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Discorso sulle scienze e sulle arti - Rousseau, Appunti di Storia Della Filosofia

1° discorso, sulle scienze e sulle arti

Tipologia: Appunti

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Scarica Discorso sulle scienze e sulle arti - Rousseau e più Appunti in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! Discorso sulle scienze e sulle arti (1750) Fu composto nel 1750, in risposta al bando del concorso indetto dall’ Accademia di Digione. Nel 1749, tale accademia chiede se: “il rinascimento delle scienze e delle arti ha contribuito alla purificazione dei costumi?”. Rousseau vince il concorso rispondendo negativamente a una domanda di per sé retorica, tale vittoria segnò il suo successo. La sua risposta riflette un dissenso nei confronti dell’opinione del tempo, quella degli illuministi i quali ritenevano che il progresso culturale – scientifico – tecnologico avesse portato a un’elevazione materiale e spirituale. Rousseau prima di esordire come filosofo aveva fatto altro, era vissuto di espedienti, orologiaio, precettore, si converte al cattolicesimo, arriva poi a Parigi dove si colloca ai margini della società intellettuale, vivendo di lavoretti come copista di musica, non ha ancora profilo da filosofo. Rousseau è un filosofo che sente prima di pensare, pensa per immagini, è un teorico della società assorto nell’osservazione del proprio io, lacerato da un dualismo, una tensione bipolare tra emozione e ragione. La testimonianza riguardante la crisi di trapasso dalle emozioni alle idee è ricondotta all’illuminazione sulla via di Vincennes, nel 1749. È un evento cruciale, di svolta fatale e irreversibile. Questo episodio è da lui definito una vera e propria conversione, in riferimento ad Agostino (scrive anche le Confessioni, sempre riferendosi ad Agostino), sente una chiamata e capisce che deve iniziare a scrivere, presentando una denuncia e ciò inaugura la propria carriera da filosofo. Rousseau descrive questo momento di ispirazione talmente forte che lo fa cadere svenuto in terra. La data è una mattina dell’ottobre 1749, stava andando a trovare il suo amico Diderot nel castello a Versèn con un giornale sotto braccio, dal quale legge che l’Accademia di Digione ha proposto un bando: “Se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia portato a un progresso morale”. In quel momento R. capisce che tutto quello che esce dalla natura è buono, diventando cattivo nella società. L’origine del male è nella storia e nella società, non dentro l’uomo, né per causa divina, il male nasce nelle attività esterne dell’uomo. Per R. è un’intuizione, prerazionale, che gli permette di comprendere il mondo, di capire questo suo dualismo originario, ovvero il dualismo tra la bontà originaria della natura e le forme del male. Quando R. scrive al suo amico Malèrb espone un dissidio tra ciò che è naturale e artificiale, dice di avere un senso di insoddisfazione e inquietudine a causa del fatto che scambiava per naturali dei bisogni e degli obiettivi, delle scelte che erano artificiali, imposte dalla società. Era inquieto perché costretto dalla società a vivere una vita in cui gli venivano imposti dall’esterno degli obiettivi e delle scelte non suoi. Negli anni 1744 – 1749 si trova a vivere nella società parigina, dove viene tenuto ai margini dei salotti letterari per la sua goffaggine da provinciale. Negli anni giovanili era vissuto con l’oscuro sentimento di un modo deviato di vivere i rapporti umani, soffriva di un periodico disagio con gli altri, sente di aver subito delle ingiustizie da parte loro. Si sente escluso dal brillante mondo delle scienze e delle arti, non è dunque un caso che il conflitto tra l’io e il mondo esploda proprio come un rifiuto di quel mondo, come una condanna della cultura in nome della natura. L’Accademia aveva formulato il suo quesito segnando un preciso limite cronologico: “se il rinascimento”, R. generalizzò la propria tesi dall’ambito circoscritto dei due secoli recenti, a tutta la storia e formulò una sorta di filosofia della decadenza fondata su un’antitesi radicale. La linea argomentativa del discorso è nitida: nella prima parte viene illustrato l’enunciato attraverso una serie di esempi empirici, pro e contro, tratti dalla storia antica. Nella seconda parte R. mette a fuoco la società contemporanea, applicando la sua tesi alla società in cui vive. Scrive nel frontespizio “Barbarus hic ego sum quia non intellegor illis” (sono barbaro per loro che non mi capiscono) dichiarando di non essere interessato a piacere né ai begli spiriti né alla gente alla moda, aspettandosi il biasimo, nella totale estraneazione all’ambiente circostante. Mossa retorica con cui prende le distanze dal suo tempo. Per lunghi anni cercò di integrarsi nell’ambiente francese, ma con il discorso r. riafferma le sue origini e i suoi ideali ginevrini. Il discorso inizia con “Decipimus specie rectis” di Orazio, dall’ Ars Poetica, veniamo ingannati dall’apparenza del giusto. Rousseau fa subito trapelare la sua risposta riproponendo la domanda come segue “il rinascimento delle scienze e delle arti ha contribuito alla purificazione o alla corruzione dei costumi?”. R. dopo aver elogiato la bellezza nell’aver visto come l’uomo sia uscito dal suo iniziale stato di barbarie e aver dispiegato la luce dei lumi dalle tenebre che lo avvolgevano, denuncia il fatto che l’Europa vi sia ricaduta. Attraverso la diffusione delle scienze e delle arti poi è nata quella logica dell’apparenza e della costrizione sociale tipica del mondo moderno. I bisogni diventano il fondamento della società mentre il governo e le leggi tendono alla sicurezza degli uomini, le scienze e le arti meno dispotiche ma forse più potenti per la forza dell’ideologia stendono ghirlande di fiori su catene di ferro, la cultura rende l’animo dell’uomo cortese malleabile e rispettoso dell’autorità, a differenza dei barbari che raramente si fanno sottomettere da un potere pretenzioso. Arti e scienze soffocano la libertà originaria dei popoli, li sottomettono al gioco della schiavitù chiamandoli popoli civili. Qui l’uomo subisce la più feroce delle coercizioni, ossia l’imposizione delle uniformità, la società civile costringe tutti gli uomini che ne fanno parte a essere uguali, impone un’uniformità di comportamenti e di pensieri e di rapporti sociali. Uguali ma ovviamente non in senso politico, bensì in una dimensione psicologica, di comportamento e di pensiero: questa uniformità si estende innanzitutto alle azioni esteriori, è una polemica verso l’etichetta, il modo di vivere imposto dalla società. Ogni sensibilità individuale, viene repressa per sposare i modi e i valori generali della società. “Si segue sempre l’uso è mai il proprio genio”, non si ascolta la propria voce. Il risultato di questa uniformità è che l’uomo nella società civile contemporanea ha disimparato il linguaggio della sua spontaneità perché usa solo il linguaggio della società, l’uomo ha rinunciato al proprio linguaggio per adattarsi a quello della società: allora tutti si sforzano di essere quello che il mondo esterno vuole che siano, e nessuno è chi veramente è. Si reprime l’autenticità, nessuno è più se stesso, nessuno è autentico, nella società contemporanea ci si abitua a vivere nell’opinione degli altri, fuori da se stessi, e da qui deriva lo sforzo per seguire tale modello esterno. Rousseau non dice psicologico (siamo nel 700!) ma spirituale, è una alienazione, è vivere fuori di sé. La società contemporanea si presenta come una società più raffinata, del progresso, della civiltà, del bello e del sofisticato, delle buone maniere, ma in realtà è una società falsa perché impedisce a ciascuno di realizzarsi secondo la propria autenticità, anzi obbliga ognuno ad adeguarsi alle opinioni altrui: nessuno si presenta come veramente è, l’imposizione è troppo forte. Nessuno ha il coraggio di essere veramente se stesso; è un mondo connotato dalla menzogna dell’apparenza dove nessuno si mostra come veramente è, anzi ognuno si mostra con una maschera. Tale mancanza di autenticità è ovviamente una critica dura all’illuminismo. I rapporti tra gli uomini non sono rapporti trasparenti, Rousseau denuncia questa mancanza di Tutti i popoli antichi che si sono arricchiti in modo spropositato sono caduti in rovina come preda di altri popoli. Anche gli artisti più eccellenti, per non sopperire nell’oblio e nella povertà, si sono dovuti adeguare ai gusti del tempo, hanno abbassato il loro genio al livello del loro secolo (si riferisce a Voltaire). La dissoluzione dei costumi, conseguenza necessaria del lusso, causa a sua volta corruzione del gusto. Rousseau non è interessato al punto di vista economico tanto che nel Contratto presenta una società dall’economia molto ridotta, assente da qualsiasi forma di individualismo. I bisogni legati al lusso fanno riferimento alla parte peggiore dell’uomo, ai suoi vizi. È negativo tutto ciò che incentiva l’individualità che vuole emergere, perché per Rousseau ciò allenta i rapporti tra gli uomini. Così l’uomo, per via del lusso e della ricchezza, è svilito dal punto di vista della virtù, specie quella civile, politica, patriottica e ciò porta all’indebolimento dello Stato. Dare la priorità al punto di vista economico e monetario assicura per R. la decadenza dello stato, perché assicura l’indebolimento della virtù propria del cittadino. La virtù civile è costantemente messa in crisi dal progresso culturale, scientifico ed economico, dalla ricchezza. Rousseau quindi attacca la cultura generale della società e in tutto ciò anche la filosofia è duramente attaccata, perché anziché indicare i veri obiettivi dell’uomo (ossia il potenziamento e la ricerca della virtù), si perde in una serie di chiacchiere vane e ricerche oziose. La filosofia diventa solo attrarre consensi, presentando dottrine ingannevoli. È una società, quella contemporanea, ingannevole, si nasconde la sincerità c’è solo apparenza dei bei ragionamenti dietro ai quali c’è però il vuoto. L’apparenza ha sostituito il vero essere. La società progredita e raffinata è dunque caratterizzata da un dissidio tra essere e apparire. Il progresso delle scienze e delle arti segna la sconfitta della virtù, che è sia la virtù privata che civile, ha sicuramente migliorato la vita dell’uomo dal punto di vista materiale, ma ha corrotto la purezza originaria, la virtù delle anime semplici. Da questo giudizio deriva l’atteggiamento rousseauiano della nostalgia, una nostalgia verso il passato, un rimpianto nostalgico della propria infanzia, ma anche un rimpianto delle origini dell’umanità, di una vita selvatica ma felice. Alle origini l’uomo era felice e puro, ma non sapeva di esserlo: se ne rende conto quando comincia a perdere questa felicità. Ma per Rousseau non tutto è perduto, un recupero dell’uomo può avvenire recuperando la virtù allo stato originario, ossia la semplicità. È un recupero che avviene dentro di noi. Perciò si assiste a una conclusione non pessimistica, perché la virtù delle anime semplici è sepolta dentro ciascun individuo, ogni uomo deve trovare dentro se stesso il volto dell’uomo della natura. Occorre ascoltare la voce del cuore e mettere a tacere le voci provenienti dall’esterno. 1º discorso: il progresso è stato sempre accompagnato da un corteo di vizi, le scienze e le arti sono nate proprio per soddisfare tali vizi; prima che arti e scienze corrompessero i costumi degli uomini, questi erano sinceri, rosei, seppur primitivi; la contraddizione è tra essere e apparire, la società contemporanea appare quindi come un mondo falso, dell’apparenza. 1. Rousseau delinea una filosofia della storia che si presenta come una filosofia della decadenza, basata su questa antitesi: la cultura corrompe le anime. Così facendo Rousseau si distacca nettamente dall’esaltazione della ragione, propria dell’illuminismo, che aveva lottato contro l’errore, contro l’ignoranza, a favore della conoscenza; Rousseau in questo senso è anti-illuminismo, pur facendo parte dell’illuminismo dal punto di vista storico; egli contrappone, all’esaltazione illuministica della ragione, il richiamo a delle forze più profonde, quelle del sentimento e della coscienza: è una forma di “irrazionalismo” perché il valore prioritario non è la ragione, ma è il cuore, il sentimento. Il recupero della coscienza e del cuore e del sentimento si presenta come necessario per riparare alla decadenza. 2. Rousseau propone una concezione individualistica del dovere morale, c’è un continuo (ossessivo) richiamo al contrasto tra virtù e progresso, perché il progresso rappresenta un regresso della virtù. Rousseau per “virtù” intende la virtù naturale, che è la virtù dettata dal cuore: ai valori del progresso Rousseau propone dei veri valori, quelli dettati dal cuore. È una concezione soggettivistica, individualistica della virtù perché fa riferimento alla virtù non come dovere morale coercitivo, rigoroso (ovvio perché Rousseau viene prima di Kant), ma come spontaneità del sentimento, come “diritto del cuore”: non è obbligazione, ma anzi massima ampiezza, assoluta spontaneità dei sentimenti; non c’è riferimento a una legge morale, un dover essere, ma una spontaneità che sgorga spontaneamente dal cuore che non è ancora stato corrotto. 3. La condizione non materiale ma spirituale dell’uomo nella società contemporanea è descritta come una condizione di alienazione, nella società contemporanea l’uomo vive fuori da se stesso, secondo dei modelli che gli vengono dati da fuori: il giudizio che ognuno dà di se stesso è dettato dall’opinione altrui, quindi è la società dell’alienazione; nessun individuo è mai se stesso, nessuno ha il coraggio di apparire come veramente è; l’effetto è quello dell’uniformità perché tutti si adeguano agli stessi modelli, l’effetto è quello del gregge 4. L’immagine della natura come madre, forza buona e protettrice, grembo di sicurezza: la natura buona madre ha posto gli uomini in una condizione di ignoranza, e tale velo di ignoranza è una forma di protezione! La natura quindi vuole proteggere gli uomini dalle conoscenze, dal progresso, dall’incivilimento, perché la natura sa che questo incivilimento è un pericolo. Il mondo appare. O è un fitto mistero, e per conoscere tale mondo è necessaria tanto fatica, tanta costanza, e questo è un modo in cui la natura vuole mettere in guardia gli uomini: invece gli uomini si è incaponito e ha insistito, non ha capito che la natura lo voleva solo proteggere: infatti l’uomo si è perso sulla strada della storia, così facendo! La natura quindi appare come un ordine felice, ma l’uomo ha infranto questo ordine, la natura è ordine infranto. La biforcazione è natura e spontaneità da una parte, civiltà e sapere dall’altra. Il cambiamento sarà necessario, anche se per Rousseau il cambiamento è sempre un male perché è sempre eliminazione di qualcosa di naturale. Il sapere è un pericolo perché innalza l’uomo al di sopra della natura, l’uomo si distacca dalla natura, la quale diventa un oggetto della sua conoscenza: l’uomo ambisce a un ordine che è superiore a quello della natura, e la civiltà per Rousseau rappresenta una sorta di forma di corruzione biologica dell’uomo. È pur vero però, che quando scegli la strada del cambiamento, l’uomo conquista una dimensione di spiritualità e di libertà che l’animale non umano non ha, l’animale non umano non può disobbedire alla sua natura, non può essere libero in questo senso. L’uomo però così pretende di affermare un primato assoluto sulla natura, e ciò per Rousseau è inaccettabile. L’uomo anziché cercare una legge dentro di sé una legge salda, ha indagato fuori di sé, è uscito nel mondo esterno, e da questo momento ha avuto inizio la decadenza. Rapporto arte – società: R. condanna l’arte all’interno di questo discorso, la condanna per gli effetti sociali e politici. L’arte partecipa e sostiene, abbellendo e camuffando, un certo tipo di rapporto sociale, un certo tipo di società e per questo viene condannata visto che si è messa al servizio della disuguaglianza. L’arte ha costruito delle ghirlande da mettere sulle catene. Gli artisti e i filosofi hanno tradito il loro ruolo, che sarebbe dovuto essere un ruolo di guida morale, si sono invece limitati a sostenere e a giustificare rapporti sociali sbagliati . Ma le arti e le scienze se usate in modo negativo, per primeggiare, per soddisfare desideri individuali vanno rigettate in vista della loro funzione negativa che isola l’uomo, ma se invece hanno la funzione di rafforzare lo spirito comunitario, allora sono positive. Conclusione: Il 1° discorso si conclude perciò con un’esaltazione della virtù delle anime semplici, non corrotte dal progresso. Ci deve essere un ritorno alla natura, alla propria interiorità. Tale richiamo è basato su un dissidio tra ciò che l’uomo è realmente e come l’uomo appare. Il ritorno alla natura non è una forma di primitivismo, è una ricerca dentro al proprio cuore per obbedire solo alla legge che è dentro di noi. Non tutto infatti è perduto, di fronte a questo processo storico di decadenza e di perdita della morale umana, Rousseau individua una possibilità di riscatto, è possibile mettere un freno a questo processo ed è possibile un recupero; l’opposizione è tra cultura e natura, e il recupero allora sarà possibile recuperando la natura, facendo venir fuori il vero volto della natura, che può essere ritrovato dentro di noi! La corruzione si presenta ancora come corruzione morale, e quindi occorre recuperare una morale diversa, una morale naturale, che recuperiamo all’interno di ciascun individuo, ascoltando la virtù delle anime semplici. La virtù dell’immediatezza e della spontaneità. Non solo recupero della virtù dentro noi stessi, ma anche il recupero di una virtù a livello sociale. È ancora possibile ricomporre la lacerazione natura cultura, è l’obiettivo. Compito dei governanti è ricomporre la lacerazione, ma per far ciò essi dovranno ascoltare la voce degli intellettuali, dei filosofi. I governanti allora non devono finalizzarsi solo all’esercizio del potere, ma devono cercare di introdurre dei dispositivi che possano far riannodare i legami e i rapporti degli uomini tra di loro, essi devono rendere felici i loro popoli, riportandoli all’armonia naturale. Occorre una cooperazione tra i governanti e i sapienti, altrimenti rimarrà la divisione. La conclusione quindi è tutto sommato ottimistica, che ci porta a vedere che se è possibile un recupero della felicità originaria e naturale, allora ciò significa che questo male non è connesso con la natura dell’uomo, ma è un male sociale, storico, che ha iniziato a costituirsi quando l’uomo è uscito dalla natura, nel senso che è un male non nel cuore dell’uomo, ma nelle sue mani, cioè è in quello che gli uomini hanno costruito, non in quello che gli uomini sono: per questo è possibile distruggere ciò che è stato costruito male, per costruire meglio in seguito. La dimensione del male è artificiale, storica, non naturale, quindi il male può essere destrutturato e poi ricostruito. L’essenza del male quindi non è nelle scienze e nelle arti: esse non sono state la causa prima di questa corruzione, ma semplicemente le scienze e le arti si sono messe al servizio di tale società, dove ogni individuo è diventato una vita a sé, una monade a sé, che vive con gli altri solo per interesse quindi non sono qualcosa di negativo di per sé, ma sono state usate male, sono state uno strumento. Invece si dovrebbe insegnare la vera dottrina, ossia la virtù naturale! Adesso deve essere fatto un uso diverso, ossia lavorare verso il fine di una restaurazione di una totalità organica di individuo: non una società come sommatoria di egoismi, di interessi particolari di uomini che rappresentano entità autonome, ma una totalità organica, nel senso che nessuna parte può vivere senza le altre parti. Questo è il modello di arrivo, che dal punto di vista politico viene presentato nel Contratto sociale.
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