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Dispensa di Diritto Costituzionale 1 - Lezioni di diritto Costituzionale, Dispense di Diritto Costituzionale

Dispensa di Diritto Costituzionale 1 - Lezioni di diritto Costituzionale Marilisa D'Amico Giuseppe Arconzio Stefania Leone Lezioni con il professor Vittorio Angiolini

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 28/12/2021

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Scarica Dispensa di Diritto Costituzionale 1 - Lezioni di diritto Costituzionale e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! sezione | 1.Lo stato Lo stato è la principale svolge molteplici attività di interesse generale, fornisce i e produce le che regolano la vita delle persone. lo stato esercita il potere sull'individuo dal momento della sua nascita fino alla sua morte. Lo stato e l'unica organizzazione ad appartenenza necessaria, al quale nessun individuo può sottrarsi. Inoltre lo stato ha una natura autoritaria, l'individuo infatti non si trova mai sullo stesso livello dello Stato in quanto deve rispettarne le regole. Lo stato assume il monopolio dell'uso della forza e fa rispettare le regole attraverso apparati indipendenti. Inoltre lo stato presta la propria forza per garantire l'osservanza dei patti e dei rapporti privati. Quindi lo stato esercita una forza e presta la propria forza e vieta che gli altri usino la propria forza contro la collettività statale. la sovranità dello Stato può essere interna ed esterna. La sovranità interna: lo stato esclude che senza il suo consenso, nell'ambito del territorio si manifestino altri poteri capaci di imporsi con l'uso della forza sui cittadini. La nostra Costituzione nell'articolo 1 afferma che la precisando che va esercitata nelle forme nei limiti indicati nella costituzione. La sovranità esterna: lo stato non riconosce entità superiori, si mantiene autonoma e indipendente e può entrare in contatto con altre entità autonoma indipendenti a loro volta. Ne è un esempio l'articolo 7 della costituzione dove vi è il rapporto tra stato e chiesa. La comunità economica europea detta ora Unione europea l'Italia ha rinunciato parte della sua sovranità virgola in particolare in ambito monetario. Si parla in questo caso di cessioni di sovranità che sono state rese possibili dal principio contenuto nell'articolo 11 della costituzione. 2. Dal primato della legge al primato della costituzione Per tutto l'ottocento e fino alla grande guerra, è esistito un modello di Stato chiamato liberale fondato sul primato della legge. Tali modello ha visto affermarsi dei parlamenti, in funzione limitante il potere del sovrano. Il Parlamento aveva un ruolo centrale, il cui potere derivava dai cittadini politicamente attivi. Il suffragio che era inizialmente censitario venne progressivamente allargato. Il primato della legge era concepita come la più alta espressione della libertà e limitava l'autorità del sovrano. Il primato della legge si traduceva nell'importanza riconosciuta ai codici considerati sullo strumento necessario per sistematizzare e razionalizzare l'ordinamento giuridico. Nell'ottocento inoltre si cercava di affermare la generalità e l'astrattezza a garanzia del principio di eguaglianza formale. Dopo la grande guerra nascono governi di unità nazionale con amplissimi poteri e vennero sospese alcune garanzie libertà. Inoltre molte norme provenivano direttamente dal potere esecutivo. La costituzione di weimar del 1919 afferma tradizionali diritti di libertà ma anche un catalogo di diritti dal contenuto marcatamente sociale. È un modello di costituzione, che rispecchia i cambiamenti. La costituzione cambia in necessità di affermare gli obiettivi di equità e di eguaglianza sostanziale che lo stato deve perseguire sul piano economico, erogando prestazioni ai servizi. Lo stato di diritto liberale borghese limitava al corpo elettorale alla sola classe borghese. Lo stato sociale di diritto infrange tale limitazione, allargando la base elettorale fino alla conquista del suffragio universale punto si affermano così diritti sociali, espressione della solidarietà e dell'eguaglianza sostanziale, i quali penetrano nella struttura delle iniziative economiche della proprietà privata emblemi del diritto borghese. La garanzia dell'eguaglianza sostanziale determina l'intervento dello Stato nell'economia del mercato. Le nuove carte costituzionali diventarono così ovvero non modificabili dalle leggi approvate dal Parlamento. La rigidità sta a garanzia che non avvenga la sopraffazione di una classe di interessi sull'altra. lo stato costituzionale nasce come risposta alla crisi dello Stato liberale e riconosce alla costituzione il primato della gerarchia delle fonti del diritto. le costituzioni contengono un ampio catalogo di diritti, una definizione di poteri dello Stato garantiti dalla rigidità del testo costituzionale contro gli abusi del legislatore ordinario. Nascono così i tribunali costituzionali (Corte costituzionale) con lo scopo di rilevare eventuali abusi del legislatore e controllare che tutti i pubblici poteri rispettino la costituzione. 3. Concezione descrittiva e concezione prescrittiva della costituzione la costituzione è una fonte del diritto, un insieme di regole e principi giuridici ,un manifesto politico. Si tratta di un atto normativo fondamentale nel quale sono contenute le regole basilari dell'ordinamento, su cui ho già la convivenza dei consociati e l'organizzazione dell'apparato statale. Concezione prescrittiva: si afferma con le rivoluzioni americana e francese. La costituzione è tale secondo questa concezione in ragione del suo contenuto. Ci troviamo di fronte a una concezione prescrittiva, come enuncia all'articolo 16 della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, se vi è la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri. Le prime costituzioni che rispondono in un modello prescrittivo, formalizzano di regola in documenti inscritti, i principi propri del modello liberal borghese di limitazione del potere, riassumibile nell'espressione stato di diritto. Si parla di divisione dei poteri la tutela dei diritti virgola in particolare i diritti di libertà e l'eguaglianza, e l'affermazione del principio di legalità. Foncezione descrittiva] Ogni Stato ha una costituzione, a prescindere dal concreto modello di organizzazione politica e dall’ aderenza a certi principi. Gli ordinamenti di civil law prediligono la proclamazione scritta dei diritti, Demandano al giudice il ruolo di concretizzare quelle affermazioni attraverso l'interpretazione e l'applicazione delle disposizioni normative nel caso concreto. negli ordinamenti di common law, diritti emergono e si affermano senza la necessità di testi scritti, attraverso evoluzioni del pensiero giuridico praticate dagli stessi giudici nelle proprie decisioni, coordinate tra loro dal principio dello stare decisis (Cioè del vincolo al precedente) Sezione Il 4. Introduzione Aa una determinata forma di stato è sempre corrisposta una particolare forma di governo. : rapporto fra chi detiene il potere in un determinato territorio (governanti) e chi è ad adesso assoggettato(governati) In ciò si concretizza anche il modo in cui viene impostato il rapporto tra l'autorità dello Stato e le libertà delle persone. Forma di governo: rapporto fra i diversi poteri statali. Lo stato persegue così i fini che si è posto. Le forme di Stato si possono studiare o secondo la divisione del potere orizzontale (governanti e governati) o secondo la divisione del potere verticale (come lo stato si rapporta alle comunità) 5. Le forme di Stato: lo stato assoluto È il primo modello di Stato. Corrisponde alle esperienze storiche delle monarchie assolute francesi e spagnole nel XVI secolo. però in Italia è gravemente compromesso dall'evasione fiscale che, rispetto agli altri Paesi europei, e anche a livello mondiale, raggiunge percentuali intollerabili. Da un punto di vista storico, occorre ricordare che lo Stato sociale si afferma, in seguito ai tragici eventi della seconda guerra. Lo Stato sociale si afferma dopo la Il Guerra Mondiale. Lo stato liberale è andato in crisi, in quanto il modello si è degenerato ed è sfociato i Stati totalitari e comunisti. (perdita delle libertà fondamentali, perdita del pluralismo politico, perdita del principio democratico) Stato Stato assoluto liberale Stato sociale TN 1 Legittimazione Legittimazione {legittimazione ) divina del democratica | democratica | ice parziale del piena del | (successione potere potere. | an) (Suffragio (suffragio | universale) _} 8.Le forme di Stato nella divisione territoriale del potere Sebbene a livello teorico la scelta dello Stato circa la modalità di articolazione del potere nel territorio (divisione verticale) non appaia in correlazione col rapporto tra governanti e governati (divisione orizzontale), occorre notare che nell'esperienza pratica è affiorata ‘incompatibilità dello Stato autocratico con una effettiva divisione del potere nel territorio. Ciò posto, la forma di Stato centrale è connotata dall'assenza di una qualsivoglia articolazione del potere nel territorio: un solo centro dell'ente statuale è titolare del potere sovrano. Lo Stato centrale è dunque privo di istituzioni territoriali rappresentative di popolazioni o comunità locali. L'apparato amministrativo può controllare il territorio dislocandosi nelle diverse aree geografiche che compongono lo Stato. È frutto di un decentramento burocratico e non politico. Il modello dello Stato centrale è sorto negli Stati nazionali del XVI secolo, nati allo scopo di sopperire al particolarismo e alla frammentazione dell'ordinamento medioevale. Allo Stato centrale si contrappone lo Stato federale, in cui il decentramento politico è massimo Perché uno Stato possa dirsi federale, in esso devono affiancarsi uno "Stato centrale" ed altre entità territoriali, denominate "Stati membri", «Cantoni énder", che rappresentano politicamente le comunità locali. Lo Stato federale può nascere con un percorso aggregativo o disaregativo. Nel primo caso, più Stati sovrani decidono di unirsi inuno Stato federale, come accaduto negli Stati Uniti (1787) e in Sviz- zera (1848). Nel secondo caso, lo Stato federale trae origine dalla graduale emersione di articolazioni territoriali all'interno di uno Stato centrale. È questa la conclusione del percorso evolutivo avutosi in Belgio (1994), Germania (1949), e Austria (1920). Da notare che, affinché possa parlarsi di Stato federale, e non di confederazione, gli Stati membri devono essere enti autonomi, ma non sovrani, tanto è vero che lo Stato federale è dotato di una Costituzione posta al vertice dell'ordinamento giuridico, oltre che delle Costituzioni degli Stati membri, subordinate alla Costituzione federale. Altra costante dello Stato federale è la composizione bicamerale del Parlamento, formato da una prima camera rappresentativa dei cittadini di tutto il territorio e da una seconda camera che costituisce emanazione degli Stati membri Il decentramento politico dello Stato federale è assicurato dalla Costituzione, la quale è modificabile solo con il consenso degli Stati membri, i quali sono oltretutto chiamati a partecipare alla revisione costituzionale e tutelati, nell'esercizio delle loro competenze, anche legislative, da una Corte costituzionale federale, incaricata del compito di far rispettare il testo costituzionale nel caso di conflitti fra Stato federale e Stati membri. Infine, lo Stato regionale può essere definito come uno Stato unitario in cui operano enti territoriali intermedi dotati di autonomia politica. Modelli di questa forma di Stato si ritrovano in Italia e in Spagna. nasce nel Novecento a compimento di processi di parziale disarticolazione di Stati centrali, che decidono di concedere qualche limitata forma di autonomia a comunità locali. Si ha uno Stato regionale se l'ente regione è previsto dalla Costituzione. Le Regioni condividono solitamente la potestà legislativa con lo Stato centrale, mentre non partecipano al procedimento di revisione costituzionale, non vantano al loro interno la presenza di una Costituzione, bensì di uno Statuto, e non sono rappresentate presso lo Stato centrale in un ramo del Parlamento, come avviene invece negli Stati federali. Si tratta di uno Stato articolato, in cui il decentramento politico è previsto ed attuato in misura variabile. 10.forme di governo: aspetti generali Forma di governo si intende il modo statali. È quindi il Monarchia: il Capo dello Stato non è rappresentativo né elettivo; la carica dura tutta la vita e il governo è autocratico. Repubblica: si è in presenza della forma di governo repubblicana in presenza di un Capo dello Stato rappresentativo ed elettivo (direttamente o indirettamente, con una elezione di secondo grado, come succede in Italia); la carica ha durata limitata (in Italia per sette anni); il Presidente della Repubblica, infine, opera di norma in uno Stato democratico, dove la fonte di legittimazione del potere risiede nel popolo. In realtà, questa contrapposizione concettuale non vale sempre: abbiamo infatti monarchie elettive, come la Santa sede, ed esistono repubbliche autoritarie; occorre simmetricamente riconoscere che rappresentatività e democraticità non sono necessariamente incompatibili con la monarchia (pensiamo all'esperienza inglese). Un'altra importante distinzione è quella fra forme di Nelle forme pure si identificano regimi nei quali un solo organo dello Stato detiene il monopolio del potere politico.l monopolio del potere legislativo si è avuto ad esempio nel Governo di Assemblea della Francia della III Repubblica del 1875; quello del potere esecutivo nella forma di governo delle monarchie assolute francesi e spagnole del Seicento; quello del potere giudiziario, il cosiddetto governo dei giudici, più difficile da realizzare. Nelle forme miste, molte delle quali presenti ancora oggi, il potere è ripartito in più organi costituzionali. fra i diversi organi 10. La monarchia costituzionale La prima forma di governo, che storicamente nasce come espressione dello Stato liberale, è la monarchia costituzionale, Le origini di questa forma di governo si possono ritrovare nella storia a partire dal 1689; nella storia francese, dal 1814 al 1848; in Prussia, dal 1850 al 1918 e nell'impero austroungarico, dal 1857 al 1918. Nella monarchia costituzionale il potere è ripartito fondamentalmente fra due organi Parlamento. Jspesso, come è successo in Italia con lo Statuto albertino, la ripartizione del potere fra i due organi trova il suo fondamento in una Carta costituzionale concessa dal Re, che ha lo stesso valore di una legge ordinaria e che può quindi essere modificata dal legislatore. In questo modello, il Re è titolare del potere esecutivo e, formalmente, anche di quello giurisdizionale. Le Camere hanno la titolarità del potere legislativo, ma al Re spetta la sanzione e la promulgazione delle leggi e quindi, in una certa misura, una compartecipazione ed un controllo sul potere legislativo. Re e Parlamento si fronteggiano, in queste esperienze, senza 'intermediazione del Governo: infatti i ministri sono nominati dal Re, che può anche revocarli e non esiste un rapporto di fiducia fra Governo e Parlamento. Il Monarca, di fatto, in questa prima fase concentra in sé quasi tutti i poteri, potendo anche sciogliere le Camere: tuttavia, la precarietà insita nello squilibrio fra monarca e Parlamento. Nel corso dell'Ottocento, quindi, la monarchia costituzionale si ,spesso evoluta nella forma di governo parlamentare. (Italia durante Cavour, dove il governo comincia ad essere indipendente dal sovrano e a richiedere invece il Parlamento). 11. La forma di governo parlamentare La forma di governo parlamentare è caratterizzata dal rapporto di fiducia fra Governo e Parlamento, che insieme sono detentori dell'indirizzo politico. Senza la fiducia da parte del Parlamento, j Governo non può nascere e, una volta che questa venga meno il Governo è obbligato a dimettersi. Questa forma di governo può ambientarsi in un contesto monarchico, o repubblicano: nel primo caso, il Re, e nel secondo, il Presidente della Repubblica, assumono un ruolo esterno ai poteri statali, di garanzia dell'equilibrio fra i poteri e in posizione di neutralità rispetto ad essi. Essi, dunque, non partecipano all'indirizzo politico e tuttavia sono necessari in particolari momenti, soprattutto durante le crisi istituzionali (in Italia, al Presidente della Repubblica è infatti affidato il potere di nominare i membri del Governo e di sciogliere anticipatamente le Camere, quando tale fiducia non sussista più e la crisi sia irreversibile, secondo quanto previsto dagli artt. 88, 92 e 94 Cost). Nel corso della storia, e anche in relazione alle esperienze dei diversi paesi, si assiste a una progressiva perdita di centralità del Parlamento e, viceversa, a un rafforzamento del ruolo del Governo ,che diventa in tanti casi e in tanti momenti il vero traino dell'azione politica. Le attuali forme di governo parlamentari, però, sono molto diverse fra loro: la loro conformazione dipende in larga misura dall'assetto dei partiti politici, il quale, a sua volta, è condizionato dai sistemi elettorali. Esiste una profonda differenza fra il sistema elettorale maggioritario, che tende a semplificare, riducendo il numero dei partiti rappresentati in Parlamento, giungendo in casi estremi a creare persino un bipartitismo, e i sistemi proporzionali, che tendono invece a determinare la presenza in Parlamento di un numero anche ampio di partiti, a meno che non prevedano degli specifici correttivi. Cosi, il modello parlamentare inglese, fondato su un sistema maggioritario, ha di fatto creato una forma di governo fondata sul bipartitismo: questo aspetto comporta la possibilità di alternanza fondamentali dello Stato e la stessa architettura costituzionale. In particolare: nel 1922 viene istituito il Gran Consiglio del Fascismo, che dal 1928 assume un ruolo costituzionale: tale organo deve essere sentito in ordine a tutte le questioni di carattere costituzionale e deve indicare una lista di nomi tra i quali il Re sceglie il Capo del Governo; nel 1923, con la cosiddetta legge Acerbo, viene modificato il sistema elettorale: si introduce una formula maggioritaria con collegio unico nazionale, in modo tale da neutralizzare la rappresentanza delle opposizioni contrarie al regime fascista; tra il 1925 e il 1926 una serie di ulteriori riforme consente l'emersione, in posizione di supremazia, della figura del Capo del Governo come organo centrale nel sistema costituzionale. In particolare, con /a legge 24 dicembre 1925, n. 2263, la posizione del parlamento viene fortemente emarginata: si prevede che il capo del Governo possa controllarlo attraverso il potere di stabilire l'ordine del giorno dei lavori parlamentari, e di chiedere una nuova votazione su un testo legislativo già respinto. Di li a poco, la legge 31 gennaio 1926, n. 100, attribuisce sostanzialmente al Governo anche la funzione legislativa, in virtù del riconoscimento del potere di adottare, in casi d'urgenza, decreti aventi forza di legge in qualsiasi materia. Solo se entro due anni dall'adozione (e dunque con tempistiche lunghissime) il Parlamento non avesse convertito in legge tali decreti, ne sarebbe conseguita la loro de- cadenza; - per tutto il ventennio fascista, inoltre, le libertà, aventi già scarso spazio nello Statuto, sono oggetto di numerose violazioni, sia previste per legge (si pensi al divieto di sciopero di cui alla legge 3 aprile 1926, n. 563, o alla legge 15 luglio 1923, n. 3288, restrittiva della libertà di stampa) sia determinate da specifici provvedimenti amministrativi (come ad esempio quelli che portarono allo scioglimento di molte associazioni); ciò che determinò, secondo taluni studiosi, l'abrogazione tacita dello Statuto, essendone stati superati i principi fondamentali: nel 1939 la Camera dei deputati viene soppressa e sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni (legge 19 gennaio 1939, h. 129): la rappresentanza elettiva fa spazio, così, alla rappresentanza, mediante nomina, degli interessi delle categorie economiche e sociali. 15. La transizione e la Costituzione provvisoria La transizione dallo Stato fascista al vigente regime costituzionale democratico ha inizio il 25 luglio 1943, data della revoca di Mussolini dalla carica di Presidente del Consiglio dei ministri, disposta dal Re Vittorio Emanuele Ill in seguito alla sfiducia votata dal Gran Consiglio del Fascismo, cui fece seguito la nomina del Governo Badoglio, composto di tecnici e militari. Il governo Badoglio tentò un ritorno allo Statuto, nella sua fisionomia antecedente al fascismo, modificando e abrogando, con decreti-legge, alcuni istituti del regime fascista, quali il Partito nazionale fascista 2 ottobre 1943, n. 704), il Gran Consiglio del Fascismo (2 ottobre 1943, n. 706), la Camera dei fasci e delle corporazioni (2 ottobre 1943, n. 705), e soprattutto stabilendo che si sarebbe provveduto «nel termine di quattro mesi dalla cessazione dell'attuale stato di guerra, alla elezione di una nuova Camera dei deputati e alla conseguente convocazione e inizio della nuova legislatura» ( 2.8.1943, n. 705). Il Comitato di liberazione nazionale (CLN), composto dai partiti anti-fascisti, in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, si oppose però al tentativo del Governo Badoglio di ripristinare le precedenti istituzioni statutarie, e si pose alla guida di un processo politico-costituzionale di profondo mutamento che si sarebbe dovuto concludere con E la "questione istituzionale", ovverosia il problema relativo alla forma, da dare al nuovo Stato, affrontata dalla Corona e dal CNL e ratificata nel cosiddetto " dell'aprile 1944. Con il Patto, da un lato, si rinviò la soluzione della questione istituzionale e la convocazione di un'Assemblea Costituente al periodo successivo alla fine della guerra e, dall'altro, si dispose l'allontanamento del Re dalla carica, dando inizio a una «luogotenenza» di transizione, affidata al II nominando "luogotenente generale" proprie basi giuridiche La prima sul decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, che riproduceva proprio i contenuti del patto di Salerno e che viene generalmente considerato la "prima costituzione provvisoria" del nuovo Stato italiano. Si legge infatti, all'art. 1 del citato decreto «1. Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un'Assemblea Costituente per deliberare lanuova costituzione dello Stato. 2. | modi e le procedure saranno stabiliti con successivo provvedimento». , nel luglio 1945, istitui il Ministero per la Costituente e alcune commissioni di studio di supporto all'attività per la dell'Assemblea Costituente. Il Ministero per la Costituente fu incaricato di «predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione che dovrà determinare l'aspetto politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e sociale (art. 2).” A tal fine-furono nominate dal Ministero,per la costituente, aventi a oggetto rispettivamente le questioni economiche, i problemi del lavoro e i problemi attinenti alla riorganizzazione dello Stato. Particolarmente rilevante, fu il lavoro svolto da quest'ultima Commissione, presieduta dal Prof. Ugo Forti. con il d. Igs. Igt. 10 marzo 1946, n. 74, fu previsto, per l'elezione dei deputati all'Assemblea Costituente, un sistema con formula proporzionale a liste di candidati concorrenti in collegi plurinominali Successivamente, sarà il d.lgs. Igt. 16 marzo 1946, n. 98, noto come 7 glio Umberto.Il nuovo processo costituente fondava le seconda costituzione provvisoria", in deroga al cit. d.l.Igt. n. 151, ad affidare al corpo elettorale la scelta tra Repubblica o Monarchia. L'art. 1 del citato decreto dispose, infatti, che «Contemporaneamente alle elezioni per l'Assemblea Costituente il popolo sarà chiamato a decidere mediante referendum sulla forma istituzionale dello Stato (Repubblica o Monarchia)». in favore del figlio Umberto, determinando la fine della luogotenenza. (ebbe luogo, contestualmente all'elezione dei 556 membri dell'Assemblea] il referendum istituzionale, il quale sanci, pur tra polemiche e contestazioni sul conteggio delle schede, la vittoria della Repubblica. Il 13 giugno 1946, Alcide de Gasperi assunse le funzioni di capo provvisorio dello stato. Umberto Il lasciò l’Italia. Vinse la repubblica di 2 milioni di voti. 16. L'Assemblea Costituente e l'approvazione della Costituzione L'Assemblea Costituente era così composta: ® 207 seggi alla Democrazia cristiana (37,2%); e 115seggial Partito socialista (20,7%); ® 104 seggial Partito comunista (18,7%); e 41seggiall'Unione democratica nazionale (7,4%); ® 30vseggialla lista dell'Uomo qualunque (5,4%); e 23seggialPartito repubblicano (4,1%); e 16seggial Blocco nazionale della libertà (2,9%) e 20seggiadaltre liste (3,6%). I primi adempimenti dell'Assemblea furono l'elezione del proprio Presidente, con Giuseppe Saragat (poi sostituito dall'on_ Umberto Elia Terracini) e del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il quale (dopo essersi dimesso e nuovamente rieletto) assunse, il 1° gennaio 1948, ai sensi della | Disp. trans. Cost., il titolo di Presidente della Repubblica. 1 15 luglio 1946 venne decisa la nomina di una commissione ad hoc con il compito di elaborare un Progetto di Costituzione da presentare all'Assemblea entro il termine di tre mesi, poi prorogato. La cosiddetta [Commissione dei 75,|tra cui cinque sole donne, era composta di membri nominati dal Presidente dell'Assemblea, in modo da rispecchiare la composizione del plenum, e presieduta dall'On. Meuccio Ruini. La Commissione si suddivise poi in tre sotto-commissioni, competenti rispettivamente nelle materie: 1. diritti e doveri dei cittadini; 2. ordinamento costituzionale dello Stato (a sua volta, suddivisa in due sezioni: la prima sul potere esecutivo, la seconda su quello giudiziario); 3. rapporti economici e sociali. Il progetto di Costituzione fu presentato all'Assemblea il 31 gennaio 1947. Un Comitato di redazione, anch'esso presieduto dall'on. Ruini, ebbe l'incarico di rappresentare la Commissione dei 75 durante la discussione in assemblea, che si svolse dal 4 marzo al 20 dicembre 1947. Dopo la discussione e la votazione in aula degli articoli, il Comitato procedette all'ulteriore coordinamento delle disposizioni approvate e presentò il testo definitivo del progetto all'Assemblea che lo approvò, a scrutinio segreto, il 22 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli e 62 contrari. Sezione IV 17.Le caratteristiche della Costituzione italiana La Costituzione italiana - promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrata Si è già delle Costituzioni moderne, in contrapposizione alla flessibilità delle costituzioni ottocentesche. Si tratta di una caratteristica propria anche della Costituzione italiana del 1948 che, dunque, non può essere modificata da fonti di rango ad essa subordinata. La nostra Costituzione È poi elastica Jin quanto suscettibile di legittimare e orientare indirizzi politici di diversa natura, in particolare in ambito economico, ove si ritengono possibili evoluzioni anche significative, senza che si renda necessario allo scopo forzare il dettato costituzionale. Ciò grazie all'impiego di formule duttili quali «utilità sociale» o «funzione sociale» (cfr. art. 41 e 42 Cost.), le quali si prestano a essere riempite di vari significati secondo la sensibilità del legislatore del momento. La e di quella italiana, si spiega proprio in considerazione del loro carattere elastico: esse rappresentano il quadro di riferimento entro il quale è consentito lo sviluppo di differenti realtà sociali e politiche, corrispondenti alle mutevoli esigenze che emergono all'attenzione del legislatore. Il divario fra disposizioni scritte e realtà costituzionale, che la richiamata duttilità delle prime consente di ridurre, demanda proprio al legislatore ordinario la scelta dell'interpretazione cui dare seguito; residuando però pur sempre la possibilità che questi non si attivi, con il rischio di lasciare inattuato il dettato costituzionale e di fare cosi venir meno la corrispondenza fra il disegno costituzionale e la concreta realtà ordinamentale. Altra caratteristica della nostra Costituzione è, soprattutto se confrontata con le costituzioni ottocentesche la sua lunghezza] sia la parte sull'organizzazione dello Stato, sia la parte sui diritti non dettano poche e sommarie regole, ma si sviluppano in discipline piuttosto articolate. La nostra Costituzione si caratterizza per la presenza, da una parte, di norme ad efficacia diretta, suscettibili di immediata applicazione (norme immediatamente precettive), dall'altra, di norme persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese». | Costituenti erano infatti pienamente coscienti delle difficoltà che potevano essere incontrate da molti cittadini per arrivare al pieno godimento dei diritti proclamati nella Carta. La Costituzione affida così ai pubblici poteri il compito non solo di rispettare i diritti del singolo, ma di raggiungere obiettivi di eguaglianza sostanziale e giustizia sociale. L'effettivo godimento dei diritti da parte di tutti, in posizione di concreta parità, è quindi un preciso obiettivo per la Repubblica, alla quale è imposto di Mezzo principale per il raggiungimento di tali obiettivi, sono,anche se non in via esclusiva, i già citati diritti sociali - come il diritto al lavoro, all'istruzione, alla previdenza sociale - affermati comeposizioni giuridiche che devono trovare realizzazione attraverso concrete scelte legislative positive, non bastando quindi che lo Stato si limiti ad astenersi dall'entrare nella sfera di libertà del cittadino. l'obiettivo dell'eguaglianza sostanziale investe anche la concezione di taluni diritti di matrice liberale, i quali vengono sottoposti dalla Costituzione a limiti consistenti non solo nel necessario restringimento delle facoltà del titolare in ragione della convivenza con altri titolari dei medesimi diritti, ma anche nell'assoggettamento a valori ulteriori, espressi in Costituzione: così, per esempio, la proprietà privata viene sottoposta ai limiti della «funzione sociale» e dell'«accessibilità a tutti» (art. 42), l'iniziativa economica privata è limitata dall'utilità sociale» (art. 41), la proprietà terriera privata può subire limitazioni al fine di «stabilire equi rapporti sociali» (art. 44). Si tratta di formule che introducono nella struttura di tali diritti la considerazione di obiettivi di giustizia sociale e di equità. La Costituzione poi attribuisce forte centralità al principio lavorista. Essa abbandona l'idea che la posizione dei cittadini nella società dipenda dalle condizioni di nascita o dal censo, e supera così il primato della proprietà privata dei beni, valore fondamentale della tradizione liberale. In questa prospettiva, dunque, il lavoro non è inteso quale semplice mezzo per la sussistenza, bensì quale strumento di realizzazione della personalità del singolo, mediante il quale questi contribuisce al «progresso materiale o spirituale della società» (art. 4 Cost.) In questa direzione possono leggersi anche le norme poste a tutela della parità di genere, come l'art. 37 sui diritti della donna lavoratrice, o, sebbene frutto di riforme costituzionali successive, gli artt. 51, sulle pari opportunità nell'accesso a uffici pubblici e cariche elettive, e 117, comma 9, che investe le leggi regionali del compito di rimuovere «ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive». La centralità della persona non significa, tuttavia, che la Costituzione accolga un'impronta esclusivamente individualistica. L'attenzione, di stampo democratico-sociale, per le "formazioni sociali “apre il sistema costituzionale al principio pluralista, in virtù del quale si ammette la presenza, fra l'individuo e la collettività statale e di organizzazioni sociali, quali mezzi indispensabili per lo svolgimento della personalità umana, superando cosi l'impostazione marcatamente individualistica delle Costituzioni liberali, nelle quali le organizzazioni intermedie erano considerate ostacoli al rapporto diretto fra singolo e istituzioni. La nostra Costituzione ha, invece, iscritto il singolo entro le relazioni con la comunità di cui è parte e nella quale ciascuno giunge alla sua piena realizzazione. Le formazioni sociali sono titolari di ambiti di libertà garantiti dall'ordinamento statale e reclamano il rispetto della propria autonomia, organizzativa e funzionale, nei confronti dei pubblici poteri ai quali è fatto divieto di asservirle a interessi superiori, anche attraverso misure di natura legislativa. e anzi doverosa, allo scopo anche all'interno di tali "poteri privati", proteggendo il singolo al di là della garanzia minima data dal diritto di aderire o meno a tali organizzazioni (che comunque non può dirsi esistente per le formazioni "ad appartenenza necessaria", quale la famiglia). Il favor costituzionale verso il pluralismo sociale può tradursi in regimi speciali di agevolazione, di favore o di sostegno; certamente ammissibili, pur- ché nel rispetto del principio di eguaglianza e di parità fra tutte le formazioni sociali, al fine di impedire misure di favore nei confronti di alcuni interessi particolari, nonché fra tutti gli individui, a prescindere dall'appartenenza a tali organizzazioni; principi, questi, dai quali discende il divieto per lo Stato di conferire veri e propri privilegi a talune soltanto di queste formazioni (per esempio permettendo solo ad alcune di esse di partecipare all'esercizio dei poteri pubblici). Ciò non impedisce allo Stato di produrre norme fondate su accordi fra i pubblici poteri e le organizzazioni sociali e, altresì, di recepire accordi fra le diverse organizzazioni, pur nel rispetto della medesima esigenza di eguaglianza. Tale possibilità è esplicitamente riconosciuta in Costituzione, agli artt. 7 e 8, laddove si rinvia alle norme pattizie per la disciplina dei rapporti fra Stato e confessioni religiose, e all'art. 39, che conferisce efficacia generale ai contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati registrati. 19. Segue: uno Stato democratico in un ordinamento internazionale La struttura dei pubblici poteri è informata al principio democratico contemperato dal principio garantista. Secondo il principio democratico, gli organi titolari dell'indirizzo politico sono strumenti della volontà popolare e, per consequenza, devono trovare legittimazione, diretta o indiretta, nel popolo: è lo stesso articolo 1 della Costituzione a chiarire che «/a sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». La democraticità del sistema è attuata, dalla Costituzione, mediante la costruzione di un meccanismo di "pesi e contrappesi", in funzione di ulteriore garanzia del singolo nei confronti del potere stesso. In astratto, infatti, in aderenza al solo principio democratico, sarebbe plausibile l'attribuzione dell'intero indirizzo politico a unico soggetto, purché eletto dal popolo (cosiddetta democrazia plebiscitaria) Le Costituzioni, invece, nascono proprio dall'esigenza di un moderato esercizio del potere, anche se democraticamente legittimato - è il principio del governo delle leggi e non degli uomini -, seppur a scapito, talora, dell'efficienza e dell'immediatezza delle decisioni; esigenza garantita, da un lato, con la separazione dei poteri, dall'altro, con l'attribuzione a ciascuno di essi di una specifica funzione, intesa quale sfera limitata di potere. Il principio garantistico prevale su quello democratico con riguardo al potere giudiziario e alla Corte costituzionale, la cui funzione di garanzia del sistema costituzionale e dei diritti del singolo potrebbe venire compromessa dall'applicazione radicale del principio democratico. La giurisdizione, infatti, è esercitata in posizione mdi indipendenza dagli altri poteri dello Stato e di terzietà rispetto agli interessi coinvolti, al fine di realizzare una genuina tutela dei diritti . La Costituzione, infine, non si limita a considerare la Repubblica come ente a sé stante, ma la fondata sugli ideali del rispetto dei diritti dell'uomo e di pacifica collaborazione fra le Nazioni. Il principio internazionalista consente l'apertura dell'ordinamento verso valori e fini esterni, in funzione di garanzia sia dei diritti del cittadino e dello straniero sia del carattere democratico dello Stato. Gli artt. 10 e 11 Cost. traducono tale principio riconoscendo l'apertura dell'ordinamento sia verso il diritto internazionale generale sia verso il diritto internazionale pattizio, che, nella mente dei Costituenti, era rappresentato in particolare dal trattato istitutivo delle Nazioni Unite, anche se, nella pratica, tale apertura si è poi rivelata funzionale soprattutto all'adesione dell'Italia all'Unione europea. 20. Lo stato democratico di fronte alla pandemia Il covid ha messo a dura prova lo Stato Costituzionale. Nel nostro Paese, in una prima fase (febbraio-aprile 2020) - durante la quale la stragrande maggioranza della popolazione ha vissuto con una profondissima percezione di paura e angoscia il tentativo di contrastare la diffusione del contagio del virus è stato perseguito principalmente attraverso una severa limitazione dei diritti di circolazione e di movimento delle persone che ha avuto conseguenti ripercussioni anche sull'esercizio di molti altri i costituzionali. Così, per circa due mesi si è imposto in tutto il Paese il cosiddetto "lockdown": alle persone è stato fatto divieto di uscire di casa se non per motivi indifferibili e urgenti, che dovevano esse- re autocertificati nell'evenienza di controlli da parte delle forze dell'ordine. Si sono vietate le riunioni. Sono state rinviate le elezioni regionali che si dovevano tenere nella primavera del 2020. Si è imposta la chiusura generalizzata - con la sola eccezione delle attività necessarie a garantire la produzione di beni e la fornitura di servizi considerati essenziali - di tutti i luoghi di lavoro, del le attività commerciali e dei servizi di ristorazione. Si è sospesa, fatte salve limitate eccezioni, l'attività giurisdizionale. Sono state chiuse le scuole e le università. Non è stato possibile frequentare i luoghi di culto. Non si sono svolti spettacoli teatrali, eventi sportivi, concerti. Le attività lavorative in presenza sono state sostituite, nei casi in cui ciò è stato possibile grazie agli strumenti informatici, da forme di lavoro rese dal domicilio dei lavoratori; mentre per le lezioni scolastiche e universitarie si è previsto l'utilizzo della "didattica a distanza". Mai, nella storia d'Italia, si era verificata una situazione di sospensione generalizzata di tante libertà garantite dalla Costituzione. Tra i mesi di maggio e settembre 2020, le misure di restrizione sopra descritte sono state pian piano allentate. La diffusione del contagio è tornata ad aumentare tra i mesi di ottobre 2020 e aprile 2021. Per questo sono state reintrodotte misure restrittive. L'avvio massivo della campagna vaccinale ha portato, a partire dal maggio 2021 ad una flessione sensibile dei casi di contagio e, con essa, ad un pressoché generale abbandono delle misure restrittive. la pandemia ha determinato notevoli tensioni anche sul principio di separazione dei poteri Per garantire la funzionalità di un Parlamento che nella primavera del 2020 si è di fatto trovato "paralizzato", come il resto del Paese, dal timore del contagio, si è ipotizzato persino di utilizzare forme di partecipazione ai lavori parlamentari da remoto non previste però espressamente previste dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari. Le rigorose limitazioni ai diritti sono state veicolate per lo più da una serie di numerosissimi hanno determinato una sostanziale esautorazione della gestione dell'emergenza non solo del Parlamento, ma anche dell'organo governativo considerato nel suo complesso. Nonostante le difficoltà oggettive che la situazione presentava. non può tacersi che la - figure che hanno altresi potuto godere di una eccessiva sovraesposizione mediatica - ha creato una fortissima tensione con il principio di separazione di poteri che innerva l’intero testo costituzionale. Per quanto trattasi di uno strumento normativo non del tutto adeguato ad una emergenza tanto prolungata e mutevole, il decreto legge avrebbe in ogni caso quando l’ignoranza sia da considerarsi inevitabile, a causa dell’occultazione o interpretazione caotica.) Non ufficiali: sono strumentali alla sola conoscibilità del diritto non concorrendo a determinare l’entrata in vigore. Fonti di cognizione non ufficiali sono ad esempio le raccolte di norme proposte da case editrici specializzate in materia o le raccolte degli usi e delle consuetudini predisposte da autorità di settore. La prima pubblicazione di una legge costituzionale, approvata dal parlamento su maggioranza assoluta, viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale (art 138 Cost) affinché possano prendere visione coloro che entro tre mesi hanno facoltà di proporre referendum costituzionale (non entra ancora in vigore). Qualora poi non si sia presentata alcuna richiesta referendaria o nell'ipotesi in cui la consultazione elettorale abbia esito favorevole alla legge costituzionale esso sarà pubblicata una seconda volta in questo caso ai fini della propria entrata in vigore. sezione Il 4.le caratteristiche tendenziali delle norme giuridiche Es. Art 3 della Costituzione comma 1. È il principio di eguaglianza. Comincia con “Tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge” © Si riferisce a una categoria indeterminata di destinatari. È quindi generale. (art 575 Codice penale... CHIUNQUE) © È astratta. E ciò comporta una ripetuta applicazione. o Non contiene prescrizioni individuali e non esaurisce i propri effetti con una sola applicazione. o Può risultare falsificabile È una proposizione prescrittiva (si puo avere quindi un comportamento conforme o difforme) o Sono innovative ( possono modificare l'ordinamento giuridico). Sono leggi innovative le leggi in senso materiale; Es.autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali . Viceversa sono meramenti formali se regole giuridiche che non sono innovative. o Implica un giudizio di conformità o non conformità alla regola stessa: comporta in caso di violazione a una sanzione. O può comportare un premio. Non vi è una sanzione che vieta la violazione della norma o Cercadievitare il ricorso alla violenza . Affida il monopolio della norma ad un terzo. L’astrattezza e l'idoneità sono caratteristiche tendenziali ma non necessarie. Gli atti normativi si distinguono dagli atti amministrativi emanati dalla pubblica amministrazione. Infatti gli atti emanati dalla pubblica amministrazione hanno per destinatari uno o più soggetti individuati e circoscrive i propri effetti al caso singolo. Eppure nello stato liberale, molte volte ci sono state eccezioni e sono state approvate leggi prive di generalità e astrattezza. Con lo Stato Sociale si è rispettato di più il criterio di generalità e di astrattezza. Le leggi provvedimento , si rivolgono a un gruppo di soggetti o disciplinano situazioni che si verificano una tantum, rappresentano leggi ben lontane dal concetto di generalità e astrattezza. Vengono per questo sottoposte a uno stretto scrutinio di costituzionalità. Sono costituzionalmente legittime se sono conformi al principio di ragionevolezza. Inoltre le leggi provvedimento incontrano il rispetto della funzione giuris nale. Non possono essere risolte, specifiche controversie giudiziarie che siano state definitivamente decise con una precedente sentenza passata in giudicato. Ci vuole un'autorità che interpreti la regola. Ci vuole anche un qualcuno che capisca chi non la osserva, o premi chi la osserva. Le costituzioni parlano di sovranità. È un potere originario e o incondizionato. Lo stato non ha nessun limite se non quello che si dà da solo. Nel diritto moderno si è ecceduto nel dare il potere a un potere sovrano. Lo stato come sovrano, ha avuto il monopolio del diritto. Ovvero è la possibilità di avere il potere costituente. Nessuno può limitare questo potere. 5.VALIDITA’, FORZA ED EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICHE. La validità di un atto normativo, è la caratteristica propria di un atto privo di vizi, in quanto posto in conformità alle norme giuridiche ad esso sovraordinate. Il vizio può essere o Formale:riguarda il procedimento di adozione stabilito dalla relativa fonte sulla produzione o Sostanziale: La norma è in contrasto con il contenuto precettivo di disposizioni di rango superiore (es. una legge contenente una disciplina lesiva al diritto di salute) Efficace lè un atto idoneo a produrre! effetti giuridici voluti. Una norma può essere valida ma non efficace (es. nel periodo della vacatio legis). fora: dipende dal livello gerarchico su cui la norma è posta e che si esprime in rapporto alle altre fonti di diritto. È detta o Forza attiva: idoneità della fonte di abrogare o Forza passiva: resiste all’abrogazione, alla modifica e alla deroga. Sezione III, l’interpretazione 6.La distinzione tra disposizione e norma: l’attività interpretativa Il passaggio dalla fonte alla norma, tuttavia, non è diretto; a mediare il rapporto è la disposizione. La disposizione rispetto alla norma ha una funzione “servente e strumentale” La disposizione è infatti l’enunciato linguistico scritto adottato dall'organo che manifesta la volontà normativa. lal norma invece è il significato che dalla disposizione si ricava: la norma e dunque l’avere propria regola giuridica da applicare. L'attribuzione del giusto significato alla disposizione scritta è l’attività nota come interpretazione che più impegna gli operatori giuridici.é possibile ricavare significati diversi. Ad esempio nel 1993 il legislatore aveva adottato alcune previsioni legislative volte a incrementare la presenza di donne nelle assemblee politiche elettive. l'articolo 5 della legge numero 81 tratta il concetto di “di norma “. esso ebbe due interpretazioni: 1. Doveva essere interpretata alla stregua di un mero indirizzo, non vincolante nei confronti dei partiti politici all'atto della compilazione delle liste e che dunque non sarebbero stati invalide anche se composte unicamente da componenti dello stesso sesso 2. il Consiglio di Stato aveva ritenuto che in assenza di motivate deroghe da parte del partito la lista dovesse considerarsi invalida se irrispettosa della proporzione di genere imposta. Gli operatori giuridici devono allora attivare una serie di strumenti che permettano loro di ricavare dalla disposizione la norma applicabile nel caso concreto. Si chiamano criteri interpretativi o ermeneutici, L’attività interpretativa e attuata da tutti coloro che devono confrontarsi a vario titolo con il diritto. Il compito di interpretare la disposizione assume però particolare rilievo quando a provvedervi sono i giudici che nel caso di controversie sono chiamati dall'ordinamento a stabilire la norma da applicare al caso concreto. Essa non è creative di diritto (come nei common low) 7.1 criteri ermeneutici: nozioni ed esemplificazioni L'articolo 12 delle disposizioni sulla legge) in generale elenca una serie di criteri che gli interpreti devono utilizzare nell’applicazione del diritto. A seconda dei casi i giudici ricorrono all' uno all'altro criterio. -L’interpretazione letterale: è quella che fa perno sul significato proprio delle parole. L'interprete deve attribuire alle parole che compongono la disposizione il senso che esse hanno nel linguaggio comune o nel linguaggio tecnico giuridico, dovendo preferire il secondo significato nel caso la parola sia presente in entrambi linguaggi. Ad esempio coloro che abbiano commesso violenza negli stadi, è stato disposto il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive. L'interpretazione letterale specifica il concetto di manifestazioni sportive. -L’interpretazione sistematica: è il criterio che si ricava leggendo l’articolo 12 delle preleggi dal riferimento alla connessione tra le parole. Secondo il criterio dell’interpretazione sistematica l'interprete deve quindi leggere la disposizione tenendo conto dell’intero sistema normativo non soffermandosi solo sulla singola disposizione ma allargando lo spettro della propria visione al contesto in cui tale disposizione si inserisce. Ad esempio alluvione in piemonte del 2002, con la legge del 2003 stabiliva che si applicano ai soggetti colpiti contributi stanziati come nel novembe 1994 -interpretazione adeguatrice e interpretazione conforme a_ costituzione: l’interpretazione adeguatrice può essere considerata una particolare applicazione del criterio sistematico perché anche in questo caso il significato della disposizione dipende dal suo essere inserita in un sistema giuridico e dal volersi dunque rapportare con altre disposizioni. La particolarità del criterio in esame consiste nel fatto che ad essere messo in connessione sono però fonti normative poste su ordini gerarchici differenti. L'interprete è tenuto a privilegiare di una disposizione che si presti a diverse letture il significato conforme alla norma di rango gerarchico superiore. Ad esempio con la Carta Costituzionale i giudici devono esperire un tentativo di interpretazione conforme alla costituzione: La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia in relazione alle condizioni della detenzione. Si parla di “su istanza presentata dal detenuto”. Quindi tale disposizione si può applicare all' internato? Nel caso per riferimento a questa norma si ricollega un'altra norma dove si riferisce sia il detenuto sia l'internato. -intenzione del legislatore e ratio legis: l'articolo 12 delle preleggi fa testualmente riferimento all’intenzione del legislatore. nell'attività interpretativa occorre dunque verificare anche quali siano le ragioni che abbiano mosso il legislatore ad approvare una previsione normativa. In alcuni casi è necessario distinguere la volontà originaria del legislatore storico (interpretazione storica) dalla ratio legis che con il passare del tempo si allontana dall'intento che il legislatore perseguiva.. Interpretazione storica: Ad esempio l'articolo 292 del codice di procedura penale parla “di sottoscrizione del giudice”. l'articolo 110 del codice di procedura penale specifica così si intende per sottoscrizione disponendo che in calce al provvedimento devono essere apposti di propria mano nome e cognome di chi deve firmare. cosa succede quando la firma del giudice non sia leggibile? Si annulla il provvedimento? No! Ratio legis: nel 2005 il Lazio si prevedeva che nei casi di scioglimento anticipato del consiglio regionale si procede all'indizione delle nuove elezioni . La disposizione prevedeva allora di indire nuove elezioni subito? Il legislatore al fine di evitare ogni ambiguità ha precisato che in caso di scioglimento del consiglio le elezioni hanno luogo entro tre mesi 1. In primo luogo dal principio di legalità deriva il divieto per le fonti normative secondarie e gli atti amministrativi adottati dalla pubblica amministrazione di disporre in violazione della legge, cosiddetta preferenza della legge. In questa prospettiva il principio di legalità postula la soggezione alla legge anche degli atti adottati nell’ambito dell'attività giurisdizionale. Ad esempio le sentenze dei giudici. 2.il principio di legalità e poi espressione dell'esigenza della previa legge da intendersi nel senso che il potere pubblico per potersi legittimamente manifestare deve essere stato preventivamente autorizzato da una fonte normativa primaria. in costituzione è assente un esplicito riconoscimento del principio di legalità ( è desumibile all'articolo 3, 97,113). Nell'articolo 3, si parla di uguaglianza. La sottoposizione alla legge previene un uso arbitrario, e quindi discriminatorio. Nell'articolo 97 (impone alla legge di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione). L’articolo 113 conferisce a ciascuno il potere di ricorrere contro atti della pubblica amministrazione eventualmente contrari a legge. La giustificazione costituzionale di questa subordinazione tra fonti sta nel fatto che la legge è atto normativo prodotto dal Parlamento, organo rappresentativo dei cittadini. Non è ammessa la presenza di un potere autonomo della pubblica amministrazione, che non trovi il proprio limite nella legge. Occorre chiedersi se il principio di legalità come necessità di una previa legge debba ritenersi soddisfatto semplicemente in presenza di una legge che si limiti ad autorizzare l'emanazione di un atto regolamentare o amministrativo, in questo caso si ragiona di principio di legalità in senso formale, o se sia necessario che la legge dei termini anche i principi cui l’attività pubblica si deve conformare in questo secondo caso si parlerà di principio di legalità in senso sostanziale. In assenza di specifiche, si intende nel modo formale. Solo quando la costituzione richiede che una certa materia sia disciplinata dalla legge il principio di legalità va inteso in senso sostanziale. In questi casi infatti non solo è necessaria una legge che abiliti la pubblica amministrazione ad intervenire, ma il legislatore è altresì obbligato dalla Costituzione a fissare i limiti del potere pubblico attraverso l'indicazione dei principi idonei a vincolarne e dirigerne l'attività. Va detto però che, più di recente, sembra emersa nella giurisprudenza della Corte costituzionale l'idea che il principio di legalità in senso sostanziale sia principio generalizzato. Nella sentenza n. 115 del 2011 la Corte ha infatti parlato di una «imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto» e che il potere pubblico, quindi, debba essere «determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa». Va detto, tuttavia, che in questa sentenza - avente ad oggetto una norma che autorizzava i sindaci ad adottare ordinanze anche non contingibili ed urgenti a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana - la Corte ha basato la propria decisione di illegittimità costituzionale sul rilievo che si fosse in presenza di una materia coperta da una riserva di legge relativa (quel- la prevista dall'art. 23 Cost.). La portata dell'affermazione della Corte in ordine alla necessità di intendere sempre come sostanziale il principio di legalità sembra quindi mitigata proprio dalla successiva constatazione che nel caso di specie la Costituzione dettasse una riserva di legge. La questione - se cioè il principio di legalità in senso sostanziale debba considerarsi sempre implicitamente operante o piuttosto richiesto solo nei settori in cui la Costituzione detta una riserva di legge - rimane dunque controversa. 10.La riserva di legge Attraverso la previsione di una riserva di legge e la costituzione prescrive che da una certa materia sia disciplinata dalla legge o da un atto avente forza di legge, con esclusione o limitazione di intervento delle fonti normative adesso subordinate come ad esempio i regolamenti approvati dal governo. la previsione di un simile istituto risponde ad esigenze di garanzia per i cittadini; molte non a caso sono le riserve di legge inserite nella parte della costituzione dedicata alla tutela dei diritti fondamentali. Es. art 25 - norme penali possono essere introdotte solo dal legislatore ordinario. Es. art 13— libertà personale Es. art 14 -libertà di domicilio Es. art 16- libertà circolazione e soggiorno La ragione per le quali la costituzione pretende che in tali delicati ambiti si eviti l'intervento di atti normativi non approvati in parlamento sono molteplici. In primo luogo si tratta della considerazione per cui è il parlamento nel nostro ordinamento l'organo rappresentativo di tutti cittadini che lo eleggono a suffragio universale e diretto; quindi, le leggi sono approvate all'esito di un confronto fra tutte le forze politiche. Queste garanzie non ci sono quando un atto normativo è proposto dal governo, dove siede solo la maggioranza. in secondo luogo il procedimento legislativo si caratterizza per la sua trasparenza: i lavori del parlamento sono pubblici e chiunque può conoscere la posizione assunta da diversi parlamentari. Al governo invece le sedute non sono soggette a pubblicità. Gli atti legislativi adottati dal parlamento sono potenzialmente assoggettabili al controllo di costituzionalità rimesso alla Corte costituzionale. Occorre domandarsi se, quando la Costituzione prescrive una riserva di legge, essa richieda l'intervento della legge statale o della legge regionale. La risposta dipende dall'ambito di competenza materiale in cui ricade la riserva di legge. Se cioè siamo in presenza di una materia che può essere disciplinata soltanto dallo Stato, evidentemente l'atto legislativo richiesto dovrà essere statale. Viceversa, se è la Regione ad avere titolo competenziale, la riserva di legge si dirà soddisfatta dall'intervento di una legge regionale. tale formula si riferisca anche agli atti aventi forza di legge, e non solo quindi all'atto formale approvato dal Parlamento. Fa eccezione il solo caso in cui la Costituzione, espressamente, faccia richiamo all'atto normativo emanato dal "Parlamento" o dalle "Camere". Si ha in questi casi una riserva di legge formale. Riserva di legge formale è, ad es., quella contenuta nell'art. 80 Cost., secondo cui «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi». Fatte salve le eccezioni di cui si è appena detto, in presenza di o un decreto legge del governo. Il Parlamento ha comunque un ruolo significativo del procedimento di adozione degli atti aventi forza di legge. Allo stesso tempo, bisogna però segnalare che la tendenza del nostro ordinamento a produrre diritto per il tramite di questi atti (si pensi in particolare al fenomeno del disinvolto uso della decretazione d'urgenza) può arrivare a mettere in discussione la ratio della riserva di legge per come i nostri Costituenti l'avevano intesa. E, in effetti, la Corte costituzionale ha ritenuto di dover ricordare le ragioni per cui, soprattutto laddove l'intervento normativo si collochi nel delicato settore del diritto penale e abbia portata particolarmente incisiva, sarebbe preferibile ricorrere alle ordinarie procedure di formazione della legge, che implicano un dibattito parlamentare sufficientemente articolato le riserve di legge si distinguono in riserve di legge assolute e riserve di legge relative: -le riserve di legge assoluta e richiedono Che l’intera materia sia disciplinata dalla legge o da un atto avente forza di legge. Ne consegue l’estromissione totale delle fonti subordinate poiché la materia in considerazione per nessun profilo potrà trovare la propria fonte di disciplina in atti normativi diversi dalle fonti primarie. Es. art 13 comma 2, non è ammessa alcuna forma di limitazione alla libertà personale, se non per atto motivato da autorità giudiziale nei soli casi previsti dalla legge. Anche i regolamenti tecnici di materia strettamente esecutiva. La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili tali atti tecnici nel caso della predisposizione dell'elenco delle sostanze stupefacenti o alla determinazione della dose media giornaliera ai fini delle relative fattispecie penali -le riserve di legge relative siano invece quando la costituzione si limita a richiedere che la legge determina i principi fondamentali della materia permettendo che la disciplina sia integrata e dettagliata da atti normativi ad essa subordinati. Ad esempio, | articolo 23 dove si dice” nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.” L'altra distinzione rilevante in materia di riserva di legge è quella fra riserva di legge semplice e riserva di legge rinforzata. In quest’ultimo caso la costituzione oltre a riservare la disciplina di una certa materia alla legge obbliga il legislatore limitandone la discrezionalità al rispetto di ulteriori vincoli di contenuto o di procedimento Che riserva di legge rinforzata per contenuto e quella prevista ad esempio nell'articolo 16 della costituzione. in materia di libertà di circolazione ammette solo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità oh sicurezza Riserva di legge rinforzata per procedimento e quella contenuta nell'articolo 7 i materia di rapporti fra stato e chiesa cattolica punto i patti lateranensi possono subire modifiche per legge ordinaria solo se accettate dalle due parti. Va anche precisato che la costituzione talvolta richiede che a regolare taluni ambiti sia la sola fonte super primaria. Si parla questo proposito di riserva di legge costituzionale. Ad esempio art 137. Attribuisce ad una legge costituzionale il compito di stabilire le condizioni le forme i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte. A questa legge è stato aggiunto l'articolo 138. La riserva di legge riguarda esclusivamente i rapporti tra fonti normative. il principio di legalità invece attiene al rapporto tra la legge tutti gli atti della pubblica autorità siano essi normativi siano essi atti di natura amministrativa. tra i concetti di riserva di legge relativa il principio di legalità in senso sostanziale quest’ultimo quando riferito all'esercizio del potere normativo secondario esiste una sovrapposizione. Infatti quando la costituzione prevede una riserva di legge relativa il principio di legalità sarà senz'altro da intendersi in senso sostanziale. comunque quest'ultime a dover continuare ad essere applicate per regolare rapporti e situazioni pregresse. il regime giuridico dell’irretroattività è però diversa seconda che si verte in materia penale in qualsiasi altro settore dell'ordinamento. AI di fuori dell'ambito penale il principio di irretroattività trova il suo fondamento nell’articolo 11 delle preleggi secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire: essa non hai effetto retroattivo. Pur se non affermata a livello costituzionale li retroattività costituisce espressione di civiltà giuridica. Il legislatore non può adottare norme retroattive con disinvoltura. La Corte costituzionale le sottopone a un rigoroso scrutinio di irragionevolezza dichiarando le illegittime nelle ipotesi in cui la scelta del legislatore di estendere al passato gli effetti di una disciplina di nuove introduzione non corrisponde a specifiche esigenze connesse ad interessi di rilievo costituzionale. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha indotto anche la Corte costituzionale ad un maggior rigore nell'esame di tali leggi. Le leggi di interpretazione autentica il legislatore vi ricorre lo scopo di chiarire solitamente in presenza di incertezze dovuto a contrasti giurisprudenziali il significato di una disposizione precedentemente approvata. La retroattività è connaturata a questa tipologia di leggi: esse vengono infatti applicate con l’obiettivo di obbligare gli operatori giuridici ad applicare in un determinato senso una disposizione anteriore. Dovrà essere fatta valere anche nei giudizi pendenti che riguardano situazioni sorte precedentemente all'entrata in vigore della legge di interpretazione autentica. La situazione però è diversa in materia penale. Il principio di irretroattività è sancito direttamente a livello costituzionale per le leggi penali che introducono un nuovo reato o che aggravano la sensazione per un reato già previsto. Dunque queste leggi penali ( in malam parem) laddove disponessero anche per il passato sarebbero senza eccezione alcuna, incostituzionali. Ad esempio troviamo l’art 25 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” Il principio di irretroattività si pone come strumento di garanzia del cittadino. Opposto discorso vale invece per le leggi penali che aboliscono una fattispecie di reato o che introducono un trattamento sanzionatorio più favorevole al reo. In questi casi, infatti, si applica la regola della retroattività al fine di evitare che taluno possa trovarsi a sopportare gravose conseguenze sulla base di una norma che non corrisponde più alla scelta politico criminale del legislatore. Es. art 3 15.La risoluzione delle antinomie apparenti: il criterio di specialità Le antinomie apparenti diversamente da quelle reali si risolvono con una tecnica interpretativa che non comporta alcuna conseguenza sulla validità e sull'efficacia della norma che non verrà applicata al caso concreto. Si tratta del Criterio di specialità che impone di preferire tra due norme poste sullo stesso piano gerarchico e che sia in un rapporto di genere, la norma speciale rispetto a quella generale. il principio di specialità è espressamente formulato nel solo ambito penale, può essere ritenuto una tecnica interpretativa suscettibile di applicazione in qualsiasi settore dell’ordinamento. Capitolo X Sezione I — Il percorso verso la tutela dei diritti 1. Dallo Stato liberale allo Stato sociale Allo studio dei diritti e delle libertà che la Costituzione repubblicana riconosce e garantisce, occorre premettere alcune riflessioni in merito al passaggio dalla forma di Stato liberale alla forma di Stato democratico sociale, per meglio comprendere la disciplina a cui i diritti costituzionali risultano assoggettati. sussiste infatti una stretta correlazione tra la forma di Stato esistente e la discipina dei diritti del cittadino. Se, dunque, la forma di Stato esistente in un dato ordinamento e in un determinato periodo storico influenza la disciplina dei diritti di libertà, si comprende la ragione per la quale lo studio dei diritti di liberta non possa essere decontestualizzato dal processo di cambiamento che ha interessato le forme di Stato nel corso dei secoli. Nell'esperienza dello Stato liberale ottocentesco, i diritti di libertà si affermano essenzialmente quali sfere individuali di autonomia riconosciute al cittadino e garantite nei confronti delle interferenze ottocentesco dei pubblici poteri. La valenza "negativa" che caratterizza il diritto di libertà nello Stato ottocentesco - si parla a proposito di libertà dallo Stato - poggia, a sua volta, sulla nozione di eguaglianza intesa in senso formale, che si afferma in quell'epoca quale portato della Rivoluzione francese del 1789. I diritti di libertà, che lo Stato liberale garantisce astenendosi da qualsiasi ingerenza nel loro esercizio, vengono, quindi, riconosciuti a tutti i cittadini, ma senza che lo Stato si preoccupi di garantirne il godimento effettivo. Nell'affermarsi dello Stato liberale si riscontra tra l'altro una profonda differenziazione quanto alla disciplina dei diritti di libertà, se si paragonano le esperienze dell'Inghilterra e degli Stati Uniti e quelle dell'Europa continentale. Nell'esperienza angloamericana, i diritti di libertà sono riconosciuti e garantiti dal potere giudiziario; nella tradizione continentale europea, invece, essi rinvengono il proprio fondamento in una Costituzione scritta, ovvero nella legge del Parlamento, espressione della volontà popolare. A seguito della crisi dello Stato liberale e con l'avvento della | diritti nella forma di stato sociale cambia la disciplina dei diritti di libertà, sia con riguardo al significato attribuibile alla nozione, sia con riguardo agli strumenti che l'ordinamento costituzionale appresta a loro presidio. Con riferimento al primo aspetto, i diritti di libertà _non sono piu concepiti soltanto nell'accezione negativa. Il godimento dei diritti non postula più solo una mera astensione da parte dei pubblici poteri essi infatti assumono rilievo anche in "positivo": la loro tutela effettiva, più realisticamente, richiede infatti l'intervento dello stato. Questa nuova concezione dei diritti di libertà si spiega per l'emersione di una diversa e ulteriore declinazione del principio (di eguaglianza nell'affermazione dello stato democratico sociale] quella della cosiddetta leguaglianza sostanziale!. come più approfonditamente si dirà in seguito questo principio ha base normativa nell'ordinamento italiano nell'art. 3, comma 2, Cost., che demanda allo Stato il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Lo Stato non può limitarsi quindi a proclamare i diritti di libertà in astratto, ma deve intervenire in concreto per assicurare l'esercizio e la fruibilità da parte di tutti. L'affermazione dello Stato sociale non ha soltanto inciso sulla nozione di diritto di libertà, ma ha anche dato luogo al riconoscimento di altri diritti, definiti diritti sociali o diritti di prestazione. © diritti sociali (per esempio, il diritto alla salute e il diritto all'istruzione) sono definibili quali pretese azionabili dal singolo nei confronti dello Stato, affinché esso adotti gli strumenti idonei a garantire l'eguaglianza e a ovviare alle diseguaglianze insite nel tessuto sociale. A questo proposito, si è osservato che la garanzia di effettività dei diritti sociali (si pensi al diritto all'istruzione) è condizione necessaria per l'esercizio dei diritti di libertà (si pensi al diritto di manifestazione del pensiero o al diritto di voto come libera e consapevole autodeterminazione in sede elettorale). Per quanto concerne, invece, il profilo relativo agli strumenti apprestati dall'ordinamento per garantire la tutela dei diritti codificati nelle Costituzioni, si annovera prima di tutto il principio di i rigidità, che contraddistingue le Costituzioni del secondo dopoguerra rispetto alle costituzioni flessibili dello stato liberale ottocentesco (Quest'ultimo prevedeva essenzialmente due forme di garanzia dei diritti costituzionali: legge e la riserva di giurisdizione: Con l'avvento dello stato democratico sociale questi strumenti vengono confermati e assumono fata valenza ancora più forte. forte. Infatti, la rigidità delle Costituzioni del secondo dopoguerra - quale portato del principio di costituzionalità fecondo cui la legge ordinaria è subordinata alla legge costituzionale) - si riverbera, in primo luogo, sul significato dell'istituto della riserva di legge, che diviene strumento vincolante per il legislatore, tenuto al rispetto dei principi costituzionali nell'esercizio discrezionale del suo potere legislativo. Una vincolatività, più o meno stringente, a seconda del contenuto e, quindi, della portata precettiva dei principi e delle norme costituzionali. Anche il significato della riserva di giurisdizione si modifica: alla garanzia formale della soggezione del giudice soltanto alla legge si affianca la garanzia sostanziale costituita dalla previsione di alcuni principi costituzionali in materia processuale, informanti l'esercizio della funzione giurisdizionale. Tali principi, come il diritto di azione e difesa e la presunzione di non colpevolezza, rivelano l'intento di garantire molto più intensamente la posizione del cittadino. riserva di 2. Tutela dei diritti: dal legislatore ai giudici L'evoluzione della forma di Stato, da Stato liberale a Stato costituzionale, non si risolve solo nel nuovo significato attribuibile alla nozione di diritto di libertà e all'impianto di garanzia dei diritti di libertà rafforzato nei termini di cui si è detto. Essa ha inciso profondamente anche sul versante dei rapporti intercorrenti tra il legislatore e i giudici, costituzionali e comuni, determinando una tensione tra i due attori istituzionali, entrambi chiamati a intervenire, il primo con la legge, i secondi con le loro pronunce, nella tutela dei diritti fondamentali. Com'è di tutta evidenza, ciò che maggiormente caratterizza lo Stato costituzionale del Novecento consiste proprio nella scoperta definitiva del ruolo centrale dei giudici nell'affermazione dei diritti e del ruolo, talvolta addirittura creativo, assolto da questi stessi nell'interpretazione dei principi costituzionali. Un elemento, quest'ultimo, che segna il passo compiuto dallo Stato costituzionale novecentesco rispetto al suo antecedente, con riferimento ai Paesi dell'Europa continentale. In queste esperienze, infatti, il giudice altro non era se non un mero esecutore della legge, e perciò definito come la "bocca della leggi", liberto, attraverso la approvazioni di leggi generali e astratte. Nello Stato costituzionale è proprio la rigidità della Costituzione che pone al riparo dalla discrezionalità del legislatore taluni diritti fondamentali ed esalta il ruolo, talvolta addirittura suppletivo, del potere giudiziario nella dimensione sostanziale dei diritti Tuttavia, il crescente ruolo dei giudici comuni nella garanzia di taluni diritti fondamentali si risolve, talora, nella determinazione di situazioni oscillanti. Le decisioni giudiziarie sono vincolanti per singolo caso risolto dal giudice, e sono prive di quella portata erga omnes, che, invece, come noto, è caratteristica intrinseca della legge. Peraltro, non potrebbe darsi diversamente, se non minando il principio democratico su cui regge l'intero ordinamento. Infatti, delegando la determinazione della consistenza dei diritti al solo potere giudiziario, si rischierebbe di snaturare, almeno in parte, la consistenza democratica dello Stato. Come dimostra, ad esempio, la vicenda che si è conclusa con la approvazione della c.d. legge Cirinna, n. 76 del 2016, in materia di regolamentazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, oppure quella che ha interessato il sovraffollamento negli istituti penitenziari nazionali , le sentenze della Corta europea dei diritti dell'uomo, specie se di condanna, : possono anche sollecitare interventi del legislatore, chiamato a disciplinare settori caratterizzati da lacune o limiti che abbiano causato la violazione di uno o più principi della CEDU. All’interno del sistema del consiglio d'europa, può poi essere qui richiamata anche la Carta Sociale Europea, posta a presidio di un nutrito catalogo di diritti sociali, a salvaguardia dei quali è preposto il Comitato europeo dei diritti sociali. Per ultimo, ma non per importanza, nel novero dei sistemi di tutela tra gli organi giurisdizionali chiamati a garantire i diritti, vi annoverata anche preposta a difesa dei diritti fondamentali contemplati nei Trattati europei e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione (la cosidetta Carta di Nizza), alla quale il Trattato di Lisbona ha riconosciuto eguale valore giuridico dei Trattati istitutivi. Per quanto qui interessa, la CGUE ha il potere di annullare un atto dell'Unione Europea che risulti in oppure di uno o più diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Essa può poi Inoltre, anche se in modo implicito, (articolo 267): ciò avviene quando il giudice nazionale, dovendo applicare una norma interna apparentemente in contrasto con il diritto dell'Unione Europea, chiede alla CGUE di chiarire il significato da assegnare alla norma UE Con riferimento più specifico alla tutela dei diritti fondamentali, sebbene la CGUE rivesta un ruolo meno centrale rispetto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, essa ha avuto modo di intervenire in alcuni settori particolarmente importanti. tra questi, si ricordano, in questa sede, le pronunce della Corte di Giustizia in tema di parità tra uomini e donne nel mondo del lavoro; in tema di azioni positive e ancora, e più di recente, con rinferimento alla parità delle condizioni di lavoro in favore della persona con disabilita (cosi come di tutela delle libertà religiosa e del diritto di iniziativa economica) 4.1 diritti nella pandemia Per contrastare il covid, vi è stata come conseguenza la sospensione di numarosi diritti sanciti dalla Costituzione (si pensi in particolare allo svuotamento della liberta di circolazione, nonché all'impossibilità di svolgere manifestazioni pubbliche e riunioni, oltre alla sospensione delle attività economiche, produttive e culturali). Tale scelta si è però rivelata foriera di molteplici criticità.si è evidenziato in precedenza che, da un punto di vista generale, la limitazione delle libertà costituzionale è avvenuta prevalentemente con lo strumento del DPCM. Ciò ha determinato il mancato rispetto delle riserve assolute di legge, istituto di garanzia previsto dalla Costituzione nei casi in cui sia necessario limitare i diritti sanciti dalla Costituzione stessa. Va in secondo luogo segnalato che il congelamento indiscriminato di pressoché tutte le libertà dei cittadini - in modo più evidente della tutela durante i primissimi mesi della pandemia (marzo- maggio 2020) della salute ma anche nel corso dei successivi momenti di emergenza sanitaria, a discapito degli altri tra il novembre 2020 e l'aprile 2021 - è avvenuto nonostante nel diritti nostro ordinamento, secondo la giurisprudenza costituzionale, non esistano "diritti tiranni". Afferma infatti la Corte costituzionale che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in apporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» Una simile prevalenza assoluta si è invece certamente verificata nei lunghi mesi di pandemia. Va sottolineta la prevalenza esclusiva che Governo e Parlamento hanno attribuito, per periodi di tempo davvero molto estesa alla tutela della salute a completo discapito degli altri diritti. o interessi costituzionali non sia m; ato nel suo nucleo essenziale. Davvero, ad esempio, è stata una scelta ragionevole quella di chiudere tutte le scuole è in tutta Italia nella primavera del 2020, quando in alcune zone del Paese la diffusione del virus era molto limitata? 'In terzo luogo, occorre dare atto che, come si è già accennato, la rigorosa limitazione di molti diritti costituzionali si è protratta per un periodo di tempo molto esteso (dal marzo 2020 al giugno 2021 con l'eccezione dei mesi estivi del 2020). Ancora una volta va precisato che non è qui in discussione la necessità di arginare il contagio del virus: quello che occorre qui segnalare è che nel nostro ordina- mento le limitazioni straordinarie ai diritti fondamentali sono un sacrificio accettabile, ma soltanto Ha osservato la Corte Costituzionale, in un precedente risalente agli anni bui del terrorismo, che «l'emergenza, nella sua accezione più propria, è una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo». Di nuovo, quindi, occorre chiedersi se, di fronte a tali principi, la gestione dell'emergenza Covid-19 sia avvenuta in modo conforme a Costituzione. Una prima risposta negativa è giunta dalla Corte costituzionale con la sent. n. 128 del 2021. In tale decisione, la Corte ha dichiarato "illegittimità costituzionale delle previsioni che avevano prorogato fino al giugno 2021 la sospensione generalizzata di tutte le procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale. Secondo la Corte, se tale sospensione - forte- mente limitativa del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ex art. 24 Cost. - poteva trovare giustificazione nei primi mesi della pandemia, essa è successivamente divenuta, proprio per lo scorrere del tempo, irragionevole e sproporzionata. Tutto quanto appena detto assume ancora maggiore valore se si pensa che il congelamento dei i ha avuto ripercussioni negative fortissime soprattutto sulle persone più vulnera- bili o già vittime di discriminazioni, che hanno visto la propria condizione ulteriormente peggiorata. Cosi, molte donne hanno perso il lavoro e le donne alle prese con lo smart working si sono nella maggior parte dei casi viste addossate non soltanto il lavoro di cura domestico, cui generalmente sono già chiamate in misura statisticamente più alta rispetto agli uomini, ma anche 'onere di accudirne i bambini. Inoltre è aumentata la violenza domestica. Persone con disabilità sono state spesso abbandonate alle loro famiglie a causa dell'assistenza personale interrotta. Gli alunni con disabilità non hanno avuto il sostegno. Nei confronti delle persone private della libertà personale si è mdisposto il divieto di ingressi e uscite dal carcere; si sono sospesi i colloqui con i famigliari, sostituendoli con videochiamate; sono state interrotte le attività trattamentali; si è in un primo momento persino prevista l'interruzione dei benefici quali i permessi premio, la semi-libertà e il lavoro esterno. In definitiva, dunque, la risposta all'emergenza sanitaria, anche nella prospettiva della tutela dei diritti, è apparsa scarsamente in linea con i caposaldi dello stato costituzionale. Anche la tutela del diritto alla salute deve trovare un ragionevole e proporzionato bilanciamento con gli altri diritti costituzionali. Le modalita con rete con cui effettuare siffatto bilanciamento non sono ovviamente È certo però che in uno stato costituzionale la risposta non può coincidere con la sospensione degli altri ditti prescindendo, di fatto, da un bilanciamento tra gli stessi. Sezione Il — il fondamento dei diritti nella Costituzione italiana 5.1 pri i fondamentali della Costituzione itali iana Occorre ora evidenziare quale siano i principi posti a fondamento della Costituzione repubblicana, che informano l’intero ordinamento giuridico italiano. 6. L'art. 2 Cost. e i diritti inviolabili dell'uomo Dall'art. 2 Cost, si ricavano tre principi: 1. il principio personalista 2. il principio del pluralismo sociale 3. il principio di solidarietà. Il principio personalista trova espressione nelle parole: «la Repubblica riconosce e garantisce | diritti inviolabili dell'uomo». Con riferimento a tale principio, tre sono gli interrogativi da porsi: a) cosa debba intendersi VIEN ZETtI5A è espressione di una concezione che, nel collocare i diritti inviolabili della persona umana al centro, vuole che sia lo stato a operare in funzione di questa e non, al contrario, quella in funzione dello Stato. L’art. 2 Cost, peraltro, non si limita a riconoscere la centralità dei diritti della persona umana, ma li definisce, o meglio, ne riconosce il carattere inviolabile. b) quale sia il significato VETTE: inviolabilità dei diritti significa, innanzitutto, anteriorità di questi rispetto all'ordinamento giuridico. Decisiva ai fini ditale interpretazione è stata la scelta del Costituente di utilizzare il verbo «riconoscere», così rendendo esplicita la preesistenza dei diritti rispetto all'ordinamento giuridico. Inviolabilità dei diritti significa anche riconoscere a questi ultimi una sfera di intangibilità, nonché la loro irrivedibilità sia da parte del legislatore ordinario sia da parte del legislatore costituzionale. come ha precisato la Corte costituzionale, «/a Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana» Ed è questo, infatti, il caso dei diritti inviolabili dell'uomo, a cui si riferisce l'art. 2 Cost. La Corte costituzionale, peraltro, non si è limitata a riconoscere il carattere irrivedibile dei diritti inviolabili dell'uomo, ex art. 2 Cost., ma è andata oltre, precisando anche i confini di questo limite implicito al potere di revisione costituzionale. Quest'ultimo rihuadrerebbe esclusivamente il loro contenuto essenziale, non escludendosi interventi volti a incidere sulle loro concrete modalità di esercizio, come la Corte costituzionale, nella stessa sentenza appena richiamata, ha precisato affermando che un diritto è inviolabile «nel senso generale che il suo contenuto essenziale non può essere oggetto di revisione costituzionale». Infine, è da osservare che dall'art. 2 Cost. discende l'immediata efficacia che i diritti inviolabili sono suscettibili di dispiegare non soltanto nei rapporti tra stato e persone, ma anche in quelli intercorrenti tra singoli individui, cioè nei rapporti orizzontali (cosiddetta drittwirkung dei diritti costituzionali). o) PERE RS ENTMITE c se e qualifica di inviolabile possa essere attribuita soltanto a quei diritti che nella Carta costituzionale rinvengono tale esplicito riconoscimento, ovvero se i Di conseguenza, l'art. 3 della Costituzione è da ritenersi violato ogni volta in cui, senza un ragionevole motivo, legislatore differenzi il trattamento di persone che si trovino in equali situazioni Dal principio di eguaglianza formale si ricava il divieto per il legislatore di introdurre sia le discriminazioni dirette sia le discriminaioni indirette. ® si ha una tutte le volte in cui una norma, un atto o un comportamento diritto, o quando comunque quest'ultimasia esplicitamente soggetta ad un trattamento deteriore. Es: può nuovamente ricordarsi l'esempio della norma penale che puniva solo 'adulterio della moglie, mandando esente il marito per il medesimo comportamento, e che dopo un primo salvataggio da parte della Corte costituzionale fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale proprio perché discriminatoria. ® Più complessa si dimostra la nozione di discriminazione indiretta, che si verifica quando, pure a fronte di un trattamento giuridico neutro e indifferenziato, solo una determinata categoria di soggetti, in ragione delle proprie specificità, si trovi a subire uno svantaggio rispetto alla generalità dei destinatari della norma. Es: una norma della Provincia autonoma di Trento poneva come requisito per l'accesso ai ruoli direttivi del corpo antincendio il possesso di un'altezza minima. La norma è stata sotto- posta al giudizio della Corte costituzionale, che l'ha dichiarata illegittima poiché la previsione sottoponeva a trattamento giuridico uniforme. Le nozioni di discriminazione diretta e indiretta, cosi come le forme che la violazione del principio di eguaglianza formale e di non discriminazione può assumere, sono state ulteriormente precisate dal diritto dell'Unione Europea. Il legislatore dell'Unione ha, infatti, incluso nel novero delle manifestazioni in cui si estrinseca una disparità di trattamento anche la molestia e l'ordine di discriminare, così come ha fatto propria la nozione di discriminazione multipla, ossia fondata su più di un fattore di discriminazione che nel loro intrecciarsi collocano la vittima in una posizione di svantaggio più elevato. 9. I singoli fattori di discriminazione All'enunciazione del principio di eguaglianza formale, l'art. 3, comma 1 Cost., fa seguire un elenco di fattori di discriminazione espressamente vietati: il sesso, la razza, la lingua, la confessione ni personali e sociali. 1. Il divieto ragione del sesso, esso trova svolgimento in ulteriori disposizioni costituzionali: l'art. 29 Cost. in ambito familiare riconosce in modo innovativo il principio dell'«uguaglianza morale e giuridica dei coniugi»; l'art. 37 Cost. in materia di rapporti di lavoro prevede che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore», mentre l'art. 51 Cost. in tema di accesso alle cariche elettive stabilisce che «tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». A partire dalla rimozione del divieto di accesso delle donne a un gran numero di impieghi pubblici, con la storica decisione della Corte costituzionale n. 33 del 1960, la parità femminile si è fatta strada, con fatica, in diversi settori dell'ordinamento. A questo riguardo, si pensi innanzitutto a tutte le previsioni che hanno contribuito a favorire l'attuazione del principio di parità fra i generi non solo in ambito elettorale (su cui si tornerà specificamente oltre, in questo ma anche nel settore del lavoro, con le tutele predisposte a garanzia della maternità delle donne lavoratrici e della parità fra lavoratori, e in ambito familiare, a partire dalla riforma del diritto di famiglia, con particolare riguardo all'uguaglianza dei coniugi anche nei confronti dei figli (legge n. 151 del 1975) fino ad arrivare alla sentenza n. 286 del 2016 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'incostituzionalità della norma che non consentiva ai coniugi, che pure avessero un comune accordo, di trasmettere ai figli anche il cognome materno. 2. Il divieto di discriminazioni basate sulla razza non conosce, viceversa, ulteriori specificazioni nel dettato costituzionale e opera quale divieto a carattere assoluto, espressione della rottura con il precedente regime fascista. Il rilievo assunto dal fenomeno dell'immigrazione e l'evoluzione in senso multiculturale delle società odierne hanno contribuito ad accrescere la centralità del problema della tutela contro le discriminazioni razziali, sfociato nell'adozione del d.1. 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa e, tra gli altri, del d.lgs. 9 luglio 2003,n. 215, di attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. 3. Il motivo di discriminazione in base alla lingua va integrato alla luce di quanto stabilisce l'art. 6 Cost. che, in tema di tutela delle minoranze linguistiche storiche, stabilisce che «la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche», cosi acconsentendo all'adozione di interventi specificamente rivolti a conservare il pluralismo linguistico presente sul territorio nazionale. 4. Divieto di discriminazione in ragione della confessione religiosa professata. Si tratta di un principio che necessita di essere considerato congiuntamente ad altre disposizioni costituzionali che intervengono, nella disciplina del fenomeno religioso e, dunque, agli artt. 8 e 19 Cost, rispettivamente intema di eguaglianza tra le confessioni religiose,e di liberta di religione e all'art. 7 Cost, relativamente ai rapporti tra stato e Chiesa cattolica. 5. vieta le discriminazioni sulla base delle opinioni politiche e delle condizioni personali e sociali, In particolare, con riferimento alle opinioni politiche, il divieto rinviene nella Carta costituzionale ulteriori specificazioni: nell'art. 22 Cost., con riguardo al divieto di privare il cittadino della capacità giuridica, del nome e della cittadinanza; nell'art. 21 Cost., a presidio della libertà di manifestazione del pensiero; nell'art. 48 Cost., a garanzia dell'equaglianza e della segretezza del voto e, infine, nell'art. 49 Cost., che tutela la libertà di associazione politica. Il riferimento alle condizioni personali consente di ricomprendere nell'ambito della sua applicazione diverse situazioni. Sicuramente vi rientrano tutte le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità (per le quali un esplicito riferimento è rintracciabile anche nell'art. 38 Cost.). Tra le condizioni personali di cui all'art. 3 Cost. ci sono poi quelle riguardanti i diritti Igbti, che negli ultimi anni hanno avuto importanti riconoscimenti giurisprudenziali e legislativi, con riguardo innanzitutto al riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali. Particolarmente rilevanti, in tema, sono le decisioni della Corte costituzionale sul divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso e sulle conseguenze della rettificazione di sesso di uno dei coniugi in costanza di matrimonio. 10. Principio di ragionevolezza Dal principio di eguaglianza formale di cui al primo comma dell'art. 3 Cost. deriva anche il c.. principio di ragionevolezza. Già si è detto che il principio di equaglianza formale è da ritenersi violato anche quando la legge, «senza un ragionevole motivo», tratti diversamente fattispecie analoghe e viceversa. Pur dovendosi riconoscere al legislatore ampia discrezionalità quanto alla disciplina che intenda di volta in volta adottare, dunque, ragioni di coerenza e congruità logica gli impongono di operare scelte ragionevoli, ossia anzitutto di non escludere da una disciplina fattispecie assimilabili, e di non includervi fattispecie che, al contrario, presentino significativi profili di differenziazione. AI fine di riscontrare una simile violazione, nel giudizio di costituzionalità delle leggi, la Corte usa raffrontare la fattispecie sottoposta al suo esame ad altra disciplina che costituisce un termine di paragone o di raffronto, il cosiddetto tertium comparationis. Al fine di svolgere questa comparazione, è necessario individuare la ratio legis, da cui si deducono i motivi dell'intervento e le finalità che il legislatore vuole perseguire. È infatti alla luce della ratio legis che è possibile valutare le analogie o le differenze tra le fattispecie poste a raffronto. Il principio di ragionevolezza, però, non concerne soltanto il divieto per il legislatore di differenziare la disciplina di due fattispecie omogenee o di assimilare situazioni diverse. Esso è infatti divenuto un canone generale dell'ordinamento giuridico, che si declina in vario modo. Anzitutto richiede che i mezzi appontati dal legislatore per conseguire un determinato scopo siano idonei al raggiungimento dello stesso e che siano anche proporzionati. Il principio di ragionevolezza implica, inoltre, una valutazione sulla congruità del bilanciamento operato dal legislatore fra gli interessi di volta in volta coinvolti nella disciplina. In definitiva, il principio di eguaglianza pone al giudice costituzionale l'esigenza di verificare la correttezza della classificazione operata dal legislatore in relazione alle fattispecie considerale, ma anche la non contraddittorietà del trattamento giuridico introdotto, tenendo conto delle finalità che la disciplina mirava a perseguire. 11.il principio di eguaglianza sostanziale Costituisce la novità della Costituzione del 1948. La concezione liberale dei diritti viene integrata attraverso la previsione di Un obbligo rivolto alla Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano di fatto l'eguale godimento degli stessi da parte di tutti i cittadini L'eguaglianza sostanziale, dunque, completa quella formale consentendo interventi legislativi differenziati in favore delle categorie più svantaggiate. L'obiettivo di simili interventi è realizzare un'effettiva parità di trattamento e di possi à di esercizio dei diri In questa prospettiva, uno strumento che il legislatore impiega è costituito dalle azioni positive, il cui nome richiama le Aaffirmative actions statunitensi, e che sono state definite dalla Corte costituzionale. Si tratta di interventi normativi che operano volutamente quali strumenti di diritto diseguale. La possibilità di adottare azioni positive, tuttavia, non è illimitata, perché c'è il rischio che si risolvano a loro volta in una causa di discriminazione nei confronti dei gruppi dominanti o appartenenti alla maggioranza: si parla, a questo proposito, di discriminazioni alla rovescia 0, con riferimento ancora al modello statunitense, di reverse discriminations. Per questo, occorre individuare dei limiti, alcuni ad esempio ritenendo come necessario il loro carattere temporaneo. Inoltre, nella sua giurisprudenza, la Corte costituzionale ha affermato che, mentre le azioni positive possono incidere legittimamene sui punti di partenza, e quindi su quelle condizioni che rendono la posizione di taluni soggetti arretrata rispetto a quella degli altri, e se non della libertà personale che non consistono nell'assoggettamento del singolo a misure incidenti sulla sua libertà fisica: «la garanzia dell'habeas corpus non deve essere intesa soltanto in rapporto alla coercizione fisica della persona, ma anche alla menomazione della libertà morale quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all'altrui potere» La Corte costituzionale, ha impiegato la nozione di «degradazione giuridica», quale criterio guida per operare una selezione, nell'ambito delle misure limitative della libertà personale, di natura fisica o morale, rientranti nell'ambito applicativo dell'art. 13 Cost. Cosi, a titolo di esempio, la Corte costituzionale ha escluso che rientrino nella garanzia dell'art. 13 Cost. i rilievi segnaletici, come ad esempio le impronte digitali, che riguardano l'aspetto esteriore della persona. Viceversa, sono coperti dalle garanzie di cui all'art. 13 Cost. i rilievi segnaletici che richiedono prelievi di sangue o le indagini di ordine psicologico e psichiatrico. In un'altra prospettiva, è stato ricompreso tra i casi che richiedono le garanzie di cui all'art. 13 Cost. l'obbligo di comparire in una determinata fascia oraria in un ufficio di polizia. Sono oggetto di divieto non solo le violenze fisiche, ma anche quelle morali. La tutela della libertà personale è assoggettata al sistema di garanzie costituito dalla riserva di legge e dalla riserva di giurisdizione: secondo quanto prevede lo stesso art. 13 Cost., qualsiasi re- strizione della libertà personale può essere disposta unicamente a seguito di un «atto motivato dell'autorità giudiziaria» e «nei soli casi e modi previsti dalla legge». La riserva di legge in questione deve considerarsi assoluta :non sono ammesse limitazioni alla libertà personale previste da fonti normative subordinate alla legge. Il legislatore deve prevedere non solo le ipotesi che giustificano la limitazione della libertà personale (i casi), ma anche come (i modi) tali limitazioni possono essere disposte. La riserva di giurisdizione impone che sia solo il giudice a poter disporre, una volta riscontrato il ricorrere di una ipotesi prevista dalla legge, la tazione della libertà personale. Il provvedimento del giudice deve essere inoltre motivato al fine di consentire alla persona colpita dalla misura restrittiva di verificare il rispetto della riserva di legge, il fondamento del provvedimento stesso ed eventualmente di attivarsi per esercitare il proprio diritto di difesa. D'altra parte, art. 111 stabilisce che tutte le sentenze e i provvedimenti sulla liberta personale pronunciati dagli organi giurisdizionali possono essere oggetto di ricorso in Cassazione per violazione di legge. Una parziale deroga alla riserva di giurisdizione è stabilita nelterzo comma, che consente l'adozione di provvedimenti restrittivi provvisori da parte dell'autorità di pubblica sicurezza,ma limitatamente a casi di necessità e urgenza indicati dalla legge: 1. ipotesidell'arresto in flagranza di reato, obbligatorio e facoltativo 2. fermo diindiziato di delitto in tali ipotesi, tuttavia, i provvedimenti in parola devono essere comunicati dall'autorità di pubblica sicurezza entro 48 ore all’ autorità giudiziaria, la quale, a sua volta, dovrà provvedere la convalida nelle successive 48 ore. Qualora uno di questi passaggi non si compia nei termini indicati, le misure provvisorie si intendono revocate e restano prive di ogni effetto. La tutela apprestata dall'art. 13 Cost. si completa con la previsione, al dell'obbligo di punire ogni violenza fisica e morale commessa nei confronti delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale, a cui si affianca, al quinto comma], la previsione di limiti massimi della carcerazione preventiva (oggi, custodia cautelare in carcere) stabiliti per legge. Entrambi questi principi vanno letti congiuntamente a quelli affermati dall'art. 27 Cost., che, alterzo comma, esclude che le pene possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, valorizzandone in tal modo la funzione rieducativa nei confronti del condannato e che, al quarto comma, sancisce il divieto di pena di morte. Un caso limite è costituito dalle misure di prevenzione, ossia dai provvede menti incidenti su taluni diritti e libertà, tra cui ad esempio il diritto di proprieta, la libertà di circolazione, di domicilio, e, nei casi più delicati, la liberta personale. L'adozione di tali misure non consegue alla commissione di un reato, ma si fonda su indizi e sospetti di pericolosità sociale del pervenuto. si tratta, dunque, di misure ante-delictum, che vanno tenute distinte da aitri provvedimenti postdelictum, come le misure di sicurezza, parimenti incidenti in alcuni casi sulla libertà personale, ma conseguenti al previo accertamento della commissione di un fatto punito dalla legge come reato, che dunque si pone a giustificazione della misura coercitiva adottata. Nello specifico, la questione che si pone in merito alle misure di prevenzione è se queste ultime siano o meno compatibili con il dettato costituzionale e, in particolare, con la riserva di legge affermata dall'art. 13 Cost. o dalle altre norme costituzionali di volta in volta rilevanti. infatti, la definizione di pericolosità sociale è di difficile interpretazione ed è dunque accaduto che fossero rimesse alla Corte costituzionale questioni di legittimità costituzionale per 'imprecisione di tale definizione. La Corte costituzionale, in realtà, le ha dichiarate il più delle volte infondate Anche la <corte europea dei diritti dell'Uomo è stata sollecitata in tal senso: essa ha effettivamente riscontrato la vaghezza della legge italiana, anche se in riferimento a misure incidenti sulla libertà di domicilio 14.La libertà di domicilio Anche il domicilio, è un diritto inviolabile, sancito dall'art. 14 Cost. Per quanto attiene alla definizione di domicilio della personà, va segnalato che essa non coincide con la nozione ci ica di «sede principale dei suoi affari e interessi» (art. 43 c.c.), né con quella penalistica di «abitazione» o di «luogo di privata dimora» e relative «appartenenze» (art. 614 c.p.). Piuttosto, deve ritenersi accolta, nell'ambito del diritto costituzionale, una nozione autonoma, molto più estensiva: come affermato dalla Corte costituzionale, «il domicilio viene in rilievo, nel panorama dei diritti fondamentali di libertà, come la proiezione spaziale della persona, nella prospettiva di preservare da interferenze esterne comportamenti tenuti in_un determinato ambiente» In altre_parole, il domicilio coperto dalle garanzie costituzionali è qalsiasi_spazio] delimitato dall'ambiente esterno,| anche con segni convenzionali facilmente superabili (come, per esempio, uno steccato), di_cui la persona disponga legittimamente. Rientrano in questa descrizione, a fini esemplificativi, l'abitazione e le sue appartenenze ma anche la camera d'albergo, la tenda da campeggio o la roulotte o il bagagliaio dell'automobile Una delle manifestazioni più significative del diritto in parola consiste nello ius excludendi alios, cioè nel potere di proibire l'accesso si terzi al proprio domicilio. Nei casi in cui sul diritto insista una contitolarità, come capita nei casi di convivenza all'interno di un unico contesto abitativo, può verificarsi un contrasto tra i contitolari, potendo l'uno voler ammettere e l'altro voler escludere l'accesso del terzo, In questi casi, si ritiene che prevalga la volontà escludente Nella giurisprudenza della Corte costituzionale si rinviene poi un altro elemento che discende dall'art. 14 Cost.: il diritto alla riservatrezza su quanto si verifica nel domicilio. Le misure limitative della libertà di domicilio sono direttamente individuate dall'art. 14, Comma 2] nelle ispezioni, nelle perquisizioni e nei sequestri. Il codice di procedura penale chiarisce che tali strumenti sono generalmente mezzi di ricerca della prova. ® l'ispezione viene disposta quando occorra «accertare le tracce e gli effetti materiali del reato»(art. 244 c.p.p.); | ® a perquisizione quando vi sia «fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato» (art. 247 c.p.p) ® al sequestro «sono sottoposte le cose rinvenute a seguito della perquisizione» (art. 252 c.p.p.). Per quanto riguarda gli strumenti di tutela, l'art. 14 Cost. rinvia a quanto sancito dall'art. 13 Cost.: all'affermazione dell'inviolabilità, vanno quindi affiancati i due classici istituti della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione. La riserva assoluta viene esplicitamente riaffermata, laddove la norma statuisce che ispezioni, perquisizioni o sequestri non possono essere eseguiti «se non nei casi e modi stabiliti dalla legge». La norma infatti consente la limitazione del domicilio «secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale». Il fterzo comma] parla di, accertamenti e le ispezioni compiuti «per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali». Tali situazioni, secondo l'uitimo comma dell'art. 14 Cost., devono essere regolate da leggi speciali se ne deduce dunque la possibilità che venga meno il rispetto della riserva di giurisdizione e quindi la necessaria preventiva autorizzazione del giudice, ovvero la successiva convalida. Tuttavia, l'assenza di tale garanzia è compensata dalla previsione che tali limitazioni alla libertà di domicilio debbano essere previste da leggi speciali, cioè da leggi le cui norme, in quanto derogatorie, non_possono essere applicate oltre i casi e i tempi in esse previsti e dal fatto che la stessa Costituzione circoscrive i casi nei quali tali leggi speciali possono intervenire (ispezioni per ragioni di sanità, incolumità pubblica, fini economici e fiscali). 15.La libertà di corrispondenza e comunicazione L'art. 15 Cost. tutela «/a libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione». L'ambito di tutela dell'art. 15 Cost. è estremamente ampio: il Costituente ha infatti utilizzato una clausola in grado di ricomprendervi le forme di comunicazione effettuate con qualsiasi mezzo. Dunque devono intendersi tutelate tanto le forme classiche di comunicazione (si pensi banalmente alle comunicazioni epistolari o alle telefonate), tanto quelle consentite dai moderni strumenti tecnologici (si pensi alle mail o alle comunicazioni attraverso le appliazioni degli smartphone). Ciò ha così consentito al legislatore di affrontare una tutela penale, in caso di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, anche rispetto alle forme contemporanee di comunicazione: secondo l'art. 616 del codice penale, infatti, «per corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza». L'art. 15 tutela ogni scambio di comunicazione interpersonale, indipendentemente dal contenuto, che si svolge tra destinatari previamente individuati.L’art 21 Cost., invece tutela la libertà di manifestazione del pensiero (pluralità di soggetti). Sulla base di questo criterio, non è pero semplice accertare se alcune comunicazioni rientrino nell'ambito dell art:. 15 Costi cosa dire di un messaggio inviato ad una chat a cui partecipino un numero elevato ma comunque determinato di persone? Siamo nell'ambito dell'art. 15 o 21? La previsione in forza della quale per limitare la libertà di circolazione devono sussistere, in alternativa, ragioni di sicurezza, deve invece interpretarsi come una preoccupazione volta a prevenire situazioni che possano direttamente turbare l'ordine pubblico. Non possono, inoltre, porsi limiti di circolazione e soggiorno (come di espatrio e di emigrazione, che sono forme particolari di circolazione e soggiorno) determinati da «ragioni politiche», come avvenne invece molto frequentemente durante il regime fascista con i provvedimenti di confino. Soltanto con riguardo agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono stati vietati, per motivi politici, l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale: questo divieto è rimasto in vigore quando la legge cost. n. 1 del 2002 ha stabilito che le citate norme contenute nella XIII Disposizione transitoria e finale della Costituzione hanno esaurito i loro effetti. Infine, occorre ricordare che la libertà di circolazione e soggiorno è Estesa dall'art. 21 del TFUE all'intero territorio dell'Unione europea. Infatti, ogni cittadino dell'Unione ha diritto di circolare nel territorio di uno Stato membro e di soggiornarvi per un periodo non superiore a 3 mesi, senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di Una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità. Mentre, per periodi superiori a 3 mesi sono richieste alcune condizioni, tra le quali: essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o disporre, per sé stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione per malattia (direttiva 2004/38/CE). Il comma 2 del cit. art. 16 Cost. riconosce il diritto del cittadino di uscire dal territorio della salvo gli obblighi di legge (cosiddetta libertà di espatrio), e trova ulteriore svolgimento nell'art. 35, comma 3, Cost., che tutela la libertà di emigrazione, consistente nell'espatrio per ragioni economiche e lavorative, con stabilimento in uno Stato estero. Nel primo caso, però, la garanzia rispetto ad eventuali limitazioni è costituita dal- la sola riserva di legge: «salvo gli obblighi di legge»; mentre, nel secondo caso, torna la riserva rinforzata di legge: «salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale». 17..la libertà di religione e il principio di laicità Secondo «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». La libertà di religione consiste non soltanto nel diritto di credere, ma anche di non credere affatto. Inoltre, la libertà in parola si compone di tre diverse facoltà: 1. quella di professare una fede; 2. quella di farne propaganda 3. infine quella di esercitarne il culto. La libertà di religione è, infine, riconosciuta tanto nella sua dimensione individuale quanto in quella . L'unico limite previsto esplicitamente concerne la necessità che i riti di culto non siano contrari al buon costi on riferimento alla dimensione individuale, l'art. 19 Cost. estende espressamente il diritto a tutti, senza distinzione alcuna (cittadini, stranieri e apolidi): ciò ovviamente in stretta continuità con il divieto di discriminazione per motivi religiosi, proclamato dall'art. 3, comma 1, Cost. La libertà in esame, inoltre, non si riferisce in via esclusiva alle sole confessioni religiose, ma riguarda, più in generale, le associazioni e i gruppi che svolgano attività con finalità religiose. La libertà in parola è ulteriormente rafforzata dal divieto, rivolto al legislatore, d’introdurre limitazioni o speciali gravami fiscali in ragione del «carattere ecclesiastico» e del «fine religioso o di culto» di un’associazione o istituzione (art. 20 Cost.), che dà veste concreta al più generale diritto riconosciuto a tutte le confessioni religiose di essere «egualmente libere davanti alla legge» (art. 8 Cost.). Restano, invece, differenti gli strumenti preposti a regolare i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose: i rapporti con quella cattolica sono, infatti, (art. 7 Cost.), mentre i rapporti con le altre confessioni sono regolati sulla con le relative rappresentanze (art. 8 Cost.). A quest'ultimo proposito, la Corte costituzionale ha precisato che non esiste però un diritto della confessione religiosa - ferma restando la garanzia di essere considerata uguale alle altre di fronte alla legge - ad ottenere un'intesa dallo Stato, o anche solo ad avviare le trattative finalizzate ad ottenerla. Lo Stato ha infatti la possibilità di opporsi ad una richiesta di negoziazione con una decisione non sindacabile davanti all'autorità giudiziaria . A proposito dei rapporti intercorrenti tra lo Stato e la religione cattolica, è importante ricordare che essi si sono profondamente evoluti nel passaggio dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana. Se, infatti, lo Statuto albertino recitava, già nel suo primo articolo, che «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana e la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi», alludendo a un atteggiamento confessionale del Regno (di Sardegna, prima, e poi) d'Italia, la Costituzione repubblicana s' ispira, invece, . Il principio di laicità manca però di un'espressa formulazione in Costituzione ed è invece ricavabile da una lettura combinata di più disposizioni costituzionali. Più specificamente, la Corte costituzionale ha affermato che gli articoli 2, 3 e 19 Cost. «concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 Cost.), a strutturare il che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica».Il principio supremo di laicità, come ha sottolineato il Giudice costituzionale nella medesima sentenza, «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Per questi motivi, dal principio di laicità discendono alcuni importanti corollari, tra cui: il principio di separazione degli ordini, sancito dall'art. 7 Cost., il principio di eguaglianza tra le confessioni religiose di cui agli artt. 8 e 20 Cost. ed, infine, il principio di libertà religiosa ex art. 19 Cost. Nell'art. 19 Cost. (ma, anche, negli artt. 2 e 21 Cost.) si rinviene altresì ilfondamento della libertà di coscienza, intesa quale libertà del singolo di formarsi le proprie convinzioni e di determinarsi conformemente a esse. Le convinzioni o i convincimenti interiori, che in determinate situazioni assumono rilievo, possono essere di varia natura e, dunque, non necessariamente religiosi, ma anche etici, ideologici, filosofici. La libertà di coscienza manca, dunque, di un esplicito riconoscimento nella Carta costituzionale. È stata la Corte costituzionale a ricavare in via interpretativa il diritto alla libertà di coscienza: «la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 Cost, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell'uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico» . A tutela della libertà di coscienza, il legislatore ha previsto che, in talune ipotesi, tassativamente previste, il Si parla, in proposito, di diritto all'obiezione di coscienza. per esempio, l'art. 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194, in tema di interruzione volontaria di gravidanza, e l'art. 16 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di fecondazione medicalmente assistita, consentono al personale sanitario di non prendere parte ai relativi trattamenti sanitari, quando gli stessi si pongano in contrasto con le proprie convinzioni morali. Individuare i contorni dell'esercizio di questo diritto è opera però alquanto complicata, perché . Si tratta, dunque, di un delicato bilanciamento tra diversi e contrastanti principi costituzionali. In questa prospettiva, può essere utile richiamare la vicenda culminata in due importanti pronunce del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa preposto a tutelare la Carta sociale europea. Questa vicenda testimonia non soltanto le implicazioni concrete dell'esercizio del diritto di libertà di coscienza che assuma le forme dell'obiezione, ma anche il ruolo, spesso decisivo, che le Corti europee hanno assunto nel sanzionare violazioni di diritti fondamentali trascurate a livello nazionale. Due, in particolare, sono state le procedure instaurate davanti al Comitato europeo: con un primo reclamo collettivo, si chiedeva di accertare la violazione dei diritti delle donne in ragione delle difficoltà di accesso all'interruzione volontaria di gravidanza; con un secondo reclamo si richiedeva di verificare se vi fosse una violazione dei diritti dei medici non obiettori di coscienza costretti a praticare un numero significativo di interruzioni volontarie di gravidanza per effetto dell'obiezione esercitata dalla maggioranza del personale medico-sanitario. Il Comitato europeo ha riconosciuto che l'Italia non assicura, l'accesso al trattamento interruttivo della gravidanza. Tale circostanza comporta la violazione del diritto alla salute delle donne di cui all'art. 11 della Carta Sociale Europea del principio di non discriminazione sancito dall'art. E della Carta, a causa delle discriminazioni irragionevoli tra categorie di donne legate alle disponibilità economiche e all'area territoriale di residenza. L'italia è stata condannata successivamente anche in relazione al secondo reclamo presentato. Il Comitato europeo dei diritti sociali ha, infatti, accertato la violazione, anche in questo caso, dell'art. 11 e dell'art. E della Carta, nonché delle norme che tutelano il diritto dei lavoratori alla scelta del lavoro e alla loro dignità. L'importanza di queste due pronunce, oltre al dato costituito dalle pesanti violazioni accertate nei confronti dell'Italia, si deve certamente al fatto che, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost., il , e dunque anche, alla Carta Sociale Ciò sebbene, secondo l'interpretazione della stessa Corte costituzionale, alle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali non possa essere riconosciuta una valenza interpretativa equiparabile a quella delle pronunce rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo 18.la libertà di manifestazione del pensiero La libertà di manifestazione del pensiero è riconosciuta e tutelata fiall'art. 21 Cost] L'art. 21 Cost. riconosce a tutti la titolarità del to di manifestazione del pensiero. Non soltanto i cittadini godono di tale diritto, ma anche gli stranieri, gli apolidi e, altresì, le formazioni sociali, come precisato dalla Corte costituzionale: «Né v'è dubbio che la forma collettiva di manifestazione del pensiero sia garantita dall'art. 21 Cost. come essenziale alla libertà di cui si tratta. Ciò in quanto la forma collettiva (e così quella individuale in rappresentanza collettiva che in essa è compresa) è necessaria al fine di dare corpo e voce ai movimenti di opinione concernenti interessi superindividuali» Il «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» è stato definito dalla Corte costituzionale come la «pietra angolare dell'ordine democratico», così volendo sottolineare come esso costituisca la «condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale». Proprio grazie al diritto che ciascuno ha di esprimere e diffondere le proprie opinioni è infatti possibile riuscire ad alimentare l'opinione pubblica rispetto ad ogni aspetto della vita sociale. Per quanto riguarda l'oggetto della libertà in esame, come si è già accennato l'indeterminatezza dei destinatari costituisce l'elemento di differenziazione rispetto alla libertà di corrispondenza e di comunicazione, disciplinata dell'art. 15 Cost. Di conseguenza, la norma in questione tutela espressamente la possibilità di far conoscere a chiunque la propria idea su un qualsivoglia argomento. Per ribadire la differenza tra manifestazione sent. n. 59 del 1960). Successivamente, anche in ragione del progresso tecnologico, apparve chiaro che il monopolio pubblico potesse essere derogato con la concessione di frequenze a livello locale L'apertura al mercato locale fu però superata quando alcune emittenti, attraverso particolari tecniche di trasmissione, di fatto, iniziarono a operare come La situazione, inizialmente illegittima, venne sanata ex post e in via provvisoria dal decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807 (noto come "decreto Berlusconi", adottato dal Governo Craxi), ritenuto dalla Corte costituzionale legittimo solo in ragione del suo asserito carattere transitorio. Successivamente, il superamento dei limiti di frequenza consenti al legislatore di aprire il sistema ‘o, fissando, nel numero massimo di tre, le concessioni in ambito nazionale rilasciate complessivamente a un medesimo soggetto. Si tratta dello stesso numero di concessioni possedute da una società privata (Fininvest) già operante nel mercato. consentendo al contrario l'acquisizione di posizioni dominanti. successivamente, una nuova legge, e una nuova possibilità di protrarre, il regime transitorio all'infinito, venne dichiarata incostituzionale «nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003»da ultimo, è intervenuta la legge 3 maggio 2004, n. 112 (nota come legge Gasparri), la quale, tra l'altro, nel confermare nuovamente il concetto di posizione dominante, facendo leva sul digitale terrestre e sul conseguente ampliamento delle frequenze, trasferisce il profilo della libertà di concorrenza verso la quota massima del 20% dei proventi ricavabili dal sistema integrato delle comunicazioni (comprensivo di emittenti radiotelevisive, editoria, cinematografia, intermediazione pubblicitaria, produzione e distribuzione di programmi). sul punto va conclusivamente osservato che oggi la diffusione del sistema di trasmissione, con il digitale terrestre e la conseguente proliferazione di canali televisivi - alcuni dei quali trasmettono anche via internet -, ha sicuramente attenuato i rischi di scarso pluralismo che certamente hanno caratterizzato la storia italiana soprattutto tra la metà degli anni '80 e l'inizio degli anni 2000. Sezione IV - | DIRITTI AD ESERCIZIO COLLETTIVO 19.la libertà di jone Oltre alle libertà individuali, la Costituzione riconosce e tutela anche le cosiddette libertà collettive, con ciò intendendo riferirsi a quei diritti di libertà il cui godimento comporta necessariamente l'esercizio congiunto del diritto da parte di una pluralità di individui. Rientrano in questa categoria la libertà di riunione e la libertà di associazione, a cui si affiancano la libertà di associazione sindacale e di associazione politica. L'art. 17 Cost. tutela la libertà di riunione: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi». Un primo aspetto sul quale occorre interrogarsi attiene alla nozione di riunione: con questo termine, la Costituzione si Tee]:1e)(seJgil'igi:i Dalla nozione di riunione va tenuto distinto il fenomeno dell'assembramento, cioè dell'occasionale ritrovo di più persone nel medesimo luogo (per esempio, l'occasionale, benché frequente, incontro di più persone, in piazza o in una via, nei pressi di un locale alla moda). L'art. 17 Cost. pone due condizioni all'esercizio del diritto in parola: la riunione deve essere pacifica e senz'armi. Pacifica: ha inteso tutelare l'ordine pubblico materiale e dunque la sicurezza e l'incolumità delle persone. merita di essere chiarito che la nozione di arma, come definita dalle leggi di pubblica sicurezza, comprende non solo le armi proprie, cioè gli strumenti usualmente adoperati per offendere (come una pistola, un fucile o una spada), ma altresì le armi improprie, cioè strumenti non ordinariamente usi a offendere (come un martello, un cacciavite, l'asta di una bandiera) ma chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa delle persone L'art. 17 Cost. diversifica la disciplina delle riunioni, a seconda del luogo ove si svolgano: a) luogo privato, disponibile a uso esclusivo dei privati per esempio, un'abitazione); b) luogo aperto al pubblico, il cui ingresso è libero, ma subordinato a specifiche con i come È pagamento di un biglietto o di una consumazione] (per esempio, il cinema, lo stadio, il teatro, il bar, il ristorante). In altre parole, il luogo aperto al pubblico è comunque separato dall'esterno e l'acceso è in qualche modo condizionato; c) luogo pubblico (per esempio, una piazza, una via) in cui ciascuno può liberamente circolare. La Costituzione non detta alcuna condizione particolare allo svolgimento di riunioni in luogo privato o aperto al pubblico. In particolare non è richiesto alcun preavviso. Per l'organizzazione e lo svolgimento di riunioni in luogo pubblico, invece, deve essere dato preavviso alle autorità, che possono però vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Le modalità di comunicazione del preavviso sono disciplinate dall'art. , che stabilisce che i promotori di una riunione in luogo pubblico devono darne avvis al Questore e che l'inosservanza dell'obbligo è punita, a titolo di contravvenzione, con l'ammenda e l'arresto. Va evidenziato chiaramente che il preavviso non è in alcun modo assimilabile a una richiesta di autorizzazione: questo comporta che la riunione potrà comunque svolgersi anche senza tale preventiva comunicazione. | promotori incorreranno però nella sanzione sopra descritta. grazie al preavviso, le autorità potranno sullo svolgimento della riunione ed, eventualmente, (si pensi, per esempio, alla definizione del percorso di un corteo). 20.la libertà di associazione secondo l'art. 18 Cost. «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». Con il termine associazione s'intende q caratterizzata da una struttura perseguimento d L'elemento della volontarietà consente di escludere dal novero delle associazioni, ex art. 18 Cost., le formazioni sociali a base naturale, come la famiglia, definita dalla Costituzione «società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29). La stabilità della struttura organizzativa, nonché la non necessaria compresenza in uno stesso luogo, consentono, invece, di distinguere il fenomeno associativo dalla riunione. Come per il concetto di domicilio, anche la nozione costituzionale di associazione è più ampia di quella prevista dall'ordinamento civile, che opera ulteriori distinzioni e classificazioni (associazioni, riconosciute e non riconosciute, fondazioni, società): tutti questi soggetti collettivi rientrano infatti nell'ambito applicativo dell'art. 18 Cost. La libertà di associazione è riconosciuta sia in senso positivo, come libertà di costituire e di aderire ad una o più associazioni, sia in senso negativo, come libertà di non aderire ad una associazione e di revocare in ogni momento la propria adesione dalla stessa. Non mancano, tuttavia, eccezioni alla dimensione passiva della libertà di associazione e che impongono dunque l'affiliazione ad una realtà associativa. Si pensi ad esempio agli ordini professionali (dei medici, degli avvocati, dei giornalisti, dei notai ecc.), cui il professionista è tenuto ad aderire per poter esercitare l'attività. La Corte costituzionale ha escluso che siffatto obbligo sia lesivo della libertà negativa di associazione. Infatti, l'imposizione dell'obbligo da parte della legge è giustificato al fine di tutelare altri interessi costituzionalmente garantiti, «purché non siano altrimenti offesi libertà, diritti e principi costituzionalmente garantiti», e risulti al tempo stesso che tale obbligo assicura lo strumento più «idoneo all'attuazione di finalità schiettamente pubbliche, trascendenti la sfera nella quale opera il fenomeno associativo costituito per la libera determinazione dei privati o di un fine pubblico che non sia palesemente arbitrario, pretestuoso o artificioso» L'art. 18 Cost. riconosce il «diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». Da ciò si desumono due conseguenze: innanzitutto, l'assenza di un controllo pubblico preventivo sul fenomeno associativo derivante dalla mancata previsione di qualsivoglia autorizzazione. In secondo luogo, il primo comma dell'art. 18 Cost. indica quale unico limite di carattere generale al fenomeno associativo ‘e - la costituzione di associazioni che perseguano scopi vietati dalla legge penale ai singoli. In altre parole, tutte le associazioni sono ammesse dalla Costituzione tranne quelle che si prefiggano di svolgere attività che il codice penale ritiene illecite quando svolte dal singolo. Se è dunque possibile svolgere lecitamente un'attività individualmente, la medesima attività potrà essere svolta anche in ambito associativo. Il secondo comma dell'art. 18 individua poi due limitazioni più puntuali: Sono vietate: è infatti espressamente vietata la costituzione e di associazioni che (cosiddette associazioni paramilitari). Quanto alla segretezza dell'associazione, la legge Loggia-P2), offre una definizione opportunamente restrittiva rispetto all'ampiezza della clausola costituzionale: «si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall'art.18 Cost, quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte e anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta a interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche a ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economiche nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale», Come si evince da questa definizione quello che il legislatore ha inteso vietare è l'attività segreta volta a perseguire in modo eversivo obiettivi lato sensi politici. Qualora con sentenza irrevocabile sia accertata l'esistenza di un'associazione segreta, nei termini che si sono chiariti con decreto del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e i beni sono confiscati per quanto riguarda le associazioni para ri, va ribadito che divieto è legato alla contestuale sussistenza di due condizioni: certamente il carattere militare, ma anche il perseguimento di scopi politici. 21.la famiglia e i suoi principi La Costituzione dedica alla famiglia tre importanti orme artt. 29, 30 31)- che, nel momento in cui furono scritte, costituivano un'importante innovazione per la società italiana, perché la famiglia era stata disciplinata nello Stato fascista come entità, ma subordinata allo Stato e di fatto essa esprimeva una visione patriarcale, fondata sulla superiorità del marito e sulla quasi assenza di diritti della moglie. E però solo con la legge n. 219 del 2012 (disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) che viene configurato un nuovo assetto giuridico dei rapporti familiari, con l'obiettivo di assicurare la piena equiparazione tra figli legittimi e naturali, completando il percorso iniziato già attraverso la riforma del diritto di famiglia. In tale disciplina è stata formulata una nozione univoca sia di filiazione, sia di parentela, consentendo anche al figlio nato fuori dal matrimonio e al figlio adottivo, di far riferimento a tutti i membri della famiglia del genitore naturale o adottante . con questa riforma, quindi, tutti i figli acquistano lo stesso stato giuridico e hanno diritto di crescere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti, indipendentemente dal fatto che siano o meno nati in costanza di matrimonio. L'art. 11 della stessa legge prevede anche che, nel Codice civile, le parole "figli legittimi" e "figli naturali" siano sostituite dalla parola "figli". L'art. 31 Cost., infine, affida allo stato il compito di agevolare la formazione e l'adempimento dei compiti della famiglia con misure economiche, tutelando in generale con appositi istituti anche la maternità, l'infanzia e la gioventù. Tale norma è stata interpretata dalla Corte costituzionale in modo evolutivo e ritenuta applicabile, in generale, anche all'adozione e alla procreazione medicalmente assistita sezione V I DIRITTI POLITICI 22.il diritto di elettorato attivo e passivo I diritti politici sono espressione dello status civitatis, cioè dell'appartenenza del cittadino alla comunità politica, e danno forma concreta al principio democratico e della sovranità popolare enunciato dalla Costituzione al suo esordio (art. 1) |diritti politici sono disciplinati nel Titolo IV, rubricato «Rapporti politici», della Parte | della Costituzione, e sono: il diritto di voto (art. 48 Cost.); il diritto di associazione politica (art. 49 Cost.); il diritto di petizione (art. 50 Cost.); il diritto di accesso alle cariche elettive (art. 51 Cost.). Inoltre, vanno annoverati in questa categoria anche il diritto di iniziativa legislativa popolare e il diritto di iniziativa referendaria . D'altro canto, dall'appartenenza alla comunità politica discendono non solo situazioni giuridiche di vantaggio, ma anche corrispondenti doveri politici (art. 48 Cost.): il dovere di difesa della Patria (art. 52 Cost.), il dovere di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 Cost.) e il dovere di fedeltà (art. 54 Cost.). "I diritto di voto è riconosciuto a tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età (attualmente, 18 anni ) " non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (art. 48 Cost.).' Eecondo comma delkitato art. 48 Cost. qualifica il voto come personale ed eguale, libero e segreto, In particolare, la personalita del voto implica che ciascun voto debba essere espresso personalmente e non possa essere delegato; l'eguaglianza del voto postula che il voto di ciascuno valga quanto quello degli altri, in conformita al principio per il quale i voti si contano e non si pesano; la segretezza del voto, infine, garantisce all'elettore il libero esercizio del proprio diritto. Il diritto di voto è, altresì, definito dalla Costituzione un «dovere civico» (art. 48, comma 2 Cost.), anche se è consentita la facoltà di astenersi dalla partecipazione alla consultazione elettorale e non sono previste sanzioni nei confronti di coloro che non votano. Il diritto di petizione è disciplinato dall'art. 50 Cost.:|«Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità». È un istituto che viene solitamente collocato, insieme al referendum, nel novero dei cosiddetti . Con riguardo al diritto di accesso alle cariche elettive, l'art. 51 Cost. prescrive che «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Per quanto attiene altema della parità tra i sessi, va precisato che il testo dell'art. 51 Cost. costituisce l'esito di una modifica costituzionale intervenuta per promuovere un riequilibrio di genere all'interno delle Assemblee elettive, nelle quali le donne sono state sovente sottorappresentate. Introducendo anche in questo settore il principio di eguaglianza sostanziale, la legge cost. n. 1 del 2003, n. 1 ha dunque aggiunto alla disposizione originaria l'obbligo di prevedere misure volte a garantire le pari opportunità tra i due sessi. La modifica dell'art. 51 Cost. è stata preceduta da quella dell'art. 117 che, nella formulazione vigente, stabilisce alcomma 9, che «le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive». per comprendere le ragioni di queste revisioni costituzionali, bisogna poi ricordare che in epoca precedente la corte costituzionale aveva censurato le norme che erano state approvate dal legislatore per favorire l'elezione di più donne attraverso la previsione di una riserva di posti nelle liste dei candidati. Con la sent. n. 422 del 1995, infatti, il Giudice costituzionale si era espresso nel senso di un'interpretazione restrittiva dell'art. 51 Cost., negando che in materia elettorale potesse trovare applicazione il principio di eguaglianza sostanziale. Ne derivava la dichiarazione di incostituzionalità di qualsiasi disposizione tendente a introdurre riferimenti al sesso dei rappresentanti, poiché ritenuta contrastante con il principio di eguaglianza formale. Per superare questa rigida impostazione della Corte, il Parlamento decise allora di modificare l'art. 51 Cost. mediante il procedimento di revisione costituzionale. Nel frattempo, però, la Corte costituzionale stessa aveva iniziato a correggere il proprio orientamento. Così, con una vera e propria decisione overruling (Corte cost., sent. n. 49 del 2003), intervenuta pochi mesi prima del completamento della revisione dell'art. 51 Cost., il Giudice costituzionale, distinguendo tra misure incidenti soltanto sulla formazione delle liste dei candidati e misure dirette a garantire anche il risultato dell'elezione, ha salvato le prime. Ciò sulla base dell'argomento che «il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva». La Corte costituzionale ha avuto modo di tornare nuovamente sul tema con la sentenza n. 4 del 2010. In questa decisione, essa ha confermato che il quadro costituzionale derivante dalle riforme sopra richiamate «è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese». La conseguenza di simile impostazione è stata la dichiarazione di infondatezza della questione di costituzionalità sollevata sull'art. 4, comma 3, della legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4, che aveva previsto lo strumento della c.d. doppia preferenza di genere; strumento che consente all'elettore di esprimere, per le elezioni del Consiglio Regionale, la preferenza per due candidati che devono però necessariamente essere di sesso diverso. Ad avviso del Giudice costituzionale, si tratta di un meccanismo che non lede il diritto di voto, né il diritto di elettorato passivo, poiché non è in grado di alterare la parità di chances tra i candidati in ragione del sesso di appartenenza e nemmeno di determinare il risulta- to delle elezioni. La decisione della Corte costituzionale in merito alla doppia preferenza di genere ha contribuito alle scelte legislative successive in materia di rappresentanza politica femminile. Si collocano in questa prospettiva la legge n. 215 del 2012, con riguardo agli organi elettivi e digoverno degli enti locali; la legge n. 65 del 2014, introduttiva di misure che attuano la parità di genere per le elezioni del Parlamento europeo; la legge n. 56 del 2014, che reca disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province e sull'unione e fusione dei Comuni; la legge n. 20 del 2016, che ha introdotto specifiche misure volte a garantire la parità di genere nei Consigli regionali; la pur abrogata legge n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), che aveva previsto importanti misure per favorire l'elezione di donne alla Camera dei Deputati; infine, la legge n. 165 del 2017 (c.d. Rosatellum) che introduce misure incisive in materia di parità per le elezioni politiche nazionali. 23. La libertà di associazione politica La libertà di associazione politica è affermata «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Secondo quanto previsto dalla Costituzione, i partiti costituiscono dunque lo strumento di raccordo tra le istituzioni e i cittadini. | Costituenti, ricordando l'esperienza del Partito Unico Fascista, che aveva eliminato le opposizioni con la violenza, intesero disegnare una norma che presupponesse la competizione tra formazioni politiche: l'art. 49 Cost. garantisce così ), ai quali deve riconoscersi la più ampia discrezionalità quanto agli obiettivi politici da perseguire. L'unica eccezione alla libertà ideologica dell'organizzazione politica è data dalla XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione secondo la quale «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». e Nellastoria repubblicana del nostro Paese} i partiti di massa, fondati su forti ideologie, sono stati fino alla fine degli anni '80 del secolo scorso ben radicati nella società italiana e hanno costituito il punto di riferimento delle diverse componenti sociali esistenti. ® A partire dagli anni '90, il partito tradizionalmente inteso è però entrato in crisi: sempre meno forte e stata la fiducia che i cittadini riponevano. e Negli ultimi decenni, poi, i partiti hanno subito numerose trasformazioni, la principale delle quali può essere considerata la personalizzazione del partito stesso, reso riconoscibile pressoché esclusivamente dall'identificazione con il suo leader. Il venir meno della fiducia dei cittadini nei partiti politici è testimoniato anche dal sempre maggior numero di persone che non si reca alle urne. Da questa prospettiva, non è priva di significato la circostanza che la maggior parte delle forze politiche oggi non abbia più nella sua denominazione neppure il sostantivo "partito". ciò premesso, la Costituzione richiede in ogni caso che vi siano degli enti intermedi tra le istituzioni e il popolo sovrano, delle cui istanze si facciano portatori: a tali soggetti l'art. 49 Cost. attribuisce il compito di concorrere alla determinazione della politica nazionale. Nell'ambito di questa funzione rientra certamente quella, tutt'altro che secondaria, di selezionare i candidati alle elezioni. L'art. 49 Cost. richiede ai partiti di far proprio il «metodo democratico» nella determinazione della politica nazionale. come si desume anche dal secondo comma dell'art. 18 Cost. Maggiori dubbi sussistono rispetto alla possibilità di imporre l'adozione di un «metodo democratico» anche all'interno dei partiti: si discute insomma se e fino a che punto lo Stato possa imporre a tali soggetti - che restano pur sempre associazioni private, anche se esercitano evidentemente funzioni di natura pubblicistica - scelte che incidano sulla loro autonoma organizzazione. Quello che è certo è che ad oggi una legge che regolamenti i partiti non è mai stata adottata e nel dibattito pubblico la necessità di un simile intervento legislativo, che dia attuazione ai principi sanciti dall'art. 49 Cost., è spesso invocata. Conclusivamente sul punto va ricordato che il diritto per tutti i cittadini di associarsi in partiti trova un'eccezione nell'art. 98 Cost., che consente alla legge di «stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero». attraverso l'erogazione di tali servizi (ad esempio, i trasporti pubblici, le scuole, la sanità, l'informazione). La citata legge n. 146 qualifica, infatti, come «essenziali i servizi pubblici volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione e alla libertà di comunicazione e, rispetto a questi, pone una particolare disciplina del diritto di sciopero, che si può così sintetizzare: a) deve essere comunque assicurata b) deve essere sempre dato un c) devono essere comunicati agli utenti le d) è possibile precettare quote di lavoratori necessarie all'erogazione delle prestazioni indispensabili; e) si istituisce una Commissione di garanzia per l'attuazione della legge. 25. Il diritto alla salute e all'istruzione Il diritto alla salute è proclamato dall'art. 32 Cost. in una duplice dimensione: come «fondamentale diritto dell'individuo» e come «interesse della collettività». Il profilo individuale del diritto in parola - che spetta a ciascun individuo, ivi compresi tutti gli stranieri che soggiornano in Italia, indipendentemente dalla regolarità della loro posizione giuridica si concreta innanzitutto nella pretesa alla propria integrità psico-fisica. Ciò determina, secondo la giurisprudenza, il diritto al risarcimento del cosiddetto danno biologico, inteso proprio come danno al bene salute. Inoltre, il diritto alla salute si declina, dal lato attivo, nel diritto a essere curato presso le strutture pubbliche. Da ciò si deduce il dovere del personale sanitario di informare i pazienti delle modalità di cura proposte e dei pos: effetti dei trattamenti, acquisendo conseguentemente quello che viene definito «consenso informato». Il diritto alle cure e all'assistenza sanitaria è garantito dal Servizio Sanitario Nazionale nel 1978 che costituisce una struttura - organizzata e disciplinata in modo diverso dalle singole Regioni - volta ad assicurare le cure a chiunque ne abbia bisogno. La natura di diritto sociale si coglie soprattutto nella parte della norma che garantisce «cure gratuite agli indigenti». Il concetto di indigenza è relativo e va considerato rispetto al costo della prestazione medica. Il legislatore, peraltro, nel 1978 ha deciso di estendere la sostanziale gratuità della cura (salva compartecipazione tramite il c.d. ticket) a tutte le persone. In questa prospettiva, non può però essere dimenticato il fatto che ogni prestazione legata alle cure ha un suo costo: la giurisprudenza costituzionale ha chiarito in più circostanze che, con l'eccezione di quegli interventi che costituiscono il nucleo irriducibile del diritto alla salute, la garanzia del diritto stesso può Essere condizionato alla disponibilità di risorse finanziarie di cui lo Stato dispone. Dal lato passivo, il diritto alla salute si sostanzia anche nel diritto a non a non essere curato. Alcuni recenti casi giudiziari hanno confermato come la pienezza di questo diritto entri spesso in conflitto con altri interessi costituzionalmente rilevanti, rendendo necessari complessi bilanciamenti che, nell'assenza di un chiaro intervento legislativo - avutosi, come si vedrà, soltanto nel dicembre 2017 — sono stati inevitabilmente rimessi alla discrezionalità del giudice. Ad esempio, molto problematica si è rivelata l'eventualità in cui a rifiutare le cure sia un soggetto, capace di intendere e di volere, che richieda la rimozione di un presidio sanitario necessario alla sua sopravvivenza, come avvenuto in riferimento alla nota vicenda di Piergiorgio Welby. In questo caso, posto che la morte non dipenderebbe dalla naturale progressione della malattia, ma proprio dall'interruzione di un trattamento vitale (per esempio, di respirazione artificiale), l'esercizio del diritto del malato entra infatti in conflitto col dovere del medico di evitare condotte certamente suscettibili di determinare l'evento morte (anche soltanto anticipandone il momento rispetto a quello del naturale decorso della patologia). Rispetto all'espressione del consenso, ancora più complessa si è dimostrata l'ipotesi in cui un individuo non sia in grado di esprimere la propria volontà, perché per esempio versi in stato vegetativo, come avvenuto per la vicenda di Eluana Englaro. A tal fine, per molti anni si è auspicata l'introduzione, anche in Italia, del cosiddetto testamento biologico, attraverso il quale permettere a ciascuna persona di esprimere anticipatamente il proprio assenso o rifiuto a determinati trattamenti medici con riferimento all'eventualità in cui non sia più nelle condizioni di esprimerlo. In mancanza di una disciplina specifica, si è reso infatti necessario ricostruire ex posta la volontà dell'interessato tenendo conto dei desideri espressi prima della perdita della coscienza, ovvero desumendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche) e, sulla base di queste indicazioni, qualora lo stato vegetativo fosse irreversibile, finanche giungere alla disattivazione di un presidio sanitario determinante per la sopravvivenza. l'art. 1 si occupa specificatamente del consenso informato, stabilendo che «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge». Particolarmente significativo è quanto prevede il comma 5 dell'art. 1, che ammette l'ipotesi del rifiuto e della revoca del consenso precedentemente prestato e che si preoccupa di precisare come la nut ne a le e l'idratazione artificiale siano da considerarsi a tutti gli effetti trattamenti sanitari, anch'essi oggetto di possibile rifiuto ovvero revoca da parte del paziente che vi sia sottoposto. La legge poi prevede il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e sancisce l'obbligo per i medici di assicurare condizioni dignitose nella fase finale della vita, anche grazie al ricorso alla sedazione palliativa (art. 2). Particolare rilievo presentano le disposizioni relative alle dichiarazioni anticipate di trattamento che ciascuna persona può esprimere con riferimento ad accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari (art. 4). Tale diritto si accompagna a quello di indicare una persona che potrà rappresentarla dinanzi al medico e nelle sue relazioni con le strutture sanitarie. Il profilo collettivo del diritto alla salute si sostanzia in diverse esigenze, come ad esempio il fatto che non si diffondano tra la popolazione malattie infettive. In questa prospettiva, va dunque considerata anche la possibilità di imporre trattamenti sanitari obbligatori per disposizione di legge (come, per esempio, le vaccinazioni obbligatorie), che sono previsti, appunto, non solo per la tutela dell'individuo che ne è il destinatario, ma della collettività nel suo complesso. Tali trattamenti non Hevono, in ogni caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana e la sua dignità, Quella delle vaccinazioni è una problematica che vede coinvolti diversi principi: e la libertà di autodeterminazione nelle scelte inerenti le cure sanitarie, ® latutela della salute individuale e collettiva, ® l'interesse del minore. Contemperare queste esigenze, afferma la Corte, è compito del legislatore, il quale esercita però una discrezionalità vincolata alle condizioni sanitarie ed epidemiologiche accertate dalle autorità preposte e alle acquisizioni della ricerca medica. Sulla base di questa premessa, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la scelta fatta dallo Stato (portare le vaccinazioni a 10) In tema, va inoltre ricordato che lo Stato ha previsto un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze derivanti dalla somministrazione di vaccini obbligatori (legge n. 210 del 1992), diritto che in più occasioni la Corte costituzionale ha ritenuto doverosamente da estendersi anche ai vaccini non obbligatori ma solo raccomandati. È certamente legato all'interesse collettivo anche il cosiddetto diritto all'ambiente salubre: «l'ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive e agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.)» (cfr. Corte cost., sent. n. 641 del 1987). La dimensione collettiva del diritto alla salute è ben esemplificata dalla protezione contro le emissioni elettromagnetiche e acustiche - rispetto alle quali il singolo eventualmente danneggiato dispone di pochi strumenti di tutela, dovendo provare l'esistenza di un nesso eziologico tra emissione e danno -, opportunamente oggetto di interventi legislativi (sull'inquinamento acustico e la sull'inquinamento elettromagnetico), benché non sempre adeguati alla importanza della materia. Altra normativa rilevante sul punto è quella contenuta nel d.lgs. 81 del 2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro) che disciplina gli obblighi delle imprese e delle aziende a tutela della salute del lavoratore e dell'ambiente. L'altro diritto sociale riconosciuto dalla Costituzione è il diritto all'istruzione: l'art. 34 Cost. proclama, innanzitutto, il principio della libertà di accesso al sistema scolastico, che deve essere riconosciuto a tutti. Inoltre, la norma sancisce i principi dell'obbligatorietà e della gratuità dell'istruzione inferiore, che la Repubblica s'impegna a garantire per almeno 8 anni. Se a tutti è riconosciuto il diritto di conseguire almeno la scolarizzazione di base - funzionale al raggiungimento delle condizioni necessarie anche all'esercizio di altri diritti, tra i quali quelli politici -, il diritto di raggiungere i più gradi più alti degli studi è riconosciuto, opportunamente, solo ai «capaci e meritevoli», anche se privi di mezzi. E, per poter rendere effettivo questo diritto, è imposto alla Repubblica di erogare borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. 26. | diritti delle persone con disabilità Il già citato art. oltre a gara occupa, al terzo comma, disabilità. In realtà, pur essendo l'art. 38 l'unica norma costituzionale esplicitamente dedicata ai diritti ditali persone, sul tema rilevano implicitamente molte altre norme della Costituzione: si pensi al principio solidaristico di cui all'art. 2, al principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art.3 comma 2, all'art. 32 in tema di diritto alla salute e all'art. 34 in tema di accesso all'istruzione. Oggi il tema dei diritti delle persone con disabilità va analizzato alla luce di quanto dispone la relativa Convenzione delle Nazioni Unite approvata nel 2006, e approvata dall’Italia con la legge n. 18 del 2009. Caratteristica principale di tale atto normativo è l'approccio bio psico-sociale con cui affronta iltema della disabilità. In virtù ditale approccio, la disabilità non coincide con la menomazione fisica, psichica o mentale del singolo. Si è infatti in presenza di disabilità soltanto quando una menomazione, interagendo con le barriere materiali, culturali e ideologiche che la società ha creato, o non ha saputo eliminare, impedisce alle persone con disabilità il godimento dei diritti in condizione di eguaglianza con le altre persone. isure i assistenza e previdenza sociale, si ad una serie di doveri. Il mancato adempimento di tali doveri - a più livelli - determinerebbe infatti l'impossibilità per lo Stato di realizzare l'obiettivo fondamentale rappresentato dal raggiungimento dell'eguaglianza sostanziale. Le disposizioni costituzionali che individuano espressamente alcuni doveri rendono evidente quanto appena sottolineato: a) ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, comma 2); b) è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio (art. 30); c) l'esercizio del voto è un dovere civico (art. 48, comma 2); d) la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino (art. 52); e) tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi (art. 54, comma 1); f)i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge (art. 54, comma 2); g) tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53). L'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale è stato di recente valorizzato dalla Corte costituzionale in una importante pronuncia, la sentenza n. 119 del 2015. In tale decisione, il giudice costituzionale ha sottolineato il rl La Corte, insomma, intravede e disegna un nesso molto forte tra l'adempimento dei doveri sanciti dalla Costituzione nella sua Prima Parte e l'ampliamento della cerchia dei soggetti che possono definirsi a tutti gli effetti parte della comunità nazionale anche se sprovvisti della cittadinanza italiana Di doveri costituzionali si può ragionare in tre modi: a) come doveri puntualmente previsti dal dettato costituzionale; b) come risvolto di ciascun diritto riconosciuto dalla Costituzione; c)come clausola aperta capace di informare l'intero sistema costituzionale, chiaramente ispirato al principio di solidarietà. Va comunque problematicamente segnalato che non è sempre agevole definire l'esatta portata e le conseguenze di alcuni dei doveri espressamente previsti in Costituzione. Si pensi al dovere che certamente non può ridursi al pleonastico dovere di osservare la Costituzione e le leggi, ma che è possibile estendere, anche al di là della legittimazione delle sanzioni per i fatti rivolti contro lo Stato (contemplate dal codice penale nel Titolo dedicato ai «Delitti contro la personalità dello Stato»), fino al punto di incidere, per esempio, sulla libertà di manifestazione del pensiero. Altrettanto delicato è, inoltre, il dovere dei pubblici funzionari di : su di essi, infatti, grava un dovere di fedeltà più stringente, che si può an-che tradurre in limitazioni al godimento dei diritti costituzionali, come il divieto di iscriversi ai partiti politici, espressamente previsto dall'art. 98 Cost. per alcune particolari figure di titolari di pubblici uffici. Problematico è anche, ma per motivi del tutto diversi, il diritto di voto, letteralmente definito «dovere civico» (art. 48 Cost.): si tratta infatti di un dovere non assistito da una sanzione giuridica, ma sociale, secondo una prospettiva che sembra quindi affidarne l'effettività alla coscienza civica degli elettori. La più rilevante espressione dei doveri costituzionali imposti dal legame sociale è il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53 Cost.). Questo dovere tributario non ha, oggi, la funzione commutativa di matrice liberale, per la quale il tributo era il corrispettivo di un servizio pubblico, ma esprime, invece, la funzione distributiva dei carichi pubblici, tipica dello Stato sociale, realizzando il dovere di solidarietà economica e sociale predicato nell'art. 2 Cost. Del resto, lo Stato sociale, come visto, vuole assicurare l'effettiva garanzia dei diritti, e per realizzare questo obiettivo deve necessariamente far leva su un adeguato sistema fiscale. Coerentemente con il principio di solidarietà, inoltre, il sistema tributario deve essere informato al criterio di progressività (art. 53, comma 2, Cost.), perché solo un prelievo che aumenta più che proporzionalmente all'aumentare della base imponibile è capace di assegnare, secondo quella prospettiva solidale, il giusto peso alla manifestazione di ricchezza
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