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Discorso sulle Scienze e sulle arti, Dispense di Storia Moderna

Riassunto del Discorso sulle Scienze e sulle arti di Jean Jacque Rousseau

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 11/02/2023

sofia-rambaldi
sofia-rambaldi 🇮🇹

4.6

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Scarica Discorso sulle Scienze e sulle arti e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Il discorso si apre con la questione posta dall’Accademia di Digione: Il rinascimento delle scienze ha contribuito alla purificazione o alla corruzione dei costumi? Come si può criticare le scienze e lodare l’ignoranza davanti ad una riunione di Sapienti come l’Accademia? Io non maltratto la scienza, ma difendo la virtù (Inizio apologetico). Il motivo che lo spinge è la ricerca ed esposizione della verità. A prescindere che vinca, c’è un premio per lui, trovato in fondo al cuore, la consapevolezza di aver detto il vero. PARTE PRIMA. Fu uno spettacolo vedere l’uomo disperdere, con la ragione, le tenebre in cui la natura l’aveva avvolto, innalzarsi sopra sé stesso, e poi ancor meglio, rientrare in sé per poter studiare l’uomo e la natura stesse. Queste meraviglie si sono rinnovate pochi decenni prima (rinascita delle lettere). L’Europa era ricaduta nella barbarie ed occorreva una rivoluzione per ricondurre gli uomini al senso comune, rivoluzione che provenne da qualcuno di insospettabile: lo stupido musulmano che fece rinascere le lettere in noi (traduzione e commento arabi delle opere Greche, diffuse in Europa). La caduta dell’Impero Bizantino portò in Europa i resti dell’antica Grecia -opere degli antichi-. Alla rinascita delle lettere seguì quella delle scienze: l’arte di scrivere si unì all’arte di pensare. Si cominciò a percepire il vantaggio dello scambio poetico che rese gli uomini più socievoli inspirando in loro il desiderio di piacere gli uni agli altri attraverso scritti ed opere degni di approvazione. Lo spirito ha i suoi bisogni, al pari del corpo. Questi sono il fondamento della società. Mentre governo e leggi si occupano di benessere e sicurezza degli uomini, scienze, lettere, arti abbelliscono le catene con cui i popoli sono costretti, soffocano il sentimento di libertà, fanno loro amare la schiavitù creando i cosiddetti “popoli civili”. Il bisogno creò i governi, mentre le arti li hanno rafforzati. Potenti della terra amate gli ingegni ed incoraggiateli poiché costringono il popolo in una condizione di felice schiavitù. - Nota di Rousseau: i principi sono consapevoli del gusto dei popoli per le arti che si diffondono fra essi. Sanno benissimo che più bisogni il popolo si dà, maggiori sono le catene di cui si carica. Riporta poi l’esempio: i selvaggi delle Americhe non sono mai stati domati proprio per questo: chi potrebbe imporsi su uomini che non hanno bisogno di niente? Dunque il nostro popolo ha acquisito dolcezza di carattere e urbanità di costumi: l’apparenza di tutte le virtù pur senza possederne nessuna. Anche Atene e Roma si caratterizzarono in questo modo nei giorni della loro magnificenza. Per le stesse caratteristica anche la nostra nazione prevarrà sulle altre: tono filosofico non pedante, modi naturali e tuttavia graziosi lontani dalla rustichezza tedesca. Questi sono i frutti del gusto acquisito con buoni studi perfezionato dalle relazioni mondane. Sarebbe ottimo se al contegno esteriore corrispondessero sempre le disposizioni interne dell’animo. Ma questo accade raramente e la virtù non procede alla stessa velocità della raffinatezza. L’uomo sano e robusto si riconosce infatti sotto l’abito dell’agricoltore e non sotto la doratura del cortigiano. L’uomo da bene è l’atleta che si compiace di lottare nudo, e che disprezza tutti quegli ornamenti di cui ci ricopriamo oggi, nati solo per nascondere qualche deformità. Prima che l’arte ingentilisse le maniere, i costumi erano rozzi ma naturali e soprattutto le differenze di condotta rispecchiavano quella del carattere. Non che la natura umana di fondo fosse migliore, ma gli uomini trovavano sicurezza nella capacità di leggersi vicendevolmente. Questa trasparenza risparmiava una gran quantità di vizi. Oggi invece regna tra noi un’ingannevole uniformità, tutti gli spiriti sembrano fatti con lo stesso stampo. Si seguono gli usi e non il proprio genio, non ci si mostra per ciò che si è. Quel gregge di uomini che forma la società fanno tutti le stesse cose. Non si riesce mai a capire con chi si ha a che fare. Per conoscere davvero qualcuno bisogna aspettare le grandi occasioni e in quel momento sarà troppo tardi perché proprio in quelle è utile conoscere qualcuno davvero. Non esistono più amicizia sincera né fiducia. L’odio e il tradimento si nascondono sotto il velo della cortesia. non si vantano i propri meriti, di avviliscono quelli degli altri. Si spengono gli odi nazionali ma al tempo stesso anche l’amor di patria. Alcuni vizi ed eccessi sono banditi, ma altri sono invece decorati e spacciati per virtù, e tutti devono averli o fingere di averli. -Nota di Rousseau: citando Montaigne che sostiene di amare discorrere del proprio spirito ma solo con pochi uomini in quanto mettersi in mostra è un affare sconveniente, sostiene che sia la principale occupazione di tutti i sapienti, meno uno (probabilmente Diderot). Il merito di questo è delle lettere, scienze e arti. Se uno straniero volesse studiare la nostra società per comprendere i nostri costumi, vedrebbe la perfezione delle nostre arti, la decenza degli spettacoli e le continue dimostrazioni di benevolenza, finendo per intendere l’esatto opposto di ciò che siamo in realtà. La depravazione è reale e le nostre anime si sono corrotte con il progressivo perfezionarsi delle nostre arti. Non è però questo un male particolare del nostro tempo, è anzi vecchio come il mondo. L’Egitto, diviene culla della filosofia e delle belle arti, e subito dopo preda di Cambise, dei Greci, dei Romani, Arabi e Turchi. La Grecia popolata da eroi che vinsero due volte l’asia fu corrotta dalle lettere, dal progresso delle arti e dalla dissoluzione dei costumi cui seguì poco dopo il dominio macedone. L’eloquenza di Demostene non fu abbastanza per rianimare un corpo snervato dal lusso -ritorna la metafora, nucleo principale del discorso: forza fisica, vigore, virilità vs. effeminatezza, raffinatezza, lusso-. Roma, che al tempo di Ennio e Terenzio era resa grande dagli agricoltori, si corruppe con l’avanzata delle lettere e con Ovidio, Catullo, Marziale, autori empi ed osceni, diventando teatro di delitti e obbrobrio delle nazioni. Costantinopoli, capitale del mondo e casa di scienze ed arti è anche patria dei tradimenti, assassini, veleni. Tornando al presente basti guardare alla Cina, dove le lettere conducono alle prime cariche dello Stato, se le arti elevassero la natura umana questa regione dovrebbe essere nazione di saggi invincibili, mentre invece è percorsa dal vizio e dal delitto! Opposti a questi esempi invece, alcuni popoli che con le loro virtù fungono da modelli per le altre nazioni. Persiani antichi, dove s’imparava la virtù come da noi la scienza ed infatti dominarono l’asia con facilità. Sciiti, Germani. Roma ai primi tempi, la Svizzera -sua patria-. Questi popoli hanno preferito altri esercizi a quello dello spirito non per stupidità. Sapevano che altri popoli praticavano l’ozio e meditando su altre questioni attribuivano a sé stessi gli elogi più grandi chiamando proprio questi barbari. Ma proprio conoscendoli hanno imparato a disdegnare la loro dottrina. Anche in Grecia fu celebre quella città che si elevò per la sua felice ignoranza: Sparta. E’ la storia che narra le differenze fra Atene, patria della raffinatezza, di oratori e filosofi, dell’eleganza, da cui uscirono opere meravigliose, e Sparta, meno brillante ma patria di uomini virtuosi, che altri non ci ha lasciato che il ricordo dei loro atti eroici. Ma davvero questi valgono meno dei marmi rari da Atene? Alcuni sapienti furono capaci di difendersi dal vizio, primo fra tutti fu Socrate: “Ho esaminato i poeti, essi si danno per sapienti ma non lo sono affatto, e così anche gli artisti. I più abili fra questi che eccellono nella loro patria si considerano i più sapienti tra gli uomini, e proprio questa presunzione ha offuscato il loro sapere. Se l’oracolo mi facesse scegliere fra diventare uno di loro o rimanere me stesso risponderei che voglio rimanere ciò che sono, perché vige tra di noi una differenza: anche se né io che indebolivano il corpo e spegnevano il vigore dell’animo. Con che coraggio infatti i soldati avrebbero sopportato lavori eccessivi cui non erano abituati? Non voglio qui sminuire il valore dei moderni guerrieri. Mi viene sempre ricordato il loro valore nel giorno della battaglia, ma nessuno mi dice nulla sulla loro resistenza al vigore delle stagioni. Basta infatti un po’ di neve o la privazione di qualche comodità per distruggere il migliore dei nostri eserciti in pochi giorni. Non sempre sono i combattimenti a fare il risultato delle guerra. Un po’ di forza e vigore sarebbero più necessari che tanto valore in battaglia. Ed allo Stato che interessa se i soldati muoiono in combattimento o per la febbre? Il culto delle scienze è dannoso per le arti militari ma lo è ancor di più per le qualità morali. Fin dai primi anni l’educazione insensata si inculca nel nostro spirito e corrompe il nostro giudizio. In immensi istituti si alleva la gioventù insegnandole ogni cosa tranne i suoi doveri. I nostri figli conosceranno tante lingue inutilizzate ma non la nostra, sapranno comporre versi ma senza capirli, non discerneranno l’errore dalla verità eppure saranno capaci di spacciare l’uno per l’altra con la loro eloquenza. Il nome della patria non scalderà i loro cuori e quando sentiranno parlare di Dio sarà per averne paura e non reverenza. Che imparino invece ciò che devono fare quando saranno uomini. -Nota: si parla dell’educazione degli spartani sotto Licurgo e degli antichi Persiani. Fra questi ultimi i piccoli erano affidati a due eunuchi fino ai 14 anni, a 7 anni venivano addestrati all’equitazione e alla caccia, poi al quattordicesimo anno venivano affidati a quattro uomini: il più saggio che insegnava loro la religione, il più giusto che insegnava ad essere veritiero, il più temperante che insegnava a padroneggiare gli istinti, il più valoroso che insegnava a non temere nulla. E tutti insegnavano ad esser buono, nessuno a rendersi sapiente. I nostri giardini sono ricolmi di statue e le nostre gallerie di quadri che non rappresentano le azioni valorose di eroi antichi o difensori della patria, ma anzi tutti i travisamenti del cuore e della ragione tratti dall’antica mitologia e presentati ai nostri ragazzi in modo che vedano i cattivi modelli ancor prima di poterne leggere. Da dove nascono questi abusi se non dalla disuguaglianza funesta introdotta fra gli uomini. L’effetto più evidente di tutti i nostri studi è la più pericolosa delle loro conseguenze. Non si chiede più di un uomo se sia onesto, ma se abbia ingegno. Non si chiede più di un libro se sia utile, ma se sia scritto bene. Si danno mille premi per i bei discorsi e nessuno per le belle azioni. Abbiamo fisici, astronomi, fisici, geometri, musicisti ma non più cittadini, e se ce ne resta qualcuno sono dispersi nelle campagne a morire poveri e spregiati. Questo è il nostro riconoscimento per chi ci dà il pane e il latte per i nostri figli. Ma il male non è così grave come poteva diventare. La provvidenza è eterna e ha insegnato ai sovrani, suoi ministri ad imitare la sua saggezza. Luigi XIV seguendo il suo esempio ha istituito quelle celebri società -le accademie- come depositi delle conoscenze umane e dei costumi. Queste sagge istituzioni serviranno da freno agli uomini di lettere che, aspirando ad accedervi, sorveglieranno sé stessi e scriveranno opere utuli e dai costumi irreprensibili. Sceglieranno argomenti adatti a ravvivare l’amore della virtù nel cuore dei cittadini. Che cos’è invece la filosofia di oggi? Cosa contengono gli scritti più noti? A sentire i filosofi sembrano un branco di ciarlatani ognuno che grida di seguirlo perché è proprio lui che non inganna nessuno. Questi sono gli uomini meravigliosi che i nostri contemporanei esaltano e stimano, e queste sono le grandi massime che abbiamo ricevuto da loro. Gli scritti empi di Leucippo o Diagora sono almeno scomparsi con la loro morte poiché non si era ancora inventata l’arte di rendere eterne le stravaganze dello spirito umano, ma con la stampa e con l’uso che ne facciamo, queste pericolose fantasticherie degli Hobbes, Spinoza non svaniranno mai. -Nota: considerando i già tremendi effetti che questa ha provocato e la sua pericolosità è da prevedere che i sovrani l’aboliscano in fredda. Cita poi l’aneddoto di un Re turco che aveva fatto importare una macchina tipografica ma che poco dopo capiti i suoi tremendi effetti l’aveva distrutta e gettata in un pozzo. Andate dunque, scritti celebri e diffondete fra i nostri discendenti una fedele storia del progresso e dei vantaggi delle scienze e delle arti. Così che quando vi leggeranno, a meno che non siano più insensati di noi, si metteranno le mani nei capelli pregando Dio di restituirgli l’ignoranza. Ma se il progresso delle scienze e delle arti non ha aggiunto nulla alla nostra felicità, ha corrotto i costumi e intaccato il gusto, che dobbiamo pensare di quella gran quantità di autori, di quei compilatori di opere che hanno introdotto cani e porci nel santuario delle scienze, quando sarebbe stato meglio che molti fossero stati respinti e restituiti a qualche utile funzione della società? Tutti quei mediocri scrittori che potevano diventare ottimi artigiani o utilissimi contadini. I grandi del passato, Bacone, Newton, Descartes, non hanno avuto maestri pari ad essi, anzi, se avessero avuto dei maestri questi avrebbero ridotto il loro vasto genio, rimpicciolendo il loro intelletto. Se si deve permettere a qualcuno di perseguire lo studio delle scienze e delle arti è solo a coloro che hanno la forza di procedere da soli superando i propri predecessori. Solo questo piccolissimo numero deve avere il compito di elevare lo spirito umano. Che i re non disdegnino di ammettere nei loro consigli chi davvero può ben consigliarli, che diano asilo nelle loro corti ai sapienti onorevoli e che li ricompensino degnamente in modo che possano contribuire alla felicità dei popoli insegnando loro la saggezza. Solo allora, quando scienza e l’autorità collaboreranno insieme animate dalla virtù coopereranno per la felicità del genere umano. Ma finchè potenza e saggezza restano sole ed isolate sarà raro che i sapienti penseranno grandi cose, che i principi ne facciano di belle. Mentre il popolo rimarrà vile, corrotto, infelice. Quando a noi uomini del volgo non corriamo dietro ad una fama che ci sfuggirebbe. Perché cercare la felicità nell’opinione altrui quando possiamo trovarla in noi stessi? Lasciamo agli altri la cura di istruire i popoli sui loro doveri ed accontentiamoci di adempiere ai nostri. Ecco la vera filosofia di cui dobbiamo accontentarci, senza invidiare la gloria degli uomini celebri. Sforziamoci anzi di mettere tra noi e loro quella gloriosa distinzione che stava un tempo fra i due grandi popoli: quelli che sapevano ben dire e quelli che sapevano ben fare (sparte e atene).
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