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dispensa di diritto costituzionale, Sintesi del corso di Diritto Costituzionale

argomenti necessari a sostenere l'esame

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 06/02/2024

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica dispensa di diritto costituzionale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE , STATO È un’organizzazione del potere politico che esercita il monopolio della forza legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo. Bisogna tenere presente che esiste una pluralità di ordinamenti giuridici, ma che lo Stato è un ordinamento originario, cioè lo Stato trova in sé stesso la sua legittimazione, non la deriva da altri. Lo Stato è poi considerato come persona giuridica, cioè è considerato come centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive al quale viene attribuita un’autonomia soggettiva. È quindi titolare di diritti e di doveri e può compiere atti giuridici. C’è però da precisare che a livello internazionale non c’è dubbio che lo Stato agisce come “persona”, ma a livello interno lo Stato agisce tramite i suoi enti e organi. Lo Stato è un ente pubblico a fini generali. Questo significa che al mutare della finalità principale perseguita dallo Stato non corrisponde un cambiamento della sua identità. Spieghiamo meglio: solitamente gli enti pubblici (che sono anche loro persone giuridiche) devono realizzare un determinato fine pubblico. L’ente è legato al fine che deve realizzare e la sua esistenza è strettamente connessa alla realizzazione di quel fine. Lo Stato, invece, è un ente a fini generali, quindi mantiene la sua identità anche al cambiare dei fini perseguiti. Per cui conserva la propria identità ed è in grado di realizzare qualsiasi fine che risulti necessario e preminente in un determinato periodo storico-politico. Inoltre, lo Stato, investe l’intero territorio, a differenza degli altri enti pubblici. Riguardo agli enti pubblici c’è anche da sottolineare che in passato erano visti come satelliti dello Stato, mentre oggi si è creata una vastità di interessi pubblici che spesso li porta anche ad essere in contrasto tra loro. Inoltre alcuni enti hanno anche autonomia politica, nel senso che alcuni organi sono eletti direttamente dai cittadini e possono esprimere maggioranze e indirizzi politici diversi da quelli dello Stato. Lo Stato e gli enti pubblici sono collocati in una posizione di supremazia rispetto ai soggetti privati. Di conseguenza le leggi e i provvedimenti amministrativi producono effetti nei confronti dei loro destinatari anche se non vi hanno prestato il consenso o sono in disaccordo. È comunque da sottolineare che anche le potestà pubbliche devono essere esercitate nei limiti previsti dalla legge. Solo lo Stato ha il potere di revisione Costituzionale. Lo Stato è un apparato organizzativo. La sua organizzazione è stabile nel tempo e ha carattere impersonale, in quanto esiste e funziona sulla base di regole predefinite ed esiste indipendentemente dalle persone che lo fanno funzionare. SOVRANITA’ Allo Stato spetta la sovranità. La sovranità la si può vedere da due facce diverse: Da un lato interno, che si traduce come un potere di imperio, cioè al proprio interno lo Stato non riconosce alcun potere superiore a sé; Da un lato esterno, che si traduce nell’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati. - Generiche: perché riferite a tutti gli individui, uguali davanti alla legge - Astratte: perché non si riferisce a un fatto concreto ma a una serie ipotetica di fatti - Certe: perché prevedibili nei loro effetti CARATTERI DELLO STATO LIBERALE - Lo Stato ha una finalità garantistica, cioè è considerato lo strumento per la tutela delle libertà e dei diritti degli individui (molto importante il diritto di proprietà) - Concezione di Stato minimo: dato che lo scopo dello Stato liberale è esclusivamente quello di garantire i diritti, allora ricoprirà solo quelle funzioni necessarie all’adempimento di tale finalità (es. Tutela dell’ordine pubblico, difesa militare, emissione moneta). Di certo si astiene dall’intervento economico in quanto lasciato alle autoregolazioni private. Di conseguenza l’intervento di tassazione è basso, mirato al pareggio di bilancio. - Principio di libertà individuale (di stampa, personale, proprietà privata, libertà contrattuale, religiosa) - Separazione dei poteri - Principio di legalità: ogni limitazione della libertà individuale deve avvenire per mezzo della legge. Inoltre le attività dei pubblici poteri deve essere prevista dalla legge. STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA Si afferma dopo una trasformazione dello Stato liberale che porta ad allargare la base sociale e si trasforma da Stato monoclasse a Stato pluriclasse. Vengono riconosciute e garantite le pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee e dei valori che possono esserci nella società e viene data la possibilità di esprimere la loro voce nei Parlamento. Questo culmina con il suffragio universale. CARATTERISTICHE DELLO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA - Affermazione dei partiti di massa che organizzano la partecipazione politica di milioni di elettori - Gli organi elettivi diventano luogo di confronto e di scontro di interessi diversi - Riconoscimento, oltre ai diritti di libertà, dei diritti sociali come strumento di integrazione nello Stato dei gruppi sociali più svantaggiati I PARTITI POLITICI DI MASSA I partiti erano presenti anche nello Stato liberale, ma erano molto diversi, in quanto erano ristretti gruppi di persone legate da una forte omogeneità culturale e economica. Agivano principalmente dentro il Parlamento e per essere eletti erano necessari pochi voti da parte delle poche centinaia di elettori, che spesso conoscevano personalmente il candidato. Con l’estensione del diritto di voto è stato invece necessario organizzare la partecipazione politica di milioni di elettori, portando loro a conoscenza dei candidati e dei programmi: nascono così i partiti di massa, organizzati in una solida struttura che li ha radicati nella società e fatti diventare strumenti di mobilitazione popolare. Un altro fenomeno importante che ha condotto all’affermazione dei partiti di massa è stato il conflitto sociale del Novecento, dove i gruppi sociali più deboli (come la classe operaia) erano costretti ad accettare condizioni sfavorevoli. Trovarono così nei partiti il modo per tentare di bilanciare la loro situazione con la forza dei numeri. I partiti e i sindacati sono diventati così organizzazioni per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi economicamente più deboli. Con i partiti politici di massa cambiano anche i Parlamenti: da sedi in cui i parlamentari, liberi da ostruzioni esterne e legati da una comune ideologia sociale e culturale, ricercavano il modo migliore di curare l’interesse generale, diventano luoghi in cui si realizza il confronto tra partiti, i quali hanno identità e programmi contrapposti e sono influenzati dalla loro base elettiva. Avviene quindi un passaggio delle istituzioni dall’essere liberali a essere democratiche: la comune accettazione dei valori della democrazia pluralistica ha impedito che il partito vincitore delle elezioni potesse eliminare gli altri partiti, permettendo ai partiti sconfitti di agire liberamente, criticando il Governo in carica e preparando programmi alternativi. Quindi nello Stato democratico: - La sovranità è espressione della volontà popolare - Viene riconosciuta l’uguaglianza formale e sostanziale - Suffragio universale - Lo Stato è interventista nella direzione dell’economia - Lo Stato è sociale nella predisposizione di strumenti ed istituzioni rivolte alla promozione e il mantenimento del benessere, soprattutto per le classi meno agiate. STATO TOTALITARIO Ci furono paesi dove l’avvento della democrazia e del suffragio universale non era accompagnata su una diffusa accettazione del pluralismo politico. Questo portò all’affermazione di forme di Stato basate sulla negazione del pluralismo e sull’individuazione del partito unico con lo Stato. IN ITALIA Stato fascista - dal 1922 al 1943. Organizzato in contrapposizione al modello liberale e a quello di democrazia pluralista, accusati di non essere in grado di difendere gli interessi nazionali, in quanto il potere politico era fortemente frammentato. Di conseguenza lo Stato fascista concentrava il potere politico in un unico organo, il quale aveva sia funzione legislativa sia esecutiva, cioè il Capo del Governo. Il partito unico diventava elemento costitutivo e organo della Costituzione. Lo Stato poteva occuparsi di tutti gli aspetti della vita sociale e individuale, anche con la soppressione delle tradizionali libertà. IN GERMANIA Stato nazionalsocialista - dal 1933 al 1945 Il movimento nazionalsocialista era l’unico ammesso. Il capo del movimento era vertice dello Stato, del Governo e delle forze armate. Aveva il potere di revisione costituzionale, potere legislativo, esecutivo e giurisdizionale. Il capo poteva adottare e modificare qualsiasi aspetto giuridico senza incontrare alcun limite legale. Il movimento era quindi considerato sovraordinato allo Stato. STATO SOCIALISTA Altra forma di stato alternativa alla democrazia pluralista. Si sviluppa in URSS dal 1917 e aveva come base la dittatura del proletariato, attraverso la quale si sarebbe dovuto emarginare la classe della borghesia, considerata antagonista, in modo da raggiungere una società senza classi e senza conflitti sociali. Viene abolita la proprietà privata e lo Stato diventava proprietario di tutti i mezzi di produzione (economia collettivista). Inizialmente la dittatura del proletariato era considerata una forma transitoria di organizzazione del potere statale, ma poi venne mantenuta con la giustificazione dell’esistenza di “Stati borghesi” che minacciavano l’ordinamento dall’esterno. L’evento simbolico della sua fine è l’abbattimento del Muro di Berlino. CARATTERI DELLO STATO SOCIALISTA - Sospensione delle libertà politiche e civili - Partito unico - Limitata libertà di pensiero - Limitata libertà di movimento CONTINUO - DEMOCRAZIA PLURALISTA I principi dello stato di democrazia pluralista hanno trovato conferma dopo la Seconda Guerra Mondiale in tutti i paesi con un’influenza politica e culturale diversa dall’URSS. In questi stati vengono quindi garantite sia le libertà sia il pluralismo politico, sociale, religioso e culturale. Il Re aveva il potere esecutivo, potendo nominare i ministri, i quali erano i suoi diretti collaboratori e aveva il potere di sciogliere anticipatamente la Camera elettiva del Parlamento. Il Parlamento aveva il potere legislativo, approvando le leggi e istituendo i tributi. Le leggi, però, entravano in vigore solo con il consenso del Re (sanzione regia). C’è da dire quindi che il Re restava comunque titolare di alcune prerogative che gli consentivano di partecipare alla funzione legislativa (sanzione regia) e della funzione giurisdizionale (nomina dei giudici e potere di grazia). La legittimazione politica del Re si basava sul principio monarchico-ereditario, il Parlamento sul principio elettivo ma circoscritto ai cittadini istruiti. MONARCHIA PARLAMENTARE La Monarchia Costituzionale si è trasformata gradualmente in governo parlamentare. Tra il Re e il Parlamento si è inserito un terzo organo, il Governo, il quale ha acquisito una sua autonomia rispetto al Re a favore di un consenso da parte del Parlamento. Il Governo, pur essendo nominato dal Re, per ottenere il voto favorevole del Parlamento sulle leggi ha la necessità di godere della fiducia del Parlamento. La caratteristica della forma di Governo Parlamentare è il rapporto di fiducia che lega il Governo al Parlamento, il quale può costringerlo alle dimissioni votando la sfiducia. REPUBBLICA PARLAMENTARE L’unico organo eletto dal popolo è il Parlamento. Il Capo dello Stato, per quanto riguarda il potere esecutivo, ha il solo compito di individuare e nominare i componenti del Governo, che solitamente sono gli esponenti delle forze politiche che formano la maggioranza e potranno garantire al Governo la fiducia del Parlamento. Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento e ricopre la carica per un certo periodo di tempo. REPUBBLICA PRESIDENZIALE A capo del Governo e del potere esecutivo vi è il Presidente della Repubblica, il quale nomina i suoi collaboratori, che però non possono essere membri del Parlamento. Non esiste nessun organo chiamato Governo e di conseguenza i collaboratori non hanno nessun rapporto con il Parlamento. Vi è poi un Parlamento, che prende il nome di Congresso, che ha una struttura bicamerale (Senato e Camera dei Rappresentanti). Il Congresso ha il potere legislativo e può mettere in stato di accusa il Presidente per tradimento, corruzione o altri gravi reati. Il Presidente ha il potere di veto sospensivo delle leggi approvate dal Congresso, il quale può superare tale veto con una seconda approvazione a maggioranza dei ⅔. Sia Parlamento sia Presidente godono della legittimazione politica e pertanto sono indipendenti tra loro: non esiste il voto di sfiducia e non esiste il potere di scioglimento anticipato. REPUBBLICA SEMIPRESIDENZIALE È una forma intermedia tra quella Parlamentare e quella Presidenziale. Il Presidente viene eletto direttamente dagli elettori ed è indipendente dal Parlamento, in quanto non necessita della sua fiducia. Tuttavia non può governare da solo ma ha bisogno di un Governo, il quale deve avere la fiducia del Parlamento. DIRITTO DI VOTO Il voto è personale, quindi è escluso per procura, eguale, libero, segreto, dovere civico (forma ambigua in quanto non è visto un dovere giuridico e quindi non prevede sanzioni nei confronti di chi non vota) ELETTORATO ATTIVO Hanno la capacità di votare tutti gli uomini e le donne cittadini italiani (chi ha la cittadinanza europea può votare per le elezioni locali). È necessaria la maggiore età, ma per il Senato viene richiesta un’età più elevata (25 anni). Con la legge cost. 1/2000 viene riconosciuto il diritto di voto anche ai cittadini italiani residenti all’estero per l’elezione del Parlamento. Viene quindi istituita un’apposita circoscrizione, circoscrizione estero, nella quale vengono eletti 12 deputati e 6 senatori. ELETTORATO PASSIVO È la capacità di essere eletti. Il principio generale afferma che siano eleggibili tutti gli elettori, salvo particolari restrizioni previste dalla Costituzione. Una è l’età: Camera dei Deputati è necessario aver compiuto 25 anni, Senato 40 anni. Inoltre, se si perde l’elettorato attivo si perde di conseguenza quello passivo. INELEGGIBILITÀ PARLAMENTARE Si intende la situazione di impossibilità di essere validamente eletti. La legge pone che alcune persone che ricoprono determinate cariche o posizioni siano ineleggibili in quanto potrebbero facilmente influenzare l’elettorato (es. sindaci di comuni con più di 20mila abitanti, magistrati, ecc.) Le cause di ineleggibilità hanno natura invalidante e determinano la nullità dell’elezione. INCOMPATIBILITÀ Situazione giuridica in cui il soggetto, validamente eletto, non può ricoprire nello stesso tempo la funzione di parlamentare con un’altra carica (es. nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere, né si può essere al tempo stesso parlamentare e Presidente della Repubblica, ecc.) Le cause di incompatibilità producono la decadenza del titolare della carica elettiva qualora questi non faccia venir meno le cause di incompatibilità: per cui le cause di incompatibilità possono essere rimesse attraverso l’opzione dell’interessato alle due cariche. INCANDIDABILITÀ Istituto più recente nel quale si ritrovano coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori ai 2 anni di reclusione per gravi reati non colposi . SISTEMA ELETTORALE Si intende il meccanismo attraverso il quale i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. SISTEMA ELETTORALE MAGGIORITARIO Il seggio viene attribuito a chi ottiene la maggioranza dei voti. Ciò significa una cosa importante: ai fini dell’attribuzione dei seggi contano solo i voti confluiti al candidato che ottiene la maggioranza, mentre gli altri voti finiscono per non contare nulla. Ci sono due tipi di sistemi maggioritari: 1. Maggioranza assoluta: per essere eletti è necessaria la metà più uno dei voti validi. Se nessun candidato li ottiene solitamente si prevede un secondo turno, a cui accedono in base al sistema elettorale i due candidati che hanno ottenuto più voti al primo turno o quei candidati che hanno conseguito una percentuale minima di voti. 2. Maggioranza relativa: viene eletto semplicemente chi ottiene più voti, anche se non raggiunge la metà più uno dei voti validi (quindi c’è un turno unico). Il sistema maggioritario consente l’accesso al Parlamento solo alle forze politiche maggiori, mentre tutte quelle minori, nonostante percentuali significative di voti, non avranno rappresentanza parlamentare. Si ha quindi un sistema a collegio uninominale, cioè vengono creati un numero di collegi pari al numero di seggi e per ogni collegio si assegna un solo seggio, il quale viene dato a chi ha preso più voti. SISTEMA ELETTORALE PROPORZIONALE I seggi sono distribuiti a seconda della quota di voti ottenuti da ciascuna lista candidata. Perciò, a differenza del sistema maggioritario, si tiene conto ai fini della ripartizione dei seggi di tutte le liste di candidati che abbiano ottenuto una percentuale minima di voti (quoziente elettorale). Una volta distribuiti i seggi di ciascuna lista si passa a vedere quali candidati di ciascuna lista siano eletti e ci sono due metodi principali: 1. Se l’elettore può esprimere, oltre al voto della lista, una o più preferenze per i candidati della lista, sono eletti i candidati che hanno ottenuto il numero più elevato di preferenze. 2. Se non c’è la possibilità di esprimere le preferenze, i seggi sono distribuiti seguendo l’ordine dei candidati nella lista (lista bloccata). Si ha quindi un sistema a collegio plurinominale, cioè per ogni collegio vengono assegnati più seggi. 2. LA LISTA DEI MINISTRI, LA NOMINA E IL GIURAMENTO Una volta conclusa l’attività dell’incaricato e formata la lista dei ministri, il PdR nomina con proprio decreto il Presidente del Consiglio e, su proposta di quest’ultimo, i ministri. Dopo la nomina, di regola entro 24 ore, il Presidente del Consiglio e i ministri prestano giuramento nelle mani del PdR. Con il giuramento il Governo è immesso nell’esercizio delle sue funzioni. Il primo atto formale del nuovo Presidente del Consiglio è controfirmare i decreti di nomina di sé stesso e dei ministri. N.B. Il procedimento di formazione del Governo costituisce un procedimento distinto e autonomo rispetto al voto di fiducia, anche se il Governo viene formato con il fine di ottenere la fiducia parlamentare. 3.VOTO DI FIDUCIA Il Governo entra nella pienezza dei suoi poteri solo dopo aver ottenuto il voto di fiducia da entrambe le Camere. Entro 10 giorni dal giuramento, il Governo si presenta quindi alle Camere, dove il Presidente del Consiglio espone il programma di governo approvato dal Consiglio dei ministri. In ciascuna Camera i parlamentari di maggioranza presentano una mozione di fiducia che deve essere motivata (in modo tale che lo stesso Parlamento possa incidere sul programma di governo) e deve essere votata per appello nominale. È sufficiente la maggioranza relativa (numero di voti favorevoli superiore a quelli contrari o astenuti). I RAPPORTI TRA GLI ORGANI DEL GOVERNO È necessario evitare che i singoli ministri operino ciascuno indipendentemente dagli altri, per promuovere gli interessi della propria parte politica e delle burocrazie dei ministeri di cui sono il vertice. Si parla quindi di coordinamento, ovvero l’attività diretta a mantenere l’unità di azione del governo, assicurando che le iniziative dei singoli ministri siano l’indicazione dell’indirizzo generale del Governo. Per contenere gli eccessi di autonomia dei singoli ministri vi sono alcuni strumenti giuridici previsti dalla Costituzione: - Innanzitutto il potere del Presidente del Consiglio di proporre al Capo dello Stato la lista dei ministri da nominare - Il potere del Presidente del Consiglio di indirizzare direttive politiche e amministrative ai ministri: vengono quindi individuati i principi di azione che comunque lasciano spazio all’autonomia dei ministri per quanto riguarda la modalità di attuazione. - La competenza del Consiglio dei ministri a deliberare sulle questioni che riguardano la politica generale del governo. LA LEGGE 400/1988 Per mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo del Governo, nel 1988 è stata approvata la legge 400 che prevede che: Il Consiglio dei ministri delibera: - Ogni questione relativa all’indirizzo politico del Governo - L’indirizzo generale dell’azione amministrativa - I conflitti di attribuzione tra ministri - L’iniziativa del Presidente del Consiglio di porre la questione di fiducia alle Camere - I disegni di legge e le proposte di ritiro di disegni di legge - Gli atti adottati dal Governo in sostituzione delle Regioni - Le proposte di sollevare conflitti di attribuzioni - Le linee di indirizzo in tema di politica internazionale ed europea e i progetti dei trattati e degli accordi internazionali politici o militari - Le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale - Decreti legge e decreti legislativi Vengono attribuiti al Presidente del Consiglio i poteri relativi al funzionamento del Consiglio dei ministri, in particolare è lui che convoca il Consiglio e ne forma l’ordine del giorno. Inoltre il Presidente del Consiglio: - Può sospendere l’adozione di atti da parte dei ministri competenti, sottoponendo le relativi questioni al Consiglio dei ministri - Adotta le direttive relative alla direzione della politica generale del Governo, sulla base delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri - Adotta le direttive per assicurare l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione, sulla base delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri - Concorda con i ministri interessati le pubbliche dichiarazioni che essi intendono fare e che impegnano la politica generale del Governo Sempre la legge 400/1988 ha predisposte le figure di organi governativi non necessari che precedentemente venivano utilizzate dalla prassi: - Vice-presidente del Consiglio: viene nominato fra i ministri e ha funzioni di supplente del Presidente nel caso in cui questi sia assente o impedito (in realtà si ricorre alla nomina del Vice-presidente per dare risalto alla presenza nella coalizione ad un partito diverso rispetto a quello che esprime il PdC). - Ministri senza portafoglio: sono ministri non preposti ad un ministero e che svolgono funzioni delegate dal Presidente del Consiglio, dopo aver sentito il Consiglio dei ministri. Per lo svolgimento delle funzioni delegate sono preposti ad un dipartimento della Presidenza del Consiglio. Alcune figure di ministro senza portafoglio sono previste da norme legislative che ne individuano le funzioni, lasciando però al Presidente del Consiglio la decisione di delegarle o meno. - Sottosegretari di Stato: affiancano il ministro o il Presidente del Consiglio ed esercitano i compiti che questi ultimi delegano loro con apposito decreto. Sono quindi dei collaboratori del ministro o del Presidente del Consiglio e di conseguenza non fanno parte del Consiglio dei ministri e non partecipano alla formazione della politica generale del Governo. Perciò devono attenersi alle direttive del ministro. Vengono nominati con decreto del PdR, su proposta del Presidente del Consiglio, in accordo con il ministro che il sottosegretario è chiamato ad affiancare, sentito il Consiglio dei ministri. Assume le sue funzioni dopo aver giurato nella mani del Presidente del Consiglio. Un ruolo importante lo ha il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio che cura la verbalizzazione e conservazione del registro delle deliberazioni e dirige l’Ufficio di segreteria del Consiglio dei ministri. - Viceministri: sono sottosegretari a cui vengono conferite deleghe relative ad aree di competenza di ministeri. Possono essere invitati dal Presidente del Consiglio e in accordo con il ministro competente, a partecipare alle sedute del Consiglio dei ministri (ma senza diritto di voto) per riferire su argomenti attinenti alle materie delegate. - Commissari straordinari del Governo: nominati al fine di realizzare specifici obiettivi. Sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri. GLI STRUMENTI PER L’ATTUAZIONE DELL’INDIRIZZO POLITICO Come abbiamo detto prima, il Governo esercita una quota rilevante dell’attività di indirizzo politico. La rappresentanza dell’intero governo è assunta dal Presidente del Consiglio che: - controfirma le leggi e gli atti aventi forza di legge - tiene i contatti con il Presidente della Repubblica - pone la questione di fiducia (previo assenso del Consiglio dei ministri) - manifesta all’esterno la volontà del Governo - sottopone al PdR le leggi da promulgare - presenta alle Camere le proposte di legge di iniziativa governativa Le linee generali dell’indirizzo politico del Governo sono contenute nel programma di governo, predisposto dal Presidente del Consiglio e approvato dal Consiglio dei ministri. Per attuare il suo indirizzo politico, il Governo ha questi strumenti: - La direzione dell’amministrazione statale - Poteri di condizionamento della funzione legislativa del Parlamento - Poteri normativi di cui è direttamente titolare (decreti legislativi, decreti legge, regolamenti) - Il Presidente del Consiglio ha poi dei poteri sostitutivi, i quali sono finalizzati a superare eventuali blocchi dovuti al mancato esercizio di competenze da parte di organi dello Stato, delle Regioni o di enti locali. Come assume la rappresentanza il PdC ? PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE È previsto dalla Costituzione. Si tratta di un organo collegiale composto da tutti i parlamentari. È considerato un collegio imperfetto in quanto non è padrone del proprio ordine del giorno: viene riunito solo per specifiche funzioni, tassativamente elencate dalla Costituzione: - Elezione PdR (a cui partecipano anche i delegati delle regioni) - Elezione di 5 giudici costituzionali - Elezione di ⅓ dei componenti del Consiglio superiore della magistratura - Votazione dell’elenco dei cittadini dal quale si sorteggiano i membri “aggregati” alla Corte costituzionale per giudicare sulle accuse costituzionali - Messa in stato d’accusa del PdR È presieduto dal Presidente della Camera dei deputati e per il suo funzionamento si applica il regolamento della Camera dei deputati. REGOLAMENTI E IL RUOLO DEL PARLAMENTO L’organizzazione interna del Parlamento e lo svolgimento delle sue funzioni trovano la loro disciplina fondamentale nella Costituzione e nei regolamenti parlamentari. A questi ultimi la Costituzione rimanda per la disciplina del regolamento interno di ciascuna Camera e la disciplina del procedimento legislativo. Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri. ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE CAMERE - PRESIDENTI DELLE CAMERE E UFFICIO DI PRESIDENZA Presidenti dell’assemblea: rappresentano uno la Camera dei deputati e uno il Senato della Repubblica e hanno il compito di regolare l’attività di tutti gli organi facendo osservare il regolamento. Infatti, sulla base di questo, dirigono la discussione e mantengono l’ordine, giudicano la ricevibilità dei testi, impartiscono le direttive necessarie. Le differenze più importanti tra Presidente della Camera e Presidente del Senato, secondo la Costituzione, sono: quello della Camera presiede il Parlamento in seduta comune, mentre quello del Senato supplisce il Capo dello Stato nelle ipotesi di impedimento. Entrambi devono essere sentiti dal PdR prima di sciogliere anticipatamente le Camere. Dopo le elezione dei Presidenti, le Camere provvedono all’elezione dell’ufficio di presidenza, il cui compito è quello di affiancare il Presidente nell’esercizio delle sue funzioni. I regolamenti parlamentari stabiliscono che nell’Ufficio di presidenza siano rappresentati tutti i gruppi parlamentari. Inoltre, dato il diffuso fenomeno delle “migrazioni” di parlamentari da un gruppo parlamentare a un altro, il regolamento del Senato ha stabilito che Vicepresidenti e Segretari che cambiano gruppo e fanno parte dell’Ufficio di presidenza decadono da tale incarico. GRUPPI PARLAMENTARI È l’unione dei membri di una Camera che sono espressione dello stesso partito o movimento politico e che si costituiscono in forma stabile. La Costituzione si limita a menzionarli dicendo che le commissioni (sia permanenti sia d’inchiesta) devono essere formate in modo da rispecchiare la consistenza dei gruppi parlamentari. I regolamenti parlamentari prevedono che entro pochi giorni dalla prima riunione della Camera, i parlamentari debbano dichiarare a quale gruppo appartengono. Chi non effettua la dichiarazione confluisce nel gruppo misto. I gruppi parlamentari hanno un ruolo importante nel funzionamento del nostro parlamento: - I presidenti dei gruppi danno vita alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari, la quale approva il programma dei lavori d’aula e il relativo calendario. - Alla Camera i presidenti hanno una serie di poteri (ad esempio la presentazione di emendamenti o mozioni) che altrimenti richiederebbero la richiesta da parte di un certo numero di parlamentari - Al gruppo spetta il potere di decidere i membri che faranno parte delle commissioni parlamentari I presidenti dei gruppi parlamentari vengono sentiti dal PdR nel corso delle consultazioni per risolvere crisi di Governo. COMMISSIONI PARLAMENTARI E GIUNTE Le commissioni parlamentari sono organi collegiali e devono rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari. Possono essere: - Temporanee: quando assolvono a specifici compiti e durano in carica il tempo stabilito per l’adempimento della loro funzione. - Permanenti: sono organi stabili e necessari di ciascuna Camera. Ciascuna commissione permanente ha competenza in una determinata materia. - Bicamerali: sono formati in parte eguale da rappresentanti delle due Camere. Ai loro lavori si applica il regolamento della Camera nella quale la commissione ha sede. La Costituzione prevede una sola commissioni bicamerale: quella per le questioni regionali. Le Giunte sono organi collegiali e devono rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari. Hanno la funzione di: - Garanzia della corretta osservanza del regolamento e di elaborazione di proposte di modifica dello stesso - Verifica dell’assenza di cause di ineleggibilità e di incompatibilità e garanzia delle prerogative parlamentari. IL FUNZIONAMENTO DEL PARLAMENTO La durata in carica delle due Camere è di 5 anni. La Costituzione prevede che le Camere possano esercitare le sue funzioni anche al di là del termine di scadenza, nel caso della prorogatio, cioè l’istituto in virtù del quale l’organo scaduto non cessa di esercitare le sue funzioni fino a quando non si sia provveduto al suo rinnovo. (PROROGATIO E QUORUM) Quindi al fine di assicurare la continuità del Parlamento, la Costituzione stabilisce che i poteri delle Camere scadute sono prorogati fino a quando non si sono riunite le nuove Camere. La Costituzione pone un solo limite alle Camere in prorogatio: quello di non poter eleggere il Capo dello Stato. Per prassi si ritiene inoltre che le Camere debbano attenersi allo svolgimento dell’ordinaria amministrazione. La proroga con legge può essere disposta solo nel caso di guerra. Per far sì che la seduta sia valida, la Costituzione richiede la maggioranza dei componenti, per cui il numero legale (quorum strutturale) della seduta si raggiunge con la partecipazione delle metà più uno dei deputati o senatori. Il numero legale si presuppone esistente fino al momento in cui, dopo la richiesta di verifica da parte di alcuni parlamentari o dal Presidente dell’Assemblea, se ne accerti la mancanza. Per la validità delle deliberazioni è richiesta, salvo la Costituzione non prescriva maggioranze diverse, la maggioranza dei presenti (quorum funzionale). Le astensioni: gli astenuti sono considerati ai fini del numero legale, ma sono considerati non presenti nel conteggio della maggioranza richiesta per l’approvazione della deliberazione. La regola generale prevede il voto palese. L’eccezione è il voto segreto al quale si ricorre nelle deliberazioni che riguardano persone; può inoltre essere richiesto da un certo numero di parlamentari per le leggi che riguardano principi e diritti di libertà costituzionali, diritti alla famiglia o diritti alla persona umana. Le sedute delle Camere sono generalmente pubbliche. COME LAVORA IL PARLAMENTO I regolamenti di Camera e Senato sono stati modificati in modo da assicurare tempi certi all’esame dei progetti inseriti nel programma. È stato quindi stabilito preventivamente il tempo disponibile per la discussione. In questo modo il Governo può fare affidamento su tempi predeterminati per l’esame dei disegni di legge con i quali intende attuare il suo indirizzo politico. La Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari determina il tempo a disposizione dei gruppi per la discussione degli argomenti. Alla Camera dei deputati, il regolamento tiene conto della reale articolazione delle forze politiche e stabilisce che a tutti i gruppi spetta una quota uguale di tempo, a cui se ne aggiunge un’altra che è stabilita in base alla consistenza di ciascun gruppo. Inoltre, quando la Camera è chiamata a discutere disegni di legge di iniziativa del Governo, la Conferenza deve attribuire ai gruppi dell’opposizione un quota più ampia rispetto a quella riservata ai gruppi di maggioranza. Il Presidente della Repubblica Il PdR è Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. La Costituzione: - fissa la caratteristica della sua ampia rappresentatività - attribuisce al PdR alcuni poteri, come ad esempio la nomina del Presidente del Consiglio, il rinvio delle leggi, lo scioglimento anticipato delle Camere. - limita alcuni dei suoi poteri, come ad esempio prevedendo la controfirma del Governo (il quale in questo modo esercita un potere di controllo sull’azione del PdR impedendo che quest’ultimo possa compiere atti in contrasto con l’indirizzo politico del Governo e quindi della maggioranza). - prevede la sua irresponsabilità politica. È da sottolineare che i poteri del PdR si dicono a “fisarmonica” nel senso che si espandono e si restringono a seconda del periodo storico-politico. Si espandono solitamente quando i rapporti tra le forze politiche sono contrastanti e deboli, ad esempio con la nomina del Presidente del Consiglio o con lo scioglimento anticipato (anche se entrambi sono atti che devono essere controfirmati dal Governo). Si restringono quando i rapporti tra le forze politiche sono forti e ad esempio il PdR si limita a rinviare le leggi qualora ritenesse che violino importanti principi costituzionali. Elezione del Presidente della Repubblica Il PdR viene eletto dal Parlamento in seduta comune, con l’aggiunta dei 58 delegati regionali (3 per ogni regione ad eccezione della Valle D’Aosta che ne ha 1). La partecipazione dei delegati segna il carattere dell’ampia rappresentatività previsto dalla Costituzione. I requisiti per essere eletto sono: cittadinanza italiana, 50 anni di età compiuti, godimento dei diritti civili e politici. La carica di PdR è incompatibile con qualsiasi altra carica. Per l’elezione si procede a scrutinio segreto ed è necessaria la maggioranza qualificata dei 2/3 per le prime 3 elezioni, mentre successivamente è sufficiente la maggioranza assoluta. All’elezione si procede con il Presidente della Camera che, entro 30 giorni dalla scadenza del mandato presidenziale, convoca il Parlamento in seduta comune e i delegati regionali. La stessa procedura viene svolta entro 15 giorni nei casi di impedimento permanente, morte o dimissioni del PdR. Nel caso in cui le Camere fossero sciolte o mancassero meno di 3 mesi al termine della legislatura, il PdR viene eletto dalle nuove Camere una volta insediate. Per cui il PdR mantiene la carica in prorogatio. Una volta eletto il PdR prima di essere immesso nelle sue funzioni, presta giuramento di fronte al Parlamento in seduta comune (senza i delegati). La carica è di 7 anni. Alle sue dipendenze vi è il Segretariato Generale alla Presidenza della Repubblica. La cessazione della carica può avvenire per: - dimissioni - termine del mandato - impedimento permanente - perdita di uno dei requisiti - sentenza di condanna per alto tradimento o attentato alla Costituzione disposta dalla Corte Costituzionale - morte Nei casi di termine mandato, dimissioni o impedimento permanente, il PdR diviene senatore a vita di diritto. La controfirma ministeriale La Costituzione prevede che nessun atto del PdR è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti che ne assumono la responsabilità. Inoltre, gli atti che hanno valore legislativo sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio. La controfirma è quindi la firma apposta da un membro del Governo sull’atto adottato e sottoscritto dal PdR ed è requisito di validità dell’atto. La sua apposizione rende irresponsabile il PdR sull’atto in questione e la responsabilità è a capo del Governo. Irresponsabilità del Presidente È un principio cardine fissato dalla Costituzione, che ritiene che il PdR non può essere chiamato a rispondere di responsabilità politica: infatti, sempre la Costituzione, non prevede alcun meccanismo che permette la rimozione anticipata del PdR. Per quanto riguarda invece la responsabilità giuridica: - Il PdR per gli atti che svolge nell’esercizio delle sue funzioni, viene prevista esclusivamente una responsabilità penale per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Quindi al di fuori di questi casi il PdR è giuridicamente irresponsabile e non potrà essere perseguito neppure dopo il suo mandato. - Il PdR per gli atti e comportamenti che svolge fuori dall’esercizio delle sue funzioni è penalmente responsabile ma l’azione penale sarebbe improcedibile per tutta la durata del suo mandato, in modo da evitare che il PdR sia in balia di qualsiasi giudice a cui passi per la testa di agire contro di lui. Civilmente è invece responsabile come qualsiasi cittadino. GLI ATTI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 1. ATTI FORMALMENTE PRESIDENZIALI E SOSTANZIALMENTE GOVERNATIVI Sono atti che sono formalmente adottati dal PdR anche se il loro contenuto è deciso sostanzialmente dal Governo. La controfirma spetta al ministro proponente. Esempi sono: - Emanazione dei decreti-legge, decreti legislativi e regolamenti del Governo. Il PdR può chiedere al Governo un riesame dell’atto, ma nel caso di una nuova conferma da parte del Governo, il PdR non può rifiutarsi di adottarlo a meno che non lo faccia incorrere nei reati di alto tradimento o attentato alla Costituzione. - Nomina dei funzionari di Stato - Promulgazione della legge, che deve avvenire entro un mese dall’approvazione parlamentare, salvo il minor tempo richiesto dalle Camere per urgenza. La formula di promulgazione è la seguente: a. Accerta che la legge sia stata approvata nel medesimo testo da entrambe le Camere. b. Manifesta la volontà di promulgare la legge c. Ne ordina la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale d. Obbliga chiunque a osservarla e farla osservare come legge dello Stato - Ratifica dei trattati internazionali, accreditamento dei rappresentanti diplomatici esteri, dichiarazione di stato di guerra previa deliberazione delle Camere. - Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge governativi, indice nuove elezioni, fissa la prima riunione delle Camere, indice il referendum popolare, conferisce le onorificenze della Repubblica, emana il decreto di scioglimento dei Consigli Regionali e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. 2. ATTI FORMALMENTE E SOSTANZIALMENTE PRESIDENZIALI Atti che sono adottati formalmente dal PdR e il loro contenuto è deciso sostanzialmente da lui stesso. In questo caso, mancando una proposta da parte del Governo (in quanto il contenuto è deciso dallo stesso PdR) la prassi consolidata vede che la controfirma venga esercitata dal ministro competente per materia. Questa controfirma, oltre a rendere irresponsabile il PdR, serve a evitare che il PdR eserciti i suoi poteri per imporre un proprio indirizzo politico anche in contrasto con la maggioranza. Esempi sono: - La nomina dei cinque senatori a vita. Sono cittadini che hanno illustrato il Paese per altissimi meriti sociali, scientifici, artistici o letterari. - La nomina di 1⁄3 di giudici costituzionali - Rinvio delle leggi: il PdR può rinviare una legge alle Camere con un messaggio motivato. 3. ATTI COMPLESSI EGUALI Atti formalmente adottati dal PdR ma il loro contenuto è deciso sostanzialmente in accordo tra PdR e Governo. La controfirma viene posta dal Presidente del Consiglio in rappresentanza del Governo intero. Esempi sono la nomina del Presidente del Consiglio e lo scioglimento anticipato delle Camere. (5) 1. Gli atti normativi producono norme giuridiche che vincolano tutti. Una volta entrato in vigore, l’atto normativo (legge, regolamento, decreto-legislativo, decreto-legge, ecc.) vincola tutti, a prescindere dal fatto che si sia o meno a conoscenza della sua esistenza. 2. Gli atti normativi sono però espressione della volontà normativa degli organi a ciò espressamente abilitati dall’ordinamento giuridico. Ad esempio per le leggi statali (leggi del soggetto Stato) la potestà legislativa spetta al Parlamento. La fonte-atto o atto normativo è espressione della volontà normativa di un determinato soggetto cui l’ordinamento riconosce il potere di produrre norme giuridiche e di modificare quelle esistenti. - Fonti-fatto o fatti normativi: non è una categoria omogenea, cioè non esiste un’unica categoria di fonti-fatto. Di solito le fonti fatto non sono scritte, non sono espressione della volontà normativa di un determinato soggetto, ma sono considerate dall’ordinamento in modo oggettivo, in quanto tali. Appartengono alla categoria più ampia dei fatti giuridici ma si distinguono da loro nettamente perché producono norme giuridiche vincolanti per tutti. Esistono più tipi di fonti-fatto: a) le consuetudini, è la fonte fatto per eccellenza. Si caratterizza per avere un elemento materiale o oggettivo, costituito da un comportamento sociale ripetuto in modo costante nel tempo, e per avere un elemento psicologico o soggettivo, cioè il comportamento viene ripetuto in modo costante e uniforme nel tempo perché ritenuto giuridicamente obbligatorio o comunque conforme al diritto. Esempi di consuetudini sono gli usi normativi, usi locali o usi che hanno finito per affermarsi nelle singole categorie di operatori. La conoscenza degli usi è agevolata dalle raccolte provinciali degli usi da parte delle Camere di commercio. Altri esempi di consuetudini sono le consultazioni avviate dal Presidente della Repubblica ai fini di individuare la persona cui attribuire l’incarico di formare il governo; la nomina di vicepresidenti, di ministri senza portafoglio; la questione di fiducia posta dal Presidente del Consiglio a nome del Governo su un disegno di legge di iniziativa governativa all’esame delle Camere. Un’altra tipologia di consuetudine molto importante e che ha rango costituzionale è quella ricavabile dall’art. 10 della Cost.: “l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Non sono scritte ma sono sullo stesso piano della Costituzione che le richiama ed è il giudice italiano che di volta in volta deve applicarle, dopo averle individuate, come se fossero norme interne. Altre fonti fatto: tra gli altri tipi di fonti fatto sono le norme del diritto internazionale privato e fonti europee (es. regolamenti e direttive). Anche se queste fonti sono fonti atto dal punto di vista dell’ordinamento di appartenenza, per il nostro ordinamento sono fonti fatto in quanto non sono prodotte dagli organi ai quali il nostro ordinamento attribuisce il potere di produrre atti normativi da cui si ricavano le norme giuridiche. b L’INTERPRETAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE Disposizione normativa: è il testo scritto e se non viene modificato rimane immutata. Norme giuridiche: sono quelle che si ricavano ragionando sul testo scritto, ricostruendolo e analizzandolo (quindi interpretandolo). Come si interpretano le norme giuridiche? Art. 12 preleggi: Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 1. Interpretazione letterale: si va a guardare il significato grammaticale delle parole. 2. Interpretazione logica: si va a guardare qual’è l’intento del legislatore nell’approvazione di quella norma (ad esempio si va a vedere la relazione di accompagnamento dove il legislatore illustra le ragioni per cui richiede l’approvazione di quella progetto di legge) 3. Analogia: se c’è un vuoto normativo, prima si va a vedere se esistono delle disposizione che regolano casi simili o materie analoghe e nel caso in cui non ci fossero e la controversia non sia ancora risolvibile, nella sua risoluzione si applicano i principi generali dell’ordinamento (es. protezione della buona fede) Altre interpretazioni: - sistematica: cioè mettendo insieme più disposizioni per ricavare la norma che risolve la controversia - adeguatrice: in caso di contrasto tra due diverse interpretazioni, di cui una conforme alla Costituzione e di cui una che invece è in contrasto con la Costituzione, si deve applicare l’interpretazione conforme alla Costituzione. - autentica: quando vi è una norma che spiega come deve essere interpretata una norma precedente. - dottrinale: quella frutto dell’interpretazione degli studiosi. Ovviamente non è vincolante - giudiziale: quella fatta dai giudici. Non ha valore vincolante in quanto i giudici possono avere interpretazioni diverse o lo stesso giudici può cambiare idea circa l’interpretazione di una norma. Ha carattere vincolante solo quando si tratta di un’interpretazione dell Corte di Cassazione a sezioni unite. CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE In caso di contrasto tra due norme, si deve preferire quella più recente rispetto a quella più antica. La prevalenza della norma nuova su quella vecchia si esprime attraverso l’abrogazione. Quindi l’abrogazione è l’effetto che una norma più recente produce nei confronti della norma meno recente e consiste nella cessazione dell’efficacia giuridica della norma precedente. Questo criterio lo si può applicare alle fonti che hanno la stessa competenza per materia e per territorio. Non potrei applicarlo a 2 leggi regionali di 2 regioni diverse o a regolamenti di 2 ministri diversi. Spesso deve poi trattarsi di fonti omogenee, ad esempio una legge statale successiva può abrogare una legge statale anteriore. La prevalenza della fonte successiva consiste nell’ abrogazione della fonte anteriore con essa incompatibile. Possono essere abrogati anche singoli articoli. Abrogazione significa cessazione di efficacia dell’atto normativo dal momento in cui entra in vigore l’atto normativo che dispone espressamente o da cui si ricava l’abrogazione. La norma che viene abrogata non viene eliminata dall’ordinamento come nell’ipotesi di annullamento, quindi anche se una disposizione è abrogata continua ad essere applicata a tutti i rapporti giuridici venuti ad esistenza quando essa era in vigore. Quindi oggi ci sono numerose leggi abrogate che vengono applicate a rapporti giuridici che sono sorti quando esse erano in vigore. Non potrà più essere applicata ai rapporti successivi. Con riferimento all’abrogazione si è soliti distinguere l’efficacia nel tempo e l’efficacia nello spazio. Dal punto di vista dell’efficacia del tempo si dice che l’abrogazione opera ex nunc, cioè da ora in poi, da quando entra in vigore la fonte o l’atto normativo successivo nel tempo. L’abrogazione inoltre, solitamente, non presuppone un vizio presente nella legge che viene abrogata. L’efficacia nello spazio: dobbiamo ricordare che i tipi di abrogazione sono 3 (art. 15 preleggi) - Abrogazione espressa: per una dichiarazione espressa del legislatore. Quindi in questo caso l’abrogazione è contenuta nella stessa disposizione (es. “sono abrogate le seguenti disposizioni” o “dalla parola X alla parola Y”). La sua efficacia sarà verso tutti e non dipenderà dal giudice. - Abrogazione tacita: per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti (qui al contrario il problema nasce in quanto il legislatore non si è preoccupato di eliminare le vecchie disposizioni). Sarà il giudice a fare pulizia trovandosi di fronte ad un’antinomia. Ma il giudice non può eliminare le disposizioni, può solo operare con gli strumenti dell’interpretazione e questi gli dicono (ad es. le preleggi) che deve preferire la norma più recente e di considerare la vecchia come abrogata. Una differenza importante con l’abrogazione espressa è che quella espressa vale per tutti, mentre quella tacita, in quanto derivante dall’interpretazione dei giudici, vale solo nel singolo giudizio e non vincolano affatto altri giudici (i giudici sono soggetti soltanto alla legge e non all’interpretazione degli altri giudici) - Abrogazione implicita: perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Anche qui non c’è una disposizione che dichiara l’abrogazione ma è l’interprete che trae dal fatto che il legislatore abbia riformato la materia un argomento per sostenere che la vecchia legge debba ritenersi abrogata. CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO Dice che nel caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato. La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento, cioè l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto, disposizione o norma. Gli effetti dell’annullamento sono che l’atto annullato non può essere più applicato in nessun rapporto giuridico, anche se sorto precedentemente all’annullamento. PROCEDIMENTO LEGGI COSTITUZIONALI Sono previste 2 deliberazioni per ciascuna Camera. Il procedimento può iniziare indifferentemente nella Camera o nel Senato. Nella prima deliberazione è sufficiente la maggioranza relativa (basta che i sì superi i no). In questa fase le Camere possono apportare al progetto di legge costituzionale qualsiasi emendamento, ma il progetto è destinato a viaggiare tra Camera e Senato (c.d. navetta) fino a quando entrambe le camere non abbiano ottenuto il voto favorevole allo stesso testo. Dopo 3 mesi dalla prima votazione si passa alla seconda. In questa seconda votazione non è possibile apportare emendamenti e si aprono quindi 2 possibilità: - Se viene approvata la riforma in ciascuna Camera con una maggioranza qualificata dei 2/3, la legge è fatta e viene promulgata. - Se invece viene approvata con una solo maggioranza assoluta (metà più uno dei membri di ciascuna Camera) in questo caso non si parla di un’approvazione definitiva ma il testo è pubblicato nella Gazzetta ufficiale ed entro 3 mesi dalla sua pubblicazione può essere richiesto un referendum popolare (500.000 firme, 5 consigli regionali o 1/5 dei membri di una Camera). Tale referendum non ha un quorum minimo richiesto. LIMITI ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Non sono modificabili i principi di carattere elettivo e rappresentativo delle istituzioni, la libertà e l’uguaglianza di voto, la libertà di espressione, di associazione, riunione, tutto ciò che è indispensabile per poter definire democratico un ordinamento politico. LEGGE FORMALE ORDINARIA E ATTI CON FORZA DI LEGGE La legge formale è l’atto normativo prodotto dalla deliberazione delle Camere e promulgato dal PdR. Con l’espressione legge forma si indica sia la legge costituzionale sia la legge formale ordinaria. Gli atti con forza di legge sono atti normativi che non hanno la forma della legge, in quanto non vengono prodotti dalla deliberazione delle Camere e promulgati dal PdR, ma sono comunque equiparati alla legge formale ordinaria, cioè occupano la stessa posizione gerarchica e perciò possono abrogarla o essere da essa (e solo da essa) abrogati. Quindi le leggi formali ordinarie e gli atti con forza di legge costituiscono insieme le fonti primarie. Le fonti secondarie sono invece costituite dai regolamenti. La Costituzione dice che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalla due Camere. Pertanto, gli atti con forza di legge rappresentano un’eccezione: cioè quei casi in cui la “funzione legislativa” non è svolta in forma legislativa. Gli atti con forza di legge possono essere previsti solo da fonti costituzionali. Infatti è la stessa Costituzione che indica quali sono gli atti con forza di legge: - Referendum abrogativo delle leggi - Decreto legislativo delegato - Decreto-legge - Decreti del Governo in caso di guerra A questi atti, sono stati aggiunti i decreti di attuazione dello Statuto per le Regioni ad autonomia speciale. PROCEDIMENTO LEGISLATIVO INIZIATIVA LEGISLATIVA Consiste nella presentazione di un progetto di legge ad una Camera. Si parla di disegni di legge se presentati dal Governo o proposte di legge negli altri casi. Un progetto di legge è così diviso: - una parte che riguarda il testo che il proponente sottopone all’esame della Camera - una parte che riguarda una relazione che accompagna il testo e che ne illustra gli scopi e le caratteristiche L’iniziativa legislativa è riservata ad alcuni soggetti tassativamente indicati dalla Costituzione: A) Iniziativa governativa: il Governo è l’unico soggetto che ha il potere di iniziativa su tutte le materie e, addirittura, in alcune materie, l’iniziativa legislativa è riservata solo al Governo. La formazione del disegno di legge parte dall’iniziativa di uno o più ministri, vi è poi la deliberazione del Consiglio dei ministri e l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. Il procedimento continuerà poi con la presentazione alla Camera. B) Iniziativa parlamentare: ogni deputato o senatore può presentare progetti di legge alla Camera di appartenenza, salvo per le materie in cui l’iniziativa è riservata al Governo. Nella prassi è frequente che le proposte siano sottoscritte da più parlamentari. C) Iniziativa popolare: la Costituzione prevede che il progetto di legge possa essere proposta da 50.000 elettori (anche qui l’unico limite riguarda le materie riservate al Governo). D) Iniziativa regionale: i Consigli regionali hanno il potere di presentare progetti di legge alle Camere. E) Iniziativa del CNEL L’iniziativa legislativa non crea mai un obbligo per la Camera di deliberare. Il progetto viene stampato e distribuito ai membri della Camera, ma che la sua discussione sia inserita nei programmi di lavoro della Camera dipende dalla Conferenza dei capigruppo cui spetta il potere di selezionare gli argomenti trattati. Per cui il fenomeno chiamato “insabbiamento” non è patologico della vita parlamentare, ma rappresenta il disinteresse che i gruppi parlamentari dimostrano nei confronti della proposta. L’APPROVAZIONE DELLE LEGGI La Costituzione vieta che un progetto di legge sia discusso direttamente dalla Camera, ma prima deve essere esaminato dalla commissione permanente competente. In relazione alle diverse funzioni che svolgono commissione e aula si distinguono 3 procedimenti principali: A) Procedimento ordinario (per commissione referente) Al Presidente della Camera spetta individuare la commissione competente per materia. Il presidente della commissione o un relatore da lui incaricato espone le linee generali della proposta di legge, provocando una discussione su di essa. Si passa poi alla discussione articolo per articolo e alla votazione degli eventuali emendamenti. Alla fine il testo viene approvato assieme a una relazione finale. In aula si procede alla discussione per tre “letture”. La prima lettura è introdotta dai relatori e consiste nella discussione generale e può chiudersi con il voto di “ordine del giorno di non passaggio agli articoli” (che decreterebbe la conclusione negativa del procedimento) o altrimenti ci sarà una votazione, procedendo alla seconda lettura. Questa lettura prevede la discussione dei singoli articoli, degli eventuali emendamenti e la votazione del testo definitivo di ogni articolo. Questa è la fase più lunga e complessa. L’ordine di votazione degli emendamenti viene deciso dal presidente della Camera, ma ci sono molte regole che garantiscono la votazione del maggior numero di emendamenti, come il procedere prima alla votazione degli emendamenti che più si allontanano dal testo (es. quelli soppressivi dell’articolo), poi quelli modificativi e infine quelli aggiuntivi. Terminata questa fase si passa alla terza lettura, cioè l’approvazione finale dell’intero testo della legge. B) Procedimento per commissione deliberante Consente alla commissione di assorbire tutte le fasi del procedimento di approvazione, sostituendosi all’aula. Quindi la commissione procede a tutte e 3 le letture senza passare dall’assemblea. Data la particolarità di tale procedimento ci sono molte garanzie: - alcune materie sono escluse dal procedimento per commissione deliberante (no per proposte di legge costituzionale, legge di materia elettorale, leggi di delegazione legislativa, leggi per autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, leggi di approvazione dei bilanci). Per queste leggi quindi vi è una riserva di assemblea. - viene disposto che per la composizione della commissione deliberante sia seguito il criterio della rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari. - al Senato spetta al Presidente decidere se assegnare la proposta alla commissione e tale scelta non è opponibile. Alla Camera, invece, il regolamento prevede che il Presidente abbia solo un potere di proposta, che si considera accettata solo se nessun deputato chiede di sottoporla al voto dell’assemblea. In qualsiasi momento che precede l’approvazione finale della legge in assemblea, il Governo o 1/10 delle Camera o ⅕ della commissione stessa, potranno decidere di seguire il procedimento ordinario e rimettere il progetto all’assemblea. IL DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO Il decreto legislativo (chiamato anche decreto delegato) è il conseguente atto con forza di legge emanato dal Governo in esercizio della delega conferitagli. Questo strumento viene utilizzato soprattutto per affrontare argomenti tecnicamente molto complessi e tecnici. Il Governo esercita le sue funzioni attraverso i decreti. Quando i decreti sono emanati in forza della legge di delega (i c.d. decreti delegati) la loro formazione segue questo procedimento: 1. proposta del ministro o ministri competenti 2. delibera del Consiglio dei Ministri 3. eventuali ulteriori adempimenti se prescritti dalla legge di delega 4. eventuale deliberazione definitiva del Consiglio dei ministri a seguito dei pareri espressi da soggetti consultati 5. emanazione da parte del PdR DECRETO LEGGE È un atto con forza di legge che il Governo può adottare in casi straordinari di necessità e urgenza. Il decreto-legge entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti-legge perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Il decreto-legge non può essere emanato nelle materie coperte da riserva di assemblea. Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei ministri, emanato dal PdR e immediatamente pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Il giorno stesso della pubblicazione il decreto-legge deve essere presentato alle Camere e con tale azione il Governo chiede al Parlamento di produrre la legge di conversione, per cui il decreto-legge viene visto come allegato di un disegno di legge. Se il decreto- legge non viene convertito entro 60 giorni, perde efficacia sin dall’inizio e ne viene data immediata notizia nella Gazzetta ufficiale. Questa perdita di efficacia viene chiamata decadenza, e travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge. Infatti quando il decreto entra in vigore viene pienamente efficace, ma se decade anche tutto ciò che è stato compiuto in forza di esso viene eliminato. È evidente che tale situazione che si crea a seguito della decadenza è in alcuni casi insostenibile. La Costituzione prevede due strumenti con i quali è possibile trovare una soluzione: 1. Legge di sanatoria: è una legge riservata alle Camere con cui possono regolare i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti. - È importante sottolineare che il Parlamento, quando decide di non convertire il decreto-legge, non è tenuto ad approvare per forza la legge di sanatoria. - Non è una decisione sempre applicabile. Ad esempio se il decreto aveva introdotto una nuova imposta, il Parlamento potrà regolare i modi della restituzione dell’indebito (ad esempio prevedendo che l’importo venga compensato con imposte ancora da versare) ma non potrà sanare, nel senso che chi ha pagato non ha diritto alla restituzione. Quindi il Parlamento non può sanare gli effetti prodotti, ma può solo regolare i rapporti giuridici sorti. 2. L’altro strumento è individuabile nella Costituzione quando dice “il Governo adotta, sotto sua responsabilità, provvedimenti provvisori”. Si parla quindi di una responsabilità giuridica: Responsabilità penale: i ministri che hanno partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri in cui è stato approvato il decreto-legge senza aver messo a verbale il proprio dissenso rispondono singolarmente degli eventuali reati commessi con l’emanazione del decreto-legge. Occorre ovviamente l’autorizzazione parlamentare. Responsabilità civile: i ministri rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti a terzi Responsabilità amministrativo-contabile: i ministri che hanno espresso voto favorevole al decreto-legge rispondono solidalmente per gli eventuali danni prodotti allo Stato (danno erariale) Reiterazione del decreto-legge: quando succede che il Governo, alla scadenza dei 60 giorni, emana un nuovo decreto-legge che riproduce senza o con minime variazioni quello precedente, ormai scaduto. REGOLAMENTI PARLAMENTARI È l’atto con cui la Costituzione riserva la disciplina dell’organizzazione del funzionamento di ciascuna Camera. Esso è approvato a maggioranza assoluta dalla Camera e pubblicato in Gazzetta ufficiale. Nonostante il nome “regolamento” sono fonti primarie, inferiori soltanto alla Costituzione. Attraverso essi si manifesta l’autonomia che ha ciascuna camera e la loro indipendenza. REFERENDUM ABROGATIVO Il referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale di esprimersi direttamente su una determinata questione. È quindi uno strumento di democrazia diretta e una delle forme con cui la Costituzione prevede che il popolo eserciti la sua sovranità. Primo referendum abrogativo è stato nel 1974 con la legge sul divorzio. Con il referendum abrogativo il corpo elettorale può incidere direttamente sull’ordinamento giuridico attraverso l’abrogazione di leggi o atti con forza di legge dello Stato, oppure di singole disposizioni in essi contenute. Il referendum abrogativo è un fonte atto dell’ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria. Il referendum abrogativo richiede un procedimento lungo e difficile. Può essere proposto da: 1. Richiesta popolare: l’iniziativa parte dai promotori, cioè un gruppo di almeno 10 cittadini iscritti nelle liste elettorali, i quali depositano presso la cancelleria della Corte di cassazione il quesito intendono sottoporre a referendum. Ne viene data notizia in Gazzetta ufficiale e entro 3 mesi devono essere raccolte, su appositi fogli vidimati, 500.000 firme, le quali devono essere autenticate e depositate presso la cancelleria della Cassazione. 2. Richiesta regionale: i Consigli di almeno 5 Regioni devono approvare a maggioranza assoluta il quesito che si vuole sottoporre. Tale richiesta deve essere depositata presso la cancelleria della Cassazione. Le richieste devono essere depositate tra il 1 gennaio e il 30 settembre di ciascun anno. Non possono poi essere depositate nell’anno precedente alla scadenza ordinaria della legislatura. Presso la Cassazione si costituisce l’Ufficio centrale per il referendum che esamina le richieste per giudicarne la conformità alla legge. Entro il 31 ottobre può rilevare le eventuali irregolarità che possono essere sanate o può anche proporre la concentrazione di quesiti che risultino analoghi. Questa fase deve concludersi entro il 15 dicembre con una decisione definitiva dell’Ufficio sulla legittimità dei quesiti. I quesiti dichiarati legittimi vengono trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di ammissibilità. La Costituzione prevede infatti che alcune materie (leggi tributarie e di bilancio, leggi di amnistia e indulto, leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali) siano escluse dal referendum. La decisione della Corte deve avvenire entro il 10 febbraio dell’anno successivo. Se la Corte dichiara ammissibile il referendum, il PdR deve fissare il giorno della votazione tra il 15 aprile e il 15 giugno. L’ufficio centrale dovrà accertare che alla votazione abbia preso parte la maggioranza degli aventi diritto al voto, altrimenti l’iniziativa fallisce e la legge resta in vigore. Va poi accertata la somma dei voti validi favorevoli e contrari e proclama il risultato. Se i no superano i si, lo stesso quesito non può essere riproposto prima dei 5 anni. Se il risultato è favorevole all’abitazione, il PdR con proprio decreto, dichiara l’avventura abrogazione della legge, dell’atto o della disposizione. Il decreto viene subito pubblicato in Gazzetta ufficiale e l’abrogazione ha effetto dal giorno successivo alla data di pubblicazione. I REGOLAMENTI I regolamenti sono fonti secondarie, perciò le norme contenute in essi non possono modificare o abrogare delle leggi. I regolamenti sono subordinati alla legge e quindi il potere di fare regolamenti esiste solo se e quando la Costituzione o una legge ordinaria lo prevedono. Non tutte le materie possono essere affidate alla disciplina dei regolamenti. Infatti la Costituzione impone che certe materie siano disciplinate solo dalla legge e non da fonti diverse (riserva di legge assoluta). Il regolamento non può poi essere retroattivo, quindi non può disporre la propria applicazione a situazioni passate. REGOLAMENTI GOVERNATIVI I regolamenti governativi sono atti normativi spesso complessi (come le leggi suddivisi in articoli, capi, ecc.) ma emanati dagli organi dell’esecutivo attraverso un procedimento che non ha le garanzie di controllo parlamentare. È una fonte secondaria. I regolamenti governativi vengono deliberati, su proposta di uno o più ministri, dal Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato. Si tratta di un parere obbligatorio ma non vincolante. Il regolamento viene poi emanato con decreto del PdR con proprio decreto. L’atto non è ancora efficace in quanto deve passare il controllo di legittimità della Corte dei conti, la quale provvede al visto e alla registrazione. Infine viene pubblicato in Gazzetta ufficiale. MINISTRO - CONSIGLIO DI STATO - CONSIGLIO DEI MINISTRI - PDR - CORTE DEI CONTI CORTE COSTITUZIONALE La giustizia costituzionale è quello strumento di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione. Questo è uno dei più importanti aspetti presenti in una Costituzione rigida. Il nostro sistema di giustizia costituzionale si basa su un giudizio: - accentrato: in quanto vi è un solo organo competente, cioè la Corte Costituzionale - successivo: in quanto investe soltanto le leggi una volta che entrano in vigore - indiretto: in quanto non è prevista la possibilità per i cittadini di ricorrere alla Corte Costituzionale, ma lo può fare solamente il giudice. La Corte Costituzionale è competente a giudicare: - controversie relative alla legittimità delle leggi e degli atti con forza di legge dello Stato e delle Regioni - i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato - i conflitti di attribuzione tra le Regioni e tra Regioni e Stato - le accuse promosse contro il PdR per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione - l’ammissibilità dei quesiti sottoposti a referendum La Corte è composta da 15 giudici. Il loro mandato è di 9 anni e non è rinnovabile. REQUISITI: magistrato anche in pensione di giurisdizioni superiori ordinaria e amministrativa - avvocati con almeno 20 anni di esercizio - professori ordinari delle Università in materie giuridiche 5 giudici vengono nominati dal Parlamento in seduta comune 5 dal PdR 3 dai magistrati della Corte di Cassazione 1 dai magistrati del Consiglio di Stato 1 dai magistrati della Corte dei Conti I giudici costituzionali sono sottoposti ad un forte regime di incompatibilità, non solo politica (in quanto non possono ricoprire cariche politiche o ricoprire ruoli in partiti o movimenti politici) ma anche professionale. I giudici inoltre sono sottoposti a: - improcedibilità e insindacabilità: non possono quindi essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nello svolgimento delle loro funzioni. Inoltre hanno un’immunità penale equiparata a quella dei parlamentari. - inamovibilità: i giudici non possono essere rimossi o sospesi dalle loro funzioni, se non tramite una deliberazione della Corte presa a maggioranza dei 2/3 dei presenti ma solo in casi di incapacità fisica o civile o in casi di gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni. Però il giudice decade dalla carica se non esercita le sue funzioni per 6 mesi. Spetta alla stessa Corte convalidare le nomine. I giudici hanno la garanzia di avere un’indennità economica come quella del magistrato investito delle più alte funzioni e inoltre garanzie di reinserimento nell’attività professionale nel momento di cessazione della carica. Infine è la Corte a tenere il proprio bilancio. I giudici restano quindi in carica per 9 anni. Tuttavia, la Corte viene rinnovata gradualmente, quindi i giudici non scadono tutti insieme ma uno alla volta. A loro non si applica il regime della prorogatio, tranne nei casi in cui ci siano giudizi penali in corso: in questo, il giudice scaduto continuerà a occuparsi esclusivamente del giudizio iniziato ma ancora in corso; i giudici non scaduti continueranno a occuparsi sia dei vecchi sia dei nuovi processi; i giudici nuovi si occuperanno solo dei nuovi giudizi. La Corte elegge un proprio Presidente tra i suoi membri. Si elegge con una maggioranza assoluta, ma dal terzo scrutinio si ha il ballottaggio tra i due giudici più votati. La carica di Presidente è di 3 anni ed è rinnovabile. Ovviamente nel momento in cui scade la carica di giudice scade anche quella di Presidente. Rappresenta la Corte all’esterno e dirige i suoi uffici. La Corte emette: - sentenze: cioè l’atto con cui il giudice chiude un processo. - ordinanze: cioè atti che non chiudono il processo, ma che vengono adottati dal giudice per risolvere questioni durante il corso del processo. NOTA BENE: abbiamo detto che la Corte è chiamata a giudicare eventuali controversie sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. A tal proposito è da precisare che neppure le leggi di revisione costituzionale si sottraggono a tale giudizio. Pertanto la Corte giudicherà, in caso di controversia, la legge sia per eventuali vizi formali (cioè che riguardano il procedimento adottato nella produzione della legge) sia eventuali vizi materiali (cioè eventuali violazioni di principi e limiti posti dalla Costituzione). Un altro problema riguarda quelle leggi che risalgono a prima dell’entrata in vigore della Costituzione: in questo caso la Corte è chiamata a giudicare solo eventuali vizi materiali, ma non formali. La Corte, invece, non è chiamata a giudicare la legittimità delle fonti fatto, come le consuetudini o di fonti europee. Come parametro di giudizio la Corte ha, prima di tutto, la Costituzione e le leggi Costituzionali. Tuttavia ci sono casi in cui la stessa Costituzione prevede che alcune leggi o atti aventi forza di legge debbano rispettare alcune norme poste da leggi non costituzionali, dette leggi sub-costituzionali. Si pensi ad esempio ai decreti legislativi delegati i quali contenuti devono rispettare i limiti e le indicazioni contenute nella legge di delega. Pertanto la Corte deve tenere conto anche di questo parametro interposto, in quanto un’eventuale violazione di una norma sub-costituzionale comporterebbe una violazione indiretta della Costituzione. 1. GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE Avviene quando la questione di legittimità costituzionale viene presentata nel corso di un procedimento giudiziario (giudizio a quo). Questo comporta la sospensione del giudizio e la remissione della questione alla Corte Costituzionale. È un giudizio indisponibile, in quanto se vi sono i presupposti il giudice è tenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale alla Corte e neanche le parti possono opporsi. Quindi la questione deve essere sollevata durante un processo davanti all’autorità giudiziaria: è il giudice a sollevare la questione alla Corte, o di ufficio o su richiesta di una delle parti. Il giudice deve verificare la presenza di due requisiti: 1. La questione deve essere rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. Quindi ci deve essere un legame tra la questione di legittimità costituzionale e il giudizio a quo. Sostanzialmente il giudizio a quo non può proseguire senza la risoluzione della questione di legittimità costituzionale. 2. La questione deve essere fondata giuridicamente, quindi è necessario che ci siano sufficienti motivazioni giuridiche che pongono dubbi sulla costituzionalità della legge o dell’atto avente forza di legge. Se il giudice ritiene che i presupposti sussistano, emette un’ordinanza di rinvio, la quale deve essere motivata e produce l’effetto di rivolgersi alla Corte Costituzionale per la questione di legittimità e la sospensione del giudizio a quo fino alla pronuncia della Corte. 2. GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE Questo tipo di giudizio viene promosso dallo Stato nei confronti di atti adottati dalle Regioni o dalle Regioni nei confronti di atti adottati dallo Stato o da altre Regioni. Si dice in via principale in quanto viene instaurato un apposito procedimento e non sorge nel corso di un altro giudizio. L’impugnazione da parte dello Stato nei confronti di leggi regionali è promossa dal Governo quando ritiene che una legge regionale violi i principi Costituzionali, anche nel caso in cui la violazione non riguardi sue competenze. Per cui il Governo non deve dimostrare di avere interesse a ricorrere in quanto la legge regionale sta violando l’area di sua competenza. . TIPI DI GIUDIZIO Regioni speciali: hanno un’autonomia più ampia e tale autonomia è definita dallo statuto di ciascuna di queste regioni, approvato con legge costituzionale. Le regioni speciali sono: Sicilia, Sardegna, Friuli, Trentino, Valle d’Aosta. Condizioni di autonomia simile alle regioni speciali sono state riconosciute anche alle province di Trento e Bolzano. Regioni ordinarie: sono tutte le altre e la loro disciplina è prevista dalla Costituzione. È importante che sia la legge statale sia quella regionale siano sottoposte agli stessi limiti, cioè il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha potestà regolamentare nelle materie in cui ha potestà legislativa esclusiva, mentre nelle altre la potestà regolamentare è riservata alle Regioni. Originariamente la Costituzione prevedeva che doveva operare il principio del “parallelismo delle funzioni”, cioè che nelle materie di competenza delle Regioni, erano sempre le Regioni a esercitare anche le funzioni amministrative, mentre in tutte le altre materie le funzioni amministrative erano riservate allo Stato. Con la riforma costituzionale si è superato questo principio, attribuendo ai Comuni la generalità delle funzioni amministrative, tranne per quelle dove è necessario un organo più grande come Province, Regioni o Stato. Quindi esiste il principio di sussidiarietà (cioè il livello di governo superiore interviene solo quando l'amministrazione più vicina ai cittadini non possa da sola assolvere al compito), principio di differenziazione (enti dello stesso livello possono avere competenze diverse) e adeguatezza (le funzioni devono essere affidate ad enti che abbiano i requisiti sufficienti di efficienza). Quindi a seguito di tale riforma tutte le funzioni dell’amministrazione pubblica dovrebbero essere tendenzialmente assegnate ad un’amministrazione locale salvo non vi sia l’esigenza di unificarne l’esercizio ad un livello più elevato. La legge costituzionale 1/1999 ha modificato la Costituzione e introdotto l’elezione popolare diretta del Presidente della Regione. Da una parte abbiamo il Consiglio regionale, eletto dagli elettori regionali. È titolare della funzione legislativa, del potere di fare proposte alle Camere e altre funzioni attribuitegli dalla Costituzione. Gode delle prerogative del Parlamento, quindi insindacabilità dei suoi membri per le opinioni espresse e i voti dati. Dall’altra parte c’è il Presidente della Regione eletto a suffragio universale e diretto dal corpo elettorale regionale. Il Presidente eletto rappresenta la Regione, dirige la politica della Giunta e ne è responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione. La Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione (cioè titolare della funzione amministrativa); ma essa è diretta politicamente dal Presidente eletto, cui la Costituzione affida il potere di nominare i componenti della Giunta, nonché il potere di revocarli. Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno 1⁄5 dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. L’approvazione della mozione di sfiducia determina le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale e si andrà a nuove elezioni per il rinnovo di entrambi gli organi.. PRESIDENTE - CONSIGLIO REGIONALE - GIUNTA REGIONALE L’assetto della forma di governo regionale è previsto dalla Costituzione che però affida allo Statuto di ciascuna Regione la competenza a determinare (in armonia con la Costituzione) la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Di conseguenza lo Statuto regionale può anche modificare il modello costituzionale o anche escludere l’elezione diretta del Presidente della Regione. La nuova disciplina affida alla legge regionale anche il compito di stabilire il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale e del Consiglio regionale, nei limiti dei principi fondamentali determinati dalla Costituzione la quale fissa anche la durata degli organi. LEGGI REGIONALI La legge regionale è una legge ordinaria formale. È quindi una fonte primaria in quanto la competenza della legge regionale è garantita dalla stessa Costituzione e anche perché è equiparata alla legge Statale per quanto riguarda il controllo di legittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale. Alle leggi regionali sono equiparate le leggi provinciali delle Province di Trento e Bolzano. Il loro procedimento di formazione è disciplinato dalla Costituzione, dallo Statuto e del regolamento interno del Consiglio regionale. 1. Iniziativa: hanno iniziativa la Giunta e i Consiglieri. In genere gli Statuti estendono l’iniziativa anche al corpo elettorale e agli enti locali 2. Approvazione in Consiglio Regionale: passa prima in Commissione - poi le 3 letture in Assemblea. Generalmente maggioranza relativa. 3. Promulgazione Presidente della Regione (non ha potere di rinvio) e pubblicazione sul BUR. Entrata in vigore dopo 15 giorni. Lo Stato può impugnare le leggi regionali solo una volta che sono in vigore. RIFORMA DEL 2001 - materie in cui la potestà legislativa è esclusiva dello Stato - ci sono materie su cui le Regioni hanno potestà legislativa concorrente: cioè lo Stato determina i principi fondamentali della materia mentre il resto della disciplina è di competenza delle Regioni che devono rispettare i principi posti. I principi possono essere espressamente fissati dallo Stato o, in mancanza di essi, si ricavano dai principi della legislazione vigente. - clausola residuale: in tutte le materie che non sono presenti nei due elenchi precedenti, spetta alle Regioni la competenza legislativa. A questo però bisogna affiancare alcuni punti importanti: - gli obblighi internazionali: prima era solo la legislazione regionale ad essere tenuta al rispetto degli obblighi internazionali contratti fallo Stato (cioè non poteva avere potere estero e non potevano legiferare in contrasto con gli impegni assunti dallo Stato a livello internazionale). Ora invece viene parificata la posizione del legislatore regionale a quello statale, vincolando entrambi al rispetto degli obblighi UE e internazionali. Inoltre viene confermata per la prima volta la possibilità delle Regioni di stipulare accordi e intese con Stati e enti territoriali esterni allo Stato, rinviando alla legge statale la disciplina dei casi e delle forme con cui questa facoltà possa venire esercitata. REGIONI ORDINARIE a - esistono interferenze statali nelle materie regionali, in quanto per alcune materie è difficile circoscriverle. Si tratta ad esempio della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e penale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, la tutela dell’ambiente e dei beni colturali. - principio della sussidiarietà secondo cui le funzioni amministrative possono essere esercitate da organi centrali qualora sia più conveniente. La Corte ha però imposto che in questi casi di sconfinamento dello Stato dalle sue materia si necessario rispettare il principio della leale collaborazione, ossia è necessario che le Regioni siano fortemente coinvolte nelle decisioni. Per quanto riguarda le Regioni speciali: - hanno competenza legislativa esclusiva in alcune materie - ha una competenza legislativa concorrente come perle Regioni ordinarie ma alcune materie sono diverse - ha una potestà integrativa che consente alla Regione speciale di emanare norme in specifiche materie per adeguare la legislazione Statale alle esigenze particolari della Regione PROCEDURA DI APPROVAZIONE DELLO STATUTO REGIONALE Lo Statuto regionale è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi membri, con due deliberazioni adottate in un intervallo non minore di due mesi. A questo segue la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione. Esso non entra in vigore ma si aprono i termini per due opzioni: - se il governo ritiene che quanto deliberato dalla Regione sia in tutto o in parte contrario alla Costituzione, può promuovere entro 30 giorni la questione di legittimità costituzionale - gli elettori o i componenti del Consiglio regionale possono chiedere entro 3 mesi lo svolgimento del referendum. Se il Governo non agisce e gli elettori non richiedono il referendum, lo Statuto viene promulgato e entra in vigore. Se invece viene richiesto il referendum lo Statuto non viene promulgato se non viene approvato dalla maggioranza dei voti validi. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE POTERI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Potere di esproprio: le autorità amministrative hanno il potere di espropriare i beni immobili necessari per le opere di pubblica utilità - Potere di scioglimento di manifestazioni non autorizzate - Potere di diffidare a demolire un edificio abusivo o muro pericolante Oltre a questi poteri, la pubblica amministrazione ha il potere di compiere atti con i quali consente a qualcuno di tenere un comportamento che altrimenti non gli sarebbe consentito. Si parla di tutti quegli atti che autorizzano a fare qualcosa: permesso edilizio, porto d’armi, ecc. In questi casi il destinatario dell’atto può tenere un comportamento che prima non poteva tenere e coloro che non sono i destinatari di un atto analogo non possono tenere.
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