passare del tempo, tuttavia, l’uomo ha abbandonato il suo stadio selvaggio per farsi uomo civile, e con la nascita della proprietà privata e della divisione del lavoro è nata la disparità, la quale è a sua volta degenerata in un contratto sociale iniquo ormai irrecuperabilmente compromesso. Il male è nato pertanto con la società, con le attività esterne dell’uomo. La tensione mai sanata tra l’ingenua bontà e libertà dell’uomo selvaggio e la ragionata maleficenza e schiavitù dell’uomo della società ha generato il senso di alienazione che pervade l’uomo moderno. Questo confonde per naturali i bisogni e gli obiettivi che sono invece indotti da una società fondata sull’iniquità; l’uomo della società vive fuori-sé-stesso, secondo modelli esterni. Contrapponendo all’esaltazione illuministica della ragione il richiamo ad un più profondo sentimento della coscienza, quello di Rousseau è una forma di “irrazionalismo” sentimentalista, che fa riferimento al cuore piuttosto che alla ragione. La virtù si realizza come un dovere morale individualista che scaturisce dal cuore. Prima Parte: Dopo aver esaltato gli antichi (una parte di essi, quelli che non si sono lasciati corrompere dalle arti) e biasimato il medioevo – che aveva fatto ricadere l’Europa nella barbarie pre-logica – Rousseau afferma che con la caduta di Costantinopoli sono nuovamente giunte nel Vecchio Continente le amate lettere che tanto avevano giovato agli antichi; tuttavia con esse sono state anche reintrodotte scienze e arti che erano andate perse nei secoli bui. Da queste sarebbe derivato più di tutti la vanità e il desiderio di piacere, i due mali che piagano la società contemporanea a Rousseau. Con scienze e arti sono state reintrodotte la logica dell’apparenza e della costrizione sociale, che nei tempi moderni sono più evidenti che mai. Bruschi Pietro 5 Il Discorso rappresenta una sorta di cronologia della corruzione. Partendo dallo stato positivo di uomo selvaggio, Rousseau ne ripercorre le tappe che lo hanno portato prima a diventare uomo sociale – dove ha germogliato il seme della disuguaglianza – e poi uomo civilizzato, ovvero uomo sotto il giogo della convenzione civile. La fonte prima del male nella società viene identificata con la disuguaglianza e con il desiderio di primeggiare, quest’ultimo nato dall’incremento delle frequentazioni tra uomini selvaggi; risultato di questo desiderio sono le scienze e le arti come strumento di predominio e affermazione. La speranza di un avvenire positivo è riposta da Rousseau in una palingenesi, che ritrovi la medicina del male nel male stesso, permettendo la creazione di una nuova società rigenerata e ben fondata. Prima Parte: Stato naturale. Possiamo distinguere due specie di disuguaglianza: 1) quella naturale o fisica, stabilita dalla natura (differenza di età, salute, predisposizione del corpo); 2) quella morale o politica, derivata da una convenzione stabilita o autorizzata dagli uomini (diversi privilegi di cui alcuni godono a danno di altri: ricchezza, onori, potere). La fonte della disuguaglianza naturale è implicita nella definizione, mentre quella morale o politica deve essere analizzata nelle sue origini, soprattutto concentrandosi sul momento in cui questa venne sostituita e legata alla disuguaglianza naturale. Nello stato di natura, non si può parlare di categorie morali come autorità, potere e governo; questo perché l’uomo nasce libero e solo/isolato. Nello stato naturale, gli unici bisogni che l’uomo selvaggio deve soddisfare sono quelli già forniti dalla natura: autoconservazione e riproduzione (il resto, ovvero le passioni, sono state aggiunte solamente in seguito, nello stato civile). L’uomo naturale, ingenuo e semplice nei propri bisogni primari, vive perciò in equilibrio con la sola natura, sano nel corpo, strumento autosufficiente isolato dagli altri, i quali incontra solo occasionalmente e dai quali subito si diparte. La sua condizione pre-morale si basa su due soli sentimenti naturali: 1) l’amore di sé (lo spirito di conservazione, diverso dall’amor proprio, che è invece sentimento artificioso di sopraffazione a scapito del prossimo); 2) la pietà (la ripugnanza verso la sofferenza altrui). L’uomo è retto dalla giustizia razionale e dalla bontà naturale: “fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” e “fai il tuo bene col minor male possibile per gli altri”. La disuguaglianza naturale o fisica era pertanto inconsistente nelle sue implicazioni di disuguaglianza morale o politica: ognuno era autosufficiente, e qualora un malvagio avesse voluto obbligare un altro uomo alla schiavitù, questo non avrebbe dovuto fare altro che allontanarsi, dato che non aveva niente a legarlo in schiavitù (come la proprietà o la dipendenza data dalla divisione del lavoro). Autosufficiente e sostanzialmente isolato, l’uomo decide tuttavia di cambiare il proprio status sotto la spinta della sua natura: l’essere umano è infatti l’unico essere privo di istinto (proprio anche degli animali), motivo per il quale è posto dalla natura in libertà di appropriarsene di tutti. L’uomo ha la facoltà di “farsi tutto”, mentre gli altri animali sono imprigionati in una natura/istinto specifico; l’uomo può discostarsi dalla regola imposta da natura; il tratto specifico dell’uomo è la sua qualità di agente libero. Dote di questa capacità naturale, è la tendenza al perfezionamento, all’acquisizione di istinti (“mentre l’animale in pochi mesi diventa ciò che sarà per tutta la vita”). L’uomo che medita diviene animale depravato. Il primo pensiero che elabora è quello della paura della morte, ed il primo elemento che migliora per ostacolarla è il linguaggio, necessario alla collaborazione; ed è qui che insorge la prima caratteristica/capacità soggetta a disuguaglianza. Con l’acquisizione del linguaggio si aprono le porte al ragionamento astratto, dal quale deriveranno tutte le altre caratteristiche/capacità causa di disuguaglianza. Dal grido di natura si passa alla capacità di parlare e gesticolare, e se prima non si era capaci di differenziare il bene dal male, il bello dal brutto (perché non c’erano né la capacità intellettuale né gli estremi del paragone), adesso tutto può essere paragonato e posto in diseguaglianza. Bruschi Pietro 6 Seconda Parte: Stato civile. La spirale continua ad avvitarsi, e, per praticità della collaborazione, l’uomo diviene stanziale, costruisce case e si organizza socialmente, prima in famiglie, poi in clan, poi in tribù. Divenendo socievole, sempre a contatto con l’altro, l’uomo sviluppa l’invidia, la gelosia e il desiderio di riconoscimento; la benigna innocenza è compromessa. Due grandi invenzioni hanno oltremodo incatenato l’uomo alla sua futura disuguaglianza: l’agricoltura e la metallurgia. La seconda genererà la vanità dell’ingegno, che pone il pensante al di sopra dell’altro, il lusso e l’ozio, a causa dei quali gli altri devono faticare più della giusta misura. La prima creerà le recinzioni e di conseguenza il concetto di proprietà privata (dato che l’agricoltura richiede lunghi prolungati – a differenza della raccolta dei nomadi – l’essere umano non vuole vedersi privato dei frutti dei propri sforzi) e di società civile (necessità di accordi regolamentati per far sì che quanto prima affermato non avvenga, oltre a dividere i lavori). Si crea prima una disuguaglianza tra chi ha e chi non ha; poi nasce il diritto positivo per arginare i conflitti tra uomini, e si creano differenze di potere (legislatori/magistrati e comuni cittadini): i ricchi propongono il patto sociale ai poveri, i quali cedono le libertà individuali in cambio della protezione di un sovrano. A questo punto, la legge della proprietà e della diseguaglianza è fissata dalla legittimità. Non più autosufficiente, l’uomo diviene anche schiavo, e con la sua maniera di vivere molle finisce per perdere dote sia nel corpo che nell’animo. Il più forte lavora di più, il più ingegnoso abbrevia il proprio lavoro, e così la diseguaglianza naturale si acuisce sempre più. A questo punto, per guadagnare vantaggi invisi agli altri, ci si dovette mostrare diversi da ciò che si era in realtà, e le discordanze tra essere e apparire diventano le nuove fonti del vizio. Se nell’uomo selvaggio tutto finiva dopo lo scontro, dopo l’accoppiamento o dopo il nutrimento, nell’uomo civile il desiderio non ha mai tregua: una volta esaudito quello necessario si passa a quello superfluo. Per la legge di natura, il padre è padrone del figlio solo perché il figlio ha bisogno del suo aiuto; quando il figlio cresce, allora deve rispetto al padre, non obbedienza. Specularmente, l’uomo si è messo nelle mani sbagliate quando ne aveva bisogno, ovvero in quel periodo di anarchia e conflitto derivato dall’istituzione della proprietà privata. Ma adesso i governi riportano semplicemente la legge del più forte, ovvero quella legge della quale originariamente dovevano essere rimedio. Ripercorrendo quindi i tre stadi dell’evoluzione della disuguaglianza, avremo: 1. Introduzione del diritto di proprietà: distinzione tra ricco e povero. 2. Istituzione della legge e della magistratura: distinzione tra potente e debole. 3. Trasformazione da potere legittimo a potere arbitrario: distinzione tra padrone e schiavo. A questo punto, tutto è insanabile, perché i vizi che rendono necessarie le istituzioni sociali sono i medesimi che ne rendono inevitabili gli abusi e le leggi. Gli uomini ne sono schiavi inconsapevoli e non sono in grado di cambiarli. Il desiderio di riconoscimento, l’inganno e l’ingiustizia si propagano in tutto il corpo civico per imitazione: verticale tra ricchi e poveri, orizzontale tra poveri e poveri. Il cerchio sembra chiudersi nel dispotismo: tutti i privati tornano ad essere uguali perché tutti sono niente, i sudditi non hanno altra legge oltre la volontà del padrone, il padrone non ha altra norma se non le sue passioni, e le nozioni di bene e giustizia scompaiono. Si ritorna pienamente alla legge del più forte, e il despota rimarrà padrone solo fino a quando non giungerà un pretendente più forte secondo ordine naturale. L’uomo selvaggio e quello civilizzato sono quindi diversi nel profondo del cuore: l’uno è libero e l’altro assuefatto alla schiavitù, l’uno vive in sé stesso e l’altro vive del morboso confronto con l’esterno.
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