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Dispensa di diritto costituzionale, Dispense di Diritto Costituzionale

Riassunto del libro corso di diritto costituzionale di Augusto Barbera e Carlo Fusaro

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 14/03/2023

tiziano-barbatiello
tiziano-barbatiello 🇮🇹

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Scarica Dispensa di diritto costituzionale e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! TIZIANO BARBATIELLO DIRITTO COSTITUZIONALE Seconda parte LO STATO E GLI ALTRI ORDINAMENTI L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE -COMUNITÀ DEGLI STATI E DIRITTO INTERNAZIONALE Il diritto internazionale è l’ordinamento della comunità degli stati, trattato di Vestfalia (1648) è la nascita del diritto internazionale. Nel momento in cui si affermano ordinamenti, i quali non riconoscono alcun soggetto ad essi superiore che ne possa disciplinare i rapporti, sorge la comunità costituita con tali nuovi soggetti, la quale si pone a sua volta come ordinamento giuridico e dà vita al proprio diritto. Caratteristica del diritto internazionale è quella di avere una base sociale costituita non da persone fisiche, da essere umani, ma esclusivamente da stati, cioè entità collettive. Differenze dell’ordinamento internazionale con gli ordinamenti statali: non c’è un ente che si ponga nei confronti dei consociati in posizione sovraordinata; l’ordinamento internazionale non ha un organo legislativo che produca norme che abbiano come destinatari tutti i soggetti che ne fanno parte; le norme di d. internazionale generale sono prodotte da fonti fatto, cioè di formazione consuetudinaria, e obbligano tutti i soggetti dell’ordinamento; altra cosa sono le norme di d. internazionale particolare che vincolano solo gli stati che sottoscrivono trattati e accordi; manca un meccanismo organizzato di soluzione delle controversie che eventualmente insorgono fra i soggetti dell’ordinamento; la protezione degli interessi dei soggetti dell’ordinamento è in grande misura affidata all’istituto dell’autotutela (consiste nel fatto che il singolo soggetto è autorizzato a ricorrere ad atti coercitivi per attuare i propri diritti). -ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E ORDINAMENTO ITALIANO Secondo la concezione dualista si amo di fronte a due ordinamenti indipendenti e separati, ciascuno dei quali compie autonomamente le proprie valutazioni giuridiche: ciò che può produrre conseguenze giuridiche in un ordinamento può risultare irrilevante nell’altro e viceversa. Le modalità mediante con le quali lo stato contrae obblighi di diritto internazionale possono avere origine consuetudinaria ovvero pattizia. Gli obblighi di origine pattizia possono derivare da trattati o da accordi. I trattati richiedono la ratifica, attraverso la quale lo stato esprime il proprio consenso a essere obbligato; gli accordi non richiedono ratifica, basta la semplice firma. (Def. Ratifica: istituto giuridico mediante il quale un soggetto fa propri gli effetti di un negozio concluso con terzi dal proprio rappresentante) TIZIANO BARBATIELLO Il ministro degli esteri firma il trattato insieme a coloro che rappresentano e altre parti contraenti. Successivamente interviene la ratifica da parte di ciascuno stato. Nell’ordinamento italiano la ratifica è atto del P.D.R. (art. 87.8 cost.) in alcuni casi deve essere autorizzato dal parlamento, casi specificati nell’articolo 80 cost., per: variazioni al territorio; oneri finanziari a carico dello stato; modificazioni di leggi; trattati che hanno natura politica; trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari internazionali (ovvero una limitazione della sovranità dello stato che si obbliga ad accettare una qualche forma di giurisdizione in caso di controversie che lo contrappongono ad altro stato, ad es. un tribunale internazionale). -L’ADATTAMENTO AGLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI Lo stato opera su due piani separati: come soggetto di diritto internazionale, una volta ratificato un trattato, si obbliga nei confronti degli altri stati contraenti a introdurre una certa normativa interna, adattando così il proprio ordinamento; come soggetto di diritto pubblico, sul piano interno, resta padrone di fare ciò, di conformarsi oppure no. L’adattamento può aver luogo in forme diverse (tre modalità): il ricorso a procedimenti ordinari di produzione giuridica, in questo modo vengono adottate norme il cui contenuto, elaborato dal legislatore statale, serve a ottemperare agli obblighi internazionale. La fonte utilizzata è la legge. Queste contengono appunto gli adattamenti che possono consistere in introduzione di nuove norme o nella modifica ovvero nella soppressione di norme preesistenti; il ricorso a procedimento speciale (il più utilizzato), in questo modo viene approvata una legge che dispone l’adattamento dell’ordinamento interno ai vincoli internazionali attraverso l’ordine di esecuzione. Il testo del trattato viene allegato alla legge. Gli obblighi previsti dal trattato non sono riformulati nella legge: essi risultano vincolanti nell’ordinamento interno in virtù dell’ordine di esecuzione, il quale rinvia totalmente al trattato. L’estinguersi del trattato comporta l’estinzione delle norme interne introdotte, in base a quel trattato, con l’ordine di esecuzione; il terzo modo consiste in un meccanismo peculiare in base al quale non vi è necessità di alcun apposito atto statale per adattare l’ordinamento interno alle norme internazionali, in quanto l’adattamento è previsto in forma automatica. Questo automatismo ha come effetto che l’adattamento è immediato e diretto, completo, continuo. Affinché un meccanismo del genere possa operare, è indispensabile che l’ordinamento interno lo preveda: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” art. 10.1 cost. questo particolare tipo di fonte si colloca in posizione intermedia fra costituzione e legge: violare una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta costituisce violazione indiretta della costituzione. -DIRITTO INTERNAZIONALE E TUTELA DEI DIRITTIUMANI Cedu, convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’evoluzione del diritto internazionale in materia di diritti umani è dovuta a norme pattizie: si basa cioè su una serie di trattati, vincolanti per le sole parti contraenti. -ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE E LE MISSIONI INTERNAZIONALI TIZIANO BARBATIELLO particolare, si tratta di ricorsi per inadempimento contro le infrazioni compiute dagli stati membri e dei ricorsi di annullamento contro gli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione in violazione dei trattati. La Banca centrale europea (Bce): è dotata di personalità giuridica propria e di un elevato grado di indipendenza rispetto alle altre istituzioni e ai governi. Fondamentale in materia di politica monetaria. Il compito principale è assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi e sostenere le politiche economiche generali dell’unione. -IL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA Le fonti originarie dell’Unione sono i trattati. I principi e i valori dei trattati sono: il rispetto della dignità umana; la pace e il benessere fra i popoli; il rispetto dell’uguaglianza degli stati membri e il principio di collaborazione fra Unione e stati; i principi di attribuzione, sussidiarietà, proporzionalità; il riconoscimento dei diritti e principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’unione; l’eguaglianza dei cittadini e la comune cittadinanza europea; il buon funzionamento dell’Unione e delle sue istituzioni, fondato sulla democrazia rappresentativa. La cittadinanza Eu non sostituisce ma si aggiunge a quella nazionale, conferisce il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri. Alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è riconosciuta la stessa importanza dei trattati. Aspetto innovativo della carta è che abbandona la distinzione fra diritti civili e politici da una parte e diritti economici e sociali dall’altra, elencandoli raggruppati. L’Unione esercita solo le competenze che gli stati hanno ad essa attribuito coi trattati. Le competenze attribuite sono di tre tipi: competenze esclusive, nei settori in cui solo l’Unione può legiferare; competenze concorrenti, nei settori in cui entrambi possono legiferare (solo se l’Unione non l’ha fatto o ha deciso di cessare di farlo); competenze di sostegno, coordinamento o completamento delle azioni degli stati. L’Unione esercita le competenze applicando i principi di sussidiarietà e di proporzionalità: il primo significa che l’Unione, nei settori che non sono dia sua competenza, interviene solo se in quanto i suoi obiettivi non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli stati e possono invece essere meglio conseguiti a livello europeo; il secondo significa che l’azione dell’Unione non deve andare al di là di quanto necessario al conseguimento dei suoi obiettivi. Ciò di cui l’Unione si occupa e come lo fa è disciplinato dal Tfue. L’art. 48 Tue prevede una procedura ordinaria e anche procedure semplificate. La prima attribuisce a qualsiasi stato, al parlamento europeo e alla Commissione l’iniziativa, da presentare al Consiglio che a sua volta la trasmette al Consiglio europeo. Le modifiche eventualmente decise entrano in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti gli stati membri. Le fonti derivate dell’Unione sono: i regolamenti sono leggi dell’Unione cioè atti normativi di portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi, direttamente applicabili in tutti gli stati membri; le direttive sono atti che vincolano uno o più e, prevalentemente, tutti gli stati membri in vista di un risultato che essi devono raggiungere, entro un certo termine, facendo ricorso agli strumenti giuridici di diritto interno più opportuni e adatti allo scopo. TIZIANO BARBATIELLO La procedura legislativa ordinaria si basa sulla competenza legislativa di Parlamento e Consiglio, sempre su proposta della commissione; possono esserci anche delle procedure speciali che attribuiscono a seconda dei casi una certa prevalenza al Parlamento ovvero al Consiglio. La procedura legislativa ordinaria prevede in ordine: la presentazione da parte della Commissione si una proposta al Parlamento e al Consiglio; una prima lettura del Parlamento e trasmissione al Consiglio; prima lettura del Consiglio, con approvazione dello stesso testo trasmesso dal Parlamento e adozione dell’atto oppure approvazione con emendamenti e trasmissione al Parlamento; seconda lettura da parte del Parlamento entro 3 mesi che può approvare il testo del Consiglio oppure ritrasmetterlo ad esso; se ciò accade, seconda lettura del Consiglio entro 3 mesi, se il Consiglio approva gli emendamenti del Parlamento il testo è approvato, in caso contrario viene convocato un comitato di conciliazione che risolverà la questione. IL SISTEMA DELLE FONTI (PARTE 3) LE FONTI DEL DIRITTO: CONCETTI GENERALI -LE FONTI DEL DIRITTO Si chiamano fonti del diritto i fatti o gli atti che l’ordinamento giuridico abilita a produrre norme giuridiche. I requisiti delle norme sono la generalità (cioè riferite a una pluralità indistinta di soggetti) e l’astrattezza (il prevedere una regola ripetibile nel tempo a prescindere dal caso concreto). Si chiamano fonti di produzione quei fatti (eventi naturali o anche comportamenti umani non volontari) o quegli atti (comportamenti umani volontari e consapevoli) ai quali l’ordinamento attribuisce la capacità di produrre imperativi che esso riconosce come propri. Si chiamano fonti sulla produzione quelle norme che disciplinano i modi di produzione del diritto soggettivo, individuando i soggetti titolari di potere normativo, i procedimenti di formazione. Quando l’ordinamento riconosce direttamente al corpo sociale la capacità di produrre norme in via autonoma, si parla di fonti fatto. Quando la norma è prodotta da un soggetto istituzionale secondo le procedure previste dalle norme sulla produzione si parla di fonti atto. Alle fonti sulla produzione è affidata anche la funzione di individuare i modi mediante i quali le norme sono portate a conoscenza dei destinatari, si parla di fonti di cognizione. TIZIANO BARBATIELLO Con riferimento alle sole fonti, si prevede: la pubblicazione in forma ufficiale; l’applicazione del principio iuria novit curia (il giudice è tenuto a conoscere la legge) e dell’ignorantia legis non excusat; il ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze civili e penali; l’interpretazione e applcazione del diritto delle preleggi. -SOGGETTI CHE CONCORRONO A PRODURRE DIRITTO Con l’avvento dello stato liberaldemocratico nasce la previsione di una costituzione rigida quale atto supremo dell’ordinamento giuridico, superiore a ogni altra fonte. La costituzione ha individuato processi di produzione del diritto a competenza riservata, attribuendo a soggetti determinati, in specifici ambiti, il potere normativo: in ragione del pluralismo istituzionale, attraverso l’attribuzione di poteri normativi agli enti regionali e locali, che costituiscono la repubblica, (art. 114 cost.); in ragione dell’apertura all’ordinamento internazionale operata dagli artt. 10 e 11 cost., consentendo l’ingresso di norme giuridiche internazionali o sovranazionali; in ragione al pluralismo sociale, come nel caso dei rapporti fra stato e Chiesa ovvero ad altre confessioni religiose (artt. 7 e 8 cost.). -LA COSTITUZIONE COME FONTE SULLE FONTI La costituzione non stabilisce direttamente tutti i processi di produzione dei diritti, ma si limita a determinare quelli più importanti: quelli che permettono di produrre norme di rango costituzionale (leggi di revisione costituzionale e le leggi costituzionali ex art. 138 cost.; gli statuti delle regioni speciali); quelli che permettono di produrre norme di rango primario (le leggi ordinarie dello stato ex artt. 70 e 117 cost.; i decreti legislativi e i decreti legge ex artt. 76 e 77 cost.; i regolamenti parlamentari ex art. 64 cost.; gli statuti delle regioni ordinarie ex art. 123 cost.; le leggi regionali ex artt. 117 e 121 cost.). Con riferimento agli atti primari, il sistema delle fonti del diritto deve considerarsi un sistema chiuso: non sono configurabili atti fonte primari al di là di quelli espressamente previsti dalla Costituzione (la creazione di essi richiederebbe una revisione costituzionale). La costituzione si limita a stabilire la disciplina essenziale, all’interno della quale possono essere fissate regole ulteriori che svolgono la funzione di integrare e completare gli spazi lasciati aperti (ad esempio i procedimenti con cui sono adottati i decreti legislativi e i decreti legge vengono dalle disposizioni della legge 400/1988); il carattere chiuso delle fonti primarie significa che ciascun atto normativo non può disporre di una forza maggiore di quella che la Costituzione ad esso attribuisce (un atto legislativo non potrebbe attribuire ad altri atti fonte una capacità pari alla propria di innovare al diritto oggettivo o di resistere all’abrogazione). TIZIANO BARBATIELLO Si fa riferimento anche all’interpretazione analogica come rimedio per colmare lacune normative. L’analogia consiste nell’applicare a un caso on previsto una disciplina prevista per casi simili. In caso in cui manchino anche norme che regolino casi simili, la lacuna può essere colmata facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento dello stato. L’art. 14 delle preleggi vieta l’interpretazione analogica per le materie penali e speciali. LE FONTI DEL DIRITTO: LE SINGOLE FONTI -LA COSTITUZIONE E LE FONTI COSTITUZIONALI La rigidità della costituzione significa che può essere modificata solo mediante uno speciale procedimento di revisione costituzionale. L’art. 138 cost. prevede fra le fonti del diritto di rango costituzionale le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali: le leggi di revisione costituzionale hanno come oggetto la modificazione, mediante emendamento, aggiunta o soppressione di parti del testo della costituzione; le leggi costituzionali sono sia quelle espressamente richiamate da singole disposizioni della costituzione, per integrare la disciplina di determinate materie, sia quelle che il Parlamento decide di deliberare nelle forme dell’art. 138. Esse affiancano il testo costituzionale pur non facendone parte. Il procedimento di formazione delle leggi di rango costituzionale è diverso rispetto a quello delle leggi ordinarie: si chiama procedimento aggravato. Esso prevede una duplice lettura da parte di ciascuna camera: la prima lettura si svolge secondo le regole previste per qualunque procedimento legislativo, ma con divieto di approvazione in commissione in sede legislativa; la seconda lettura, a distanza non inferiore di 3 mesi, richiede maggioranze qualificate. In seconda lettura: se il procedimento di legge costituzionale è stato approvato a maggioranza assoluta, esso viene pubblicato in Gazzetta della Repubblica a scopo notiziale. Dal giorno della pubblicazione decorrono 3 mesi entro cui un quinto dei componenti di una camera o 500 mila elettori possono richiedere che la legge approvata sia sottoposta a referendum costituzionale. Richiesto il referendum, la legge è promulgata solo se è stata approvata dalla maggioranza dei voti validi; se invece il progetto è stato approvato a maggioranza dei due terzi di ciascuna camera, non è consentito chiedere il referendum. Esistono limiti alla revisione costituzionale, direttamente connessi al principio di rigidità che segnano il confine fra modificazione e mutamento della costituzione. L’unico limite espresso è stabilito dall’art. 139. Secondo la dottrina esistono limiti impliciti. Questi limiti coincidono con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, che la Corte costituzionale ha richiamato nella sentenza n. 1146 del 1988. Sono quei principi che danno identità all’ordinamento costituzionale e in quanto tali, se intaccati nel loro contenuto essenziale, darebbero luogo non a revisione ma a mutamento costituzionale. Limite logico alla revisione è stato ritenuto l’art. 138. TIZIANO BARBATIELLO Un'altra legge costituzionale rinforzata è l’art. 132 che riguarda la modifica del territorio regionale. -LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA Le autorità amministrative e giurisdizionali italiane applicano il diritto dell’unione in parte direttamente, caso dei regolamenti, in parte previo adeguamento dell’ordinamento interno, caso delle direttive; ciò accade disapplicando il diritto italiano incompatibile. Ciò in forza del primato del diritto dell’Unione, affermato dalla corte di giustizia europea che lo considera un principio fondamentale insito della specifica natura dei trattati. Tutto questo è possibile nel nostro paese grazie ad una interpretazione dell’art. 11 cost. il quale consente di stipulare trattati con cui ci si obbliga a limitazioni di sovranità. “L’Italia… consente, in condizioni di parità con gli alteri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Gli unici limiti sono chiamati controlimiti, stabiliti dalla Corte costituzionale, in linea con la giurisprudenza di altri paesi, sono quelli dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona. Il contrasto fra diritto dell’Ue e diritto interno viene risolto sulla base del principio di necessaria applicazione del regolamento dell’Unione da parte del giudice comune. Questo principio non rende la norma interna contrastante abrogata o invalida, ma non applicabile. Ciò riguarda i regolamenti, per quanto riguarda le direttive, invece, avranno nel sistema delle fonti la collocazione che è propria dell’atto di recepimento. La costituzione riconosce alle regioni il potere di attuare immediatamente le direttive. Poiché il mancato recepimento di una direttiva espone lo stato a responsabilità nei confronti dell’Unione, l’art. 117.5 cost. prevede un potere sostitutivo statale in caso di inadempienza regionale. -LA LAEGGE ORDINARIA DELLO STATO La legge ordinaria dello stato è a fonte generale, nei limiti stabiliti dalla costituzione: può disciplinare qualsiasi oggetto, fatto salvo quanto disciplinato dalla costituzione. La legge è l’atto fonte a produrre norme primarie che la costituzione all’art. 70 attribuisce alle camere. L’art. 117 cost. pone come limiti generali, oltre al rispetto della costituzione, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e di quelli derivanti gli obblighi internazionali. Alla legge la costituzione affida importanti materie tramite la riserva di legge: tale istituto designa i casi in cui le disposizioni costituzionali attribuiscono la disciplina di una determinata materia alla sola legge, sottraendola così alla disponibilità di atti fonte ad essa subordinati, tra cui in primo luogo i regolamenti dell’esecutivo. La riserva di legge si contraddistingue sotto due aspetti: aspetto negativo, cioè il divieto di intervenire nella materia riservata da parte di atti diversi dalla legge; TIZIANO BARBATIELLO aspetto positivo, cioè l’obbligo per la legge di intervenire nella materia riservata, sicché essa non può spogliarsi di tale compito a favore di altri atti. Si distinguono diverse tipologie di riserve di legge: riserve assolute, quando l’intera disciplina della materia è riservata alla legge, salvo solamente regolamenti di stretta esecuzione; riserve relative, quando alla legge spetta la disciplina essenziale o di principio della materia in modo da circoscrivere adeguatamente la discrezionalità dell’esecutivo nel dettare mediante regolamento la disciplina ulteriore di dettaglio. Vi sono casi in cui si verifica una dissociazione fra la forma e i contenuti della legge. È il caso delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (leggi in senso solo formale). È frequente il caso di leggi provvedimento, le quali hanno un contenuto, anziché generale e astratto, di veri e propri atti amministrativi, i quali provvedono immediatamente alla cura di un determinato interesse. La costituzione richiede espressamente delle leggi generali. -ATTI NORMATIVI DEL GOVERNO EQUIPARATI ALLA LEGGE: I DECRETI LEGISLATIVI La costituzione in deroga al principio di separazione dei poteri attribuisce poteri normativi di rango primario al governo, che può adottare decreti legislativi e decreti legge. La costituzione richiede sempre l’intervento del Parlamento in funzione di garanzia del legittimo esercizio del potere governativo. Il governo, infatti, non può adottare decreti legislativi senza previa legge di delegazione, mentre i decreti legge, adottati in casi straordinari di necessità e urgenza, hanno efficacia provvisoria e devono essere convertiti in legge dalle Camere. La delegazione legislativa prevede come protagonisti sia il Parlamento che il Governo. La legge di delegazione ha la funzione di conferire al governo il potere di adottare atti aventi forza di legge, in base all’art. 76 cost., essa deve: individuare l’oggetto o gli oggetti, purché distinti, della delega chiaramente definiti; stabilire i principi (le norme generali) e i criteri direttivi (le regole procedurali per l’esercizio in concreto del potere delegato); indicare il termine entro il quale la delega può essere esercitata (non sono ammissibili deleghe senza scadenza). Per le leggi di delegazione vale il divieto di approvazione in sede di commissione legislativa (art. 72.4. cost.). Esistono inoltre limiti impliciti alle materie che possono formare oggetto di delega legislativa, in particolare tutte quelle leggi che presuppongono l’alterità istituzionale, ossia la necessaria distinzione fra Parlamento e governo. Il decreto legislativo è l’atto che il governo adotta in attuazione della legge di delegazione, deliberato dal Consiglio dei ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica. In genere le leggi di delegazione prevedono che il governo debba acquistare il parere parlamentare delle competenti commissioni permanenti delle camere o di apposite commissioni bicamerali. TIZIANO BARBATIELLO trovare fondamento, ancorché generale, in una norma di legge che attribuisca al titolare il relativo potere. I regolamenti del governo sono disciplinati dall’art. 17 della l. 400/1988, che distingue i regolamenti del governo dai regolamenti ministeriali e interministeriali. I regolamenti governativi sono approvati dal Consiglio dei ministri e sono emanati con la forma di decreto del Presidente della Repubblica. Vi sono diversi tipi di regolamenti: regolamenti di esecuzione, per rendere più agevole l’applicazione di leggi, decreti legge e regolamenti dell’Unione; regolamenti di attuazione e di integrazione, per attuare e integrare le leggi e decreti legislativi recanti norme di principio; regolamenti indipendenti, per disciplinare materie sulle quali manchi una normativa di rango legislativo; regolamenti di organizzazione, per disciplinare organizzazione e funzionamento delle amministrazioni pubbliche sulla base della legge; regolamenti di delegificazione, per disciplinare materie già oggetto di una normativa di rango legislativo, che viene sostituita dalla normativa regolamentare. I regolamenti di delegificazione hanno la funzione di ridurre l’area di competenza delle materie disciplinate dalla legge. La loro adozione avviene secondo un procedimento diviso in tre fasi: 1 deliberazione della legge di autorizzazione del potere regolamentare, che deve determinare le norme generali regolatrici della materia oggetto di delegificazione, oltre all’indicazione delle norme legislative la cui futura abrogazione è contestualmente disposta; emanazione del regolamento di delegificazione; abrogazione delle norme legislative vigenti, come disposto dalla legge di autorizzazione, l’effetto abrogativo si produrrà nel momento in cui entra in vigore il regolamento che disciplina ex novo la materia. Per i regolamenti ministeriali e interministeriali è necessaria un’apposita disposizione legislativa che autorizzi l’esercizio del potere regolamentare. I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di competenza di un ministro; i regolamenti interministeriali sono adottati in materie di competenza di più ministri. -LE FONTI DEL DIRITTO REGIONALE Sono fonti regionali: gli statuti delle regioni ordinarie; le leggi regionali; i regolamenti regionali (caso diverso sono gli statuti delle regioni speciali che sono fonti di rango costituzionale). Il procedimento di approvazione degli statuti consta di due fasi, una necessaria una eventuale. La fase necessaria riguarda l’approvazione da parte del consiglio regionale e avviene in due successive deliberazioni a distanza non inferiore di 2 mesi; in ogni deliberazione il testo deve essere approvato dalla maggioranza assoluta dei TIZIANO BARBATIELLO componenti. La fase eventuale riguarda l’intervento del corpo elettorale mediante referendum, sempre possibile. Lo statuto è un atto fonte a competenza specializzata e sovraordinata rispetto alla legge regionale. Spetta pertanto alla Corte costituzionale valutare la conformità della legge regionale rispetto alle disposizioni dello statuto. La legge regionale è approvata nelle forme e nei modi previsti da ciascuno statuto regionale. Incontra gli stessi limiti generali previsti per la legge statale. L’art. 117 cost. individua le materie di competenza esclusiva da parte dello stato, le materie di competenza concorrente fra stato e regioni e, infine, le materie residuali che spettano alle regioni (esse si riferiscono a quelle materie non espressamente riservate alla legge statale). Sempre l’art. 117 cost. stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle regioni; per il resto delle materie spetta alle regioni. Il consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla regione, mentre il presidente della giunta promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali. Si ricava che il potere regolamentare può essere attribuito alla giunta o al consiglio, a seconda dello statuto di ciascuna regione. -LE FONIT DEGLI ENTI LOCALI Sono fonti degli enti locali: gli statuti; i regolamenti. Lo statuto costituisce l’atto fondamentale dell’organizzazione dell’ente locale. Lo statuto del comune è deliberato dal consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei componenti. Se tale maggioranza non viene raggiunta, si tengono sedute per votare nuovamente; lo statuto viene approvato se ottiene il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri. Ogni ente locale, in base all’art. 117 cost., dispone di potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni. La potestà regolamentare spetta al consiglio dell’ente locale. Lo statuto dell’ente incontra come limite solo la legge dello stato, i regolamenti locali sono limitati sia dalla legge statale che regionale. -LE FONTI FATTO La fonte fatto per eccellenza è la consuetudine, la quale consta di due elementi necessari: un comportamento ripetuto nel tempo e la convinzione da parte del corpo sociale che ripetere quel comportamento sia giuridicamente dovuto.\ Le consuetudini per essere valide devono essere secundum legem (conformi alle norme di legge o di regolamento), oppure praeter legem (al di fuori di qualsiasi norma scritta). Sono vietate le consuetudini contra legem. TIZIANO BARBATIELLO I DIRITTI E I DOVERI (PARTE 4) LA TUTELA DEI DIRITTI -LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE Sono soggetti diritto coloro che godono della capacità giuridica. Il nostro ordinamento riconosce come soggetti di diritto sia le persone fisiche che le persone giuridiche. Si distinguono le situazioni giuridiche favorevoli e non favorevoli. Il diritto soggettivo è una situazione attuale e concreta quando l’ordinamento giuridico tutela l’interesse del soggetto in via diretta e immediata. Al titolare del diritto soggettivo è riconosciuta non solo la facoltà, ma anche la pretesa di condizionare il comportamento degli altri soggetti. I diritti si dividono a loro volta in diritti assoluti e diritti relativi. Si definisce assoluto il diritto che obbliga tutti i soggetti dell’ordinamento a non intralciarne il godimento. Vi sono dunque inclusi i diritti fondamentali della persona, che impongono a soggetti pubblici e privati di astenersi da comportamenti che possano lederli. Si definisce invece relativo il comportamento prescritto a un soggetto determinato. L’interesse legittimo designa una situazione soggettiva di vantaggio il cui titolare gode di poteri strumentali in vista del soddisfacimento di un proprio interesse. Chi è titolare di un interesse legittimo ha bisogno che esso coincida con uno specifico interesse pubblico (es. l’interesse di un soggetto a che dalla graduatoria dei vincitori di un concorso cui egli partecipa siano esclusi coloro che non rispondono ai requisiti richiesti è tutelato non in quanto interesse di quel soggetto, bensì^ in quanto coincidente con l’interesse pubblico). Le tipiche situazioni non favorevoli sono: gli obblighi, ossia comportamenti che un soggetto deve tenere per rispettare un diritto altrui; i doveri, ossia comportamenti dovuti indipendentemente dall’esistenza di un corrispettivo diritto altrui, in funzione di uno specifico interesse; le soggezioni, ossia la situazione di chi è soggetto a un potere giuridico. TIZIANO BARBATIELLO -I DIRITTI INVIOLABILI DELL’ART. 2 COST. Secondo l’art. 2 cost. “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’omo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. I diritti inviolabili hanno le seguenti caratteristiche: assolutezza (possono essere fatti valere nei confronti di tutti); inalienabilità e indisponibilità (non possono essere trasferiti per atto di volontà di chi ne è titolare); imprescrittibilità (non esercitarli non ne comporta l’estinzione); irrinunciabilità. I diritti inviolabili sono riconosciuti a tutti gli uomini in quanto tali, non ai soli cittadini. Il riferimento delle “formazioni sociali” significa: i diritti del singolo sono tutelati all’interno delle formazioni sociali; la titolarità dei diritti inviolabili spetta anche alle formazioni sociali. Sono affermati così il principio personalista, in base al quale esiste una sfera della personalità fisica e morale di ogni uomo che non può essere lesa da qualcuno, e il principio pluralista, che tutela l’homme situè, ossia l’uomo nelle relazioni sociali, e garantisce alle formazioni sociali i medesimi diritti degli individui. Nell’art. 2 cost. si considera una disposizione a fattispecie aperta che assicura tutela costituzionale a nuovi diritti considerati come inviolabili al corpo sociale, e perciò riconosciuti dal legislatore o dalla giurisprudenza o da convenzioni internazionali. -IL DIRITTI ALLA VITA E ALL’INTEGRITÀ FISICA Si può considerare il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuto dall’art. 2 cost. È tutelato dalle leggi civili che consentono la donazione di sangue e di organi e tessuti, vietando però gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica del soggetto e che siano “altrimenti contrari alla legge, all’ ordine pubblico o al buon costume”; nonché dalla legge penale che punisce i delitti contro la vita e l’incolumità individuale. Il diritto alla vita si può anche implicitamente trarre dall’art. 27.4 cost che vieta la pena di morte. La Cdfue, ne tutelare il diritto alla vita e nel vietare la pena di morte, afferma inoltre il divieto di pratiche eugenetiche dirette, attraverso la selezione di caratteri genetici considerati più favorevoli, a migliorare la specie umana. -DIRITTO ALL’ONORE E IL DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE Il diritto all’onore, ovvero la tutela dell’integrità della persona, del decoro, del prestigio, della reputazione, anche indipendentemente alla veridicità dei comportamenti attribuiti al soggetto, è garantito penalmente. La Corte cost. riconosce come diritti inviolabili: il diritto al proprio decoro, al proprio onore, alla propria reputazione. Alla propria immagine pubblica. TIZIANO BARBATIELLO Distinto da questi è il diritto all’identità personale, ossia il diritto a essere sé stesso, inteso come rispetto all’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali, che differenziano, e al tempo stesso qualificano, l’individuo. Il diritto all’identità personale comprende anche il diritto alla ricerca delle proprie origini familiari da parte del figlio adottivo. -IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ SESSUALE Il diritto alla libertà sessuale, inteso come diritto di disporre liberamente della propria sessualità, è uno dei modi essenziali di espressione della persona umana, definito dalla Corte costituzionale “un diritto soggettivo assoluto che va ricompreso fra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato fra i diritti inviolabili che l’art. 2 impone di garantire”. Collegato al diritto alla libertà sessuale è il diritto al libero orientamento sessuale, che si aggancia all’obiettivo del “pieno sviluppo della persona umana. L’unione omosessuale viene fatta rientrare nel concetto di formazione sociale ai sensi dell’art. 2 cost: da intendersi come stabile convivenza fra due persone dello stesso esso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Diverso dal libero orientamento sessuale è l’identità di genere, intesa come diritto a scegliere il genere sessuale di appartenenza. -DIRITTO ALLA RISERVATEZZA Il diritto alla riservatezza, cioè alla segretezza e all’intimità della vita privata, concerne una delle richieste di protezione più acute emerse nella società contemporanea. La Costituzione non contiene una disciplina esplicita del diritto, ma anche in questo caso la sua tutela passa attraverso il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, nonché attraverso il riconoscimento dell’inviolabilità del domicilio e delle comunicazioni. Nuovo regolamento dell’Unione europea sulla privacy entrato in vigore il 25 maggio 2018, il Gdpr. Il regolamento si propone una più stringente tutela anche a fronte di vicende come lo sfruttamento dei dati. -LA LIBERTÀ PERSONALE L prima libertà garantita al singolo è la libertà personale, che l’art. 13.1 cost. dichiara inviolabile, senza chiarirne il contenuto. L’espressione libertà personale è infatti generica. Essa va letta con riferimento alle misure che sono vietate nel secondo comma dell’art. 13, vale a dire la detenzione, l’ispezione e la perquisizione personale. La libertà personale, prima di tutto, non ammette atti di coercizione fisica, siano essi posti in essere dalla polizia o dal privato. Inoltre, in base al criterio della degradazione giuridica possono essere ritenersi lesive della libertà personale misure che incidano negativamente, degradandola, sulla dignità e personalità morale della persona umana. La costituzione ammette restrizioni alla libertà personale, ma nei casi e nei modi previsti dalla legge. I casi coincidono con i reati. La costituzione riconosce anche restrizioni alla libertà personale giustificate da esigenze di sicurezza. Altra cosa sono le misure di prevenzione, previste dalle leggi di TIZIANO BARBATIELLO polizia. Anche esse sono volte a impedire la commissione di reati da parte di soggetti ritenuti pericolosi, ma diversamente dalle misure di sicurezza prescindono da un precedente reato. Un’ulteriore forma di restrizione della libertà personale è la custodia cautelare. Oltre alla reclusione a seguito di condanna, la carcerazione è prevista anche prima che la responsabilità penale sia definitivamente acclarata, affinché il tempo necessario alla conclusione del processo non impedisca alla funzione giurisdizionale di conseguire gli scopi cui tende. Naturalmente, l’interesse pubblico che giustifica la carcerazione preventiva deve comunque coniugarsi col principio della presunzione di non colpevolezza dell’imputato, di cui costituisce un’eccezione. Le misure cautelari personali sono disposte qualora ricorrano gravi indizi di colpevolezza: possibile inquinamento delle prove, pericolo di fuga, rischio di reiterazione del reato. La costituzione individua il contenuto minimo del trattamento del detenuto: vieta ogni violenza fisica o morale e esclude che le pene possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. -LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO. LA LIBERTÀ DI ESPATRIO L’art. 16.1 cost. riconosce la libertà, per ogni cittadino, di muoversi sul territorio italiano e di fissare, in qualunque parte di esso, la propria dimora o la propria residenza. Essa può essere soggetto solo alle limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. L’art. 16.2 cost. riconosce la libertà di espatrio, ossia la libertà di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo obblighi di legge. -LA LIBERTÀ DI DOMICILIO L’art. 14 cost. riconosce la libertà di domicilio quale prolungamento della libertà personale, cioè come proiezione spaziale della persona. Legato con il diritto della libertà personale, la libertà di domicilio ha le garanzie previste dall’art. 13, prescrivendo così che le limitazioni tipicizzate nella norma costituzionale (ispezioni, perquisizioni, sequestri) possano avvenire solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. Le perquisizioni domiciliari vengono disposte con decreto motivato dell’autorità giudiziaria quando vi è fondato motivo di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo o lì possa essere eseguito l’arresto dell’imputato. Per tutelare altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto alla salute o la riscossione di tributi, il terzo comma dell’art. 14 introduce deroghe alle garanzie di cui sopra: accertamenti e ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o ai fini economici e fiscali. -LIBERTÀ E LA SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA E DI OGNI ALTRA FORMA DI COMUNICAZIONE L’art. 15 cost. garantisce a tutti la libertà di comunicare con uno o più destinatari determinati, escludendo gli altri. TIZIANO BARBATIELLO Accanto alla libertà nella scuola è prevista, dunque, la libertà della scuola: non solo possono coesistere scuole pubbliche e private, ma anche che l’alunno di scegliere fra una di esse. Il diritto di istituire scuole private deve essere esercitato senza oneri per lo stato. Nel creare le scuole pubbliche lo stato deve seguire i criteri indicati dall’art. 34 cost.: la scuola deve essere aperta a tutti, obbligatoria per almeno otto anni (ora fino al sedicesimo anno di età), gratuita. Il diritto all’istruzione non comprende solamente il diritto riconosciuto a tutti di accedere al sistema scolastico, ma deve essere inteso come diritto a ricevere un’adeguata istruzione ai fini della formazione della personalità e dell’assolvimento dei compiti sociali della persona, ed è strettamente legato al modo in cui il sistema scolastico è organizzato in concreto. A questo fine la costituzione garantisce il diritto allo studio, secondo cui l’art. 34.3 cost. “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Ciò significa che devono essere garantiti i mezzi finanziari necessari per rendere effettivo il diritto allo studio per coloro che, pur avendone le attitudini, non sarebbero altrimenti in grado di proseguire gli studi, attraverso borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze. In base all’art. 33.6, le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato. -LA LIBERTÀ DI RIUNIONE La libertà di riunione è garantita dall’art. 17 cost. ai soli cittadini. La ratio di questa limitazione va cercata nel legame storico fra il riconoscimento della libertà di riunione e la tutela del diritto di esercitare legittime pressioni sui pubblici poteri. Il limite del necessario svolgimento della riunione è che essa sia condotta pacificamente senz’armi. Con riunione si intende un costituirsi di un raduno volontario in luogo e tempo predeterminati di una pluralità di persone che perseguono uno scopo comune prestabilito. Non sono quindi tutelati gli assembramenti, cioè le confluenze casuali in luogo pubblico di persone che non perseguono uno scopo prestabilito. Lo sono invece i cortei e le processioni, da considerarsi quali riunioni in movimento: simili manifestazioni possono essere sottoposte a prescrizioni sul percorso che tengano conto dell’uso delle vie pubbliche per soddisfare agli altri interessi costituzionalmente rilevanti. La costituzione distingue le riunioni che si svolgono in luogo privato, riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico. Per aperto al pubblico deve intendersi un qualsiasi luogo, materialmente separato dall’esterno, l’accesso al quale, pur consentito a una generalità di soggetti, sia regolabile da chi ne ha la disponibilità giuridica. I primi due tipi di riunioni sono equiparati per quanto concerne la disciplina: non è richiesto preavviso all’autorità di pubblica sicurezza. Nel caso di una riunione in luogo pubblico, potenzialmente più pericolosa per l’ordine pubblico è necessario comunicare la data al questore. Questi potrà evitarla solo per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica. TIZIANO BARBATIELLO -LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE Per associazione si intende un’organizzazione di individui, legati dal perseguimento di un fine comune e, soprattutto, da un vincolo che, pur non attendendo all’ordinamento statale, presenta natura giuridica. La presenza di un vincolo giuridicamente rilevante è l’elemento più caratteristico dell’associazione rispetto alla riunione. In base all’art. 18 cost., ai cittadini è riconosciuta: la libertà di associazione, ossia la possibilità di costituire associazioni senza la necessità di permessi o autorizzazioni; la libertà delle associazioni, ossia la possibilità di formare un numero indefinito di associazioni, anche perseguenti lo stesso scopo; la libertà negativa di associazione, per cui nessuno può essere costretto ad aderire a un’associazione. I limiti si riscontrano dell’art. 18.1 cost, il quale vieta l’esercizio della libertà di associazione per il perseguimento di fini vietati ai singoli dalla legge penale, garantendo implicitamente che non possano esistere per le associazioni limiti di scopo non previsti anche per l’individuo: sono quindi ammesse tutte le associazioni purché non aventi fini vietati ai singoli dalla legge penale. Sono ammesse anche associazioni che si pongano in contrasto con i valori costituzionali, in forza dell’art. 21 che consente di manifestare qualsiasi opinione. L’art. 18.2 vieta le associazioni segrete e le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. -LA FAMIGLIA La costituzione considera la famiglia quale “società naturale fondata sul matrimonio” art. 29.1 cost. Oltre la famiglia legittima (fondata sul matrimonio), la costituzione prende in considerazione anche la famiglia di fatto: l’art. 30.1 stabilisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio; l’art. 30.3 impone alla legge di assicurare ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale purché compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. A queste disposizioni si aggiunge la generale tutela che l’art. 2 riconosce alle formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli, fra le quali rientrano anche le convivenze di fatto, comprese quelle omosessuali. Ulteriore principio in materia della famiglia è quello dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. -LE COMUNITÀ RELIGIOSE La costituzione disciplina i rapporti dello stato con le diverse comunità religiose distinguendo a seconda che si tratti della chiesa cattolica (art. 7) o delle altre confessioni (art. 8). In base all’art. 7 cost.: TIZIANO BARBATIELLO la chiesa cattolica è riconosciuta come ordinamento giuridico originario, non istituito cioè nell’ambito di un altro ordinamento ma nato per forza propria, che trae da sé la propria validità; con ciò la costituzione pone lo stato e la chiesa sullo stesso piano. I rapporti istituzionali fra i due ordinamenti sono disciplinati dai patti lateranensi; il richiamo ai patti non implica una loro costituzionalizzazione, bensì la necessità di una legge rinforzata per modificarli; in base all’art. 8 cost.: previsione dell’autonomia organizzativa delle confessioni nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano; previsione della definizione dei rapporti istituzionali fra le confessioni e lo stato mediante intese, che sono recepite per legge. L’art. 8 contiene inoltre una disposizione relativa a tutte le confessioni religiose, definite egualmente libere davanti alla legge. Significativamente, non viene sancita l’eguaglianza delle diverse confessioni nel trattamento giuridico ma l’eguaglianza nella libertà. Fra le confessioni diverse dalla cattolica, il fatto di non aver stipulato un’intesa con lo stato ex art. 8.3 non può costituire motivo di discriminazione. Con l’Accordo del 1984, che ha definitivamente abrogato il principio della religione cattolica come religione di stato, la giurisprudenza costituzionale ha mutato orientamento sulla base del principio di laicità. -LA PROPRIETÀ PRIVATA E L’INIZIATIVA ECONOMICA L’art. 42 cost. rappresenta una delle fondamentali della costituzione economica. Il primo comma dell’art. 42 afferma che la proprietà è pubblica o privata, senza ulteriori specificazioni. Il secondo comma afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Il canone interpretativo utilizzato dalla Corte costituzionale è quello della funzione sociale della proprietà privata, intesa come clausola dalla doppia natura limitativa. Infatti, da un lato essa serve a legittimare le limitazioni della proprietà privata ove sia necessario garantire altri diritti o valori costituzionali; dall’altro, serve a vincolare il legislatore, il quale può imporre limitazioni alla proprietà privata solo se stabilite allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Per il terzo comma dell’art. 42 la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. Per espropriazione si intende quel provvedimento amministrativo mediante il quale il titolare di un diritto di proprietà su di un bene viene privato delle facoltà che gli competono a favore di un diverso soggetto, solitamente pubblico. L’art. 41 cost. tutela l’iniziativa economica privata o libertà di impresa, che trova nel diritto di proprietà un presupposto logico, e contemporaneamente la sottopone a limiti. Dalla lettura di questo articolo si trae che il costituente ha voluto delineare un sistema economico in cui l’iniziativa non è soltanto privata né soltanto pubblica. TIZIANO BARBATIELLO Eguaglianza come divieto di discriminazione. L’art. 3.1 individua direttamente talune fattispecie tipiche che non possono essere assunte a motivo di differenziazione: ciò non vale solo per coloro che sono chiamati ad applicare la legge, bensì anche e soprattutto per il legislatore. Il divieto di discriminazione concerne il sesso, la razza, la lingua (tranne le norme che tutelano le minoranze linguistiche riconosciute), la religione, le opinioni politiche (divieto che va messo in relazione alla libertà di manifestazione di pensiero e deve essere messo alla stregua del dovere di fedeltà alla Repubblica), le condizioni personali e sociali. Eguaglianza come divieto di distinzione o parificazioni irragionevoli. La legge deve trattare in modo eguale situazioni ragionevolmente eguali e in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Il principio di eguaglianza va inteso quindi come principio di eguaglianza ragionevole. Il principio di eguaglianza ragionevole vieta leggi ingiustificatamente discriminatorie e, per converso, leggi ingiustificatamente parificatorie. La sola eguaglianza formale non basta: un compito spettante alla repubblica consiste nella rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza; un fine che consiste nel pieno sviluppo della persona umana e nella effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. TIZIANO BARBATIELLO L’ORGANIZZAZIONE E L’ESERCIZIO DEL POTERE POLITICO (PARTE 5) LE FORME DI GOVERNO -LA FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO E I SOGGETTI DELLE DECISIONI POLITICHE La funzione di individuare i fini politici e tradurli in comandi generali e astratti, la funzione di eseguire tali comandi, in via amministrativa, e infine la funzione di garantire l’applicazione in caso di controversie o contestazioni, in via giurisdizionale, è opportuno siano attribuite a organi diversi, allo scopo di evitare quell’eccessiva concentrazione di potere che aveva tipicamente caratterizzato lo stato assoluto. Questo è il senso della separazione dei poteri. Il perseguimento di determinati fini di carattere generale vale a dire imprimere un indirizzo politico in una comunità politica. Il modo come viene organizzato ed esercitato il potere politico, è ciò che si usa chiamare forma di governo. Il sistema politico è ciò che lo influenza, in quanto negli ordinamenti democratici il potere a ciascun livello di governo viene unificato intorno all’indirizzo politico legittimato dal voto dei cittadini. -LE FORME DI GOVERNO: TIPOLOGIA È in base, principalmente, agli aspetti strutturali e formali che si delinea una tipologia delle forme di governo. Nel loro effettivo modo di operare, le forme di governo sono fortemente condizionate dal sistema partitico e dalla cultura politica che si affermano in ciascun paese. Forma di governo presidenziale: il titolare del potere esecutivo è in prima persona il presidente, si tratta dunque di una forma di governo a direzione monocratica. Il modello di riferimento è quello degli USA. Il presidente, anche se la sua elezione avviene per il tramite di grandi elettori, a loro volta eletti in ciascuno dei ciascuno dei cinquanta stati, è scelto direttamente dal corpo elettorale. Il corpo elettorale elegge altresì il Congresso, formato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato. Vige un regime di separazione dei poteri per cui da un lato il legislativo non può sfiduciare il presidente, dall’altro il presidente non può sciogliere le assemblee. Legislativo ed esecutivo convivono perciò fino alla conclusione del proprio mandato. Le leggi le fa il Congresso e il presidente ha in materia poteri limitati: ha solo il potere di veto, inoltre il presidente deve esercitare il suo esteso potere di nomina con il parere favorevole da parte del Senato (logica dei checks and balances, un potere controlla e condiziona l’altro). La principale variabile del governo presidenziale è il caso del governo diviso: questo si ha quando il presidente appartiene a un partito, democratico o repubblicano, mentre l’altro partito detiene la maggioranza in entrambe o una delle Camere. Il presidente non può che cercare un qualche accomodamento con la maggioranza congressuale o parte di essa. Forma di governo parlamentare: TIZIANO BARBATIELLO l’esecutivo è l’espressione del parlamento. È la forma di governo largamente più diffusa. È anche una forma di governo che conosce molte varianti perché è fortemente condizionata dalla prassi. L’Esecutivo è in genere nominato da un organo terzo, il capo dello stato. L’esecutivo dipende dalla disponibilità del parlamento di tenerlo in vita. Infatti, il parlamento, votando in qualsiasi momento la sfiducia al governo, può obbligarlo a dimettersi. Per questa ragione tutte le forme di governo parlamentare prevedono la possibilità di scioglimento del parlamento prima della scadenza naturale: lo scioglimento è l’unico modo per evitare la paralisi del sistema nel caso in cui il parlamento non sia in grado di sostenere alcun governo. Nella forma di governo parlamentare il capo dello stato ha funzioni prevalentemente cerimoniali, simboliche o comunque relativamente limitate, ma anche su questo c’è varietà. In alcuni casi, per esempio, il capo dello stato ha il potere di nomina del capo del governo oppure può concorre o determinare lo scioglimento del parlamento. L’esecutivo nelle forme di governo parlamentari è collegiale, ma al suo interno emerge con compiti di direzione politica la figura del primo ministro. Come accennato precedentemente, il governo parlamentare è fortemente influenzato dal sistema politico: è lecito, infatti, credere che la maggioranza di un determinato partito politico chiamerà a capo del governo il proprio leader partitico, che una volta eletto lo sosterrà per l’intera legislatura (da qui si realizza la continuità fra partito maggioranza ed esecutivo chiamata anche governo di partito). Si possono trovare tuttavia anche casi nei quali le elezioni non permettono ciò, perché nessun partito o coalizione conquista la maggioranza dei seggi, e allora il governo nascerà solo a seguito di trattative post-elettorali fra i partiti. Forma di governo semipresidenziale: si chiama così perché combina alcune caratteristiche di governo presidenziale e di quella parlamentare. In essa il capo dello stato direttamente eletto dal corpo elettorale e dotato di importanti attribuzioni di natura politica convive con un esecutivo guidato da un primo ministro e legato al parlamento da un rapporto fiduciario. Il modello di riferimento è la Francia della quinta repubblica. Qui i poteri della Repubblica includono tutti quelli dei capi di stato dei regimi parlamentari, cui si aggiungono altri incisivi poteri, soprattutto in ambito di politica estera. I più importanti di questi poteri possono essere esercitati senza la Costituzione preveda obbligo di controfirma da parte del primo ministro. Dal punto di vista giuridico-formale, presidente e parlamento sono eletti dal corpo elettorale separatamente. Il presidente ha il potere di condizionale la durata del parlamento e il parlamento ha il potere di far dimettere il governo. Accanto al presidente vi è il governo, che è di nomina presidenziale e al tempo stesso responsabile davanti al parlamento, per cui si può dire che l’esecutivo è a direzione non monocratica ma duale. Il governo semipresidenziale tende a orientarsi secondo più modalità di funzionamento che dipendono dal contesto politico-elettorale, in particolare dalla coincidenza o meno delle maggioranze espresse dal voto presidenziale e dal voto parlamentare. si può verificare sia uniformità che difformità. In caso di uniformità, si verifica in genere una sostanziale prevalenza del presidente. In caso di difformità, si ha la coabitazione fra un presidente e un primo ministro di partiti diversi, che presenta qualche somiglianza col governo diviso del modello americano. Ne consegue la necessità di trovare giorno per giorno un modus vivendi che permetta di conciliare indirizzi politici diversi quando non contrapposti. La grande differenza col governo presidenziale sta nel fatto che TIZIANO BARBATIELLO La legislazione elettorale comprende: la disciplina dell’elettorato attivo e passivo, le modalità tecnico pratiche di esercizio del voto, le modalità con le quali si presentano le candidature, la disciplina delle campagne elettorali e della propaganda politica in genere, la disciplina del finanziamento delle campagne elettorali e dell’attività dei partiti, il procedimento elettorale nelle sue fasi fino allo scrutinio con assegnazione e conteggio dei voti espressi, la formula elettorale di ciascun tipo di elezione. -I SISTEMI ELETTORALI: CONCETTI GENERALI Un sistema elettorale consiste in un meccanismo per trasformare in seggi i voti che il corpo elettorale esprime. Occorre distinguere l’elezione di organi monocratici da l’elezione di organi collegiali. Quando si tratta di elegger solo una persona la disciplina è semplice: si può stabilire che vince chi ottiene più voti, cioè la maggioranza relativa. In alternativa si possono stabilire delle condizioni: per esempio, che vince chi prende non solo più voti di qualsiasi altro candidato, ma almeno una certa quota minima dei voti complessivi. In entrambi i casi ciò impone che si stabilisca cosa fare nel caso in cui nessun candidato la raggiunga. In genere si procede a un secondo turno: allora di deve stabilire anche quale dei candidati del primo turno partecipano al secondo. Se la partecipazione è limitata solo ai primi due ci si trova davanti ad un ballottaggio. Se non si vuole limitare la partecipazione a due, si può stabilire un altro numero qualsiasi, oppure una percentuale minima di voti. In ogni caso si è di fronte a un esito maggioritario del voto: a vincere è una parte sola, quella cui appartiene chi alla fine risulta l’unico eletto. Quando si tratta di elegge un organo non monocratico ma un organo collegiale, si può in teoria immaginare una formula che permetta a una parte sola di vincere: per esempio, si fanno valere liste di candidati e quella che ottiene più voti elegge l’intero organo (ciò andrebbe contro il principio del pluralismo). Ci si attende che l’organo collegiale sia rappresentativo della collettività, sotto il profilo territoriale e sotto il profilo politico. Si cerca di fare in modo che non tutti gli eletti siano espressione dello stesso territorio o appartengano allo stesso partito. Questa capacità di rappresentare può essere ottenuta sia con formule maggioritarie sia con formule proporzionali. Le formule maggioritarie sono quelle alle quali chi prende più voti conquista l’intera posta in palio, che si tratti di un solo seggio o più seggi. Vi sono due varianti: plurality, in base alla quale il seggio lo vince chi ottiene più voti in ciascun collegio nominale; majority a doppio turno eventuale, in base alla quale il seggio lo vince chi nel collegio ottiene la metà dei voti più uno, per cui se nessuno consegue questo risultato, si procede a una seconda votazione fra i primi due o fra coloro che hanno riportato un certo numero di voti. Le formule proporzionali sono quelle che ripartiscono i seggi da assegnare in proporzione ai voti ottenuti da ciascun partito. Garantisce una proporzionalità politica, ma non garantisce invece la rappresentanza territoriale. Quest’ultima può essere garantita attraverso altre tecniche: anziché assegnare tutti i seggi in un collegio unico, dividendoli in più circoscrizioni plurinominali; oppure usando una formula proporzionale per stabilire il numero TIZIANO BARBATIELLO complessivo di seggi cui un partito ha diritto, ma individuando poi gli eletti sulla base di candidature in collegi uninominali. Le formule matematiche per ripartire i seggi proporzionalmente sono decine e ciascuna dà esiti in qualche modo diversi: fermo lo stesso risultato elettorale, una formula può avvantaggiare in termini di seggi i partiti con meno voti e svantaggiare quelli con più voti, o viceversa. Inoltre, se si vuole diminuire il numero dei partiti rappresentanti, si può stabilire che il partito che non ottiene almeno una certa percentuale prestabilita di voti non partecipa alla distribuzione di seggi. In genere i fautori delle formule maggioritarie ritengono che queste favoriscano l’individuazione di un partito o una coalizione vincente e quindi di una maggioranza, dunque la governabilità, mentre secondo i critici ciò non avviene sempre e comunque avviene a spese della rappresentatività. I fautori delle formule proporzionali ritengono che solo queste permettano la formazione di assemblee fedelmente rappresentative, mentre secondo i critici ciò si traduce in assemblee frammentate e incapaci di garantire il necessario sostegno al governo. I sistemi elettorali che cercano di conciliare sia il sistema maggioritario che proporzionale vengono chiamati misti. Proprio in Italia sono state introdotte formule che garantiscono la costruzione elettorale di una maggioranza dell’assemblea rappresentativa: queste formule ricorrono all’attribuzione di un premio in seggi volto a far sì che chi prende nel complesso più voti ottiene comunque la maggior parte dei seggi da assegnare. In altre parole, si vuole che il risultato maggioritario non sia affidato al caso, ma sia certo e assicurato per legge (dopo le sentt. 1/2014 e 35/2017 ciò non vale più per il parlamento) -LE ELEZIONI PARLAMENTARI Nulla prevede la costituzione in ordine alla formula elettorale da usare, lasciata alla discrezionalità del legislatore. Le formule elettorali con le quali ora solo eletti i deputati e i senatori del nostro parlamento hanno carattere misto prevalentemente proporzionale. I seggi da assegnare sono innanzitutto suddivisi su base territoriale (i seggi della camera sono ripartiti fra 28 circoscrizioni regionali o subregionali, il senato le ripartizioni sono 20 quanto le regioni). Ciascuna forza politica può andare alle elezioni da sola, presentando i propri candidati nei collegi uninominali e le proprie liste di candidati dei collegi plurinominali, oppure può collegarsi con una o più altre forze politiche e costituire una coalizione. Le liste collegate in coalizione devono presentare lo stesso candidato dei collegi uninominali. Le liste nei collegi plurinominali sono formate da un minimo di due a un massimo di quattro candidati. È possibile essere candidati in una stessa lista in più collegi plurinominali, fino ad un massimo di cinque. Non si può essere candidati in più di un collegio uninominale. Ci si può candidare contestualmente in un collegio uninominale e in uno o più collegi plurinominali. Sono previste norme per il riequilibrio della rappresentanza di genere. Nel complesso delle candidature presentate da ciascuna lista o coalizione di liste nei collegi uninominali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60%. Sulla scheda elettorale sono riportati i nomi dei candidati nel collegio uninominale e, al di sotto del nome di ciascun candidato, il simbolo della lista. TIZIANO BARBATIELLO Per l’assegnazione dei seggi si procede innanzitutto a proclamare eletti i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti in ciascun collegio uninominale. Successivamente si procede a determinare a livello nazionale la cifra elettorale delle liste e delle coalizioni di liste, cioè la somma complessiva dei voti ottenuti da ciascuna lista e da ciascuna coalizione nei collegi plurinominali di ogni circoscrizione. Nella cifra elettorale non si computano i voti delle liste collegate che abbiano conseguito sul piano nazionale meno dell’1% dei voti. A questo punto si deve tenere conto delle soglie di sbarramento per individuare le coalizioni e le liste che partecipano al riparto dei seggi: la soglia è pari al 10% dei voti per le coalizioni e al 3% dei voti per le liste (tutto ciò vale per entrambe le camere). Individuato chi ha superato le soglie di sbarramento, si stabilisce quanti seggi spettino complessivamente a ciascuna delle coalizioni e delle liste singole ammesse al riparto, sulla base delle rispettive cifre nazionali, per la Camera, e delle rispettive cifre elettorali regionali, per il Senato. Alla Camera i seggi complessivamente assegnati sul piano nazionale vengono restituiti in primo luogo alle singole circoscrizioni e quindi ai singoli collegi plurinominali, facendo sì che ciascuna circoscrizione e ciascun collegio finisca per avere il numero di seggi previsto prima delle elezioni. Al Senato i seggi assegnati in ogni regione sono distribuiti nei singoli collegi plurinominali. Una volta determinato in quali collegi plurinominali scattano i seggi cui ogni lista ha diritto. Avviene la proclamazione degli eletti seguendo l’ordine in cui i nomi dei candidati inclusi nella lista compaiano sulla scheda. Per i seggi che rimangono successivamente vacanti, nei collegi plurinominali subentra il primo dei non eletti secondo l’ordine di lista; mentre nei collegi uninominali si procede ad elezioni suppletive. -LE ELEZIONI REGIONALI In base all’art. 122.1 cost. modificato nel ’99, la competenza in materia di sistema elettorale delle regioni a statuto ordinario spetta alla legge regionale. Alle regioni è prescritto: l’individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale, assicurando altresì la rappresentanza delle minoranze, la contestualità dell’elezione del presidente della giunta e del consiglio. -IL POPOLO CHE DELIBERA: I REFERENDUM Il nostro ordinamento prevede alcune forme di decisione popolare diretta mediante referendum. Il referendum consiste in una votazione sulla base di un quesito che viene sottoposto alla valutazione del corpo elettorale in forme varie e con effetti diversi. Vi sono referendum che hanno carattere meramente consultivo, come un parere, e referendum che si possono definire decisivi o deliberativi. La caratteristica di tutti i referendum è che la volontà di coloro che prevalgono diventa la volontà del popolo senza mediazioni. È un procedimento decisionale che non ammette compromessi e vie di mezzo. La costituzione prevede due tipi di referendum di ambito nazionale: il referendum costituzionale e il referendum abrogativo (sono previsti dalla costituzione anche referendum per la modificazione territoriale regionale che coinvolgono solo parte del corpo elettorale). TIZIANO BARBATIELLO contemporaneamente due cariche o uffici; si parla di ineleggibilità quando il cittadino, in ragione della carica o dell’ufficio che ricopre al momento della candidatura o che aveva ricoperto entro termini stabiliti dalla legge, non può essere eletto. Cosa diversa è invece l’incandidabilità. Non espressamente prevista dalla costituzione, è stata originariamente introdotta per le elezioni regionali e amministrative ed è poi stata estesa alle elezioni parlamentari. L’incandidabilità non può essere rimossa dall’interessato e deriva dalla legge. Essa preclude la possibilità stessa di esercitare l’elettorato passivo, come se mancasse un requisito necessario. Vi incorre chi abbia una condanna definitiva a una pena di almeno due anni per reati di particolare allarme sociale indicati dalla legge e anche per delitti non colposi per i quali sia previsto il minimo edittale di quattro anni; dura almeno sei anni ovvero il doppio dell’eventuale interdizione dai pubblici uffici inflitta al condannato a titolo di sanzione integrativa; in taluni casi la pena è aumentata di altri due anni fino a otto. -LA DURATA IN CARICA Le Camere durano 5 anni e non possono essere prorogate se non per legge nel solo caso in cui il paese sia in guerra (art. 60 cost.). I poteri delle camere sono prorogati fino al momento in cui non si riuniscono le nuove camere: ciò all’ovvio scopo di far sì che sia in ogni caso garantita la continuità nell’esercizio delle funzioni parlamentari. Per esempio, si può pensare al caso in cui il governo adotti un decreto-legge: eventualità nella quale è obbligato dall’art. 77 cost. a presentare alle camere anche se sciolte il disegno di legge per la conversione il giorno stesso. Spetterò poi ad esse valutare se procedere subito, ovvero lasciare che se ne occupino le nuove camere con il rischio che io decreto decada. Questo istituto si chiama prorogatio: viene dal diritto romano e serve a coprire il vuoto che potrebbe altrimenti verificarsi nell’esercizio di funzioni affidate a organi per i quali l’ordinamento prevede la periodica sostituzione delle persone fisiche che vi sono preposte. -IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE L’art. 55.2 cost. prevede che le camere assolvano insieme ad alcune funzioni, riunite in seduta comune. Il Parlamento in seduta comune si riunisce sempre nell’aula della Camera dei deputati, ai soli scopi già definiti in costituzione. Le funzioni affidate al parlamento in seduta comune sono quasi esclusivamente elettive. Il parlamento in seduta comune: elegge, con il concorso dei delegati regionali, il Presidente della Repubblica (art. 83 cost.) e assiste al suo giuramento (art. 91 cost.), lo può mettere in stato d’accusa (art. 90 cost.); elegge un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura (art. 104 cost.); elegge un terzo dei componenti della Corte costituzionale (art. 135 cost.), nonché i 45 cittadini fra i quali estrarre i giudici aggregati ai fini del giudizio d’accusa contro il Presidente della Repubblica (art. 135.7 cost.). TIZIANO BARBATIELLO Il parlamento in seduta comune è presieduto dal presidente della Camera; da ufficio di presidenza funge quello della Camera (art. 63 cost.); anche il regolamento è quello della Camera, come prevedono gli stesso regolamenti parlamentari. È sempre il presidente della Camera a indire l’elezione del nuovo presidente della repubblica (artt. 85 e 86 cost.). Il supplente del presidente della repubblica è tuttavia il presidente del senato. -ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELLE DUE CAMERE L’organizzazione e il funzionamento delle due camere sono disciplinati da fonti costituzionali e da fonti di autonomia parlamentare: il complesso di tali disposizioni, nonché delle consuetudini e delle prassi instauratesi, costituiscono quella branca del diritto costituzionale che va sotto il nome di diritto parlamentare. Ciascuna camera elegge fra i suoi componenti presidente e ufficio di presidenza (art. 63.1 cost.). Ciascuna camera adotta il proprio regolamento e lo fa a maggioranza assoluta dei componenti (art. 64.1 cost.). Organizzazione e funzionamento di ciascuna camera sono oggetto di una riserva di regolamento parlamentare, nel senso che si tratta di una materia che non può essere disciplinata da altra fonte di rango sub-costituzionale. Si garantisce così l’autonomia della Camera dei deputati nei confronti del Senato e viceversa, e si afferma la necessità che le regole parlamentari siano condivise da un numero di deputati e senatori più ampio di quello che è richiesto per le decisioni ordinarie. Le sedute sono sempre pubbliche, a meno che non sia deliberata la seduta segreta (art. 64.2 cost.). le sedute segrete sono nella prassi rarissime, momento che la pubblicità è connaturata al ruolo stesso delle assemblee rappresentative. Le decisioni di ciascuna camera sono di norma assunte con il voto favorevole della maggioranza dei presenti (quorum funzionale), purché sia presente la maggioranza dei loro componenti (quorum strutturale o numero legale, art. 64.3 cost.). Quando manca il numero legale le deliberazioni non sono valide. In questo caso il presidente d’assemblea decide se sospendere la seduta per un’ora oppure toglierla, rinviandola al giorno successivo. Il quorum funzionale per l’approvazione di una proposta è quello della maggioranza semplice, costituita dalla metà più uno di coloro che votano, salvo che la costituzione preveda una maggioranza più ampia, cioè qualificata. Alla camera coloro che, presenti, dichiarano di astenersi non vengono considerati al fine di stabilire se il quorum funzionale è stato raggiunto. I componenti del governo hanno diritto di assistere alle sedute e di essere ascoltati ogni volta che lo richiedano; hanno altresì l’obbligo di farlo se richiesti, secondo le regole classiche dei regimi parlamentari fondati sul rapporto fiduciario (art. 64.4 cost.). -LO STATUS GIURIDICO DEI PARLAMENTARI Non si può appartenere ad entrambe le camere (art. 65.2 cost.). I titoli in base ai quali una persona diventa parlamentare e il sopraggiungere nel corso del mandato di cause di incompatibilità, ineleggibilità o incandidabilità sono giudicati dalle stesse camere, ciascuna per i propri membri (verifica dei poteri art. 66 cost.). TIZIANO BARBATIELLO Ogni parlamentare rappresenta l’intera nazione ed esercita le sue funzioni senza rispondere ad altri che alla propria coscienza. Il divieto del vincolo di mandato (art.67 cost.). Ogni parlamentare riceve un’indennità stabilita dalla legge (art. 69 cost.). La misura dell’indennità è determinata dall’ufficio di presidenza di ciascuna camera, entro un tetto di sezione della Corte di cassazione. Ad essa si aggiungono svariati benefici. Ogni parlamentare gode di una serie di immunità (art. 68 cost.). Si vuole da un lato garantire il libero esercizio delle funzioni parlamentari, dall’altro evitare il rischio di prevaricazioni da parte del potere giudiziario. Le immunità si distinguono in: insindacabilità (art. 68.1 cost.). Per come votano e per ciò che dicono nell’esercizio delle loro funzioni i parlamentari non possono essere in alcun modo chiamati a rispondere; ove sorga contestazione nel corso di un processo, il giudice ha l’obbligo di sospenderlo per chiedere alla camera di appartenenza se, nella circostanza, si applichi l’art. 68.1 cost.; inviolabilità (art.68.2 cost). I parlamentari non possono subire alcuna forma di limitazione della libertà personale, di domicilio e di comunicazione, a meno che la camera di appartenenza non lo autorizzi. Al riguardo esistono però eccezioni: il caso in cui il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale l’arresto in flagranza è obbligatorio, e il caso in cui abbia subito una condanna detentiva passata in giudicato. Relativamente alla prerogativa dell’insindacabilità delle opinioni espresse deve esistere un nesso funzionale fra attività parlamentare e cose dette o scritte fuori dalle Camere: questo si realizza solo quando quelle cose costituiscano la riproduzione sostanziale di atti parlamentari tipici. Secondo la Corte, le prerogative dei membri del parlamento non sono un privilegio personale, ma sono funzionali alla tutela dell’autonomia e della libertà di ciascuna camera. -GLI ORGANI DELLE CAMERE Le due camere sono organizzate in modo sostanzialmente uguale sulla base di quanto dettano i rispettivi regolamenti. Gli organi delle camere sono: il presidente dell’assemblea ha il compito di rappresentare all’esterno la camera e di assicurare sia il corretto e ordinato svolgimento dei suoi lavori sia il buon andamento dell’amministrazione interna, fa osservare il regolamento e dirige le sedute. È coadiuvato da alcuni vicepresidenti, per le questioni amministrative dai questori e per il processo verbale dai segretari. Il presidente è eletto a maggioranza qualificata; l’ufficio di presidenza (al senato consiglio di presidenza), composto in modo da rappresentare tutti i gruppi parlamentari, ha compiti amministrativi. Compiti attinenti alla disciplina dei comportamenti in aula e compiti di natura politico-organizzativa. L’ufficio di presidenza ha potere normativo relativamente a tutto ciò che riguarda l’amministrazione, la contabilità e il personale della camera; la conferenza dei presidenti di gruppo assiste il presidente in relazione a tutto ciò che riguarda l’organizzazione dei lavori dell’assemblea. È composta dai presidenti di tutti i gruppi parlamentari e il governo può sempre inviarvi un proprio rappresentante. In TIZIANO BARBATIELLO Infine, in attuazione di quanto prevede l’art. 72.3, se non vi si oppongono il governo oppure un decimo dei componenti della camera o un quinto di quelli della competente commissione, i progetti di legge possono essere esaminati e anche approvati direttamente in commissione, senza passare dall’assemblea. È il procedimento in sede deliberante, il quale è di fatto possibile solo quando vi è un largo consenso. L’art. 72.4 esclude questo procedimento per alcune materie (costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, bilancio: materie per le quali vi è riserva di assemblea). Se il procedimento seguito è quello in sede referente, l’esame in assemblea si svolge attraverso tre momenti. Innanzitutto, si apre la discussione generale, nel corso della quale i deputati o i senatori dibattono appunto sulle linee generali del progetto in esame. Salvo deliberazione in contrario, si passa alla fase dell’esame e votazione articolo per articolo, nel corso del quale si discute e si vota su ciascun articolo in cui il progetto è ripartito e sugli emendamenti presentati, cioè le proposte di modifica al testo degli articoli; seguono infine le dichiarazioni di voto finale, con le quali i rappresentanti dei gruppi rendono noto come si esprimeranno sul testo cui l’assemblea è pervenuta, e la votazione finale sull’intero disegno di legge. Se il progetto è approvato, previo coordinamento formale del testo, esso viene trasmesso al presidente dell’altra camera. Questa dovrà approvare il progetto nella stessa identica formulazione: qualsiasi modificazione comporta il ritorno alla camera che lo aveva approvato per prima, senza che vi sia alcuna procedura formale per interrompere queste navette. I regolamenti prevedono procedimenti abbreviati in seconda lettura: nel senso che la camera alla quale è stato rinviato il progetto riesamina soltanto ciò che è cambiato. Nel caso in cui il progetto venga approvato nello stesso testo dall’altra camera, allora il messaggio attestante l’approvazione conforme di entrambe le camere va al presidente della repubblica per la promulgazione e al ministro della giustizia per la pubblicazione. Esistono procedimenti legislativi speciali per i disegni di legge di conversione di decreti legge, dei progetti di legge costituzionale, del disegno di legge di bilancio, del disegno di legge di delegazione europea e del disegno di legge europea. -CICLO ANNUALE DI BILANCIO Nella costituzione italiana è l’art. 82 che detta le disposizioni di materia di bilancio. Oltre all’annualità della legge di bilancio, l’art. 81 stabilisce il principio dell’equilibrio delle entrate e delle spese in funzione delle fasi del ciclo economico e limita il ricorso all’indebitamento, che è consentito solo per fronteggiare le conseguenze di un ciclo negativo. È altresì previsto che per ogni legge che le camere si accingano ad approvare, deve indicare i mezzi per farvi fronte, ossia la copertura finanziaria che può essere soddisfatta sia con nuove entrate sia con taglio di spese prima previste. Nel caso in cui il bilancio non sia approvato entro il 31 dicembre, il parlamento può concedere per non oltre 4 mesi l’esercizio provvisorio, con il quale si autorizza il governo a impegnare risorse mese per mese in misura non superiore a un dodicesimo di quelle previste dal bilancio dell’anno precedente. Infine, l’art. 81 riserva a un’apposita fonte specializzata il contenuto della legge di bilancio e le norme fondamentali per assicurare l’equilibrio fra entrate e spese e la sostenibilità del debito pubblico. Recentemente si è dato vita a un vero e proprio ciclo di bilancio coordinato Ue-Italia: TIZIANO BARBATIELLO esso prende avvio, in Italia, sulla base delle linee guida di politica economica e di bilancio formulate fra gennaio e marzo a livello europeo, che definiscono le priorità strategiche e gli orientamenti dell’Unione rivolti ai singoli stati. Perciò il governo, entro il 10 aprile, sottopone alle camere il documento di economia e finanza: il Def fa il punto sulla situazione economico-finanziaria del paese e contiene il programma di stabilità e convergenza e il programma nazionale di riforma. Sul Def ciascuna camera si pronuncia approvando una risoluzione. Acquisite le deliberazioni, il governo invia il documento a Bruxelles entro aprile. Successivamente il governo, oltre a predisporre il rendiconto generale dello Stato con riferimento all’esercizio dell’anno precedente, entro giugno presenta il disegno di legge di assestamento per riportare i conti, in caso di scostamenti, in linea con le previsioni di bilancio. Entro luglio il Consiglio dell’unione europea, su proposta della Commissione, si pronuncia sul programma di stabilità e convergenza e sul programma nazionale di riforma con l’adozione di raccomandazioni, eventualmente suggerendo modifiche e correzioni specifiche per far sì che i programmi siano in linea con gli obiettivi europei. Segue che, il governo, entro il 27 settembre, presenta la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza che fissa nuovi obiettivi programmatici e recepisce le raccomandazioni approvate in sede europea. Perciò il governo, entro il 20 ottobre, presenta il disegno di legge di bilancio che reca la manovra di finanza pubblica. Da fine ottobre a fine dicembre, dunque, ciascuna camera dedica una sessione apposita alla discussione e votazione della legge di bilancio. Si tratta della sessione di bilancio, disciplinata dai regolamenti parlamentari con la previsione di termini precisi e cadenzati e di limiti rigorosi agli emendamenti. La legge di bilancio a sua volta si compone di due sezioni. La prima sezione riprende i contenuti della legge di stabilità: essa determina il livello massimo del ricorso al mercato finanziario e del saldo netto da finanziare; interviene sulle norme di spesa e di entrata previste dalle leggi vigenti; fissa i fondi speciali per la copertura di nuove leggi di spesa e i fondi9 destinati al rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti. Contiene tutte quelle disposizioni volte a far sì che il bilancio corrisponda agli obiettivi programmatici del Def aggiornato. La seconda sezione della legge di bilancio riprende i contenuti del bilancio di previsione: attraverso la “fotografia” delle entrate e delle spese come previste dalla prima sezione, in termini sia di competenza sia di cassa, essa autorizza l’amministrazione dello Stato a riscuotere e disporre le spese indicate. -LA LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA E LA LEGGE EUROPEA Con la l. 24 dicembre 2012, n. 234, ha posto una complessiva riforma delle norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. La legge ha istituito al posto della legge comunitaria due distinti strumenti legislativi: il disegno di legge di delegazione europea e il disegno di legge europea, che il governo presenta alle camere entro il mese di febbraio. La legge di delegazione europea consente: disposizioni che conferiscono al governo deleghe legislative per l’attuazione delle direttive europee (ex art. 76 cost.); disposizioni che autorizzano il governo a recepire le direttive in via regolamentare nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge; disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni esercitano la propria competenza normativa per recepire gli atti dell’Unione (ex art. 117.3 cost.). TIZIANO BARBATIELLO la legge europea contiene, invece, la modifica o l’abrogazione di norme statali in contrasto con la normativa Ue. -LE PROCEDURE DI INDIRIZZO La funzione di indirizzo politico consiste dell’indicare, innanzitutto al governo, ma non solo ad esso, cosa deve fare e soprattutto a quale fine, nel rispetto di quali principi, privilegiando quali interessi. Il contenuto delle leggi che il parlamento approva risponde all’indirizzo di cui sono interpreti governo e maggioranza. Accanto gli indirizzi espressi in forma di legge, le camere concorrono alla determinazione dell’indirizzo politico generale e compiono più specifiche scelte di indirizzo facendo ricorso a strumenti diversi. I principali sono quelli che riguardano il rapporto fiduciario: il dibattito e la votazione sulla mozione di fiducia al nuovo governo; i dibattiti e le votazioni sulle eventuali questioni di fiducia poste dal governo; i dibattiti e le votazioni sulle eventuali mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione. Le camere utilizzano altri strumenti allo scopo di specificare e integrare l’indirizzo politico generale: sono le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al governo. Le mozioni sono lo strumento che serve a provocare una deliberazione su un qualsiasi argomento: le camere possono votare una mozione che chiede al governo di muoversi in una direzione piuttosto che in un’altra. Esse sono esaminate e votate con procedure in tutto simili a quelle dei progetti di legge. Dal punto di vista giuridico l’inottemperanza del governo nei confronti di una mozione in null’altro si traduce se non in opportunità politica per arrivare ulteriori e più stringenti strumenti parlamentari (per esempio la mozione di sfiducia può essere motivata da questo fatto). La risoluzione ha le stesse finalità della mozione, ma ciò che cambia sono le circostanze in cui può essere presentata: come atto di indirizzo che conclude, per esempio originato da comunicazioni del governo; ovvero come tipico atto di indirizzo che può essere presentato e votato in commissione. Ogni singolo parlamentare può presentare una risoluzione, a differenza delle mozioni che richiedono un numero minimo di proponenti. Gli ordini del giorno di istruzione al governo sono in genere presentati nel corso dell’esame di un progetto di legge o anche di una mozione e costituiscono certamente l’atto di indirizzo più blando, che spesso traduce, con l’assenso del governo, emendamenti che non siano stati da questo accettati, una sorta di promessa a futura memoria. -LE PROCEDURE DI CONTROLLO E INFORMAZIONE Le camere dispongono di molteplici strumenti per esercitare funzioni di controllo e di informazione. Si tratta di strumenti di portata diversa, alcuni nella disponibilità del singolo parlamentare, altri delle commissioni, altri ancora dell’intera assemblea. Le interrogazioni consistono in una domanda per iscritto per chiedere informazioni o conferma di informazioni già note, alla quale il governo risponde in forma orale o scritta. L’interrogante deve limitarsi a dire se è soddisfatto della risposta o no, e perché, in pochi minuti. Non si apre nessun dibattito. I regolamenti prevedono lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata. TIZIANO BARBATIELLO prevista per dargli modo, se così volesse, di ricandidarsi a cariche elettive (art. 59.1 cost.). -LE ATTRIBUZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Art. 87.1 il presidente della repubblica è il capo dello stato e il rappresentante dell’unità nazionale: si tratta di una figura che non ha funzioni di indirizzo politico bensì funzioni di garanzia. In base all’art. 89 cost. gli atti del presidente non sono riconosciuti come validi se non controfirmati da un componente del governo. Quali delle numerose attribuzioni presidenziali previste dalla costituzione sono tali solo perché il presidente è capo dello stato, e dunque una serie di atti sono a lui formalmente intestati, ma sono in realtà deliberati da altro organo costituzionale, per esempio dal Consiglio dei ministri? Quali atti, invece pur controfirmati, devono ritenersi suoi propri, cioè frutto di una sua discrezionale valutazione? Quali, infine, devono ritenersi frutto di un concorso di volontà, quella sua e quella del governo? La Corte costituzionale afferma che la controfirma assume un valore a seconda del tipo di atti di cui rappresenta il completamento. I poteri del presidente della repubblica sono: in ordine alla rappresentanza esterna. Il presidente accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati; dichiara lo stato di guerra, effettua visite all’estero; in ordine all’esercizio delle funzioni parlamentari. Il presidente nomina fino a 5 senatori a vita (art. 59.2), può convocare le camere in via straordinaria (art. 62.2), indice le elezioni e fissa la prima riunione delle nuove camere (art. 87.3), può inviare messaggi alle camere (art. 87.2), può sciogliere le camere o una di esse (art. 88); in ordine alla funzione legislativa. Il presidente promulga le leggi approvate dal parlamento (artt. 73.1 e 87.5) e può con messaggio motivato chiedere una nuova deliberazione, essendo tuttavia obbligato a promulgare quando questa ci sia (art. 74), autorizza la presentazione alle camere dei disegni di legge del governo (art. 87.4), emana gli atti del governo aventi forza di legge (art.87.5); in ordine alla funzione esecutiva e di governo. Il presidente nomina il presidente del consiglio e, su proposta di questo, i ministri (art.92.2) e conduce a tal fine le consultazioni che ritiene utili e che la prassi gli suggerisce, accoglie il giuramento del governo (art.93) e ne accetta le dimissioni, autorizza la presentazione di disegni di legge del governo (art. 87.4), emana i decreti-legge e i decreti legislativi, nonché i regolamenti del governo (art. 87.7), conferisce le onorificenze della repubblica (art. 87.12), ha il comando delle forze armate e presiede il consiglio supremo di difesa (art. 87.9), dispone con decreto motivato lo scioglimento di consigli regionali e la rimozione di presidenti di regione (art. 26.1); in ordine all’esercizio della sovranità popolare. Il presidente indice, oltre che le elezioni delle nuove camere, anche i referendum previsti dalla costituzione (art. 87.6), dichiara l’avvenuta abrogazione della legge sottoposta a referendum; TIZIANO BARBATIELLO in ordine all’esercizio della giurisdizione costituzionale, ordinaria e amministrativa. Il presidente nomina un terzo dei giudici della Corte costituzionale (art. 135.1), presiede il consiglio superiore della magistratura (artt. 87.10 e 104.2), può concedere la grazia e commutare le pene (art. 87.11). Vi sono alcuni atti che si ritiene il presidente possa compiere senza controfirma: può dimettersi, può fare dichiarazioni informali, senza impegnare l’istituzione che rappresenta, ma con semplice manifestazione di sue personali opinioni (le esternazioni), non ritenute irrilevanti data la sua influenza, esercita le funzioni di presidente degli organi collegiali del Csm e del Csd, conferisce l’incarico di formare il governo. Si possono classificare tre tipologie di valenza degli atti del presidente: vi sono alcune attribuzioni il cui esercizio è formalmente o sostanzialmente obbligato (il presidente deve promulgare la legge riapprovata dalle camere dopo il rinvio; vi sono altre attribuzioni che certamente riservano al presidente uno spazio di valutazione discrezionale, per esempio il rinvio alle camere di una legge o l’invio di messaggi alle camere; vi sono infine attribuzioni che si possono definire di altissima valenza politica, in grado di influenzare se non condizionare il circuito dell’indirizzo politico. -LA RESPONSABILITÀ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’art. 90 cost. stabilisce una forma di irresponsabilità del presidente della repubblica per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, a meno che non si sia macchiato di due reati: l’alto tradimento o l’attentato alla costituzione. La prima ipotesi vuole identificare una collusione con forze straniere, la seconda vuole identificare non già qualsiasi violazione della carta costituzionale, ma solo quelle violazioni che siano tali da mettere a repentaglio caratteri essenziali dell’ordinamento. Il parlamento e la corte costituzionale rappresentano l’unico giudice degli eventuali atti e fatti ascritti al presidente e della loro suscettibilità a integrare la fattispecie dell’art. 90. Il procedimento per far valere la responsabilità del capo dello stato per alto tradimento e attentato alla costituzione si articola in due fasi: la prima p la messa in stato d’accusa da parte del parlamento in seduta comune con voto a maggioranza assoluta dei componenti; la seconda è ilo giudizio della Corte costituzionale, integrata da 16 componenti estratti da un elenco di 45 nomi compilato dallo stesso parlamento in seduta comune ogni 9 anni (art. 135.7). il procedimento di accusa parlamentare si articola a sua volta in due fasi: l’istruttoria e la decisione. L’istruttoria è condotta dal comitato parlamentare per il procedimento d’accusa, organo bicamerale, a cui spetta il compimento si una serie di indagini in relazioni alle denunce, interrogazione di testimoni e assunzione di prove. Tale attività preliminare può concludersi o con provvedimento di archiviazione delle accuse, o con una relazione da presentare al parlamento in seduta comune contenente le conclusioni cui è giunto il comitato, favorevoli o contrarie all’accusa. Dopo l’atto d’accusa, con TIZIANO BARBATIELLO decisione della Corte costituzionale, il presidente della repubblica può essere sospeso dalla carica in via cautelare. Il giudizio della Corte costituzionale si divide in tre fasi; l’istruttoria, il dibattimento e la decisione finale. Attraverso l’istruttoria, condotta dal presidente della Corte o da uno o più giudici da lui delegati, si acquisiscono tutti gli elementi di prova ritenuti utili per la decisione. Successivamente si apre il dibattimento, durante il quale le parti, in contraddittorio fra loro, discutono sulle risultanze dell’istruttoria e fanno le loro richieste. La Corte si riunisce quindi in camera di consiglio per la decisione finale, che potrà essere di assoluzione o di condanna. In caso di condanna potranno essere applicate le pene fino alla misura massima prevista dalla legislazione vigente al momento della commissione dei fatti. Inoltre, potranno essere applicate le sanzioni civili, amministrative e costituzionali. La sentenza così emessa è definitiva e non può essere impugnata in alcun modo, ad eccezione delle ipotesi di revisione (non comporta nuovo giudizio sui medesimi fatti, è ammessa solo se dovessero emergere elementi nuovi) È ovvio che il presidente risponda come ogni altro cittadino per tutte le azioni compiute fuori dell’esercizio delle sue funzioni, cioè tutte quelle che nulla hanno a che vedere con il suo incarico istituzionale e che potrebbe compiere. -IL POTERE DI SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE Il presidente della repubblica deve consultare previamente i presidenti delle due camere, il cui parere non è però vincolante (art. 88.1). inoltre, egli non può esercitare il potere di scioglimento degli ultimi sei mesi di mandato. Il potere di convocare elezioni anticipate è un fondamentale strumento di stabilizzazione del governo parlamentare: la sola minaccia di farvi ricorso serve più che non il suo stesso uso, perché ai parlamentari in carica non piace il rischio legato a nuove elezioni. IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA -COM’È ORGANIZZATO IL GOVERNO ITALIANO Secondo l’art. 92.1 cost., il governo della repubblica è composto da un organo collegiale e da una pluralità di organi individuali: presidente del Consiglio dei ministri; ministri; Consiglio dei ministri. La costituzione dedica al governo solo cinque articoli. I costituenti non ritennero né di individuare una nitida gerarchia all’interno del governo, né di riconoscere all’esecutivo nel suo complesso quei poteri di cui avrebbe avuto bisogno per assolvere adeguatamente le sue funzioni, né, infine, di rafforzarlo nella sua stabilità. TIZIANO BARBATIELLO Questo vuol dire che il parlamento è chiamato a giudicare insieme i vari elementi della formazione del governo. Come prevede la 400/88 è il presidente entrante a controfirmare il decreto presidenziale di nomina; il decreto di nomina dei ministri è controfirmato dal nuovo presidente del consiglio, il quale poi, con proprio decreto, conferisce gli incarichi specifici a coloro che sono stati nominati ministri senza portafoglio. Con il giuramento (art. 93 cost.) il governo entra in carica e i singoli suoi componenti prendono letteralmente possesso dei loro uffici, assumendo tutte le responsabilità che la costituzione e le leggi ad essi attribuiscono. La correttezza costituzionale impone che un governo in attesa di fiducia limiti la propria attività all’ordinaria amministrazione, rinunciando cioè alle iniziative di rilievo politico. La fase successiva prevede la presentazione alle camere, entro 10 giorni dal giuramento, per l’esposizione delle linee programmatiche del nuovo governo. Il dibattito parlamentare, invece, si svolge prima nell’una poi nell’altra camera, seguito dalla replica del presidente del consiglio e dalle dichiarazioni di voto dei gruppi, e si conclude in ciascuna camera con l’approvazione di una mozione di fiducia presentata dai capigruppo della maggioranza. Diversamente da quanto prevede l’art. 94.2, la mozione non è quasi mai stata motivata se non facendo generico riferimento alle dichiarazioni programmatiche del presidente. Il governo deve ottenere la maggioranza semplice dei voti, fermo il quorum strutturale. La votazione avviene a scrutinio palese mediante appello nominale: i deputati e i senatori devono dire ad alta voce sì o no o mi astengo alla mozione di fiducia, passando davanti al presidente dell’assemblea. -LA RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO Il governo risponde del proprio operato a vario titolo. Prima di tutto, esso è legato dal rapporto fiduciario con il parlamento ed è responsabile politicamente davanti ad esso (responsabilità politica: ciascuna camera può sfiduciarlo, approvando una mozione ad Hoc presentata nelle forme previste dall’art. 94 cost. oppure anche negando la fiducia quando è il governo che la sollecita ponendo la questione di fiducia; le camere possono sfiduciare anche un singolo ministro. La responsabilità politica del governo è diffusa, nel senso che ciò che fa on non fa è sottoposto al giudizio dell’opinione pubblica, senza conseguenze giuridiche. Sotto il profilo della responsabilità civile e amministrativa, i componenti del governo rispondono alla stregua di coloro che sono predisposti a pubblici uffici ex art. 28 cost. Per quel che riguarda la responsabilità personale occorre distinguere fra reati commessi dal presidente del consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni e reati commessi fuori dalle loro funzioni: per questi ultimi i membri del governo sono giudicati come ogni altro cittadino; per i reati funzionali, in base all’art. 96 cost. è prevista una disciplina speciale che si giustifica in considerazione del nesso fra l’eventuale reato e l’attività di governo: le indagini preliminari sono affidate a un collegio composto da tre magistrati, estratti a sorte ogni due anni fra tutti quelli del distretto giudiziario competente per territorio con anzianità almeno quinquennale di magistrato di tribunale; ove il collegio non disponga l’archiviazione, gli atti sono trasmessi a una delle camere per TIZIANO BARBATIELLO l’autorizzazione a procedere, ove ritenga che non si tratti di reati commessi nell’esercizio delle funzioni, li rinvia al giudice competente; l’autorizzazione è deliberata dalla camera di appartenenza, a meno che non si proceda contro più persone appartenenti a camere diverse o che non sono parlamentari, nel qual caso spetta al Senato deliberare; l’autorizzazione può essere negata solo ove l’assemblea reputi a maggioranza assoluta dei componenti che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante; tale valutazione è insindacabile; ove l’autorizzazione venga concessa, il tribunale del capoluogo del distretto competente per territorio è giudice naturale di primo grado. Se emerge un dissenso fra tribunale dei ministri e camera competente in ordine alla natura ministeriale del reato perseguito, la Corte costituzionale ha stabilito che unico rimedio sia per la camera sollevare il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato: pertanto solo alla Corte spetta dirimere il contezioso. -COME IL GOVERNO CESSA DALLE FUNZIONI Il governo cessa dalle funzioni nel momento in cui un nuovo governo giura nelle mani del presidente della repubblica. Tuttavia, dal momento in cui un governo entra in crisi, elementari norme di correttezza costituzionale impongono che esso si attenga all’ordinaria amministrazione, ovvero agli affari correnti: quel complesso di attività che devono essere compiute giorno per giorno onde evitare un irreparabile pregiudizio degli interessi collettivi. È prassi che il presidente del consiglio dimissionario indirizzi ai propri ministri una lettera che specifica ciò che essi possono e debbono fare in pendenza di crisi. La crisi di governo è conseguenza delle dimissioni del governo e, in particolare, del presidente del consiglio. La prassi è che il presidente convochi il Consiglio dei ministri per annunciare il suo intendimento, ma non è richiesta alcuna deliberazione, le dimissioni essendo un atto individuale. La minaccia di farvi ricorso costituisce uno degli strumenti principali di influenza politica del presidente del consiglio per persuadere i membri del governo e le forze politiche parlamentari che lo sostengono a seguire le sue direttive. Solo in caso di approvazione da parte di una delle camere di una mozione di sfiducia, il governo è obbligato a dimettersi. Potendo il governo porre la questione di fiducia in occasione di una qualsiasi deliberazione parlamentare, il voto contrario equivale in tal caso ad approvazione di una mozione di sfiducia: e dunque determina l’obbligo alle dimissioni. In parte diverso è il caso dei governi che cessano dalle funzioni non per dimissioni di natura politica, ma conseguenti all’avvio di una nuova legislatura. I governi in carica si sono sempre dimessi all’indomani del voto: le dimissioni sono da ritenersi un dovere di correttezza costituzionale quando non sia mutata la maggioranza parlamentare, un vero e proprio obbligo giuridico quando invece ciò è accaduto. Vi è l’opportunità di permettere al presidente della repubblica di valutare gli esiti elettorali e registrare attraverso gli atti che gli competono l’eventuale riallineamento del circuito corpo elettorale-elezioni parlamentari-formazione del governo, al quale è rimesso in ultima istanza l’indirizzo politico del paese. TIZIANO BARBATIELLO Il regolamento della camera e la prassi anche del senato ammettono la mozione di sfiducia individuale contro un singolo ministro (istituto legittimato dalla Corte costituzionale). I GOVERNI REGIONALI E LOCALI -LA SCELTA DEL COSTITUENTE NEL 1948 E LA LENTA ATTUAZIONE DELL’ORDINAMENTO REGIONALE La repubblica fu ripartita in regioni, province e comuni art. 114 cost. Le regioni, disciplinate dagli artt. 115-127, sono definite “enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla costituzione”; le province e i comuni (artt. 128-133) definiti “enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della repubblica, che ne determinano le funzioni”. Caratteristica della competenza legislativa delle regioni ordinarie fu limitata a un numero ristretto di materie, elencate nell’art. 117: in tali materie la regione avrebbe potuto legiferare, ma tenendosi all’interno del quadro tracciato dalle leggi dello stato, cui spettava il compito di stabilire i principi fondamentali della materia insieme ad altre limitazioni (ora la maggior parte ora, se attuate, attuate in maniera differente nel caso ripassa pag. 428). -LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA DELLE AUTONOMIE Nel corso del tempo si cercò di innovare la materia. La l. cost. 22 novembre 1999 n.1 rafforzò l’autonomia statutaria delle regioni, ad esse integralmente affidata, e introdusse l’elezione diretta del presidente della regione. Questa poi fu estesa alle regioni a statuto speciale. La l. cost. 18 ottobre 2001 n.3 trasformò il resto del titolo V in una prospettiva che si volle definire federalista: le competenze legislative regionali furono grandemente rafforzate e si posero le basi di una reale autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali. -I CARATTERI DEL VIGENTE ORDINAMENTO REGIONALE (PREMESSA) Ogni regione costituisce un ordinamento a sé, con un livello di differenziazione che potrebbe nel tempo aumentare sempre di più. La differenziazione non riguarda solo la tradizionale distinzione fra regioni ordinarie e regioni speciali, né riguarda solo gli aspetti affidati allo statuto. In alcune materie legislative l’art. 116.3 prevede la possibilità di attribuire anche a ogni singola regione ordinaria ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Le regioni così come i comuni sono definite dall’art. 114 cost. “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla costituzione” ciò vuol dire che l’assetto delineato non può definirsi federale (quella definizione è adatta a quelli stati che sono nati da un processo di aggregazione fra più stati sovrani che mantengono le proprie costituzioni, pur subordinandole alla nuova costituzione federale). -L’ORDINAMENTO DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO TIZIANO BARBATIELLO La Corte costituzionale ha riconosciuto, come criterio di chiusura del sistema, il principio di sussidiarietà. Esso consente allo stato di assumere o disciplinare con legge funzioni amministrative ricadenti in ambiti di competenza legislativa regionale concorrente o residuale, ogniqualvolta si tratti di realizzare esigenze di carattere unitario. Per evitare che il ricorso al principio della sussidiarietà si trasformi in uno strumento lesivo dell’autonomia regionale, rendendo totalmente mobile il riparto delle funzioni legislative, è necessario che la legge statale rispetti i principi di ragionevolezza (sia effettivamente giustificata da esigenze unitarie non frazionabili), di proporzionalità (cioè sia strettamente necessaria a disciplinare quelle specifiche funzioni) e di leale collaborazione (lo stato deve decidere insieme alle regioni mediante apposite intese). Secondo l’art. 117.6 la potestà regolamentare spetta: allo stato, nelle materie di legislazione statale esclusiva, salvo la possibilità di delegarla alle regioni; alle regioni in ogni altra materia (tranne l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti locali). -I RAPPORTI DELLE REGIONI CON ALTRI SOGGETTI Rapporti internazionali: le regioni possono concludere, nelle materie di loro competenza, accordi internazionali sai con stati sia con enti territoriali stranieri. Può accadere nei soli casi e nelle forme previste dalla legge statale (art. 117.9). i rapporti internazionali delle regioni sono materia di legislazione concorrente e le regioni provvedono anche all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali conclusi dallo stato, se riferiti alle proprie competenze legislative. Rapporti con l’unione europea: il trattato di Lisbona ha espressamente riconosciuto il ruolo del sistema delle autonomie regionali e locali. Nelle materie di competenza regionale, le regioni partecipano alla fase ascendente e alla fase discendente del diritto dell’Unione; concorrono sia alla formazione sia all’attuazione ed esecuzione degli atti dell’Unione (art. 117.5). le regioni possono dare immediata attuazione alle direttive europee. Per questo è prevista la partecipazione di rappresentanti delle regioni alle delegazioni del governo nel Consiglio dell’Unione. Rapporti con lo stato: sono previste (oltre a quello detto prima) dall’art. 118.3 specifiche forme di coordinamento fra stato e regioni, disciplinate dalla legge statale, in alcune materie di esclusiva competenza dello stato. Rapporti con altre regioni: la regione può concludere intese con altre regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni e istituire a tale scopo organi interregionali comuni. Rapporti con gli enti locali: il disegno costituzionale è chiaro nel delineare regioni con funzioni legislative e di programmazione ed enti locali dotati della competenza amministrativa generale. La Corte riconosce significativi poteri al legislatore regionale in ordine alle forme associative degli enti locali e alla disciplina dei servizi pubblici locali, ritenute materie di competenza residuale regionale. La leale collaborazione fra enti territoriali è una necessità istituzionale, l’art. 123.4 prevede che ogni regione si doti, in statuto, del consiglio delle autonomie locali, definito appunto organo di consultazione fra la regione e gli enti locali. -L’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI TIZIANO BARBATIELLO Non hanno potestà legislativa, ma anch’essi, come le regioni, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla costituzione (art. 114.2 cost.) L’art. 117.6 prevede una potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni loro attribuite. Agli enti locali è garantita, in base all’art. 119 cost., l’autonomia impositiva e finanziaria. Entro questa cornice essi hanno il potere di auto organizzarsi e di amministrare, cioè di esercitare i compiti che la legge affida loro o che hanno deciso autonomamente di assumere. L’art. 118.1 cost. stabilisce che tutte le funzioni amministrative spettano ai comuni, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite dalla legge statale o dalla legge regionale, secondo le rispettive competenze. Fanno eccezione gli enti locali delle regioni a statuto speciale: infatti, non lo stato ma ciascuna regione speciale è competente sul proprio ordinamento locale. Fra gli enti locali solo i comuni rappresentano la propria comunità e sono da considerarsi enti a fini generali, nel senso che se di certe funzioni devono necessariamente occuparsi, possono fare tutto ciò che nella loro autonomia ritengono utile alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo di quanti risiedono nel loro territorio. È diverso il caso delle città metropolitane e delle province, che esercitano solo le funzioni tassativamente indicate dalla legge. L’art. 117.2 stabilisce che la determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali è materia riservata alla legge dello stato. (-PRINCIPIO DI SUSSIDARIETÀ L’ART. 118 COST.) “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I comuni, le province e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra stato e regioni nelle materie del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. TIZIANO BARBATIELLO LE GARANZIE GIURISDIZIONALI E COSTITUZIONALI (PARTE 7) IL SISTEMA GIUDIZIARIO -LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE Una definizione complessiva della funzione giurisdizionale deve conciliare due profili essenziali: quello soggettivo e quello oggettivo. Sotto il primo profilo, si dà rilievo alla natura del soggetto cui spetta la decisione, ogni qual volta determinate attività sono attribuite alla competenza di soggetti appartenenti al corpo giudiziario. In relazione al secondo profilo, si dà rilievo al carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività svolta, a prescindere dal fatto che chi decide appartenga al corpo giudiziario oppure no. Considerandoli insieme, si può definirla come la funzione diretta all’applicazione della legge, attivata su impulso delle parti, per risolvere un conflitto o una controversia, esercitata ad opera di un soggetto terzo, vincolato solo alla legge, nel rispetto del principio del contraddittorio fra le parti, della pubblicità del procedimento e della motivazione delle decisioni. Il giudice deve essere passivo, nel senso che non spetta a lui promuovere l’azione; deve essere terzo rispetto alle parti della causa; deve essere vincolato solo dalla legge; la pubblicità del procedimento è garanzia della sua correttezza, mentre la motivazione serve a consentire forme di controllo successivo (da parte di altro giudice che per questo è chiamato di secondo grado). A seconda del tipo di giurisdizione, diversi sono nome e ruolo delle parti in casa: si chiamano attore e convenuto del processo civile, pubblico ministero e imputato nel processo penale, ricorrente e resistente nel processo amministrativo. La definizione consente di cogliere la differenza della funzione giurisdizionale rispetto: alla funzione legislativa, il cui compito è produrre norme e la cui espressione tipica è la legge; TIZIANO BARBATIELLO della giustizia amministrativa, con sede a Roma. È sempre possibile il ricorso in cassazione. I giudici contabili hanno giurisdizione, in base all’art. 103.2 cost. nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. In base all’art. 103.3 Cost., i tribunali militari hanno in tempo di guerra la giurisdizione stabilita dalla legge, mentre in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi dagli appartenenti alle forze armate. Garante dell’ordinato svolgersi di tutte le attribuzioni delle diverse giurisdizioni è la Corte di cassazione. Ad essa spetta da un lato dirimere i conflitti di competenza fra i diversi giudici ordinari, dall’altro i conflitti di giurisdizione fra giudici ordinari e speciali. -L’AUTONOMIA E INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA Secondo l’art. 104.1 cost., “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, i giudici”; “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101.2); “i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni” (art. 107.3). Si afferma così il principio della separazione dei poteri e della necessaria autonomia e indipendenza della magistratura degli altri poteri dello stato. Essa trova nell’atto legislativo la sola fonte della sua organizzazione generale oltre al limite e alla misura dei suoi poteri. “le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge” (art. 108.1). A riprova della volontà di evitare ogni possibile condizionamento politico, la Costituzione (art. 106.1) prevede che i magistrati siano nominati solo dopo il superamento di un pubblico concorso, per garantire imparzialità e un grado tendenzialmente elevato di selezione tecnica: non sono né elettivi né designati da organi politici. Unica deroga alla disciplina riguardi i magistrati onorari, ai quali affidare sia funzioni giudicanti che, sia requirenti (art. 106.2 cost.). Sono magistrati onorai, ad esempio, i giudici di pace. È prevista, inoltre, la possibilità di nominare per meriti insigni professori ordinari di materie giuridiche e avvocati all’ufficio di consiglieri di cassazione. Art. 102.3 cost. “partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia” nei casi e nelle forme regolate dalla legge (oggi prevista nei soli casi di corti d’assise e d’assise d’appello; i cosiddetti giurati). L’indipendenza dei magistrati è ulteriormente garantita dalla loro inamovibilità: essi non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Csm, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso” (art. 107.1 cost.). questa garanzia esclude ogni possibile interferenza del potere esecutivo volta a condizionare la carriera dei magistrati. Sono infatti assai ridotti i margini di intervento del ministro della giustizia: questi ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare e una competenza generale in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (artt. 107.2 e 110 cost.). L’indipendenza della magistratura va considerata sotto due profili: il profilo esterno e il profilo interno. Con riguardo all’indipendenza esterna rivelano le osservazioni appena fate. Sotto il profilo dell’indipendenza interna rilevano i rapporti fra i magistrati all’interno dello stesso rodine giudiziario. I magistrati raggiungono il massimo TIZIANO BARBATIELLO trattamento economico e del grado in carriera prevalentemente attraverso il criterio dell’anzianità, a prescindere dall’effettivo esercizio delle relative funzioni. Questa scelta diminuisce la possibilità dei magistrati esercitanti funzioni superiori di influire su quelli esercitanti funzioni inferiori. In base all’art. 98.3 i magistrati sono una delle categorie per le quali possono essere stabilite con legge limitazioni al diritto di iscriversi a partiti politici (si mira alla salvaguardia dell’indipendente e imparziale esercizio delle sue funzioni). -IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Il Csm è l’organo a cui spettano, in base all’art. 105 cost “le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari” nei confronti dei magistrati ordinari. Il Csm ha una composizione mista definita dall’art. 104 cost.: tre componenti di diritto, il presidente della repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione; componenti elettivi, due terzi sono eletti da tutti magistrati ordinari, fra gli appartenenti alla magistratura, ripartiti in categorie; un terzo sono eletti dal parlamento in seduta comune fra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di professione. Il Csm elegge, fra i membri del parlamento, un vicepresidente, il quale esercita le attribuzioni affidategli dalla legge e tutte quelle che il presidente della repubblica gli delega (per prassi quasi tutte). È l’organo a cui la costituzione ha attribuito la gestione della carriera e dello stato giuridico dei magistrati, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario. Tali attribuzioni devono coordinarsi coi poteri del ministro della giustizia, il quale è competente in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi giudiziari. Il Csm dà pareri al ministro sui disegni di legge nelle materie concernenti la giustizia. La funzione disciplinare è quella di decidere l’eventuale irrogazione delle sanzioni previste dalla legge nei confronti dei singoli magistrati giudicati responsabili di comportamenti contrasti ai doveri d’ufficio o comunque non consoni alla loro appartenenza all’ordine giudiziario. Il procedimento può essere iniziato su richiesta del ministro della giustizia o dal procuratore generale presso la Corte di cassazione. Il procedimento disciplinare è strutturato come un precesso. -I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL PROCESSO L’art. 24.1 cost. dichiara “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. Deve essere assicurato ovviamente anche il diritto di difesa, in base all’art. 24.2 “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” a prescindere dal tipo di giurisdizione. Inoltre, art. 24.3 “ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”. Infine, l’art. 24.4 riconosce il principio della riparazione degli errori giudiziari e ne rinvia condizioni e modi al legislatore. Il giudice naturale è precostituito per legge, al fine proprio di garantire appieno la tutela giurisdizionale dei diritti del cittadino, art. 25.1 “il diritto a una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere o, ancor più nettamente, il TIZIANO BARBATIELLO diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi” L’art. 11 cost. contiene i principi del giusto processo “la giurisdizione si attua mediante l giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale… il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”. Inoltre, l’art. 111 riconosce alla persona accusata di un reato alcuni diritti fondamentali: essere nel più breve tempo possibile informata riservamene dei capi d’accusa a suo carico; disporre del tempo e delle condizioni necessari per la preparazione della difesa; interrogare i testimoni a suo carico e a sua difesa, alle stesse condizioni dell’accusa e acquisire ogni altro mezzo di prova a suo favore; essere assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata nel processo. La legge deve altresì assicurare la ragionevole durata del processo. Art. 111.6 aggiunge l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, permettendo così un eventuale contestazione, permettendo il giudizio di secondo grado. Presunzione di non colpevolezza (art. 27.2), implica che è il pubblico ministero a dover dimostrare la responsabilità penale dell’imputato. LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE -LA CORTE COSTITUZIONALE: COMPOSIZIONE E FUNZIONI L’organizzazione e il funzionamento della Corte sono disciplinati solo in parte dalla costituzione (artt. 134-137). Molte disposizioni sono contenute in alcune leggi costituzionali, in disposizioni legislative ordinarie e in fonti regolamentari adottate dalla stessa Corte costituzionale. Composta da 15 giudici che sono nominati: per un terzo dal Presidente della Repubblica; per un terzo dal Parlamento in seduta comune; per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative. Tutti i giudici costituzionali sono scelti fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in discipline giuridiche e gli avvocati con anzianità professionale di almeno vent’anni (art. 135.2). Il mandato dei giudici costituzionali dura 9 anni; essi non sono rieleggibili (art. 135.3 e 4). Il presidente della Corte è eletto dai suoi componenti per 3 anni ed è rieleggibile (art. 135.5). Quanto allo status di giudice costituzionale, la costituzione stabilisce che il relativo ufficio è incompatibile con la carica di parlamentare, di consigliere regionale, con la professione forense e con ogni altra carica o ufficio indicati dalla legge (art. 135.6). La Corte costituzionale è competente a giudicare (art. 134): sulle questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello stato e delle leggi delle regioni; TIZIANO BARBATIELLO In questo modo si è cercato di conciliare l’esigenza di delimitare sul piano soggettivo le vie di accesso al giudizio della Corte con l’esigenza di assicurare l’efficienza del giudizio di legittimità. La soluzione prescelta: lega la possibilità di adire la Corte all’esistenza di una concreta controversia pendente davanti a un giudice, al quale solo spetta di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale; limita i ricorsi diretti a soggetti istituzionali qualificati, quali lo stato e le regioni; non prevede il ricorso diretto da parte di ciascun cittadino per la tutela dei propri diritti fondamentali lesi da un atto dei pubblici poteri. -I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE Il giudizio in via incidentale si ha quando la questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata nel corso di un procedimento davanti a un’autorità giurisdizionale. Un primo aspetto è stabilire quali organi giurisdizionali possono promuovere il giudizio costituzionale, cioè l’individuazione del giudice a quo. Al riguardo, la Corte, non solo ha riconosciuto tale possibilità ai giudici ordinari e amministrativi, ma l’ha estesa a una variegata categoria di organi (Csm, Corte dei conti, commissioni tributarie e altri). In sostanza la Corte richiede due requisiti: requisito soggettivo, ossia l’esistenza di un giudice incardinato nell’organizzazione della magistratura ordinaria o amministrativa; requisito oggettivo; ossia l’esistenza di un giudizio in senso tecnico, ovvero un’attività qualificabile come esercizio della funzione giurisdizionale. Un secondo aspetto riguarda chi, nel corso di un processo, può sollevare la questione di legittimità costituzionale. Essa può essere sollevata: su istanza di un delle parti del giudizio; d’ufficio da parte dello stesso giudice. Le parti e il giudice devono precisare i termini e i motivi della questione di costituzionalità individuando: le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello stato o della legge regionale che si ritengono viziate da illegittimità costituzionale (l’oggetto), e le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate (il parametro). Per poter accedere al giudizio è necessario che il giudice a quo accerti preliminarmente l’esistenza di due condizioni di ammissibilità: che la questione sia rilevante e sia non manifestamente infondata. La rilevanza deve riguardare questioni concrete relativa all’applicazione di atti legislativi davanti al giudice a quo. Una questione è rilevante quando ha ad oggetto una disposizione di legge la cui applicazione è necessaria per definire il giudizio in corso. La questione deve essere anche non manifestamente infondata, ossia ragionevolmente seria e non presuntuosa. Non si richiede che il giudice a quo confidi sulla fondatezza della questione, ma solamente che il giudice accerti sommariamente che sussiste un dubbio sulla costituzionalità della disposizione di legge che si tratta di applicare. TIZIANO BARBATIELLO La Corte richiede sempre più frequentemente al giudice di svolgere ogni tentativo diretto a verificare se il dubbio di costituzionalità possa essere superato per via interpretativa. Si parla in questo caso dell’obbligo per il giudice di operare l’interpretazione conforme a Costituzione: le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali. In presenza dei suddetti presupposti il giudice a quo sospende il giudizio in corso per rimettere con ordinanza la questione di legittimità alla Corte. La Corte ha tuttavia affermato che non può escludersi un’attività processuale nel giudizio a quo successivamente alla rimessione, anche a garanzia del principio costituzionale della ragionevole durata, ove la sospensione non richieda di arrestare l’intero processo. Se il giudice on riscontra l’esistenza delle condizioni di ammissibilità, respinge con ordinanza motivata la questione di costituzionalità per irrilevanza o per manifesta infondatezza. La questione può essere comunque riproposta all’inizio di ogni fase o grado ulteriore del processo. Se ricorrono i presupposti il giudice deve adire alla Corte (non può astenersi). Decisa la remissione alla Corte, il giudice a quo provvede a notificare l’ordinanza sia alle parti in causa sia al pubblico ministero, se presente. L’ordinanza con la quale il giudice a quo ha disposto l’invio degli atti alla Corte è pubblicata. La pubblicazione serve a fa sì che tutti gli operatori del diritto potenzialmente interessati siano messi al corrente dell’imminente instaurarsi di un giudizio di legittimità costituzionale. -I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO IN VIA D’AZIONE Il giudizio in via d’azione si apre direttamente mediante: ricorso dello stato contro le leggi regionali che eccedano la competenza della regione; ricorso della regione contro leggi e atti aventi forza di legge dello stato o contro leggi di altre regioni che ledano la sua sfera di competenza. Il giudizio in via d’azione ha carattere astratto, nel senso che le disposizioni impugnate vengono valutate sotto il profilo del contenuto prescrittivo a prescindere dalla loro concreta applicazione. È un giudizio disponibile (quello in via incidentale indisponibile) in quanto le parti possono, non devono, fare uso del potere di ricorrere alla Corte. Quanto alla titolarità del ricorso, esso è presentato dal presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri, o dal presidente della giunta regionale, previa delibera della giunta, indicando l’oggetto e il parametro; il ricorso può essere deciso dal Consiglio dei ministri o dalla giunta regionale su proposta, rispettivamente, della conferenza stato-città ed autonomie regionali o del consiglio delle autonomie locali istituito in ogni regione. Se la Corte ritiene che l’esecuzione dell’atto oggetto del ricorso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, o di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini, può sospenderne l’efficacia in attesa del giudizio. TIZIANO BARBATIELLO Quanto al profilo sostanziale, lo stato può impugnare leggi regionali per qualsiasi violazione, invocando qualsivoglia parametro costituzionale; le regioni possono impugnare le leggi dello stato o di un’altra regione solo per violazione della sfera di competenza ad esse assegnata da norme costituzionali o da norme legislative interposte. -I GIUDIZI SULLE LEGGI: TIPOLOGIA DELLE SENTENZE Il giudizio di legittimità costituzionale si chiude con una decisione della Corte. Le decisioni hanno una forma tipica: la sentenza, quando la Corte giudica in via definitiva; l’ordinanza in tutti gli altri casi. Con ordinanza sono adottati i provvedimenti interlocutori (ad es. quando la Corte restituisce gli atti al giudice a quo perché rivaluti la questione alla luce di nuove norme intervenute dopo l’ordinanza di rimessione).; ma anche le decisioni assunte senza entrare nel merito della questione per mancanza dei requisiti necessari o per vizi procedurali; o quando la Corte valuta la questione priva di qualsiasi fondamento senza bisogno di ulteriori e approfondite verifiche. Le sentenze hanno una struttura tipica in cui si distinguono: la motivazione in fatto, cioè l’esposizione dei fatti della causa; la motivazione in diritto, cioè le ragioni che giustificano la decisione adottata; il dispositivo, cioè la parte che contiene la decisione. Le decisioni si distinguono in decisioni processuali e decisioni di merito: nel primo caso il giudizio della Corte lascia impregiudicata la questione di legittimità costituzionale; nel secondo caso la Corte entra nel merito della questione e la risolve. Le decisioni di merito possono essere classificate secondo più criteri: secondo l’esito del giudizio che può essere di accoglimento o di rigetto della questione di costituzionalità. Tale esito può essere raggiunto seguendo diversi percorsi interpretativi che consentono di trarre dalla medesima disposizione più di una norma. Infine, si possono classificare le decisioni di accoglimento in base alla tecnica di decisione applicata dalla Corte. In base all’esito del giudizio, le sentenze di accoglimento e rigetto: le decisioni si distinguono principalmente in sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto. È prevista anche la tipologia dell’illegittimità consequenziale, cioè la possibilità di dichiarare incostituzionali, oltre che le disposizioni impugnate, anche le altre disposizioni non indicate nell’ordinanza di rimessione. In base al percorso seguito, le sentenze interpretative: una seconda classificazione delle decisioni di merito si fonda sulla distinzione fra disposizione e norma. Si parla di sentenze interpretative: sono quelle in cui l’accoglimento o il rigetto della questione dipende da quale norma, fra le diverse possibili, la Corte costituzionale ricava dalla disposizione sottoposta al suo esame. Sentenze interpretative di accoglimento. La Corte giudica fondata la questione e dichiara l’illegittimità della disposizione impugnata, ma in quanto fra le norme che la TIZIANO BARBATIELLO Nell’ambito del potere esecutivo, stante la struttura gerarchica dell’amministrazione pubblica, il ruolo di vertice spetta al governo nella sua interezza, in quanto organo titolare dell’indirizzo politico e amministrativo. Organo competente a manifestare in via definitiva la volontà dell’intero esecutivo è il presidente del Consiglio dei ministri (art. 95.1 cost.); nonché il solo ministro della giustizia in relazione alle competenze afferenti al proprio dicastero e alla titolarità dell’azione disciplinare contro i magistrati (artt. 107.2 e 110 cost.). Più complessa è la questione nell’ambito del potere giudiziario, non solo perché possono venire inconsiderazione accanto ai giudici i giudici speciali, ma anche perché esso non è strutturato gerarchicamente. La Corte costituzionale ha accolto una nozione ampia di potere giudiziario, come potere diffuso. Così, ad esempio, la Corte ha ammesso la legittimazione di ciascun giudice per la tutela della funzione giurisdizionale; del pubblico ministero rispetto all’esercizio dell’azione penale ex art. 112 cost.; del tribunale dei ministri quale collegio inquirente nei procedimenti per i reati ministeriali (ex art. 96 cost.). Anche il Csm viene considerato potere dello stato in relazione alle sue attribuzioni costituzionali riguardanti lo status dei magistrati. Altri poteri dello stato sono il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sotto il profilo oggettivo, i conflitti fra poteri riguardano attribuzioni determinate da norme costituzionali. Questo significa che non qualsiasi attribuzione può essere tutelata innanzi alla Corte, ma solamente quelle costituzionalmente rilevanti: perché espressamente previste dalla costituzione o perché sono tali da integrare e sviluppare il quadro organizzativo della costituzione. Il giudizio innanzi alla Corte costituzionale si divide in due fasi: il giudizio preliminare sull’ammissibilità del conflitto, che si apre su ricorso dell’organo interessato senza termine di decadenza, ed è diretto ad accertare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, se prima face (attraverso una sommaria deliberazione) sussiste materia di conflitto sotto in profili soggettivo e oggettivo. Il giudizio nel merito, che si svolge fra le parti prefigurate dall’ordinanza di ammissibilità; la Corte, previa nuova verifica dei requisiti di ammissibilità, risolve il conflitto con sentenza dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni contestate e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla. -I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE FRA STATO E REGIONI E FRA REGIONI Se la regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla costituzione allo stato ovvero ad altra regione, lo stato o la regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza; allo stesso modo il ricorso può essere proposto dalla regione la cui sfera di competenza sia invasa da un atto dello stato. Nei conflitti intersoggettivi il giudizio è fra parti determinate, lo stato e le regioni. I conflitti hanno ad oggetto la definizione delle rispettive sfere di attribuzione lese in concreto da un atto invasivo, che può essere impugnato o per usurpazione o per cattivo uso del potere. Lo stato o la regione possono ricorrere per la tutela di attribuzioni costituzionalmente rilevanti, stabilite non solamente da norme costituzionali, ma anche dagli statuti regionali, dai decreti legislativi di attuazione degli statuti delle regioni speciali, nonché dai decreti legislativi di trasferimento delle funzioni statali alle regioni. TIZIANO BARBATIELLO Al di fuori degli atti legislativi, qualsiasi atto è idoneo a determinare materia di conflitto, purché sia tale appunto da comportare un’alterazione de riparto delle competenze costituzionali: regolamenti, atti amministrativi, atti politici, comunicazioni, circolari, note sentenze e provvedimenti giurisdizionali. Il procedimento non prevede un previo giudizio di ammissibilità, ma si apre con la presentazione del ricorso, entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla notificazione, pubblicazione o conoscenza dell’atto invasivo. Il ricorso deve indicare come sorge il conflitto di attribuzione e specificare l’atto dal quale sarebbe stata invasa la competenza, nonché le disposizioni della costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate. La Corte decide con ordinanza sulla richiesta di sospensiva, con sentenza sul merito di conflitto, eventualmente annullando l’atto invasivo.
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