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Dispensa di "Compendio di Procedura Penale" di Conso e Grevi, Dispense di Diritto Processuale Penale

La dispensa presenta la spiegazione discorsiva dei capitoli III - IV - V -VI - VII inerente al corso di diritto processuale penale parte I (non aggiornati alla Riforma Cartabia) e ottima per prendere un buon voto

Cosa imparerai

  • Quali persone sono legate all'obbligo del segreto professionale per il proprio Ministero, ufficio o professione?
  • Che cosa significa la facoltà di astensione per prossimi congiunti dell'imputato?
  • Quali sono le disposizioni applicabili quando si converte un arresto in una misura coercitiva?

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 06/06/2023

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Scarica Dispensa di "Compendio di Procedura Penale" di Conso e Grevi e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE CAPITOLO III - LE PROVE PREMESSA Il Codice dedica l'intero III libro alla tematica delle prove: • Titolo I disposizioni generali (artt. 187 - 193) • Titolo II mezzi di prova (artt. 194 - 243) • Titolo III mezzi di ricerca della prova (artt. 244 - 271) L'idea di racchiudere in un unico contesto normativo la disciplina delle prove, corrisponde ad una duplice esigenza: da un lato, sottolineare la centralità del tema nell'ambito di un processo caratterizzato dall'adesione allo schema accusatorio; dall'altro lato, ripudiare l'impostazione frammentaria cui erano ispirati i Codici previdenti. OGGETTO DELLA PROVA Il legislatore dedicando la prima delle disposizioni generali alla definizione dell’oggetto della prova ex art. 187 risponde all’esigenza di evitare che l’attività probatoria possa arbitrariamente orientarsi verso qualunque obiettivo di costruzione della “verità storica”. Per prova si intende tutto ciò che, diversamente dall'indizio (idoneo a giustificare una valutazione di semplice probabilità) attribuisce al giudice la certezza processuale intorno ad un fatto rilevante ed utile ai fini della decisione da emanarsi. Da qui la scelta del legislatore di limitare il perimetro del thema probandum, elencando i fatti che sono suscettibili di diventare oggetto dell’accertamento probatorio; sono, pertanto, oggetto di prova, i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza ex art. 187,1. Sono, altresì, oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (cd. fatti processuali) ex art. 187,2. Quando, poi, vi è costituzione di parte civile il tema probatorio si allarga fino a includere i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato, oltreché quelli relativi ai danni prodotti dal reato ex art. 187,3. Proprio in relazione alla disciplina dell'oggetto della prova va ricordata la distinzione tra prove dirette e prove indirette, a seconda che le stesse si riferiscano, o non si riferiscano, immediatamente al thema probandum: • prove dirette hanno per oggetto lo stesso fatto da provare • prove indirette hanno per oggetto un fatto diverso dal quale, per ingerenza logica basata su regole di esperienze consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto secondo lo schema del sillogismo giudiziario (attraverso un procedimento logico è possibile giungere a conclusioni fondate che permettono di conoscere il fatto ignoto che deve essere provato). Perché l'esistenza di un fatto possa ritenersi provata in via indiretta occorre che gli indizi siano gravi, e cioè consistenti e resistenti alle descrizioni e quindi attendibili e convincenti; precisi, e cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione e pertanto non equivoci; concordanti, e cioè che non contrastino tra loro. PROVE ATIPICHE E GARANZIE PER LA LIBERTA’ MORALE Circa la possibilità di ricorrere a prove atipiche, il legislatore ha deciso di non dettare alcuna preclusione nei confronti delle prove non disciplinate dalla legge ex art. 189, ma di trasferire in capo al giudice, caso per caso, il compito di un vaglio preliminare circa l'ammissibilità di tali prove. La verifica è subordinata a due distinte valutazioni: • che essa risulti idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti • che non pregiudichi la libertà morale della persona ex art. 188 Dopodiché, qualora venga riconosciuta l'ammissibilità della prova, nonostante la sua fisionomia atipica, sarà ancora compito del giudice definire in concreto le modalità della sua assunzione, dopo 1 di 136 aver sentito le parti allo scopo di concordare, se possibile, le relative cadenze procedurali. E si ribadisce, inoltre, il fatto che nessuna prova potrà essere ammessa, né tantomeno assunta, quando la stessa presupponga ricorso a metodi tali da vanificare, o comunque compromettere, la normale attitudine della persona all'autodeterminazione e all'esercizio delle facoltà mnemonica e valutative (narcoanalisi, ipnosi ecc.). DIRITTO ALLA PROVA E CRITERI DI AMMISSIONE Il Codice all’art. 190 riconosce alle parti un vero e proprio diritto alla prova, che, a sua volta, è una tipica manifestazione del diritto di difesa. I casi in cui le prove sono ammesse d'ufficio costituiscono un'eccezione rispetto al principio per cui le prove sono ammesse a richiesta di parte e su tale base è imposto al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza a pronunciarsi sull’ammissibilità della prova. Quindi, il diritto alla prova riconosciuto alle parti si articola in un duplice livello: • come diritto di chiedere l'ammissione di determinate prove, espressivo di un potere di disponibilità in ordine all'intera gamma delle prove ammissibili, salve le ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 190,2, è consentito al giudice un intervento d'ufficio (si pensi, per esempio, agli art. 70,1 accertamenti sulla capacità dell'imputato, art. 195,2 testimonianza indiretta, art. 210, 1 esame di una persona imputata in un procedimento connesso, ecc.) • come diritto ad ottenere la prova richiesta, entro i limiti in cui la medesima possa essere ammessa o comunque, ad ottenere una tempestiva pronuncia sulla richiesta ritualmente formulata. Al riguardo, tra le concrete specificazioni del diritto alla prova si ricorda l’attribuzione all’imputato del diritto ad ottenere l'ammissione delle prove a discarico “sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico” ed al Pm il corrispondente diritto in ordine alle prove a carico “sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico” ex art. 495,2. In queste ipotesi, il legislatore ha voluto attribuire un particolare risalto al diritto di «controprova» al punto da configurare uno specifico motivo di ricorso per Cassazione proprio con riferimento alla «mancata assunzione di una prova decisiva». Per quanto concerne, poi, i criteri sull’ammissibilità della prova, il giudice dovrà da un lato, sul piano delle valutazioni di diritto, escludere le prove «vietate dalla legge» cioè quelle per le quali esiste un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova; dall’altro, sul piano delle valutazioni di fatto, lo stesso giudice, dopo aver riscontrato l'insussistenza di divieti legislativi, dovrà escludere le prove che risultino in concreto «superflue» o «irrilevanti». Ne deriva una evidente deroga in rapporto ai criteri di ammissione della prova ex art. 190, che ubbidisce sia all’esigenza di tutela delle persone da esaminare di fronte al pericolo dell’usura psicologica collegata all’esigenza di evitare l’esposizione a ripetuti rischi e disagi personali. Queste esigenze risultano, tuttavia, soddisfatte nell'ambito di una disciplina che, se da un lato è attenta ad assicurare in ogni caso l'osservanza della garanzia del contraddittorio, dall'altro subordina il potere del giudice di ammettere o di non ammettere la rinnovazione dell'esame dei soggetti in questione all'accertamento di un presupposto ben definito. Inoltre, l'area di incidenza dei principi espressi nell’art. 190 risultano di per sé applicabili nell'intero arco del procedimento e quindi, anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Ricordiamo poi la differenza tra ammissione ed assunzione: una prova, infatti, deve essere ammessa, per poi essere assunta! Nella fase dell'ammissione, il giudice valuta la legittimità della prova e della sua fonte, e della richiesta della parte che l’ha formulata; in seguito, si procede all'assunzione della prova ammessa. In caso di prove documentali, le due fasi praticamente coincidono: si chiede l'ammissione di un documento, il giudice la valuta, e se la ammette, la assume. PROVE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE Nel solco delle disposizioni poste a tutela del principio di legalità in materia di prova, si colloca soprattutto la regola che sancisce la non utilizzabilità delle « prove illegittimamente acquisite », cioè di quelle prove ammesse o assunte « in violazione dei divieti stabiliti dalla legge » ex art.191. Assume in tal modo risalto la categoria della inutilizzabilità, intesa come vizio e come sanzione processuale, predisposta in via generale nel caso di violazione dei divieti probatori risultanti ex lege. 2 di 136 • art. 195, 5 Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale. • art. 195, 6 I testimoni non possono essere esaminati su fatti appresi dalle persone indicate negli artt. 200 e 201 (segreto professionale - segreto d'ufficio) in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati. • art. 195, 7 Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame. Da qui deriva il tradizionale corollario rappresentato dal divieto di acquisizione di impiego delle notizie provenienti dagli informatori confidenziali ex art. 203 e il tutto in applicazione del principio che vieta le testimonianze di provenienza anonime. Per quanto riguarda invece, la CAPACITÀ DI TESTIMONIARE ex art. 196, ogni persona ha la capacità di testimoniare, purché ne abbia l'idoneità fisica e mentale. Il giudice, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge ex art. 196, 2. In merito, invece, all’INCOMPATIBILITÀ con l'ufficio di testimone ex art. 197, non possono essere assunti come testimoni: • Coimputati nel medesimo reato o persone imputate in un procedimento connesso , salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento; • Imputati di un reato collegato o di un procedimento connesso , prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, di proscioglimento o di patteggiamento; • Responsabile civile o civilmente obbligato per la pena pecuniaria ; • Persone che nel medesimo procedimento sono stati giudice, pm o loro ausiliari, nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazioni difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte dalle persone in grado di riferire circostanze utili all’indagini; Menzione particolare all’art. 197 bis per le persone imputate e giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone, secondo cui l'imputato può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata una sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena. Il testimone è assistito da un difensore e in mancanza di questi, è designato un difensore d’ufficio. E sebbene, a questo difensore non venga attribuito "un diritto di partecipare all’esame", non sembra tuttavia dubbio che al medesimo difensore debba riconoscersi sia il diritto di presenziare all'esame dei testimoni, sia, in quella sede, il diritto di formulare richieste, osservazioni e riserve, a tutela della posizione del testimone assistito e delle corrispondenti prerogative sul versante dei limiti al dovere testimoniale. Il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità oppure non aveva reso alcuna dichiarazione. Inoltre, il testimone è del pari esonerato dall'obbligo di deporre su fatti concernenti "la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti", integrandosi e specificandosi così il già ricordato principio per cui nessun testimone può essere obbligato a deporre “su fatti dei quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale" ex art. 198,2. Accanto a queste garanzie destinate ad operare ex ante, il 5 comma dell’art. 197bis si preoccupa di predisporre anche un diverso tipo di garanzia, destinata ad operare ex post, cioè con riferimento al potenziale ambito di impiego processuale delle dichiarazioni comunque rese dall’imputato che abbia assunto l’ufficio di testimone a norma dello stesso art. 197bis. Più precisamente, si prescrive che tali dichiarazioni non possano essere utilizzate «contro» la persona da cui provengano, non solo nel procedimento a suo carico, ove ancora in corso, ma nemmeno nell'eventuale procedimento di revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, né in qualsiasi altro giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto di tali procedimenti o di tale sentenza. Si tratta di una classica previsione di chiusura, grazie alla quale viene assicurata all’imputato dichiarante sul fatto altrui una sorta di garanzia “ombrello” idonea a funzionare a largo raggio rispetto a tutte le dichiarazioni da lui rese in qualità di testimone ex art. 197bis: nel senso, cioè, di 5 di 136 escludere qualunque tipo di utilizzabilità processuale di tali dichiarazione a danno del loro autore, essendo state esse lasciate del medesimo nell’adempimento dell’ufficio testimoniale, e quindi sul presupposto di non potersi sottrarre alla relativa deposizione. Si fa menzione poi all'esercizio della facoltà di astensione ex art. 199 dalla deposizione a favore di: • Prossimi congiunti dell'imputato , quando però non abbiano presentato denuncia, querela, istanza oppure siano offesi dal reato ex art. 199, 1; Il giudice, a pena di nullità, avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersi ex art. 199, 2; Le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione, a chi abbia convissuto con esso, il coniuge separato dall'imputato, alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell'unione civile ex art. 199, 3; • Persone legate all'obbligo del segreto professionale per il proprio Ministero, ufficio o professione in relazione a quanto hanno preso per tale motivi (sacerdoti, avvocati, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici, medici farmacisti, ostetriche) ex art. 200; • Giornalisti professionisti iscritti nell'albo, relativamente ai nomi delle persone delle quali hanno ricevuto notizie fiduciarie nell'esercizio della loro professione ex art. 200 cc 3; • Pubblici ufficiali, pubblici impiegati o incaricati di pubblico servizio (segreto d’ufficio) , in relazione a fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che debbano rimanere segreti ex art. 201 oppure per l'esistenza del segreto di Stato ex art. 202; In tal caso, l'autorità giudiziaria all'obbligo di rivolgersi al Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di chiedere conferma dell'assistenza di quel segreto, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto; dopodiché, dove entro 30 gg la relativa conferma sia fornita con atto motivato, all'autorità giudiziaria sarà vietata l'acquisizione e l'utilizzazione delle notizie coperte dal segreto. Naturalmente il processo potrà proseguire, qualora il Presidente del Consiglio neghi la sussistenza di tale segreto, o non ne dia conferma entro 30 gg dalla notificazione della corrispondente richiesta, essendo previsto che l'autorità giudiziaria posso senz'altro acquisire la notizia su cui era stato opposto il segreto. • Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria , nonché personale dei servizi segreti, limitatamente ai loro informatori (in tal caso, dell'informazione rimasti anonime non può tenersi conto, l'inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento se gli informatori non sono stati interrogati neo assunti assommar informazioni) ex art. 203; Riveste notevole importanza il trattamento processuale della testimonianza falsa o reticente ex art. 207, il quale prevede che, se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente e il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli l’avvertimento previsto dall’art. 497 cc 2. Allo stesso avvertimento provvede, se un testimone rifiuta di deporre fuori dai casi espressamente previsti dalla legge. Si prevede poi che il giudice, se ravvisa false testimonianze, informa il pm trasmettendogli i relativi atti solamente con la decisione che definisce la fase processuale in cui testimone ha prestato il suo ufficio. ESAME DELLE PARTI ex art. 208 - 210 È un mezzo di prova attraverso cui i soggetti a vario titolo coinvolti nel procedimento penale (imputato, parte civile che non debba essere esaminata come testimone, responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) sono chiamati a dare il loro contributo nell'accertamento dei fatti. A differenza della testimonianza, che è sempre obbligatoria, l'esame è invece sempre facoltativo; pertanto, le parti sono sottoposte all'esame soltanto e qualora ne facciano richiesta o previo consenso ad una richiesta di esame formulata da altri. (questo perché il testimone è un soggetto terzo rispetto al fatto da accertare, dal quale si pretende sempre il rispetto dell'obbligo di rispondere e dire la verità; la parte, invece, è direttamente coinvolta nel processo, per cui non si può pretendere il rispetto dei medesimi obblighi del testimone). 6 di 136 La parte che chiede o accetta l'esame deve rispondere alle domande che le vengono poste, essendo autorizzata a non farlo solo quando potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Entro questi limiti, una volta manifestata la propria volontà favorevole all'esame, la parte che vi è stata sottoposta perde la possibilità di esercitare senza pregiudizio la strategia del silenzio, tuttavia, si stabilisce che dall'eventuale rifiuto di rispondere venga fatta menzione nel verbale ex art. 209,2 e tale atteggiamento negativo ha un valore sul piano probatorio, essendo il verbale destinato a confluire nel fascicolo dibattimentale. Una particolare disciplina governa l'esame della parte che sia imputata in un procedimento connesso ex art. 210; su tale disciplina è intervenuta la l n. 63/2001 al fine di rendere omogenee la medesima alle altre disposizioni che hanno modificato gli artt. 197 e 500. Si possono delineare tre situazioni, in capo all'imputato: • che sia chiamato a riferire della responsabilità di altri, ma non assumendo la veste di testimone, in quanto imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 197, lett. a) (coimputati del medesimo reato o persone imputate in un procedimento connesso) e b) (persone imputate in un procedimento connesso o reato collegato prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento o di condanna o di applicazione della pena) e cioè quando nei suoi confronti non è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena su richiesta di parte; in tal caso, sarà sentito con le garanzie previste dall’art. 210 cc 1 e 5 (esempio, con assistenza di un difensore); • che sia chiamato a riferire della responsabilità di altri, senza però che in passato abbia fatto dichiarazioni in merito. In tal caso, si applica il nuovo cc 6 dell’art. 210, che prevede l'obbligo dell'avvertimento della facoltà di non rispondere e l'avvertimento che, per le dichiarazioni rese contro terzi, parte assumere all'ufficio di testimone; • che sia chiamato a riferire della responsabilità di altri, ma in presenza dei presupposti di cui alle lett. a) e b) dell’art. 197 (incompatibilità con l'esame di testimone). In tal caso, la persona non sarà esaminata ai sensi del 210 ma, avendo assunto la veste testimone, le modalità di escussione sono quelle previste dall’art. 197 bis. Per il resto, la disciplina dell'esame dei soggetti in questione risulta costruita sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell’imputato. Ai sensi dell'art. 503 l'esame si svolge nel seguente ordine: prima la parte civile, poi il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed, infine, l'imputato. Le domande (esame) vengono poste per primo dal difensore o dal P.M. che ha richiesto la prova; successivamente le altre parti possono porre domande (controesame). Nel corso dell'escussione le parti possono procedere alle contestazioni. CONFRONTI ex art. 211 - 212 Essi sono ammessi esclusivamente fra persone (parti o testimoni) già esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo fra esse su fatti o circostanze importanti. Quale mezzo di prova può aver luogo solo innanzi ad un giudice, in qualunque fase procedimentale, purché siano state già raccolte delle dichiarazioni. Il giudice, richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli, ove occorra, alle reciproche contestazioni. Nel verbale è fatta menzione delle domande rivolte dal giudice, delle dichiarazioni rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto. RICOGNIZIONI ex art. 213 - 217 Esse sono un mezzo di prova diretto all'individuazione di persone, cose o altre realtà sensoriali ad opera di un soggetto chiamato in sede processuale a riconoscere persone ed oggetti accaduti sotto i suoi sensi (per esempio, l’identikit). L'atto può essere compiuto in dibattimento oppure in incidente probatorio. La ricognizione può essere: • PERSONALE ex art. 213, se riguarda le persone; quando occorre procedere a ricognizione 7 di 136 al giudice il proprio parere, anche presentando memorie tecniche, in ogni stato e grado del procedimento. Inoltre, qualora la perizia non venisse disposta, si deve ritenere che il consulente tecnico possa di sua iniziativa svolgere l'indagine gli accertamenti, consentitegli dall’oggettiva disponibilità delle persone, delle cose o dei luoghi assunti come oggetto della consulenza, con il risultato di fornire alla parte interessata agli apporti tecnici necessari. LA PROVA DOCUMENTALE ex art. 234 - 243 Riguardo alla prova documentale, si deve distinguere l'area dei «documenti» in senso stretto (formati fuori dall'ambito processuale, nel quale devono essere introdotti, affinché possano acquistare rilevanza probatoria); degli «atti o documentazione» (formati all'interno del procedimento, e rappresentativi di quanto vi sia accaduto, come sono tipicamente i verbali ex art. 134 - 142). Soltanto ai primi si applica la disciplina in discorso, sulla base dell'art.234,1 secondo cui, viene consentita l’acquisizione come documento di ogni altra cosa idonea a rappresentare «fatti, persone o cose» attraverso «la fotografia, la cinematografia e qualsiasi altro mezzo». Sulla base di un’opportuna distinzione tra i documenti come ordinario mezzo di prova ed i documenti costituenti corpo del reato, un regime differenziato è stato sancito per questi, stabilendosi in via generale che i medesimi «devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga» ex art. 235, anche d'ufficio. Una normativa particolare è inoltre dettata per i documenti provenienti dall'imputato, nel senso che di essi è sempre consentita l'acquisizione «anche d’ufficio», sebbene si tratti di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti ex art. 237. Riguardo, poi, alla verifica della provenienza è previsto che il documento venga sottoposto per il riconoscimento alle parti private ed ai testimoni ex art. 239, mentre relativamente ai documenti anonimi, contenenti «dichiarazioni anonime» - viene confermata la regola di esclusione, prescrivendosi che essi «non possono essere acquisiti, né in alcun modo utilizzati», a meno che «costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato» ex art. 240. Si noti poi, la particolare disciplina concernente la sorte “dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico o telematico, illegalmente formati o acquisiti”, prevedendo il divieto di effettuare copia e che il loro contenuto non possa essere utilizzato, salva restando la sua utilizzabilità come notizia di reato ex art. 240. Nel medesimo ordine si prescrive , inoltre, che nell’arco di termini molto brevi il PM deve chiedere al giudice per le indagini preliminari la distruzione di tali materiali, e che il giudice debba allo scopo di fissare una apposita udienza camerale in contraddittorio con le parti interessate, al termine della quale dovrà essere pronunciato il relativo provvedimento di distruzione (art. 240 cc 3, 4 e 5). Di tali operazioni deve essere redatto, poi, apposito verbale (suscettibile di lettura ex art. 512,1bis). Quanto alla ipotesi di falsità dei documenti, l’art. 241 stabilisce che il giudice dopo la definizione del procedimento, debba informarne il PM, trasmettendogliene copia, in vista degli adempimenti di sua competenza. Notevole importanza assume la disciplina dettata dall’art. 238 per regolare l’ingresso nell’ambito processuale dei verbali relativi alle prove di altri procedimenti, i quali sono considerati alla stregua di documenti in ragione della loro provenienza ab externo rispetto al processo nel quale dovrebbero venire acquisiti. L'acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa senza ulteriori condizioni, secondo i normali criteri di legge, solo quando si tratti di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento ex art. 238 cc 1 e 2, mentre la stessa regola non vale per i verbali di cui sia stata data lettura in sede dibattimentale. Per quel che riguarda, infine, le modalità di introduzione nel processo delle prove documentali, va ricordata la regola degli artt. 495 e 515. Più precisamente, dopo che siano stati ammessi su richiesta di parte o anche ex officio, i documenti dovranno essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e perciò, come tali, potranno considerarsi legittimamente acquisiti: salva la possibilità di lettura ai sensi dell'art. 511, ma senza che quest'ultimo adempimento possa configurarsi come presupposto necessario per la loro acquisizione al processo. Quanto alle fasi anteriori al dibattimento, assume rilievo la disciplina dettata con riferimento all'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415bis,3), nonché, specialmente, all'udienza 10 di 136 preliminare, in vista della quale si stabilisce che – una volta avvenuto il deposito in cancelleria del fascicolo del PM, contenente tutte le risultanze delle indagini preliminari (art. 416,2) – anche il difensore dell'imputato possa, tra l'altro, «produrre documenti», i quali dovranno essere ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione (art. 421,3). MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA (artt. 244-271) essi permettono di verificare elementi idonee ad assumere rilevanza probatoria (ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazioni). I mezzi di ricerca della prova operano prevalentemente nella fase delle indagini preliminari; con riferimento alla loro valenza probatoria, i mezzi di ricerca della prova rientrano nella categoria degli atti a sorpresa e dunque, si configurano come atti non ripetibili nelle successive fasi processuali; per questo motivo, i risultati degli atti a sorpresa sono destinati a conferire direttamente nel fascicolo del dibattimento. ISPEZIONI ex art. 244 - 246 e PERQUISIZIONI ex art. 247 - 252 Il Codice inizia con l'occuparsi di due tipici atti «a sorpresa», quali le ispezioni ex art. 244 - 246 e le perquisizioni ex art. 247 - 252, le une e le altre disciplinate attraverso l'attribuzione dei relativi poteri all’«autorità giudiziaria»: dunque non solo al giudice, ma anche al PM. Entrambi gli istituti incidono sui diritti di libertà previsti dalla Costituzione ex art. 13 Cost. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria. ed ex art. 14 Cost. secondo cui Il domicilio è inviolabile. Non si possono eseguire ispezioni, perquisizioni e sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà fondamentale, ragion per cui in materia si ha un rafforzamento della dimensione garantistica, a partire dalla necessità del decreto motivato dell’AG quale presupposto per procedere a dette attività. L'ispezione è un mezzo di ricerca della prova, volta a rilevare le tracce del reato o altri suoi effetti materiali su persone, luoghi o cose (per esempio, gli ematomi riportati da chi ha partecipato a una colluttazione) ex art. 244. L'ispezione può essere: • personale, ex art. 245 mediante ispezione personale, se riguarda una persona viva (per esempio, gli ematomi riportati da chi ha subito una colluttazione ecc.) o cadaverica, riguardante il soggetto deceduto (in tal caso, precede, di solito, l’autopsia); In merito, si fa menzione dell’avvertimento all'interessato della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché reperibile ed idonea; inoltre, si fa richiamo all'esigenza che l'ispezione, da compiersi personalmente ad opera dell'autorità procedente, oppure «anche per mezzo di un medico», venga eseguita nel rispetto della dignità, oltreché se possibile, del pudore della persona che deve soggiacervi. • locale ex art. 246 si svolge sul luogo dove si presume sia accaduto il delitto (per esempio, abitazioni, parco, strade ecc.); Si sottolinea, qui, la garanzia rappresentata dalla consegna del relativo decreto, prima dell'inizio delle operazioni, all'imputato ed alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, sempreché siano presenti. Viene ribadito, inoltre, il potere dell'autorità giudiziaria di impedire l'allontanamento di una o più persone dai luoghi dell'ispezione, prima della loro conclusione. • reale, si rivolge alle cose, che consentono di rilevare le tracce del reato (per esempio, una porta scassinata, macchie di sangue, frammenti ecc.). L'ispezione può essere effettuata sia durante le indagini preliminari (ad opera della PG o del pm), sia durante il dibattimento (ad opera del giudice). L'autorità giudiziaria, infatti, provvede con decreto motivato, la cui copia va consegnata all'interessato solo quando l'ispezione è relativa a luoghi o cose; mentre l'intervento della PG è legittimato dall'urgenza e può comportare l'assunzione di rilievi o altre operazioni tecniche. In ordine alla forma dell'atto, il giudice e il pm emettono in ogni caso decreto motivato; se però procede la PG di propria iniziativa non è previsto un decreto, ma è redatto un apposito verbale di ispezione. Per qualsiasi tipo di ispezione, il diritto di difesa dell'inquisito o dell'imputato contempla per il suo 11 di 136 difensore la facoltà di assistere allo svolgimento dell'atto, senza preventivo avviso, se vi procede di sua iniziativa la PG (trattandosi di atto assolutamente urgente); e con preventivo avviso, nei casi di non assoluta urgenza, se procede il pm o l'ufficiale di PG delegato. La perquisizione, anch’essa mezzo di ricerca della prova, consiste in un'attività volta ad acquisire al processo il corpo del reato e in genere le cose pertinenti al reato (esempio, la ricerca e il ritrovamento della pistola con cui è stato commesso un omicidio), quelle cioè sulle quali o a mezzo delle quali fu commesso il reato e quelle che ne costituiscono il profitto, il prezzo o il prodotto o un mezzo di prova. La perquisizione si distingue dall'ispezione per la natura dell'attività svolta: • l'ispezione, infatti, consiste nell'accertamento di una situazione attuale e si risolve in una descrizione di quanto visivamente percepito; • la perquisizione, invece, presuppone l'osservazione di luoghi o persone, ma è diretta al compimento di un'attività di ricerca. Durante le indagini preliminari, la PG procede di sua iniziativa senza decreto del pm, in caso di flagranza di reato e di evasione; oppure per delega del pm in esecuzione del suo decreto (può procedere alla perquisizione anche lo stesso pm). In dibattimento, invece, provvede il giudice con decreto motivato. La perquisizione può essere secondo l'organo disponente: • disposta dall'autorità giudiziaria con decreto motivato ex art. 247; • compiuta direttamente dal pm ex art. 365; • compiuta dalla PG per delega del pm ex art. 352 e ex art. 370 o di sua iniziativa ex art. 352 con successiva convalida entro 48 ore da parte del pm: - in caso di flagranza di reato o di evasione; - quando si deve procedere all'esecuzione di un'ordinanza, che dispone la custodia cautelare o di un ordine, che dispone la carcerazione nei confronti di persone imputate o condannate per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza oppure il fermo di una persona indiziata di delitto. La perquisizione può essere secondo le modalità: personale ex art. 249 o locale ex art. 250; essa, invadendo la sfera altrui (nella persona, nel patrimonio, nel domicilio), godono di una particolare normativa di garanzia. Per tali ragioni: • per le perquisizioni di qualsiasi tipo, l'interessato ha diritto di farsi rappresentare o assistere da idonea persona di sua fiducia, purché sia prontamente reperibile; • per quelle personali, devono essere salvaguardata la dignità e il pudore di chi vi è sottoposto; • per quelle domiciliari, vanno rispettati i limiti notturni (l'atto non può iniziarsi prima delle ore 7:00 e dopo le ore 20:00), salvi i casi urgenti in cui l'autorità giudiziaria per iscritto dispone che la perquisizione avvenga senza tali limiti. Il difensore ha sempre diritto di assistere alla perquisizione: tuttavia, vista la natura di atto a sorpresa, si esclude che egli debba essere avvisato. Un'altra garanzia è data dalla necessità del decreto scritto con cui il pm o il giudice dispongono la perquisizione, che deve essere preventivamente consegnato all'interessato con l'avviso della facoltà di farsi assistere da idonea persona di sua fiducia. Merita d'essere peculiare e complessa la normativa prevista circa la fisionomia ed i limiti delle ispezioni e delle perquisizioni presso gli uffici dei difensori («garanzie di libertà del difensore» ex art.103). Definiti rigorosamente i presupposti soltanto in presenza dei quali può farsi luogo a simili atti, quando debbano eseguirsi negli studi professionali dei difensori – da parte del giudice in persona, oppure, nel corso delle indagini preliminari, da parte del pm, sulla scorta di un motivato decreto autorizzativo del giudice competente per tale fase – la relativa procedura si caratterizza per la prevista necessità che ne venga avvisato il locale Consiglio dell'ordine forense, affinché il presidente od un consigliere suo delegato possa assistere alle operazioni. A ciò si aggiunga, per connessione di argomento, che identiche modalità procedurali sono stabilite dall’art. 103 anche in materia di sequestro, peraltro con la classica precisazione che presso i difensori ed i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di «carte o documenti relativi 12 di 136 Se tali intercettazioni avvengono nei domicili e nei luoghi di privata dimora, indicati nell'art.614 c.p., l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa. Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante captatore informatico deve indicare le specifiche ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini. Se si procede per delitti diversi da quelli indicati dall'art. 51 cc 3 bis e 3 quater c.p.p., e per i delitti dei P.U. contro la P.A., devono essere indicati i luoghi e ed il tempo, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono. L'autorizzazione ha durata di 15 gg e può essere prorogata più volte, su richiesta del pm. Nel caso si proceda per reati di criminalità organizzata, per disporre le intercettazioni bastano sufficienti indizi di reità. Inoltre, l'autorizzazione ha la durata di 40 gg e può essere prorogata, più volte, per periodi di 20 gg. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pm può disporre l'intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente (e comunque non oltre le 24 ore) al GIP. Il giudice, entro 48 ore dal provvedimento decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pm non viene convalidato nel termine stabilito, l’intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati. Nei casi di urgenza, il pm con decreto motivato, può disporre l'intercettazione tra presenti mediante l'inserimento di un captatore informatico su un dispositivo portatile, soltanto nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata e terroristica. Anche in questo caso, il decreto del pm viene trasmesso al giudice che deciderà sulla convalida o meno nei termini, con le modalità e gli effetti sopra previsti. ESECUZIONE DELLE OPERAZIONI Ai sensi dell’art.268 le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni viene redatto apposito verbale. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle intercettazioni. Di regola, le operazioni di intercettazione devono essere compiute esclusivamente con impianti installati presso la Procura della Repubblica. Quando tali impianti risultino insufficienti o inidonei, ed esistano eccezionali ragioni di urgenza, il PM può, con decreto motivato, autorizzare che le operazioni si svolgano mediante gli impianti di pubblico servizio o installati presso gli uffici di P.G. Per la fase di esecuzione delle operazioni, l’art. 268 cc 2 bis, non solo procede all'eliminazione del divieto di trascrizione, ma prescrive al P.M. di "dare indicazioni' e “vigilare”, affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultano rilevanti ai fini delle indagini. Quando si procede all’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pm può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati. Concluse le operazioni, i verbali e le registrazioni sono trasmessi al pm per la conservazione nel suo archivio riservato; la trasmissione deve avvenire immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga. L’art. 268 dispone che: • i verbali delle intercettazioni sono immediatamente trasmessi al pm per la conservazione, il quale li deposita entro 5 giorni nell'archivio (ex cc 4); • se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice può disporre il differimento non oltre la chiusura delle indagini preliminari (ex cc 5); • effettuato il deposito, il P.M. ne dà immediatamente comunicazione ai difensori che hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni entro il termine stabilito dallo stesso, che può essere prorogato dal giudice. Scaduto il termine per l'esame degli atti da parte dei difensori, si avvia la fase destinata alla selezione del materiale probatorio, eventualmente mediante la partecipazione delle parti all'udienza "stralcio" (ex cc 6); • la trascrizione integrale delle intercettazioni, da effettuare con le forme della perizia, può avvenire anche nel corso dell'attività di formazione del fascicolo per il dibattimento (ex cc 7); • i difensori hanno facoltà di estrarre copia delle trascrizioni e far eseguire la trasposizione delle registrazioni su idoneo supporto (ex cc 8). La principale innovazione, introdotta dalla L.7/2020 rispetto alla disciplina originaria, è nel cc 6 che concerne la possibilità riconosciuta al giudice di disporre lo stralcio anche delle intercettazioni di 15 di 136 cui è vietata l'utilizzazione, o riguardano particolari dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. All'attività di stralcio hanno diritto di partecipare il pm ed i difensori delle parti, che sono avvisati 24 ore prima. L’udienza di stralcio mantiene la natura di fase incidentale meramente eventuale, che si instaura solo nel caso in cui il giudice rilevi "anche" d'ufficio intercettazioni che non possono essere acquisite. CONSERVAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE L’art. 269 prevede che i verbali, registrazioni e annotazioni siano conservati nell'archivio riservato tenuto presso l'ufficio del pm e sono coperti da segreto. Il GIP può accedere all'archivio riservato del pm e ascoltare le registrazioni; di conseguenza, all'archivio è dato accesso anche ai difensori dell'imputato, per l'esercizio dei loro diritti e facoltà. Gli interessati, a tutela della riservatezza, possono chiedere al giudice che ha autorizzato l' intercettazione la distruzione delle registrazioni non acquisite al fascicolo. UTILIZZAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI I risultati delle intercettazioni, di regola, non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati previsti dall'art. 266 cc 1. I risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso decreto di autorizzazione, qualora risultino indispensabili per l'accertamento di delitti di cui all'art. 266 cc 2 bis. Salvo, quindi, queste deroghe, le intercettazioni effettuate fuori dai casi previsti dalla legge sono inutilizzabili. Le violazioni sanzionate con l'inutilizzabilità sono solo quelle previste dagli artt. 267 e 268, cc 1 e 3; negli altri casi, la sanzione è la nullità, la quale, attraverso la sua eventuale sanatoria, potrebbe rendere l'atto utilizzabile. CAPITOLO IV - LE MISURE CAUTELARI PREMESSA. IL SISTEMA DELLE MISURE CAUTELARI Il Libro IV del Codice di procedura penale è interamente dedicato alle misure cautelari, cioè a tutti quei provvedimenti adottati per esigenze di cautela processuale ex art. 274, lett. a) (indagine) e per b) (fuga o pericolo di fuga) o per esigenze di cautela sociale ex art. 274, lett. c) (tutela della collettività). Le misure cautelari sono misure che limitano la nostra libertà personale al fine di evitare il rischio che il tempo o altre circostanze vanifichino le esigenze del procedimento cautelare (ex art. 13 Cost. e art. 272 cpp). Si tratta, in particolare di provvedimenti interinali e anticipatori predisposti nel corso del procedimento penale allo scopo di evitare che durante la fase investigativa si generino situazioni di 16 di 136 pericolo irreversibile per la collettività o per la fruttuosità dell'azione penale e della relativa attività processuale. La libertà personale è, per disposizione costituzionale, inviolabile e può essere limitata solo in presenza di determinate condizioni. Pertanto, per applicare una misura cautelare è necessario che sussistano delle CONDIZIONI DI APPLICABILITÀ ex art. 273 e delle ESIGENZE CAUTELARI ex art. 274 (indagine, fuga o pericolo di fuga, tutela della collettività). Le condizioni di applicabilità ex art. 273 sono: • GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA ex art. 273 cc 1, cioè un insieme di elementi conoscitivi sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione di applicabilità; gli indizi devono essere gravi, cioè di consistenza tale da giustificare una prognosi di condanna e con essa la limitazione della libertà del soggetto prima della sentenza definitiva. • PUNIBILITÀ IN CONCRETO ex art. 273 cc 2, cioè non ci devono essere cause di giustificazione o di non punibilità o cause di estinzione del reato o della pena, altrimenti la restrizione della libertà personale sarebbe indebita. • GRAVITÀ DEL DELITTO ex art. 273 cc 3, è necessario che il reato per il quale si procede sia un delitto e sia punito con l'ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a 3 anni. Nel calcolare la pena occorre guardare al reato consumato o tentato, senza tener conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato; dovranno, invece, essere tenute in considerazione le circostanze della minorata difesa, del danno patrimoniale di speciale tenuità, le circostanze speciali e quelle ad effetto speciale. L'intero Libro IV si compone, quindi, di due titoli: • MISURE CAUTELARI PERSONALI (art. 272 - 315) - COERCITIVE : divieto di espatrio - obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria - allontanamento dalla casa familiare - divieto di avvicinamento.. - divieto e obbligo di dimora - arresti domiciliari (o custodia cautelare) - custodia cautelare in carcere - custodia cautelare in un istituto per detenute madri - custodia cautelare in un luogo di cura; - INTERDITTIVE : sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori - sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio - divieto di esercitare determinate attività professionali • MISURE CAUTELARI REALI (art. 316 - 321) sequestro conservativo - sequestro preventivo Il procedimento ha sempre origine con la richiesta del pm (“organo richiedente”), che chiede l'applicazione di una misura cautelare al giudice (“organo decidente”) che deve operare una valutazione complessa, tenendo conto di tutti i parametri previsti dalla legge: 1) il giudice dove riscontri la sussistenza di un'esigenza cautelare ex art. 274, a norma degli art. 274 - 315 (misure cautelari personali - Titolo I esigenze cautelari) e dell’art. 316 - art. 321 (misure cautelari reali - Titolo II sequestro conservativo / sequestro preventivo), 2) è obbligato all'applicazione di una misura, 3) che dovrà scegliere seguendo altri parametri, ai sensi dell’art. 275 (criteri di scelta delle misure). Si nota, inoltre, che nel Codice le disposizioni relative alle misure cautelari risultano dettate facendo riferimento all'imputato, il quale, nel corso dell'indagini preliminari, è una persona gravemente indiziata, nei cui confronti si stanno svolgendo indagini preliminari e a vantaggio della quale, opera l'estensione dei diritti e delle garanzie previste per l'imputato ex art. 60 (assunzione della qualità di imputato). MISURE CAUTELARI PERSONALI ex art. 272 - 315 PRINCIPI RISERVA DI LEGGE E RISERVA DI GIURISDIZIONE La Costituzione, sancendo il principio della riserva di legge, permette la restrizione della libertà personale soltanto nei casi e nei modi previsti dalla legge ex art. 13 cc 2 Cost., disposizione da cui si ricava che il potere di limitare la libertà personale ha il carattere dell'eccezionalità. Il sistema delle misure cautelari è basato e modellato sul principio di legalità, sancito dall’art. 272 (limitazione alle libertà della persona), il quale stabilisce che “le libertà della persona possono 17 di 136 - la condanna riguarda uno dei delitti elencati nell’art. 380 (.. procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato..); - che la persona sia stata condannata nei 5 anni precedenti per un delitto della stessa indole. E ancora, il divieto non opera quando si procede per una serie di delitti ex art. 275 cc 3, art. 423 bis, art. 572, art. 612 bis e art. 624 bis cp. • Principio di gradualità , un’altra specificazione prevista dal cc 3 dell’art. 275, con riferimento alla misura della custodia cautelare in carcere, con cui si stabilisce che la medesima può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive ed interdittive risultino inadeguate e pertanto la carcerazione viene valutata come extrema ratio; la stessa regola subisce, tuttavia, una cospicua eccezione nello stesso cc 3 dell’art. 275, citando una deroga la quale stabilisce che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 270 (associazioni sovversive), all’art. 270 bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico) e all’art. 416 bis cp (associazione di tipo mafioso), la misura applicabile sempre quella carceraria. Pertanto, in riferimento alla deroga di questi specifici gravi reati, parliamo di presunzione relativa quando è presunta la presenza delle esigenze cautelari, salvo prova contraria e di presunzione assoluta quando l'adeguatezza della sola custodia carceraria a garantire le esigenze cautelari, invece, non ammette prova contraria; ALTRE APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA Ci sono altre possibili applicazione del principio di adeguatezza: • art. 275,4 non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di una donna incinta, di una madre con figli minori di 6 anni, di un padre, qualora, la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole o di una persona che abbia superato i 70 anni, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. • art. 275,4 bis non può essere disposto mantenuta la custodia carceraria per gli imputati affetti da AIDS conclamata, la grave deficienza immunitaria o dall'altra malattia particolarmente grave a causa della quale le loro condizioni di salute sono incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire cure adeguate in carcere. • art. 275,4 quater allorché, il soggetto risulti imputato sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’art. 380 (.. procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato..), relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte il giudice potrà disporre la custodia cautelare in carcere, allo scopo di evitare gli inconvenienti altrimenti derivanti. • art. 275,4 quinquies quando la malattia si trova in uno stato così avanzato da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curative, la custodia cautelare in carcere non può più essere disposta o mantenuto. • art. 276,1 (provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte) in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, ciò significa che non ogni trasgressione dell'imputato le prescrizioni imposte dovrà necessariamente dar luogo ad un nuovo provvedimento in chiave sostitutiva. Si aggiunga anche il cc 1 ter dell’art. 276 il quale prevede che in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, il giudice disponga la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di dire entità. • art. 89 cc 1 e 2 DPR 309/1990 si tratti di imputati tossico-dipendenti o alcool-dipendenti sottoposti a programma terapeutico di recupero, deve essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l'interruzione del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero. LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELLA PERSONA SOTTOPOSTA A MISURA CAUTELARE 20 di 136 Tipica norma di garanzia per la posizione soggettiva dell'imputato è l’art. 277 salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare, il quale stabilisce che le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto. I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLA PENA AI FINI DELL'APPLICAZIONE DELLE MISURE Tra le disposizioni generali relative alle misure cautelari, vi sono le regole dettate dall'art. 278 per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure stesse. È prescritto che agli effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tener conto né della continuazione, né della recidiva né delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza aggravante prevista al n. 5 dell'art. 61 cp (l’avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) e della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 cp (l’avere cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso e pericoloso sia di speciale tenuità), nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (secondo le SS.UU. nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale deve tenersi conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per la circostanza più grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di 1/3 previsto dall’art. 63,4 cp per le altre omologhe aggravanti meno gravi). MISURE COERCITIVE E MISURE INTERDITTIVE Le MISURE CAUTELARI PERSONALI incidono tanto sulla libertà fisica del destinatario, se di natura coercitiva, quanto sull'esercizio di taluni diritti, potestà, facoltà, sia di natura interdittiva: MISURE CAUTELARI COERCITIVE Esse possono applicarsi soltanto quando si procede per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni ex art. 280. Questa regola ha delle eccezioni. L’art. 280 cc 2 cita che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per i delitti consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni e per il diritto di finanziamento illecito dei partiti.. Questo limite, tuttavia, non opera nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare ex art. 280 cc 3, sicché potrà applicarsi la custodia carceraria, in forza del meccanismo sostitutivo ex art. 276. Un'altra eccezione è stabilita dal medesimo art. 280,1, che fa richiamo al cc 5 dell’art. 391, dove, nel disciplinare in via generale la conversione dell’arresto in flagranza o del fermo in una misura coercitiva, si dispone espressamente che, tale conversione – naturalmente in presenza dei presupposti richiesti ex artt. 273 e 274 – possa avere luogo anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274,1 lett. c e 280, quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381,2, ovvero per uno dei delitti per i quali l'arresto è consentito anche fuori dei casi di flagranza. La tipologia delle MISURE COERCITIVE Nelle misure cautelari coercitive si fa solitamente distinzione tra: NON CUSTODIALI Esse implicano la limitazione della libertà di locomozione; infatti, le singole misure cautelari non possono essere applicate cumulativamente. DIVIETO DI ESPATRIO ex art. 281 La misura incide sulla libertà costituzionale di uscire dal territorio della Repubblica ex art. 16 cc 2 Cost. Essa consiste in un'ordinanza di divieto emessa dal giudice, contenente, altresì disposizioni volte ad impedire l'utilizzazione del passaporto o degli altri documenti validi per 21 di 136 l’espatrio; il divieto è correlato con il sussistere di una specifica esigenza cautelare (per esempio, quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste un concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga). OBBLIGO DI PRESENTAZIONE ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA ex art. 282 La misura consiste in un obbligo di presentazione periodica con contestuale onere di apporre la firma sul registro tenuto da un determinato e prefissato ufficio di polizia giudiziaria, in modo da controllare la reperibilità dell'imputato, senza comprometterne le esigenze di vita o di lavoro. La misura non incide sullo stato di libertà dell’imputato. ALLONTANAMENTO DALLA CASA FAMILIARE ex art. 282 bis Tale misura, mira a prevenire il pericolo del consumarsi di reati di violenze (fisiche, sessuali ecc.) in seno alla famiglia. Con il provvedimento il giudice, su richiesta del pm, dispone l'allontanamento dal domicilio familiare dell'imputato (coniuge o altro convivente) e nei casi di maggiore gravità, il giudice può anche prescrivere all'imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dai familiari (domicilio, luogo di lavoro ecc.). Inoltre, su richiesta del pm, il giudice può imporre all'imputato di versare un assegno di mantenimento alle persone conviventi che, a seguito del suo allontanamento, rimangono privi di mezzi di sussistenza. Infine, si segnala il decreto femminicidio che ha esteso la possibilità di disporre tale misura per i delitti di lesioni personali e minaccia grave ed il Decreto sicurezza dl 113/2018, il quale per ampliare la tutela inserisce i maltrattamenti in famiglia e lo stalking nell'elenco dei reati per i quali può essere applicata la misura dell'allontanamento dalla casa familiare con particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis, ossia mediante braccialetto elettronico. DIVIETO DI AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI DALLA PERSONA OFFESA (o mantenere una determinata distanza) ex art. 282 ter Con tale misura cautelare personale di tipo coercitivo, al fine di evitare pericolosi contatti tra la persona offesa dal reato e il suo autore (per esempio, in tema di violenza sessuale; stalking; minaccia ecc.), può essere disposto il divieto per l'imputato di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa oppure di mantenere una determinata distanza dalla persona, anche disponendo l'applicazione di strumenti di controllo come il braccialetto elettronico. Il divieto può essere esteso anche a favore dei prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con lei conviventi. I provvedimenti devono essere comunicati anche alla persona offesa e con tale comunicazione alla persona offesa deve essere informata della facoltà di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo. Se l'imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dei servizi socio assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al Pm o e al giudice ai fini della valutazione dell'attenuazione della misura cautelare. DIVIETO E OBBLIGO DI DIMORA ex art. 283 La misura non va confusa con gli arresti domiciliari. Il divieto di dimora consiste nella proibizione di dimorare in una determinata località e quindi di non accedervi, senza preventiva autorizzazione del giudice. Il divieto in questione deve essere ammortizzato con le esigenze di alloggio, di lavoro e di assistenza dell'imputato, sulle quali prevalgono, in caso di inconciliabilità, le esigenze cautelari. L'obbligo di dimora, al contrario consiste nella prescrizione di non allontanarsi dal territorio del Comune di dimora abituale. CUSTODIALI Esse determinano la soppressione della libertà fisica, dovendo l’interessato rimanere ristretto in un istituto carcerario, in un presidio ospedaliero o in una privata dimora; tali misure sono considerate a tutti gli effetti di tipo detentivo, anche quando non vengono eseguite negli istituti carcerari. 22 di 136 Quanto agli aspetti formali del provvedimento del giudice, si tratterà di una ordinanza, la quale dovrà contenere a pena di nullità, anche rilevabile d’ufficio, una serie di REQUISITI elencati dall'art. 292 “ordinanza del giudice”, ovvero: a)  le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo; b)  la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge, che si assumono violate; c) motivazione dell'esposizione e “l'autonoma valutazione“ delle specifiche esigenze cautelari (periculum libertatis) e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta (fumus commissi delicti), con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; c-bis) l'esposizione e l'autonoma valutazione (dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure); d)  la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lettera a) del cc 1 dell'art. 274 (ovvero l’acquisizione e la genuinità della prova; e) la sottoscrizione del giudice; Va ancora ricordato che tra gli obblighi di motivazione rientra anche quello inserito nell’art. 275,3bis – relativo alla scelta della misura carceraria: il giudice deve, infatti, indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea. 2) ADEMPIMENTI ESECUTIVI E GARANZIE DIFENSIVE Trasmissione Una volta emessa, l’ordinanza, che dispone una misura cautelare, è trasmessa dalla Cancelleria del giudice all'organo che ne deve dare esecuzione, oppure, nella fase delle indagini preliminari, al PM, che ne curerà l’esecuzione a mezzo della polizia giudiziaria. L’art. 293 prevede tutti gli adempimenti diretti a dare esecuzione alle ordinanze in argomento e, in particolare, gli adempimenti che assicurino l'esercizio della difesa. Al riguardo sussiste l’obbligo per l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l’ordinanza, che ha disposto la custodia cautelare, di consegnare all'imputato copia del provvedimento unitamente a una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per l'imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informa dei suoi diritti difensivi, ovvero: • della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; • del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; • del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; • del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; • del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; • del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; • del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; • del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre 5 gg dall'inizio dell'esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre 10 gg se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare; • del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca. Da aggiunge il cc 1 bis che qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'imputato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'imputato. 25 di 136 Il cc 1 ter prevede, inoltre, che l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza informi immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato oppure quello d’ufficio e rediga a verbale di tutte le operazioni compiute, facendo menzione della consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale. Verbale che sarà immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l'ordinanza e al PM. A tal proposito l’art. 293 cc 3 prevede che tutte le ordinanze sopra descritte, una volta notificate ed eseguite, siano depositate in Cancelleria e del deposito sia notificato avviso al difensore. Insieme all’ordinanza cautelare deve essere depositata anche la domanda del pm e gli atti presentati da quest’ultimo a norma dell’art. 291 cc 1. Di tutto questo materiale il difensore può prendere visione ed estrarre copia. Le ordinanze applicative della custodia cautelare sono materialmente eseguite con la consegna all’imputato di copia del provvedimento e con il suo immediato trasferimento in un istituto di custodia a disposizione dell’autorità giudiziaria ed è, inoltre, disposto che l’organo di polizia incaricato dell’esecuzione avverta l’imputato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, e quindi ne informi immediatamente il difensore; invece, le ordinanze applicative delle misure cautelari non custodiali sono semplicemente notificate all’imputato secondo i modi ordinari. Destinatario irrintracciabile In caso il destinatario della misura non venga rintracciato, l’art. 295 prevede la redazione del verbale di “vane ricerche” da parte del competente organo di polizia e la successiva dichiarazione di latitanza dell’imputato ex art. 296. “È latitante chi si sottrae volontariamente alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, all'obbligo di dimora o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione. Al latitante è equiparato per ogni effetto l’evaso” ex art. 296 cc 1 Il giudice o il pm sono autorizzati ad utilizzare lo strumento dell’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, nonché di altre forme di telecomunicazione, nei limiti degli artt. 266 e 267, anche allo scopo di agevolare le ricerche del latitante. Anche tale provvedimento però deve rispettare i termini di durata delle operazioni sanciti ex art. 267,3. Allo stesso scopo, d'altro lato, si è stabilito che possa procedersi, anche ad iniziativa di ufficiali di PG, alla perquisizione locale di interi edifici o di blocchi di edifici, dove vi sia fondato motivo di ritenere che siano rifugiati dei latitanti in relazione ad uno dei suddetti delitti di criminalità mafiosa o per un delitto commesso con finalità di terrorismo, salvo in ogni caso il successivo intervento di controllo da parte dell’AG, che dovrà esserne informata al più tardi entro 12 ore dall’operazione. Ancora in materia di adempimenti collegati alle misure di custodia cautelare deve tenersi presente la disciplina speciale relativa alle “operazioni sotto copertura” per cui l'AG può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti applicativi di una misura cautelare quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori in ordine a gravi delitti tipici della criminalità organizzata, eversivo terroristica. La traduzione di persone in stato detentivo deve realizzarsi con ogni opportuna cautela per proteggere tali persone dalla curiosità del pubblico e da ogni altra specie di pubblicità nonché per evitare inutili disagi. L’uso delle manette ai polsi è obbligatorio solo quando lo richiedano la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga, o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. 3) L’INTERROGATORIO DI GARANZIA (o l’interrogatorio della persona in stato di custodia) L'interrogatorio dell'indiziato è possibile fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento ed effettuato dallo stesso giudice, che ha deciso sull'applicazione della misura cautelare. Le modalità di compimento dell’interrogatorio ex art. 294 interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale da parte del giudice devono svolgersi secondo le regole generali dettate in materia (art. 64 regole generali per l’interrogatorio e art. 65 interrogatorio nel merito), cui deve aggiungersi l’obbligatorietà della documentazione integrale dell’interrogatorio stesso mediante appositi strumenti di riproduzione fonografica o audiovisiva a pena di inutilizzabilità probatoria dei risultati dell'atto. È prevista una facoltà di intervento del pm e un correlativo obbligo del difensore, ai quali verrà dato tempestivo avviso. 26 di 136 L’interrogatorio deve essere eseguito immediatamente, o comunque: • entro 5 gg dall’inizio della custodia cautelare in carcere (durante il quale il gip, dietro richiesta del pm, può dilazionare l'esercizio del diritto conferire con il proprio difensore in caso di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, a meno che l'indiziato stesso sia assolutamente impedito). In questo arco temporale fatto divieto al pm di sentire il soggetto indagato; • entro 10 gg dall'esecuzione o dalla notifica del provvedimento, se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare ex art. 294,1 bis, sia coercitiva che interdittiva; • l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro 48 ore, se il pm ne fa istanza nella sua richiesta. Circa il contenuto di garanzia dell'interrogatorio, che deve essere preceduto dalla verifica che l'imputato in stato di custodia cautelare in carcere sia stata data comunicazione scritta, il cc 3 dispone che il giudice debba valutare se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari richieste per l’assoggettamento a custodia degli artt. 273, 274 e 275 alla luce degli elementi che gli vengono forniti dall'indiziato di nuova valutazione. Si prevede espressamente che il giudice, sulla scorta di tale controllo possa provvedere, anche ex officio ai sensi dell’art. 299 cc 3, revocare o sostituire la misura disposta. Questa configurazione dell'interrogatorio in chiave garantista, spiega anche il meccanismo di caducazione disciplinato dall’art. 302, il quale stabilisce che la custodia cautelare disposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento perde immediatamente efficacia ogni qualvolta il giudice non proceda all'interrogatorio entro il termine di 5 gg ex art. 294. Lo stesso art. 302 continua precisando, che una volta avvenuta la liberazione dell'indiziato, lo stesso potrà di nuovo essere sottoposto a custodia cautelare, su richiesta del pm, semprechè ne ricorrano i presupposti, soltanto dopo che sia stato interrogato in stato di libertà. Inoltre, la custodia può comunque essere ripristinata quando l'indiziato stesso, dopo essere stato posto in libertà, si sia sottratto all'interrogatorio senza addurre alcun giustificato motivo. Il cc 6 dell’art. 294 prevede espressamente che l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pm non può precedere quello del giudice. Tuttavia, al fine di compensare questo divieto di anticipazione, è previsto dal cc 1ter che qualora il pm ne faccia istanza nel presentare la richiesta di custodia, il giudice è tenuto ad effettuare l'interrogatorio entro 48 ore dall'inizio della custodia. 4) ESTINZIONE DELLE MISURE (o il computo dei termini di durata delle misure) Il dovere del giudice di verificare l'adeguatezza, la gradualità e l'utilità della misura permane per l'intera fase cautelare; l'obiettivo che il legislatore si è proposto è stato quello di prevedere una forma di controllo costante sul perdurare dei presupposti e delle condizioni che legittimano la limitazione della libertà. L’art. 297 cc 1 e 2 dispone che gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo, mentre gli effetti delle altre misure decorrono dal momento della notifica della relativa ordinanza a norma dell’art. 293. L’art. 297 cc 3 disciplina l'ipotesi della pluralità di provvedimenti applicativi della medesima misura carico del medesimo imputato: Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12, cc 1, lett. b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente cc. I provvedimenti di revoca e di sostituzione Si fa, inoltre, menzione che, nel computo dei termini della custodia cautelare, si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nel giudizio di I grado o nel giudizio di impugnazione, solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia ex art. 297 cc 4. 27 di 136 Per quel che riguarda la fase del giudizio di I GRADO, la custodia è destinata a perdere efficacia allorché dal provvedimento che dispone il giudizio, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata abbia superato il termine di: • 6 mesi, quando si procede per un delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; • 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; • 1 anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto punito con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Se si procede per uno dei delitti di cui all’art. 407 cc 2 lett. a), i termini menzionati sono aumentati fino a 6 mesi. Per il GIUDIZIO ABBREVIATO, la custodia perde efficacia se dall’ordinanza con cui sia stato disposto tale giudizio, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ai sensi dell’art. 442, la sua durata abbia superato il termine di: • 3 mesi, quando si procede per delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; • 6 mesi, quando si procede per un delitto punito con reclusione nel massimo non superiore a 20 anni; • 9 mesi, quando si procede per delitto punito con ergastolo o con reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Il criterio cambia con le fasi successive di giudizio, facendosi riferimento alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Per quel che riguarda la fase del giudizio di II GRADO, la custodia cautelare perde efficacia se dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in appello, sia decorso il termine di: • 9 mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; • 1 anno, se vi sia stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni; • 1 anno e 6 mesi, se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni. Stessa disciplina si applica nelle FASI DEL GIUDIZIO SUCCESSIVE alla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile, salva una precisazione: quando vi sia già stata condanna anche in primo grado, oppure quando l’imputazione sia stata proposta esclusivamente dal pm, si stabilisce che non debba farsi più riferimento ai termini intermedi di fase, ma si applica solo la disposizione dell’art. 303 cc 4, concernente i termini di durata complessiva del custodia cautelare. Ai sensi dell’art. 303 cc 2, nel caso di regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio ad una diverso giudice, a partire dalla data del correlativo procedimento, riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a ciascuno stato e grado del procedimento. Proprio in relazione a una simile disciplina si spiega la previsione di un termine massimo di durata complessiva della misura, che il cc 4 individua in tre diversi livelli: • 2 anni, quando si procede per un delitto per il quale è prevista una pena non superiore a 6 anni; • 4 anni, quando si procede per un delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; • 6 anni, quando si procede per un delitto punito con reclusione superiore nel massimo a 20 anni ovvero con l’ergastolo. Tali limiti, di regola, non possono essere superati. 6) PROROGA E SOSPENSIONE DEI TERMINI MASSIMI DI CUSTODIA La durata della custodia cautelare può allungarsi per effetto delle proroghe e delle sospensioni. Riguardo alla proroga, a prescindere dall’ipotesi connessa al compimento di una perizia psichiatrica, essa opera solo nella fase delle indagini preliminari. Infatti, è previsto che, dietro richiesta del PM, i termini di custodia prossimi a scadere in tale fase possono essere prorogati solo in presenza di gravi esigenze cautelari, le quali, rapportate ad accertamenti particolarmente 30 di 136 complessi, o a nuove indagini ex art. 415 bis cc 4, rendono indispensabile la prosecuzione della custodia. Nel caso di proroga legata all’esigenza di nuove indagini, la competenza a provvedere sulla richiesta (con ordinanza appellabile) spetta al gip, il quale, dopo aver sentito il PM e il difensore della parte nell’ambito di un contraddittorio semplificato, ma effettivo, ove ne ricorrano i presupposti, potrà concedere una proroga, ed anche rinnovarla una sola volta, fino al limite rappresentato dalla metà dei termini massimi di custodia previsti per la fase delle indagini preliminari. L’eventuale concessione di proroghe concorre, comunque, a formare i termini complessivi di fase che, ai sensi dell’art. 303, non possono superare i: • 2 anni per i delitti con pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; • 4 anni per i delitti con pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; • 6 anni per i delitti con pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni. Alcuni problemi sorgono, invece, in rapporto alla disciplina della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, la quale può comportare, in alcuni casi, anche il superamento dei termini fissati per la durata complessiva della custodia cautelare. L’art. 304,1, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d’ufficio, con ordinanza appellabile, ha individuato le fattispecie di sospensione obbligatoria facendo riferimento ad una serie di situazioni tutte relative alla fase del giudizio: • durante il periodo in cui il giudizio è sospeso o rinviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore o dietro richiesta dei medesimi; • nel tempo in cui il dibattimento è sospeso rinviato a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora ne rimangano privi di assistenza uno o più imputati; • all’ipotesi di sospensione prevista qualora le situazioni appena descritte si verifichino nell’ambito del giudizio abbreviato. Durante l’udienza preliminare, i termini sono sospesi, anche d’ufficio e sempre con ordinanza appellabile, tutte le volte in cui la stessa udienza viene sospesa o rinviata per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero a causa della mancata presentazione o dell’allontanamento di uno o più difensori ex art. 304,4. Le ipotesi di sospensione non si applicano, all’interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le stesse non si riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi. Nelle ipotesi di particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi ai delitti indicati dall’art. 407.2 lett. a), il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. La sospensione dei termini di custodia può essere disposta solo dietro richiesta del PM; quindi, qualora manchi tale richiesta, o comunque non venga pronunciato il provvedimento sospensivo, si verificherà in ogni caso ex lege almeno l’effetto di congelamento del decorso dei termini di custodia. Un limite finale di durata dei termini di sospensione della custodia è stato previsto su 2 distinti livelli: da un lato, con riguardo alla durata della custodia nelle diverse fasi del procedimento, si stabilisce che la sospensione non può in ogni caso superare il doppio dei termini intermedi di fase; dall’altro, avendo riguardo alla durata complessiva della custodia, si stabilisce che tale durata non può superare i termini sanciti dall’art. 303,4 aumentati della metà o qualora risulti più favorevole, il tradizionale limite dei 2/3 del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. Dei periodi di sospensione bisogna tener conto solo nel computo del limite relativo alla durata complessiva della custodia, e non anche in quello riguardante il limite relativo alle diverse fasi del procedimento. Infine, la sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche se l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa. 31 di 136 7) I provvedimenti adottabili nei confronti dell'imputato SCARCERATO PER DECORRENZA DEI TERMINI A carico dell’imputato scarcerato (libero) per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, il giudice deve, innanzitutto, disporre le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti (ovviamente con esclusione degli arresti domiciliari data l’equiparazione alla custodia), sempreché si accerti la permanenza delle esigenze che avevano giustificato la sua sottoposizione alla custodia stessa ex art. 307,1. Tuttavia, si  prevede  che,  anche  successivamente  alla  scarcerazione  per  decorrenza dei termini, la custodia cautelare, ove risulti necessaria ex art. 275, debba essere rinnovata quando si verificano due situazioni ex art. 307,2: a)  se l'imputato abbia dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una delle misure cautelari, applicategli in luogo della custodia, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274; b)  contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di I o di II grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'art. 274,1 lett. b) qualora il medesimo si sia dato alla fuga o si accerti un concreto pericolo di fuga. Con riferimento a tali ipotesi l’art. 307,3 prevede che in caso di ripristino della custodia, si applichi la regola della decorrenza ex novo dei termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova, salvo il computo della custodia anteriormente subita ai fini del termine di durata complessiva ex art. 303,4; e la stessa regola è sancita dall’art. 303,3 anche per il caso dell’imputato sottrattosi all’esecuzione della custodia cautelare mediante evasione. Quando alla situazione dell’imputato scarcerato che, trasgredendo alle prescrizioni della misura cautelare applicatagli in via sostitutiva o quando ricorra l’ipotesi prevista dal cc 2 lett. b) stia per darsi alla fuga, l’art. 307,4 prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia possano procedere al suo fermo e del fermo è data notizia senza ritardo entro le 24 ore, al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il provvedimento di convalida, il GIP, se il PM ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLE MISURE CAUTELARI NON CUSTODIALI Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare (e dagli arresti domiciliari) perdono efficacia a seguito del decorso di un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’art. 303 in rapporto alla custodia cautelare ex art. 308,1. Per quanto riguarda le misure interdittive, esse non possono avere durata superiore a 12 mesi e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell'ordinanza. Quando sono disposte per esigenze probatorie il giudice può disporne la rinnovazione entro il predetto limite di 12 mesi ex art. 308,2. Tuttavia, al fine di ovviare al tuttora troppo rigido limite di durata massima, si  prevede  che  la  sopravvenuta estinzione delle misure interdittive non può pregiudicare l’esercizio dei poteri attribuiti al giudice penale o ad altre autorità in materia di pene accessorie, ovvero di misure interdittive di diversa natura ex art. 308,3 (si ricorda che ex art. 293,4 copia dell’ordinanza che dispone una misura interdittiva deve essere sempre trasmessa all’organo eventualmente competente a disporre l’interdizione in via ordinaria). IL PROCEDIMENTO DI RIESAME DEI PROVVEDIMENTI COERCITIVI DINANZI AL TRIBUNALE Fra i rimedi contro i provvedimenti applicativi delle misure cautelari il Codice appronta degli strumenti impugnatori quali il riesame, l’appello ed il ricorso per Cassazione, ovviamente riadattati all’insegna delle esigenze di efficienza e tempestività dell’ambito in questione. Il riesame nel merito configurato dall’art. 309 è un mezzo di impugnazione utilizzabile esclusivamente contro le ordinanze che hanno disposto una misura coercitiva, salvo si tratti di ordinanze emesse dietro appello proposto dal PM. 32 di 136 Le misure cautelari reali sono provvedimenti, tipicamente adottabili su iniziativa del pm e della PG, con i quali si pongono dei vincoli, di natura temporanea o definitiva, alla libera disponibilità di una res e pertanto, sul diritto di proprietà del soggetto interessato, garantito dall’art. 42 Cost. Si applicano in presenza di qualunque reato, dunque sia per delitti che contravvenzioni. Il Codice individua due diverse specie di misure riconducibili a tale ambito, accomunate dalla finalità cautelare, ma differenziate sul terreno delle esigenze: da un lato la figura del sequestro conservativo, dall’altro la figura del sequestro preventivo, entrambi di regola affidati alla competenza del giudice di merito, dietro richiesta del PM, od anche della parte civile nel primo caso (art. 317 e art. 321). A) SEQUESTRO CONSERVATIVO Il sequestro conservativo è volto a garantire l’adempimento delle obbligazioni civili connesse al reato o al procedimento; sono legittimati a richiedere questa misura: • il pm nei confronti dell’imputato per garantire il pagamento delle somme dovute allo Stato a titolo di pena pecuniaria di spese procedimentali ecc.; • la parte civile nei confronti dell’imputato o del responsabile civile per garantire il pagamento delle obbligazioni civili; La richiesta è subordinata alla sussistenza di alcuni presupposti: • il fumus bonis iuris, cioè la probabile sussistenza di un’obbligazione che abbia come fonte, il fatto contestato dall’imputato; • il periculum in mora, cioè il fondato timore che le garanzie vadano disperse, se lasciate nella disponibilità dell’imputato; La misura cautelare viene disposta dal giudice, che procede con ordinanza inaudita altera parte ed eseguita successivamente dall’ufficiale giudiziario. Il sequestro perde efficacia, se interviene una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non più soggette ad impugnazione. Il sequestro si converte in pignoramento, quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria oppure quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l’imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile. B) SEQUESTRO PREVENTIVO Il sequestro preventivo è finalizzato ad interrompere il compimento di un reato o ad impedirne di nuovi e può avere ad oggetto: • cose pertinenti al reato, la cui disponibilità può aggravare o protrarre le conseguenze di un reato già commesso; • cose pertinenti al reato, la cui disponibilità potrebbe agevolare la commissione di altri reati; • cose pericolose suscettibili di confisca; Legittimato a richiedere questa misura cautelare è solo il pm, mentre la polizia giudiziaria, solo in casi di urgenza e prima che il pm abbia assunto la direzione delle indagini. E anche in tal caso, la richiesta è subordinata alla sussistenza di alcuni presupposti: • il fumus delicti, ovvero la sussistenza di indizi della commissione di un reato, ma non di colpevolezza; • il periculim in mora, è il fondato timore che la libera disponibilità della cosa aggravi le conseguenze del reato o gli consenta la commissione di nuovi; La misura viene concessa dal giudice competente, il quale provvede con decreto motivato; in caso di urgenza, nell’indagini preliminari può provvedervi direttamente il pm. Se quest’ultimo non ha ancora assunto la direzione delle indagini, il sequestro può essere disposto dagli ufficiali di polizia giudiziaria che trasmetteranno il verbale. Se non dispone la restituzione entro 48 ore, il pm chiede al giudice la convalida del sequestro e l’emissione del decreto motivato e dispone, quindi, il sequestro . La misura perde efficacia in caso di revoca, disposta quando sono venute meno le esigenze preventive e in tal caso, l’autorità giudiziaria ordina: • la restituzione del cosa; 35 di 136 • mancata convalida nei casi di legge; • intervenuta sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. C) I RIMEDI AVVERSO I PROVVEDIMENTI DI SEQUESTRO Per quanto, invece, riguarda il sistema dei rimedi contro i provvedimenti di sequestro, esso fa perno anzitutto sullo strumento del riesame di fronte al tribunale in composizione collegiale sia contro l’ordinanza di sequestro conservativo (art. 318), sia contro il decreto di sequestro preventivo (art. 322). Contro il decreto di sequestro l’imputato, il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che ha diritto alla loro restituzione, può proporre riesame. Tuttavia, la richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento di sequestro. Fuori da tali casi è possibile proporre appello al Tribunale (art. 322) contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pm; è consentito, inoltre, il ricorso per Cassazione per violazione di legge (art. 325 cc 1 e 2) e per saltum. In tutti questi casi, il procedimento di riesame è delineato dall’art. 324. Da notare poi che, nel caso di contestazione sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice del riesame dovrà rimettere la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo fermo il sequestro. CAPITOLO V - INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE Le indagini preliminari: finalità e caratteri essenziali Il libro V intitolato "indagini preliminari e udienza preliminare" introduce la parte "dinamica" del Codice, disciplinando la fase del procedimento penale anticipatore al giudizio. L’art. 326 dispone, infatti che le indagini preliminari sono l’attività di ricerca e di raccolta di informazioni che il PM e la PG, acquisita la notizia di reato, svolgono per consentire allo stesso PM di decidere se esercitare o meno l’azione penale, ma privi di valore probatorio per il giudizio. A sottolineare poi l’idea di una netta separazione tra le fasi del procedimento, assumendosi l’esercizio dell’azione penale, quale linea di confine tra indagine e giudizio, il legislatore ha impiegato anche una precisa terminologia nel distinguere il prima e il dopo: si parla quindi di “procedimento” in riferimento alle fasi iniziali, costituito dagli atti che precedono l'esercizio dell'azione penale, attraverso i quali si avvia l'intero iter giudiziario (indagini preliminari); si parla, invece, di “processo” riguardo tutti gli atti compiuti successivamente l'esercizio dell'azione penale che permette di scindere il processo in più fasi (udienza preliminare e giudizio). I protagonisti dell’attività investigativa Protagonisti dell’attività di indagine preliminare sono il PM e la PG. Sul PM, titolare dell’obbligo di esercitare l’azione penale, ricade la direzione delle indagini: egli compie “personalmente”ex art. 370,1 “ogni attività necessaria ai fini indicati nell’art. 326”. La sua natura di organo pubblico impone, altresì, di compiere “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Per quanto riguarda la PG, questa affianca il PM in un ruolo ancillare, che si colloca nel solco dell’art. 109 Cost., stando al quale il PM dirige le indagini e dispone direttamente della PG ex art. 327. Ovviamente il dominus delle indagini preliminari rimane sempre il PM, ma l’allentamento del vincolo di dipendenza funzionale, che lega i due organi, trova un primo riscontro già nelle disposizioni generali introduttive della disciplina della fase preliminare. Infatti, nell’art. 327 si prevede che la PG, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continui a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli. 36 di 136 Il segreto sugli atti di indagine (o segreto istruttorio) Per impedire che l’attività d’individuazione e di raccolta degli elementi necessari per l’esercizio dell’azione penale sia pregiudicata, l’art. 329,1 prevede che gli atti d'indagine compiuti dal PM e dalla PG siano coperti dal segreto (penalmente sanzionato in diverse sfaccettature del Codice penale) fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Tuttavia, nonostante tali esigenze, è chiaro che il segreto sugli atti di indagine, rischia di interporsi con ricadute negative sulle chances difensive: sicché, la necessità di tutelare gli esiti dell’indagine deve cedere davanti all’esigenza di garantire il diritto di difesa di cui all’art. 24,2 Cost., che si concreta, anzitutto, nel diritto della persona sottoposta a indagini ad essere informata “riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” e di disporre “del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa”. Come visto, il segreto cade ogni qualvolta l’imputato possa o debba avere conoscenza dell’atto, ossia, nei casi in cui: • l’atto si formi necessariamente in sua presenza perché lo contempla quale protagonista dello stesso; • l’atto rientra nel novero di quegli atti , cui lo stesso indagato o il suo difensore possono assistere, con diritto o senza diritto di essere preavvisato; • l’atto venga utilizzato a sostegno di una richiesta avanzata dal PM al giudice in vista di una sua decisione endofasica (per esempio, nel caso di richiesta di una misura cautelare ex art. 291). Una seconda dimensione caratterizza il segreto d’indagine, inteso come esigenza di segretezza interna e con lo stesso divieto si vuole impedire che la conoscenza dell’attività investigativa si diffonda anche presso soggetti non direttamente coinvolti nel processo penale, e coerentemente con ciò, di questi stessi atti è previsto un divieto di pubblicazione di carattere assoluto dall’art. 114,1. Tuttavia esigenze di efficienza delle indagini possono consentire al PM di derogare a regime di segretezza degli atti dettato dall’art. 329,1. Infatti, al cc 2 si prevede che quando sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il PM possa, in deroga a quanto previsto dall'art. 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi (per esempio quando la pubblicazione di un identikit o di un altro atto, appaia necessaria per dare impulso alle indagini). In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del PM. Il cc 3 prevede, al contrario, che anche quando gli atti non siano più coperti dal segreto a norma del cc 1, il PM, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, possa disporre con decreto motivato: a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone; b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni. I diritti della difesa e il ruolo delle parti private Come visto, la segretezza dell’impianto accusatorio in itinere è suscettibile di condizionare i diritti difensivi della persona già raggiunta da indizi di reità. In tale ambito, infatti, è intervenuta la modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della l. Cost. 2/1999 e la l. 397/2000, che ha introdotto il Titolo VI- bis nel libro V del Codice, rubricato “Investigazioni difensive”: alla luce di dette innovazioni ex art. 327bis, il difensore (dell’imputato ma anche dell’offeso o delle parti private), fin dal momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro ex art. 327bis,1. L’incarico che può essere attribuito, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione ex art. 327bis,2. Inoltre, il difensore può ricevere un apposito mandato che lo abiliti a svolgere indagini, con esclusione di quegli atti che richiedano l’autorizzazione o l’intervento dell’AG, anche prima che si instauri un procedimento penale e per la mera eventualità che ciò avvenga ex art. 391 - nonies,1. Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire apposito incarico ad un sostituto, ad investigatori privati autorizzati e, quando siano necessarie specifiche competenze, a consulenti tecnici ex art. 327bis,3. Ai soggetti chiamati a collaborare con il difensore nell’attività investigativa sono riconosciute le stesse garanzie di libertà accordate al difensore dall’art. 103 cc 2 e 37 di 136 Segue: Denuncia dei pubblici ufficiali, Denuncia dei privati, Referto Vi sono due notizie qualificate (o nominate) di reato: • La DENUNCIA ex art. 331 - 333 è la dichiarazione con cui una qualsiasi persona fisica non esercente una professione sanitaria, porta la commissione di un reato perseguibile d’ufficio a conoscenza del PM o della PG (per esempio, Tizio denuncia in furto a casa di Caio). L’art. 331 prevede che i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, abbiano notizia di reato perseguibile d’ufficio (non dunque per i reati procedibili a querela, richiesta o istanza), devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. Tra i pubblici ufficiali sono ricompresi anche i magistrati, infatti ex art. 331,4, se nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto del quale si può configurare un reato perseguibile d’ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al PM. In realtà anche lo stesso giudice penale, seppur non richiamato, può essere soggetto tenuto all’informazione: la legge lo prevede espressamente in un caso, ovvero quello in cui di fronte ad un testimone che rifiuti di deporre, il giudice debba disporre “l’immediata trasmissione degli atti al PM perché proceda a norma di legge” (art. 207,1); quando invece ravvisi gli estremi del reato di falsa testimonianza, deve informare il PM con la decisione che definisce la fase processuale (art. 207,2). Quanto alla forma, la denuncia deve essere redatta per iscritto, eventualmente con un unico atto proveniente e sottoscritto da più persone obbligate alla denuncia per il medesimo fatto ex art. 331,3. I contenuti sono previsti dall’art. 332: l’esposizione degli elementi essenziali del fatto con l’indicazione del giorno dell'acquisizione della notizia, nonché le fonti di prova già note. Contiene, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Per quanto riguarda, invece, la denuncia dei privati, questa è facoltativa salvo i casi tassativamente elencati dalla legge, i quali sono penalmente sanzionati in caso di omissione. In particolare, nei casi di: • omessa denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo (art. 364 cp); • omessa denuncia di cose provenienti da delitto (art. 709 cp); • omessa denuncia di materie esplodenti (art. 679 cp) e di precursori di esplosivi (art. 679bis cp); • omessa denuncia di furto smarrimento o rinvenimento di armi o di parti di esse o di esplosivi (20 l. 110/1975); • omessa denuncia in ordine a fatti o circostanze relative ad un sequestro di persona a scopo di estorsione (3 d.l. 8/ 1991), salva la non punibilità di chi ha posto in essere le relative condotte in favore di congiunti. La denuncia proveniente dal privato può essere presentata oralmente o per iscritto (se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale), personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al PM o a un ufficiale di PG il quale ha l’obbligo di rilasciare una ricevuta (utile sia per comprovare l’avvenuta presentazione, nei casi in cui la denuncia si obbligatoria, sia ai fini della prova di rapporti giuridici di carattere extrapenale). L’art. 333 cc 3, prevede, poi, che “delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’art. 240” (cioè, i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato); esse non valgono come notitia criminis e non devono, pertanto, essere iscritte nel registro previsto dall’art. 335. Tuttavia, dalle denunce anonime, delle quali è prevista l’iscrizione in un apposito registro non è escluso che il PM o la PG possano trarre spunto per la loro attività, attivandosi per verificare se dall’atto anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis. • Il REFERTO ex art. 334, invece, è la denuncia cui sono obbligati gli esercenti una professione sanitaria che abbiano prestato assistenza od opera in un caso che possa presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio ex art. 365,1 cp. Vi sono tenuti 40 di 136 coloro che svolgono  una  professione sanitaria  principale (medici, farmacisti, veterinari) o secondaria (infermieri, assistenti diplomati),  non coloro che svolgono mestieri espressione della arte medica (ottici, odontotecnici). L’obbligo di referto  viene meno, allorché la notizia di reato esporrebbe la persona assistita a conseguenze di carattere penalistico (365,2 cp), nel qual caso essi hanno solo la facoltà di presentare il referto (questo per evitare che il soggetto bisognoso di cure sia messo nella scomoda alternativa tra il precludersi l’accesso all’assistenza sanitaria oppure il sottoporsi alle cure con il rischio di essere incriminato). Il referto - eventualmente in unico atto sottoscritto da tutti coloro che, avendo prestato la loro esistenza nella medesima occasione ne sono tenuti – deve essere presentato entro 48 ore dall’acquisizione della notizia o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al PM o ad un ufficiale di polizia del luogo in cui l’assistenza è stata prestata o, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia più vicino (334,1). Il referto (che nel silenzio della legge si presume abbia forma scritta  dato il contenuto dettagliato) indica la persona che è stata assistita e, se è possibile le sue generalità, il luogo dove essa attualmente si trova e quant’altro valga ad identificarla, nonché il tempo, il luogo e le altre circostanze dell’intervento del sanitario. Inoltre, dà le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con cui questo è stato commesso e gli effetti che esso ha causato o può causare (334,2). Infine, per garantire la massima esplicazione del diritto di difesa nel processo penale, il legislatore precisa che all’art. 334bis che “i difensori e gli altri soggetti di cui all’art. 391bis non hanno obbligo di denuncia neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso dell’attività investigativa da essi svolte”. L’ISCRIZIONE DELLA NOTIZIA DI REATO nel registro previsto dall’art. 335 La notizia di reato non è essa stessa un atto di indagine e non è assoggettata alla disciplina propria di quegli atti (non partecipa ad esempio al regime di segretezza loro riservato). Essa deve essere iscritta in un apposito registro (cd. modello 21) non appena acquisita dal PM o a quest’ultimo sia comunicata dalla PG ex art. 347. Spetta infatti al PM iscrivere immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene ove acquisito di propria iniziativa, anche quando ancora sia non soggettivamente determinata (in tal caso andrà iscritta nell’apposito registro per le notizie contro ignoti: cd. modello 44); contestualmente o dal momento in cui risulta, andrà inserito altresì il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito ex art. 335,1. Spetta ancora al PM aggiornare l’iscrizione, qualora muti la qualificazione giuridica del fatto oppure questo risulti diversamente circostanziato, senza procedere a nuove iscrizioni ex art. 335,2 si desume che in tutti gli altri casi, gli eventuali mutamenti dovranno determinare una nuova iscrizione. È da quest’adempimento che devono essere computati il termine di durata delle indagini (che definisce anche il momento per l’esercizio dell’azione penale, ex art. 405,2), scaduto il quale ogni atto investigativo dovrà intendersi inutilmente compiuto (art. 407,3), nonché il termine per la richiesta del giudizio immediato (art. 454,1), del decreto penale di condanna (art. 459,1) e del giudizio direttissimo nei confronti dell’indagato che ha reso confessione (art. 449,5). Nonostante l’obbligo di iscrizione a carico del PM, l’assenza di una sanzione specifica per il caso di inottemperanza genera il rischio che, tra il momento in cui la notizia di reato viene acquisita ed il momento in cui la stessa sia effettivamente iscritta, possa intercorre un lasso di tempo indefinito e incontrollato tale da vanificare gli interessi per i quali il termine stesso è stato istituito (art. 407,3). L’obbligo di iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 scatta, peraltro, solo nel caso di un’informazione dotata degli elementi per definirsi tale. Ove, invece, ci si trovi di fronte ad una pseudo-notizia di reato (ad esempio, la notizia di un fatto lecito oppure la notizia del tutto inverosimile di un fatto illecito) il PM dovrà scrivere la stessa in un diverso registro (cd. modello 45), esistente presso ogni procura della Repubblica, trasmettendo poi direttamente gli atti all’archivio (cd. potere di cestinazione o di archiviazione dirette). Gli ostacoli alla progressione: LE CONDIZIONI DI PROCEDIBILIT À 41 di 136 In alcuni casi, l'instaurazione del processo è condizionata all'integrazione di una condizione di procedibilità, cioè eventi riconducibili di regola a manifestazioni di volontà di un soggetto pubblico o privato e più raramente, ad accadimenti oggettivi. Le condizioni di procedibilità disciplinate nel Titolo III del libro V sono: • querela ex art. 336-340 • istanza di procedimento ex art. 341 e richiesta di procedimento ex art. 342 • autorizzazione a procedere ex art. 343-344. Tuttavia dal testo dell’art. 345,2 si presume l’esistenza di condizioni di procedibilità atipiche ed esse sono: • la conferma del segreto di Stato su fatti essenziali per la definizione del processo il giudice dichiara di non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato; • la clausola di specialità nell’estradizione; • l’esistenza di un precedente giudicato sulla medesima imputazione, l’azione penale esercitata successivamente ad un provvedimento di archiviazione concernente i medesimi fatti e la medesima persona; • lo stato di flagranza per  i  reati  di  cui agli artt. 260, 688, 707 e 720 cp; • la presenza del reo nel territorio dello Stato per i reati ex artt. 8-10 cp; ed infine nella situazione individuata dall’art. 13,3 quater d.lgs. 286/1988 in tema di espulsione dello straniero irregolare. QUERELA ex art. 336 - 340 La querela è l'atto formale con cui la persona offesa del reato chiede che si proceda contro il suo autore (io querelo Caio per diffamazione). Essa assume rilevanza solo nei casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell'offeso (reati procedibilità di querela). Titolare del diritto di querela è la persona offesa dal reato: per i minori degli anni 14 e per gli interdetti per infermità di mente, il diritto di querela può essere esercitato dai genitori, nonché dal tutore o dal curatore speciale, espressamente nominato dal giudice su richiesta del pm. Il diritto di querela deve esercitarsi, a pena di decadenza, entro 3 mesi dal fatto costituente reato. Nel caso di atti persecutori o delitti contro la libertà sessuale, il termine di 6 mesi o un anno. È proponibile per iscritto o in forma orale e deve contenere la descrizione del fatto, l'indicazione dell'autore (se si conosce) e degli eventuali testimoni. La querela è sostanzialmente identica alla denuncia ex art. 333; la differenza tra i due istituti sta nel fatto che, laddove ad essere segnalato all'autorità sia un reato perseguibile a querela (quindi, non d’ufficio), l'atto deve contenere necessariamente la manifestazione di volontà, da parte di colui che vi procede, che si punisca l'autore del reato medesimo. Il diritto di proporre querela si estingue per: • decadenza per decorso del termine (3 mesi/6 mesi/un anno); • morte dell’offeso; • prima della proposizione alla querela: il diritto di querela se si estingue non si può più procedere contro il reo; • dopo la proposizione della querela: si deve procedere contro il colpevole, salvo remissione da parte degli eredi; • rinuncia preventiva: l'avente diritto, prima ancora di aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subito; • remissione: l'avente diritto, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subito, in precedenza segnalato attraverso querela. Caratteri peculiari della querela sono: • non produce effetti, se non vi è accettazione da parte del querelato: quest'ultimo può avere interesse ad un giudizio nel merito della querela per farne risaltare l'infondatezza e la pretestuosità. Invece, non necessita di accettazione la remissione di querela presentata contro ignoti. • può avvenire in qualunque momento prima della definitiva sentenza ed ampliare l'annullamento di interi gradi del processo (con spese a carico del querelato, a meno che 42 di 136 L’art. 348,1 ribadisce che, anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la PG continua a svolgere le funzioni indicate nell'art. 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole, potendo procede fra l’altro al fine indicato: a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi; b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti; c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti ex art. 348,2. Dopo l'intervento del PM, la PG deve compiere gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell'art. 370 (1° modulo - attività delegata d’indagine), ed eseguire le direttive del PM (2°modulo - attività guidata d’indagine). Inoltre, anche dopo l’intervento del PM permangono argini di autonomia, in quanto la PG svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il PM (3° modulo - indagine parallela), tutte le altre attività di indagine per accertare i reati oppure richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova. Una serie di atti di indagine sono, poi, espressamente disciplinati dagli artt. 349-357 e cioè le attività investigative TIPICHE: oltre a procedere all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini o di altre persone ex art. 349, la PG può raccogliere informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ex art. 350, da persone informate sui fatti ex art. 351 oppure da imputati in un procedimento connesso ex art. 351,1bis. Inoltre, in situazioni di urgenza, la PG può procedere ad atti di indagine suscettibili di incidere sulla libertà e su altri diritti fondamentali della persona: perquisizioni ex art. 352, acquisizione di plichi o di corrispondenza ex art. 353, accertamenti urgenti sui luoghi o sulle persone ex art. 354 e sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti ex art. 355 attività il cui svolgimento – di regola affidato al PM – è legittimato dal pericolo di dispersione della prova. Nell’ambito delle medesime funzioni, la PG può svolgere anche operazioni non predeterminabili con una tipizzazione normativa cioè le attività investigative ATIPICHE: ad esempio, le operazioni di osservazione, il riconoscimento attraverso una fotografia, controllo e pedinamento, svolte dalla PG anche tramite metodi di rilevamento satellitare, nonché le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico. Rispetto agli strumenti investigativi di carattere atipico si pone il problema della legittimità degli stessi, soprattutto allorché siano suscettibili di intercettare diritti fondamentali della persona e infatti, la Corte costituzionale, ritiene che tali atti siano inutilizzabili tutte le volte in cui incidono sul libertà fondamentali della persona, in quanto non ne sia prevista la predeterminazione legislativa di casi e modi. Segue: l ’identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle altre persone Una prima attività tipica di PG consiste nell'identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle persone che possono fornire informazioni sulle circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto ex art. 349,1 (ovviamente quando tali persone sono fisicamente individuate, ma ne sono ignote le generalità). In questa attività, la PG osserva innanzitutto le disposizioni dell'art. 66 e, cioè, invita l'indagato a dichiarare le proprie generalità e quant'altro valga ad identificarlo, ammonendolo sulle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di fornirle o le fornisce false ex art. 496 e 651 cp. Nell'identificare (solo) la persona sottoposta alle indagini, la PG può compiere rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici, nonché altri accertamenti ex art. 249,2. Per quanto riguarda il prelievo di materiale biologico per la tipizzazione del profilo genetico dell'interessato, se manca il consenso di questi, la PG può procedere coattivamente, ma nel rispetto della dignità personale del soggetto, al prelievo di capelli e saliva previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e poi confermata per iscritto, del PM ex art. 349,2 bis. Se la persona sottoposta alle indagini o informata dei fatti dovesse poi rifiutare di farsi identificare oppure fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la PG l’accompagna nei propri uffici e la trattiene per il tempo strettamente necessario per l’identificazione (cd. fermo identificativo) e comunque non oltre le 12 ore oppure previo avviso anche orale al PM, non oltre le 24 ore, nel caso in cui l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un 45 di 136 interprete, ferma in tal caso la facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente ex art. 349,4. In ogni caso, tale limitata restrizione della libertà personale non deve sfuggire al controllo dell’AG: per questo al cc 5 dell’art. 349 si prevede che gli ufficiali o gli agenti informino immediatamente dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è avvenuto il PM, il quale, se ritiene che essi abbiano agito in difetto dei presupposti indicati dal cc 4, ordina il rilascio della persona accompagnata. Al PM è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui esso è avvenuto ex art. 349,6.   Segue: le sommarie informazioni Altro principale compito della PG è quello di assumere informazioni dalla persone già raggiunta da indizi di reato, da persone informate sui fatti e da imputati o indagati in procedimenti connessi o collegati. A regolare l’assunzione delle informazioni provenienti dalla persona sottoposta ad indagini provvede l’art. 350: 1) In primo luogo, gli ufficiali di PG (non gli agenti) possono assumere, con le modalità previste dall'art. 64 (avvisi e divieto di metodi o tecniche lesivi dell’autodeterminazione), sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, che non si trovi in stato di arresto o di fermo. Prima di procedere, la PG invita il soggetto a nominare un difensore di fiducia o provvede a procurargli un difensore d’ufficio ex art. 350,2. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, il quale ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto ed al quale la PG dà tempestivo avviso ex art. 350,3. Le informazioni così assunte potranno essere utilizzate in dibattimento per le contestazioni ex art. 503, al fine di valutare la credibilità delle dichiarazioni rilasciate in quel contesto. 2) I cc 5 e 6 dell’art. 350 disciplinano la differente ipotesi delle informazioni assunte “sul luogo o nell'immediatezza del fatto” e in tali ipotesi gli ufficiali di PG possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o fermata a norma dell'art. 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini ex art. 350,5. Di tali notizie e indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto è vietata ogni documentazione e utilizzazione. 3) Infine, ex cc 7 art. 350 la PG (quindi sia gli ufficiali che gli agenti) può ricevere dichiarazioni spontanee (cioè non sollecitate da domande) dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (non necessaria l’assistenza del difensore dato il mancato richiamo), ma tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nel dibattimento, salvo quanto previsto dall'art. 503,3 cioè solo per le contestazioni all'imputato che si sottoponga all'esame. Siccome l'utilizzazione è vietata “ in giudizio” , ma “nel dibattimento”, tali spontanee dichiarazioni sono utilizzabili in tutti i riti alternativi che non prevedono la fase dibattimentale. Si tenga presente che la PG può assumere il contributo conoscitivo della persona sottoposta alle indagini anche essendo delegata dal PM a svolgere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 370. In tale ultimo caso, l’atto, da svolgersi con le forme dagli artt. 64 e 65 può essere assunto solo da persona non sottoposta a restrizione della libertà e con l’assistenza necessaria del difensore ex art. 370,1. Le garanzie apprestate per l’interrogatorio delegato hanno un preciso riflesso sulla utilizzabilità dibattimentale dell’atto: il relativo verbale, in quanto utilizzate in dibattimento per le contestazioni ex art. 503,4 e per le letture ex art. 513, potrà essere allegato al fascicolo dibattimentale, finendo per fornire elementi di natura pienamente probatoria. La PG (quindi ufficiali e agenti) può, altresì, assumere sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Nell’assunzione di tali informazioni si applicano le disposizioni del secondo e terzo periodo del cc 1 dell'art. 362 per l’assunzione di informazioni da parte del PM in particolare tramite il rinvio al terzo periodo si rendono applicabili a tale disciplina le disposizioni di cui agli artt. 197, 197bis, 198, 199, 200, 201, 202 e 203. In forza di tale rinvio: non possono essere sentiti soggetti che si trovino nei casi di incompatibilità previsti dall’art. 197; i soggetti chiamati a rilasciare informazioni hanno obbligo di presentarsi e di rispondere secondo verità, ma non possono essere costretti a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una responsabilità penale ex art. 198; se si tratti di prossimi 46 di 136 congiunti dell’indagato devono essere avvertiti, a pena di nullità, della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni ex art. 199; i soggetti dai quali si assumono informazioni possono astenersi dal rispondere nel rispetto delle norme sui segreti (200, 201 e 202); sono applicabili le garanzie previste per gli informatori della PG e dei servizi di sicurezza ex art. 203. La simmetria tra atti di polizia atti compiuti dal PM realizzata attraverso il richiamo alla corrispondente disciplina della prova testimoniale si rompe, con riguardo ai profili della responsabilità penale del dichiarante, in ragione delle minori garanzie assicurate dall’organo investigativo. Il potenziale testimone, infatti, pur tenuto a rispondere secondo verità, non potrà essere penalmente sanzionato per la falsità di eventuali dichiarazioni, salvo che essi siano tali da integrare gli estremi del reato di favoreggiamento personale o di calunnia: non è infatti applicabili all’atto assunto dalla PG l’art. 371bis cp, che punisce chi rilasci false dichiarazioni al PM o al procuratore della Corte penale internazionale. In ogni caso, in funzione di tutela del dichiarante e della genuinità delle sue dichiarazioni, l’art. 381,4bis vieta l’arresto in flagranza della persona richiesta di fornire informazioni dalla PG (così come dal PM) per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle. Inoltre, il rinvio al secondo periodo del cc 1 dell’art. 362 esclude che alle persone già sentire dal difensore o dal suo sostituto possano essere richieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date: si tratta di un divieto che mira ad evitare interferenze tra l’attività investigativa pubblica e quella privata, che trova una disposizione speculare dettata, in funzione di reciprocità nell’art. 391bis,4. Segue: perquisizioni, accertamenti urgenti, acquisizione di plichi L’art. 352,1 dispone che nella flagranza del reato o nel caso di evasione (vd. art. 13 Cost), gli ufficiali di PG procedano a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse oppure che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l'evaso. Stando al cc 2 gli ufficiali potranno, del pari, procedere all’esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ai sensi dell’art. 380, oppure al fermo di una persona indiziata di delitto ex art. 384; tuttavia in tali casi gli ufficiali potranno procedere solo se sussistano, oltre ai presupposti indicati nel cc 1, anche particolari motivi di urgenza che non consentono l’emissione di un tempestivo decreto di perquisizione. Il cc 1bis prevede poi la peculiare ipotesi della perquisizione informatica nella flagranza del reato oppure nei casi di cui al cc 2 quando sussistono i presupposti e le altre condizioni ivi previsti, gli ufficiali di PG, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione, procedono altresì alla perquisizione di sistemi informatici o telematici, ancorché protetti da misure di sicurezza, quando hanno fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi. Di regola, sono legittimati alla perquisizione i soli ufficiali di PG, ma nei casi di particolare necessità e urgenza, ex art.113 disp. att possono procedervi anche gli agenti. Con riguardo alle modalità di esecuzione, pur in assenza di un esplicito richiamo, ci si deve rifare alla normativa contenuta nel libro III sulle prove. Una regola derogatoria viene specificatamente dettata per la perquisizione domiciliare, la quale può essere eseguita anche fuori dei limiti temporali previsti dall’art. 251, quando il ritardo potrebbe pregiudicare l’esito (352,3). Quanto al procedimento, in rispetto delle cadenze temporali costituzionalmente previste, eseguita la perquisizione, la PG dovrà trasmettere il verbale delle operazioni compiute senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore, al PM del luogo dove la perquisizione è stata eseguita, il quale se ne ricorrono i presupposti, nelle 48 ore successive, convalida la perquisizione (352,4). Alla PG compete anche il potere di compiere rilievi e accertamenti su persone e luoghi ex art. 354. In particolare gli ufficiali e gli agenti di PG devono curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del PM (354,1). Se vi è pericolo che tali cose, tracce e luoghi indicati si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il PM non possa intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle 47 di 136 competenze, può nominare ed avvalersi di uno o più consulenti tecnici, i quali non possono rifiutare la loro opera e possono essere autorizzati dal PM ad assistere a singoli atti di indagine ex art. 359. La regola è che il PM si serva di persone iscritte negli albi dei periti (art. 73 disp. att). Concretando in operazioni sempre ripetibili, la consulenza tecnica (utilizzabile nella fase delle indagini e nei riti alternativi) non produce risultati probatori spendibili in dibattimento: per tale motivo il PM può procedervi senza obbligo di coinvolgere la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa dal reato. L’art. 360 prevede, invece, accertamenti che, date le loro caratteristiche, non possono essere rinviati o ripetuti al dibattimento cd. accertamenti tecnici irripetibili proprio per la loro irripetibilità, acquistano valore di prova e tale consulenza tecnica è destinata ad essere inserita nel fascicolo per il dibattimento e potrà essere acquisita e utilizzata dal giudice, a norma degli artt. 511 e 526. Si tratta di una forma di anticipazione della prova la cui acquisizione, essendo demandata al PM, è circondata da un duplice livello di garanzie. In particolare, si prevede che quando gli accertamenti previsti dall'art. 359 riguardino persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il PM avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato e i difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici ex art. 360,1, in modo da poter creare le premesse per un contraddittorio. Se la persona sottoposta alle indagini ne sia priva è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia ex art. 360,2. L’avviso è prodromico al contraddittorio acefalo (perché senza giudice): i difensori, nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati, hanno diritto di assistere al conferimento dell'incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve ex art. 360,3. Tuttavia al cc 4 dell’art. 360 si prevede che, la persona sottoposta alle indagini (non la persona offesa) prima del conferimento dell'incarico, possa formulare riserva di promuovere incidente probatorio (quindi che l’accertamento sia condotto davanti al giudice - seconda garanzia): in tal caso, il PM non può far altro che disporre che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti (tale valutazione sulla differibilità dell’acquisizione della prova spetta al PM). La riforma Orlando (l. 103/2017) ha introdotto il cc 4 bis il quale dispone che la riserva di di cui al cc 4 perda efficacia, e non possa essere ulteriormente formulata, se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro il termine di 10 gg dalla formulazione della riserva stessa.   Segue: il prelievo coattivo di campioni biologici e le indagini genetiche La possibilità di prelievo di campioni di materiale biologico è disciplinata dall’art. 359 bis tra gli atti del PM. La disposizione prevede che, fermo quanto disposto dall’art. 349,2bis, quando devono essere eseguite perizie genetiche e non vi è il consenso della persona interessata, il PM ne fa richiesta al GIP che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le condizioni ivi previste ex art. 359bis,1 nel rispetto della dignità personale del soggetto. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il PM dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato contenente i medesimi elementi previsti. In tali casi di urgenza, tuttavia, entro le 48 ore successive il PM richiede al GIP la convalida del decreto e dell’eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le 48 ore successive, dandone avviso immediatamente al PM e al difensore (359bis,2). Una volta eseguito il prelievo, il procedimento di estrazione del profilo genetico è adempimento da svolgersi tramite un accertamento condotto dal PM ex art. 359. Il dato conoscitivo così ottenuto deve essere comparato con altro profilo (tramite un’operazione sempre ripetibile) da compiersi, avvalendosi di elementi emessi nell’ambito del medesimo procedimento (si pensi al confronto del profilo genetico del soggetto indiziato con quello ricavato da un mozzicone di sigaretta ritrovato sul luogo in cui è stato commesso il fatto) ovvero ricorrendo alle risorse della banca dati nazionale del DNA istituita dalla l. 85/2009. Compito della banca è quello di raccogliere i profili del DNA di un vasto numero di soggetti individuati tra le persone che siano state sottoposte a misure precautelari e cautelari, ovvero tra quelle che siano detenute o internate a vario titolo (art. 9 l. 85/2009); nonché i profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali e quelle di persone scomparse o loro consanguinei o estratti da resti cadaverici non identificati. 50 di 136 Alla banca dati è affiancato il Laboratorio centrale per la banca dati del DNA, istituito presso il Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che è l’organo appositamente incaricato dell’elaborazione dei profili genetici, da custodirsi presso la medesima banca. Ragioni di tutela della privacy impongono la conservazione solo temporanea dei campioni e dei relativi profili genetici, sia che essi siano acquisiti nel corso di un procedimento penale, sia che pervengano alla banca dati, secondo i canali già evidenziati.   Segue l ’assunzione di informazioni e l’individuazione di persone e di cose (testimonianza e ricognizione) L’art. 362 prevede la possibilità per il PM di assumere informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Si tratta di un atto di indagine omologo alla testimonianza, ma utilizzabile di regola ai soli fini previsti dall’art. 326 e, in dibattimento, nei casi di contestazione o di irripetibilità sopravvenuta. Quando deve procedere ad atti che richiedono la presenza della persona offesa e delle persone in grado di riferire su circostanze utili ai fini delle indagini, il PM la cita a comparire nelle forme dell’art. 377 e nello stesso modo provvede alla citazione del consulente tecnico, dell’interprete e del custode delle cose sequestrate, attraverso un decreto che contiene: a) le generalità della persona; b) il giorno, l'ora e il luogo della comparizione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; c) l'avvertimento che il pm potrà disporre a norma dell’art. 133 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione senza che sia stato addotto legittimo impedimento. Anche qui, così come per le assunzioni di informazioni da parte della PG, si richiama sia la disciplina di garanzia prevista per la testimonianza, sia la disciplina dei limiti imposti in funzione della tutela dell’attività difensiva, nonché la disciplina di tutela dei soggetti deboli. La simmetria con la testimonianza dell’atto compiuto dal PM si spinge anche sul versante delle conseguenze che raggiungono l’eventuale dichiarante renitente, reticente o mendace; il soggetto che, in sede di assunzione di informazioni davanti al PM rilascia dichiarazioni false, oppure tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti su cui viene sentito è punibile ai sensi dell’art. 371bis,1 cp. Un diverso trattamento riguarda, però, le due diverse condotte che configurano quel reato, in punto di procedibilità: si prevede l’immediata procedibilità per il solo caso di rifiuto, mentre il procedimento per le false dichiarazioni resta sospeso fino a quando nel processo, nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (371bis,2). La regola concernente tale sospensione contempla tuttavia una deroga: l’art. 384 cp prevede che la sospensione non operi se i fatti di cui all’art. 371bis sono commessi al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale in relazione delitti di cui agli artt. 270, 270bis, 276, 280, 280bis, 283, 284, 285, 289bis, 304, 305, 306, 416bis, 416ter e 422 o ai reati previsti dall’art. 2 l. 17/1982 (in materia di associazioni segrete vietate ex art. 18 Cost.) oppure ai reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque in relazione ai reati contemplati nell’art. 51,3bis. Resta fermo, comunque, il divieto di arresto in flagranza ex art. 381,4bis garanzia che tende ad evitare il pregiudizio all’autodeterminazione del potenziale testimone, il quale potrebbe essere intimidito dall’uso strumentale della precautela. Ai sensi dell’art. 363 il PM può interrogare le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, nonché le persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'art. 371,2 lett. b., nelle forme previste dall'art. 210 commi 2, 3, 4 e 6. L'interrogatorio di tali soggetti, si ritiene anche quando siano ancora sottoposti ad indagine e non abbiano ancora assunto la veste di imputati, deve essere condotto dal PM nelle forme previste dall'art.210. Ciò significa che del dichiarante può essere disposto l'accompagnamento coattivo; che al dichiarante debba essere garantita l'assistenza di un difensore; che il dichiarante debba essere avvertito della facoltà di non rispondere alle domande nonché debba essere destinatario dell’avviso di cui all’art. 64,3 lett. c). Altro istituto è quello disciplinato dall’art. 361, in particolare quando è necessario per l’immediata prosecuzione delle indagini, il PM procede alla individuazione di persone, di cose o di quant’altro può essere oggetto di percezione sensoriale. Rispetto al suo omologo atto probatorio, ovvero la 51 di 136 ricognizione, l’individuazione presenta forme più snelle in quanto funzionale alla sola prosecuzione delle indagini (perplessità per le eventuali interferenze con la ricognizione), infatti il cc 2 dell’art. 361 si limita a prevedere che le persone, le cose e gli altri oggetti sono presentati oppure sottoposti in immagine a chi deve eseguire la individuazione. È tuttavia fatto salvo il richiamo alla cautela prevista dall’art. 214,2 secondo cui se si ha fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla individuazione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a individuazione, il PM adotta le cautele previste dall'art. 214,2 quindi l’atto sarà compiuto senza che i due soggetti possano vedersi. L’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – rappresentando una specie del più generale concetto di dichiarazione, è soggetta, alla stregua della deposizione testimoniale, alle regole processuali che consentono l’utilizzabilità dibattimento di dichiarazioni rese dalla persona informata dei fatti nella fase delle indagini preliminari (le dichiarazioni di chi effettua l'individuazione possono acquisire valore di prova sia ai fini dell'emanazione di misure cautelari, sia nell'ambito dei riti alternativi, sia in fase dibattimentale nelle ipotesi ex artt 500 e 512).   Segue: l ’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini (esame dell'imputato di un reato connesso) Anche per il PM un'importante fonte cognitiva è l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, istituto che può essere frutto dell'iniziativa dell'indagato o del magistrato inquirente. Tale interrogatorio, da esperirsi con le forme disciplinate dagli artt. 64 e 65, ha un doppio profilo funzionale: è sia un’esplicazione di autodifesa dell’imputato, sia un atto investigativo del PM. Proprio per tale ultimo profilo è il PM stesso a decidere se e quando compierlo infatti un obbligo di sentire il soggetto che ne faccia richiesta è previsto solo in limite all’apertura del processo: a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415bis,3, se l’indagato, avvertito delle facoltà che gli sono riconosciute, fra cui quella di presentarsi per rilasciare dichiarazioni oppure chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, chieda di essere interrogato e il PM deve procedervi. Prima di quel momento, il soggetto nei cui confronti siano svolte le indagini può, tuttavia, presentarsi in ogni tempo al PM per rilasciare dichiarazioni spontanee ex art. 374,1 chi ha notizia che nei suoi confronti siano svolte indagini, ha facoltà di presentarsi al PM e di rilasciare dichiarazioni. Tale presentazione spontanea, in ogni caso, non pregiudica l'applicazione di misure cautelari (art. 374,3). Di fronte alla richiesta di essere sentito, proveniente dal protagonista passivo delle sue indagini, al PM si offrirà un’alternativa: potrà limitarsi a raccogliere quando l’indagato si dimostra interessato a comunicare, oppure potrà contestare il fatto e convertire il colloquio in un atto equivalente per ogni effetto all’interrogatorio (solo in questo caso le dichiarazioni possono essere utilizzate per le contestazioni nel dibattimento ex art. 503 co 5), che dovrà svolgersi con le forme degli artt. 64 e 65 e con le garanzie difensive dettate nell’art. 364 (art. 374,2). Se l'interrogatorio, invece, discende da una iniziativa del PM, questi deve inviarle un invito a presentarsi ex art. 375, eventualmente potendo disporne, su autorizzazione del giudice, l’accompagnamento coattivo ex art. 376. Il pm invita la persona sottoposta alle indagini a presentarsi. L'invito a presentarsi (da inviarsi ogni caso in cui la presenza della persona sottoposta alle indagini sia necessaria per il compimento di un atto di interrogatorio ma anche confronto, ispezione e individuazione) deve contenere: a) le generalità o le altre indicazioni personali che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini; b) il giorno, l'ora e il luogo della presentazione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; c) il tipo di atto per il quale l'invito è predisposto; d) l'avvertimento che il PM potrà disporre a norma dell'art. 132 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento (art. 375 cc 1 e 2). Quando la persona è chiamata a rendere l'interrogatorio, l'invito contiene altresì la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute. L'invito può inoltre contenere, ai fini di quanto previsto dall'art. 453,1, l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l'avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato (art. 375,3). 52 di 136 gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto ex art. 381,4. Infine, se si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza – obbligatorio o facoltativo – può essere eseguito solo se la querela viene proposta, la quale può avvenire anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente presente sul luogo: e se l’avente diritto dichiara di rimettere, l’arrestato è posto immediatamente in libertà (art. 380,3 e 381,3). • Il fermo di indiziato di delitto Il fermo è il provvedimento limitativo della libertà personale della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 anni e superiore nel massimo a 6 anni oppure di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi oppure di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratiche che il PM dispone, anche fuori dei casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato, fanno ritenere fondato il pericolo di fuga ex art. 384,1. Titolare del potere di fermo è solo il PM che può disporlo – previo assenso scritto del procuratore della Repubblica, o di un suo delegato – anche ove il soggetto si trovi in un luogo posto al di fuori della competenza territoriale del giudice presso il quale è incardinato. La PG può procedere al fermo di propria iniziativa solo prima che il PM abbia assunto la direzione delle indagini ex art. 384,2 o nelle particolari situazioni di urgenza delineate nell’art. 384,3 ovvero: a) qualora sia successivamente individuato l'indiziato; b) quando sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga, c) quando non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del PM. Altra ipotesi di fermo, con caratteri peculiari, è quella prevista nei confronti di un soggetto scarcerato per decorrenza dei termini nelle ipotesi previste dall’art. 307,4. A tutti altri fini, è invece predisposto il cd. fermo di identificazione ex art. 349,4, esercitabile, oltre che nei confronti dell’indagato, anche nei confronti di potenziali testimoni.   • L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare L’art. 384bis disciplina un’autonoma misura, specificatamente preordinata ad anticipare la tutela cautelare rispetto ai reati commessi in ambito familiare, graduando l’afflittività dell’intervento precautelare. In particolare, gli ufficiali e gli agenti di PG hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del PM, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'art. 282bis,6 (delitti previsti dagli articoli art. 570, art. 571, art. 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, art. 600,600- bis, art. 600 ter, art. 600 quater, art. 600 septies.1, art. 600 septies,2, art. 601, art. 602, art. 609 bis, art. 609 ter, art. 609 quater, art. 609 quinquies e art. 609 octies e art. 612, 2 cc del cp, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente) ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. La PG provvede senza ritardo all'adempimento degli obblighi di informazione previsti dall'art. 11 d.l. 11/2009 (art. 384bis,1) oppure le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio, e in particolare nella sua zona di residenza e, qualora la persona offesa ne faccia richiesta, devono provvedere a metterla direttamente in contatto con tali strutture assistenziali.   Il procedimento di convalida Una volta eseguito l’arresto o il fermo, gli agenti e gli ufficiali di PG sono tenuti ad operare contestualmente su un duplice fronte, dovendo assicurare immediate garanzie al soggetto privato della libertà e, nel contempo, compiere ogni atto doveroso per il passaggio di consegne al PM, al quale spetta rivolgere al giudice le richieste conseguenti all’esecuzione del provvedimento. 55 di 136 L’art. 386,1 prevede che gli ufficiali e gli agenti di PG che hanno eseguito l'arresto o il fermo o hanno avuto in consegna l'arrestato, ne danno immediata notizia al PM del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito, ed altresì consegnano all'arrestato o al fermato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano: a) della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l'arresto o il fermo; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria per la convalida entro 96 ore dall'avvenuto arresto o fermo; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che decide sulla convalida dell'arresto o del fermo. Qualora, poi, tale comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'arrestato o al fermato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'arrestato o al fermato (art. 386,1bis). Ai sensi dell’art. 387 la PG, con il consenso dell'arrestato o del fermato, deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell'avvenuto arresto o fermo. Inoltre, dell'avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di PG devono informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato oppure quello d’ufficio designato dal PM ex art. 97 (art. 386,2). Assolti tali obblighi, gli ufficiali e gli agenti di PG devono porre l'arrestato o il fermato a disposizione del PM al più presto e comunque non oltre 24 ore dall'arresto o dal fermo mediante la conduzione nella casa circondariale del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dall'art. 558 (386 cc 3 e 4 ). Il PM può disporre che l'arrestato o il fermato sia custodito, in uno dei luoghi indicati nel cc 1 dell'art. 284 ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale o mandamentale (art. 386,5) Entro il medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale, anche per via telematica, salvo che il PM autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale contiene l'eventuale nomina del difensore di fiducia, l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui l'arresto o il fermo è stato eseguito e l'enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato, nonché la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita ai sensi del cc 1-bis. ex 386,7 l'arresto o il fermo diviene inefficace se non sono osservati i termini previsti dal cc 3. IL PM, entro 48 ore dall'arresto o dal fermo, qualora non ritenga che il soggetto debba essere immediatamente scarcerato (ex art. 389 se risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se la misura dell'arresto o del fermo è divenuta inefficace a norma degli articoli 386,7 e 390,3, il PM dispone con decreto motivato che l'arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà), richiede la convalida al GIP competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (art. 390,1). La richiesta di convalida andrà comunque inoltrata, invece, nell’ipotesi quando non intenda chiedere una misura cautelare personale, il PM deve disporre l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato ma, in questo caso, alla liberazione dell’arrestato o del fermato deve fare seguito l’udienza di convalida. Con la richiesta il PM trasmette al giudice il verbale di arresto o di fermo e copia della documentazione attestante che l’arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia; trasmette altresì il decreto di fermo emesso a norma dell’art. 384,1 (art. 122 disp. att.). Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro le 48 ore successive dandone avviso, senza ritardo, al PM e al difensore (art. 390,2). 56 di 136 L’udienza di convalida si svolge nel luogo in cui l’arrestato o il fermato si trova custodito, salvo che nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Tuttavia, quando sussistono eccezionali motivi di necessità ed urgenza, il giudice con decreto motivato può disporre il trasferimento dell’arrestato o del fermato per la comparizione davanti a sé (art. 123 disp. att.). L'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell'arrestato o del fermato ex art. 391,1, il quale ha diritto di consultare ed estrarre copia dei documenti presentati per la convalida. Se il difensore di fiducia o di ufficio non è stato reperito o non è comparso, il giudice provvede a norma dell'art. 97,4 ex art. 391,2. Dopo aver verificato, anche d'ufficio, che all'arrestato o al fermato sia stata data la comunicazione scritta di cui all'art. 386,1, o la comunicazione orale, e dopo aver provveduto, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o l'informazione (art. 391,2), il giudice procede all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire; sente in ogni caso il suo difensore (art. 391,3). Il giudice, quando risulta che l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e sono stati osservati i termini previsti dagli art. 386,3 e 390,1, provvede alla convalida con ordinanza, avverso la quale il PM e l'arrestato o il fermato possono proporre ricorso per cassazione (art. 391,4). In caso di mancata convalida, una decisione negativa potrebbe preludere a conseguenze di natura disciplinare, nonché ad una eventuale riparazione per ingiusta detenzione. L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice (art. 391,7). Se il PM abbia richiesto l’applicazione di una misura cautelare il giudice dispone l'applicazione di una misura coercitiva a norma dell'art. 291 (art. 391,5). Se non emette il provvedimento restrittivo ex cc 5, il giudice dispone con ordinanza l’immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (art. 391,6). Se pronunciate in udienza, le ordinanze conclusive dell’udienza di convalida sono comunicate al PM e notificate all'arrestato o al fermato, se non comparsi; se non sono pronunciate in udienza, le medesime ordinanze sono comunicate o notificate a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. I termini per l'impugnazione decorrono dalla lettura del provvedimento in udienza ovvero dalla sua comunicazione o notificazione (art. 391,7).   IL DIRITTO DI DIFESA NELLE INDAGINI La conoscenza dell’accusa e l'accesso a registro delle notizie di reato (?) Il diritto di difesa dell’indagato è tutelato dalla Costituzione. L’origine di tale diritto deriva da una serie di garanzie fondamentali che la carta costituzionale individua per l’imputato, tra le quali si riscontra “il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento” sancito dall’art. 24 e dall’art. 111 Infatti l’art. 111,3 Cost. prevede che la legge debba assicurare che “la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico”. Tale diritto dev’essere contemperato, tuttavia, con le esigenze di tutela dell’efficacia delle indagini, le quali potrebbero essere pregiudicate dalla prematura conoscenza degli esiti delle stesse. Per tale ultima ragione diversi istituti consentono che, in alcune ipotesi, l’intera fase di indagine possa svolgersi senza che il diretto interessato ne sia a conoscenza: per esempio, se le indagini terminano con l’archiviazione, il procedimento può addirittura chiudersi senza che il soggetto indiziato venga mai a conoscenza di essere stato sottoposto ad indagini. Nel caso in cui il PM, invece, eserciti l’azione penale, vi è un preciso obbligo a pena di nullità della seguente richiesta di rinvio a giudizio, di inviare un avviso della conclusione delle indagini preliminari, da notificarsi alla persona sottoposta alle indagini e al difensore nonché, quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612bis cp, anche al difensore della persona offesa. Tale avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la Segreteria del PM e che 57 di 136 In linea di principio, al difensore d’ufficio, o quello di fiducia in precedenza nominato, è dato avviso almeno 24 ore prima del compimento degli atti di cui all’art. 364,1, nonché delle ispezioni a cui non deve partecipare la persona sottoposta alle indagini. È prevista tuttavia una duplice deroga: nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il PM può procedere all’interrogatorio, a ispezione o a confronto anche prima del termine fissato, dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente (art. 364,5). L’avviso può essere, invece, del tutto omesso quando il PM procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce e gli altri effetti materiali del reato possano essere alterate: anche in questo caso, resta salva la facoltà del difensore di intervenire all’atto. Quando procede nei modi previsti dal cc 5, il PM deve specificatamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell’avviso. B) Allorché si tratti di atti a sorpresa, la cui efficacia potrebbe essere posta a rischio ove se ne fornisse una preventiva conoscenza, è prevista la facoltà del difensore di assistere all’atto senza diritto di essere preavvisato. Tale ambito è regolato dagli art. 356 e 365 con riguardo rispettivamente agli atti della PG e del PM: tra gli atti ad iniziativa della PG vi rientrano le perquisizioni (art. 352), gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone e i sequestri (art. 354), nonché l’apertura immediata del plico di cui all’art. 353,2 (art. 356). Quando procede agli atti indicati nell’art. 356, la PG deve avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 114 disp. att.). Ove l’indagato non si avvalga di tale facoltà, in assenza di espliciti richiami all’art. 97,3, la PG non ha nessun obbligo di affidare all'indagato un difensore d'ufficio e compie l'atto in assenza del difensore. Nell'ambito delle indagini condotte dal PM, il diritto all'assistenza senza preavviso è conferito al difensore per i soli atti di perquisizione o sequestro. Nel corso dell'esecuzione di tali atti, il PM deve chiedere all'indagato se sia già assistito da un difensore di fiducia e qualora ne sia privo dev’essere designato un difensore d'ufficio ex 97,3. Il difensore, a questo punto, ha facoltà di assistere al compimento dell'atto, ferma la facoltà per l’indagato di farsi assistere da persona di sua fiducia ex art. 365. C) La legge non prevede alcun diritto di assistere all'individuazione ex art. 361, all’assunzione di informazioni da persone a conoscenza di notizie utili e al relativo confronto fra esse ex art. 362 all'interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso ex art. 363: almeno per tabulas, i contenuti di quegli atti non sono suscettibili di assumere valore probatorio in dibattimento, ma sappiamo, tuttavia, che essi possono finire per trapelare, realizzandosene le condizioni, tramite gli istituti delle contestazioni e delle letture. Il difensore che, avendone o non avendone facoltà, non abbia assistito all’atto può comunque accedere alla sua documentazione subito dopo il suo compimento: salvo quanto previsto da specifiche disposizioni, i verbali degli atti compiuti dal PM e dalla PG ai quali il difensore ha diritto di assistere, sono depositati entro 3 giorni dal compimento nella segreteria del PM, dove restano per 5 gg a disposizione del difensore, che può esaminarli ed estrarne copia. Costui, se non ha avuto avviso del compimento dell'atto, riceve immediatamente avviso del deposito (art. 366,1). In ogni caso il difensore ha anche facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano e, se si tratta di documenti, può estrarne copia. Il PM, con decreto motivato, può disporre, per gravi motivi, che il deposito dei verbali e l'esercizio delle conseguenti facoltà difensive siano ritardati per non oltre 30 giorni. Contro tale decreto può essere proposta, dalla persona sottoposta alle indagine e dal suo difensore, opposizione al GIP, che provvede in camera di consiglio ex 127 (art. 366,2).   Segue: le investigazioni difensive Un altro modo in cui si esplica l'attività difensiva nel corso delle indagini preliminari è rappresentata dall'attività di indagine difensiva da parte del difensore dell'indagato. Su tale quadro normativo ha influito la modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della l. Cost. 2/1999 e la l. 397/2000, che ha introdotto il Titolo VI bis nel libro V del Codice, rubricato “Investigazioni difensive” che ha prodotto una disciplina che rende l’attività del difensore equiparata a quella dell’organo dell’accusa. Alla luce di dette innovazioni, ex art. 327bis il difensore, dal momento in cui riceve l'incarico professionale, con atto scritto, ha facoltà di svolgere investigazioni, al fine di 60 di 136 ricercare elementi di prova a favore del suo assistito. Tale mandato può essere affidato in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione, Tali attività investigative possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. Ovviamente tale equiparazione non vuol dire uguaglianza di finalità o di poteri: con riguardo alle prime, l’organo dell’accusa ha una finalità caratterizzata da oggettività, mentre il difensore è orientato alla ricerca e alla individuazione degli elementi di prova a favore del proprio assistito. Quanto ai secondi, dotato di minore autonomia, rispetto all’organo dell’accusa, nel compimento di alcune attività –  in particolare in quelle che, incidendo sui diritti altrui, richiedano l’intervento dell’AG – egli è invece marcatamente più libero del primo con riguardo alle modalità di svolgimento degli atti, a quelle di documentazione e alla possibilità di utilizzare gli elementi raccolti. Privo di poteri coercitivi, il difensore dovrà ricorrere al giudice, o allo stesso organo di accusa, chiedendo che lo soccorrano di fronte a fonti di prova renitenti (art. 391 bis cc 10 e 11) a PA resistenti (art. 391 quater, 3); oppure si dovrà rivolgere al solo giudice, quando si tratti di assicurare garanzie difensive a soggetti indiziati (art. 391bis, 4) od ottenere l’autorizzazione ad ascoltare dichiaranti detenuti (art. 391bis, 7).   Segue: l'acquisizione di notizie dalle persone informate sui fatti L'acquisizione di notizie da fonti dichiarative può avvenire con tre diverse modalità: il colloquio non documentato, la richiesta e ricezione di una dichiarazione scritta documentata e l’assunzione di informazioni. Al colloquio non documentato, il difensore ricorre per sondare l’attendibilità, la pertinenza e la rilevanza delle conoscenze in possesso della persona contattata, ai fini della ricostruzione dei fatti è una interlocuzione informale – cui sono legittimati anche il sostituto, gli investigatori privati autorizzati (art. 222 disp. att) e i consulenti tecnici – i cui contenuti non possono acquisire valore probatorio. Le altre due modalità, le quali sono riservate al difensore e al suo sostituto (art. 391bis,2), essendo dotate di potenziale valore probatorio, devono essere documentate ai sensi dell’art. 391 ter e sono presidiate da una sanzione di inutilizzabilità per la mancata osservazione delle modalità di svolgimento (art. 391bis,6). In particolare, ove il difensore ritenga di voler utilizzare le informazioni provenienti dalla persona con la quale conferisce, il colloquio dovrà essere documentato attraverso le forme ordinarie di documentazione degli atti previste dagli artt. 134-142, in quanto applicabili (art. 391 ter,3). Alla documentazione procede lo stesso difensore o un suo sostituto i quali possono avvalersi per la materiale redazione del verbale di persona di loro fiducia (art. 391 ter). Il difensore o il suo sostituto possono altresì chiedere alla persona informata sui fatti di rilasciare dichiarazione scritta sulle circostanze utili di cui è a conoscenza. In tal caso la dichiarazione, sottoscritta dal dichiarante deve essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto ed allegata ad una relazione da lui stesso redatta nella quale sono riportati: a) la data in cui ha ricevuto la dichiarazione; b) le proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione; c) l'attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dal cc 3 dell'art. 391 bis; d) i fatti sui quali verte la dichiarazione (art. 391 ter cc 1 e 2). Tutte e tre queste forme di acquisizione di notizie utili per l'indagine da persone che ne siano a conoscenza devono essere precedute dal composito elenco di avvertimenti si cui al cc 3 dell’art. 391 bis, a pena di inutilizzabilità e salve le conseguenze disciplinari (art. 391 bis,6). In particolare il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel cc 1: • della propria qualità e dello scopo del colloquio; • se intendono semplicemente conferire oppure ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; • dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; • della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; 61 di 136 • del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla PG o dal PM e le risposte date; • delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. Quanto ai soggetti con i quali i difensori e i suoi ausiliari possono conferire, si tratta di ogni persona in grado di riferire notizie utili. Al riguardo, espressamente richiamata, la disciplina delle incompatibilità a testimoniare ex art. 197,1 lett. c-d (art. 391 bis,1) interdice alla difesa di interloquire con i soggetti ivi considerati: il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (lett. c); coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, di PM o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell’art. 391 ter (lett. d). Non si applica il disposto delle lettere a-b dello stesso art. 197: il difensore può quindi acquisire informazioni da persona sottoposta alle indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato a quello del proprio assistito (art. 391 bis,5): in tal caso occorre (a pena di inutilizzabilità e con le ulteriori conseguenze disciplinari ex art. 391 bis,6) che egli ne dia avviso, almeno 24 ore prima, al difensore di fiducia della persona, la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell'art. 97. L’intervento del giudice è altresì necessario quando debba essere sentita una persona detenuta il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione dell’AG competente (se indagato, GIP; se imputato, giudice procedente; se esecuzione di pena, magistrato di sorveglianza) che l’assume senza formalità ex art.125,6, sentiti il suo difensore ed il PM (art. 391bis,7). Premesso che all'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private (art. 391bis,8) per evitare che il dichiarante possa subire indebite influenze, sono previste delle apposite garanzie omologhe quelle dettate con riguardo alla PG e al PM. In primo luogo, si prevede che nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 351,1 ter, il difensore, quando assume informazioni da persone minori, si avvalga dell'ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile (art. 391bis,5). In secondo luogo, sulla falsariga dell’art. 63,1, l’art. 391bis,9 tutela il soggetto che rilascia dichiarazioni auto-indizianti: qualora il dichiarante renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico, il difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Infine, il cc 4 dell’art. 391bis preclude al difensore e a chi lo affianchi nelle indagini, di richiedere alle persone già sentite dalla PG o dal PM, notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. Per evitare, poi, che le indagini vengano pregiudicate da notizie che appare opportuno non siano divulgate l’art. 391 quinquies prevede un potere di segregazione del PM se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il PM può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a 2 mesi. Il PM, inoltre, nel comunicare tale divieto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie l’art. 379bis cp punisce con la pena della reclusione fino a 1 anno. La persona informata sui fatti, se accetta di rendere dichiarazioni, è obbligata a dire la verità, come davanti al PM e al giudice, e risponde penalmente dell'eventuale falsità ex art. 371ter cp - “false dichiarazioni al difensore”. In alternativa, la persona informata sui fatti (che deve essere avvertita al riguardo) può avvalersi della facoltà di non rispondere o rendere dichiarazioni al difensore. In tal caso, il difensore ha due possibilità, di cui la prima consiste nel chiedere al PM di disporre l'audizione della persona informata sui fatti renitente, sempre che non si tratti di persone sottoposte a indagini nello stesso o in altro procedimento nelle ipotesi previste dall’articolo 210 (art. 391bis,10). L’audizione tramuta l’alto del difensore in un atto del PM: esse si svolgerà alla presenza del difensore che per primo a formulare le domande, con le forme previste dall’art. 362 per l’assunzione di informazioni davanti all’organo di accusa. Compiuto con queste forme, l’atto confluirà nel fascicolo del PM, restando inderogabilmente inserito nel materiale probatorio: il 62 di 136 Tendenzialmente omogenei gli usi probatori degli atti in essi contenuti, i fascicoli rispettivamente previsti nell’art. 373,5 e nell’art. 391 octies, 3 si differenziano quanto ai rispettivi criteri di formazione: nel primo, sarà inserito ogni atto compiuto; nel secondo, il difensore inserirà solo quanto vorrà e sarà infatti libero di decidere, se, come e in quale fase dell’arco procedimentale offrire i risultati investigativi alla conoscenza del giudice e della controparte; può celarli, allorché siano inutili o controproducenti per la linea difensiva adottata. Ove voglia servirsene, avrà l’onere di presentarli al giudice o al PM, con le forme previste dalla legge, ben sapendo, tuttavia, che una volta introdotto nel procedimento, l’elemento conoscitivo cessa di essere nell’esclusiva disponibilità del soggetto privato per entrare a far parte del materiale cognitivo del procedimento penale, svincolandosi, così, anche dallo scopo per il quale l’atto investigativo era stato svolto. L’art. 391 octies,3 prevede che la documentazione dell’attività investigativa difensiva, presentata al giudice durante le indagini preliminari o durante l’udienza preliminare ai sensi dei commi precedenti del medesimo articolo, debba essere inserita nel fascicolo del difensore in originale, o in copia se il difensore ne richiede la restituzione. La discrezionalità del difensore, nel produrre e nel selezionare il materiale da immettere nel procedimento, ha tuttavia un limite, infatti questi non può spingersi ad un infedele verbalizzazione, per tacere le circostanze a carico dell’imputato, né del pari, dopo aver verbalizzato integralmente, presentare soltanto parti di atti, per oscurare informazioni sfavorevoli risponderebbe dei reati di falso ideologico in atto pubblico e di favoreggiamento atteso che le SS.UU. qualificano come pubblico ufficiale il difensore che raccoglie informazioni ex 391bis. La disciplina che regola il valore probatorio dei verbali del difensore è contenuta nell’art. 391 octies, con riguardo ai relativi impieghi nella fase che precede il dibattimento, e dell’art. 391 decies con riguardo al dibattimento. Il difensore ha un’ampia possibilità di servirsi del materiale cognitivo raccolto, a partire dalle indagini preliminari, nelle quali l’ostensione probatoria delinea, anzitutto, un dialogo tra difensore giudice. A quest’ultimo, possono essere presentati elementi utili in funzione di una decisione che debba essere adottata con l’intervento della parte privata. Ma il difensore può porre a disposizione del giudice ogni risultanza probatorie che ritenga utile, in via preventiva, per il caso che siano adottate decisioni inaudita parte, come tipicamente sono quelle su materie cautelare. L’art. 391 octies,4 prospetta altresì un dialogo tra le parti, prevedendo che il difensore possa presentare gli elementi di prova raccolti, direttamente al PM in modo da incidere a monte sulle opzioni di colui cui è rimessa ogni iniziativa per l’impulso processuale e per le decisioni giurisdizionali coercitive e interlocutore. Secondo quanto previsto dall’art. 391 octies, 1, il difensore ha anche la possibilità di far pervenire gli elementi di prova raccolti al giudice dell’udienza preliminare: prima dell’inizio della discussione (artt. 419,3 e 421,3), potranno essere presentati i risultati ottenuti durante la fase delle indagini, ma non depositati in precedenza, ovvero i risultati dell’attività di indagine suppletiva (art. 419,3), svolte in seguito alla chiusura delle indagini preliminari. Si vedrà come quegli stessi elementi andranno a rinsaldare una piattaforma cognitiva, sulla scorta della quale il GIP è chiamato a decidere delle sorti del processo. Ove poi l’udienza preliminare rappresenti la scena per lo svolgimento di un rito speciale, tale documentazione risulta utilizzabile, in quella sede, anche per il giudizio: così in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 ss), di giudizio abbreviato (art. 438 ss) e di sospensione del processo con messa alla prova (art. 464bis ss). L’utilizzabilità degli elementi dell’investigazione difensiva nel giudizio abbreviato è tuttavia controversa: ove si concordi che il contraddittorio, in quanto metodo di conoscenza, possa essere derogato solo ove le parti prestino acquiescenza rispetto ad una diversa modalità di accertamento, non dovrebbe ritenersi ammesso che sia la stessa parte che ha formato unilateralmente gli elementi di prova a poter consentire l’utilizzabilità degli stessi, al di fuori del metodo dialettico. Questo è invece quanto avviene con riguardo al giudizio abbreviato, anche con l’avvallo della Corte Cost. che vede il contraddittorio solo come garanzia disponibile dell’imputato: introdotto da una richiesta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti, con la prospettiva di un beneficio premiale in termini di riduzione della pena, il rito viene ammesso sulla scorta di un vaglio solo formale da parte del giudice e senza che il PM abbia un potere di veto. Ove l’imputato si sia avvalso della facoltà di depositare i risultati delle proprie investigazioni difensive, egli realizza, con la sola richiesta di accesso al rito, una trasformazione dei propri elementi in prove utilizzabili dal giudice; le cadenze del rito escluderebbero inoltre la prova contraria in capo al PM. 65 di 136 Complementare rispetto all’art. 391 octies, relativo al valore probatorio delle indagini delle parti private nella fase preliminare e nell’udienza preliminare, l’art. 391 decies regola invece il regime di impiego in fase dibattimentale degli elementi raccolti dal difensore nella sua attività investigativa e sembra confermare l’intento del legislatore di attuare una simmetria tra le indagini svolte dal PM o dalla PG e quelle svolte dai soggetti della difesa anche sul piano dell’utilizzabilità. L’art. 391 decies,1 in particolare prevede che le dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore possano essere impiegate dalle parti per le contestazioni e per le letture, in tutti i casi in cui ciò è consentito in relazione alle indagini preliminari svolte dall’accusa, secondo quanto stabilito dagli artt. 500, 512 e 513. Si è già visto, infine, che gli atti irripetibili, compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi ed immessi nel procedimento, sono destinati a confluire, al pari di quelli compiuti dal PM e dalla PG, nel fascicolo per il dibattimento (art. 391 decies,2 e 431,1 lett. c). La stessa sorte riguarda gli esiti degli accertamenti tecnici non ripetibili di cui all’art. 391 decies,3. Un doppio regime connota tuttavia il percorso intermedio dei relativi verbali in ogni caso, se si trattai di accertamenti, ovvero solo ove il PM vi abbia assistito, se si tratti di altri atti, prima di accedere alla destinazione finale (fascicolo del dibattimento), in base a quanto previsto dall’art. 431,1 lett. c essi sono inseriti nel fascicolo del difensore ed in quello del PM (art. 391 decies,4). Questa duplice custodia consente che tali atti, per la loro rilevanza, restino a disposizione anche dell’organo di accusa, il quale in assenza della detta puntualizzazione normativa, non avendo libero accesso al fascicolo difensivo, non potrebbe disporne al momento di sciogliere l’alternativa che lo attende nella fase conclusiva delle indagini.   L’INTERVENTO DEL GIUDICE PER LA PROVA: L’AMBITO APPLICATIVO DELL’INCIDENTE PROBATORIO Il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'incidente probatorio all’art. 392, nell'eventualità che nel corso delle indagini preliminari si prospetti la necessità o l'opportunità di anticipare l'attività di acquisizione probatoria. Quindi, l'incidente probatorio consente in una fase non giurisdizionale di assumere davanti a un giudice e nel rispetto del contraddittorio, prove destinate ad avere piena efficacia nella fase del giudizio. Il legislatore ha consentito l'acquisizione anticipata della prova per una serie di ragioni diverse per lo più riconducibili alla preoccupazione di tutelare la conoscenza processuale di elementi conoscitivi labili, in quanto non rinviabili, indifferibili, suscettibili di essere inquinati oppure soggetti a deteriorabilità o comunque urgenti. In particolare, in merito ai CASI in cui può svolgersi l'incidente probatorio ex art. 392,1 nel corso delle indagini preliminari, il PM e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio: a)  all'assunzione della testimonianza (ex art. 194) di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento; b)  all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso; c)  all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri; d)  al confronto (ex art. 211) tra persone che in un altro incidente probatorio o al PM hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b); e)  a una perizia (ex art. 220) o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile; f)  a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento. In altri casi, il ricorso all'incidente probatorio è stato previsto quando l'atto, se procrastinato alla fase dibattimentale, fornirebbe esiti diversi. Quindi, si ricorre all'acquisizione anticipata della prova quando l'attività cognitiva: - coinvolga soggetti deboli che devono essere espulsi rapidamente dal circuito processuale; - richieda tempi lunghi che non si conciliano con la tempistica del dibattimento; 66 di 136 - comporti l'esercizio di poteri coercitivi sulla persona; - si inscrive in procedure incidentali alla fase investigativa. Il cc 1-bis dell’art. 392 prevede che nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 572, 600, 600bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 609 undecies e 612bis cp il PM, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne oppure della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal cc 1. In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il PM, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della sua testimonianza (questo cc è mosso dalla ratio di offrire a tali soggetti l’opportunità di deporre in un contesto protetto, sottraendoli alla pubblicità dibattimentale.   Segue: il procedimento I SOGGETTI legittimati a chiedere l'incidente probatorio sono il PM, la persona sottoposta alle indagini (o indagato) e la persona offesa che può soltanto chiedere al PM di promuovere l'incidente; se non accoglie la richiesta, il PM pronuncia decreto motivato e lo fa notificare alla persona offesa ex art. 394. 1) LA NOTIFICA ex art. 393: la richiesta deve essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente per l'assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva la possibilità di richiederne la proroga finalizzata all’esecuzione dell’incidente ex art. 393,4. Tuttavia, tali limiti sono ormai solo apparenti a seguito di una declaratoria di illegittimità degli artt. 392 e 393 l’incidente probatorio può essere richiesto anche in udienza preliminare. Quanto ai contenuti la richiesta deve indicare a pena di inammissibilità ex art. 393,3: a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale; b) le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova; c) le circostanze che, a norma dell'art. 392, giustificano l’incidente probatorio; nonché, quando è proposta dal PM, anche i difensori delle persone interessate a norma del cc 1 lett. b), la persona offesa e il suo difensore. 2) IL DEPOSITO ex art. 395: La richiesta di incidente probatorio è depositata nella Cancelleria del GIP, unitamente a eventuali cose o documenti, ed è notificata a cura di chi l'ha proposta al PM e alle persone nei cui confronti si procede per i fatti oggetto di prova; la prova della notificazione è depositata in Cancelleria ex art. 395. Tale notificazione costituisce la premessa per un contraddittorio, cartolare e a tempi ridottissimi, intorno all’ammissibilità della richiesta. 3) LE DEDUZIONI ex art. 396: entro 2 gg dalla notificazione della richiesta, il PM o la persona sottoposta alle indagini può presentare deduzioni sull'ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate alla prova stessa ex art. 396. La persona sottoposta alle indagini deve depositare le proprie deduzioni anche nella segreteria del PM. 4) IL DIFFERIMENTO ex art. 397: venuto a conoscenza della richiesta presentata dalla persona sottoposta alle indagini, entro il medesimo termine di 2 giorni dalla notifica della richiesta, il PM può chiedere al giudice il differimento dell’incidente probatorio con le forme previste dall’art. 397, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagini preliminari. In ogni caso il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova. La richiesta di differimento deve indicare: a) l'atto o gli atti di indagine preliminare che l'incidente probatorio pregiudicherebbe e le cause del pregiudizio; b) il termine del differimento richiesto. 5) LA DECISIONE ex art. 398: il giudice deve decidere sull'ammissibilità e sull'accoglimento del cedente probatorio entro due giorni dalla scadenza del termine per le deduzioni. 67 di 136 termine è di 1 anno se si procede per un uno dei reati ex art. 407,2 lett. a (associazione a delinquere, mafia, terrorismo, ecc). Entro lo stesso termine dettato dall’art. 405 o in quello individuato successivamente dalle proroghe deve essere richiesta l’archiviazione (art. 408,1). Nel caso in cui il PM intenda esercitare l’azione, basta che, prima dello scadere del termine, venga inviato l’avviso di conclusione delle indagini. Se si procede per un reato perseguibile a querela, istanza o richiesta, il termine decorre dal giorno in cui tali atti pervengono al PM; se è necessaria l’autorizzazione a procedere, il termine resta sospeso dal giorno in cui l’autorizzazione è richiesta e fino a quando essa non perviene. Inoltre, il termine resta sospeso durante la perizia disposta in incidente probatorio per accertare l’attitudine dell’indagato a partecipare coscientemente al processo e, salvo si tratti di procedimenti per reati di criminalità organizzata, è soggetto alla sospensione feriale. A richiesta del PM – da avanzarsi prima della scadenza del termine e contenente l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che ne giustificano la presentazione (art. 406,1) – il giudice può concedere una proroga del termine di indagine. Per ottenere più tempo, al PM, in prima battuta, basta esibire una “giusta causa”, mentre ulteriori proroghe potranno essere richieste “nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concludere entro il termine prorogato” (art. 406,2). Ciascuna proroga non può essere eccedente i 6 mesi (art. 406,2bis). Tuttavia, allo scopo di accelerare le indagini, nei procedimenti per maltrattamenti contro familiari e conviventi, nei reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose per violazione delle norme stradali o di sicurezza sul lavoro, atti persecutori ecc, la proroga può essere concessa una sola volta. In ogni caso ex 407,1 la durata delle indagini preliminari non può superare i 18 mesi. Tuttavia, ex art. 407,2 la durata massima è di 2 anni se le indagini preliminari riguardano: • gravi delitti ivi indicati, tra cui alcune delle più gravi fattispecie di delitti di stampo mafioso o terroristico; omicidio, rapina ed estorsione, sequestro  di persona; delitti concernenti armi ed stupefacenti; delitti contro la libertà individuale e contro la libertà personale) • notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese; • indagini che richiedono il compimento di atti all’estero; • procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più u ci del pubblico ffi ministero ex art. 371. Un contraddittorio esclusivamente cartolare prelude, di regola, alla ordinanza con cui il giudice concede la proroga: la richiesta di proroga è notificata a cura del giudice, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o anche successivamente, abbia chiesto di essere informata, con l’avviso della facoltà di presentare memorie entro 5 gg dalla notifica. Entro 10 gg dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie il giudice decide (406,3): se accoglie la richiesta, autorizza l’estensione delle indagini con ordinanza emessa in camera di consiglio senza intervento del PM e dei difensori (406,4). Se invece il giudice ritiene, allo stato degli atti, di non concedere l’estensione,  il giudice dover far luogo ad un procedimento camerale nelle forme dell’art. 127: in tal caso, entro il termine di 10 gg, deve fissare un’udienza, della quale fa notificare avviso al PM, all’indagato e all’offeso che ne ha fatto richiesta. Al termine di quel procedimento può autorizzare il PM a proseguire le indagini (art. 406,6) ovvero respingere la richiesta di proroga, fissando un termine non superiore a 10 gg per la formulazione delle richieste conclusive delle indagini (art. 406,7) (quindi  o chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale). Gli atti compiuti  nelle  more del procedimento di proroga sono  utilizzabili, salvo che, in ipotesi di diniego, gli stessi siano compiuti oltre lo spirare del termine originariamente previsto per le indagini (in ossequio all’art. 407,3) (art. 406,8).   LE DETERMINAZIONI INERENTI ALL’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE Al termine delle indagini preliminari, l’art. 405,1 dispone che il PM, quando non deve chiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale. Invece, con la richiesta di archiviazione il PM manifesta la propria volontà a non esercitare l'azione penale con riferimento a una determinata notizia di reato→ il principio di obbligatorietà dell'azione 70 di 136 penale ex art. 112 Cost, infatti, non impone di esercitare sempre l'azione penale, ma di farlo dopo una preliminare valutazione di fondatezza della notitia criminis. Al riguardo spetta al PM decidere se ricorrono i presupposti discrezionalità tecnica nel senso che al ricorrere delle condizioni indicate dalla legge – in positivo o in negativo – deve conseguire una scelta di carattere vincolato. Quando non sussistono quei presupposti che impongono di deflettere l’azione, il PM dovrà procedere, formulando l’imputazione nei modi previsti dalla legge. L’ARCHIVIAZIONE DELLA NOTIZIA DI REATO Quando, all'esito delle indagini preliminari, il pm ritiene l'infondatezza della notizia di reato, cioè l'inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l'accusa in giudizio, chiede al gip l’archiviazione ex art. 408. Analogamente si comporterà se sono ignoti gli autori del reato ex art. 415. Il giudice, se ritiene tale richiesta meritevole di accoglimento, adotta il relativo decreto e restituisce gli atti al pm. Invece, se il gip non accoglie la richiesta di archiviazione presentata al pm (oppure se la persona offesa presenta opposizione ai sensi del ex art. 410), il pm deve fissare entro 3 mesi l'udienza camerale, per la quale spedirà avviso al pm, alla persona indagata, alla persona offesa e al Procuratore Generale ex art. 409 cc 2 e cc 3. Inoltre, qualora, al termine di tale udienza non ritenga necessario il compimento di ulteriori indagini ha di nuovo 3 mesi per provvedere sulle richieste, ossia per decidere se emettere ordinanza di archiviazione oppure chiedere al pm di formulare l'imputazione (imputazione coatta) che è la chiave di accesso all'udienza preliminare. I casi di richiesta di archiviazione sono: • notizia di reato infondato ex art. 408; • mancanza di condizioni di procedibilità ex art. 411; • reato estinto ex art. 411; • fatto non previsto come reato ex art. 411; • reato commesso da ignoti ex art. 415; • non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cp L’art. 408,1 stabilisce che il PM debba presentare richiesta di archiviazione al giudice se la notizia di reato è infondata. In particolare, ex art. 125 disp. att, il PM presenta al giudice richiesta di archiviazione, quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio archiviazione per inidoneità probatoria essa dev’essere considerata la traduzione in chiava accusatoria del principio di non superfluità del processo in particolare la Corte Cost. ha spiegato come la scelta del PM debba passare per un apprezzamento degli elementi raccolti nelle indagini, postulando una prognosi da compiersi non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento: non dunque una prognosi di condanna, bensì la sussistenza di un quadro probatorio articolato seppur non univoco, avrebbe dovuto convincere il PM ad agire in particolare nei casi dubbi il PM avrebbe dovuto tener conto, di fronte ad una piattaforma cognitiva incerta o contraddittoria, della possibilità di acquisire nuovi elementi dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419,3) o dopo la pronuncia del decreto che dispone il giudizio (art. 430) ovvero nel corso dell’udienza preliminare (422), oltreché dell’attività probatoria esperibile nel contesto della dialettica dibattimentale. Sennonché oggi il PM deve agire con maggiore cautela. Non può non tener conto del mutato assetto, ad esempio, del riformulato assetto del giudizio abbreviato sarebbe suicida la scelta di un PM che continuasse a contare sulla possibilità di una corroborazione dibattimentale di elementi incerti, pur sapendo che la richiesta dell’imputato può congelare: – al momento della chiusura delle indagini preliminari – il materiale cognitivo sula quale l’accertamento dovrà essere compiuto; d’altro canto una imputazione sfornita di solido supporto probatorio sarebbe destinata a non passare il vaglio dell’udienza preliminare. Definita l’infondatezza, come superfluità dell’accertamento processuale, ad essa possono essere ricondotte anche le altre fattispecie di archiviazione che il legislatore considera all’art. 411: mancanza di una condizione di procedibilità, estinzione del reato, fatto non previsto dalla  legge  come reato, nonché da ultimo per particolare tenuità del fatto. 71 di 136 Ipotesi a sé stante è poi l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato disciplinata all’art. 415. Per completezza va fatto un cenno ad un ultimo elemento: il cc 1bis dell’art 405 imponeva al PM di formulare richiesta di archiviazione, al termine delle indagini preliminari, anche quando la corte di cassazione, nell’ambito di un incidente cautelare, si fosse “pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art 273” e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta  alle indagini” Con la sent. 121/2009 la Corte cost. ne ha dichiarato l’illegittimità cost. per contrasto con gli artt. 3 e 112 cost, osservando come la regola in esame rovesciasse “il rapporto fisiologico tra procedimento incidentale de libertate e procedimento principale” e finisse per alterare irragionevolmente la logica dell’istituto dell'archiviazione, il quale da controllo sull’inazione diveniva filtro rispetto all’azione penale inopportunamente esercitata, così anticipando una valutazione propria dell’udienza preliminare.   Segue: l ’archiviazione per particolare tenuità del fatto Un nuovo istituto concernente la non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato recepito nel processo penale ordinario ad opera del d.lgs. 28/2015. In particolare, l’art. 131bis cp dispone che: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai  sensi dell'articolo  133,1  cc,  l'offesa è  di  particolare  tenuità  e  il  comportamento  risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai  sensi del primo cc,  quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha approffittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo cc non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. L’art. 411,1 prevede ora che la richiesta di archiviazione ed i conseguenti provvedimenti debbano essere adottati quando risulta che la persona sottoposta alle indagini “non è punibile ai sensi dell’art. 131bis cp per particolare tenuità del fatto”. Tale causa di non punibilità, in quanto tale, presuppone una prognosi di colpevolezza del soggetto, ma una contestuale valutazione del carattere scarsamente lesivo del fatto. Al riguardo, il nuovo cc 1bis dell’art. 411 delinea un particolare modulo procedurale. Si prevede infatti che la procedura si svolga in apposita udienza camerale, solo ove vi sia una richiesta degli interessati. Il pm, pertanto, deve dare avviso dell'intenzione di chiedere l'archiviazione alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di 10 gg, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione, indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta di archiviazione. L’iter decisorio, ricalcato sul modello disciplinato dall’art. 409, prevede: a)  un vaglio di ammissibilità del giudice sulle eventuali opposizioni, limitato a verificare che siano esposte le ragioni del dissenso, senza alcun apprezzamento del rilievo sostanziale delle stesse; b) un cotraddittorio camerale conseguente, esclusivamente, ad un atto di opposizione ammissibile, in alternativa ad una procedura de plano, ove le eventuali opposizioni siano inammissibili o non siano state presentate; c) due epiloghi alternativi: una decisione di  archiviazione assunta con ordinanza o decreto, a seconda che sia svolta o no l’udienza camerale; oppure, la restituzione degli atti al PM nel caso 72 di 136 Criticabile la tesi accolta in giurisprudenza con riguardo alla portata degli effetti preclusivi: secondo la Corte cost. e le SS.UU., la mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini “determina non solo la inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione, ma anche la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto-reato, oggettivamente e soggettivamente considerato”, una soluzione fin troppo drastica.   Segue: l ’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato L’art. 415,1 prevede che quando è ignoto l'autore del reato, e quindi si ha una notizia di reato generica, il PM, che evidentemente non è ancora riuscito a trovare un possibile autore, entro 6 mesi dalla data della registrazione della notizia di reato, presenta al giudice richiesta di archiviazione oppure, se ritiene ancora possibile individuare un indiziato, di autorizzazione a proseguire le indagini. Ex art. 415,2, quando accoglie la richiesta di archiviazione oppure di autorizzazione a proseguire le indagini, il giudice pronuncia decreto motivato (non impugnabile) e restituisce gli atti al PM. Se ritiene che il reato sia però da attribuire a persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato per cui le indagini proseguiranno nei confronti di quest’ultimo. Il cc 3 stabilisce che si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni del titolo VIII del libro V (art. 405-414) deve ritenersi che la procedura di archiviazione conseguente a tale richiesta non differisca da quella ordinaria: se il giudice dissente o la persona offesa si oppone, la decisione va adottata all’esito dell’udienza camerale ex art. 409. Sono salvi i diritti dell’offeso del reato (art. 408 e 410). Si applicano anche i termini di indagine ordinari (art. 405-407): secondo interpretazione diffusa e confermata dalle SS.UU., quando indaghi nell’ambito di un procedimento contro ignoti, il PM dovrà non solo chiedere l’autorizzazione a proseguire le indagini prevista dall’art. 415, ma anche, nel momento in cui se ne presenti la necessità, la proroga ordinaria dei termini di indagine. Poco coerentemente però le SS.UU. escludono, tuttavia, che, una volta disposta l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato, ove il PM voglia tornare a indagare, debba chiedere la relativa autorizzazione ex art. 414 di riapertura delle indagini. Il cc 4 dell’art. 415 si occupa invece dell’ipotesi di una richiesta di archiviazione e del conseguente decreto emanati contestualmente per più reati. Infatti, si dispone che nell'ipotesi di cui all'art. 107bis disp. att. (che consente agli organi di polizia di trasmettere agli uffici della procura le denunce dei reati commessi da persone ignote, unitamente agli atti di investigazione compiuti, elencate in apposito indice mensile) la richiesta di archiviazione ed il decreto del giudice che accoglie la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il PM o il giudice intendono escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto si appresta un meccanismo molto pragmatico al fine di liberarsi di indagini abortite. LA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO (ex art. 416) La fase del processo inizia con l'esercizio dell'azione penale da parte del pm ex art. 405. A tale iniziativa può conseguire: • la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 e successivamente fissazione dell'udienza preliminare ex art. 418; • l'attivazione di un rito speciale ex art. 438; • la citazione diretta a giudizio da parte del pm ex art. 550. Gli effetti giuridici della richiesta di rinvio a giudizio sono che: - l'indagato assume la qualità di imputato ex art. 60; - è possibile la costituzione di parte civile; - consegue la possibilità di accesso delle altre parti private eventuali (responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria).  Prima di avanzare la richiesta, il pm deve spedire all'indagato l'avviso del termine dell'indagini preliminari ex art. 415 bis. 75 di 136 Poiché il pm, con la richiesta, deve trasmettere il suo fascicolo ex art. 416 e il GUP deve avvisare il difensore dell'imputato, che ha facoltà di prendere visione dei relativi atti ex art. 419 e ne consegue che in tal modo una completa discovery, cioè le carte vengono scoperte. L’UDIENZA PRELIMINARE Come abbiamo precedentemente citato, il PM deve formulare l’imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio. La richiesta di rinvio a giudizio costituisce l’atto introduttivo dell’udienza preliminare segnando la soglia tra procedimento e processo. La funzione dell'udienza preliminare è quella di garantire che un giudice diverso dal GIP effettui un controllo sulla fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio proposta dal pm; infatti, il giudice per l'udienza preliminare, detto GUP, opera un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale, filtrandone le imputazioni. Quest’udienza rappresenta il primo approdo del procedimento alla giurisdizione e ha lo scopo di evitare dibattimenti iniqui per l’imputato e inutili per l’ordinamento. La decisione che ne scaturisce suppone un confronto orale tra le parti, preceduto da una discovery degli atti: l’imputato (divenuto tale con l’esercizio dell’azione penale) potrà quindi articolare le proprie argomentazioni difensive davanti ad un giudice, chiamato a dirimere l’alternativa tra instaurazione del dibattimento e il non luogo a procedere (tra le chances che l’udienza offre, potrà decidere anche di rifuggire dal dibattimento volgendo verso procedure alternative, ovvero di anticiparne lo svolgimento, rinunciando alla discussione preliminare sulla necessità dello stesso dibattimento). Il contraddittorio tra le parti e la valutazione del giudice si sviluppano intorno agli esiti delle indagini, ormai svelate, ma i termini del dibattito non sono definitivamente fissati al momento della richiesta introduttiva; pertanto, si ha una sorta di working in progress dove PM e difensori potranno proseguire le investigazioni, anche oltre il momento introduttivo dell’udienza e, nelle ipotesi consentite, chiedere di assumere prove con le forme dell’incidente probatorio. Inoltre, il giudice potrà, addirittura, imporre al PM di tornare ad indagare e, in ultima analisi, potrà inscenare, anche d’ufficio, un interludio per la ricerca di elementi cognitivi che lo convincano dell’inutilità del dibattimento.   Segue: la richiesta di rinvio a giudizio (ex art. 416) e gli atti introduttivi (ex art. 419) La richiesta di rinvio a giudizio dev’essere depositata dal PM nella Cancelleria del giudice.  In vista del successivo contraddittorio, il PM con la richiesta trasmette il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al GIP (il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove). Correlato a tali adempimenti vi è la facoltà dell’imputato e del suo difensore di prendere visione degli atti (art. 419,2). I REQUISITI formali della richiesta di rinvio a giudizio sono fissati dall’art. 417. Essa deve contenere: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l'identificazione; b) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza; c) l'indicazione delle fonti di prova acquisite; d) la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; e) la data e la sottoscrizione. La richiesta del PM innesca la sequenza giurisdizionale; infatti, tempi brevissimi cadenzano la FISSAZIONE DELL’UDIENZA ex art. 418: entro 5 gg dal deposito della richiesta, il GUP fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in Camera di Consiglio, provvedendo a nominare un difensore d’ufficio, qualora l'imputato sia privo del difensore di fiducia ex art. 418,1, e tenendo conto che tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non possa intercorrere un termine superiore a 30 gg ex art. 418,2. Successivamente l’art. 419 (ATTI INTRODUTTIVI), ai primi quattro commi, disciplina il dovere del giudice di dar notizia alle parti e ai difensori dell’udienza. In particolare: 76 di 136 • art. 419,1. Il giudice fa notificare all'imputato e alla persona offesa l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal PM e con l'avvertimento al (solo) imputato che, qualora non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies ex art. 419,1. • art. 419,2. L'avviso è altresì comunicato al pm e notificato al difensore dell'imputato con l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmessi a norma dell’art. 416 cc 2 e di presentare memorie e produrre documenti. • art. 419,3. L'avviso [comunicato al pm] contiene, inoltre, l'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio. • art. 419,4. Gli avvisi sono notificati e comunicati almeno 10 gg prima della data dell'udienza. Entro lo stesso termine è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Le disposizioni dei cc 1 e 4 sono previste a pena di nullità (art. 419,7). L’omessa o erronea citazione dell’imputato, nonché la mancata indicazione della data e del luogo dell’udienza, comporta, secondo le SS.UU. una nullità generale a regime assoluto, riconducibile all’art. 179,1, poiché l’adempimento in discorso ha natura sostanziale di citazione. • art. 419,5. L'imputato può rinunciare all'udienza preliminare e richiedere il giudizio immediato con dichiarazione presentata in Cancelleria, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, almeno 3 gg prima della data di udienza. L'atto di rinuncia è notificato al pm e alla persona offesa dal reato a cura dell'imputato. • art. 419,6. Nel caso previsto dal cc 5, il giudice emette decreto di giudizio immediato.   Segue: gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (ex art. 420) L’udienza preliminare, che si svolge in Camera di Consiglio, richiede la partecipazione necessaria del pm e del difensore dell’imputato ex art. 420,1. Il giudice accerta la costituzione delle parti, dando atto di quelle presenti e verificando le notifiche per quelli assenti ex art. 420,2. Se manca il difensore dell’imputato ne nomina uno d’ufficio ex art. 420,3. La l n. 67 del 2014 ha eliminato l’istituto della “contumacia”, sostituendolo con quello “dell’assenza”: esso indica lo status dell’imputato che sia venuto a conoscenza del procedimento e abbia deciso di non comparire ex art. 420bis assenza dell’imputato. Nello specifico se vi è la prova certa che l’imputato sia a conoscenza del procedimento e dell’udienza preliminare, e anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice dispone con ordinanza che si proceda in assenza dell’imputato, che viene rappresentato dal difensore. Se manca la prova certa che l’imputato sia conoscenza del procedimento, ma tale prova si ricava dal fatto: • che l’imputato ha dichiarato o eletto domicilio; • che l’imputata è stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare; • che l’imputato ha nominato un difensore di fiducia; • che l’imputato ha ricevuto personalmente la notificazione, si può procedere in assenza e l’imputato è rappresentato dal difensore ex art. 420bis cc 2. Se manca la prova certa che l’imputato sia a conoscenza del procedimento e non ricorrono le ipotesi previste dalla legge, il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso di fissazione sia notificato dalla polizia giudiziaria all’imputato personalmente ex art. 420bis cc 5. Se, invece, ex art. 420ter l'impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, il giudice è tenuto a rinviare l'udienza se risulta (o appaia probabile) che l'imputato non si sia presentato per assoluta impossibilità a comparire (esempio, ricovero ospedaliero) o per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. Se la notifica personale non è possibile, il giudice sospende il processo con ordinanza e pronuncia sentenza inappellabile ex art. 420quater sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Le condizioni che devono ricorrere per la sospensione del processo sono che: 77 di 136 Per evitare, però, che il decorso del tempo possa impedire l’acquisizione della prova, durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili (420 quater, 3). Inoltre, per circoscrivere gli effetti negativi scaturenti dalla sospensione, impedendo che si propaghino a soggetti diversi dall’imputato irreperibile, si stabilisce, in primo luogo, che si possa procedere ex art. 18,1 lett. b alla separazione di eventuali procedimenti connessi per imputati per i quali la causa di sospensione non operi; in secondo luogo che non debba applicarsi la sospensione del processo civile stabilita dall’art. 75,3:il danneggiato potrà quindi trasferire l’azione civile nella sede propria in qualsiasi momento non essendovi impedito dal vincolo altrimenti derivante da quest’ultima disposizione (420 quater, 2 sec.per.). La stasi processuale dovrà essere monitorata a intervalli fissi: alla scadenza di un anno (e, finché il procedimento non abbia ripreso il suo corso, ad ogni successiva scadenza annuale), o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dovrà disporre nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso (420 quinquies, 1). Il giudice dovrà revocare l’ordinanza di sospensione in quattro casi: a) se le ricerche di cui al cc 1 hanno avuto esito positivo; b); se l’imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; c) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti; d) se dev’essere pronunciata sentenza a norma dell’art. 129 (420 quinquies, 2). Con l’ordinanza di revoca della sospensione del processo, il giudice fissa la data dell’udienza, disponendo che l’avviso sia notificato all’imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonché comunicato al PM (420 quinquies, 3). Per espressa previsione, nell’udienza, l’imputato può accedere al giudizio abbreviato o all’applicazione della pena su richiesta (420 quinquies, 4) (anche se nulla si dice circa la sospensione del processo con messa alla prova non c’è ragione per negare l’accesso anche al rito in discorso). Come si è già detto, la presenza del difensore dell’imputato è prevista come necessaria, ed ogni violazione di tale garanzia è dunque sanzionata a pena di nullità assoluta, ai sensi dell’art 179,1. L’art. 420,3 prevede che, se il difensore dell’imputato non è presente, il giudice debba provvedere a norma dell’art. 97,4. Tuttavia, il giudice deve rinviare l’udienza nel caso di assenza del difensore, quando un legittimo impedimento impedisca la sua partecipazione. La causa ostativa alla comparizione del difensore che legittima il rinvio dell’udienza è serrata i limiti ristretti: l’impedimento, oltre che prontamente comunicato, per essere legittimo, deve derivare da una impossibilità di comparire assoluta. Inoltre, la disposizione non si applica se l’imputato non resterebbe comunque sfornito della difesa fiduciaria perché assistito da due difensori, quando l’impedimento riguardi uno dei medesimi; ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto (le SS. UU. hanno escluso l’obbligo di nomina di un sostituto in caso di grave malattia tempestivamente segnalata). Infine, l’imputato, più interessato alla speditezza del procedimento che all’assistenza difensiva, può sempre consentire che si proceda in assenza del difensore impedito (420 ter,5) (ovviamente previa nomina di un sostituto). Non un’assoluta impossibilità ma una libera scelta, riconducibile alla libertà di associazione ex 18 cost., è quella che determina l’astensione dall’udienza del difensore che intende aderire all’astensione proclamata dagli organismi forensi in tali casi si impone il rinvio anche dell’udienze camerali. Tale rinvio trova attuazione senza alcun altro limite oltre quelli calibrati dalle regole di autoregolamentazione: il bilanciamento tra tale diritto di rilievo costituzionale e i contrapposti diritti e valori costituzionali dello Stato e dei soggetti interessati al servizio giudiziario è stato realizzato in via generale, con la l. 146/1990 e dalle fonti secondarie ivi previste, alle quali è stata attribuita la competenza in materia, mentre al giudice spetta normalmente il compito di accertare se l’adesione all’astensione sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle relative disposizioni primarie e secondarie, previa la loro corretta interpretazione. Segue: lo svolgimento dell’udienza e le integrazioni probatorie (ex art. 421) Dopo aver accertato la costituzione delle parti, il gup dichiara aperta la discussione, nel corso della quale le parti illustrano le loro conclusioni sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pm o prodotti all'inizio dell'udienza ed ammessi dal giudice. Nello specifico il pm espone i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che sostengono la richiesta di rinvio a giudizio. L’imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere interrogato. 80 di 136 I difensori delle parti private argomentano le proprie tesi, prendendo la parola per prima la parte civile, poi il responsabile civile e quindi il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Il pm e l’imputato possono replicare una sola volta. Il pm e i difensori formulano le rispettive conclusioni. Se si ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, il GUP esercita i suoi poteri officiosi, cioè può indicare al pm nuovi indagini da svolgere, cosiddetta “integrazione delle indagini”, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Il GUP, inoltre, può ordinare l’assunzione officiosa di mezzi di prova, cosiddetta “integrazione probatoria”, che siano evidentemente decisi per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, quindi solo a favore dell’imputato. Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, il giudice dichiara aperta la discussione (421,1). La discussione si concreta in un sintetico confronto tra il PM e i difensori delle parti private e dell’imputato: in particolare, il PM espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. Conclusa l’esposizione introduttiva del PM e prima che prendano parola i difensori, l'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni degli artt. 64 e 65. Su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli art. 498 e 499 (ovvero nelle forme dell’esame incrociato) tale richiesta è da mettersi in correlazione con l’art. 514,1 che vieta di dare lettura dei verbali compiuti nella fase preliminare “a meno che nell’udienza preliminare le dichiarazioni siano state rese nelle forme previste dagli artt. 498 e 499, alla presenza dell’imputato e del suo difensore”. Prendono poi la parola, nell'ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato che espongono le loro difese. Il PM e i difensori possono replicare una sola volta (421,2). Al termine degli interventi e delle repliche, il PM e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell'articolo 416,2 nonché gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione (421,3) si tratta dei documenti depositati ex 419,2; di eventuali atti di investigazione difensiva, che possono essere presentati direttamente al giudice (391 octies,1); delle indagini suppletive svolte successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio (419,3). Se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione (419,4). Tuttavia, è possibile, che l’udienza preliminare diventi la scena per ulteriori momenti acquisitivi, sollecitati dalle parti – le quali possono chiedere l’incidente probatorio anche in questa sede – o dal giudice. Infatti, quando non provvede ex 421,4 (quindi decidendo allo stato degli atti), il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete (quindi vi sono carenze investigative), indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello (421bis,1) il quale può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini (si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'art. 412,1) (421bis,2). Questo potere di impulso investigativo costruito sulla falsariga di quello che trova luogo nella procedura di archiviazione solleva non pochi problemi legati alla terzietà del giudice e del GUP in particolare: infatti mentre compito del Gip, in sede di archiviazione, è quello di evitare l’elusione dell’obbligatorietà dell’azione penale, il che giustifica il suo potere di individuare e imporre l’approfondimento di temi investigativi, il Gup, nell’udienza preliminare, è chiamato a vagliare la sostenibilità in giudizio di un’accusa già formulata dall’organo competente, impedendo il cammino di accuse processualmente infondate; il che, mal si concilia con ingerenze in chiave di sollecitazione probatoria contra reum. Qualora, poi, il giudice, (che evidentemente ritiene di non poter decidere allo stato degli atti) non ritenga di investire il PM del compito di nuove indagini – ovvero nonostante quelle indagini, ne ravvisi ancora l’esigenza – egli può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere (422,1) tale attività di integrazione probatoria del giudice ex officio non potrebbe, quindi, riguardare né prove idonee a corroborare un eventuale rinvio a giudizio, né prove che, ictu oculi, non siano adeguate a indirizzarlo verso la sentenza di non luogo a procedere si consideri però che, dato che anche un 81 di 136 quadro contraddittorio o insufficiente deve convincere il giudice ad interrompere la sequenza processuale alle soglie del giudizio, ogni elemento di prova suscettibile di inclinare la necessaria prognosi di resistenza dell’impianto probatorio rientra nel novero dell’art. 422. Il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'art. 210 di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio (422,2) l'audizione e l'interrogatorio sono condotti dal giudice. Il PM e i difensori possono porre domande, a mezzo del giudice, nell'ordine previsto dall'art. 421,2; al termine il PM e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni (422,3). Anche nell’ambito dell’istruzione officiosa, l'imputato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, che si svolgerà con le stesse modalità appena viste: si applicano, di regola, le disposizioni degli artt. 64 e 65, ma, su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli artt. 498 e 499 (ovvero nelle forme dell’esame incrociato) (422,4).   Segue: la modifica dell’imputazione (ex art. 423) Nel corso dell’udienza preliminare l’imputazione può essere modificata: a tal fine, occorre una richiesta del pm e che sia emerso un fatto diverso oppure emerge un reato connesso o una circostanza aggravante, che il pm può legittimamente modificare l’imputazione e contestare all’imputato presente ex art. 423,1, o se l’imputato è assente, la modifica dell’imputazione viene comunicata al difensore. A meno che sia emerso un fatto nuovo, non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il PM ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato. Se, però, il pm non provvede alla modifica, il GUP dovrà dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e restituire gli atti al pm, affinché eserciti nuovamente l’azione penale. L’art. 423 prevede quattro ipotesi di mutamento, le medesime scandite più dettagliatamente nella disciplina dibattimentale (516-518). In particolare, ex 423,1 se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso (presentando lo stesso nucleo storico ma qualche elemento dissimile) da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'art. 12,1 lett. b, o una circostanza aggravante, il PM modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente o, se questi è assente, la comunica al suo difensore, il quale rappresenta l'imputato ai fini della contestazione (423,1). Ex 423,2 se, invece, risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo (in quanto si aggiunge al precedente) non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il PM ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato. Come visto la disciplina, seppur ordita sulla falsariga del più corposo rimedio dibattimentale, risulta piuttosto essenziale e non adeguatamente provvista di garanzie. Al riguardo, i numerosi silenzi devono essere colmati in via interpretativa: in particolare, pur in assenza di una norma analoga a quella espressa dall’art. 519 dovrebbe riconoscersi il diritto dell’imputato ad un termine a difesa; inoltre, secondo la Corte cost., sebbene il principio di correlazione tra imputazione e sentenza sia stato espressamente disciplinato soltanto con riferimento alla fase del giudizio, la disposizione prevista dall’art. 521 deve trovare applicazione, in via analogica, anche con riferimento al GUP. Sulla scorta di queste premesse viene riconosciuto al giudice il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione. Si pensa sia doveroso anche il contraddittorio sulla imputazione riqualificata che preceda l’epilogo della fase (vd. 521,1); applicabile anche il principio di cui all’art. 521,2: se accetta che il fatto è diverso da quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il giudice deve disporre la trasmissione degli atti al PM perché eserciti ex novo l’azione penale: tuttavia, secondo le SS.UU., tanto può fare solo dopo una prima sollecitazione di formulare l’imputazione che non sia stata raccolta dall’organo di accusa.   Segue: la sentenza di non luogo a procedere (ex art. 425) e la sua revoca Quando ritiene di poter decidere, il gup dichiara chiusa la discussione e delibera, pronunciando la sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio. La sentenza di non luogo a procedere viene pronunciata a fronte di uno dei seguenti motivi: 82 di 136 Con ulteriori statuizioni di carattere civilistico, il giudice provvede, negli stessi casi di cui al comma 1, a richiesta di parte: quando ne è fatta domanda, il giudice condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto. Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte (art. 427,2), ma se il reato è estinto pre remissione della querela, si applica la disposizione dell’art. 340,4 secondo cui le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 427,5). Nel caso di colpa grave, il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda (art. 427,3). Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni possono proporre impugnazione, a norma dell'art. 428, il querelante, l'imputato e il responsabile civile (art. 427,4). La disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere ha subito radicali modifiche a seguito della legge 46/2006: prima appellabile dal PM e dall’imputato, oggi è solo soggetta a ricorso per Cassazione (art. 428) sarebbe stato meglio renderla appellabile anziché ricorribile in Cassazione [la riforma Orlando ha cmq previsto il ritorno all’appellabilità]. Legittimati al ricorso sono il Procuratore della Repubblica e il procuratore generale; nonché l’imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso (art. 428,1). La persona offesa può proporre ricorso per cassazione nei soli casi di nullità previsti dall’art. 419,7, per difetto di citazione all’udienza; se costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 (art. 428,2). Secondo le SS.UU. è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere promosso dal mero danneggiato dal reato, pur costituito parte civile, poiché il rimedio disciplinato dall’art. 428 è preordinato alla tutela esclusiva degli interessi penalistici della persona offesa. Sull’impugnazione decide la corte di cassazione in camera di consiglio con le forme prevista dall’art. 127 (art. 428,3) il rinvio alla disciplina ordinaria del procedimento camerale indica che non vi si svolge un contraddittorio solo cartolare, come avverrebbe se si applicasse il rito camerale davanti la corte di cassazione ex 611; peraltro occorrono alcuni adattamenti: non sono presenti le parti, ma il contraddittorio si svolge con la sola presenza dei difensori. Quando non è più soggetta a impugnazione la sentenza in discorso “acquista forza esecutiva” (art. 650,2). Essa spiega effetti preclusivi ma la sua stabilità è limitata, potendo essere sempre revocata, quando se ne ravvisino gli estremi. In virtù della preclusione derivante dalla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, è interdetto l’esercizio dell’azione penale; gli atti d’indagine, in quanto espletati contra legem, sono inutilizzabili ex art. 191; inoltre non può essere applicata una misura cautelare, per lo stesso fatto, nei confronti dell’imputato prosciolto prima che, emerse nuovi fonti di prova, sia pronunciata dal GIP la revoca della sentenza medesima. Al tal ultimo riguardo, se dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il GIP, su richiesta del PM, dispone la revoca della sentenza (art. 434). Nella richiesta di revoca – da trasmettersi alla cancelleria del giudice con gli atti relativi alle nuove fonti di prova (art. 435,2) – il PM indica le nuove fonti di prova, specifica se queste sono già state acquisite o sono ancora da acquisire e richiede, nel primo caso, il rinvio a giudizio e, nel secondo, la riapertura delle indagini (art. 435,1). Poiché l’efficacia preclusiva della decisione, impedisce che si svolgano indagini prima che sia emesso il provvedimento di revoca, i nuovi elementi di prova acquisiti successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, come hanno precisato le SS.UU., possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato prosciolto, a condizione che essi siano stati acquisiti aliunde nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi. Il procedimento si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127: il giudice, se non dichiara inammissibile la richiesta, designa un difensore all’imputato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al PM, all'imputato, al difensore e alla persona offesa (art. 435,3). 85 di 136 Sulla richiesta di revoca il giudice provvede con ordinanza (art. 436,1); se non dichiara inammissibile o non rigetta la richiesta, i provvedimenti conseguenti variano a seconda dell’iter segnato dalla domanda del PM. Se il PM ha chiesto il rinvio a giudizio, il giudice fissa l'udienza preliminare, dandone avviso agli interessati presenti e disponendo per gli altri la notificazione; se la richiesta preludeva a nuove indagini in ordine alle fonti di prova ancora da acquisire il giudice ordina la riapertura delle indagini (art. 436,2), stabilendo per il loro compimento un termine improrogabile non superiore a 6 mesi (art. 436,3). In questo caso il soggetto, già imputato, tornerà ad essere indagato e la nuova vicenda potrà concludersi anche con una archiviazione (art. 436,4). Qualora sulla base dei nuovi atti di indagine non debba chiedere l'archiviazione, entro la scadenza del termine, il PM, trasmette alla cancelleria del giudice la richiesta di rinvio a giudizio (art. 436,4). Contro l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di revoca il PM può proporre ricorso per cassazione solamente per i motivi indicati all’art. 606,1, lett. b), d) ed e) (art. 437). Nessun rimedio è invece previsto avverso l’ordinanza che ammette il seguito.   Segue: il decreto che dispone il giudizio e la formazione dei fascicoli (ex art. 429) Se il gup ritiene che a carico dell’imputato sussistono elementi idonei a sostenere un’accusa in giudizio, emette il decreto che dispone il giudizio. Tale provvedimento spiega due funzioni essenziali: cristallizza l’accusa, eventualmente ridefinita nel rispetto delle regole fissate nell’art. 423, offrendo al giudice del dibattimento il thema probandum, e contiene la vocatio in iudicium: è lo stesso GUP a fissare l’agenda del giudice dibattimentale. In particolare, ex art. 429,1, il decreto che dispone il giudizio contiene: a)   le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; b)  l'indicazione della persona offesa dal reato qualora risulti identificata; c)  l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; d)  l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono questo requisito sembra prospettare una mera elencazione delle fonti di prova e dei fatti, senza richiedere alcuna elaborazione critica degli stessi, in modo da preservare la neutralità del giudice dibattimentale, evitando il pregiudizio che deriverebbe da un provvedimento motivato; e)  il dispositivo, con l'indicazione del giudice competente per il giudizio; f)  l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia (il riferimento alla contumacia è una svista del legislatore dovrebbe leggersi “non comparendo si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies); g)  la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste. Date le funzioni essenziali del decreto che dispone il giudizio (cristallizzare l’accusa e vocatio in iudicium), lo stesso ex art. 429,2 è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal cc 1 lett. c) e f). Un termine dilatorio riguarda l’intervallo tra decreto e dibattimento: tra la data del decreto e la data fissata per il giudizio deve intercorrere un termine non inferiore a 20 gg (art. 429,3). Per alcuni casi tuttavia si prevede un termine di carattere acceleratorio: qualora si proceda per i reati di cui agli artt. 589,2 (omicidio colposo commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e 589bis (omicidio stradale) cp, il termine di cui al cc 3 non può essere superiore a 60 gg (art. 429,3bis) Il decreto letto in udienza per quanti  sono  o  devono  considerarsi  presenti  (art. 424,2) deve essere notificato all’imputato contumace (leggasi assente), nonché all'imputato e alla persona offesa (e alle altre parti private 133 disp. att.) comunque non presenti alla lettura del provvedimento di cui al cc 1 dell'art. 424 almeno 20 gg prima della data fissata per il giudizio (art. 429,4).  Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio – o se una delle parti ne fa richiesta in apposita udienza fissata non oltre il termine di 15 gg – il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento (art. 431,1); si tratta quindi di individuare e separare il materiale che può essere conosciuto dal giudice dibattimentale da quello che, in quanto esito delle indagini di parte, deve restare fuori dal circuito processuale il tutto 86 di 136 è funzionale al sistema cd. del doppio fascicolo tale attività è molto importante e delicata e per questo va condotta in contraddittorio, affinché le parti possano vigilare sulla qualità degli atti che vi confluiscono. Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla PG; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal PM e dal difensore; d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; f) i verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; g) il certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell'art. 236; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove. Le parti, inoltre, possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva (art. 431,2). Il decreto che dispone il giudizio, insieme al fascicolo del dibattimento e ai provvedimenti applicativi di misure cautelari in corso di esecuzione, è trasmesso alla Cancelleria del giudice competente per il giudizio (art. 432), dove le parti ed i difensori possono prenderne visione ed estrarne copia durante il predibattimento (vd art. 466,). Tutto gli atti che non rientrano nella tassativa elencazione dell’art. 431,1 sono trasmessi al PM con gli atti acquisiti all'udienza preliminare unitamente al verbale dell'udienza (art. 433,1). I difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella segreteria del PM, degli atti raccolti nel fascicolo (del pubblico ministero) formato a norma del cc 1 (art. 433,2). Nel fascicolo del pubblico ministero ed in quello del difensore è altresì inserita la documentazione dell'attività prevista dall’ar. 430 quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha accolte (art. 433,3).   L’ATTIVITÀ INTEGRATIVA D’INDAGINE Come visto, nel corso dell’udienza preliminare, PM e difensori non sono tenuti ad interrompere la propria attività investigativa la quale si estende anche oltre l’emissione del decreto che dispone il giudizio. Al riguardo l’art. 430 dispone che “successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio, il PM e il difensore possono, ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento, compiere attività integrativa di indagine; tuttavia la ricerca della prova a processo instaurato conserva i crismi dell’eccezionalità, ragion per cui è “fatta eccezione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo” (art. 430,1). La documentazione relativa all'attività indicata nel cc 1 è immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero con facoltà delle parti di prenderne visione e di estrarne copia (art. 430,2). A tal fine la segreteria del pubblico ministero deve dare avviso del deposito della documentazione, senza ritardo, ai difensori (18 reg. esec.). Proprio in quanto finalizzati a sostenere richieste indirizzate al giudice del dibattimento, gli atti delle indagini integrative non confluiscono nel fascicolo di parte, se non quando siano servite per formulare richieste al giudice e questo le abbia accolte (art. 433,3) in altre parole la documentazione dell’attività integrativa d’indagine è subito depositata nella segreteria del PM ed ai difensori è notificato avviso della facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. Essa è conservata in un terzo fascicolo, dal quale viene trasferita in quello del PM solo dopo che in base ad essa le parti hanno fatto richieste di ammissione di prova al giudice e questi le ha accolte. Una volta inserita nel fascicolo del PM, tale documentazione può essere impiegata in dibattimento per tutti gli usi consentiti dalla legge agli atti propri di tale fascicolo. L’art. 430bis pone ulteriori limiti alla attività di indagine al fine di evitare che le parti possano porre in essere strategie sleali incrociate, cercando di sondare preventivamente le fonti di prova già citate a dibattimento dalle altre parti o dal giudice. In particolare, è vietato al PM, alla PG e al difensore 87 di 136 prova); la contestazione suppletiva si fonda invece sull’opportunità  di  cumulare  il fatto emerso nell’udienza preliminare o nel dibattimento, con  quello  già  in precedenza contestato, al fine di facilitare il compito del giudice nel calcolo della pena (81 cp). 3) Vi è infine un gruppo MISTO formato da quei procedimenti in cui la semplificazione è il risultato di una iniziale scelta imperativa del magistrato penale, combinata col consenso dell’imputato o con l’accordo delle due parti principali del processo penale. Vi fanno parte il procedimento per decreto penale di condanna (459-464), il giudizio direttissimo esperibile col consenso delle parti (449,2 ult. pa.) e la contestazione suppletiva del fatto nuovo (423,2 e 518,2).   Rapporti fra i procedimenti speciali I procedimenti speciali non sono necessariamente incompatibili tra loro. La scelta, in particolare, si impone solo all’interno del medesimo gruppo di riti speciali, nel senso che un procedimento del tipo “consensuale” esclude, di regola, la trasformazione in altro procedimento appartenente al medesimo tipo. L’instaurazione di una procedura consensuale è altresì incompatibile con qualsiasi semplificazione imperativa del procedimento. È invece sempre consentito il passaggio inverso, ossia da un rito scelto ex auctoritate a uno dei riti consensuali. A rendere opportuna e a volte doverosa questa trasformazione concorrono 2 ragioni: una di tipo economico, in quanto il rito premiale realizza quasi sempre un risparmio di risorse ed è perciò “favorito” dal sistema; l’altra di tipo giuridico‐costituzionale, in quanto l’accesso ai riti premiali (coi suoi sconti di pena) non può essere ostacolato dall’instaurazione “autoritativa” di un procedimento speciale perché significherebbe esporre l’imputato ad una irragionevole disparità di trattamento.   Giustizia “ consensuale” e corrispondenti forme di “ specialità” Il Codice di procedura penale assegna ampio spazio alle c.d. giustizia consensuale, il ricorso alla quale priva le parti della possibilità di giovarsi dei possibili vantaggi abbinati a determinate situazioni processuali tipiche del processo ordinario. Quando rinuncia al dibattimento, l’imputato si priva della facoltà di contrastare l’accusa con tutti quegli strumenti che la fase del giudizio offrirebbe, comportando un’accelerazione del processo, ma in modo da avvantaggiare l’accusa. Ovviamente nessun imputato farebbe una scelta del genere, se non in vista di un possibile tornaconto: di qui il carattere premiale di tali procedimenti, che appunto “premiano” la rinuncia difensiva dell’imputato con sensibili sconti di pena e altri considerevoli vantaggi. Diversa è invece la ragione che determina la rinuncia all’udienza preliminare nel giudizio immediato richiesto dall’imputato, o all’intera fase preliminare del processo nei casi di giudizio direttissimo consensuale: qui è assente qualsiasi tipo di premialità. In questi casi, l’imputato rinuncia sì a determinate chances difensive, ma allo scopo di tutelare meglio la propria posizione in vista di un pronosticatile proscioglimento e non già per concedere   qualcosa all’accusa in cambio di uno sconto di pena.   PROCEDIMENTO DI OBLAZIONE L’oblazione è una chiusura anticipata del processo, causata da una richiesta dell’imputato di regolare in denaro la propria “pendenza penale”, trasformando così l'illecito penale in un illecito amministrativo. Il rito è esperibile solo per reati contravvenzionali punibili con l’ammenda. Le cose cambiano a seconda che la pena pecuniaria costituisca la sanzione esclusiva per il reato o l’alternativa all’arresto: 1) nel primo caso, cioè quando la pena pecuniaria, costituisca sanzione per il reato (c.d. OBLAZIONE OBBLIGATORIA ex art. 162 cp), il giudice è tenuto ad accogliere la richiesta, se l’imputato l’ha presentata ritualmente entro il termine prescritto: l’unica eccezione riguarda i casi di reato permanente, che la legge considera insuscettibili di oblazione. La somma da pagare al fine di estinguere la contravvenzione è fissata in 1/3 del massimo dell’ammenda prevista in via edittale; 2) nel secondo caso, cioè quando l'arresto o l'ammenda, costituiscano sanzione per il reato (c.d. OBLAZIONE FACOLTATIVA ex art. 162bis) il giudice ha un certo margine di discrezionalità: egli deve rigettare la richiesta, quando ritiene di dover applicare la pena detentiva, anziché quella pecuniaria; quando considera grave il fatto commesso e quindi incongrua l’offerta dell’imputato (cc 90 di 136 4), oppure nei casi di recidiva, abitualità e professionalità nel reato (cc 3). Qualora il giudice opti per l’oblazione, è previsto il pagamento della metà della massima ammenda prevista. Già durante le indagini preliminari, la richiesta di oblazione può essere presentata (dall’imputato o dal difensore senza necessità di procura speciale) al PM, il quale la inoltra al giudice col fascicolo dell’indagine (art. 141 disp. att.). Iniziato il processo, la richiesta è presentata al giudice prima che sia aperto il dibattimento o prima che sia emesso decreto penale di condanna. Quest’ultima eventualità pone un problema di informazione per l’imputato, in quanto egli potrebbe persino ignorare l’esistenza di un procedimento a proprio carico di cui potrebbe venirne a conoscenza dopo l’eventuale decreto di condanna. Per scongiurare tale eventualità, la legge prevede che il PM, all’atto di chiedere il decreto penale, informi l’imputato sia della possibilità di essere ammesso all’oblazione, sia dei vantaggiosi effetti conseguibili tramite la stessa (ex art. 141,2 disp. att). Se il PM non adempie a tale dovere, l’avviso deve essere fatto dal giudice, contestualmente all’emissione del decreto penale per il fatto oblazionabile (ex art. 141,3 disp. att). A parte ciò, il termine per la richiesta di oblazione è perentorio (non ammette prolungamenti di tempo), sicché andrebbe incontro ad una declaratoria d’inammissibiità l’imputato tardivo; se però nel dibattimento fosse contestato un fatto diverso o un reato  concorrente suscettibile  di  oblazione,  i termini per la richiesta si riaprirebbero ex 141,4bis disp. att. Accolta la richiesta, il giudice dichiara di non doversi procedere per estinzione del reato, con sentenza appellabile. In caso di rigetto, il rito è destinato a proseguire nella forma ordinaria o secondo le regole del procedimento per decreto, ma l’imputato può rinnovare la richiesta d’oblazione anche nel corso del dibattimento di primo grado, fino all’inizio della discussione finale quest’ultima possibilità è prevista espressamente per l’oblazione facoltativa, ma la giurisprudenza ritenendolo principio generale la fa valere anche nei procedimenti di oblazione facoltativa.   GIUDIZIO ABBREVIATO (ex art. 438 - 443) Il giudizio abbreviato è un giudizio di merito sulla colpevolezza o innocenza dell'imputato, che ha luogo nell'udienza preliminare ex art. 438 oppure in sede di conversione di altro rito speciale. Esso è caratterizzato dal fatto, che esclude il dibattimento e quindi si utilizzano gli atti, ergo le prove, contenuti nel fascicolo del PM per fini probatori, raccolti nel corso dell'indagini preliminari. La ragione per la quale l'imputato è indotto a rinunciare al dibattimento, chiedendo di essere giudicato immediatamente, normalmente innanzi al GIP, consiste nel fatto che l'abbreviato è un rito premiale, sicché, in caso di condanna, egli beneficia di una riduzione di pena secca di 1/3 (se si tratta di delitto, l’ergastolo è convertito in reclusione di 30 anni; mentre, se si tratta di contravvenzione, la pena è ridotta della metà). La riduzione della pena è giustificata solo dal risparmio dei tempi processuali del dibattimento ed infatti, il rito in esame non esige alcuna ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e su accettazione della sanzione penale. Il giudice, infatti, all'esito delle indagini preliminari, potrà emanare sia una sentenza di condanna che una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.   Segue: ambito di applicazione e presupposti La l n. 33/2019 ha introdotto il cc 1bis dell’art. 438 con il quale il legislatore, allo scopo di apportare una pena più severa nei confronti di coloro che si sono macchiati di delitti di particolare allarme sociale, ha escluso l'ammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena all'ergastolo (precisando, tuttavia, che la nuova previsione si applica a tutti i fatti commessi dopo l'entrata in vigore della citata disposizione allo scopo di rispettare il principio del favor rei). La legge ha anche abrogato il secondo e il terzo cc dell’art. 442, secondo cui, nel caso fosse prevista la pena dell’ergastolo per delitto, essa è sostituita dalla reclusione di anni 30; e nel caso di ergastolo con isolamento diurno, essa è sostituita con l’ergastolo senza isolamento. Vi è, tuttavia, un caso in cui il giudizio abbreviato non può essere ammesso a causa della sanzione da applicare: si tratta del processo a carico delle persone giuridiche, quando il giudice ritiene di dover cancellare l’ente dal mondo dei traffici giuridici, infliggendogli la sanzione interdittiva perpetua. Quanto ai presupposti, il rito abbreviato si attiva su volontà dell'imputato, espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale; la richiesta, formulata per iscritto od oralmente, sulla quale il giudice decide con ordinanza, può essere: 91 di 136 -  RICHIESTA SEMPLICE (o incondizionata), con la quale l’imputato si limita a chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti e il pm non può esprimere alcun dissenso in merito ex art. 438,1; -  RICHIESTA COMPLESSA (o “secca” o condizionata ad integrazione probatoria) ex art. 438,2: il giudice deve decidere “allo stato degli atti”, cioè sulla base di quelli che sono i risultati dell'indagini preliminari della polizia e che sono confluiti nel fascicolo del pm. Quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, il giudice assume, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione: è il potere di integrazione ufficiosa della prova che il legislatore ha previsto al fine di colmare lacune investigative. Indipendente dal tipo, la richiesta è un atto personalissimo dell’imputato, che pertanto il difensore può presentare in sua vece solo se munito di procura speciale (art. 438,3). Nei processi a carico delle persone giuridiche, provvede il legale rappresentante ovvero, se questi è a sua volta imputato del reato da cui dipende l’illecito attribuito all’ente, un diverso soggetto scelto ad hoc.   Segue: termini per la richiesta e decisioni   sulla sua   ammissibilità L’imputato che intende usufruire del giudizio abbreviato deve presentare la richiesta durante l’udienza preliminare fino a che non siano presentate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 (art. 438,2), quindi al più presto in limite all’udienza preliminare, al più tardi dopo le conclusioni del PM quando il difensore formula le conclusioni. La facoltà di presentare la richiesta deve essere garantita all’imputato anche nei procedimenti privi di udienza preliminare (ossia quelli ex auctoritate): -  Nel giudizio immediato (ma solo in quello promosso dal PM) l’imputato può presentare la richiesta al gip, dopo che questi gli abbia notificato il decreto di citazione a giudizio e, precisamente, entro 15 gg dall’ultima notifica del decreto stesso all’imputato, o dell’avviso al difensore, della data fissata per il giudizio. La richiesta deve poi essere comunicata al PM; -  In caso di giudizio direttissimo, e a seguito di citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, dove il rinvio a giudizio non è soggetto al vaglio preliminare di un organo giurisdizionale (gip o gup) la richiesta va presentata al giudice dibattimentale, in udienza, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento (art. 452,2 prima parte e art. 556,2 combinato con art. 558,2); -  Nel procedimento per decreto penale di condanna, l’opponente può chiedere il giudizio abbreviato al giudice che ha emesso la condanna (art. 461,3), il quale fissa anche l’udienza per il giudizio, dandone avviso a tutti gli interessati con almeno 5 gg di anticipo sull’udienza medesima, al fine di consentire un’adeguata preparazione del contraddittorio e dell’eventuale integrazione probatoria (art. 464,1 prima parte). Anche qui vi è la remissione in termini ex art. 489,2 per l’imputato erroneamente dichiarato assente. Infine, la richiesta può essere presentata nel corso del dibattimento quando il PM abbia proceduto a nuove contestazioni a norma degli artt. 516 e 517, sulla scorta di atti già presenti nel fascicolo dell’indagine preliminare. Similmente a quanto accade per oblazione e patteggiamento, la contestazione tardiva del fatto diverso, del reato connesso ex art. 12 lett. b, della circostanza aggravante già affiorata durante l’indagine preliminare, rimette l’imputato in termini per accedere al rito abbreviato. Presentata la richiesta, il giudice ha il dovere di controllarne l’ammissibilità. Il vaglio è condotto con criteri diversi a seconda che si tratti si richiesta semplice o complessa. Nel caso di RICHIESTA SEMPLICE, di regola, il giudice si limita ad un controllo meramente formale dell’atto se l’atto è presentato nei termini prescritti (art. 438,2); se sia riconducibile ad una scelta volontaria dell’imputato (art. 438,3); se la volontà di quest’ultimo di essere giudicato allo stato degli atti risulti espressa in forma inequivoca (art. 438,1). Solo per le richieste semplici provenienti dal rappresentante legale della persona giuridica il vaglio di ammissibilità implica una valutazione discrezionale circa la meritevolezza della pena definitiva. Quando dà esito positivo, il controllo sulla richiesta semplice sfocia nell’ordinanza che ammette il rito speciale (art. 438,4). In caso contrario, la richiesta va rigettata e non può più essere riproposta né davanti al medesimo giudice, né davanti ad altro giudice. Quando, invece, è presentata RICHIESTA COMPLESSA, al controllo formale il giudice deve aggiungere un controllo sul contenuto della domanda di parte. In particolare, il giudice deve 92 di 136 abbreviato è idoneo a surrogarsi alla fase introduttiva dell’udienza preliminare; mentre nel primo caso essa dovrebbe ricominciare da capo per i necessari adempimenti (avvisi alle parti e verifica loro comparizione). Altrimenti vanno le cose quando la trasformazione del rito avviene nei procedimenti sforniti di udienza preliminare: -  Se il rito abbreviato era scaturito da un giudizio direttissimo, il processo deve tornare alla fase pre-dibattimentale e il giudice è tenuto a fissare l’udienza di giudizio direttissimo (art. 452,2); -  Se il rito abbreviato era stato chiesto per uno dei reati a citazione diretta ex art. 550, il giudice deve fissare l’udienza per il giudizio (art. 556,2); -   Il giudice deve invece fissare l’udienza di giudizio immediato dopo aver revocato il giudizio abbreviato chiesto a norma dell’art. 458; - Infine, nel caso il rito abbreviato fosse stato chiesto durante il procedimento monitorio, il processo prosegue con la fissazione dell’udienza normalmente provocata dall’opposizione proposta dall’imputato contro il decreto di condanna (art. 464,1). Diversa la procedura quando si tratta di contestare un fatto nuovo a norma dell’art. 423,2. Qui la nuova contestazione è subordinata a un provvedimento autorizzativo del giudice e a un esplicito consenso dell’imputato. Tuttavia, questi due atti devono adeguarsi al contesto del giudizio abbreviato: da un lato, il consenso dell’imputato va formulato come richiesta (semplice o connessa) di definizione anticipata del processo, anche in ordine al fatto nuovo; dall’altro, l’autorizzazione del giudice ha per oggetto non solo la valutazione dell’opportunità di cumulare la trattazione del fatto nuovo con quello già contestato, ma anche l’ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato. È chiaro che, se reputasse inammissibile l’atto di consenso-richiesta (ad esempio perché il programma probatorio viene giudicato troppo dispendioso) il giudice sarebbe costretto a non autorizzare la contestazione suppletiva, salvo che l’imputato non presenti una nuova richiesta di giudizio abbreviato tale da soddisfare le finalità economiche proprie del rito speciale. L’ultimo atto dell’udienza che chiude il giudizio abbreviato è costituito dalle conclusioni formulate dalle parti. L’esordio è riservato al PM, il seguito al difensore della parte civile che ha accettato il giudizio abbreviato, mentre l’ultima parola spetta al difensore dell’imputato e all’imputato stesso, se ne fa richiesta.   Segue: la sentenza Terminata la discussione, il giudice si ritira per decidere il merito della causa. Quanto a struttura e contenuto, la sentenza conclusiva del giudizio abbreviato ha il suo modello nella sentenza dibattimentale, per cui valgono le regole di giudizio ex art. 529 ss richiamate dall’art. 442,1. Quindi, se al termine della discussione il giudice non fosse certo della colpevolezza dell’imputato, dovrebbe emettere sentenza di proscioglimento ex art. 530,2. Dovrebbe altresì prosciogliere, con sentenza di non doversi procedere, nei casi di dubbio sull’esistenza di una condizione di procedibilità (art. 529,2) o di una causa di estinzione del reato (art. 531,2). La condanna presuppone, quindi, che la responsabilità penale dell’imputato sia dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio (ex art. 533,1) sia pure sulla scorta del materiale raccolto nella fase preliminare e di quello eventualmente formato durante l’udienza di giudizio abbreviato. Fonti di convincimento giudiziale sono ex art. 442,1bis: gli atti d’indagine preliminare (contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416,2), gli eventuali esiti dell’indagine suppletiva del PM e del difensore (la documentazione di cui all’art. 419,3) e i verbali dell’attività d’integrazione probatoria promossa dal giudice o richiesta dall’imputato (le prove assunte nell’udienza), nonché negli eventuali atti di indagine difensiva presentati contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato contenuti nel fascicolo previsto dall’art. 391 octies.. Quando condanna, il giudice deve diminuire di 1/3 la pena in concreto considerata (quindi dopo il calcolo di eventuali aggravanti o attenuati), salvo il caso dell’ergastolo, che si converte a 30 anni di reclusione, e dell’ergastolo con isolamento diurno, che si converte in ergastolo semplice. Non è escluso che tale sentenza contenga dei capi civili riguardanti il risarcimento del danno da reato, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato; inoltre, la sentenza penale, una volta divenuta definitiva, produce effetti vincolanti nel separato giudizio civile di risarcimento del danno. In un caso, però, la mancata accettazione del rito speciale non basta, da sola, a impedire che la sentenza del giudizio abbreviato faccia stato nel giudizio civile: quando il giudicato è di condanna (cioè 95 di 136 favorevole al danneggiato) la legge ne stabilisce l’effetto vincolante per il giudice civile, salvo che non vi si opponga la parte civile che, a suo tempo, non aveva accettato il giudizio abbreviato (art. 652,2). La sentenza è appellabile pur entro i limiti soggettivi ex art. 443. In particolare, le sentenze di proscioglimento sono appellabili dal PM ma non dall’imputato. Unica eccezione è la sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente dato che può comportare l’applicazione di misure limitative della libertà personale. Le sentenze di condanna alla pena dell’ammenda sono, invece, in linea generale sottratte al giudizio si secondo grado (art. 593,3). Sono appellabili dall’imputato le sentenze di condanna a sanzioni pecuniarie, a pene che non devono essere scontate, nonché a sanzioni sostitutive.  Il PM non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che queste riguardino un titolo di reato diverso da quello a suo tempo specificato dal PM nell’imputazione (art. 443,3), e ciò vale anche per l’appello incidentale infatti l’appello incidentale può essere proposto solo dalla parte titolata a proporre appello in via principale in tal modo si evita che il PM possa aggirare il limite di appellare profittando dell’appello incidentale. Dal canto suo, la parte civile può appellare le sentenze sia di condanna che di proscioglimento. Quando appellata una sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il relativo giudizio d’impugnazione si svolge in camera di consiglio (senza pubblico, anche nel caso in cui in primo grado vi fosse stato), nel quale possono essere assunte nuove prove entro i limiti ammessi dall’art. 603. Ma anche in tal caso, tale previsione deve essere adeguata alla disciplina probatoria propria del rito speciale. In particolare, essa è condizionata dal tipo di richiesta all’origine del giudizio abbreviato: -  Nel caso di RICHIESTA COMPLESSA, l’imputato mantiene, anche in appello, il diritto alla riassunzione del mezzo di prova già acquisito in primo grado, purché ciò sia necessario ai fini della decisione (art. 603,3). A maggior ragione egli può pretendere l’ammissione in seconda istanza di una prova che, pur indicata nella richiesta di giudizio abbreviato, non è stata assunta dal giudice di primo grado. A sua volta il PM nei casi in cui risulta appellante, ha il diritto di chiedere la riassunzione, o l’assunzione per la prima volta, delle prove contrarie a quelle che l’imputato aveva dedotto nella richiesta di giudizio abbreviato. -  Nel caso di RICHIESTA SEMPLICE, l’imputato ha rinunciato al diritto alla prova, e non può pretendere che tale diritto sorga in appello. Allo stesso modo, nemmeno il PM appellante è qui titolare di un diritto alla prova. In tal caso, l’integrazione probatoria è affidata esclusivamente al giudice, il quale può assumere tutti i mezzi di prova che ritiene assolutamente necessari ai fini della decisione (art. 603,3). APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI (o PATTEGGIAMENTO) (ex art. 444 - 448) Il patteggiamento è esperibile per una serie di reati, identificati dall'art. 444,1 attraverso il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: vi rientrano i delitti e le contravvenzioni punibili con una pena pecuniaria, oppure con una delle sanzioni sostitutive previste dalla L. 689/1981, o, infine, con una pena detentiva non superiore a 5 anni anche congiunta ad una pena pecuniaria. La pena detentiva va determinata computando le eventuali circostanze previste dalla legge penale e tenendo altresì conto della diminuzione di pena fino ad 1/3 per la scelta del rito speciale. Pertanto, sono ammessi al patteggiamento reati puniti con pene che, in astratto, superano di gran lunga i 5 anni di reclusione, anche se ne sono esclusi i delitti di criminalità organizzata (51,3bis), di terrorismo (51,3 quater), determinati delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale, nonché gli imputati che dovendo rispondere di reati concretamente punibili con pena detentiva superiore ai 2 anni siano dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, oppure che risultino plurirecidivi (444,1bis). Recentemente per i reati contro la P.A. (quali peculato, concussione, corruzione per atti giudiziari, induzione, ecc.) l’ammissione al patteggiamento è stato subordinato alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato (444,1 ter). Lo stesso accade per reati in materia di imposte dirette o indirette occorre pagare il debito tributario. Il rito in questione è poi precluso nel procedimento minorile ed è incompatibile con la giurisdizione del giudice di pace. Sussiste, inoltre, una differenza ragguardevole, quanto a contenuto punitivo, fra la sentenza che applica una pena concordata fino a 2 anni e quella che applica una pena da 2 a 5 anni. Viene 96 di 136 qualificato "maius" il patteggiamento concernente i reati più gravi (cd. patteggiamento allargato), e "minus" il patteggiamento riguardante i reati meno gravi (cd. patteggiamento ristretto). Nei procedimenti a carico di persone giuridiche il patteggiamento è ammesso per tutti gli illeciti sanzionati con pena pecuniaria, ma per quelli sanzionati con altra pena il rito speciale è esperibile a condizione che non debba essere applicata, in via definitiva, una sanzione interdittiva. Perno del rito è il necessario accordo fra le parti principali del processo (imputato e PM) avente per contenuto il quantum di pena da applicare; tuttavia tale accordo è necessario, ma non sufficiente per l’applicazione del rito, poiché la legge impone al giudice di verificare i presupposti di applicabilità dell’intesa raggiunta. Dal punto di vista dell’imputato, l’accordo comporta una serie di rinunce a diversi diritti che gli spetterebbero in base alle regole ordinarie processuali: rinuncia ad esercitare il diritto alla prova; rinuncia a controvertere sul fatto e sulla relativa qualifica giuridica; rinuncia a controvertere sulla specie e sulla misura della pena da applicare. In compenso, ottiene una serie di vantaggi, diversamente distribuiti secondo che si tratti di patteggiamento minus o maius. Taluni vantaggi sono comunque comuni ai due tipi di rito speciale. Innanzitutto, lo sconto di pena: la sanzione va diminuita “fino a 1/3”, dove la frazione indica l’entità dello sconto. Altro vantaggio comune è l’assenza di effetti pregiudizievoli della sentenza che applica la pena concordata: essa, a parte un’eccezione che vedremo, non è idonea a irradiare effetti vincolanti nei giudizi civili e amministrativi nei quali sia parte l’imputato che ha chiesto di patteggiare (445,1bis). Infine, vi è assenza di pubblicità. Altri vantaggi sono invece collegati al solo patteggiamento minus: l’affrancamento dell’imputato dall’obbligo di pagare le spese processuali; l’esenzione da pene accessorie e misure di sicurezza (445,1), eccettuata la confisca; la non menzione della sentenza nel certificato generale del casellario giudiziale richiesto dal privato. Fra i vantaggi rientra anche la possibilità che la pena  concordata  che  non  superi  i  2  anni  di  detenzione  possa  essere   sospesa sub  condicione  e  la  relativa  condanna  possa  sfociare  in  una  declaratoria   di estinzione del reato se nei 5 anni successivi, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero nei 2 anni successivi, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole (445,2). Dal punto di vista dell’accusa, il patteggiamento comporta la rinuncia a controvertere sulle questioni di fatto e di diritto connesse col tema dell’imputazione, realizzando però al contempo un risparmio di risorse. Tuttavia, il PM è tenuto ad effettuare la propria scelta alla stregua di parametri obiettivi e non in base a valutazioni di opportunità. Si ritiene che il PM debba esprimere il proprio consenso dopo aver appurato che il materiale d’indagine è sufficiente per applicare la pena richiesta (altrimenti deve proseguire l’indagine oppure chiedere l'archiviazione o la sentenza di non luogo a procedere); inoltre, deve verificare la corretta qualificazione giuridica assegnata al fatto dall’imputato nella richiesta di patteggiamento o nell’atto di consenso; ancora, deve chiedersi se all’esperibilità del rito speciale non ostino motivi di esclusione oggettiva o soggettiva menzionati nell’art. 444,1bis; infine, deve interrogarsi sulla congruità della sanzione richiesta rispetto alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore. In realtà il consenso del PM non deve essere motivato, tuttavia ci penserà il giudice a vagliare se il rito speciale possa aver luogo. Infatti, prima di pronunciare sul merito, il giudice deve condurre una verifica sull’ammissibilità della richiesta, a meno che non ricorra una delle situazioni ex art. 129, nel qual caso egli sarebbe tenuto a pronunciare la corrispondente sentenza di proscioglimento. Il giudice verificherà quindi che il reato rientri fra quelli suscettibili di essere patteggiati anche con riferimento alle esclusioni oggettive e soggettive imposte dall’art. 444,1bis; verificherà la correttezza della qualificazione giuridica operata dalle parti; valuterà che la pena indicata da queste sia congrua rispetto alle finalità che le sono proprie alla luce dell’art. 27,3 Cost. quanto all’eventuale incompletezza dell’indagine, il giudice deve assolvere l’imputato, se a suo carico non risulta alcun elemento (444,2), sicché grava sul PM il dovere di negare il proprio consenso a fronte di una imputazione non sufficientemente suffragata da elementi conoscitivi acquisiti nella fase preliminare, onde evitare una indesiderata assoluzione. Il dissenso opposto alla richiesta dell’imputato dal PM deve, invece, essere sempre motivato (446,6), in quanto esso impedisce la soluzione anticipata del processo che proseguirà normalmente; tuttavia, ciò non preclude una tardiva applicazione della pena richiesta dall’imputato, ogniqualvolta il giudice del dibattimento o dell’appello ritengano ingiustificato il dissenso stesso. Segue: introduzione e svolgimento procedurale 97 di 136
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