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DISPENSA DI DIRITTO COSTITUZIONALE, Dispense di Diritto Costituzionale

DISPENSA DI DIRITTO COSTITUZIONALE

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 25/05/2023

cristina_simoncini
cristina_simoncini 🇮🇹

4.5

(10)

17 documenti

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Scarica DISPENSA DI DIRITTO COSTITUZIONALE e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DOMANDE ESAME DI DIRITTO COSTITUZIONALE COSTITUZIONE Caratteristiche Costituzione moderna La concezione moderna di costituzione prevede che l’insieme di norme che caratterizzano il fondamento dello Stato siano stabili nel tempo stabili nel tempo, superiori rispetto alle altre norme giuridiche, contenenti principi e valori generalmente condivisi in tema di diritti fondamentali, nonché di un modello organizzativo nella distribuzione dei poteri dello Stato. La nostra Costituzione è dunque caratterizzata da: generalità, visti i principi ampiamente condivisi e permanenti; flessibilità, per la capacità di adattarsi a situazioni differenti rispetto al momento della stesura; stabilità, per la capacità di perdurare nel tempo; superiorità rispetto alle altre norme che compongono l’ordinamento; lunghezza e rigidità, essendo previsto un procedimento aggravato per la sua modifica ex art. 138. Costituzioni pre-rivoluzionarie Si tratta di accordi transitori tra monarchia, nobiltà e clero, che riconoscevano alcuni diritti degli uni nei confronti degli altri, dunque accordi sorti in un contesto di dualismo costituzionale, inteso come conflitto tra due o più parti per la sovranità; come nel caso della Magna Charta Libertatum del 1215, accordo che disciplina alcune libertà dei nobili nei confronti del sovrano, inteso come primo documento costituzionale in senso proprio; e il Bill of Rights del 1689. Costituzioni post-rivoluzionarie Il superamento del dualismo costituzionale, inteso come conflitto tra due o più parti per la sovranità, porta alla stesura di Costituzioni finalizzate a dettare principi condivisi e stabili, dunque elaborate da organismi rappresentativi, ritenuti titolari di poteri costituenti, che si estinguono con l’approvazione della Costituzione stessa; dalla Costituzione derivano poi i poteri costituiti, che trovano fondamento nella stessa. Da qui derivano i principi di costituzionalismo moderno, ossia la superiorità della Costituzione, quale legge fondamentale e suprema della Nazione, non modificabile con mezzi ordinari, prevedendo una giustizia costituzionale che mediante il suo organo giudichi l’eventuale legge in contrasto con la Costituzione. Costituzioni monarchiche dualiste Con dualismo si intende una sovranità contrastata tra il re ed una determinata classe sociale, ed in tale contesto la Costituzione che ne deriva ha solo il contenuto definibile tale, in quanto deriva direttamente dal sovrano che si limita, non è frutto dell’esercizio del potere costituente, quindi non si riconosce la superiorità della Costituzione, essendo il potere del sovrano preesistente alla stessa. Costituzioni del primo dopo guerra Costituzioni che nascono in un contesto di sovranità indecisa, ossia in presenza di una sovranità contrastata tra il re ed una determinata classe sociale, mediante un compromesso tra nuove forza sociali e forze conservatrici. di 1 83 Cristina Simoncini Costituzioni contemporanee Le costituzioni contemporanee nascono con il compito di rifondare l'ordinamento giuridico dello stato e ricostruzione della società, facendo convivere al suo interno una pluralità di forze politiche, valori e interessi, date dalle componenti politiche che hanno accettato il compromesso costituzionale. Le costituzioni contemporanee sono caratterizzate da superiorità rispetto alle altre fonti dell’ordinamento, in quanto gli atti costituiti, quindi che vengono dopo la Costituzione, sono inferiori alla stessa; superiorità garantita mediante la rigidità, quindi la previsione di un procedimento aggravato e complesso per l’eventuale modifica, e da cui ne deriva la giustizia costituzionale, occorrendo un sistema che consenta di giudicare sulla legittimità di una legge nei confronti della Costituzione. Origini costituzione italiana Lo Statuto Albertino originariamente delineava la classica monarchia costituzionale basata su un rapporto dualistico (Re - classe sociale borghese); nel tempo i poteri del Parlamento sono aumentati e con l’insorgere del fascismo la forma di Governo si trasforma in Monarchia parlamentare e lo Statuto viene superato da norme ordinarie. Con la caduta del fascismo si attribuisce il potere di approvare una nuova Costituzione ad una Assemblea costituente eletta direttamente dal popolo, alla quale era attribuito anche il potere di scegliere tra Monarchia e Repubblica, potere che gli fu sottratto attribuendolo al popolo tramite referendum. Il 1948 è l’anno in cui entra in vigore la Costituzione italiana. Fonti del diritto Sono fonti del diritto tutti gli atti e i fatti che l’ordinamento indica come idonei a porre in essere, modificare o eliminare norme giuridiche; tra questi possiamo distinguere: - fonti sulla produzione o norme di riconoscimento, ossia norme in cui si indica il soggetto, la procedura e l’atto attraverso cui è possibile introdurre regole giuridiche - fonti di produzione, ossia norme abilitate ad introdurre direttamente regole giuridiche, essendo richiamate da una fonte sulla produzione. A loro volta queste si distinguono in fonti atto, ossia la manifestazione di volontà di determinati organi abilitati dall’ordinamento a porre in essere norme giuridiche; e fonti fatto, ossia eventi naturali o sociali a cui l’ordinamento riconosce la capacita di produrre norme giuridiche, come ad esempio la consuetudine, la quale è tradizionalmente caratterizzata da un comportamento ripetuto nel tempo, al quale si aggiunge la convinzione della sua forza vincolante. - infine, vi sono le fonti di cognizione, ossia gli strumenti mediante i quali è possibile venire a conoscenza delle fonti di produzione, come ad esempio la Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. Caratteristiche delle norme giuridiche Le norme giuridiche sono astratte, perché ripetibili nel tempo, generali, in quanto applicabili ad una categoria indeterminata di persone, caratterizzate da esteriorità, essendo prodotte da un soggetto terzo, ed infine rilevanti per coercibilità e sanzione, essendo suscettibili di attuazione forzata ed eventuale sanzione a seguito di una trasgressione, sanzione che può essere anche per effetto negativo implicito della norma stessa, come per esempio le misure di incentivazione che prevedono possibili benefici in presenza di determinati comportamenti, qualora non sia posto in essere tale comportamento decade il diritto al beneficio. di 2 83 Cristina Simoncini Riserva di legge In taluni casi la Costituzione richiede il principio di legalità sostanziale, laddove preveda una riserva di legge, stabilendo che la disciplina di un determinata materia sia data con legge, e non con altri atti normativi; tuttavia la prassi è di considerare gli atti con forza di legge del Governo legittimati a disciplinare le materie riservate alla legge. La riserva di legge si distingue in: - assoluta, laddove vi sia l’enunciato nei casi e nei modi previsti dalla legge, per cui la legge deve disciplinare l’intera materia dei diritti fondamentali, dove è richiesta una garanzia di tutela forte - relativa, per cui la legge può limitarsi a dettare le linee fondamentali della materia, mentre spetta al regolamento integrare quelle linee; in questo caso la locuzione utilizzata è in base alla legge. Inoltre, possono essere semplici o rinforzate, e quest’ultime prevedono che la riserva assoluta sia affiancata da vincoli costituzionali, come per l’art. 16 della Costituzione, per cui l’eventuale limitazione della libertà di circolazione prevede la presenza di motivi indicati nella stessa Costituzione. Criterio di competenza Uno dei criteri per risolvere le antinomie tra le fonti è il criterio di competenza, per cui laddove la Costituzione attribuisce la normazione di una materia ad una determinata fonte, solo quella fonte è competente a disciplinare la materia, criterio quindi che agisce orizzontalmente. Dal 2001, momento in cui la riforma costituzionale modifica il rapporto tra leggi statali e regionali, portando le regioni ad ottenere autonomia politica, queste possono porre in essere fonti primarie, non da sottoporsi però al principio gerarchico, altrimenti si negherebbe l’autonomia. Dunque alla legge statale competono le materie indicate ex art. 117 Cost., mentre alla legge regionale tutte le materie che non vengono elencate; laddove vi sia potestà concorrente fra stato e regioni, a legge statale è competente a dettare i principi fondamentali della materia, mentre la legge regionale è competente a dettare le norme in dettaglio. Se si è dinanzi al vizio di incompetenza, essendo la competenza stabilita dalla Costituzione, si traduce in un vizio di costituzionalità, pertanto vi può essere giudizio a seguito della questione di legittimità sollevata dal giudice di fronte alla Corte Costituzionale, o ancora, un giudizio astratto laddove vi sia impugnazione della legge regionale da parte dello stato, e viceversa, dinanzi alla corte costituzionale. Criterio cronologico Uno dei criteri per risolvere le antinomie tra le fonti è il criterio cronologico, applicato alle fonti con medesima forza, per cui la fonte successiva abroga la fonte di pari grado precedente, rispondendo così all’esigenza di rinnovare l’ordinamento. Il meccanismo abrogativo, tuttavia, non produce l'invalidità della fonte abrogata, ma solo la sua perdita di efficacia dal momento dell'entrata in vigore della norma che produce l’abrogazione: la perdita di efficacia non ha alcun effetto retroattivo e vale solo per il futuro, infatti l'abrogazione non elimina la norma, ma ne circoscrive temporalmente l’efficacia, continuando ad essere applicata a tutti i rapporti sorti sotto la vigenza di quella norma. L’abrogazione può essere: - per dichiarazione espressa del legislatore, laddove la fonte contiene in un articolo un'espressione nella quale si dice sono abrogate le seguenti disposizioni, abrogazione meno utilizzata - implicita, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti - tacita, quando la nuova legge regola in maniera diversa l’intera materia già regolata dalla legge anteriore di 5 83 Cristina Simoncini Principio di irretroattività Le fonti normalmente acquistano efficacia dopo la pubblicazione ed hanno efficacia ex nunc, ossia dal momento in cui entrano in vigore in avanti. Il principio di irretroattività della legge non è sancito a livello costituzionale, se non per la disciplina penale, ma è disciplinato nell’art. 11 delle preleggi La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo. Per quanto concerne l’ambito penale, la Costituzione stabilisce che la norma deve essere necessariamente entrata in vigore prima del fatto commesso, da integrarsi con il principio opposto della retroattività della legge penale più favorevole al reo, per cui se il condannato non può continuare a subire gli effetti di un fatto che l'ordinamento non considera più illecito. La Corte Costituzionale ha posto 3 condizioni affinché il Parlamento possa ricorrere alla legge retroattiva: deve essere proporzionata e ragionevole rispetto allo scopo e quindi necessaria, non deve interferire con i processi in corso, ed infine non deve ledere le attribuzioni del potere giudiziario. Criterio di specialità (lex speciali derogat generali) Quando più leggi penali regolano la stessa materia, la legge speciale deroga alla legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito. (es. omicidio e omicidio del consenziente). Per quanto formulato nel solo ambito penale (art. 15 c.p.) il principio di specialità opera in tutti i settori dell’ordinamento. Procedimento di revisione costituzionale Il procedimento per modificare la Costituzione è stabilito dall’art. 138 della stessa e si tratta di un procedimento costituito e non invece costituente, presupponendo l’esistenza della Costituzione, ed essendo norma contenuta nella stessa; infatti, attraverso tale procedimento è possibile modificare la costituzione, non sostituirla integralmente con una nuova, altrimenti si eserciterebbe un potere costituente. La modifica quindi non deve essere tale per cui al termine si reputi la stessa come nuova Costituzione; per tale motivo vi sono dei limiti in merito alle modifiche, limiti che sono di tipo espresso ex art. 139 per cui la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale; e impliciti, per cui leggendo in combinato disposto l’art. 139 con l’art. 1, che sancisce la sovranità popolare o il principio democratico rappresentativo, non si può modificare il carattere democratico della nostra forma di Stato, come nemmeno il nucleo essenziale di alcuni diritti di libertà, condizioni essenziali perché la repubblica possa dirsi democratica. Oltre alle leggi di revisione, devono essere approvate con il procedimento di cui all’art. 138 Cost. anche le altre leggi costituzionali, ossia le leggi che non modificano la costituzione, ma in qualche modo la completano. Altre leggi costituzionali La consuetudine costituzionale è caratterizzata da comportamenti di organi costituzionali ripetuti nel tempo poiché ritenuti vincolanti. La consuetudine costituzionale trae dunque origine da un comportamento spontaneo di un organo costituzionale che diviene poi norma giuridica. La convenzione della Costituzione nasce da un accordo, sia pure implicito, tra più organi costituzionali, che muovendo da una norma esistente, dà vita ad un comportamento che crea nuova disposizione. La prassi è un’applicazione concreta e ripetuta nel tempo di una norma costituzionale; non crea dunque norme, perché si sostanzia in un comportamento interpretativo di norme esistenti. di 6 83 Cristina Simoncini STATO E GOVERNO Forma di Stato Per Stato si intende l’insieme del popolo, territorio e Governo, e la sua forma è data dalla relazione che intercorre tra questi tre elementi. Quando si dice che lo Stato è sovrano si afferma anzitutto che si tratta di un soggetto che non riconosce nessun ente a lui superiore e che esercita nei confronti dei consociati il potere massimo che si può configurare; sovranità che è di tipo interno, in quanto esercita il proprio potere nel territorio statale, ma anche esterna, in quanto lo Stato esercita questo potere indipendentemente dagli altri Stati. Vi sono diversi criteri per classificare le forme di Stato: a. secondo le libertà dei singoli nei confronti dello Stato: democratico o autoritario b. secondo le finalità generali che lo Stato si prefigge: liberale (libertà) e sociale (diritti sociali) c. in chiave storica: assoluto (Stato potere unitario), liberale (legalità, uguaglianza e separazione dei poteri), totalitario (partito unico), democratico-sociale (diritti, uguaglianza, suffragio universale) d. sulla base dei criteri con cui gli apparati di governo si distribuiscono sul territorio nazionale: unitario accentrato, federale (unione di stati con sovranità originaria), stato regionale (Italia) In Italia abbiamo una forma di stato democratica, in quanto: il potere politico viene esercitato da rappresentanti democraticamente legittimati a farlo, che hanno il diritto di governare in quanto scelti dalla maggioranza del popolo, ma nel rispetto di regole che assicurino garanzia di libertà alle minoranze politiche; con la garanzie di diritti e le libertà politiche, contenute nella prima parte della Costituzione. Forma di Governo Con forma di Governo si indica i diversi modi con i quali il potere è distribuito tra gli organi di vertice dello Stato; distinguendo tra: forme di Governo pure, dove il potere di indirizzo politico è concentrato in un solo organo statale; e miste, dove il potere di indirizzo politico è suddiviso fra più organi costituzionali, tra queste: - Repubblica semi-presidenziale (es. Francia): il Capo dello Stato è eletto direttamente dai cittadini e nomina il Governo, che deve avere la fiducia del Parlamento. - Bicefalismo dell’esecutivo: il Capo dello Stato (in posizione dominante) e il Primo ministro collaborano alla realizzazione delle scelte fondamentali. - Repubblica parlamentare (es. Italia): carattere distintivo della forma di governo parlamentare è il rapporto di fiducia che deve sussistere tra Parlamento e Governo, i quali collaborano nella determinazione dell’indirizzo politico. - Governi neo-parlamentari: si differenziano per l’elezione popolare diretta del primo ministro contestualmente al Parlamento. Monarchia costituzionale La Monarchia costituzionale è la forma di governo che si afferma nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale. Nell'Europa continentale si afferma dopo la rivoluzione francese del 1789, e trova espressa disciplina nelle prime costituzioni liberali, in Italia nello Statuto Albertino del 1848. Si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il Re e il Parlamento, titolari rispettivamente del potere esecutivo e del potere legislativo; si fonda perciò sull'equilibrio tra due centri di potere. di 7 83 Cristina Simoncini maggioranza parlamentare del Governo è frutto di una coalizione di partiti, e questo comporta la necessità di mediazioni maggiori in Parlamento. Governo parlamentare a preminenza dell’assemblea La forma di Governo parlamentare a prevalenza del Parlamento, tende invece a realizzarsi in presenza di multipartitismo estremo e in costanza di un sistema elettorale di tipo proporzionale. L'elettore vota per un partito in un contesto di molti partiti, all’esito della votazione vi saranno moltissimi partiti con rappresentanza parlamentare, ma nessuno con la maggioranza necessaria per poter formare da solo il Governo, dunque la coalizione verrà formata dopo il voto, aggregando intorno ad un programma frutto di un compromesso. I partiti della coalizione tendono a tenere sotto pressione il Governo, alleandosi se del caso anche con forze di opposizione, per spostare l'indirizzo politico sul Parlamento. Quando si realizzano questi presupposti l'indirizzo politico si sposta dunque sul Parlamento, e il Governo assume funzioni attuative di quell'indirizzo. Tuttavia, dato che il Governo rimane in vita nella misura in cui si raggiungano costantemente accordi in Parlamento, la forma di Governo è fortemente instabile. Le crisi di Governo sono frequenti. di 10 83 Cristina Simoncini PARLAMENTO Composizione La Costituzione italiana ha delineato il nostro Parlamento come organò bicamerale, essendo formato da due Camere (deputati e Senato) dotate delle medesime competenze secondo il principio del bicameralismo perfetto, per cui entrambe le camere esercitano in modo collettivo la funzione legislativa (ex art. 70 Cost) e il Governo deve godere delle fiducia di entrambe le camere. Le differenze tra le due camere sono a livello strutturale: - da un lato vi sono 630 deputati e dall’altro 315 senatori - la composizione del Senato prevede l’integrazione di membri non elettivi - per votare alla Camera dei deputati è sufficiente la maggiore età e per essere eletti aver compiuto 25 anni, mentre per il Senato è necessario aver compiuto 25 anni per votare e per essere eletti averne compiuti 40 - il Senato è eletto a base regionale, e la componente non elettiva è composta da ex Presidenti della Repubblica, che sono Senatori a vita, nonché dai Senatori nominati direttamente dal Presidente della Repubblica, che può nominare senatori a vita cinque cittadini illustri. L’idea è dunque quella di un Senato più lontano dal conflitto politico. La Costituzione fissa la durata delle camere a 5 anni, inoltre la stabilisce che le elezioni delle nuove camere devono avvenire entro 70 giorni dalla fine delle precedenti e vi sia una proroga solo in caso di guerra. Al termine della legislatura, i procedimenti legislativi pendenti in aula e in commissione decadono, in quanto le camere neoelette sono espressione di una nuova e diversa manifestazione della volontà popolare. Le camere inoltre dal momento del loro scioglimento e fino all'elezione delle nuove, assumono uno status giuridico particolare, definito prorogatio, per cui le camere, anche se scadute, continuano ad esercitare i poteri sino all’insediamento delle nuove, anche se in misura ridotta rispetto alla pienezza del mandato, infatti possono compiere solo atti definibili di ordinaria amministrazione. Qualifica parlamentare L'assunzione della qualifica di parlamentare avviene a seguito della proclamazione dell'avvenuta elezione, che è effettuata dal presidente dell'ufficio elettorale competente sulla base dei risultati dell’elezione. Assunzione sottoposta a condizione risolutiva, poiché sarà la Camera di appartenenza, attraverso la Giunta per le elezioni, ad accertare la validità dell'elezione e l'insussistenza di cause di ineleggibilità o di incompatibilità. Una volta eletto il parlamentare, come recita l'art.67 della Costituzione, rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, diviene quindi portatore di un interesse più ampio e generale, rappresentando la Nazione e non il partito dal quale proviene. La Costituzione prevede alcune norme finalizzate a garantire che l'elezione dei parlamentari non sia condizionata da fattori esterni rispetto alla scelta del candidato ritenuto più idoneo allo svolgimento del compito, in particolare l’art. 65 disciplina i casi di ineleggibilità e incompatibilità, rinviando ad una legge ordinaria per la determinazione dei casi, e l’art. 67 stabilisce invece il divieto di mandato imperativo, statuendo che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. In particolare, l’ineleggibilità è quella condizione soggettiva la cui presenza rende l’elezione invalida, come la titolarità di determinate cariche elettive a livello locale, la titolarità di uffici di particolare rilievo, come Prefetti, l’esistenza di un particolare rapporto economico con lo Stato, i magistrati nelle circoscrizioni nelle quali operano. di 11 83 Cristina Simoncini L’incompatibilità invece è la situazione soggettiva in cui versa un soggetto in ragione di un’altra funzione da lui svolta segnalata dalla legge come incompatibile con il mandato parlamentare, causa che non invalida l’elezione, ma impone al soggetto che si trova in quella situazione di scegliere, come ad esempio tra parlamentare e Presidente della Repubblica o ancora tra parlamentare e membro del CSM. Il divieto di mandato imperativo ex art. 67 Cost. prevede che le funzioni del parlamentare siano svolte senza vincolo di mandato; il parlamentare infatti rappresenta la Nazione e non un partito, dunque non può esserci un legame giuridico obbligatorio tra parlamentare e il partito dal quale proviene. Funzioni Il parlamento ha funzione legislativa, esercitata in modo collettivo da entrambe le camere, e funzione di indirizzo, mediante cui svolge un'attività di direzione e correzione dell'attività di indirizzo politico del Governo, e di controllo nei confronti del Governo, mediante i quali ne verifica l’operato. Gli atti di indirizzo del Parlamento sono: a. la mozione, ossia un atto mediante il quale si invita il Governo ad assumere, su di un determinato argomento, una precisa posizione. Se la mozione è approvata il Governo è quindi politicamente vincolato a comportarsi come approvato dalla maggioranza dell'Assemblea. La mozione deve essere presentata da un determinato gruppo di parlamentari (dieci alla Camera) o da un Presidente di un gruppo parlamentare. La mozione di fiducia e di sfiducia hanno caratteristiche particolari. b. la risoluzione può anche essere votata in Commissione, salvo che il Governo chieda che la discussione venga portata in Assemblea. La risoluzione è uno strumento meno impegnativo della mozione, perché la risoluzione esplicita un indirizzo o un orientamento parlamentare, normalmente di massima e quindi ampiamente interpretabile dal Governo. Gli atti di controllo del Parlamento sono: a. le interrogazioni, ossia domande poste da un parlamentare o da un gruppo parlamentare al Governo, o ad un singolo ministro, circa un determinato fatto, chiedendo informazioni particolari, documenti o notizie. Se tuttavia lo scopo “apparente” dell'interrogazione è quello di conoscere se ed in che termini il Governo è a conoscenza di un determinato fatto, l'obiettivo reale è piuttosto quello di segnalare all'attenzione del Governo verso determinati problemi. La risposta all'interrogazione può anche mancare perché non vi è l'obbligo specifico di risposta, salvo motivare le ragioni per le quali non si è risposto. Un particolare tipo di interrogazione è l'interrogazione a risposta immediata, mutuata dall'esperienza inglese e per questo definita quaestion time: una volta alla settimana viene riservato, all'interno di una seduta, un periodo ristretto di tempo nel quale possono essere presentate interrogazioni, alle quali risponde in maniera immediata il Presidente del Consiglio. b. le interpellanze, con lo scopo di conoscere i motivi della condotta del Governo su questioni che riguardino aspetti della sua politica. L'obiettivo è quello di far emergere la linea politica del Governo su di una determinata questione, anche allo scopo di aprire un dibattito che possa poi sfociare in un atto di indirizzo al Governo attraverso lo strumento della mozione. Per queste ragioni le regole procedimentali che riguardano le interpellanze sono più stringenti di quelle relative alle interrogazioni: possono essere presentate in forma scritta, devono essere illustrate dal suo presentatore, e ciò deve avvenire necessariamente in assemblea, e non anche in commissione, come nel caso delle interrogazioni. di 12 83 Cristina Simoncini Giunta formula la sua proposta all'Assemblea che può essere di convalida, di annullamento o di decadenza, proposta sulla quale è chiamata a voltare l'intera Assemblea. C. Autonomia contabile: ogni anno ciascuna Camera approva un bilancio interno che stabilisce come saranno usate le risorse economiche che servono al proprio funzionamento; si tratta di un’autonomia fondata su una consuetudine costituzionale. D. Autodichia: consiste nel potere di decidere sulle controversie relative allo status giuridico ed economico dei propri dipendenti. I ricorsi dei dipendenti delle Camere sono sottratti alla giurisdizione ordinaria per essere decisi direttamente dalla Camera di appartenenza. L'autodichia delle Camere non trova in verità collegamenti costituzionali precisi, anzi, essa pare porsi in contrasto con i principi costituzionali relativi al diritto di difesa (art.24), davanti ad un giudice terzo ed imparziale (artt.101 e 111). La questione della legittimità delle norme dei regolamenti delle Camere che prevedevano l'autodichia fu in effetti sollevata davanti alla Corte costituzionale. • Sent. 154/1985: la Corte dichiarò inammissibile la questione, ritenendo di non poter giudicare della legittimità costituzionale dei regolamenti parlamentari. • Sent 120/2014: Con tale sentenza la Corte ha fornito alcune indicazioni circa l'illegittimità di tale norme: il diritto di accesso alla giustizia costituisce un diritto fondamentale e anche gli atti interni delle Camere, quando vanno ad impattare su diritti fondamentali, devono poter essere controllati da un giudice terzo e imparziale. Pur escludendo la sindacabilità delle norme regolamentari per difetto di forma, nondimeno la Corte ha aperto la possibilità di un controllo di tali norme attraverso lo strumento di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. E. Le prerogative parlamentari (art. 68 Cost.): la Costituzione disciplina le immunità dei parlamentari. Si tratta tuttavia di una definizione assai generica, sia perché la norma individua non una ma due distinte fattispecie, l'insindacabilità e la inviolabilità, sia perché, pur trattandosi di prerogative attribuite ai parlamentari, esse dovrebbero essere finalizzate a garantire non un privilegio del parlamentare, quanto invece l'autonomia e l'indipendenza del Parlamento. - Insindacabilità: i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. I parlamentari non sono responsabili giuridicamente per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni. L'insindacabilità esclude ogni forma di responsabilità giuridica dei parlamentari. Inoltre, il parlamentare non risponde neppure una volta cessata la carica. Dopo una prima fase nella quale l'interpretazione del Parlamento tendeva ad estendere l'insindacabilità anche ad attività extraparlamentari come ad esempio interviste, dibattiti, comizi, la Corte costituzionale ha stabilito che per l'applicazione dell'insindacabilità deve esistere comunque un nesso funzionale tra le opinioni espresse in sedi diverse da quella parlamentare e l'attività tipica del parlamentare e, inoltre, deve esservi una sostanziale identità di contenuto tra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella espressa in sede extraparlamentare. La ragione dell'insindacabilità starebbe infatti nella garanzia della funzione parlamentare e non nel sottrarre al diritto comune il singolo deputato o senatore. In attuazione dell’art. 68 della Costituzione, la legge n.140 del 2003 ha poi dettato una normativa che mira a disciplinare i rapporti tra autorità giudiziaria e Parlamento per risolvere possibili conflitti sulla sussistenza di una situazione riconducibile all’inviolabilità: pregiudiziale parlamentare. Sulla base di questa normativa, se l'autorità giudiziaria si trova a dover decidere una controversia relativa ad un caso nel quale può essere invocato l'art.68, 1° comma, si possono dare diverse soluzioni: di 15 83 Cristina Simoncini a) se il giudice ritiene sussistere l'insindacabilità definisce autonomamente la causa senza procedere; b) se il giudice non ritiene sussistere l’insindacabilità, e quindi considera di poter giudicare, deve sospendere il processo ed investire la Camera di appartenenza del parlamentare, che dovrà decidere sulla sussistenza o meno dell'insindacabilità; c) se investita dal giudice, la Camera ritiene che non vi sia insindacabilità, il giudice può proseguire nel giudizio; d) se al contrario la Camera ritiene che vi sia insindacabilità il giudice può conformarsi e definire il processo, oppure può non conformarsi e sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale nei confronti della Camera. Sarà allora la Corte costituzionale a stabilire la sussistenza o meno del “nesso funzionale” - Immunità penale/inviolabilità: il 2° comma dell’art. 68 prevede la diversa e ulteriore prerogativa della inviolabilità, per cui il parlamentare non può subire limitazioni alla propria libertà personale senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza, ad eccezione dell’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, o se in flagranza di reato quando la legge prevede l'arresto obbligatorio. Mentre l'insindacabilità è legata all'attività tipica del parlamentare (tanto è vero che occorre un nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'attività del Parlamento), l'inviolabilità invece riguarda reati compiuti al di fuori dell'attività di parlamentare. La ratio di questa forma di immunità è quella di proteggere il parlamentare da interventi dell'autorità giudiziaria con intento di tipo persecutorio (il fumus persecutionis). Oggetto della valutazione della Camera non è pertanto l'esistenza o non esistenza del reato (che altrimenti il giudizio della Camera si sostituirebbe a quello del giudice), ma solamente l'accertamento dell'esistenza o meno di un fumus persecutionis da parte dell'autorità giudiziaria. Solamente in presenza di questo intento persecutorio la Camera dovrà negare l'autorizzazione a procedere. Il procedimento di autorizzazione a procedere viene istruito da un'apposita giunta, nominata Giunta per le autorizzazioni a procedere, con la funzione di istruire il giudizio valutando la richiesta da parte del giudice e le controdeduzioni del parlamentare. Al termine dell'istruttoria la Giunta formula una richiesta alla Camera di appartenenza o nel senso di concedere o nel senso di non concedere l'autorizzazione, sulla quale proposta dovrà votare la Camera di appartenenza. a. Prima della riforma del 1993: senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura. Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile di condanna. b. Attuale formulazione dell’art.68 Cost.: non serve più l'autorizzazione per processare un parlamentare, né per trarlo in detenzione se condannato in via definitiva. Si tutela il parlamentare da limitazioni della libertà personale, domiciliare e di comunicazione che generalmente sono disposti “a sorpresa” dal magistrato nel corso delle indagini. di 16 83 Cristina Simoncini Modalità di votazione La Costituzione prevede una regola generale sulla trasparenza delle sedute, che sono normalmente pubbliche, salvo che le Camere decidano di riunirsi in seduta segreta. La Costituzione non pone alcun vincolo., dunque la disciplina delle modalità di votazione è lasciata ai regolamenti parlamentari e la distinzione più importante è tra votazioni a scrutinio segreto e votazioni a scrutinio palese. - Lo scrutinio segreto favorisce la libertà di coscienza dei parlamentari, che possono votare contrariamente alle direttive di partito senza conseguenze, ma, d'altro canto, favorisce il fenomeno dei c.d. “franchi tiratori” (deputati della maggioranza che votano contro la propria maggioranza) ed in generale una maggior possibile commistione tra maggioranza e opposizione. - Lo scrutinio palese comporta un'assunzione di responsabilità politica per il deputato che vota; la Costituzione prevede l'obbligatorietà del voto palese solamente per il voto di fiducia al Governo. Parlamento in seduta comune Il Parlamento si riunisce in seduta comune nei soli casi previsti dalla Costituzione, ossia: • l’elezione del Presidente della Repubblica • l'elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura • l'elezione di cinque giudici della Corte costituzionale • messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Regolamenti parlamentari I regolamenti parlamentari sono strumenti di autorganizzazione, sono fonti di diritto essendo generali ed astratti e pubblicati come tutti gli altri atti normativi nella Gazzetta Ufficiale. La Costituzione riserva espressamente a questa fonte la disciplina del procedimenti e dell’organizzazione interna della Camera, e non potendo altra fonte intervenire sulla materia, ed essendo questo previsto direttamente nella Costituzione, è qualificato come fonte primaria: - l’art. 64 stabilisce che ciascuna Camera deve avere un proprio regolamento, approvato autonomamente da ciascuna Camera - l'art.72 pone una riserva di competenza regolamentare in materia di procedimento legislativo, escludendo quindi che altre fonti possano intervenirvi La qualifica dei regolamenti parlamentari come atti con forza di legge, sottoponibili per questo al controllo della Corte costituzionale, si scontra con l'altro principio, certamente di livello costituzionale, dell'autonomia e dell'indipendenza del Parlamento. Questo principio verrebbe in parte meno se un altro organo costituzionale potesse sindacare le scelte di organizzazione interna effettuate dalle Camere, che in relazione a questa materia sono sovrane. Sulla questione del controllo sui regolamenti confliggono due opposte esigenze: da una parte l'esigenza della gerarchia delle fonti, che porta a concludere che i regolamenti parlamentari sono sostanzialmente atti con forza di legge e come tali sottoponibili al controllo della Corte costituzionale; dall'altra parte, l'esigenza di preservare autonomia e indipendenza delle Camere, quindi i regolamenti parlamentari. La Corte costituzionale ha risolto il problema privilegiando l'autonomia e l'indipendenza del Parlamento, con conseguente esclusione del controllo di costituzionalità sui regolamenti parlamentari. di 17 83 Cristina Simoncini oggetto, se occorre raccogliere pareri da parte di altre commissioni. Nella commissione si svolge prima una discussione sulle linee generali del progetto di legge, alla quale segue poi un voto. Quindi seguono la discussione e la votazione articolo per articolo, con il voto anche sugli eventuali emendamenti (è il termine tecnico con cui si indicano le modifiche al testo originale) che siano stati proposti agli articoli, infine viene poi votato il testo nel suo complesso insieme ad una relazione finale che verrà presentata dal relatore in aula. In aula il procedimento ripete sostanzialmente le fasi già seguite in commissione e la discussione procede per tre “letture”: - Prima lettura: alla Camera viene presentata la relazione generale sul progetto di legge, che serve ad introdurre una discussione sulle linee generali. Questa discussione può anche concludersi con un voto di “non passaggio agli articoli”, il che significherebbe una chiusura immediata del procedimento con “bocciatura” del progetto di legge prima del voto sugli articoli. - Seconda lettura: se viceversa non vi è un voto preclusivo, il procedimento prevede la discussione articolo per articolo con voto anche sugli emendamenti presentati e con voto finale su ogni articolo - Terza lettura: dopo la votazione articolo per articolo si passa quindi alla votazione finale del testo legislativo, così come esso risulta a seguito dell'approvazione degli articoli Quando un testo è approvato nella sua versione definitiva da una Camera deve essere inviato all'altra Camera, in virtù del principio del bicamerismo paritario, la quale deve approvare nuovamente il testo. Se il testo finale approvato è identico al primo la fase dell'approvazione è conclusa; se viceversa il testo si discosta anche di un solo articolo questo viene rinviato nuovamente all'altra Camera, che, sia pure limitatamente alla parte modificata, procede ad un nuovo esame ed approvazione per poi rinviarlo all'altra Camera sino al momento in cui non vi sia un testo eguale da parte di entrambe le Camere: navette parlamentare. b. Il procedimento in sede deliberante o legislativa o in commissione è molto più rapido per l'approvazione di un progetto di legge, che si basa sulla semplice attribuzione del progetto ad una commissione (competente per materia), che non ha solo il compito di istruire il progetto, ma anche quello di approvarlo definitivamente senza passare dalla Camera. Consente alla commissione di assorbire tutte le fasi del procedimento di approvazione, sostituendo l'aula: la commissione esaurisce tutte e tre le “letture” senza che il progetto di legge debba essere discusso e votato all'assemblea. Se tuttavia il procedimento è più rapido del procedimento ordinario, esso per contro è assai meno garantistico: in commissione si possono realizzare accordi tra maggioranza e opposizione di natura compromissoria, privi di “visibilità politica” e che quindi tendono a “nascondere” la responsabilità relativa all'approvazione di un atto legislativo. Per queste stesse ragioni, in commissione vengono spesso approvate leggi di poco rilievo politico, definite normalmente come “leggine”. La scelta del procedimento in sede deliberante è effettuata dal Presidente dell'Assemblea, ed è possibile quando un progetto di legge riguardi questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale o qualora rivestano particolare urgenza. Tuttavia la Costituzione considera il procedimento legislativo in sede decentrata come una eccezione al procedimento ordinario, ed infatti prevede sia ipotesi nelle quali esso è escluso, sia possibili garanzie per il suo abbandono e la sua conseguente remissione al procedimento ordinario (art. 72), tramite una riserva di legge di assemblea, escludendo: - leggi di materia costituzionale: leggi costituzionali di cui all'art.138 della Costituzione - leggi in materia elettorale di 20 83 Cristina Simoncini - leggi di delegazione legislativa - leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali - leggi di approvazione dei bilanci - leggi di conversione dei decreti legge - disegni di legge finanziaria c. Il procedimento in sede redigente è previsto dai regolamenti parlamentari e non dalla Costituzione. È detto anche “misto”, perché in qualche modo mette insieme le caratteristiche del procedimento in sede deliberante con quelle in sede referente, ed è delineato dai regolamenti di Camera e di Senato in maniera significativamente diversa. Il tratto comune è che questo procedimento serve a sgravare l'assemblea dalla discussione e dalla approvazione degli emendamenti, decentrandoli in commissione e riservando all'aula l'approvazione finale. Inoltre, valgono per questo procedimento le stesse garanzie del procedimento per commissione deliberante, per quanto riguarda l'esclusione delle materie coperte da “riserva di assemblea” e la richiesta che il progetto sia rimesso all'aula. Il Senato costituisce un vero e proprio terzo procedimento intermedio tra la sede deliberante e quella referente, all'aula è riservata soltanto la votazione finale del progetto di legge, mentre discussione e approvazione degli emendamenti è concentrata in commissione. Il procedimento redigente è delineato come un sub-procedimento della sede referente, è infatti la Camera, una volta chiusa la discussione generale, a decidere di affidare la decisione sugli articoli alla commissione, riservandosi poi il voto sui medesimi e il voto finale. E poiché la decisione sulla variante procedimentale spetta alla Camera, è assai difficile che essa si spogli della propria competenza. Di fatto il procedimento in sede redigente è assai poco usato ed è praticamente scomparso nelle ultime legislature. La copertura finanziaria delle leggi Art. 81 Cost. ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve individuare i mezzi finanziari per farvi fronte. Una legge che prevede nuove spese è costretta ad indicare le modalità di copertura delle spese, ma questa previsione costituzionale è apparsa nel tempo non sufficiente a rispettare i vincoli di bilancio e con il tempo il vincolo è stato reso più stringente, tramite ulteriori vincoli: la copertura finanziaria delle leggi deve essere determinata o mediante modifiche legislative a norme che comportino maggiori entrate, o mediante riduzioni di autorizzazioni precedenti di spesa, o mediante quegli accantonamenti indicati nei fondi speciali previsti dalla legge di stabilità e che sono destinati ai progetti di legge che si prevede siano approvati nel corso dell'esercizio del bilancio. Ancora è stato previsto che qualsiasi legge che preveda nuove spese debba indicare la spesa, e in caso di sforamento, un decreto del Ministero dell'economia accerta l'esaurimento dello stanziamento in bilancio, blocca la spesa, e quindi nella sostanza la stessa efficacia della legge. Tutti i disegni di legge di iniziativa governativa debbono essere dotati di una relazione tecnica verificata dal Ministero dell'economia in ordine alla quantificazione degli oneri e delle coperture. È altresì previsto un vero e proprio monitoraggio affidato alla Corte dei conti che deve trasmettere al Parlamento ogni quattro mesi una relazione sulla tipologia delle coperture adottate dalle leggi e sulle tecniche impiegate per quantificare gli oneri. LA FASE DI PROMULGAZIONE Una volta che la legge è stata approvata nella stessa identica versione da parte delle due Camere, essa è giuridicamente perfetta ma non ancora efficace, poiché deve essere promulgata dal Presidente della Repubblica. La promulgazione deve avvenire entro un mese dall'approvazione, salvo che in caso di urgenza le Camere stabiliscano un termine inferiore, ed avviene tramite decreto del di 21 83 Cristina Simoncini Presidente della Repubblica. Con tale decreto il Presidente attesta che la legge è stata approvata dalle due Camere, dichiara la propria volontà di promulgarla, e ordina che sia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. La promulgazione ha lo scopo di consentire al Presidente un controllo sulla legge ma non di sostituire la propria volontà a quella del Parlamento, infatti il rinvio presidenziale alle Camere può essere esercitato una sola volta ed è destinato a cedere a fronte della riapprovazione della legge da parte del Parlamento. Il potere di rinvio della legge si inscrive nell'ambito di quei poteri che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica nella sua funzione di garante della Costituzione, tramite un controllo sulla legittimità costituzionale in senso ampio della legge, finalizzato al mantenimento della coerenza dell’ordinamento: merito costituzionale. LA FASE DI PUBBLICAZIONE A seguito della promulgazione la legge viene pubblicata nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e nella Gazzetta ufficiale della Repubblica. Alla pubblicazione si deve provvedere “subito dopo la promulgazione” e comunque non oltre trenta giorni da essa. La legge diviene applicabile dopo un termine, vacatio legis, di 15 giorni. Tale termine, che serve a rendere la legge non solo conoscibile, ma, almeno in teoria, conosciuta, è tuttavia abbreviabile da parte della stessa legge. Pubblicata la legge e decorso il termine per la vacatio, sorge la presunzione assoluta che tutti la conoscano, non potendosi invocare per la non applicazione della legge la sua mancata conoscenza: ignorantia legis non excusat. Il rigore di questo principio è stato tuttavia attenuato per quanto concerne la materia penale da parte della Corte costituzionale: la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 5 del codice penale, a norma del quale nessuno poteva invocare a propria scusante l'ignoranza della legge penale, nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell'ignoranza della legge l'ignoranza inevitabile. A seguito di questa sentenza, il principio che la legge penale si applica sempre indipendentemente dalla non conoscenza di una norma considera quel comportamento come reato, è temperato dal fatto che quando vi è oggettiva impossibilità alla conoscenza della legge, la norma penale non deve essere applicata. Leggi rinforzate - Leggi provvedimento - Leggi speciali La legge è quella fonte caratterizzata da un punto di vista formale dall'essere “prodotta” attraverso il procedimento di cui agli artt. 70 e ss., e da un punto di vista sostanziale dal contenere norme generali ed astratte. Entrambe queste caratteristiche tendono tuttavia ad avere rilevanti eccezioni: - leggi rinforzate: casi nei quali, per espressa previsione costituzionale, la legge presenta elementi di difformità rispetto al procedimento ex artt. 70 ss. - leggi provvedimento: vi sono dei casi nei quali la legge non contiene norme generali ed astratte Per approvare una legge rinforzata la Costituzione prevede una procedura aggravata, senza tuttavia modificare il tipo di fonte: la legge rinforzata infatti non è una legge costituzionale o una legge di revisione della Costituzione, ma è a tutti gli effetti una legge ordinaria, con la sola caratteristica che il procedimento aggravato previsto nella Costituzione per la sua approvazione le attribuisce una resistenza passiva (capacità di resistere all'abrogazione) maggiore rispetto alle leggi ordinarie, infatti per abrogare una legge rinforzata occorrerà un'altra legge avente un pari rinforzo. Le leggi provvedimento costituiscono una categoria particolare di leggi con un contenuto concreto e specifico; si tratta di leggi che invece di disporre, provvedono direttamente su di un caso concreto, svolgendo quindi un'attività tipicamente amministrativa. Alcune leggi provvedimento sono inoltre di 22 83 Cristina Simoncini del capolista bloccato. La legge non è stata dunque giudicata in toto incostituzionale. La legge elettorale ora vigente ha le seguenti caratteristiche: - Il territorio italiano è suddiviso in circoscrizioni, a loro volta suddivise in cento collegi plurinominali, nei quali è assegnato un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a nove - le liste elettorali sono formate da un candidato capolista e da un elenco di candidati - l'elettore può esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso (doppia preferenza di genere) tra quelli che non sono capolista - alla ripartizione dei seggi possono accedere solamente le liste che abbiano ottenuto il 3% dei voti validi su base nazionale (cd. clausola di sbarramento) - è previsto un premio di maggioranza: 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi; se nessuna lista raggiunge il 40% dei voti, il procedimento è un procedimento proporzionale puro - i seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione sono attribuiti anzitutto ai capolista nei collegi, quindi i seggi che restano ancora da attribuire vengono assegnati ai candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze Al Senato rimarrebbe in vigore la legge 270/2005. La convivenza di queste due leggi rende tuttavia problematica la governabilità del paese. Per questa ragione la Corte Costituzionale lancia comunque un monito al legislatore osservando che se la costituzione “non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”. di 25 83 Cristina Simoncini GOVERNO Il Governo è un organo complesso, formato dal Presidente del Consiglio dei ministri, dai Ministri e questi insieme formano il Consiglio dei Ministri. Nella Costituzione italiana le relazioni tra gli organi che compongono il Governo sono basate su tre principi: 1. Principio collegiale, per cui l’indirizzo politico deve formarsi all’interno del Consiglio dei Ministri 2. Principio monocratico, per cui i poteri di direzione e coordinamento sono attribuiti al Premier 3. Principio della responsabilità ministeriale, per cui i singoli ministri sono autonomi e conseguentemente responsabili degli atti che pongono in essere La scelta di fondo che emerge dalle relazioni tra gli organi è che l’indirizzo politico debba formarsi collegialmente all’interno del Consiglio dei ministri, poiché il Presidente del Consiglio debe limitarsi a dirigere e mantenere quell’indirizzo formatosi in sede collegiale. Organi governativi non necessari Accanto agli organi necessari del Consiglio dei Ministri e del Presidente del Consiglio, troviamo organi non necessari introdotti dalla legge 40/1988, quali: a. Consiglio di Gabinetto comitato che coadiuva il Consiglio dei ministri b. Comitati dei ministri, istituiti dal Premier con compiti prevalentemente istruttori su questioni di comune appartenenza c. Comitati interministeriali, i quali hanno la funzione di svolgere non solo attività di indirizzo ma anche attività normativa (secondaria) su settori di competenza di più ministri d. Vicepresidente del Consiglio, il quale svolge funzioni di supplenza in caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio e. Ministri senza portafogli, i quali esercitano soltanto le competenze delegate dal Presidente del Consiglio f. Sottosegretari di Stato, che coadiuvano il ministro ed esercitano i compiti conferiti loro attraverso decreto ministeriale g. Vice ministri, che sono sottosegretari di Stato ai quali viene conferita una delega di particolare ampiezza; essi sono approvati dal Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio Funzioni Il Governo ha una funzione di indirizzo politico ed una funzione esecutiva; per quanto concerne l’attuazione dell’indirizzo politico si svolge anche attraverso l’esercizio di poteri condivisi con altri organi costituzionali, come - i poteri del Governo nei confronti del Parlamento nell'ambito del procedimento legislativo (potere di iniziativa legislativa, poteri che intervengono nella fase della programmazione dei lavori, poteri vari di intervento nel procedimento) - i poteri relativi alla politica di bilancio e finanziaria - la politica estera: l’attività di politica estera si sostanzia principalmente nella stipula di trattati internazionali, nelle relazioni diplomatiche con gli Stati, nella partecipazione dello Stato italiano ad organismi internazionali. A parte alcune tipologie di trattati internazionali, per i quali la Costituzione prevede la necessaria approvazione parlamentare, quest'attività è fortemente concentrata sul Governo. Attuazione che talvolta richiede invece l’esercizio dei poteri propri di Governo, come di 26 83 Cristina Simoncini - l’esercizio del potere normativo, esercitato attraverso sia atti primari, quali decreti legge e decreti legislativi, che atti secondari, come l'esercizio del potere regolamentare. Se è vero che per gli atti primari vi è sempre un controllo del Parlamento, cosicché si potrebbe pensare che si tratta di un potere condiviso, è anche vero però che il Governo adotta tali atti sotto la sua propria responsabilità. Essi sono dunque espressione di un indirizzo politico autonomo del Governo - l'attività di direzione dell'amministrazione statale Il Governo è anche al vertice dell’apparato amministrativo dello Stato, ed ogni ministro è a capo di una struttura amministrativa complessa che ha il compito di tradurre in provvedimenti concreti gli atti di indirizzo espressione delle scelte politiche. L’attività amministrativa si distingue dall’attività normativa perché consiste nel provvedere, con atti puntuali e specifici, detti provvedimenti amministrativi, alla cura degli interessi pubblici determinati dalla norma. La scelta che viene attuata dai ministri nell’amministrare viene definita discrezionalità amministrativa, valutando gli interessi pubblici e privati in gioco, tutelando l’interesse pubblico determinato dalla norma. Al governo dunque fanno capo entrambe le funzioni, sia l’attività di indirizzo politico, attraverso la quale si esercitano liberamente grandi scelte politiche, sia quella amministrativa, attraverso la quale si esercita la discrezionalità amministrativa per attuare quelle scelte. Per collegare queste due funzioni si possono individuare due modelli: - continuità tra politica e amministrazione: il ministro è direttamente responsabile anche degli atti dell’amministrazione e l’amministrazione deve uniformarsi alla volontà del vertice politico - Separazione tra politica e amministrazione: al Governo spetta la determinazione degli obiettivi dei programmi da realizzare e la verifica dei risultati conseguiti; all’amministrazione spetta attuare questi indirizzi attraverso atti concreti. Il ministro non può sostituirsi alla burocrazia amministrativa nell’emanazione dei provvedimenti concreti, poiché il suo compito è quello di fissare gli indirizzi generali che le amministrazioni devono perseguire. Imparzialità e buon andamento dell’amministrazione L’art. 95 presuppone che il vertice dell'amministrazione sia il Presidente del Consiglio, che mantiene l'unità đi indirizzo politico ed amministrativo promuovendo e coordinando l’attività; così come sancito anche dalla legge 400/1988 e le successive modifiche specifica che il Consiglio dei Ministri determina "I'indirizzo generale dell'azione amministrativa," mentre non emana atti di natura provvedimentale, che spettano invece all'apparato amministrativo. Egualmente l'adozione di provvedimenti amministrativi puntuali non spetta al Presidente del Consiglio, ma all'apparato amministrativo. Dall'art. 95 si deduce dunque che il vertice dell'amministrazione statale è incentrato sul Governo, ma non anche che quest'ultimo esercita direttamente l'attività amministrativa. L’art. 97 detta i principi generali sia relativi all'organizzazione che all'attività dell'amministrazione. Tale norma stabilisce una riserva relativa di legge in relazione all'organizzazione degli uffici pubblici, e prevede che questi siano organizzati "in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità della amministrazione". Dal principio di imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97, la Corte costituzionale ha tratto la conseguenza che l'ordinamento costituzionale impone la separazione tra politica e amministrazione, perché l'amministrazione, nell'attuazione dell'indirizzo politico di maggioranza deve agire senza distinzione di parti politiche, al fine di perseguire le finalità pubbliche. Ulteriore conferma viene data dall’art. 98, in cui si precisa che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione", indicando dunque che questi debbono agire non nell'interesse di una parte ma dell'intera collettività. Di conseguenza l'accesso al rapporto di lavoro con la pubblica di 27 83 Cristina Simoncini L'entrata in vigore di un decreto legge passa attraverso tre fasi: 1) delibera da parte del Consiglio dei ministri 2) emanazione da parte del Presidente della Repubblica 3) pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Il decreto legge viene presentato alle Camere per la conversione il giorno stesso in cui è pubblicato in Gazzetta Ufficiale e le Camere, anche se sciolte, si riuniscono entro 5 giorni. Si apre, così, il procedimento di conversione che, rispetto al procedimento legislativo ordinario, presenta alcuni elementi di differenziazione che facilitano l'eventuale approvazione del disegno di legge in tempi brevi e permettono un attento controllo della sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza che legittimano il decreto legge. Si tratta di procedure adottate dai regolamenti parlamentari e che non sono le stesse in Camera e in Senato. La Costituzione prevede un controllo parlamentare che si esercita sul decreto legge attraverso una legge di conversione (il decreto legge deve essere convertito in legge), e ciò deve avvenire entro il tempo, assai breve, di due mesi. In caso di mancata conversione, i decreti legge perdono efficacia ex tunc, cioè retroattivamente, poiché il decreto è come se non fosse mai stato adottato: la mancata conversione del decreto legge travolge tutti gli effetti che il decreto legge ha posto nel suo periodo di vigenza. Tuttavia, proprio per temperare l'effetto di questa norma, che può ingenerare notevole incertezza del diritto, la Costituzione prevede che il Parlamento possa regolare con legge i rapporti sorti sulla base di un decreto legge non convertito, tramite le c.d. leggi di sanatoria. Inoltre, l'effetto retroattivo derivante dalla mancata conversione incontra il limite dei c.d. rapporti esauriti (rapporti che non possono essere più rimessi in gioco in quanto ormai definiti); tutti quei rapporti ormai passati in giudicato, i diritti ormai prescritti o rispetto ai quali sia decorso il temine di decadenza, o comunque quelli che per la tipologia del rapporto di fatto non sono più azionabili. Come per ogni disegno di legge, anche per quello di conversione di un decreto-legge la presentazione alle camere deve essere autorizzata dal Presidente della Repubblica, pur se il carattere obbligatorio di questo adempimento rende del tutto formale il controllo del capo dello Stato Pur essendo evidente che con le espressioni “necessità ed urgenza” si sono voluti delineare dei presupposti larghi, discrezionalmente valutabili dal Governo, nondimeno per legittimare l'uso del decreto legge invece del procedimento legislativo ordinario, avrebbe dovuto esservi una situazione straordinaria che necessitasse di un intervento normativo urgente. Nella sostanza il decreto legge è divenuto un modo per accelerare il procedimento di formazione della legge, tanto da divenire una sorta di iniziativa legislativa rinforzata. I Governi hanno anche utilizzato in maniera abnorme la possibilità di reiterare decreti legge non convertiti dalle Camere: nella grandissima parte dei casi il Parlamento non riusciva a convertire in legge i decreti legge nel termine dei 60 giorni, quando il decreto legge decadeva il Governo era solito ripresentarlo. La Costituzione nell'art.77 ha sottolineato come il decreto legge debba essere un provvedimento “provvisorio”, ma se questo nel momento della sua decadenza viene reiterato e così per un numero indefinito di volte, perde il carattere provvisorietà, per divenire invece uno strumento di legislazione ordinaria. Agli inizi degli anni '80 il problema dell'abuso del decreto legge e la sua eccessiva utilizzazione come strumento di legislazione ordinaria era diffuso, si ritenne pertanto di intervenire a livello della normativa regolamentare della Camera e del Senato, prevedendo una sorta di filtro parlamentare anteriore alla legge di conversione: la Commissione affari costituzionali che avrebbe dovuto accertare la sussistenza o meno dei requisiti di necessità e di urgenza, e nell'ipotesi in cui i requisiti non fossero stati presenti, il decreto legge non avrebbe dovuto essere esaminato dalle Camere per la conversione, con l'effetto di provocarne la decadenza. Tuttavia fu presto chiaro che il filtro preliminare serviva a ben poco. La composizione proporzionale della Commissione di 30 83 Cristina Simoncini faceva si che la maggioranza della stessa rispecchiasse la maggioranza di Governo ed era probabilmente utopistico pensare che i deputati che tale commissione componevano fossero disponibili a bocciare l'operato del Governo. In definitiva l'idea di un filtro parlamentare di legittimità del decreto legge, da valutare in sede di conversione, si è rilevato uno strumento non utile per limitare l'eccesso di decretazione di urgenza, tanto è vero che dopo alcuni anni non è stato più utilizzato. L’art. 15 della l. 400/1988 stabilisce diverse ipotesi in presenza delle quali il decreto legge non può essere adottato, e comunque alcune leggi formali che il decreto legge e la legge di conversione del decreto legge devono rispettare. Innanzitutto i decreti legge debbono essere presentati per l'emanazione al Presidente della Repubblica con la denominazione “decreti legge”, e con l'indicazione nel preambolo delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l'adozione, nonché dell'avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri. L'indicazione nel preambolo delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza costituisce la “motivazione” del decreto legge; impegna la responsabilità politica del Governo che lo ha adottato; consente, sia pure nella misura ampia tipica dell'emanazione del Presidente, un controllo “largo” da parte di quest'ultimo sulla sussistenza dei requisiti. Inoltre “i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”, quindi le norme contenute all'interno dei decreti devono essere immediatamente applicabili. Questa previsione dovrebbe servire ad evitare la prassi dei c.d. decreti omnibus: decreti legge utilizzati per introdurvi materie di ogni tipo, ed anche la riproposizione di altri decreti decaduti o in procinto di decadere. Ed in effetti la Corte costituzionale ha utilizzato anche il riferimento a questa norma per censurare la prassi di emendamenti incoerenti rispetto al decreto legge. Il Governo non può mediante decreto-legge: • conferire deleghe legislative: delegante e delegato devono essere soggetti diversi, e attraverso l'istituto della delegazione si trasferisce ad un altro soggetto l'esercizio di un potere del quale si è titolari, e non essendo il Governo titolare del potere legislativo non può delegarlo ad altri; • provvedere nelle materie di bilanci e consuntivi, autorizzare la ratifica di trattati internazionali, trattare di leggi in materia costituzionale ed elettorale • rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere, previsione che mira a limitare la reiterazione dei decreti legge. Tuttavia normalmente i decreti decadono non in seguito ad un voto, ma semplicemente perché il Parlamento non arriva ad esprimere un voto, dunque questa norma ha avuto poco effetto nel limitare la reiterazione dei decreti; • regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti • ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento La legge n.400 del 1988 ha tentato anche di risolvere il problema dell'efficacia temporale degli emendamenti introdotti al decreto legge in sede di conversione del Parlamento, stabilendo che tutte le modifiche apposte al decreto legge in sede di conversione hanno efficacia retroattiva dal giorno successivo a quello della pubblicazione. È tuttavia difficile ritenere che questa previsione possa definitivamente risolvere il problema: si dovrà sempre verificare se si tratta di una mancata conversione, o di una “aggiunta”, che invece non ha effetto retroattivo perché non costituisce una mancata conversione. di 31 83 Cristina Simoncini L'interpretazione larga dei requisiti di necessità e di urgenza nonché la reiterazione del decreto legge, possono produrre profili di incostituzionalità dello stesso. Il controllo di costituzionalità sulla legittimità di decreti legge, sia sotto il versante dell'eventuale carenza di necessità e di urgenza, che sotto il versante della reiterazione, presenta tuttavia una serie di problematiche di natura formale e sostanziale che soltanto in tempi relativamente recenti la Corte costituzionale è riuscita a risolvere. - Da un punto di vista formale, bisogna ricordare che il decreto legge ha un tempo di vigenza breve (60 giorni) al termine del quale, se non convertito, decade con effetto retroattivo. È dunque estremamente difficile instaurare, per meri motivi temporali, un giudizio incidentale nei confronti di questo atto, perché i tempi di instaurazione di un giudizio di costituzionalità sono più lunghi. Né si poteva facilmente ritenere che i vizi del decreto legge si trasferissero tout court sulla legge di conversione o sul decreto reiterato. La legge di conversione, infatti, poteva essere considerata una legge nuova, come tale suscettibile di impugnazione per vizi autonomi, ma non per i vizi derivati dal decreto legge che essa aveva convertito. - Da un punto di vista sostanziale, poi, il controllo di costituzionalità su valutazioni come “necessità ed urgenza” che sono largamente discrezionali, rispetto alle quali la Corte costituzionale cercava di non invadere la valutazione politica del Governo. In primo luogo la Corte ha superato il problema formale della decadenza del decreto dopo i 60 giorni ammettendo la possibilità di trasferire l'oggetto del giudizio sul decreto reiterato; ha ammesso poi la possibilità di sindacare la legge di conversione del decreto per vizi attinenti al decreto stesso, modificando la precedente giurisprudenza secondo la quale la conversione di legge ne sanava i vizi, primo caso in cui la Corte dichiarò incostituzionale la legge di conversione per vizi attinenti al decreto stesso. Nel 1996 la Corte dichiarò l'incostituzionalità della reiterazione, divieto implicito nel testo costituzionale, impedendo così che il Governo, in caso di mancata conversione “possa riprodurre, con un nuovo decreto il contenuto normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito”. La reiterazione, infatti, tende a trasformare un atto provvisorio in un atto tendenzialmente stabile, violando l’espressa provvisorietà del decreto. La Corte costituzionale poi ha dichiarato che la legge di conversione non può sanare i vizi originari del decreto legge, ossia la carenza dei requisiti di necessità e di urgenza; inoltre, non può modificare il decreto legge in maniera libera. Un'ulteriore evidenza della carenza della necessità e urgenza si verifica infatti quando all'interno del decreto legge vi sia una norma c.d. intrusa – cioè incoerente – rispetto all'oggetto del decreto legge, e tale norma non sia sorretta da alcuna specifica giustificazione. La Corte costituzionale nel 2012 ha poi censurato la prassi dell’introduzione in sede di legge di conversione di emendamenti non attinenti al testo del decreto, dichiarando tale prassi illegittima per violazione del procedimento “tipico” previsto dall'art.77 della Costituzione. Fermo restando infatti il potere di emendare il decreto da parte del Parlamento, l'emendamento deve essere coerente rispetto all'oggetto e quindi non estraneo alla materia disciplinata. In ogni caso il primo organo che la Corte costituzionale chiama a svolgere il controllo sui requisiti di necessità ed urgenza è il Parlamento, e quindi il Parlamento deve rafforzare questo controllo politico che negli anni ha effettuato poco. Il decreto salvo intese è un decreto che ancora non ha un testo definitivo degli articolati, che quindi potranno essere rivisti e corretti prima dell’invio al Parlamento o della Pubblicazione in Gazzetta. La formula salvo intese viene usata per indicare che un decreto legge è stato approvato nelle sue linee generali, ma il governo si è preso altro tempo per definirne i dettagli. di 32 83 Cristina Simoncini Testi unici I testi unici costituiscono raccolte di materiale normativo, prodotto in tempi diversi, ma caratterizzato dall’omogeneità della materia; questi dunque rispondono al problema di eccesso di produzione normativa. - testi unici compilativi che si limitano a raccogliere materiale normativo esistente e introducono mere modifiche alle norme in conseguenza all’operazione di armonizzazione - testi unici innovativi, che oltre a raccogliere materiale normativo, utilizzano il momento della ricognizione per introdurre modifiche alla materia. - il codice di settore, con l’obiettivo di riunificare la disciplina legislativa di una determinata materia. , in precedenza pensato come testo unico misto, finalizzato a ricomprendere in un unico contesto le disposizioni legislative e i regolamentari riguardanti le materie e settori omogenei al fine di assicurare il coordinamento formale delle disposizioni vigenti; figura che però ha avuto breve durata, sostituito nel 2003 Regolamenti I regolamenti governativi costituiscono una fonte secondaria, sono dunque subordinati alla legge e possono essere emanati dal Governo solamente quando la legge lo prevede. I regolamenti governativi sono deliberati all’interno del Consiglio dei Ministri e sono approvati dal decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, con la funzione di svolgere un controllo preventivo di legittimità sul testo del regolamento. Questi si suddividono in - Regolamenti di esecuzione: finalizzati a rendere applicabili in concreto le norme generali ed astratte delle leggi, quindi non innovativi, ma solo attuativi. - Regolamenti di attuazione ed integrazione: finalizzati a disciplinare l’attuazione e l’integrazione delle leggi recanti norme di principio, esclusi quelli rientranti nella competenza regionale. Con regolazione ed attuazione si intende indicare l’azione di specificare il contenuto delle leggi, senza la possibilità di ampliarne il contenuto. - Regolamenti indipendenti: finalizzati a disciplinare le materie in cui manca la disciplina da parte delle leggi, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; si chiamano indipendenti perché possono essere approvate per disciplinare materie per cui non vi è disciplina legislativa. In effetti, se nella materia disciplinata dal regolamento manca una fonte primaria, ed essa è disciplinata dal solo regolamento, quest'ultimo risulta essere la sola fonte regolatrice della materia. Il regolamento non sarebbe dunque definibile come secondario (perché manca la fonte primaria), ma primario esso stesso; ne conseguirebbe tuttavia la violazione del principio di legalità, poiché il potere regolamentare del Governo non sarebbe in alcun modo vincolato dalla legge, e non essendo sottoposto alla legge, non sarebbe neppure impugnabile, con conseguente limitata tutela delle posizioni giuridiche soggettive del privato. Inoltre, non trattandosi di un atto con forza di legge, esso non sarebbe neppure sottoposto al controllo da parte della Corte costituzionale. Tali problemi però appaiono più teorici che pratici, infatti il regolamento indipendente può essere emanato in quelle materie, non riservate alla legge, non disciplinate da legge e non di competenza delle Regioni, e di fatto è estremamente raro che possa verificarsi una simile concomitanza di fattori. - Regolamenti di organizzazione: finalizzati a dettare le regole per l’organizzazione dei pubblici uffici. Questi regolamenti sono assimilabili ai regolamenti integrativi-attuativi, essendo dotati di un certo margine di innovazione rispetto alla legge. A seguito di un intervento legislativo del 1997 la disciplina della materia dell'organizzazione e funzionamento delle amministrazioni pubbliche, per quanto riguarda i ministeri, non è più soggetta ai regolamenti di cui in oggetto trattandosi di materia delegificata. di 35 83 Cristina Simoncini - Regolamenti delegati (delegificazione): tramite la delegificazione nome di secondo livello come i regolamenti sono legittimati a disciplinare materie regolate da leggi o atti con forza di legge. La delegificazione ha lo scopo di attribuire alla fonte regolamentare quelle materie che sono già di fatto disciplinate dalla legge, delegificando, ossia sottraendo alla legge, molte materie che potrebbero essere normate da un regolamento. Il procedimento risulta abbastanza complesso, non potendo una fonte secondaria abrogarne una primaria, dunque: 1) una legge del Parlamento autorizza l'emanazione di regolamenti su di una determinata materia non coperta da riserva di legge; 2) la legge allo stesso tempo stabilisce le norme generali regolatrici della materia e dispone l'abrogazione elle norme vigenti con effetto dalla entrata in vigore delle norme regolamentari; 3) il regolamento governativo, nel rispetto delle norme generali stabilite dalla legge, disciplina la materia, completando così la delegificazione. I regolamenti ministeriali sono fonti di terzo grado che non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo, e richiedono il parere del Consiglio di Stato, la registrazione presso la Corte dei Conti e la Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tali regolamenti sono deliberati da un singolo ministro e possono essere adottati nel materie di competenza dello stesso qualora la legge lo conferisca espressamente, e ciò capito soprattutto per le materie tecniche. Tali regolamenti confermano la forma del semplice decreto ministeriale senza venire assunti in un atto del Presidente della Repubblica, ma devono comunque recare la denominazione di regolamento, seguendo una procedura che prevede innanzitutto la comunicazione al Presidente del consiglio prima dell’emanazione, il quale può esercitare la facoltà di sospensione dell’adozione dell’atto e provocare una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Regolamenti interministeriali sono deliberati da più ministri congiuntamente e devono essere comunicati al Presidente del consiglio prima dell’emanazione, il quale può esercitare la sospensione dell’adozione dell’atto e provocare una deliberazione del Consiglio dei Ministri; anche per questi regolamenti è necessario il parere del Consiglio di Stato, la registrazione presso la Corte dei Conti e la Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Questi due regolamenti non possono dettare norme contrarie ai regolamenti emanati dal Governo. Dpcm Il DPCM è il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, e al pari degli altri decreti ministeriali può: • dettare norme generali e astratte, ponendosi come fonte autonoma del diritto • dettare disposizioni particolari, ponendosi come semplice atto amministrativo I DPCM possono quindi assumere la natura di fonte del diritto, ma solo quando pongono norme generali e astratte e rivestono la forma di regolamenti. A questi non si sottopone alcun intervento di verifica. In Italia è previsto lo stato di emergenza che comporta l'attribuzione al Governo di poter normativi necessari a fronteggiare la situazione eccezionale, dunque si rispetto il principio di legalità. I Dpcm durante la pandemia La Costituzione italiana non prevede esplicitamente uno stato di emergenza che comporti l'attribuzione al Governo di poter normativi necessari a fronteggiare la situazione eccezionale: si limita a prevedere la dichiarazione dello stato di guerra, che implica il conferimento di particolari poteri al Governo e il decreto legge. Il principio di legalità, inteso in senso sostanziale impone che i provvedimenti di emergenza adottati dall'esecutivo arrivino al termine di una catena normativa che di 36 83 Cristina Simoncini ha il suo inizio nell'atto legislativo che deve prevedere tali provvedimenti, indicando il presupposto dell'atto, la materia e la finalità dell'intervento nonché l'autorità legittimata, e preveda che si possono apportare solamente deroghe temporanee alle leggi vigenti. Fonte normativa primaria fondamentale è il Codice della protezione civile (d.lgs. 1/2018), dove si collocano leggi previste per le situazioni di emergenza, approvate ben prima dell'epidemia di Coronavirus, in base al quale, al verificarsi di un'emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa delle Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s'intende derogare e siano rispettati i principi generali dell'ordinamento e il diritto europeo; la legge n.833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, in base alla quale il Ministro della Sanità ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica. Oggi i Dpcm sono espressione di un potere di ordinanza del Governo. Prevale la tutela della salute su alcune libertà sancite dalla Costituzione, tra tutte la libertà di circolazione (art.16), ma anche la libertà di riunione (art.17), la libertà religiosa (art.19), il diritto/ dovere all'istruzione (art.34) la libertà di iniziativa economica (art.41), sino a limitazioni addirittura alla libertà personale di movimento (art.13). Inoltre nella gestione dell'emergenza sanitaria si sono aggiunti atti di altre autorità, tra cui le ordinanze del ministro della salute e numerosissime ordinanze del Presidenti di Regione. Le prime trovano il loro fondamento normativo nell’art. 32 della legge 633/1978 (il ministro può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale); le seconde si fondano sul codice della protezione civile. Il principio di legalità viene rispettato perché i Dpcm trovano fondamento nella dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi del Codice della protezione civile e nei decreti legge a monte, altrimenti i Dpcm non sarebbero legittimi. Il 31 gennaio il Consiglio del ministri ha adottato la delibera recante "la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” e da quel momento si è sviluppata una catena normativa dell'emergenza, in cui si sono succeduti decreti-legge e d.P.C.M, con i quali sono state emanate le concrete misure (obblighi di quarantena, divieti di assembramenti, ecc.), restrittive del diritti fondamentali, quali la libertà di circolazione e di riunione. PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Il Presidente della Repubblica è un organo autorevole, monocratico, posto in una posizione super partes, a cui è assegnata una funzione di garanzia del corretto funzionamento del sistema costituzionale. di 37 83 Cristina Simoncini 1. Interventi nei confronti del potere legislativo: interviene sia nel momento della formazione del Parlamento, sia in momenti centrali, che al momento della cessazione. In particolare il Presidente indice l’elezione delle camere e ne fissa la prima riunione. Il Presidente inoltre è dotato di un potere di convocazione straordinario delle Camere. In modo marginale poi il Presidente interviene anche nella composizione delle Camere, attraverso il diritto di nominare cinque senatori a vita tra i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Nel corso delle attività della Camere, il Presidente interviene mediante la promulgazione della legge, il potere di rinvio e la possibilità di inviare messaggi alle Camere, quest’ultimo con la funzione di richiamare l’attenzione del Parlamento su tematiche costituzionali che il Presidente ritiene debbano essere disciplinate dal legislativo. Da qui si è tratto fondamento per i cd. Messaggi alla Nazione, ossia discorsi pubblici o interviste del Presidente che hanno come destinatari i cittadini, al fine di esternare i propri pensieri, sollecitando in qualche modo gli organi costituzionali e i partiti politici a farsi carico delle problematiche esternate. Il Presidente infine può sciogliere le Camere ex art. 88 della Costituzione. 2. Interventi nei confronti del potere esecutivo La Costituzione attribuisce al Presidente il potere di nominare il Presidente del Consiglio dei ministri e su proposta di questi i ministri, presupponendo l’adesione del Presidente del Consiglio, che deve controfirmare l’atto. La nomina dei ministri invece costituisce un atto solo formalmente presidenziale ma sostanzialmente governativo: il Presidente del Consiglio incaricato deve scegliere la “squadra” di Governo; ciò non toglie che anche in questa fase il Presidente possa influenzare, suggerire, consigliare, attraverso l'esercizio di attività informali, il Presidente del Consiglio designato in ordine alla composizione del Governo. Nel momento della crisi di Governo i poteri del Presidente acquistano la loro massima espansione: quando il Presidente del Consiglio presenta le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica, questi può in primo luogo respingere le dimissioni e rinviare il Governo alle Camere per un voto di fiducia; di contro, se il Presidente accetta le dimissioni può procedere alla nomina di un nuovo Presidente del Consiglio se vi sono le condizioni politiche o altrimenti può sciogliere le Camere. 3. Interventi nei confronti del potere giudiziario La Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica il compito di presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura, che gli permette di porre in essere atti non controfirmati, perché si ritiene che il Presidente in questo caso agisca non come Capo dello Stato, ma come Presidente del CSM. Inoltre debbono essere emanati con Decreto presidenziale gli atti di nomina e conferimento di incarichi direttivi a magistrati ordinari, amministrativi e militari; atti che devono essere controfirmati dal Ministro della giustizia. Al Presidente spetta poi di nominare cinque giudici della Corte costituzionale, con la funzione di equilibrare la componente di nomina politica e la componente di nomina giurisdizionale con personalità che, in quanto di nomina presidenziale, siano tendenzialmente separate dalla politica e d'altra parte non facciano parte dell'ordine giudiziario. L'art.87 attribuisce poi al Presidente il potere di concedere la grazia e di commutare la pena. La grazia consiste in un provvedimento del Presidente della Repubblica con il quale quest'ultimo estingue o riduce la pena inflitta ad una singola persona con un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Dato che la grazia va ad incidere su un provvedimento giurisdizionale definitivo, emanato nei confronti di una persona a seguito di un processo, per non ledere “troppo” il principio di separazione dei poteri il suo esercizio deve essere di natura eccezionale, dunque collegato a di 40 83 Cristina Simoncini ragioni di tipo umanitario e non di politica giurisdizionale o penitenziaria (alle cui esigenze rispondono invece l'amnistia e l'indulto). Responsabilità del Presidente della Repubblica - art. 90 Le uniche ipotesi di responsabilità giuridica che riguardano il Presidente sono quelle previste dall’art. 90 al secondo comma, ossia alto tradimento e attentato alla Costituzione, dopo che si afferma al primo comma l'irresponsabilità del Presidente per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. I reati di “attentato alla Costituzione” e “alto tradimento”, sono assimilabili come reati “propri” del Presidente della Repubblica, perché solo il Presidente può commetterli; nel caso infatti di altri comportamenti posti in essere dal Presidente della Repubblica come privato cittadino che costituiscano reato, il Presidente della Repubblica è responsabile penalmente secondo le regole ordinarie del diritto penale. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri. La norma è poi integrata dall'art.134 che prevede che sia la Corte costituzionale a giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica in due fasi: a. nella prima fase il Parlamento in seduta comune deve deliberare la messa in stato di accusa del Presidente, delibera preceduta da un'attività di indagine svolta a un comitato che ha compiti istruttori, il quale dispone di poteri di indagine assimilabili a quelli dell’autorità giudiziaria. Al termine dell'istruttoria il comitato può o archiviare la questione, o rilevare la propria incompetenza ritenendo che il reato non rientri tra quelli previsti dall’art. 90, o infine presentare una relazione al Parlamento sulla messa in stato di accusa. Sulla relazione del comitato il Parlamento vota, e per mettere in stato di accusa il Presidente deve raggiungere la maggioranza assoluta. Il Presidente messo in stato di accusa può essere sospeso cautelativamente dalla Corte costituzionale. b. la seconda fase si svolge davanti alla Corte costituzionale in composizione integrata, quindi oltre ai giudici della Corte devono intervenire anche sedici membri tratti a sorte da un apposito elenco di cittadini; il processo si conclude con la condanna o con l’assoluzione. Ci t tadini e Stato: Democrazia diret ta Referendum abrogativo (art. 75) Il Referendum abrogativo è uno strumento di democrazia diretta, ma anche una atto-fonte dell’ordinamento giuridico, avendo medesimo rango della legge ordinaria, poiché attraverso di esso è possibile abrogare leggi o atti aventi forza di legge dello Stato, o parti di essi. I modelli di democrazia diretta si basano sulla possibilità per i cittadini di esprimere direttamente, senza mediazione dei partiti politici e rappresentanti, una manifestazione di volontà, che normalmente assumono la forma del referendum. La Costituzione prevede all’art. 75 che il referendum possa essere indetto per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, quando questo sia richiesto da 500.000 elettori o da cinque consigli regionali; referendum che deve avere come oggetto leggi ordinarie o atti aventi valore di legge, quindi decreti legislativi e i decreti legge. Perché il referendum possa essere valido occorre che abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto (quorum) e che sia stata raggiunta la maggioranza dei voti validi. Il quorum per la validità della votazione serve per verificare l'esistenza, nel paese, di un reale interesse all'abrogazione della legge. Le modalità di attuazione del referendum sono rinviate ad una legge ordinaria. di 41 83 Cristina Simoncini La legge n.352 del 1970 disciplina il procedimento referendario distinguendo in varie fasi: 1. Iniziativa per la raccolta delle firme: 500.000 elettori o cinque consigli regionali. Attività è attribuita dalla legge ai c.d. promotori, che sono costituiti da un numero di 10 cittadini che mettono in moto il meccanismo referendario mediante la presentazione alla cancelleria della Corte di Cassazione della richiesta del referendum, insieme al requisito da sottoporre al popolo con la domanda “volete che sia abrogata?” 2. Deposito del quesito e delle firme all'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione 3. Controllo della richiesta intesa come verifica degli adempimenti formali, svolta da un organo appositamente costituito presso la Corte di Cassazione, denominato Ufficio centrale per il referendum. 4. Giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale: l’ordinanza dell'Ufficio centrale che dichiara la legittimità della richiesta è trasmessa alla Corte costituzionale, la quale deve accertare se gli oggetti della richiesta referendaria rientrino tra le materie per le quali l’art. 75 esclude la possibilità della proposizione del referendum. 5. Indizione a cura del Presidente della Repubblica: avuta la comunicazione da parte della Corte costituzionale dell'ammissibilità il Presidente deve indire il referendum, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. 6. Votazione dello scrutinio delle schede (per la validità è previsto un quorum di partecipazione) 7. Proclamazione del risultato a cura dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione. A seguito della proclamazione il Presidente della Repubblica dichiara, con proprio decreto, l'avvenuta abrogazione dell'atto oggetto di referendum. Il decreto del Presidente della Repubblica viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e l'abrogazione ha effetto dal giorno successivo alla pubblicazione ha effetto l’abrogazione. Le cause di inammissibilità referendum abrogativo possono essere per 1. ipotesi attinenti alla natura della legge o al suo contenuto: - Causa espressa di inammissibilità ex art. 75 - Leggi costituzionali e leggi cd. rinforzate - Leggi a contenuto costituzionale rinforzato, ossia le norme necessarie per il funzionamento di organi costituzionali e la cui abrogazione determina l'impossibilità di funzionamento dell'organo - Leggi costituzionalmente obbligatorie (leggi elettorali) 2. ipotesi attinenti alla formulazione del quesito: - Lo scopo deve essere chiaro - La domanda posta in modo chiaro, al fine di non confondere gli elettori - Il quesito deve essere omogeneo, non può contenere più richieste che non siano riconducibili ad un unica ratio Diritto di petizione (art. 50) Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. Questo diritto tuttavia è assai poco utilizzato nelle democrazie contemporanee, dove i canali per esprimere l'opinione pubblica possono essere assai sofisticati, mentre petizioni al Parlamento hanno ben poche possibilità di creare consenso politico. ALTRI ORGANI STATALI di 42 83 Cristina Simoncini Regioni, distribuiti a seconda delle dimensione e della tipologia degli interessi. Gli altri limiti alla competenza legislativa regionale concorrente sono: - il limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato: lo Stato con legge deve determinare i principi, mentre la Regione, a sua volta con legge, deve stabilire con a normativa di dettaglio rispettando i principi posti dalla legge statale. - il limite costituzionale e territoriale: la legge regionale è ovviamente inferiore alla Costituzione e deve quindi rispettarne le disposizioni ed i principi in essa contenuti; inoltre la legge regionale ha un ulteriore limite nel proprio territorio, nel senso che non può disciplinare fatti e fenomeni esterni al territorio regionale. - il limite degli obblighi internazionali e comunitari: all’art.117 (comma 5) prevede che le Regioni hanno competenza anche laddove le materie a loro attribuite impattino con obblighi internazionali e comunitari, pur sempre nel rispetto delle norme di procedure stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La Regione può eseguire la direttiva europea anche prima dell'emanazione da parte dello Stato della c.d. legge europea. Se i principi sono incompatibili con la legge regionali essi prevalgono su quest'ultima. Dopo l'ordine di esecuzione del trattato la Regione può procedere alla sua attuazione. In caso di inadempimento, lo Stato può legiferare nell'ambito di competenza regionale, solamente dopo che la Regione si è resa inadempiente nella sua attuazione. - interessi unitari e competenze locali: nel primo caso ciò si verifica allorquando vi siano interessi che non possono essere tutelati che unitariamente attraverso una norma dello Stato; nel secondo caso, al contrario, ciò avviene quando la norma costituzionale riserva agli enti locali la disciplina di alcune materie attraverso una propria fonte (il regolamento). Potestà legislativa residuale La Costituzione attribuisce la c.d. competenza de residuo, cioè la competenza su tutto quanto non espressamente ricompreso negli elenchi, alle Regioni. La Costituzione ha poi introdotto la possibilità di un c.d. regionalismo differenziato in tema di competenze legislative, in qualche modo “a richiesta” da parte delle stesse Regioni, ma con un controllo finale da parte dello Stato. La Costituzione, prevede infatti che alle Regioni possono essere attribuite ulteriori forme di autonomia quando lo richieda la Regione interessata, sentiti gli enti locali, previa intesa tra Regione e Stato, e queste ulteriori competenze vengano riconosciute attraverso una legge statale approvata a maggioranza assoluta. Inversione delle competenze Mentre nel vecchio testo era lo Stato ad avere competenza generale e le Regioni competenze determinate, il nuovo art.117 della Costituzione attribuisce alle Regioni la competenza generale, e allo Stato la competenza su materie specifiche. L'art.117 recita lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie, segue poi un elenco di materie (politica estera, la moneta, l'organizzazione amministrativa dello Stato, la giurisdizione, l'armonizzazione dei bilanci pubblici…); accanto a queste, altre definite come competenze trasversali dello Stato: competenze che necessariamente vanno ad impattare sull'esercizio di altre competenze regionali. Ne deriva che non è possibile configurare il rapporto tra leggi statali e leggi regionali in termini di netta separazione: vi sarà sempre un “intreccio” di competenze all'interno del quale lo Stato potrà porre alcune norme mentre le Regioni altre. di 45 83 Cristina Simoncini Regioni a statuto speciale Le Regioni a statuto speciale godono di particolare forme di autonomia e di particolari poteri conseguenti a statuti approvati con le leggi costituzionali, il cui grado di autonomia è determinato dagli statuti. Queste forme speciali di autonomia furono allora giustificate, o in ragione della arretratezza economica (come nel caso delle regioni insulari) o per ragioni di tutela di minoranze linguistiche (come nel caso delle regioni di confine). Le Regioni a statuto speciale sono la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Potestà statuaria: le regioni a statuto speciale, che sono approvati con legge costituzionale, possono essere dotati delle stesse condizioni di autonomia delle Regioni ordinarie sulle forme di Governo, attraverso le c.d. leggi statuarie. Le leggi statuarie debbono essere approvate a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale e possono essere sottoposte a referendum confermativo, qualora ne facciano richiesta, entro tre mesi dalla pubblicazione, un cinquantesimo del corpo elettorale regionale o un quinto dei membri del Consiglio. Se il Consiglio regionale approva la legge con la maggioranza dei due terzi si innalza il numero degli elettori che possono richiedere il referendum, mentre questo diviene non più richiedibile dalla minoranza consiliare. La legge statuaria deve avere un contenuto che sia “in armonia con la Costituzione”. Come per le Regioni a statuto ordinario il Governo esercita un potere di controllo sulla legge statuaria. Potestà legislativa: le Regioni a statuto speciale rimangono titolari della competenza legislativa esclusiva, della competenza concorrente, della competenza integrativa. La competenza esclusiva implica il potere delle Regioni di approvare leggi nell'ambito delle materie previste nello statuto. Tali leggi, come nel caso della competenza legislativa residuale delle Regioni ordinarie, sono sottoposte al limite costituzionale, al limite territoriale, e al limite degli obblighi internazionali e comunitari, oltre ai limiti derivanti dalle competenze trasversali dello Stato. Autonomia amministrativa Le funzioni amministrative sono normalmente attribuite ai Comuni, ma qualora occorra assicurarne l'esercizio unitario, sono conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Il principio di sussidiarietà, in diritto, è il principio secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione. Il Comune è dunque individuato dalla Costituzione come la sede più idonea per l'esercizio delle funzioni amministrative, nell'idea che l'esercizio di tali funzioni debba essere svolto nel livello amministrativo più vicino ai cittadini; tuttavia questa attribuzione di competenza può essere derogata quando occorra un esercizio unitario delle funzioni, in tali casi l'attribuzione delle funzioni amministrative sale di livello, dovendo essere attribuita a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. La scelta tra questi enti deve avvenire sulla base del principio della adeguatezza, differenziazione e sussidiarietà. Questa ultima espressione, denominata sussidiarietà verticale, vuole indicare la preferenza di inserire le funzioni amministrative al livello più vicino ai cittadini, e dunque, quando non sarà possibile attribuirle ai Comuni, esse dovranno essere attribuite ai livello di governo superiori. Il principio di sussidiarietà in senso orizzontale invece riguarda i rapporti tra lo Stato e le formazioni sociali, dotate ex art.2 Cost. di una tutela costituzionale: impone allo stato e gli enti sub statali di favorire l'autonomia dei privati in forma singola o associata nell'esercizio delle funzioni di interesse generale. di 46 83 Cristina Simoncini Autonomia finanziaria Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. La Costituzione stabilisce che le Regioni hanno risorse autonome: possono stabilire e applicare tributi ed entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Si parla di federalismo fiscale dal momento in cui i trasferimenti dallo Stato alle Regioni effettuati in base ai cs. costi storici (quindi in base a quanto costa a quella determinata regione garantire un servizio) devono essere aboliti, sostituiti con tributi propri e quote di tributi erariali per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, determinati invece sulla base dei c.d. costi standard (cioè quanto costa quel servizio nella media); ciò premierebbe le Regioni più virtuose e spingerebbe le Regioni meno virtuose a divenire più efficienti. Con alcune sentenze la Corte ha chiarito che allo Stato non è consentito istituire fondi di finanziamento delle attività regionali, né prevedere finanziamenti laddove vi fosse competenza regionale, al fine di evitare che potesse ripetersi quel fenomeno che accadeva in passato, quando la gran parte delle risorse assegnate alle Regioni era vincolato a perseguire finalità determinate dallo Stato. Per quanto riguarda i tributi propri c'è il divieto di doppia imposizione: la regione non può tassare un presupposto di imposta che è già oggetto di tassazione statale. Raccordi Stato - Regioni Da un punto di vista costituzionale manca un modello di coordinamento ed una sede dove questo coordinamento possa avvenire, mentre a livello di fonti ordinarie, con il d.lgs. 281/1997, sono state rideterminate le funzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. L'idea del legislatore era quella di realizzare, attraverso la Conferenza, quel coordinamento di funzioni tra Stato e Regioni, basato sul principio di collaborazione che il testo costituzionale non aveva espressamente previsto. La Corte, in applicazione del principio di leale collaborazione, ha distinto tra intese forti e intese deboli: - le forti intese costituiscono condizioni necessarie per la corretta approvazione dell'atto finale; cosicché occorre un assenso di entrambi gli enti per l'assunzione dell'atto - le deboli intese invece costituiscono una fase necessaria del procedimento, fase tuttavia superabile allorquando l'intesa non si raggiunga. In questo ultimo caso prevale infatti lo Stato, responsabile della decisione finale Ordinamenti enti locali (funzione amministrativa) Le Regioni devono svolgere funzioni legislative e di programmazione, mentre le funzioni amministrative dovrebbero essere svolte dagli enti locali (Comuni. Province, Città metropolitane) come previsto dall'art.118 della Costituzione. Gli enti locali sono definiti come enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione; è dunque la Costituzione oggi, e non la legge, a garantire sia la potestà statuaria degli enti locali sia a potestà regolamentare. - Comune: ente locale rappresentativo della propria comunità, di cui cura gli interessi e promuove lo sviluppo, dotato di autonomia statuaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché di di 47 83 Cristina Simoncini Ciclo europeo di bilancio Il “ciclo” del bilancio dello Stato è stato riformato nel 2009 e poi nel 2011, principalmente allo scopo di adeguare e coordinare i tempi ed i contenuti della programmazione finanziaria ai vincoli stringenti dell'Unione Europea, la quale interviene inizialmente a monte del processo, definendo il quadro complessivo macroeconomico dell'Unione Europea, ed a valle della fase programmatoria dei Governi, valutando gli strumenti generali di politica economica degli Stati membri. La sessione di bilancio, nella quale vengono approvati gli strumenti fondamentali della politica economica dello Stato, costituisce quindi solo la fase terminale di un ciclo integrato di bilancio che ha una durata annuale. Il ciclo di bilancio è suddiviso in un - semestre europeo, ossia una procedura che si instaura nei primi sei mesi dell’anno, in cui vengono definite, con il coordinamento di Consiglio e Commissione, le politiche economiche degli Stati membri, sia per quanto riguarda il bilancio, sia per le riforme e gli interventi strutturali - semestre nazionale, ossia una procedura che si instaura nei sei mesi finali, in cui gli stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. Le entrate e le spese statali, assieme alla distribuzione tra i diversi settori dell’amministrazione, sono stabilite attraverso il bilancio dello Stato, la cui approvazione è riservata al Parlamento, che provvede con l’apposita legge di bilancio. 1. Entro la fine di Gennaio di ogni anno la Commissione UE elabora l’analisi annuale sulla crescita economica europea e, su proposta della Commissione, nel mese di Marzo il Consiglio UE approva le linee guida relative ai principali obiettivi della politica economica, indicando eventuali riforme per perseguirle. 2. Preso atto delle linee guida, il Governo, entro Aprile, presenta alle Camere il DEF (Documento di economia e finanza), uno strumento di programmazione economica, che deve essere implementato da leggi ordinarie, contenente: - Programma di stabilità, ossia gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica per il triennio successivo - Analisi e tendenze della finanza pubblica - Programma nazionale di riforma, ossia l’illustrazione dello stato di avanzamento delle riforme avviate, l’analisi degli squilibri economici e la previsione degli oggetti delle riforme proposte In allegato al documento vi sono poi i cd. disegni di legge collegati alla manovra finanziaria, che servono per modificare l’ordinamento vigente rispetto agli obiettivi prefissati dal DEF, il quale può anche contenere la relazione con cui il Governo chiede al Parlamento di essere autorizzato all’indebitamento e a discostarsi temporaneamente dagli obiettivi programmatici in presenza di eventi eccezionali. 3. Entro la fine di aprile il Parlamento approva il DEF attraverso una risoluzione 4. Il DEF viene così inviato a Bruxelles, dove il Consiglio Europeo ne valuta i programmi che gli stati hanno stabilendo, fornendo eventuali indicazioni di modifica 5. Entro la fine di Giugno, il Governo intanto presenta alle Camere il rendiconto generale dello Stato, in sostanza un bilancio consuntivo relativo all’anno precedente, ed eventualmente il cd. disegno di legge di assestamento per riportare i conti in linea con gli obiettivi, qualora vi siano stati scostamenti 6. Entro fine Luglio la Commissione e il Consiglio UE devono comunicare lo stato di valutazione dei programmi stabiliti dalle riforme di 50 83 Cristina Simoncini 7. Il Governo, ottenute le eventuali indicazioni sul DEF dal’UE, presenta entro fine settembre la nota di aggiornamento del documento, recependone le indicazioni, dando vita al NADEF (nota di aggiornamento del DEF). La NADEF deve essere approvata dal parlamento mediante una risoluzione, ed eventualmente anche in questo caso il Governo può chiedere l’autorizzazione all’indebitamento per cause eccezionali che si rendono necessarie dopo la verifica del bilancio consultivo 8. Entro il 15 Ottobre il Governo deve presentare alle Camere il disegno di legge di bilancio ex art. 81 Cost., che contiene l’andamento delle entrate e delle spese di ciascun Ministero sulla base degli interventi previsti dal DEF 9. La sessione di bilancio inizia con l’esame generale da parte delle Commissioni permanenti competenti per il bilancio e delle Commissioni per materia. I tempi sono definiti dai regolamenti parlamentari, comunque l’esame in prima lettura ha una durata massima di 45 giorni alla Camera e 35 al Senato. 10. Entro fine novembre arriva la valutazione della Commissione Europea sul Documento programmatico di bilancio 11. Entro il 31 Dicembre il Parlamento deve approvare la Legge di bilancio; in assenza, deve autorizzare con la legge l’esercizio provvisorio del bilancio, che autorizza il Governo a riscuotere le entrate ed erogare le spese, secondo le previsioni del bilancio non ancora approvato, ma non per più di quattro mesi. 12. Il ciclo di bilancio si conclude entro il mese di Gennaio, con la presentazione degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di 51 83 Cristina Simoncini DIRITTO INTERNAZIONALE Rapporto diritto interno - diritto internazionale: teoria dualistica L'art.10, 1° della Costituzione prevede che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e l’art.11 afferma che si consente, a condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. A questa linea di apertura alle organizzazioni internazionali si contrappone invece una certa chiusura sulla forza da attribuire ai trattati internazionali: la Costituzione sembra infatti escludere che i trattati internazionali possano essere forniti di una forza superiore nel sistema delle fonti rispetto alla legge che li recepisce. Inoltre, il sistema di relazioni tra diritto interno e diritto internazionale, si basa su un modello dualistico, per cui i rapporti tra ordinamento internazionale e ordinamento interno sono collocati su piani paralleli, per cui i criteri di validità devono essere ricercati negli ordinamenti di provenienza, quindi norme valide da un punto di vista dell'ordinamento interno possono non essere valide nei rapporti con l'ordinamento sovranazionale, e viceversa. La teoria monistica, invece, descrive l’ordinamento dello Stato come una derivazione dell’ordinamento internazionale dal quale trae la sua sovranità, idea supportata anche dalla Corte di Giustizia nell’importante sentenza del 1978 Simmenthal, dove esplicita che le norme comunitarie fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico interno. Consuetudini internazionali L’art. 10 della Costituzione prevede l’adattamento automatico delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, per cui la Costituzione rinvia alla fonte esterna che acquisisce forza nell'ordinamento senza necessità di altri atti di ricezione da parte di fonti interne. Le norme consuetudinarie sono poste in essere dal comportamento ripetuto e costante degli stati e si indirizzano a tutti i membri della comunità internazionale; esse sono fonti-fatto in quanto non derivano da manifestazioni di volontà, quanto invece da comportamenti ripetuti nel tempo caratterizzati dalla convinzione di seguire una regola giuridica, e sono recepite dal nostro ordinamento tramite l’art. 10, comma 1, che ne determina il rango costituzionale, e di conseguenza qualsiasi norma interna in contrasto risulta incostituzionale. La consuetudine internazionale incontra solo il limite dei principi costituzionali, intoccabili anche dalle revisioni costituzionali, infatti, qualora la consuetudine di diritto internazionale fosse contraria ai principi fondamentali posti dalla Costituzione, l'art.10 della Costituzione non opporrebbe e dunque non vi sarebbe neppure adattamento automatico. Trattati internazionali Il trattato internazionale è un accordo di natura negoziale che intercorre tra due o più stati, diretto a regolare una determinata sfera di rapporti tra questi ultimi, per cui diventa vincolante. Il diritto internazionale lascia agli stati la più ampia libertà in ordine alle procedure per la conclusione di un trattato internazionale. I trattati ordinari prevedono la negoziazione fra gli stati, con la conseguente firma di un rappresentante di un Governo, e la ratifica del Presidente della Repubblica; mentre i trattati di natura politica, oneri alle finanze o di modifica delle leggi, oltre alla firma del rappresentante di 52 83 Cristina Simoncini DIRITTI E LIBERTA’ DELLA COSTITUZIONE Principi fondamentali La parte iniziale della Costituzione (dall'art.1 all'art.12) è dedicata ai principi fondamentali. Si trovano in questa parte i principi generali ai quali la Costituzione si ispira, principi che caratterizzano la forma di Stato voluta dal costituente e che condizionano l'interpretazione delle altre norme costituzionali. La Costituzione tutela tre gruppi di diritti che possiamo considerare tre generazioni perché si sono affermate nel corso del tempo con modalità diverse che si sono susseguite le une alle altre: 1. Diritti di prima generazione: libertà civili (dall'art.13 al 28). Idea di affermazione di un nucleo intangibile dell'individuo (libertà personale, libertà di domicilio, libertà e segretezza della corrispondenza.) e vengono dette libertà dallo Stato perché in esse i pubblici poteri non possono ingerirsi nei limiti previsti dall'ordinamento stesso; 2. Diritti di seconda generazione: libertà e i diritti politici (libertà di partecipare alla cosa pubblica, diritto di voto art.48...); 3. Diritti di terza generazione: diritti economico sociali che si trovano al titolo 2 e 3 della prima parte della Costituzione (è tutelata la famiglia, la maternità, l'infanzia, la gioventù, diritto alla salute art.32, diritto all'istruzione art.33, tutela della donna lavoratrice art.37). Diritti economico-sociali arrivano solo con lo stato costituzionale nelle costruzioni del secondo dopoguerra; questi diritti comportano un obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di garantire determinate prestazioni nei confronti del destinatari. 4. Diritti di quarta generazione: nuovi diritti, quelli che si sviluppano sulla base del progresso tecnologico, scientifico che portano ad un allargamento dei diritti fondamentali che viene progressivamente riconosciuto anche dal giudice (dopo il legislatore) es. protezione del dati personali, possibilità di cambiare sesso. Principio democratico - Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Il corpo elettorale (popolo) è un organo costituzionale. In tale articolo viene sancito il riconoscimento del referendum istituzionale del 2 giugno 1946; si definisce la struttura essenziale dello Stato, dal punto di vista economico-politico e della forma di governo. Esso va letto in parallelo e di concerto con il fondamentale art.139 della Costituzione: la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Infine, viene affermato il fondamentale principio del lavoro, fondamento dell'idea e dell'architettura costituzionale. Principio personalista- Art. 2 Costituisce la norma di riferimento in materia di diritti fondamentali, prevedendo che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La Costituzione qui afferma il primato della persona rispetto allo Stato e la centralità dei diritti dell’uomo: i diritti inviolabili dell'uomo vengono prima dello Stato, questi non possono essere conseguenza di una sua autolimitazione; la persona non è servente allo Stato ma è lo Stato ad essere servente verso la persona. di 55 83 Cristina Simoncini Ci si chiede quale sia la funzione di tale principio fondamentale e quali siano i diritti inviolabili ai quali l’art. 2 fa riferimento senza elencarli. 1. Una prima test afferma che l’art. 2 è una norma “a fattispecie aperta”, idonea a riconoscere il livello costituzionale di diritti che emergano dall’evoluzione della coscienza sociale; dunque a tutela di quei diritti non solo previsti in Costituzione, ma considerati come fondamentali perché ritenuti tali dalla coscienza sociale oppure naturali dell’uomo. Questa tesi però riporta alcune controindicazioni: - voler trarre direttamente da una norma generale di principio quale l'art.2 nuovi diritti soggettivi, comporta un'eccessiva apertura verso diritti di contenuto indeterminato - tale visione non è necessariamente garantista, poiché ad ogni diritto corrisponde un obbligo, questi nuovi diritti immessi attraverso la clausola dell'art.2 creerebbero necessariamente nuovi obblighi che andrebbero a limitare diritti espressamente sanciti in Costituzione. 2. Una seconda tesi afferma che l’art. 2 si riferisce ai diritti espressamente previsti dalla Costituzione, sia pure interpretati in modo estensivo, per cui l’art. 2 faccia riferimento a quei diritti fondamentali già esistenti in Costituzione, cosicché la norma costituzionale non avrebbe la funzione di riconoscere nuovi diritti che non siano ivi considerati. I nuovi diritti, quando essi vi siano, dovranno invece essere tratti dalle norme costituzionali esistenti attraverso un'attività interpretativa nella quale il principio della tutela della persona umana, come espresso dall'art.2, funga da strumento di interpretazione di altre norme, e non invece da clausola generale di immissione diretta i nuovi diritti. Questa tesi appare più convincente ed alla fine anche più garantista della precedente, perché, pur senza voler impedire l'ingresso di nuovi diritti in conseguenza dell'evoluzione storica e sociale, garantisce una maggiore certezza, collegando l'estensione della tutela costituzionale a norme esistenti. Anche la seconda tesi però presenta dei limiti perché se noi consideriamo l'articolo 2 come una fattispecie chiusa, meramente introduttivo dei diritti costituzionali affermati agli art.13 ss., non avrebbe senso di esistere. La verità sta nel mezzo: riconoscere i diritti inviolabili come diritti fondamentali del singolo delle formazioni sociali, dove si svolge la personalità del singolo, eleva questi diritti a diritti inviolabili e non sono evidentemente soltanto quelli previsti agli art.13 ss. È possibile un'interpretazione evolutiva perché altrimenti la Corte costituzionale non avrebbe potuto dire che le stesse garanzie previste per il domicilio si applicano anche al bagagliaio della macchina, non avrebbe potuto dire che le garanzie previste per la libertà di stampa, come mezzo di manifestazione del pensiero ai sensi dell'art 21 Cost, si applicano anche ad internet. Non è neanche vero che tutti i diritti possono essere ritenuti inviolabili: sono inviolabili quelli che trovano un fondamento nelle norme costituzionali, cioè l'interpretazione evolutiva dei diritti inviolabili è possibile, l'art 2 può essere considerato una fattispecie aperta ma con il limite di trovare fondamento nelle norme costituzionali (es. l'art 9 Cost. prevede che la Repubblica tuteli il paesaggio, l'art.32 Cost prevede che la Repubblica tuteli la salute: dalla lettura incrociata la Corte costituzionale ha ricavato il nuovo diritto fondamentale inviolabile di ciascuno di noi a vivere in un ambiente sano). L’art. 2 tutela la persona umana non solo come singolo ma anche all'interno delle formazioni sociali, attribuendo anche a queste ultime quegli stessi diritti che sono riconosciute alle persone. Con questa statuizione la Costituzione ha infatti voluto sancire il principio pluralista, intendendosi con ciò che anche le formazioni sociali debbono godere degli stessi diritti che spettano agli individui. Questo perché l'individuo esplica la sua personalità non in maniera individualistica, ma di 56 83 Cristina Simoncini insieme ad altre persone, e le formazioni sociali generano comunità intermedie tra l'individuo e lo Stato che hanno anche la funzione di bilanciare ulteriormente il potere dello Stato. Infine l'art.2 richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale: oltre ai diritti vi sono anche doveri, che eticamente e socialmente debbono essere assolti per il semplice fatto di appartenere ad un consorzio di persone. Principio di uguaglianza - Art. 3 Eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. L'eguaglianza formale deriva dal principio che tutti i cittadini sono uguali, poiché nascono uguali e pertanto in maniera uguale devono essere trattati dalla legge. In conseguenza la legge è generale ed astratta proprio al fine di garantire a tutti un eguale trattamento. Il principio di uguaglianza in senso formale contiene in sé tre diversi significati, alcuni dei quali frutto dell'interpretazione evolutiva della Corte Costituzionale. Questi significati sono così riassumibili: a. la Costituzione individua alcuni ipotetici fattori “storici” di discriminazione, determinandone le fattispecie tipiche, che sono il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche, le condizioni personali e sociali b. uguaglianza significa non solo che tutti debbono essere trattati in maniera uguale, ma che la legge deve trattare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera diversa situazioni diverse; Eguaglianza sostanziale: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. L'eguaglianza sostanziale ha invece un'evidente matrice sociale: posto che non tutte le persone nascono con le medesime possibilità di sviluppo a causa di diseguaglianze in ordine sociale ed economico che di fatto ne limitano la libertà, queste diseguaglianze debbono essere rimosse dallo Stato al fine di garantire non solo un'astratta eguaglianza formale, ma appunto una concreta eguaglianza sostanziale. Per tutelare l'eguaglianza sostanziale si dovrà alle volte sacrificare l'eguaglianza formale. Principio da cui si ricava in generale un dovere a carico dello Stato. Si tratta di una norma generale, che non individua di fatto tali situazioni di diseguaglianza, lasciando il legislatore libero; tuttavia in certi casi, l'esistenza di situazioni di diseguaglianza di fatto è apprezzata dalla stessa Costituzione, che prevede norme già perequative a livello costituzionale, in relazione a situazioni particolari (ad esempio l’art. 37 tratta della tutela della donna lavoratrice madre). Le azioni positive, mutuate dal costituzionalismo americano, sono volte a consentire pari opportunità nei confronti di categorie di soggetti che partano da situazioni di svantaggio. Attraverso l'azione positiva infatti non si tutela solo una situazione soggettiva specifica considerata debole, parificandola alle altre, ma si tutelano le minori opportunità che derivano alle donne dalla differenza di sesso, dando dei vantaggi al soggetto debole. Le azioni positive costituiscono cioè un'ulteriore fase, ancora più avanzata, dell'uguaglianza sostanziale: attraverso di esse si cerca di tutelare le opportunità di lavoro o di accesso alle cariche elettive, o all'amministrazione di società del soggetto considerato debole. Principio lavorista Il tema del lavoro ricorre ben tre volte nella Costituzione, in tre articoli diversi che debbono tuttavia considerarsi intimamente legati e quindi congiuntamente analizzati. Art. 1 l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro di 57 83 Cristina Simoncini È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, a garanzia del detenuto, si pone il principio che è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva (riserva di legge). Dall'art.13 della Costituzione, inoltre, derivano altri diritti della persona che, pur non essendo espressamente enunciati dalla Costituzione, possono ritenersi ricompresi all'interno della libertà personale, come il diritto all’identità personale, che a sua volta si estrinseca in altri diritti connessi con la sfera personale dell'uomo e con la sua possibilità di interagire nella vita sociale, come il diritto al nome, il diritto all'immagine, il diritto alla libertà sessuale. Anche il c.d. diritto alla riservatezza, che pure trova agganci diversi in varie norme costituzionali, trae il suo fondamento primo dalla tutela della libertà personale. L'inviolabilità della libertà personale non esclude restrizioni (per es. fermi e arresti) da parte della pubblica autorità, purché - sia la legge a stabilirlo - e il giudice a disporre motivatamente il provvedimento. Se vi è la necessità di intervenire urgentemente, il giudice sarà chiamato a convalidare il provvedimento ex post. Libertà di domicilio - art. 14 Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. Libertà che ricalca la libertà personale, spostando le garanzie sul domicilio della persona. Può dirsi che il domicilio "coperto" dalla norma costituzionale è il luogo nel quale la persona svolge attività connesse con la sua vita privata e dal quale intende escludere soggetti terzi. In questo senso la libertà di domicilio, a differenza della libertà personale, è una vera e propria libertà negativa, poiché il suo contenuto si sostanzia nel diritto di escludere altri dal luogo nel quale si svolge la propria vita privata. Ispezioni, perquisizioni e sequestri non possono avvenire se non in presenza di una riserva assoluta di legge, e con atto motivato dell'autorità giudiziaria, come per la libertà personale. Per i motivi previsti dal terzo comma, accertamenti ed ispezioni possono avvenire senza un provvedimento dell'autorità giudiziaria, poiché si ritiene vi siano in gioco interessi costituzionalmente preminenti (motivi di sanità, di incolumità pubblica, i fini economici e fiscali). Libertà di circolazione e di soggiorno - art. 16 Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza (riserva di legge rinforzata). Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. La libertà di circolazione è garantita da una riserva di legge rinforzata, poiché essa può essere limitata solo per motivi di sanità e sicurezza, stabiliti in via generale. Questa libertà è riconosciuta espressamente ai soli cittadini, gli stranieri non godono della copertura costituzionale di questa libertà anche se ciò non implica che la legge ordinaria non possa riconoscere pari trattamento, sotto questo profilo, agli stranieri, ma soltanto che una legge che non riconoscesse pari trattamento non sarebbe incostituzionale. Questa differenza di disciplina tra la libertà personale (art.13) e la libertà di circolazione e soggiorno (art.16) impone di distinguere quando la fattispecie materiale rientra nell’art. 13 e quando di 60 83 Cristina Simoncini nell’art. 16: nel primo caso la limitazione alla libertà personale può avvenire solo con provvedimento motivato del giudice, mentre nel secondo caso è sufficiente un provvedimento adottato dall'autorità amministrativa. L'ultimo comma dell'art.16 infine tutela la libertà di espatrio: ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. In conseguenza della previsione costituzionale il cittadino ha diritto ad ottenere il passaporto, senza alcuna valutazione discrezionale da parte del potere pubblico, salvi gli obblighi che sono previsti dalla legge I limiti ai diritti di libertà sono soltanto quelli espressamente previsti dal dettato costituzionale oppure in esso impliciti, in quanto deducibili in via sistematica. I limiti impliciti devono però essere specificati dalla legislatore (bilanciamento operato dal legislatore). Libertà di comunicazione e corrispondenza - art. 15 La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. L'art.15 della Costituzione garantisce la libertà di comunicare in ogni forma con una o più persone determinate, escludendo altri da tale comunicazione, con una doppia riserva di legge e di giurisdizione: la limitazione alla libertà di corrispondenza e di comunicazione può avvenire solamente per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie previste dalla legge. Da un punto di vista della tutela costituzionale le garanzie previste per la libertà di comunicazione sono quindi addirittura superiori rispetto a quelle individuate per la libertà personale; non è infatti prevista la possibilità, espressamente disciplinata invece dall'art.13, di provvedimenti di urgenza emanati dall'autorità di pubblica sicurezza, perché per ogni limitazione alla libertà di comunicazione e corrispondenza occorre sempre un atto motivato dell'autorità giudiziaria. Questa maggiore tutela si spiega con la necessità di garantire il terzo estraneo, destinatario della comunicazione o della corrispondenza, rispetto alla persona sottoposta a indagini. In applicazione di questo principio la legislazione prevede infatti sempre la necessità dell'autorizzazione preventiva del giudice per le intercettazioni. Libertà di manifestazione del pensiero - art. 21 Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali della polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida entro le ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. di 61 83 Cristina Simoncini L’articolo si concentra quasi esclusivamente sulla libertà di stampa, al tempo dei costituenti la televisione non esisteva, così come internet e la possibilità di manifestare il proprio pensiero con strumenti di immediato e facile accesso a chiunque. Per tale ragione l’interpretazione dei principi sulla libertà di manifestazione del pensiero risulta complessa. La libertà di pensiero poi non si sostanzia solamente nel diritto di manifestare con ogni mezzo il proprio pensiero, ma anche nel diritto di informarsi e di essere informato: vi è dunque in questa libertà sia una componente attiva (la libertà di manifestare il proprio pensiero) e sia una componente passiva (il diritto a ottenere informazioni). Vi sono diversi limiti per questa libertà, a seconda che si consideri la componente attiva o passiva. In relazione alla componente attiva i limiti sono sia espressi, direttamente previsti dalla costituzione, sia impliciti, dunque ricavabili dai principi generali. I limiti espressi sono quelli previsti dall'ultimo comma dell’art. 21, che afferma che sono vietate le pubblicazioni a stampa gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume; da intendersi nell'accezione penalistica di comune senso del pudore e di pubblica decenza, è un concetto relativo, non definibile a priori, in quanto varia notevolmente secondo le condizioni storiche, di ambiente e di cultura. I limiti impliciti derivano dall'esistenza di altri diritti costituzionalmente protetti che non possono essere violati attraverso l'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero e possono essere ricondotti alla tutela dei diritti della personalità, quali l'onore, la riservatezza, la reputazione: derivano dal bilanciamento operato dal legislatore tra manifestazione del pensiero e altri diritti costituzionali. Libertà religiosa - art. 19 Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si trattai di riti contrari al buon costume. Il diritto tutela la libertà di: - professare la fede religiosa - propaganda in ambito religioso - culto Regime delle associazioni e istituzioni ecclesiastiche e religiose o di culto - art.20 Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività. Tale diritto vuole evitare discriminazioni in senso peggiorativo degli enti caratterizzati dal fattore religioso. Libertà di riunione - art. 17 I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietale soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. di 62 83 Cristina Simoncini Partiti politici - art. 49 Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. I partiti politici sono definibili come organizzazioni della società civile, in quanto espressione della libertà di associazione, e non invece organi dello Stato. I partiti politici fungono da raccordo tra la persona e le istituzioni della democrazia rappresentativa, permettendo alla volontà popolare di esprimere i propri rappresentanti e quindi di verificarne l'operato, tanto da poter essere definiti, come ha scritto la Corte costituzionale, tra i cardini essenziali dell'ordine democratico. La Costituzione pone i partiti a servizio dei cittadini. Secondo la norma costituzionale, infatti, sono i cittadini e non i partiti a determinare la politica nazionale, o meglio, lo sono i cittadini attraverso i partiti, dal che consegue che questi ultimi costituiscono uno strumento dei primi per esercitare le proprie scelte politiche. Sindacati - art. 39 L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Anche i sindacati, così come i partiti politici, costituiscono formazioni sociali ai quali la Costituzione attribuisce funzioni di mediazione di interessi. La norma costituzionale era principalmente finalizzata alla stipula dei c.d. contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce. La ratio della norma, nel contesto sociale di allora, era limitare il potere del datore di lavoro di utilizzare la propria posizione di forza per imporre trattamenti diversi a seconda del bisogno, tutelando pertanto in maniera egualitaria i lavoratori a seconda delle categorie di appartenenza. I contratti collettivi, dunque, avrebbero dovuto essere fonti del diritto, in quanto dotati di contenuto generale ed astratto e di efficacia erga omnes. Perché i contratti avessero questo effetto, tuttavia, occorreva il possesso, in capo ai sindacati, dei requisiti previsti dalla Costituzione, e cioè: un ordinamento interno a base democratica, registrazione, personalità giuridica. All’art. 39 non è stata data attuazione per varie ragioni: inizialmente a causa della elevata sindacalizzazione in Italia e della esistenza di sigle sindacali anche molto piccole che avrebbero perso il proprio potere interdittivo, poi perché la norma costituzionale è stata ritenuta troppo rigida per contenere dinamiche contrattuali flessibili. Quindi i sindacati non sono registrati e non hanno pertanto personalità giuridica, con la conseguenza che i contratti collettivi dai medesimi stipulati non vincolano la intera categoria dei lavoratori alla quale il contratto si riferisce, ma solamente gli iscritti al sindacato. Questo implica che oggi i contratti collettivi non possono essere qualificati come fonti del diritto. di 65 83 Cristina Simoncini Diritto al voto - art. 48 Il punto di collegamento tra la prima parte della Costituzione (riferita ai diritti) e la seconda parte della Costituzione, che tratta dell'ordinamento, si colloca nell’art. 48 che disciplina il diritto di voto. Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Questa norma disciplina il c.d. elettorato attivo, indicando due requisiti per il suo esercizio: 1. la cittadinanza italiana: 2. la maggiore età Sono poi presenti ulteriori principi che caratterizzano il diritto al voto, ossia: - il voto è personale - il voto è eguale, secondo il principio democratico ogni testa un voto - il voto è un dovere civico: la partecipazione alla vita politica debba essere un impegno del cittadino - il voto non può essere limitato, se non per incapacità ci ile, sentenza penale irrevocabile, indegnità morale indicati dalla legge. Famiglia: la famiglia è considerata come prima delle società intermedie e come tale meritevole di adeguata considerazione e protezione da parte dello Stato. Art. 29 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, indicando con società naturale l'autonomia e la priorità della famiglia rispetto allo Stato, ricollegandosi in questo al modello complessivo della Costituzione; facendo riferimento al negozio giuridico del matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare Art. 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Nella famiglia di fatto il vincolo è in ogni istante revocabile. Figli: la responsabilità genitoriale e uguaglianza tra i figli, i genitori sono egualmente responsabili nei confronti di tutti i figli per il solo fatto della procreazione. Art. 30 È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti della famiglia legittima. di 66 83 Cristina Simoncini Salute - Art. 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana Il diritto alla salute è un diritto fondamentale dell'individuo ed un interesse della comunità, e la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti. Diritto all'integrità psico-fisica: diritto soggettivo che si risolve nella pretesa a che i terzi non pongano in essere atti che possono pregiudicarlo. Ha efficacia erga omnes e come tale sarebbe direttamente tutelabile ed azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti. Tra i problemi insorti a seguito del riconoscimento del diritto in questione vi è quello del necessario bilanciamento tra diritto alla salute della donna e diritto alla vita del nascituro, in tema di aborto e in tema di Pma. Giurisprudenza costituzionale in tema di aborto: - ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca tra i diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale - pari ha fondamento costituzionale la protezione della maternità (art.31, secondo comma, della Costituzione), rientrante tea diritti fondamentali relativi alla vita e alla salute della donna gestante Il bilanciamento tra detti diritti fondamentali, quando siano entrambi esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della vita e della salute della madre, dovendosi peraltro operare in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto. Dunque, la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla. Diritto ad essere curato: diritto alla salute è un diritto sociale che deve essere garantito a tutti, senza oneri e costi (principio di tendenziale gratuità). È un diritto costituzionalmente condizionato: le possibili limitazioni di questo diritto sono tuttavia temperate dal necessario bilanciamento con il principio costituzionale della tutela della dignità umana; vi è infatti un contenuto minimo del diritto che non può essere compreso, e che impone di non lasciare prive di tutela situazioni che possano ledere la dignità umana, e che dunque vincola, in questo senso, le scelte legislative. Tra i problemi insorti a seguito del riconoscimento del diritto in questione vi è quello del necessario bilanciamento tra diritto ad esser curato ed obiezione di coscienza del medico, e il diritto ad essere curato in modo consapevole, dunque il diritto al consenso informato. Diritto a non essere curato: i trattamenti sanitari obbligatori devono essere previsti dalla legge e sono costituzionalmente legittimi solo se contemporaneamente preordinati a tutelare la salute dell'individuo e quella collettiva. La norma quindi bilancia il diritto della persona di scegliere o meno se ricevere o meno cure medica, con il diritto della collettività a non subire effetti negativi dalle scelte individuali es. vaccinazioni obbligatorie o trattamenti relativi a malattie infettive e contagiose. Il trattamento sanitario obbligatorio è dunque un’eccezione rispetto al generale principio di libera scelta in ordine al trattamento medico. Premesso che in Italia manca una disciplina legislativa che regoli casi come quello dell’Englaro, la Corte di cassazione, muovendo dall'art.32 Cost., ha stabilito che l'idratazione e l'alimentazione artificiali con sondino nasograstrico non costituiscano in sé, oggettivamente una forma di di 67 83 Cristina Simoncini L’imparzialità è garantita da istituti processuali quali l'astensione, la ricusazione, l'incompatibilità e la remissione del processo. La terzietà, a differenza dell’imparzialità, qualifica solo la posizione dei giudici, l'imparzialità anche quella dei pubblici ministeri. Norme legislative prevedono la sostanziale irresponsabilità civile del giudice per le decisioni assunte: la legge 117/1988 prevede che il magistrato è responsabile soltanto in caso di dolo (cioè allorquando abbia agito intenzionalmente) o in casi di colpa grave (cioè per grave negligenza) con esclusione della responsabilità civile per colpa. di 70 83 Cristina Simoncini CORTE COSTITUZIONALE E LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE La Costituzione non determina le modalità di accesso alla Corte costituzionale, tuttavia ne disciplina le competenze (art. 134), la sua composizione (art. 135), l'efficacia delle sentenze (art.136), mentre rinvia ad una legge costituzionale e ad una legge ordinaria per a determinazione delle modalità dell'accesso (art.137). In base all'art.134 la Corte costituzionale è dunque competente a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e sui conflitti tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni; sulle accuse promosse dal Parlamento in seduta comune contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento e attentato alla Costituzione. In base all’art. 135 la Corte è composta da 15 giudici, eletti per un terzo dal Parlamento, per un terzo dalle supreme magistrature ordinarie ed amministrative e infine nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica. I giudici durano in carica nove anni, non sono rieleggibili e devono essere scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche, e gli avvocati dopo venti anni di esercizio della professione. La composizione della Corte presenta una componente politica, derivante dall'elezione dei cinque giudici da parte del Parlamento in seduta comune. Presenta una componente giurisdizionale, rappresentata dai cinque giudici di provenienza dalle supreme magistrature dello Stato. Presenta infine una componente di nomina presidenziale che dovrebbe porsi come elemento di congiunzione tra l'una e l'altra, proprio in conseguenza del ruolo rivestito dal Presidente della Repubblica come garante della regolarità costituzionale. L'art.136 sembra optare per un'efficacia soltanto pro futuro della dichiarazione di incostituzionalità (ex nunc) nel senso che la decisione della Corte si applicherebbe solo ai fatti sorti dopo la pubblicazione della sentenza di illegittimità costituzionale, e non invece ai fatti sorti prima di tale pubblicazione, ancorché basati su di una legge ormai dichiarata incostituzionale. Questa soluzione, tuttavia, è difficilmente conciliabile con le successive scelte che la normativa costituzionale ed ordinaria ha effettuato in tema di accesso alla Corte costituzionale, e dunque come vedremo non è stata accolta. La funzione di giudice costituzionale esclude ogni altra attività, per principio di incompatibilità. Per garantire l'indipendenza dalla politica, i giudici non possono essere candidati in elezioni politiche o amministrative, né possono svolgere attività inerenti ad associazioni o partiti politici. Anche se non esiste una norma scritta che prevede per i giudici costituzionali il divieto di iscrizione a partiti politici, vi è la prassi che il giudice, eventualmente iscritto, si dimette dal partito al momento della nomina. Come per i membri del Parlamento, le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle proprie funzioni non sono sindacabili, per quanto concerne l’immunità. Queste garanzie sono poi rafforzate da ulteriori garanzie finalizzate a tutelare l'indipendenza dell’organo: l'attribuzione di un ampio potere regolamentare inerente la propria organizzazione, nonché di un altrettanto rilevante potere di dettare essa stessa le regole procedimentali per i giudizi, costituisce una notevole garanzia di indipendenza, poiché implica la non sottoposizione della Corte costituzionale ad altri poteri dello Stato. di 71 83 Cristina Simoncini La gran parte delle funzioni della Corte costituzionali sono determinate dalla legge n. 87 del 1953, e inoltre l'autonomia organizzativa e regolamentare della Corte è prevista da quella stessa legge ordinaria e non invece da una legge costituzionale. Non vi è pertanto una riserva costituzionale di competenza in ordine al potere regolamentare della Corte costituzionale. La Corte ha come regola la collegialità: le decisioni sono prese da tutto il collegio con maggioranza dei votanti, ed in caso di parità prevale il voto del Presidente. La collegialità implica che non è possibile distinguere, all'interno della decisione, l'opinione della maggioranza rispetto ad una eventuale opinione contraria della minoranza; il nostro ordinamento non ha cioè previsto la regola della dissenting opinion, che consente ai giudici di esplicitare il dissenso dalla decisione, così come non ha previsto la possibilità della c.d. concurring opinion, che consente ai singoli giudici di far valere le ragioni particolari che hanno portato alla loro decisione. La Corte costituzionale, pur essendo un organo collegiale puro, ha un Presidente, che svolge principalmente la funzione di organizzare e dirigere i lavori. Il Presidente, che resta in carica per tre anni, viene eletto a maggioranza assoluta e a scrutinio segreto: se dopo due votazioni nessuno ha raggiunto la maggioranza assoluta, si procede al ballottaggio tra i due giudici che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità viene eletto il più anziano. Il Presidente della Corte non è il portatore di un proprio indirizzo giurisdizionale, anche se alcuni poteri che gli sono attribuiti possono assumere notevole rilievo: è dotato di un generale potere di organizzazione del lavoro della Corte che si estrinseca nella nomina del giudice relatore della causa, nella possibilità di convocare la Corte in Camere di Consiglio, nel potere di fissazione dell'udienza di trattazione della causa; e in caso di parità nelle votazioni, il voto del Presidente vale doppio. Il sistema delle fonti che disciplina la Corte - Legge n.1 del 1948: contiene alcune norme generali sul giudizio di legittimità costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte. - Legge costituzionale n.1 del 1953 Norme integrative della Costituzione sulla Corte: oltre a stabilire garanzie per i giudici costituzionali, fu attribuito alla Corte il giudizio di ammissibilità sul referendum abrogativo e la disciplina sul giudizio penale nei confronti del Presidente della Repubblica. - Legge ordinaria n.87 del 1953 (alla quale l'art.137 Cost. rinvia): detta una disciplina completa dell'organizzazione e del funzionamento della Corte. Essa contiene norme sulla costituzione e sulla indipendenza e le incompatibilità dei giudici, le regole generali di procedura applicabili a tutti i giudizi della Corte costituzionale, le norme specifiche relative alle questioni di legittimità costituzionale, le norme sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni e le Regioni. All'art.14 prevede che la “Corte può disciplinare l'esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza dei suoi componenti”. Bilanciamento dei diritti Nessun diritto è assoluto e illimitato, al contrario ogni diritto incontra limiti in altri diritti costituzionali: l'esercizio di un diritto non può impedire l'esercizio di un altro diritto, e per le stesse ragioni non è possibile individuare nella Costituzione una gerarchia di diritti. È il legislatore che deve, all'interno delle norme, bilanciare correttamente i diritti onde evitare che la tutela dell'uno renda non godibile l'altro. La legittimità costituzionale di questo bilanciamento è poi verificata, a valle, dalla Corte costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale. Il bilanciamento dei diritti, nel giudizio di costituzionalità, segue questo procedimento: di 72 83 Cristina Simoncini questione alla Corte costituzionale: una legge si dichiara incostituzionale non perché è possibile darne interpretazioni costituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali. Il giudice deve utilizzare i suoi poteri interpretativi per verificare se è possibile attribuire alla norma un significato costituzionale. Solo se tale interpretazione non fosse possibile, perché contraria alla giurisprudenza dominante (c.d. diritto vivente), il giudice dovrà verificare che la questione sia “non manifestamente infondata” ed eventualmente sollevare la questione di costituzionalità. Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale Qualora il giudice abbia accertato la sussistenza dei requisiti della rilevanza e della non manifesta infondatezza, nonché l'impossibilità dell'interpretazione conforme, emana un'ordinanza (le ordinanze, a differenza delle sentenze, sono atti c.d. di impulso, che normalmente – vi sono alcune eccezioni – non concludono il processo), con quale determina il c.d. thema decidendum, sospende il processo, e rinvia gli atti alla Corte costituzionale. Con l'ordinanza il giudice sospende il giudizio in attesa della decisione della questione da parte della Corte costituzionale: il processo a quo non può in effetti essere deciso se preliminarmente non viene risolta la questione di costituzionalità della legge. Sono poi previsti vari adempimenti di notifica, comunicazione, e pubblicazione dell'ordinanza a carico del giudice remittente, con caratteristiche strutturali e funzionali assai diversi: - Notifica: un tipico atto processuale finalizzato normalmente alla corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti. Secondo la legge l'ordinanza deve essere notificata alle parti del processo a quo e al Pubblico Ministero se il suo intervento nel processo è obbligatorio. Se la legge impugnata è una legge statale l'ordinanza deve essere notificata anche al Presidente del Consiglio dei Ministri; se si tratta di una legge regionale la notifica deve essere effettuata al Presidente della Giunta regionale. - Comunicazione: un atto di comunicazione data ai Presidenti delle Camere e, se la legge è regionale, al Presidente del Consiglio regionale. - Pubblicazione: un atto con fini conoscitivi. Non appena pervenuta alla cancelleria della Corte costituzionale l'ordinanza è pubblicata, su disposizione del Presidente della Corte, sulla Gazzetta ufficiale. Si tratta di una forma di pubblicità conoscitiva identica a quella prevista per gli atti normativi: l’instaurazione di un giudizio di costituzionalità sulla legge diviene infatti una questione di interesse generale, che va al di là della soluzione della lite dalla quale la questione è sorta. L'ordinanza di rimessione contiene vari elementi: - la motivazione sulla rilevanza, elemento importante per la successiva valutazione da parte della Corte costituzionale della ammissibilità della questione - la determinazione del thema decidendum, costituito dalla norma sospettata di incostituzionalità rispetto alla norma costituzionale o alle norme costituzionali invocate come parametri. La determinazione del thema decidendum è di fondamentale importanza, perché la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare sulla questione di legittimità, così come individuata dal giudice a quo nella sua ordinanza, rispettando il principio processuale del rapporto tra chiesto e pronunciato. Non fanno parte invece del thema decidendum i motivi che il giudice ha esplicitato per sostenere l'illegittimità costituzionale: la Corte costituzionale potrà in effetti argomentare in maniera diversa rispetto al giudice, poiché il giudizio costituzionale è un giudizio autonomo da quello a quo. - la motivazione sulla non manifesta infondatezza, anche essa rilevante in punto di ammissibilità della questione - la sospensione del processo di 75 83 Cristina Simoncini La Corte può poi dichiarare “quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata” (c.d. illegittimità consequenziale), per cui, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, determina le ulteriori norme legislative la cui illegittimità è derivata da quelle dichiarate incostituzionali. 2. Seconda fase: le caratteristiche generali del giudizio davanti alla Corte costituzionale Il giudizio davanti alla Corte costituzionale è un giudizio sulla legittimità della legge (giudizio oggettivo), dove predomina l'interesse dell'ordinamento alla rimozione di una norma legislativa incostituzionale. Ciò è ben dimostrato dal fatto che l'eventuale estinzione del processo a quo non incide sul giudizio costituzionale, che una volta instaurato prosegue indipendentemente dalla vicissitudini del giudizio dal quale è originato. Dal rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra i due giudizi derivano le regole sul contraddittorio davanti alla Corte: coloro i quali erano parti del processo a quo possono infatti costituirsi davanti alla Corte costituzionale per far valere le ragioni a sostegno o a difesa dell'incostituzionalità della legge, proprio perché dalla decisione della Corte dipenderanno gli esisti del giudizio. La costituzione delle parti, tuttavia, è configurata alla legge come eventuale ma non obbligatoria. Questo perché davanti alla Corte costituzionale predomina l'interesse generale dell'ordinamento alla conformità costituzionale e non invece l'interesse alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Oltre alle parti in giudizio a quo possono intervenire nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, o se trattasi di legge regionale, il Presidente della Giunta regionale. I filtri preliminari della Corte costituzionale: le decisioni processuali di inammissibilità e di restituzione degli atti al giudice a quo Le pronunce della Corte costituzionale si distinguono in sentenze, ordinanze e decreti. La sentenza è lo strumento con il quale la Corte giudica in via definitiva; gli altri provvedimenti sono adottati con ordinanza, mentre i provvedimenti del Presidente sono adottati con decreto. La distinzione tra decisioni definitive (sentenze) e decisioni non definitive (ordinanze) incontra tuttavia alcune eccezioni: vi sono alcune ordinanze (quelle di manifesta inammissibilità, le ordinanze di restituzione degli atti al giudice a quo e le ordinanze di manifesta infondatezza) che sono atti conclusivi del processo costituzionale. Nell'ambito delle decisioni che definiscono il giudizio le pronunce della Corte si distinguono poi in - decisioni processuali: la Corte costituzionale si limita a verificare la mancanza dei presupposti per poter giudicare; sono le decisioni di inammissibilità, che possono essere sentenze o ordinanze, e la decisione di restituzione degli atti al giudice a quo (che normalmente è un'ordinanza) e, per completezza, l'ordinanza di correzione degli errori materiali. La decisione di restituzione degli atti al giudice a quo non ha fondamento legislativo, ma è stata introdotta in via giurisprudenziale dalla Corte costituzionale. Con questa decisione la Corte costituzionale richiede al giudice a quo una nuova valutazione - decisioni di merito: superate le verifiche processuali, la Corte costituzionale deve passare all'esame del merito della questione, e cioè verificare se la questione di costituzionalità sia fondata. La dichiarazione di manifesta infondatezza si colloca quindi anteriormente alla discussione in pubblica udienza, che in tal caso non avviene, poiché essendo la questione manifestamente infondata la Corte non ritiene di dover approfondire il caso attraverso l'ulteriore fase processuale della discussione delle parti. di 76 83 Cristina Simoncini Incostituzionalità della legge: vizi della legge I vizi della legge sono classificabili in tre grandi tipologie: a) vizi formali: si tratta di quei vizi che afferiscono al procedimento di formazione dell'atto, nel senso che l'atto non è stato emanato secondo le regole costituzionali che presiedono al suo procedimento di formazione; b) vizi di incompetenza: si tratta di vizi che afferiscono al soggetto che ha emanato l'atto, nel senso che l'organo non era dotato della competenza costituzionale ad emanare l'atto del quale si discute; c) vizi sostanziali: si tratta di quei vizi che afferiscono al contenuto dell'atto, nel senso che l'atto in questione viola una norma costituzionale non procedimentale né attributiva di una competenza. Principalmente la Corte Costituzionale esercita la sua funzione di interprete in merito a tali vizi Le norme costituzionali contengono: - Regole: una legge sarebbe incostituzionale per diretta violazione di quella regola - Principi: non disciplina direttamente una determinata fattispecie, ma indica un valore che deve essere poi precisato dal legislatore. La portata del principio deve essere bilanciata con altri valori costituzionali dal legislatore. Inoltre, poiché la norma di legge che deve essere confrontata con la norma costituzionale prevede una regola, non può confrontarsi una regola con un principio: per svolgere un confronto omogeneo la Corte costituzionale deve prima estrapolare il principio dalla norma, poi trasformare il principio costituzionale in regola attraverso l'interpretazione, e poi confrontare la regola costituzionale dedotta con la regola legislativa impugnata. - Programmi: obbiettivi di trasformazione sociale cui tendere. L'illegittimità costituzionale per contrasto con una norma programmatica può dunque verificarsi solo quando il contenuto della legge sia manifestamente inconciliabile con le finalità perseguite dalla norma. Vi sono poi dei casi nei quali il controllo di costituzionalità si svolge avendo come parametro non direttamente la norma costituzionale, ma una norma di natura diversa, la violazione della quale ridonda in una violazione della norma costituzionale. In questo caso il sindacato della Corte costituzionale si svolge attraverso le c.d. norme interposte, come nel caso del vizio di eccesso di delega del decreto legislativo. Nel giudizio di legittimità in relazione al principio di eguaglianza la Corte costituzionale deve effettuare una serie di valutazioni: in primo luogo verificare se le situazioni a confronto sono realmente omogenee; in caso positivo mettere a confronto la norma impugnata con l'altra norma legislativa che pone il trattamento diverso; quindi, se la differenza di trattamento non è giustificata, dichiarare incostituzionale la norma impugnata in relazione all'art.3 della Costituzione. Si tratta di uno schema di giudizio di tipo ternari, cioè basato sulla comparazione di tre norme: la norma impugnata rispetto al tertium comparationis e poi rispetto all'art.3. Partendo dal giudizio sull’art. 3 così come descritto, la Corte costituzionale tuttavia nel tempo ha sviluppato una tipologia di controllo più sofisticato, denominato controllo sulla ragionevolezza, che mira a sindacare la coerenza e la ragionevolezza della legge in sé stessa. Attraverso questo giudizio la legge viene sindacata dalla Corte, ed eventualmente dichiarata illegittima, perché non coerente (irragionevole) rispetto all'ordinamento giuridico. Il giudizio costituzionale, in questo caso, si basa sul raffronto diretto tra la norma costituzionale che introduce questo principio (l'art.3) e la norma ordinaria, e pertanto non necessita, normalmente, di un termine di paragone (tertium comparationis). di 77 83 Cristina Simoncini nonostante ciò essa non viene dichiarata incostituzionale, “avvertendo” tuttavia il legislatore che, qualora non provvedesse a modificare celermente la legge, nel caso che le fosse nuovamente prospettata la questione essa dovrebbe essere dichiarata incostituzionale. Sentenze manipolative di accoglimento Con la sentenza manipolativa la Corte procede ad una modificazione della disposizione sottoposta al suo controllo, cosicché la norma impugnata, all'esito del giudizio di costituzionalità, assume un contenuto diverso. Le sentenze manipolative sono caratterizzate dalla dicitura, contenuta nel dispositivo, secondo cui una disposizione è dichiarata incostituzionale “nella parte in cui non prevede qualcosa” (sentenza additiva), “nella parte in cui prevede qualcosa” (sentenza riduttiva), “nella parte in cui prevede qualcosa anziché un'altra cosa” (sentenza sostitutiva). - Sentenze additive: sentenze attraverso le quali la Corte giudica l'incostituzionalità delle omissioni del legislatore, dichiarando l'illegittimità costituzionale della mancata previsione di un qualcosa che invece avrebbe dovuto essere disciplinato dalla legge, e che la Costituzione introduce all'interno della disposizione. - Sentenze additive al principio: sentenza di accoglimento, di tipo additivo, ma non autoapplicativa; dichiarano l'incostituzionalità di un'omissione legislativa, aggiungendo però non una regola immediatamente applicabile e comportante oneri al bilancio statale, ma soltanto un principio generale non autoapplicativo, che necessita di essere attuato dal legislatore e al quale può anche fare riferimento il giudice. - Sentenze riduttive: non aggiunge alcunché al testo normativo, ma dichiara semplicemente l'incostituzionalità di una norma in una sua parte (nella parte in cui prevede qualcosa). - Sentenze sostitutive: dichiarazione di incostituzionalità di una norma di legge per il fatto che essa prevede una determinata cosa, che è incostituzionale, anziché prevederne un'altra, che sarebbe invece costituzionale; contengono dunque una decisione di incostituzionalità per una parte correlata alla sostituzione di quella con una nuova norma introdotta dalla Corte. La Corte costituzionale, sia nella sentenza additiva che in quella sostitutiva, aggiunge una disposizione al testo di legge, senza creare una nuova norma, ma traendola per analogia da altre norme e principi contenuti nel sistema. Cosicché additive e sostitutive sarebbero ammissibile solo quando a rime obbligate, intendendosi con ciò che la nuova norma introdotta deriva necessariamente dall'interpretazione di altre norme e non viene creata discrezionalmente dalla Corte. La teoria delle rime obbligate è del resto confermata dalla giurisprudenza costituzionale, che esclude la possibilità di ricorrere a pronunce additive o sostitutive quando vi possano essere pluralità di scelte per colmare il vuoto e/o sostituire la norma. Giudizio in via principale e Giudizio sui conflitti di attribuzioni tra lo stato e le regioni La Costituzione ha previsto un altro tipo di giudizio davanti alla Corte costituzionale per dirimere le competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, definito come giudizio in via principale o di azione, ed un altro ancora per dirimere conflitti di competenze non legislative ancora tra lo Stato e le Regioni, denominato giudizio sui conflitti di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni. Il giudizio in via principale è proponibile dallo Stato nei confronti della Regione o dalla Regione nei confronti dello Stato o di altre Regioni, in ipotesi di leggi ritenute invasive delle competenze costituzionalmente determinate; viene chiamato in via principale perché la questione di costituzionalità è proposta direttamente dallo Stato o dalla Regione e non nel corso di un giudizio. di 80 83 Cristina Simoncini Il conflitto di attribuzioni è invece proponibile dallo Stato o dalle Regioni in ipotesi di atti non legislativi dello Stato o della Regione, ritenuti invasivi delle competenze costituzionalmente stabilite. Il giudizio in via principale e quello sui conflitti di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni hanno principalmente la funzione di garantire il rispetto delle competenze, legislative e non legislative, che la Costituzione ha assegnato allo Stato e alle Regioni. Giudizio in via principale - art. 127 Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge. Il giudizio in via principale è un giudizio speciale, in quanto riservato a determinati soggetti (lo Stato e le Regioni), titolari di un potere di impugnazione diretta della legge. Lo Stato e le Regioni possono impugnare direttamente la legge davanti alla Corte costituzionale, in un lasso di tempo breve dall’approvazione dell’atto. Il giudizio in via principale è definibile come "a parti necessarie", dato che le parti debbono essere necessariamente presenti nel processo: vi è un attore (il ricorrente) ed un convenuto (il resistente). Il giudizio è dunque disponibile dalle parti, le quali possono ad esempio anche decidere di rinunciarvi, estinguendo il processo. Il giudizio principale ha il fine di risolvere una controversia relativa al riparto costituzionale di competenze di due parti: lo Stato e la Regione. Giudizio di costituzionalità sugli statuti regionali La Costituzione prevede che ciascuna Regione abbia un proprio statuto, da approvarsi con legge ordinaria dal Consiglio regionale, ma con un procedimento aggravato particolare che ricorda le leggi di revisione della Costituzione, il quale in armonia con la Costituzione determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della Regione. Lo statuto dopo l'approvazione deve essere pubblicato e dalla pubblicazione decorrono i termini (trenta giorni) per il Governo per proporre un eventuale ricorso alla Corte costituzionale. Dalla data di pubblicazione decorrono altresì i termini (tre mesi) per l'eventuale sottoposizione dello statuto a referendum popolare. Il ricorso governativo è dunque preventivo, poiché si svolge anteriormente alla promulgazione, ma non ha effetto sospensivo, dato che i due procedimenti (ricorso governativo alla Corte costituzionale e referendum popolare) sono autonomi. Tuttavia al fine di consentire che l'intervento della Corte costituzionale preceda quello del corpo elettorale, alcune Regioni hanno previsto con legge che nell'ipotesi in cui il Governo impugni lo statuto davanti alla Corte costituzionale il termine di tre mesi per la richiesta del referendum rimanga sospeso, e inizi a decorrere dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della decisione della Corte. Conflitti di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni L'art.134 della Costituzione prevede che la Corte costituzionale giudichi sui conflitti di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. I conflitti di attribuzioni sono sostanzialmente conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni che svolgono una funzione complementare rispetto al giudizio in via principale. Lo scopo del giudizio per conflitto di attribuzioni è quello di dirimere conflitti costituzionali di competenza tra lo Stato e le Regioni e non invece quello di giudicare sula semplice di 81 83 Cristina Simoncini illegittimità di un atto. Il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni deve avere come oggetto competenze costituzionalmente determinate. La violazione della competenza può avvenire o nella ipotesi nella quale un ente abbia esercitato la competenza di un altro ente (conflitti c.d. da vindicatio potestatis) o nel caso in cui il cattivo esercizio di una propria competenza abbia leso la competenza dell'altro (conflitti da menomazione o interferenza). I conflitti che si basano su di una vindicatio potestatis sono assai rari, mentre molto più sono i conflitti di interferenza o menomazione. Il giudizio per conflitto di attribuzioni viene introdotto con ricorso nel termine perentorio di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'atto. Deve essere notificato al Presidente del Consiglio (in ipotesi di ricorso introdotto dalla Regione) o al Presidente della Regione (nell'ipotesi che il ricorso sia introdotto dallo Stato). Il ricorso notificato deve essere quindi depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale nel termine di venti giorni dall'ultima notifica. La sentenza con la quale viene deciso il conflitto statuisce sulla competenza, dichiarando a chi spetti o non spetti la competenza e per conseguenza annulla l'atto che ha generato il conflitto. Conflitti di attribuzioni tra i poteri dello Stato L’art. 134 della Costituzione attribuisce poi alla Corte costituzionale la competenza a giudicare sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Mentre nell'ambito dei conflitti tra lo Stato e le Regioni i soggetti che possono accedere al conflitto sono determinati dalla Costituzione (lo Stato e le Regioni appunto), nei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato la Costituzione non indica i soggetti che possono essere parte dei conflitti. La stessa norma precisa inoltre che il conflitto deve insorgere tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono. In primo luogo per aversi potere occorrerà che vi sia un organo costituzionale dotato di una attribuzione costituzionalmente determinata. In secondo luogo occorrerà che quell'organo sia competente a dichiarare definitivamente la propria volontà, cioè che esso sia dotato di un ambito di competenza esercitabile in maniera autonoma e indipendente: occorre che la competenza di cui l'organo è titolare sia solo sua propria, non sottoposta ad un potere gerarchico di altri organi, né avocabile da parte di altri organi. In terzo luogo occorrerà che quell'organo sia “dello Stato”, nel senso della sua partecipazione ad un ciclo decisorio la cui manifestazione di volontà finale sia imputabile allo Stato. Ne consegue che il potere dello Stato è definibile come quell'organo titolare di attribuzioni costituzionali esercitabili in maniera autonoma e indipendente. Questa definizione consente di risolvere anche il problema dell'identificazione del potere nel caso di poteri complessi, cioè allorquando più organi siano titolari di una medesima attribuzione; anche in questo caso si deve guardare all'attribuzione, e cioè se questa è imputata dalla Costituzione a più organi collettivamente o ad organi singoli. Anche organi costituiti all'interno di altri poteri, purché titolari di competenze costituzionali esercitabili in maniera autonoma e indipendente, possono essere poteri dello Stato: il caso della commissione parlamentare di inchiesta. É un potere dello Stato il Presidente della Repubblica, in quanto dotato di competenze costituzionalmente determinate esercitabili in maniera autonoma e indipendente, così come lo è la Corte costituzionale. La Corte costituzionale poi ha riconosciuto la qualifica di potere dello Stato anche al comitato promotore per il referendum per i conflitti contro la Corte di Cassazione, competente a dichiarare se la normativa oggetto di referendum è stata abrogata da una legge successiva. I conflitti possono essere a vindicatio potestatis (quando un potere rivendichi come propria la competenza esercitata da un altro potere) o da interferenza (quando l'esercizio non corretto di una competenza da parte di un potere leda le attribuzioni costituzionali di un altro potere). In realtà i di 82 83 Cristina Simoncini
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