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DISPENSA DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - processo di cognizione e impugnazioni - 2020, Dispense di Diritto Processuale Civile

La dispensa costituisce un estratto della più ampia dispensa di diritto processuale civile. Gli argomenti trattati riguardano il processo di cognizione di primo grado e le impugnazioni.

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 20/03/2020

theangel1974
theangel1974 🇮🇹

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Scarica DISPENSA DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - processo di cognizione e impugnazioni - 2020 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DAVIDE ANGELINI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - IL PROCESSO DI COGNIZIONE - LE IMPUGNAZIONI 1 PARTE QUINTA Il processo di cognizione Cap. I – CONCETTI GENERALI E FASE PRE-INTRODUTTIVA Il libro secondo del codice di procedura civile si occupa di disciplinare il processo di cognizione, ossia quel processo che nasce per via di un'azione di cognizione, volta, quanto meno, all'accertamento di un diritto vantato dall'attore o della lesione di un diritto da questi lamentata. Abbiamo visto parlando a suo tempo delle varie tipologie di azioni processuali che la cognizione, intesa quale accertamento dei fatti esposti dall'attore nella domanda giudiziale, è immancabile nelle azioni di accertamento, nelle azioni di condanna e nelle azioni costitutive (tutte azioni che vengono per l'appunto definite azioni di cognizione). Abbiamo altresì visto che nelle azioni cautelari, invece, la cognizione è solo sommaria mentre, nelle azioni esecutive, il risultato della cognizione è già contenuta nel titolo esecutivo, pur essendo prevista una fase di nuova cognizione a seguito di eventuale opposizione. Dunque, il codice di rito tratta del processo di cognizione dettando una disciplina paradigmatica relativa al procedimento con cognizione piena (non sommaria) avanti il tribunale (collegiale) in primo grado. Tale procedimento costituisce, pertanto, il tipico processo civile di cognizione. Specificato che alcune norme particolari riguardano poi il procedimento avanti al tribunale in composizione monocratica, gli altri procedimenti di cognizione piena previsti nel libro secondo del codice di rito (procedimento avanti al giudice di pace; procedimento d'appello; giudizio di rinvio; procedimento per revocazione e opposizione di terzo) rinviano, per quanto possibile, e per quanto compatibile, alla disciplina paradigmatica del processo di cognizione avanti al tribunale collegiale. Rimangono a sé stanti il procedimento avanti la Corte di Cassazione e il processo del lavoro, il quale ultimo andrebbe con maggiore razionalità inserito tra i procedimenti speciali (libro quarto del codice di rito). 2 secondo gruppo editio actionis. Costituisce vocatio in ius la “chiamata in giudizio” del convenuto. Nella citazione la vocatio è rappresentata dai nn. 1,2,6 e 7 del secondo comma dell'art. 163 c.p.c., i quali dispongono che la citazione debba contenere:  l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta (n. 1 del secondo comma dell'art. 163 c.p.c.);  il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore (o degli attori) e del convenuto (o dei convenuti), nonché delle persone che li rappresentano o li assistono (n. 2);  il nome e cognome del procuratore (dell'attore) e l'indicazione della procura, se è già stata rilasciata (n. 6);  l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni (o 10 in caso di abbreviazione dei termini) prima dell'udienza indicata in citazione ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. (che vedremo più avanti) e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. (n. 7). Sono elementi della editio actionis :  la determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum mediato)(n. 3);  l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi), con le relative conclusioni (petitum mediato ed immediato) (n. 4);  l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e, in particolare, dei documenti che offre in comunicazione (n. 5). La mancanza o l'assoluta incertezza di anche uno solo degli elementi della citazione sopra visti determina la nullità dell'atto, con le conseguenze che vedremo poc'anzi. Terminiamo la disamina della citazione precisando che nel fissare l'udienza, e nel compiere la notificazione dell'atto, l'attore deve rispettare i termini di comparizione del convenuto, ossia quelli che la legge prevede a sua difesa. Tali termini, stabiliti dall'art. 163bis c.p.c., sono di almeno 90 giorni liberi che devono 5 intercorrere tra il giorno della notificazione e quello dell'udienza fissata in citazione (150 giorni se la notificazione non va fatta in Italia, bensì all'estero). Ricordiamo che la (regolare) notificazione dell'atto di citazione determina la pendenza della lite e l'instaurazione del contraddittorio, con la nascita del rapporto giuridico processuale. L'attore, tuttavia, potrebbe avere un interesse dilatorio, ossia ad allungare i tempi del processo (classico quando si introduce una domanda di accertamento negativo, per paralizzare le attività della controparte), assegnando al convenuto termini ben più ampi dei 90 giorni minimi stabiliti dalla legge. In tal caso il convenuto, nel costituirsi prima della scadenza dei 90 giorni, può chiedere al giudice (nello specifico al presidente del tribunale) l'anticipazione dell'udienza fissata dall'attore. NULLITA' DELLA CITAZIONE Lo scopo dell'atto di citazione è quello di introdurre la domanda giudiziale, indicando quali sono i fatti costitutivi e/o lesivi del diritto fatto valere dall'attore, e di chiedere al giudice la pronuncia di un provvedimento a tutela della propria posizione giuridica. Abbiamo visto che la citazione è atto doppiamente recettizio, in quanto rivolto da un lato al giudice e dall'altro al convenuto, a carico del quale viene chiesta la tutela giurisdizionale. Dato che lo scopo della citazione è quanto detto, appare del tutto logico che il legislatore, nel delineare il contenuto dell'atto e la sua forma, abbia voluto sottolineare la necessaria presenza nella citazione degli elementi volti a identificare i contorni della causa (vocatio in ius e editio actionis). L'art. 164 c.p.c. disciplina la nullità dell'atto di citazione. Il legislatore individua due gruppi di ipotesi a seconda che il vizio riguardi gli elementi della vocatio in ius oppure quelli dell'editio actionis. Inoltre, la norma distingue le conseguenze del vizio a seconda che il convenuto si sia costituito o meno in giudizio. Iniziando con l'esaminare i vizi della vocatio in ius, il comma 1 dell'art. 164 c.p.c. dispone che la citazione è nulla: a) se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'art. 163 c.p.c. (vale a dire l'indicazione dell'ufficio giudiziario, delle parti e del procuratore dell'attore); b) se manca l'indicazione della data dell'udienza di comparizione (ossia la prima udienza); 6 c) se è stato assegnato (al convenuto) un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge (90 giorni avanti al Tribunale, oppure 150 giorni se la notificazione della citazione va fatta all'estero); oppure d) se manca l'avvertimento previsto dal numero 7) dell'art. 163 (vale a dire di l'invito al convenuto a costituirsi nei termini di legge, pena le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., ossia di far valere eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, di proporre domanda riconvenzionale, di chiamare i terzi in causa). Come l'art. 156, 3° comma, c.p.c. sancisce, a livello generale. che la nullità non può essere pronunciata se l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, così il 3° comma dell'art. 164 c.p.c. dispone che in caso di avvenuta costituzione da parte del convenuto (è questo il raggiungimento dello scopo), la stessa sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali (ad es. la prescrizione si interrompe e resta sospesa sino all'esito del giudizio) e processuali (ad esempio resta ferma la perpetuatio iurisdictionis) sin dal momento della notificazione. Tuttavia, se il convenuto deduce l'inosservanza dei termini a comparire, o la mancanza dell'avvertimento di cui al numero 7) dell'art. 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini. Trattasi di una disposizione che tutela il diritto di difesa del convenuto, il quale può essere pregiudicato nell'avere avuto a disposizione meno giorni per predisporre le proprie difese. Il 2° comma dell'art. 164 dispone, invece, che in caso di mancata costituzione del convenuto, il giudice, rilevata anche d'ufficio la nullità della citazione, ne dispone la rinnovazione entro un termine perentorio. L'avvenuta rinnovazione (cioè ripetizione della citazione senza i vizi) sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se, invece, la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo, e il processo si estingue. I commi 4, 5 e 6 dell'art. 164 riguardano i vizi relativi all'editio actionis, anche in tal caso differenziando le conseguenze a seconda che il convenuto siasi o meno costituito. 7 La costituzione/iscrizione a ruolo deve essere fatta dall'attore entro un termine che l'art. 165 c.p.c. fissa in 10 giorni (5 giorni in caso di abbreviazione dei termini ex art. 163bis c.p.c.) dall'avvenuta notifica della citazione . I 10 giorni decorrono dalla giuridica ricezione dell'atto da parte del destinatario convenuto (se più sono i convenuti, il termine decorre dalla prima notifica effettuata). La costituzione entro un così breve termine ha lo scopo di consentire al convenuto, che ha ricevuto la notifica della citazione, di conoscere in tempo utile il contenuto del fascicolo attoreo (in particolare i documenti depositati), e di preparare le proprie difese. Ricordiamo, infatti, che il convenuto deve avere almeno 90 giorni liberi di comparizione tra la notifica della citazione e la data della prima udienza. Dal momento che la costituzione dell'attore deve avvenire entro 10 giorni dalla notifica, il convenuto ha in pratica non meno di 80 giorni per preparare le proprie difese (conferendo nel frattempo procura a un avvocato, salvo possa stare in giudizio personalmente). Ai sensi dell'art. 168bis, 1° comma, c.p.c., il cancelliere, dopo aver iscritto la causa sul ruolo generale e aver formato il fascicolo d'ufficio, presenta lo stesso senza indugio al presidente del tribunale, il quale nomina il giudice istruttore (se l'ufficio giudiziario ha più sezioni, il presidente del tribunale lo manda al presidente di sezione, il quale nomina il giudice istruttore. Il cancelliere iscrive infine la causa sul ruolo della sezione e su quello del giudice). Notare che il presidente potrebbe anche assegnare a sé stesso la causa quale giudice istruttore. Quando diciamo giudice istruttore, intendiamo il giudice avanti al quale si svolgerà tutta la fase istruttoria che analizzeremo ai capp. III, IV e V. Nei giudizi avanti al tribunale collegiale, il giudice istruttore è membro del collegio, collegio che interviene solo in fase decisoria, mentre nei giudizi avanti al tribunale moncratico il giudice istruttore è il giudice unico di tutta la causa. Il giudice (istruttore) designato potrebbe non tenere udienza nel giorno indicato dall'attore nell'atto di citazione (ogni giudice ha un proprio calendario con le udienze prestabilite e fissate all'inizio dell'anno giudiziario dal presidente dell'ufficio giudiziario). In questo caso, ai sensi del 4° comma dell'art. 168bis c.p.c., l'udienza è rinviata d'ufficio al primo giorno successivo nel quale il giudice tiene udienza. Tale rinvio non comporta alcuna conseguenza 10 sui termini di comparizione e su quelli di costituzione del convenuto, che vanno comunque rispettati. Il giudice nominato può anche autonomamente decide di differire la prima udienza di non oltre 45 giorni (5° comma dell'art. 168bis c.p.c.), solitamente allo scopo di studiarsi bene gli atti di causa: in tal caso è con riferimento alla nuova udienza che andranno calcolati i termini di comparizione e di costituzione del convenuto. Dal momento della nomina, il giudice istruttore ha il compito di dirigere il processo mediante i suoi tipici provvedimenti ordinatori che sono l'ordinanza e (più raramente) il decreto. Il giudice nominato è inamovibile, salve gravi necessità di servizio. L'importante è che il giudice che decide la causa sia il medesimo davanti al quale sono state precisate le conclusioni. COSTITUZIONE DEL CONVENUTO E COMPARSA DI RISPOSTA Il convenuto ha l'onere di costituirsi in cancelleria almeno 20 giorni (10 giorni in caso di abbreviazione dei termini ex art. 163bis c.p.c.) prima dell'udienza fissata in citazione (o differita dal giudice ex art. 168bis, 5° comma, c.p.c.). Anch'egli si costituisce depositando in cancelleria il proprio fascicolo nel quale inserire la citazione notificata, la propria comparsa di risposta, la procura al difensore (a meno che possa stare in giudizio personalmente) e i documenti eventualmente offerti in comunicazione (art. 166 c.p.c.). Se ha già provveduto l'attore a iscrivere la causa a ruolo, null'altro dovrà fare il convenuto in tal senso. L'atto difensivo del convenuto si chiama dunque comparsa di risposta (da alcuni esteso in comparsa di costituzione e risposta) con cui egli, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., deve proporre tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi (compresi i documenti offerti in comunicazione), formulare le conclusioni. Abbiano detto a suo tempo, discorrendo sulle diverse strategie difensive che il convenuto può adottare, come questi possa anche decidere di non costituirsi in giudizio, rimanendo 11 contumace (non parte “attiva”, ma pur sempre parte del giudizio). Abbiamo altresì detto che, qualora decida di partecipare attivamente costituendosi, egli dovrà per lo meno attuare delle mere difese (ossia prendere posizione) in reazione a quanto dedotto dall'attore. Il prendere posizione sui fatti dedotti dall'attore deve poi essere “specifico”, al fine di evitare che i fatti stessi, se non specificamente contestati, vengano dati per pacifici e ammessi (art. 115, 1° comma, c.p.c.). Il convenuto potrà difendersi in maniera via via pià accentuata, proponendo eccezioni (di rito o di merito), domande riconvenzionali o chiedendo di poter chiamare in causa i terzi al quale ritiene la stessa comune. Per presentare unicamente mere difese (ancorchè specifiche sui fatti attorei) il convenuto potrebbe anche decidere di costituirsi direttamente in udienza. Il termine di 20 giorni, infatti, è prescritto dal 2° e 3° comma dell'art. 167 c.p.c. a pena di decadenza per proporre eccezioni non rilevabili d'ufficio (e dunque rilevabili solo dalla parte), per presentare domande riconvenzionali (chiedendo contestualmente al giudice il differimento della prima udienza) e per chiamare in causa i terzi (anche in tal caso chiedendo il differimento della prima udienza). MANCATA O TARDIVA COSTITUZIONE DELLE PARTI Secondo un normale sviluppo processuale l'attore notifica la citazione al convenuto; entro 10 giorni dalla notifica l'attore si costituisce in cancelleria chiedendo altresì l'iscrizione a ruolo della causa; il cancelliere iscrive a ruolo la causa e viene quindi nominato il giudice istruttore; il convenuto si costituisce in cancelleria entro 20 giorni prima dell'udienza. Ma la predetta scansione cronologica degli atti non sempre viene rispettata, e ciò può portare a particolari conseguenze giuridiche. 1° CASO: mancata costituzione di entrambe le parti. Anzitutto l'attore potrebbe non costituirsi (perchè ha cambiato idea, perchè si è dimenticato, etc.). Che accade? Nessuna causa è stata iscritta a ruolo e nessun giudice è stato conseguentemente nominato, per cui occorre vedere cosa fa il convenuto. Se nemmeno questi si costituisce la 12 costituito. In tal caso si procederà senz'altro in assenza di lui. Precisiamo che l'assenza delle parti potrebbe verificarsi anche in udienze successive alla prima, e allora si applicherà il disposto dell'art. 309 c.p.c., che esamineremo nel capitolo relativo alle vicende anomale del processo (parte quinta, cap. X). VERIFICA DEL CONTRADDITTORIO E PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE IN PRIMA UDIENZA Alla prima udienza il giudice e le parti pongono in essere attività molto importanti ai fini della regolare formazione del contraddittorio e della delimitazione/cristallizzazione dell'oggetto del processo. Con riferimento alla prima situazione, ossia alla formazione del contraddittorio, spetta al giudice istruttore la verifica della sua regolarità. E così, ai sensi dell'art. 182, 1° comma, c.p.c., il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. Ai sensi del 2° comma dello stesso articolo, quando rileva un difetto di rappresentanza (legale oppure da immedesimazione organica), di assistenza o di autorizzazione, oppure un vizio che determina la nullità della procura al difensore (difetto di rappresentanza tecnica), il giudice assegna un termine perentorio alle parti per la costituzione della persona cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni e della procura al difensore, o per la rinnovazione di quest'ultima (se nulla). L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione. Ai sensi del 1° comma dell'art. 183 c.p.c. il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre:  ordina l'integrazione del contraddittorio entro un termine perentorio, in caso di mancata citazione di un litisconsorte necessario;  ordina la rinnovazione o l'integrazione della citazione nulla entro un termine perentorio (art. 164 c.p.c., v. cap. II), fissando nuova udienza;  fissa una nuova udienza in caso di deduzione, da parte del convenuto costituito, del mancato rispetto da parte dell'attore della concessione dei termini a comparire, o 15 della mancanza nella citazione dell'avvertimento ex n. 7 dell'art. 163 c.p.c.;  ordina l'integrazione della comparsa di risposta del convenuto che contenga domande riconvenzionali nulle;  nel caso di richiesta da parte dell'attore di chiamata in causa del terzo (in reazione alle difese del convenuto), autorizza l'attore alla chiamata fissando contestualmente l'udienza per consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini a comparire;  assegna alle parti termine perentorio per sanare i difetti di rappresentanza, assistenza e autorizzazione (art. 182 c.p.c. sopra visto);  dichiara la contumacia della parte non costituita, verificata la regolarità delle notificazioni (se trattasi del convenuto);  fissa nuova udienza per il tentativo di conciliazione nei casi previsti all'art. 185 c.p.c.;  ordina, ai sensi dell'art. 183bis c.p.c., il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione ex art. 702bis c.p.c. (v. parte ottava, cap. V), nelle cause di competenza del tribunale in composizione monocratica, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria necessaria, previo contraddittorio con le parti anche mediante trattazione scritta (memorie);  richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio della quali ritiene opportuna la trattazione (ricordiamo che ai sensi del 2° comma dell'art. 101 c.p.c., aggiunto con la riforma del 2009, è obbligatorio il contraddittorio in caso di questioni sollevate d'ufficio dal giudice, onde evitare pronunce “a sorpresa”). TENTATIVO DI CONCILIAZIONE E PROPOSTA CONCILIATIVA DEL GIUDICE In prima udienza non è necessaria la presenza personale delle parti, quanto meno nel giudizio ordinario (è invece necessaria nel processo del lavoro): basta quella dei rispettivi difensori. -) Tentativo di conciliazione. La presenza delle parti personalmente, volta al tentativo di conciliazione, non è dunque più obbligatoria in prima udienza. Il giudice istruttore fissa un'apposita udienza per la loro personale comparizione, e l'esperimento del tentativo di conciliazione a mezzo di interrogatorio libero, solo allorchè vi sia una richiesta congiunta 16 delle parti in tal senso, oppure quando il giudice stesso lo ritenga opportuno (art. 185 c.p.c.). Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione. Quando è disposta la comparizione personale delle parti, queste hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore (generale o speciale) che sia a conoscenza dei fatti di causa e che abbia il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza giustitifcato motivo, dei fatti di causa da parte del procuratore è valutata ai sensi dell'art. 116, 2° comma, c.p.c. (costituisce argomento di prova). Quando le parti si sono conciliate si forma processo verbale della conciliazione che costituisce titolo esecutivo. -) Proposta transattiva o conciliativa. Sempre con riferimento alla possibile conciliazione, il giudice, in prima udienza, o anche dopo, sino a quando è esaurita l'istruzione, può formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa, tenuto conto della natura del giudizio, del valore della controversia, dell'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto (art. 185bis c.p.c.). Tale proposta non può essere motivo di ricusazione o di astensione del giudice. TRATTAZIONE ORALE E APPENDICE SCRITTA Dopo aver visto sopra quante cose il giudice istruttore può o deve compiere in prima udienza, vediamo ora quale attività possono alla stessa udienza porre in essere le parti (oltre a poter richiedere congiuntamente la fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione ex art. 185 c.p.c.). Abbiano già detto che il giudice istruttore, verificata la regolarità del contraddittorio, richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necesari su domande ed eccezioni. Le parti possono così effettuare la cd emendatio libelli, ossia precisare (rettificare) e modificare (introdurre fatti secondari nuovi rispetto a quelli già allegati, ma connessi con quelli già allegati) le domande e le eccezioni già proposte. Possono anche proporre domande ed eccezioni nuove (compresi fatti principali nuovi) che siano però sempre correlate a ciò che già è oggetto del processo (come petitum e come 17 mentre nel secondo caso fissa udienza per la precisazione della conclusioni davanti a sé e rimette la causa al collegio per la decisione (se la causa appartiene al tribunale collegiale), oppure, fatte precisare le conclusioni, trattiene la causa in decisione (se la causa appartiene al tribunale monocratico). L'ordinanza di ammissione delle prove postula un giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove proposte dalle parti: per ammissibilità significa che i mezzi di prova richiesti sono ammessi dalla legge, anche con riferimento all'oggetto della controversia; per rilevanza significa che il mezzo di prova richiesto deve essere utile ai fini della decisione finale. Riprenderemo tali concetti nel prossimo capitolo. Cap. IV – FASE ISTRUTTORIA: 2) L'ISTRUZIONE PROBATORIA Sulla base delle richieste istruttorie avanzate dalle parti, il cui limite massimo abbiamo visto essere il termine per il deposito della 2^ memoria ex art. 183, 6° comma, c.p.c. (con la 3^ memoria può essere avanzata unicamente la richiesta di prova contraria su quanto già dedotto negli atti precedenti), il giudice istruttore ammette con ordinanza (emessa in udienza o fuori udienza) le prove orali richieste, fissando l'udienza per la loro assunzione (art. 183, 7° comma, c.p.c.). Il giudice può altresì ritenere la causa già matura per la decisione, senza bisogno di istruttoria, o di ulteriore istruttoria, rimettendo con ordinanza la causa davanti al collegio per la decisione (art. 187 c.p.c.), oppure trattenendo la causa in decisione se giudice monocratico, in entrambe le ipotesi previa precisazione delle conclusioni davanti a lui. L'ammissione delle prove postula un giudizio di ammissibilità e rilevanza. Mentre la rilevanza attiene all'utilità del mezzo istruttorio richiesto ai fini del decidere (correlata all'efficacia probatoria del singolo mezzo istruttorio, come prevista in parte nel codice civile e in parte nel codice di rito), l'ammissibilità si fonda su alcune disposizioni, in gran parte previste nel codice civile, relative ai singoli mezzi istruttori e al fatto che possano essere utilizzati o meno nel caso di specie. Qualora il giudice istruttore disponga d'ufficio mezzi di prova (ad es. l'ispezione giudiziale), la disposizione d'ufficio postula una valutazione di rilevanza già compiuta dal giudice in tal senso (e su cui comunque, come già anticipato, si forma il contraddittorio con le parti). 20 Veniamo ora alla disamina dei singoli mezzi istruttori che le parti (o il giudice d'ufficio, quando previsto) possono utilizzare nel processo, suddividendo gli stessi in mezzi di prova precostituiti e mezzi di prova costituendi. MEZZI DI PROVA PRECOSTITUITI: I DOCUMENTI I mezzi di prova precostituiti sono i documenti, i quali contengono una narrazione di fatti o la rappresentazione degli stessi. I documenti possono contenere scritture, ma anche fotografie, registrazioni audio/video, insomma tutto ciò che “documenta” la realtà. I documenti entrano nel processo tramite la produzione, che può avvenire unitamente al deposito di atti processuali (es. gli atti introduttivi e le memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c.), oppure direttamente in prima udienza, facendone menzione nel processo verbale di causa. I documenti vengono numerati e inseriti nel fascicolo di parte. Le tipologie di scritture vengono suddivise nel codice civile (artt. da 2699 a 2711 c.c.) in: atto pubblico, scrittura privata con sottoscrizione autenticata e scrittura privata semplice. Vedremo poc'anzi che la scrittura privata con sottoscrizione autenticata ha lo stesso valore legale della scrittura privata riconosciuta (anzi, si definisce l'autenticazione della sottoscrizione un modo per considerare la scrittura legalmente riconosciuta) e della scrittura privata giudizialmente accertata (o verificata). L'ATTO PUBBLICO è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato (art. 2699 c.c.). Ai sensi dell'art. 2700 c.c. l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compilati (e della data dell'atto). Trattasi di prova cosiddetta legale, nel senso che il giudice non può che dare per provato quanto documentato nell'atto pubblico dal punto di vista estrinseco (provenienza delle dichiarazioni, cosa è stato fatto o detto davanti al pubblico ufficiale). Si badi bene che ciò che risulta legalmente provato nell'atto pubblico è solo il contenuto 21 estrinseco dell'atto, e non quello intrinseco (ossia la verità di quanto raccontato nell'atto) che, invece, resta liberamente valutabile dal giudice. Per poter far cadere l'efficacia di prova legale dell'atto pubblico esiste un procedimento giudiziale ad hoc, che può essere esperito nel corso dello stesso processo principale (ed allora si dice che avviene in via incidentale), oppure per mezzo di un autonomo giudizio (ed allora si dice che avviene in via principale): la querela di falso. La querela di falso può proporsi in qualunque stato e grado del giudizio, fino a che la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato (art. 221, 1°comma, c.p.c.). La querela deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove della falsità, e deve essere proposta personalmente dalla parte o per mezzo di procuratore speciale (art. 221, 2° comma, c.p.c.). La decisione sulla querela di falso spetta unicamente al tribunale in composizione collegiale, ed è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero. Se presentata in via principale occorre l'atto di citazione; se presentata in via incidentale in corso di causa, il giudice istruttore chiede dapprima alla parte che ha prodotto il documento se intenda valersene in giudizio e, in caso affermativo, autorizza l'altra parte alla presentazione della querela nella stessa o in altra udienza. La presentazione della querela va inserita nel verbale di causa, in cui si dà altresì atto della consegna del documento al cancelliere. Il tribunale, con la sentenza che rigetta la querela di falso, ordina la restituzione del documento e dispone che sia fatta menzione della sentenza sul documento (la parte querelante può essere condannata a una pena pecuniaria tra 2 e 20€). Se viene accertata la falsità del documento, il tribunale dà le disposizioni perchè la notizia di reato venga comunicata all'autorità competente. La SCRITTURA PRIVATA è il documento redatto in qualsiasi modo (di pugno o con mezzi meccanici/elettronici) dalla parte contro cui è prodotta. L'importante è che la scrittura, per valere quale mezzo di prova, sia sottoscritta dalla parte medesima. Solo documenti che provengono dalla parte contro cui la scrittura viene prodotta hanno 22 dei fatti o delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime (art. 2712 c.c.). ESIBIZIONE DI DOCUMENTI E RICHIESTA DI INFORMAZIONI ALLA P.A. Come abbiamo già detto, i documenti entrano nel processo normalmente attraverso la produzione. In certi casi, però, è possibile che documenti rilevanti per il giudizio non possano essere prodotti dalla parte, in quanto in possesso dell'altra parte o di terzi, o ancora che alcuni documenti siano in possesso solo della pubblica amministrazione. Nel primo caso, i documenti possono entrare nel processo, ed essere valutati dal giudice, mediante l'esibizione in giudizio (art. 210 c.p.c.). La norma in questione attribuisce al giudice il potere di ordinare, su istanza di parte, l'esibizione di un documento che si trovi in possesso dell'altra parte o di un terzo, e di cui ritenga necessaria l'acquisizione. La spesa è a carico della parte che richiede l'esibizione. Qualora l'ordine di esibizione venga rivolto a un terzo, il giudice istruttore può disporre che, prima di ordinare la predetta esibizione, il terzo sia citato in giudizio, assegnando alla parte richiedente termine per provvedervi (art. 211 c.p.c.). Nel secondo caso, il giudice può d'ufficio richiedere alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa che è necessario acquisire al processo (art. 213 c.p.c.). MEZZI DI PROVA COSTITUENDI: LA CONFESSIONE I mezzi di prova costituendi fanno parte dell'istruzione probatoria in senso stretto e la loro assunzione avviene nel corso del processo. Abbiamo già anticipato che tali mezzi di prova sono la confessione, il giuramento e la testimonianza, ossia dichiarazioni orali rese nel corso del processo (vengono anche definite, infatti, prove orali). Il primo di questi mezzi di prova costituendi è la confessione, ossia la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte (art. 2730, 1° comma, c.c.). 25 La confessione può essere giudiziale o stragiudiziale. A) La confessione giudiziale è resa in giudizio e fa piena prova contro colui che l'ha fatta, purchè non verta su diritti non disponibili (art. 2733 c.c.). Dunque, se giudiziale, la confessione ha valore di prova legale, e il giudice non può discostarsi dalle risultanze. La confessione giudiziale può avvenire:  in modo spontaneo, se contenuta in qualsiasi atto processuale sottoscritto dalla parte personalmente, oppure  provocata mediante interrogatorio formale (artt. 228 e 229 c.p.c.). L'interrogatorio formale (detto anche interpello) deve vertere su articoli separati e specifici (capitoli di prova) (art. 230, 1° comma, c.p.c.). L'assunzione dell'interrogatorio avviene a opera del giudice. La parte interrogata deve rispondere personalmente. Qualora la parte non si presenti o rifiuti, senza giustificato motivo, di rispondere, il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (art. 232 c.p.c.). In tal caso la prova non ha valore di prova legale, ma sta alla discrezione del giudice ritenere o meno ammessi i fatti oggetto di prova. In caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2733, 3° comma, c.p.c.).  Attenzione! l'interrogatorio formale non va confuso con l'interrogatorio libero di cui all'art. 117 c.p.c.. Il primo, che avviene solo a istanza di parte, è finalizzato a provocare la confessione e, dunque, alla formazione di una prova legale. L'interrogatorio libero può essere disposto anche d'ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo; il giudice interroga liberamente le parti sui fatti di causa in contraddittorio tra loro. L'interrogatorio libero può essere anche chiesto dalle parti, oltre che dal giudice, in ogni momento dell'istruzione, al fine di provocare la conciliazione in un'udienza apposita per la comparizione personale delle parti (art. 185 c.p.c.). B) La confessione stragiudiziale può essere fatta:  alla parte o a chi la rappresenta (ad esempio al suo avvocato), oppure  a un terzo. Gli effetti della confessione sono diversi nei due casi. 1. Qualora sia resa alla parte o al suo rappresentante, ha la stessa efficacia di quella giudiziale ( prova legale ) , ma va a sua volta provata in giudizio (con scritture o testimonianze; in tale ultimo caso solo se, dato l'oggetto della testimonianza, la stessa è 26 ammessa dalla legge) per poter acquisire detta efficacia. 2. Qualora sia resa a un terzo, la confessione è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2735 , 1° comma, c.c.). In tutti i casi, la confessione può essere revocata per errore di fatto o per violenza (art. 2732 c.c.). MEZZI DI PROVA COSTITUENDI: IL GIURAMENTO Il giuramento consiste nella dichiarazione che una parte fa di fatti a sè favorevoli e sfavorevoli all'altra, nella consapevolezza delle conseguenze giuridiche e morali della propria dichiarazione. Il giuramento può essere (art. 2736 c.c.):  decisorio se viene deferito da una parte all'altra per farla giurare e farne dipendere la decisione totale o parziale della causa;  suppletorio se viene deferito d'ufficio dal giudice a una delle parti al fine di decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova. Sottospecie di giuramento suppletorio è quello estimatorio, ossia quello che viene deferito, sempre d'ufficio, dal giudice al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti (art. 241 c.p.c.). Si può giurare unicamente su diritti disponibili (come per la confessione). Inoltre, non è ammesso il giuramento su di un fatto illecito, né per provare contratti la cui forma scritta è prescritta ad substantiam, né per provare la falsità di atti pubblici (art. 2739 c.c.). Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore. Esso deve essere formulato in articoli separati in modo chiaro e specifico (art. 233 c.p.c.). Finchè non abbia dichiarato di essere pronta a giurare, la parte cui il giuramento è stato deferito può riferlo al'altra parte (ossia chiedere che sia l'altra parte a giurare)(art. 234 c.p.c.). Il deferimento o riferimento del giuramento non può essere revocato se la parte ha già dichiarato di essere pronta a giurare (art. 235 c.p.c.). 27 Oltre alle questioni di ammissibilità testè menzionate, va rammentato che l'utilizzo della prova testimoniale è pur sempre, quale prova costituenda a istanza di parte, soggetta a una valutazione di rilevanza da parte del giudice istruttore, ossia di utilità ai fini della decisione totale o parziale della causa. AMMISSIONE DELLA PROVA TESTIMONIALE, INTIMAZIONE E COMPARIZIONE DEI TESTI Con l'ordinanza con cui ammette la prova testimoniale, il giudice istruttore riduce le liste dei testimoni sovrabbondanti ed elimina i testimoni che non possono essere sentiti per legge (art. 245, 1° comma, c.p.c.). La rinuncia fatta da una parte all'audizione di testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre parti non vi aderiscono, e se il giudice non vi consente (art. 245, 2° comma, c.p.c.). Affinchè venga sentito un testimone, è sufficiente che il giorno dell'udienza all'uopo fissata il testimone compaia. Tuttavia, per evitare il rischio di decadere dalla prova testimoniale, è onere della parte che ha richiesto l'audizione del testimone di citarlo per l'udienza mediante intimazione scritta fatta al testimone per il tramite di ufficiale giudiziario. Ai sensi dell'art. 103 disp.att. c.p.c., l'intimazione deve essere fatta ai testimoni almeno 7 giorni prima dell'udienza fissata per la loro audizione e deve contenere:  l'indicazione della parte richiedente e della controparte, nonché gli estremi dell'ordinanza di ammissione della prova testimoniale;  nome, cognome e domicilio della persona da citare;  il giorno, l'ora e il luogo della comparizione, nonché il giudice davanti al quale la persona deve presentarsi;  l'avvertimento che, in caso di mancata comparizione senza giustificato motivo, la persona citata potrà essere condannata al pagamento di una pena pecuniaria tra 100 e 1000 € (oltre a poter subire l'accompagnamento coattivo, art. 255 c.p.c.). Qualora il testimone, regolarmente intimato, non si presenti senza giustificato motivo, il giudice istruttore può: a) ordinare una nuova intimazione, oppure b) disporre l'accompagnamento coattivo in udienza, condannando in entrambi i casi il teste a una pena pecuniaria compresa tra 100 e 1000€. In caso di ulteriore ingiustificata mancata comparizione del teste intimato, il giudice 30 dispone senz'altro il suo accompagnamento coattivo in udienza (ovviamente se non già disposto precedentemente), e lo condanna a una pecuniaria compresa tra 200 e 1000 €. Se il teste si trova nell'impossibilità di presentarsi, o ne è esentato dalla legge o dalle convenzioni internazionali, il giudice istruttore si reca nella sua abitazione o ufficio; se questi sono situati fuori dalla circoscrizione del tribunale, il giudice istruttore delega l'assunzione della prova testimoniale al giudice istruttore del luogo (prova delegata). Una volta disposta la prova delegata, il fascicolo d'ufficio viene trasmesso a cura della cancelleria del giudice a quo a quella del giudice ad quem. Nell'ordinanza con cui viene disposta la prova delegata vengono indicati non solo i quesiti cui il testimone deve rispondere, ma anche il termine entro cui deve procedersi alla prova delegata. Terminata l'assunzione della prova, il fasciolo d'ufficio col processo verbale di assunzione della testimonianza viene ritrasmesso alla cancelleria del giudice della causa. AUDIZIONE DEI TESTIMONI I testimoni sono sentiti separatamente. Il giudice istruttore ammonisce il testimone sull'obbligo di dire la verità, sulle conseguenze penali di dichiarazioni false o reticenti, e lo invita a leggere la formula di rito. Quest'ultima (a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale nel 1995) così recita: “consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta laverità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. In caso di rifiuto ingiustificato di giurare o deporre, o se vi è il fondato sospetto che il teste non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore la denuncia al pubblico ministero (per il possibile avvio di azione penale). Il segreto d'ufficio o il segreto professionale possono essere invocati per esercitare la facoltà di astensione dal testimoniare. Il giudice istruttore interroga il teste sui capitoli di prova ammessi e può altresì rivolgergli, d'ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti (art. 253, 1° comma, c.p.c.). Se vi sono divergenze tra le deposizioni dei testimoni, il giudice istruttore, d'ufficio o su istanza di parte, può disporre che essi siano messi a confronto (art. 254 c.p.c.). Se il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone (testimonianza de relato), il giudice istruttore può disporre d'ufficio che esse (testi di riferimento) siano chiamate a deporre (art. 257, 1° comma, c.p.c.). 31 TESTIMONIANZA SCRITTA Con la riforma del processo civile del 2009 è stato introdotto l'art. 257bis c.p.c. relativo alla testimonianza scritta. Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire per iscritto, e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato. Il modello di testimonianza con i capitoli di prova ammessi deve essere predisposto dalla parte che richiede la prova, e notificato al testimone. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli in cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione. Il teste sottoscrive la deposizione apponendo la propria sottoscrizione autenticata su ciascuna facciata del foglio di testimonianza, e spedisce il tutto in busta chiusa con plico raccomandato, oppure lo consegna direttamente, alla cancelleria del giudice della causa. Suscita di certo perplessità il tema della genuinità delle risposte e della mancata presa di contatto “diretta” da parte del giudice istruttore del testimone. É anche vero, tuttavia, che il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato per confermare e chiarire quanto scritto. Il che farebbe però in pratica cadere i benefici sottesi all'istituto della testimonianza scritta, ossia l'accelerazione dei tempi processuali, l'assunzione di una deposizione anche nei confronti di chi è impossibilitato a comparire in udienza e la non necessità di fare uso della prova delegata. MEZZI DI PROVA COSTITUENDI: L'ISPEZIONE GIUDIZIALE E IL RENDIMENTO DEI CONTI Il codice di rito conclude la sezione III relativa all'istruzione probatoria con la sottosezione 9, relativa alle ispezioni, alle riproduzioni meccaniche e agli esperimenti giudiziali, e con la sottosezione 10 relativa al rendimento dei conti. L'ISPEZIONE GIUDIZIALE L'ispezione giudiziale rientra tra le prove costituende di cui presenta la caratteristica di formarsi nel corso del processo, ma, al pari delle prove precostituite, presenta altresì 32 o parziale a seconda dell'oggetto principale della causa e, dunque, con un provvedimento idoneo al giudicato, soggetto a impugnazione secondo le regole ordinarie. D) Ai sensi dell'art. 265 c.p.c., qualora il conto non sia stato depositato il giudice, nella fase decisoria, può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute (particolare caso di giuramento suppletorio-estimatorio). MEZZI DI INTEGRAZIONE PROBATORIA: LA CONSULENZA TECNICA , L'ESAME CONTABILE E L'INTERROGATORIO LIBERO LA CONSULENZA TECNICA La consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì un mezzo di ausilio per la valutazione della prova da parte del giudice. Questi, infatti, non è tenuto a possedere le specifiche cognizioni tecniche richieste dalla natura dell'oggetto della causa (pensiamo alla valutazione medica relativa all'incidenza di lesioni psico-fisiche). Il giudice può così avvalersi d'ufficio (le parti possono stimolare la disposizione di una consulenza tecnica facendone richiesta) del consulente tecnico quale esperto avente particolare competenza in certi rami di attività e appartenente a specifiche professioni (es. medico legale, perito chimico, ingegnere, etc.) che, solitamente, richiedono l'iscrizione in albi professionali. Abbiamo a suo tempo visto che il consulente tecnico rientra tra gli ausiliari del giudice (v. parte seconda, cap. IX). Va rimarcato che il giudice, pur seguendo solitamente le indicazioni fornite dal consulente tecnico, ben potrebbe discostarsene (egli viene definito infatti come “capo dei periti”, o peritus peritorum) pur dovendo, in tal caso, fornire adeguata motivazione. Il giudice istruttore nomina il consulente tecnico d'ufficio (d'ora in avanti per comodità CTU) con ordinanza ex art. 183, 7° comma, c.p.c. (ossia al termine della prima udienza di comparizione e trattazione, oppure fuori udienza nel caso della concessione dei termini ex art. 183, 6° comma, c.p.c. per l'appendice di trattazione scritta) nella quale fissa i quesiti cui il consulente dovrà rispondere e l'udienza per la sua comparizione e giuramento. All'udienza il CTU assume l'incarico giurando di bene e fedelmente adempiere alle funzioni 35 affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità (art. 193 c.p.c.). Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità, o quando la legge espressamente lo dispone (art. 191, 2° comma, c.p.c.). Il CTU nominato ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, a meno di particolari situazioni che giustificano la sua facoltà di astensione (il CTU, peraltro, può anche essere ricusato dalle parti). Nella stessa udienza dedicata al giuramento del CTU vengono fissati (con ordinanza) i termini entro i quali:  la bozza di relazione dovrà essere trasmessa dal CTU alle parti costituite;  le parti dovranno trasmettere al CTU le proprie osservazioni sulla bozza di relazione;  il CTU dovrà depositare in cancelleria la relazione definitiva, con allegate le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse. Tutto quanto sopra avviene fuori udienza, comprese le osservazioni alla CTU che, in passato, venivano formulate in un'udienza apposita al termine delle operazioni peritali. Il giudice, in realtà, potrebbe anche presenziare personalmente alle operazioni peritali, e allora basterebbe la formazione del processo verbale, senza necessità di una relazione scritta da parte del CTU. Ma, solitamente, il giudice richiede la relazione. Il CTU può assistere alle udienze quando invitato dal giudice; può compiere, anche fuori dalla circoscrizione giudiziaria, indagini, porre domande alle parti e assumere informazioni dai terzi, nonché a eseguire piante, calchi e rilievi (art. 194, 1° comma, c.p.c.). Le parti possono farsi assistere da propri consulenti tecnici di parte (CTP), i quali hanno facoltà di intervenire nelle operazioni peritali e di partecipare alle udienze alle quali interviene il CTU; possono altresì presentare al CTU, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze (art. 194, 2° comma, c.p.c.). Con l'ordinanza di nomina del CTU, il giudice istruttore assegna alle parti un termine (che solitamente scade all'inizio delle operazioni peritali) entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un proprio CTP. Il giudice ha sempre facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del CTU (art. 196 c.p.c.). Ai sensi dell'art. 197 c.p.c., il presidente del collegio (nelle cause collegiali), quando lo ritiene opportuno, invita il CTU ad assistere alla discussione davanti al collegio stesso e ad 36 esprimere il suo parere in camera di consiglio, in presenza delle parti e dei loro difensori (e dei CTP). L'ESAME CONTABILE Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al CTU, affidandogli il compito di tentare la conciliazione tra le parti (art. 198, 1° comma, c.p.c.). Trattasi del cd esame contabile. Se la conciliazione riesce, si redige processo verbale della conciliazione, che viene sottoscritto dalle parti e dal CTU, e inserito nel fascicolo d'ufficio (art. 199, 1° comma, c.p.c.). Il giudice istruttore attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale (art. 199, 2° comma, c.p.c.). Se la conciliazione non riesce, il CTU redige relazione che deposita in cancelleria. Le dichiarazioini delle parti, riportate dal CTU nella relazione, possono essere valutate dal giudice come argomenti di prova (art. 200 c.p.c.). L'INTERROGATORIO LIBERO L'interrogatorio libero delle parti è quello che il giudice istruttore può disporre, ai sensi del primo comma dell'art. 116 c.p.c., in qualsiasi stato e grado del processo e che, contrariamente all'interrogatorio formale, non comporta la formazione di una prova legale. Il giudice interroga liberamente le parti, sui fatti di causa, in contraddittorio tra loro. L'interrogatorio libero può essere chiesto anche dalle parti, oltre che dal giudice, in ogni momento dell'istruzione, allo specifico fine di provocare la conciliazione. L'interrogatorio avviene in un'udienza apposita fissata per la comparizione personale delle parti (art. 185 c.p.c.). Le risposte date dalle parti al giudice durante l'interrogatorio libero possono costituire argomenti di prova (art. 116, 2° comma, c.p.c.). Vedremo poc'anzi che gli argomenti di prova rientrano fra i cd mezzi di prova atipici, insieme alle presunzioni semplici (o indizi). LE PRESUNZIONI Non è possibile terminare il capitolo sulle prove senza trattare di un tema che incide in varia misura sulle prove: quello delle presunzioni. 37 questioni avanzate nel processo in via incidentale (perchè se fossero avanzate in via principale, la rimessione al collegio sarebbe totale). La rimessione totale della causa al collegio, anche se normalmente avviene nel modo sopra menzionato e di cui all'art. 188 c.p.c. (ossia una volta chiusa l'istruzione probatoria), può avvenire anche in ipotesi differenti. Il giudice istruttore potrebbe infatti ritenere la causa già matura per la decisione senza bisogno di istruzione probatoria, o senza bisogno di ulteriore istruzione probatoria. Si verifica allora l'ipotesi di cui all'art. 187, 1° comma, c.p.c.: il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette subito le parti davanti al collegio. Tale situazione può verificarsi al termine della trattazione con eventuale appendice scritta (memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c.), perchè non è richiesta l'assunzione di prove costituende, o perchè le richieste vengono dichiarate dal giudice inammissibili, non rilevanti, o inutili, e il giudice, dal canto suo, non ritiene di dover disporre d'ufficio l'assunzione di mezzi di prova. Nel caso in cui la situazione sia chiara e pacifica, il giudice istruttore potrebbe ritenere la causa matura per la decisione già in prima udienza, senza nemmeno concedere il termini ex art. 183, 6° comma, c.p.c. Ai sensi del 2° comma dell'art. 187 c.p.c., il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio (rimessione totale) affinchè sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio (es. prescrizione del diritto, accertamento dello status del familiare che chiede in causa gli alimenti). Stessa cosa, ai sensi del successivo 3° comma, nel caso di questioni pregiudiziali di rito (giurisdizione, competenza, legittimazione processuale), ma in tal caso il giudice istruttore, in alternativa, potrebbe disporre che tali questioni siano decise dopo, insieme al merito. LA PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI In tutti i casi in cui il giudice istruttore dispone la rimessione della causa al collegio, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni da sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183 c.p.c. (compresa l'eventuale 40 appendice scritta)(art. 189, 1° comma, c.p.c.). Abbiamo visto che al più tardi con il deposito delle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c. scattano le preclusioni con riguardo a domande ed eccezioni nuove, nonché a modifica di domande ed eccezioni già formulate. Nella precisazione delle conclusioni (che dovrebbe essere una dichiarazione orale presa a verbale, ma che si traduce, nella pratica, in un foglio nel quale le parti scrivono le conclusioni, foglio che viene allegato al verbale di udienza) domande ed eccezioni possono solo essere precisate/rettificate in relazione a quanto è emerso dall'istruzione probatoria eventualmente espletata (siamo all'interno dell'emendatio libelli). Tuttalpiù può essere ristretto il petitum (abbassando le richieste, o addirittura rinunciando ad alcune richieste). Il petitum può essere anche allargato (mai la causa petendi), ma solo in caso di particolari risultanze istruttorie o di ius superveniens, oppure con riferimento agli interessi pecuniari maturati nel frattempo. Eventuali istanze istruttorie non accolte dal giudice istruttore, domande ed eccezioni già formulate, vanno riproposte nelle conclusioni da precisare, altrimenti si danno per rinunciate. Solo allorchè la rimessione della causa al collegio sia solo parziale, le conclusioni da precisare saranno unicamente quelle afferenti al particolare oggetto della rimessione, e non tutta la causa. Al contrario, qualora la rimessione sia totale, anche se per decidere una questione preliminare di merito o una questione pregiudiziale di rito tali da definire il giudizio, le parti dovranno precisare tutte le loro conclusioni. Abbiamo detto che il collegio, in caso di rimessione totale, ha pieno potere decisorio. Pieno potere decisorio significa che il collegio potrebbe anche non accogliere le richieste come avanzate dal giudice istruttore, ad esempio ritenendo la causa non matura per la decisione, rimettendola pertanto sul ruolo per il prosieguo dell'istruttoria. Oppure potrebbe decidere la questione preliminare di merito o la pregiudiziale di rito non nel senso di definire il giudizio (sentenza non definitiva). In tutti questi casi emette ordinanza (anche in accompagnamento a una sentenza non definitiva) con cui dispone i provvedimenti necessari per l'ulteriore istruzione della causa (art. 279, 1° comma, c.p.c.). La precisazione delle conclusioni (che può avvenire già alla prima udienza, oppure in 41 apposita udienza successiva) costituisce il “muro preclusivo” oltre il quale decadono svariati poteri processuali. Pensiamo, ad esempio, alla precisazione delle conclusioni quale termine ultimo per l'intervento in causa dei terzi o per la costituzione in giudizio del contumace (v. capp. VIII e X), oppure per la richiesta di emissione di ordinanze anticipatrici di condanna (v. cap. IX). COMPARSE CONCLUSIONALI E MEMORIE DI REPLICA Fatte precisare le conclusioni, il giudice istruttore rimette la causa al collegio assegnando alle parti termine di 60 giorni dall'udienza per il deposito in cancelleria di comparse conclusionali, e un ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica (art. 190, 1° comma, c.p.c.). Il giudice istruttore può abbreviare i termini per il deposito delle comparse conclusionali, fissandoli in misura comunque non inferiore a 20 giorni (termini abbreviati ex art. 190, 2°comma, c.p.c.). Quella delineata al 1° comma dell'art. 190 c.p.c. viene anche definita fase decisoria previa trattazione scritta. Le comparse conclusionali sono elaborati propri e tipici dell'avvocato che svolge la sua funzione di assistenza alla parte, con i quali viene ripercorso l'intero processo e, ribadite le domande ed eccezioni già proposte (come risultano nella precisazione delle conclusioni), vengono svolti argomenti giuridici per il convincimento del giudice. Viene analizzata in special modo, qualora effettuata, l'istruzione probatoria e i suoi esiti (ovviamente nel senso favorevole alla parte assistita). Le memorie di replica sono brevi elaborati nel quale viene fatta una replica alle asserzioni e alle ricostruzioni operate dalla controparte, al fine di smontarle. Unitamente alle repliche viene solitamente depositata anche la nota spese, la quale verrà liquidata (con modifiche, di solito, al ribasso...) dall'organo giudicante. Entro 60 giorni dal termine per il deposito delle memorie di replica la sentenza viene depositata in cancelleria e, pertanto, pubblicata (art. 275, 1° comma, c.p.c.). La trattazione scritta costituisce oggi l'iter normale nel procedimento avanti al collegio, tanto che la fase della decisione vera e propria (v. cap. VI) si riduce sostanzialmente alla procedura di emissione dei provvedimenti da parte dell'organo giudicante (stessa cosa nel 42 (es. viene pronunciato il difetto di giurisdizione o il difetto di legittimazione di una parte, oppure viene rilevata la prescrizione del diritto fatto valere); b) su questioni pregiudiziali di rito o di merito in senso non ostativo a poter pervenire alla decisione del merito, pronunciandosi quindi nel merito; c) direttamente il merito. Ricordiamo che sulle questioni di competenza, che pure rientrano tra i presupposti processuali e, quindi, tra le questioni pregiudiziali di rito, dal 2009 l'organo giudicante pronuncia ordinanza e non più sentenza, sia che declini (chiudendo il processo), sia che affermi (disponendo quindi il prosieguo del processo) la competenza. 2. Sentenze non definitive. Ciò avviene allorchè l'organo giudicante (collegio o giudice unico) decide solo parzialmente la causa, in particolare pronunciandosi: a) su questioni pregiudiziali di rito o di merito nel senso non ostativo al prosieguo del giudizio, ma senza pronunciarsi nel merito, bensì rimettendo la causa in istruttoria, con separata ordinanza, per il prosieguo del processo davanti al giudice istruttore; b) solo su una parte della causa, ad esempio sull'an (condanna generica), disponendo con separata ordinanza per il prosieguo dell'istruttoria relativamente al quantum; c) solo su una delle cause connesse, disponendo con ordinanza la separazione delle altre cause connesse e il prosieguo dell'istruttoria relativamente ad esse. 3. Ordinanze. L'organo giudicante può emettere ordinanza autonoma quando declina o afferma la competenza, oppure quando, ritenendo la causa non matura per la decisione, rimette la stessa avanti al giudice istruttore per il prosieguo dell'istruttoria, oppure ancora quando dispone la rinnovazione o l'espletamento avanti a sé dell'istruzione probatoria. Può invece emettere ordinanza dipendente, ossia affiancata a sentenza non definitiva, quando dispone gli ulteriori provvedimenti necessari per il prosieguo della causa. Anche le ordinanze del collegio (tranne quella con cui dichiara l'estinzione del processo) sono revocabili e modificabili dallo stesso, e non possono comunque pregiudicare l'esito della controversia. 45 Quando dispone per il prosieguo dell'istruzione, il collegio fissa con la stessa ordinanza l'udienza di comparizione delle parti avanti al giudice istruttore. Per effetto di tale ordinanza (che va comunicata dal cancelliere alle parti) il giudice istruttore è re-investito dei poteri istruttori e di direzione del processo. LA CORREZIONE MATERIALE DELLE SENTENZE I vizi relativi alle sentenze (definitive e non definitive che siano) si convertono normalmente in motivo di gravame, da far valere coi mezzi di impugnazione previsti. Tuttavia, possono presentarsi vizi che non attengono alla sostanza del giudizio o ad elementi formali/strutturali della sentenza, bensì unicamente all'espressione del pensiero del giudice estrinsecatosi in omissioni o errori materiali (compresi quelli di calcolo), vuoi per disattenzione, vuoi per dimenticanza. Per tali tipi di errore l'impugnazione sarebbe un rimedio eccessivamente “gravoso” dal punto di vista processuale, e allora l'ordinamento ha previsto un istituto più “blando” e veloce che è la correzione materiale. Va precisato che qualora, per altri motivi, sia stata già impugnata la sentenza, anche gli errori materiali andranno fatti valere con tale impugnazione (è già stata presentata e allora tanto vale). Altrimenti, la correzione materiale della sentenza può essere chiesta allo stesso giudice (inteso come ufficio giudiziario) che ha emesso la sentenza in due modi alternativi, a seconda che le parti siano o meno d'accordo sulla correzione:  qualora vi sia accordo (da formalizzare in una domanda congiunta), non sarà necessario integrare il contraddittorio e, pertanto, il giudice potrà provvedere direttamente sull'istanza con decreto;  qualora non vi sia accordo, l'istanza di parte, col decreto di fissazione di un'apposita udienza da parte del giudice, andranno notificati all'altra parte. Il giudice decide poi nel contraddittorio delle parti con ordinanza. Lo stesso iter è previsto, altresì, per ordinanze non revocabili e decreti. 46 Cap. VII – IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA DISTRIBUZIONE DELLE CAUSE TRA TRIBUNALE COLLEGIALE E TRIBUNALE MONOCRATICO Con la riforma operata dal d. lgs n. 51/1998, che ha istituito il giudice unico di tribunale (abolendo contestualmente la figura del pretore), il procedimento davanti al tribunale collegiale è oggi un'eccezione, mentre la regola è il procedimento davanti al tribunale monocratico. Il codice di rito, all'art. 50bis, determina le cause assegnate al tribunale collegiale, lasciando tutto quanto non previsto al tribunale monocratico (criterio per esclusione). Sottolineiamo preliminarmente che le questioni relative alla distribuzione delle cause tra tribunale collegiale e monocratico non costituiscono né questioni di competenza, né comportano un vizio di costituzione del giudice, bensì unicamente una nullità sanabile in mancanza di impugnazione (art. 50quater c.p.c.). Ai sensi dell'art. 50bis c.p.c. sono assegnate al tribunale in composizione collegiale le cause: 1) nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero (comprese le cause che egli potrebbe proporre, ad es. azioni di interdizione e inabilitazione, oppure di annullamento del matrimonio), salvo che sia altrimenti disposto; 2) “fallimentari” , ossia di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti (dal 15.8.2020 disciplinate dal codice della crisi d'impresa e, pertanto, appartenenti alle sezioni specializzate di tribunale in materia di imprese). 3) devolute alle sezioni specializzate (es. tribunale dei minorenni, sezioni agrarie, sezioni in materia di imprese; queste ultime, dal 15.8.2020, assorbiranno i casi sub 2 e sub 4 come previsto dal codice della crisi d'impresa); 4) di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo (dal 15.8.2020 disciplinate dal codice della crisi d'impresa e, pertanto, appartenenti alle sezioni specializzate di tribunale in materia di imprese). 5) “societarie” , ossia di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché di responsabilità contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali e i liquidatori di società (anche cooperative e mutue 47 medesimi già visti per il tribunale collegiale (sentenze definitive, sentenze non definitive, ordinanze autonome e ordinanze dipendenti). Tra le ordinanze autonome che possono essere emesse dal giudice monocratico (come anche dal giudice istruttore nelle cause collegiali) sino alla precisazione delle conclusioni rientrano anche le ordinanze decisorie o anticipatrici di condanna ex artt. 186bis, 186ter e 186 quater c.p.c. (v. Cap. IX). Cap. VIII – L'INTERVENTO DEI TERZI IN CAUSA Abbiamo visto al cap. IV della parte terza che oltre alle parti originarie (attore e convenuto), ossia coloro che sono entrate da subito a far parte del processo (per lo meno formalmente) per via della notificazione dell'atto di citazione, ulteriori soggetti potrebbero successivamente entrare a farne parte mediante un intervento. Le motivazioni del perchè terzi si trovano a intervenire nel processo in corso possono essere diverse: dalla necessità di integrare il contraddittorio (litisconsozrio necessario), alla connessione oggettiva che può comportare l'opportunità di un litisconsorziom ancorchè facoltativo, o addirittura alla semplice volontà di appoggiare esclusivamente una delle parti. Il terzo, dunque, può trovarsi a far parte successivamente di un processo instaurato tra altri:  in seguito a ordine di integrazione del contraddittorio da parte del giudice (nei casi di litisconsorzio necessario);  in seguito a suo intervento volontario (principale, adesivo autonomo, adesivo dipendente);  in seguito a intervento coatto (su richiesta di parte, o per ordine del giudice). 1) Nel primo caso (ORDINE DI INTEGRAZIONE DEL CONTRADDITTORIO), il giudice, in qualunque stato e grado del processo, può ordinare alle parti di chiamare in causa il litisconsorte necessario pretermesso entro un termine perentorio, pena l'estinzione del processo. Il litisconsorte chiamato in causa mantiene tutti i diritti processuali e non incorre in preclusioni, a prescindere dal momento processuale in cui viene chiamato. 2) Nel secondo caso trattasi di un INTERVENTO VOLONTARIO da parte del terzo che ha 50 come termine di preclusione la precisazione delle conclusioni. Il suo intervento può essere: principale, adesivo autonomo (o litisconsortile), adesivo dipendente (v. parte terza, cap. IV). Egli può intervenire costituendosi per il tramite di una comparsa che segue le regole previste per la comparsa di risposta del convenuto: deve contenere le domande/eccezioni, la procura e i documenti che vengono offerti in comunicazione (insomma, il suo fascicolo). Ovviamente, a seconda della fase processuale in cui si trova al momento della costituzione, egli potrà incorrere nelle preclusioni nel frattempo maturate (non può compiere attività processuali precluse alle parti), salva la rimessione in termini, oppure che il suo intervento avvenga per attuare spontaneamente il litisconsorzio necessario. 3) Nel terzo caso, ossia di INTERVENTO COATTO, il terzo può essere chiamato in causa o su richiesta di una delle parti (attore o convenuto), oppure su ordine del giudice (chiamata iussu iudicis).  Nella prima ipotesi (chiamata di terzo su richiesta di una delle parti) trattasi della chiamata in causa del terzo che il convenuto ha l'onere di chiedere nella comparsa di risposta (da depositarsi a pena di preclusione 20 giorni prima dell'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c.), facendo istanza altresì per lo spostamento della prima udienza onde permettere la citazione del terzo; anche l'attore potrebbe avere interesse a chiedere la chiamata in causa del terzo, e ciò a seguito delle difese del convenuto. Tuttavia, mentre nel caso in cui a chiederla sia il convenuto il giudice si limita a differire la prima udienza, per consentire la citazione del terzo (nel rispetto dei termini di comparizione), nel caso in cui la richiesta provenga dall'attore occorre la previa autorizzazione del giudice che verifica la sussistenza dell'interesse alla chiamata in causa del terzo. Qualora l'autorizzazione venga concessa, il giudice fissa nuova udienza apposita per consentire la citazione del terzo. Da notare che il terzo che viene chiamato in causa vede fatti salvi i suoi diritti, anche di prima udienza (ossia non incorre nelle preclusioni in cui potrebbero essere già incorse le parti presenti nel giudizio). Egli si costituisce con una comparsa che ha il contenuto di una comparsa di risposta: 51 può svolgere così le sue domande/eccezioni, comprese domande riconvenzionali e chiamate di terzi in causa, beninteso rispettando i termini di costituzione previsti per il convenuto (20 giorni prima dell'udienza stabilita per la sua citazione). I motivi della chiamata in causa di terzi a richiesta delle parti possono essere la pretesa di essere garantiti dal terzo o di ritenere il terzo il reale soggetto titolare di una situazione attiva/passiva (legittimazione).  Nell'ipotesi in cui la chiamata del terzo sia per ordine del giudice (iussu iudicis), la parte più diligente (attore o convenuto) ha l'onere di procedere alla citazione del terzo, pena la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del processo. Il giudice può ordinare la chiamata del terzo in causa in qualunque momento, con ordinanza revocabile e modificabile. Il motivo per cui il giudice decida di ordinare tale chiamata in causa può essere una ragione di opportunità in cause connesse oggettivamente. Va precisato che non si tratta di litisconsorzio necessario iniziale, perchè altrimenti si verterebbe nel caso dell'ordine di integrazione del contraddittorio vistro al punto 1): qui si tratta, invece, di un litisconsorzio inizialmente facoltativo ma che, per via dell'ordine del giudice, diviene necessario (litisconsorzio necessario successivo). Anche in tal caso il terzo chiamato conserva i diritti con riferimento agli atti introduttivi e ai termini di preclusione, come se fosse stato chiamato sin dall'inizio a partecipare come un convenuto. E nei termini previsti per la costituzione del convenuto il terzo potrà chiedere a sua volta di chiamare un terzo in causa. Come i terzi possono venire a far parte successivamente di un processo già instaurato tra altri, così può accadere che parti già presenti nel giudizio possano terminare di farne parte mediante estromissione (v. ad es. , in caso di successione nel diritto controverso, l'estromissione del cedente il diritto; oppure il caso del creditore che ha agito in surrogatoria). Per tale argomento si rimanda al capitolo appositamente dedicato (parte terza, cap. V). Cap. IX – LE ORDINANZE ANTICIPATRICI DI CONDANNA La riforma del processo civile degli anni '90 ha previsto la possibilità di anticipare gli effetti della sentenza di merito (e deflazionare la fase finale del processo) per mezzo di provvedimenti aventi la forma dell'ordinanza ma contenuto decisorio e anticipatorio. 52 tardiva nei casi e per gli effetti di cui all'art. 650 c.p.c. L'ordinanza è revocabile e modificabile dal giudice, e non può pregiudicare l'esito della decisione. Se il processo si estingue, l'ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia esecutiva. L'esecutività non può essere mai disposta se la controparte ha disconosciuto la scrittura privata prodotta contro di lui, o ha proposto querela di falso. L'ordinanza-ingiunzione dichiarata esecutiva costituisce titolo per iscrivere ipoteca giudiziale (possibilità non prevista per l'ordinanza ex art. 186bis e, in parte, per l'ordinanza ex art. 186quater c.p.c.). ORDINANZA SUCCESSIVA ALLA CHIUSURA DELL'ISTRUZIONE (art. 186 quater c.p.c.) L'ordinanza prevista all'art. 186quater c.p.c. si caratterizza per non prevedere solo un termine finale per la sua richiesta di emissione (la precisazione delle conclusioni), ma altresì un termine iniziale, posto che non può essere chiesta (istanza di parte) se non una volta esaurita (ossia chiusa) l'istruzione. L'ordinanza de quo può essere emessa nel corso di azioni di condanna al pagamento di somme di denaro, oppure alla consegna o rilascio di beni (mobili e immobili). Con l'ordinanza viene disposto dal giudice istruttore il pagamento, oppure la consegna o il rilascio dei beni, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova. Con l'ordinanza il giudice provvede anche sulle spese il che, a maggior ragione, ne denota il carattere squisitamente anticipatorio rispetto al provvedimento finale di merito. L'ordinanza è immediatamente esecutiva ed è revocabile, ma solo dalla sentenza che definisce il giudizio (e non in qualunque momento dal giudice, come accade per le altre ordinanze anticipatrici di condanna). Se, dopo la pronuncia dell'ordinanza, il processo si estingue, l'ordinanza (che, si sottolinea, è già esecutiva) acquista l'efficacia propria della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza (ossia è idonea al giudicato su quel punto). Ciò a meno che la parte intimata non manifesti entro 30 giorni dalla pronuncia dell'ordinanza in udienza (o dalla comunicazione da parte della cancelleria), con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata sentenza. 55 Dunque, riassumendo, una volta pronunciata l'ordinanza ex art. 186quater c.p.c. si possono presentare le seguenti ipotesi:  l'intimato non comunica nei termini la sua volontà: non si va a sentenza e, dunque, il processo si estingue; l'ordinanza acquisisce la forza propria della sentenza impugabile sul punto;  l'intimato comunica nei termini la volontà di andare a sentenza: la sentenza potrebbe confermare quanto previsto nell'ordinanza, oppure revocarla; in ogni caso si sostituisce all'ordinanza;  anche se l'intimato ha dichiarato di voler andare a sentenza, il processo si estingue per altri motivi (es. successiva rinuncia agli atti): l'ordinanza acquisisce la forza propria della sentenza impugabile sul punto. Qualora acquisiti caratteri propri della sentenza, l'ordinanza de quo costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, altrimenti no. Cap. X – VICENDE ANORMALI DEL PROCESSO Il processo di cognizione può presentare momenti nei quali non si realizza l'iter ordinario per come l'abbiamo studiato nel suo schema paradigmatico. Possono così verificarsi eventi che ne modificano in parte la struttura, o che richiedono particolari tipologie di attività processuali. RIUNIONE, SEPARAZIONE E TRASFERIMENTO DI PROCEDIMENTI Nella parte dedicata alla litispendenza e alla connessione (parte seconda, capp. V e VI) abbiamo visto cosa accade allorchè siano presentate, in tempi diversi, cause connesse (oggettivamente e/o soggettivamente), o, addirittura, cause identiche. Tali fenomeni possono comportare la RIUNIONE di procedimenti. Quando tali fenomeni si presentano davanti a giudici diversi (UFFICI GIUDIZIARI DIVERSI) soccorrono le disposizioni di cui agli artt. 39 e 40 c.p.c. Nel caso in cui stessi fenomeni si presentino davanti allo STESSO UFFICIO GIUDIZIARIO, le norme di riferimento sono gli artt. 273 (stessa causa) e 274 c,p.c. (cause connesse), che ora andiamo ad esaminare. 56 A) In praticolare, l'art. 273 c.p.c. dispone che se cause identiche sono presentate, in tempi diversi, davanti allo stesso giudice-persona fisica , questi ne dispone senz'altro la riunione. A') Qualora dette cause identiche siano presentate davanti a giudici-persone fisiche diversi, ma appartenenti allo stesso ufficio giudiziario, il giudice che viene a conoscenza dell'esistenza di causa identica a quella in essere davanti a lui (o il presidente di sezione, se le cause identiche si trovano davanti a giudici della medesima sezione) ne informa il presidente dell'ufficio giudiziario. Il presidente, sentite le parti, dispone con decreto la riunione e davanti a quale giudice (o sezione) il processo debba proseguire. B) Se cause connesse sono presentate, in tempi diversi, davanti allo stesso giudice- persona fisica , questi, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., può , anche d'ufficio, disporne la riunione. B') Se trattasi di giudici-persone fisiche diversi, ma appartenenti allo stesso ufficio giudiziario, il giudice che ha notizia dell'esistenza di causa connessa davanti allo stesso ufficio giudiziario (o il presidente di sezione, se le cause connesse si trovano davanti a giudici della medesima sezione) ne informa il presidente dell'ufficio giudiziario. Il presidente non dispone davanti a quale giudice operi senz'altro la riunione, ma, sentite le parti, dispone con decreto che le cause siano chiamate a una stessa udienza davanti a uno dei giudici (o alla sezione), il quale deciderà poi se disporre o meno la riunione. Fenomeno inverso a quello della riunione è la SEPARAZIONE di cause connesse. Ricordiamo che più cause connesse possono essere presentate da subito (simultaneamente) in un unico processo, oppure essere successivamente riunite. La decisione sulla separazione spetta o all'organo giudicante o al giudice istruttore, i quali verificano l'opportunità o meno di procedere con tutte le cause riunite oppure, per non aggravare troppo il procedimento (in special modo l'istruttoria), se sia opportuno che per ognuna si proceda separatamente (art. 103, 2° comma e 104, 2° comma, c.p.c.). Il TRASFERIMENTO di processi (o translatio iudicii) può verificarsi allorchè un processo, 57 A garanzia del contumace (onde consentirgli di valutare se sia o meno il caso di costituirsi, ancorchè tardivamente), è prevista la notificazione a lui di alcuni atti del procedimento, specificamente (art. 291, 1° comma, c.p.c.):  dell'ordinanza che ammette l'interrogatorio formale del contumace;  dell'ordinanza che ammette il giuramento deferito al contumace;  delle comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte;  delle sentenze;  dei verbali in cui si dà atto della produzione di scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza (tale disposizione risulta aggiunta a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 292, 1°comma, c.p.c., con sent. Corte Cost. 6 giugno 1986, n. 317). SOSPENSIONE La sospensione determina l'arresto del processo sino a che non ne sia cessata la causa e, generalmente, riguarda questioni che influiscono sulla funzione decisoria del giudice. Non si verifica automaticamente, ma occorre un provvedimento dell'organo giudicante che può essere chiesto fino a che non siano state precisate le conclusioni. Il provvedimento sulla sospensione riveste la forma dell'ordinanza impugnabile con regolamento di competenza. Come si è detto, la sospensione determina l'arresto temporaneo del processo, e durante la stessa non possono essere compiuti gli atti del processo, tranne quelli urgenti (art. 48, 2° comma, c.p.c.). I termini processuali si interrompono e riprendono a decorrere dal giorno della nuova udienza (art. 298, 2° comma, c.p.c.). Vi sono due tipi di sospensione: volontaria (o facoltativa) e necessaria per pregiudizialità. A sua volta quest'ultima può essere propria o impropria. Si ha sospensione volontaria, ai sensi dell'art. 296 c.p.c., allorchè le parti, d'accordo, chiedono al giudice la sospensione del processo, ma solo per giustificati motivi. Il giudice la concede per una sola volta e per un periodo non superiore a 3 mesi, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo. Qualora non sia stata fissata l'udienza, è onere delle parti 60 ricorrere al giudice perchè fissi l'udienza per la prosecuzione, e ciò entro 10 giorni prima della scadenza del termine di sospensione concesso dal giudice. Si ha sospensione necessaria ogni volta che il giudice della causa in corso, o altro giudice, deve risolvere una questione pregiudiziale dalla cui definizione dipende la decisione della causa (art. 295 c.p.c.). Tale questione può essere di natura civile, penale, amministrativa, europea, costituzionale. La sospensione può essere evitata se la questione può essere risolta incidenter tantum (ossia all'interno dello stesso processo e con un provvedimento non idoneo al giudicato) dallo stesso giudice della causa in corso, oppure se è possibile la riunione delle cause (la causa pregiudiziale con quella principale). Se, invece, per volontà della legge o delle parti la questione deve essere risolta con efficacia di giudicato, oppure non è possibile la riunione delle cause (perchè sono davanti a giudici diversi o perchè si trovano in stati processuali diversi), non rimane che la sospensione (ecco perchè viene detta necessaria). In alcuni casi la questione pregiudiziale è tale che il processo, seppur sospeso davanti al giudice della causa in corso, prosegue per il vero in altra sede (ad es. davanti alla Cassazione, davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, davanti alla Corte Costituzionale), per cui la sospensione è solo apparente. Trattasi di cd sospensione impropria. I casi di sospensione necessaria impropria sono: 1) il regolamento di giurisdizione, se la questione non è manifestamente infondata (artt 41 e 367 c.p.c.); 2) il regolamento di competenza (art. 48 c.p.c.); 3) la querela di falso, se la causa principale è davanti al giudice di pace o in appello (artt. 313 e 355 c.p.c.) ; 4) la ricusazione del giudice (art. 52, 3° comma, c.p.c.); 5) la questione non manifestamente infondata di legittimità costituzionale; 6) il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Nei casi di sospensione necessaria (propria e impropria), la ripresa del processo avviene all'udienza prefissata dal giudice che ha disposto la sospensione. In mancanza di previa 61 fissazione dell'udienza, la parte interessata alla prosecuzione del processo ha l'onere di ricorrere al giudice perchè fissi la nuova udienza, e tale ricorso va presentato entro 3 mesi dal momento della conoscenza che ha avuto della cessazione (art. 297 c.p.c., come interpretato dalla Corte Costituzionale). Nel caso di pregiudizialità costituzionale si fa riferimento alla comunicazione alle parti del provvedimento della Corte Costituzionale. INTERRUZIONE Anche l'interruzione del processo determina un arresto dello stesso e un'interruzione dei termini processuali, nello stesso modo in cui agisce la sospensione. Sono le ragioni che ne stanno alla base a essere diverse: mentre la sospensione concerne una questione che influisce sulla funzione decisoria del giudice, l'interruzione riguarda un evento che colpisce le parti del processo e, dunque, l'effettività del contraddittorio (che va preservato). Anche durante l'interruzione del processo non possono essere compiute attività procesuali (tranne quelle urgenti). Come la sospensione, anche l'interruzione non può verificarsi nella fase decisoria (e dunque può avvenire sino alla precisazione della conclusioni), a meno che non venga riaperta l'istruzione (artt. 300, 5° comma, c.p.c.). Le ragioni che possono portare all'interruzione sono di due gruppi: 1) vicende relative alla parte, quali la morte o la perdita della capacità processuale sua o del suo rappresentante legale; 2) vicende relative al difensore costituito (morte, radiazione, sospensione, cancellazione dall'albo). A loro volta, le vicende relative alla parte o al suo legale rappresentante si differenziano a seconda che avvengano prima della costituzione in giudizio, durante la contumacia, dopo la costituzione in giudizio. EVENTI INTERRUTTIVI 1) Eventi che riguardano la parte o il suo rappresentante legale 1A) Qualora prima della costituzione in giudizio sopraggiunga la morte o la perdita della capacità processuale della parte o del suo rappresentante legale (non del rappresentante 62 questa è accettata dalle altre parti costituite che avrebbero interesse alla prosecuzione del processo (art. 306 c.p.c.). La rinuncia può essere fatta in udienza, e allora rinuncia e accettazione vengono verbalizzati, oppure per mezzo di atti sottoscritti e notificati alle altre parti. Il giudice, verificata la regolarità di rinuncia e accettazione, dichiara l'estinzione del processo con ordinanza del giudice istruttore reclamabile al collegio, oppure con sentenza, se emessa dal collegio o dal giudice unico. Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. L'estinzione per inattività delle parti si fonda sul presupposto che il processo sta nella disponibilità delle parti medesime (principio dispositivo) e che, pertanto, il mancato compimento di determinate attività processuali fa presumere una perdita di interesse nel voler andare a sentenza. Ragioni di economia processuale suggeriscono, dunque, di non “insistere” nel portare avanti un processo sostanzialmente non più voluto dalle parti. L'inattività consiste, specificamente, nel mancato compimento di prescritte attività processuali, o nella mancata presenza al processo. Tali situazioni sono elencate in parte all'art. 307 c.p.c. che le individua nelle seguenti ipotesi: 1) mancata costituzione di entrambe le parti nel termine stabilito; 2) mancata rinnovazione della citazione nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice; 3) mancata prosecuzione, riassunzione o integrazione del giudizio entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice; 4) mancata riassunzione nel termine di 3 mesi dopo che vi è stata la cancellazione della causa dal ruolo; 5) mancata costituzione di entrambe le parti dopo la riassunzione; 6) cancellazione della causa dal ruolo, per qualsiasi ragione, dopo la riassunzione; A queste ipotesi vanno aggiunte quelle previste agli artt. 181 e 309 c.p.c.: 7) mancata comparizione di entrambe le parti (o del solo attore, e il convenuto non vuole proseguire in assenza di lui) alla prima udienza, né a quella successiva appositamente fissata dal giudice e comunicata alle parti (art. 181 c.p.c.); 65 8) mancata comparizione di entrambe le parti (o del solo attore, e il convenuto non vuole proseguire in assenza di lui) a udienza successiva alla prima, né a quella ulteriore appositamente fissata dal giudice e comunicata alle parti (art. 309 c.p.c.). A parte l'ipotesi sub 6, la cancellazione della causa dal ruolo, di per sé, non determina l'immediata estinzione del processo, ma la sua entrata in uno stato di quiescenza: il processo può essere riassunto nel termine di 3 mesi, facendo così salvi gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda, oppure non essere riassunto nel termine, e allora si estingue (ipotesi sub 4). In altri casi la cancellazione della causa dal ruolo non determina di per sé l'immediata estinzione, né l'entrata del processo in una fase di stasi temporanea, bensì si accompagna all'estinzione (la precede da un punto di vista logico), che opera per altri motivi (es. ipotesi sub 2,3,7 e 8). L'estinzione del processo non estingue l'azione (art. 310 c.p.c.), ovviamente a meno che non si prescriva il diritto di cui si chiede la tutela giurisdizionale, dato che con l'estinzione i termini di prescrizione riprendono a decorrere. É dunque possibile, entro i termini di prescrizione, riproporre l'azione in altro processo. Gli atti processuali compiuti nel processo estinto diventano inefficaci, tranne le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce della Cassazione che determinano la competenza (regolamento di competenza) e la giurisdizione (regolamento di giurisdizione) che, avendo efficacia panprocessuale, sopravvivono all'estinzione del processo. Le prove raccolte possono essere utiizzate in altro prcocesso, ma hanno unicamente valore di argomento di prova. L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore (reclamabile al collegio entro 10 giorni), o con sentenza del collegio o del giudice unico (appellabile nei modi e termini ordinari). Qualora l'ordinanza del giudice istruttore venga reclamata avanti al collegio, questo emette sentenza se conferma l'estinzione, ordinanza se respinge la dichiarazione di estinzione (art. 308, 2° comma, c.p.c.); con questa stessa ordinanza il collegio rimette quindi le parti avanti al giudice istruttore per il prosieguo del processo. 66 Cap. XI – IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE L'ufficio del giudice di pace è stato istituito con la L. n. 374/1991 per sostituire il giudice conciliatore, ed è diventato operativo a partire dal 1995. Nel corso degli anni ha poi via via assunto una competenza sempre maggiore, che spazia oggi dalla materia civile (art. 7 c.p.c., v. parte seconda, cap. III) a quella penale e persino a quella tributaria (opposizione ai verbali di infrazione del codice della strada e alle cartelle esattoriali su infrazioni comunali). Dal punto di vista della distribuzione sul territorio, il giudice di pace è istituito presso gli ex mandamenti pretorili. Le funzioni civilistiche del giudice di pace possono essere divise in due gruppi: la funzione contenziosa e la funzione non contenziosa. Con riferimento alla funzione contenziosa, va subito detto che il processo davanti al giudice di pace, al di là di riti speciali previsti in alcune materie (es. opposizione a verbali di infrazione del codice della strada), segue la falsariga di quello davanti al tribunale in composizione monocratica, pur con alcuni aggiustamenti previsti agli artt. da 311 a 321 c.p.c. che ne privilegiano l'oralità, la speditezza e la concentrazione. Come afferma l'art. 311 c.p.c. (che apre il titolo II del libro II del codice di rito, dedicato interamente al procedimento davanti al giudice di pace), il procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è regolato dal titolo II o da altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili. La domanda giudiziale si propone mediante atto di citazione a comparire a udienza fissa (art. 316, 1° comma, c.p.c.), come nel caso del procedimento avanti al tribunale. Tuttavia (e qua sta la particolarità), la domanda può essere proposta anche solo verbalmente: di essa il giudice fa redigere processo verbale che, a cura dell'attore, è notificato al convenuto (art. 316, 2° e 3° comma, c.p.c.). La citazione deve contenere, oltre l'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione dell'oggetto (petitum e causa petendi), ma non per forza le norme di diritto che fondano la causa petendi (art. 318, 1° comma, c.p.c.). 67 procedimento (art. 313 c.p.c.). Se alcune delle domande sono indipendenti dal documento impugnato, il giudice di pace, su istanza di parte, può sospendere il processo anche solo relativamente alle domande per le quali il documento è rilevante, proseguendo il giudizio con riferimento alle domande che ne sono indipendenti. Le sentenze del giudice di pace sono appellabili davanti al tribunale in composizione monocratica. Contro le pronunce sulla competenza non è ammesso il regolamento di competenza avanti la Cassazione (art. 46 c.p.c.). Dal momento che, ai sensi dell'art. 113, 2° comma, c.p.c., il giudice di pace decide secondo equità (e non secondo diritto) le cause di valore non superiore a € 1.100 (a meno che si tratti di “contratti di massa” redatti su moduli e formulari ex art. 1342 c.c.), le relative sentenze non sono appellabili, a meno che vi sia stata violazione di norme sul procedimento, di norme costituzionali e comunitarie, di principi informatori della materia. Non sono invece mai appellabili le sentenze pronunciate nei giudizi resi secondo equità, anche quando il valore supera € 1.100, per comune volontà delle parti (art. 114 c.p.c.), e questo vale sia per la cause avanti al giudice di pace che per quelle avanti al tribunale (sempre che i diritti fatti valere rientrino nella disponibilità delle parti). Passando da ultimo alla funzione non contenziosa del giudice di pace, l'art. 322 c.p.c. stabilisce che l'istanza per la conciliazione in sede non contenziosa è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio. Il processo verbale di conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo esecutivo, se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace, altrimenti ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio. 70 PARTE SESTA Le impugnazioni Cap. I – LE IMPUGNAZIONI IN GENERALE CARATTERI DELLE IMPUGNAZIONI – GIUDICATO FORMALE E GIUDICATO SOSTANZIALE Nel diritto processuale le impugnazioni consistono in rimedi volti a rimuovere delle situazioni di svantaggio derivanti da un provvedimento giurisdizionale. Le parti del processo (ed eccezionalmente anche chi non è stato parte) possono, mediante le impugnazioni, contestare un provvedimento giurisdizionale per ottenerne l'eliminazione o il riesame. Le ragioni di contestazione di un provvedimento possono riguardare errori di fatto o di diritto (a loro volta questi ultimi suddivisibili in error in procedendo ed error in iudicando) commessi dal giudice nel provvedimento (rimedi di legalità, o a critica vincolata), oppure l'ingiustizia del provvedimento (rimedi di giustizia, o a critica libera, che vengono anche definiti mezzi di gravame). Le nullità del provvedimento, o di atti del procedimento non rilevati né sanati, che si sono pertanto riverberati nel provvedimento finale (generalmente la sentenza), rientrano tra gli error in procedendo; le nullità si convertono in motivo di impugnazione, e vanno fatte valere con lo strumento di impugnazione previsto (principio dell'assorbimento dei vizi di nullità della sentenza in motivi di impugnazione, art. 161, 1° comma, c.p.c.). Vedremo che alcune forme di impugnazione, se proposte, impediscono il passaggio in giudicato del provvedimento; altre, invece, possono essere proposte ancorchè il provvedimento sia passato in giudicato. Quando un provvedimento giurisdizionale di tipo decisorio (tipico caso: la sentenza) non è più soggetto a forme di impugnazione ordinaria (e vedremo cosa significa impugnazione “ordinaria”), passa in giudicato. Trattasi del cd giudicato formale (art. 324 c.p.c.). Il giudicato formale è strettamente connesso, poi, col giudicato sostanziale definito all'art. 2909 c.c.: la sentenza passata in giudicato (formale) fa stato fra le parti, i loro eredi ed 71 aventi causa. Questo significa che ciò che è stato deciso dal giudice è come fosse legge tra coloro che sono state parti del processo (a prescindere dalla loro partecipazione attiva o meno al processo), oppure tra coloro che, successivamente al giudicato, sono divenute eredi delle parti o hanno acquistato il diritto oggetto di giudizio da una delle parti. Il giudicato non ha invece effetto diretto nei confronti dei terzi : costoro possono ricevere effetti riflessi o indiretti (pensiamo, ad esempio, all'accertamento compiuto dal giudice sulla proprietà di un appartamento: il conduttore, che non è stato parte del processo, potrebbe così trovarsi un diverso proprietario). Il giudicato, tanto che lo si veda dal punto di vista formale quanto che lo si veda dal punto di vista sostanziale, significa incontrovertibilità. L'essere incontrovertibile comporta che sullo stesso oggetto e tra le stesse parti non può più esserci un nuovo giudizio che, se vi fosse, andrebbe immediatamente bloccato e l'eventuale pronuncia sarebbe inutiliter data, in quanto il giudizio avrebbe violato il principio del ne bis in idem. Il bis in idem costituisce la medesima situazione che abbiamo visto verificarsi nel caso della litispendenza, ossia dell'esistenza di cause identiche davanti allo stesso o a diverso giudice (e che, nel primo caso, comporta il dovere del giudice di disporre la riunione e, nel secondo caso, obbliga il secondo giudice a dichiarare la litispendenza e far cancellare la causa dal ruolo). Nel caso della litispendenza, tuttavia, le cause identiche sono in corso nel processo, mentre nel caso di bis in idem una di queste è già passata in giudicato. L'incontrovertibilità propria del giudicato stabilisce, pertanto, un certo grado di certezza nelle situazioni giuridiche, che può essere vinta unicamente da ipotesi eccezionali e che possono consentire di “riaprire” la causa, il che avviene per mezzo delle impugnazioni che vedremo chiamarsi “straordinarie”. I provvedimenti giurisdizionali soggetti al passaggio in giudicato sono quelli aventi contenuto decisorio: tra questi rientra sicuramente le sentenza. Anche altri provvedimenti di natura decisoria potrebbero avere tale attitudine: pensiamo al decreto ingiuntivo non opposto che diviene pertanto definitivo, o alle ordinanze anticipatrici di condanna di cui agli artt. 186bis, 186ter e 186quater c.p.c. in caso di estinzione del processo, oppure all'ordinanza di convalida dello sfratto. Tuttavia, nelle ipotesi sopra descritte (a parte l'ordinanza ex art. 186quater c.p.c. che, in caso di estinzione del processo, assume il valore di vera e propria sentenza) più che di 72 tardive sono inammissibili: ad esempio, non lo sono le impugnazioni incidentali tardive, se l'interesse a impugnare è sorto a seguito dell'impugnazione proposta da altri che non sia l'impugnante principale, oppure se sono proposte da chi è stato chiamato a integrare il contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario. Il destino dell'impugnazione incidentale tardiva è però legato all'impugnazione principale, di modo che se questa è dichiarata inammissibile, cade anche l'impugnazione incidentale tardiva. CONDIZIONI DELLE IMPUGNAZIONI E TERMINI L'impugnazione, operando l'apertura di una nuova fase processuale (e in certi casi di un un vero e proprio secondo grado di giudizio), deve presentare dei requisiti che sono l'interesse a impugnare, la legittimazione a impugnare, l'impugnabilità del provvedimento. Trattasi delle cd condizioni dell'impugnazione, che ricalcano in qualche modo interesse ad agire, legittimazione ad agire e possibilità giuridica proprie del giudizio di primo grado. In particolare, l'interesse a impugnare è determinato dalla soccombenza . Solo la parte che ha ricevuto uno svantaggio (maggiore o minore che sia) nel provvedimento può avere interesse a impugnarlo. La legittimazione a impugnare spetta a coloro che sono state parti (a prescindere dalla partecipazione attiva o meno) nel procedimento di cui al provvedimento impugnato. Possono avere legittimazione a impugnare anche coloro che avrebbero dovuto essere parti, ma sono state pretermesse (es. il contraddittore necessario non chiamato in giudizio). Inoltre, il provvedimento deve essere impugnabile (ad esempio, le sentenze emesse in giudizio di equità su accordo della parti non sono impugnabili). Se manca anche solo una delle condizioni a impugnare, l'impugnazione è inammissibile e ciò comporta l'impossibilità di poter impugnare il provvedimento (cd consumazione dell'impugnazione): il provvedimento di primo grado passa così in giudicato. I termini per proporre le impugnazioni sono perentori. Sussitono termini brevi e termini lunghi di impugnazione. I termini brevi sono (art. 325 c.p.c.):  30 giorni per l'appello, per la revocazione avanti a giudice diverso dalla Cassazione e per l'opposizione di terzo revocatoria; 75  60 giorni per il ricorso in Cassazione e per la revocazione avanti la Cassazione. I termini brevi, nel caso delle impugnazioni ordinarie, decorrono dalla notificazione della sentenza (art. 326 c.p.c.), che va fatta al procuratore della parte (cioè al difensore) costituito in primo grado. Nel caso delle impugnazioni straordinarie della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo revocatoria, i termini sono solo brevi e decorrono dalla scoperta del vizio che le fonda. L'altra impugnazione straordinaria, vale a dire l'opposizione di terzo semplice, invece, non prevede termine, e può dunque essere esperita in qualsiasi momento. Il termine lungo è unico per tutte le impugnazioni ordinarie, ed è di 6 mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza (art. 327, 1° comma, c.p.c.). Ai sensi dell'art. 328 c.p.c., se dopo la notificazione della sentenza, e prima della scadenza del termine a impugnare, si verificha un evento interruttivo (es. morte della parte), i termini brevi riprendono a decorrere dalla rinnovazione della notificazione della sentenza alla parte (che può essere fatta impersonalmente e collettivamente agli eredi della parte nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto). Se l'evento interruttivo si verifica entro tre mesi durante la decorrenza del termine lungo, tale termine è prorogato di altri tre mesi per tutte le parti. L'impugnazione va notificata alle controparti presso i procuratori costituiti in primo grado, a meno che, in caso di previa notificazione della sentenza, le parti notificanti abbiano dichiarato residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata (art. 330 c.p.c.). Qualora la parte sia stata in giudizio in primo grado personalmente, la sentenza andrà notificata a lui personalmente. Se l'impugnazione non è proposta entro i suddetti termini, è inammissibile per avvenuta decadenza. Comporta decadenza dall'impugnazione anche l'acquiescenza, ossia l'accettazione della sentenza o di parte di essa. L'acquiescenza, ai sensi del 1° comma dell'art. 329 c.p.c., può essere espressa (viene espressamente accettata la sentenza di primo grado), oppure implicita (vengono compiuti atti incompatibili con la volontà di non accettare la sentenza, ivi compresa la mancata impugnazione di punti specifici di essa, che avviene con l'impugnazione solo parziale della sentenza, art. 329, 2° comma, c.p.c.). In caso di decadenza dall'impugnazione (che comporta, in caso di impugnazione comunque proposta, la sua inammissibilità), la sentenza di primo grado diviene 76 incontrovertibile col passaggio in giudicato. Comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado anche l'improcedibilità di impugnazione ammissibile, ma a cui sono seguite omissioni rilevanti quali la mancata costituzione dell'impugnante nei termini o la sua mancata comparizione all'udienza (e a quella successiva appositamente fissata), art. 348 c.p.c. PLURALITA' DI PARTI NELLE IMPUGNAZIONI E PLURALITA' DI IMPUGNAZIONI Abbiamo visto che la legittimazione a impugnare (e ad essere controparte del giudizio di impugnazione) spetta a chi è stato parte, o avrebbe dovuto essere parte nel processo di primo grado. Ma chi avrebbe dovuto essere parte nel processo di primo grado e chi deve partecipare nel giudizio di impugnazione? La risposta a tali quesiti viene data dalla disciplina del litisconsorzio nelle impugnazioni, nonché dalla distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili. Abbiamo a suo tempo visto che in caso di partecipazione di più parti a un processo si ha il cd cumulo soggettivo, derivante dalla compresenza di cause connesse dal punto di vista oggettivo. Tale cumulo soggettivo viene anche definito litisconsorzio. Abbiamo anche analizzata la differenza tra litisconsorzio necessario e litisconsorzio facoltativo. La questione nel giudizio di impugnazione viene ripresa affermandosi che sono cause inscindibili quelle nelle quali il litisconsorzio è necessario, oppure quelle in cui le cause sono tra loro dipendenti. Con riferimento al litisconsorzio necessario, tale necessarietà, già presente in primo grado, si trasferisce nel giudizio di impugnazione, senza differenza tra il caso in cui la necessarietà in primo grado fosse iniziale o successiva (ad es. per ordine di intervento del terzo iussu iudicis, oppure per successione di più eredi alla morte di una parte, oppure ancora nel caso di intervento volontario da parte di chi si afferma contitolare del diritto controverso). E ciò si verifica anche nel caso in cui in primo grado, pur in presenza di litisconsorzio necessario, non sia stato integrato il contraddittorio e, ciò nonostante, sia stata pronunciata sentenza nel merito. 77 effetto espansivo interno ed effetto espansivo esterno. Si ha effetto espansivo interno allorchè la sentenza sull'impugnazione, pur riformando o cassando solo alcune parti della sentenza di primo grado, va a riformare o cassare anche quelle altre parti della sentenza che ne sono comunque dipendenti (art. 336, 1° comma, c.p.c.). Si ha effetto espansivo esterno allorchè la riforma o la cassazione della sentenza impugnata estenda i propri effetti anche ai provvedimenti e agli atti che ne sono dipendenti (art. 336, 2° comma, c.p.c.)(es. gli atti esecutivi proposti dal vittorioso in primo grado). Le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive e l'impugnazione eventualmente proposta non sospende di per sé l'esecutività (che può essere sospesa solo sua istanza di parte alle condizioni che vedremo). Nel caso in cui si estinguano i giudizi di appello e di revocazione ordinaria (il procedimento per Cassazione non si estingue, fondandosi sulla procedibilità d'ufficio), la sentenza impugnata passa in giudicato (art. 338 c.p.c.). 80 Tabella riassuntiva sulle impugnazioni in generale IMPUGNAZIONE AUTORITA' Termine breve Termine lungo Natura dell'impugnazione REGOLAMENTO DI COMPETENZA Cassazione 30 giorni dalla comunicazione della pronuncia sulla competenza. No termine lungo Ordinaria. Si pronuncia solo sulla competenza. Efficacia panprocessuale. APPELLO Tribunale monocratico (avverso le sentenze del giudice di pace). Corte d'appello (avverso le sentenze del tribunale) 30 giorni dalla notificazione della sentenza 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Ordinaria. Mezzo di gravame (rimedio di legalità e di giustizia). Effetto devolutivo e sostitutivo. RICORSO PER CASSAZIONE Cassazione 60 giorni dalla notificazione della sentenza 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Ordinaria. Rimedio di legalità (giudizio rescindente e talvolta anche rescissorio). Il giudizio rescissorio negli altri casi o manca (cassazione senza rinvio) o viene affidato al giudice del rinvio. REVOCAZIONE ORDINARIA Stesso giudice del provvedimento impugnato 30 giorni dalla notificazione della sentenza (60 giorni se Cassazione) 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Ordinaria. Rimedio di legalità. Sia giudizio rescindente che giudizio rescissorio avanti lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. REVOCAZIONE STRAORDINARIA Stesso giudice del provvedimento impugnato 30 giorni dalla scoperta del vizio No termine lungo Straordinaria. Rimedio di legalità. Sia giudizio rescindente che giudizio rescissorio avanti lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. OPPOSIZIONE DI TERZO SEMPLICE Stesso giudice del provvedimento impugnato No termine breve No termine lungo Straordinaria. Rimedio di legalità. Sia giudizio rescindente che giudizio rescissorio avanti lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. OPPOSIZIONE DI TERZO REVOCATORIA Stesso giudice del provvedimento impugnato 30 giorni dalla scoperta del vizio No termine lungo Straordinaria. Rimedio di legalità. Sia giudizio rescindente che giudizio rescissorio avanti lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Tabella riassuntiva inammissibilità/improcedibilità delle impugnazioni in generale INAMMISSIBILITA' IMPROCEDIBILITA' Decadenza dal termine (breve o lungo) di impugnazione; Mancata costituzione tempestiva dell'impugnante; Decadenza per acquiescenza (totale o parziale, espressa o implicita); Mancata comparizione dell'impugnante all'udienza (né a quella successiva appositamente fissata dal giudice). Mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio; Non impugnabilità del provvedimento; Mancanza di interesse ad impugnare; Mancanza di legittimazione a impugnare. 81 Cap. II – L'APPELLO CARATTERI E REGOLE GENERALI L'appello è un mezzo di impugnazione ordinario, con natura di gravame, a critica libera, di tipo devolutivo e con effetto sostitutivo. 1) È ordinario in quanto la sua proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (e, d'altro canto, non può essere proposto se la sentenza di primo grado è già passata in giudicato). 2) Ha natura di gravame in quanto non consiste unicamente in un riesame della sentenza per vizi della medesima, bensì nel riesame della controversia, e si presenta come una fase ulteriore dello stesso processo di primo grado. 3) È a critica libera in quanto l'appellante può denunciare non solo specifici vizi della sentenza o del procedimento, ma anche l'ingiustizia del provvedimento (vale a dire che l'appello è sia un rimedio di legalità che di giusitizia). 4) È devolutivo in quanto “devolve” al giudice il riesame della controversia nei limiti di cui agli specifici motivi dell'appello. Ciò significa che, per l'ulteriore principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, non è ammessa la reformatio in pejus (a meno che vi siano appelli proposti da altre parti). 5) Ha effetto sostitutivo in quanto sia che riformi, sia che confermi la sentenza impugnata, la sentenza d'appello si sostituisce a quella di primo grado. Non produce effetto sostitutivo unicamente nel caso in cui l'appello sia dichiarato inammissibile, improcedibile o la causa venga rimessa al giudice di primo grado (costituendo una sorta di giudizio rescindente, e lasciando al giudice di primo grado il giudizio rescissorio). Sono impugnabili con l'appello le sentenze pronunciate in primo grado, purchè l'appello non sia escluso dalla legge o per accordo delle parti a norma dell'art. 360, 2° comma, c.p.c. (art. 339, 1° comma, c.p.c.). È ad esempio esclusa dalla legge l'appellabilità delle sentenze pronunciate dal giudice secondo equità, per accordo delle parti (art. 114 c.p.c.), nonché delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità ai sensi del 2° comma dell'art. 113 c.p.c. (a meno che il vizio riguardi la violazione di norme sul procedimento, di 82 d'appello). Non possono pertanto essere proposte domande nuove che, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili (sono considerate domande nuove quelle in cambia anche solo un elemento della domanda in primo grado: personae, petitum e causa petendi). Possono domandarsi solo gli interessi, gli altri frutti e accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa (art. 345, 1° comma, c.p.c.). Non possono nemmeno essere proposte eccezioni nuove che non siano rilevabili d'ufficio (art. 345, 2° comma, c.p.c.). Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, né essere prodotti nuovi documenti, a meno che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile (art. 345, 3° comma, c.p.c.). Può sempre essere ammesso il giuramento decisorio. É possibile l'ingresso nel giudizio di appello di prove che sono già state proposte o richieste in primo grado, ma rigettate dal giudice. Di prove già assunte in primo grado può esserne disposta la rinnovazione totale o parziale (art. 356, 1° comma, c.p.c.) e ciò, ad esempio, per un vizio relativo all'assunzione medesima. ACQUIESCENZA, INAMMISSIBILITA' E IMPROCEDIBILITA' – IL “FILTRO” Qualora l'appello riguardi unicamente alcuni punti della sentenza (cd appello parziale), oppure qualora alcune domande ed eccezioni non siano espressamente riproposte, i punti della sentenza non appellati (nemmeno da altre parti) passano in giudicato per acquiescenza parziale implicita , e le domande ed eccezioni non riproposte si intendono rinunciate, cioè pure decadono per acquiescenza implicita (art. 346 c.p.c.). L'appellante ha l'onere di costituirsi (come nel caso dell'attore in primo grado) entro 10 giorni dalla notificazione dell'appello, con l'atto di appello notificato, copia della sentenza appellata e i fascicoli di primo e secondo grado (il cancelliere del giudice d'appello richiede la trasmissione alla cancelleria del giudice di primo grado del fascicolo d'ufficio di primo grado). L'appello è dichiarato improcedibile, anche d'ufficio, se l'appellante non si costituisce o non si costituisce nei termini (art. 348, 1° comma, c.p.c.). È pure dichiarato improcedibile se l'appellante, regolarmente costituito, non compare alla prima udienza, né a quella successiva fissata appositamente dal giudice, e di cui gli viene data comunicazione (art. 85 348, 2° comma, c.p.c.). Il convenuto (definito appellato) si costituisce con comparsa di risposta e, se intende proporre a sua volta appello, ha l'onere di presentarlo quale appello incidentale. Qualora non debba proporre appello incidentale, l'appellato può anche costituirsi direttamente in udienza, oppure non costituirsi nemmeno, rimanendo contumace. Nel caso si costituisca, l'appellato deposita la propria comparsa di risposta, la copia notificata dell'atto di appello e i propri fascicoli di primo e secondo grado. La costituzione dell'appellato sana gli eventuali vizi di nullità della citazione relativi alla vocatio in ius con efficacia ex tunc; altrimenti, è previsto l'ordine del giudice di rinnovazione della citazione, come in primo grado, entro un termine perentorio, pena la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del procedimento d'appello (con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado). L'appello è dichiarato inammissibile:  se proposto fuori termine;  se proposto avverso una sentenza inappellabile;  se manca l'interesse ad appellare;  se manca la legittimazione ad appellare;  se l'atto di appello non è motivato;  se l'appellante ha prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado;  se nessuna delle parti ha provveduto a integrare il contraddittorio su ordine del giudice. Il D.L. n. 83/2012, convertito con modifiche nella L. n. 134/2012, ha introdotto un nuovo motivo di inammissibilità dell'appello: la non ragionevole probabilità di suo accoglimento, o FILTRO DELL'APPELLO (art. 348bis, 1° comma, c.p.c.). Tale forma di inammissibilità è volta a evitare la proposizione di appelli pretestuosi e meramente dilatori. La valutazione sulla non ragionevole probabilità di accoglimento è tuttavia discrezionale, il che pone dei dubbi sul pieno rispetto del doppio grado di giurisdizione.  Esclusioni! Il 2° comma dell'art. 348bis c.p.c. esclude dal filtro gli appelli che riguardano cause in cui è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, nonché quelli proposti a norma dell'art. 702quater c.p.c. (ossia contro il provvedimento emesso dal tribunale monocratico nel procedimento sommario di cognizione ex art. 702bis c.p.c.). 86 Le differenze tra questa particolare ipotesi di inammissibilità, e gli altri motivi di inammissiiblità sopra elencati, stanno nel momento in cui viene dichiarata l'inammissibilità e la forma del provvedimento. Ai sensi dell'art. 348ter c.p.c., l'inammissiiblità di cui al filtro viene dichiarata immediatamente alla prima udienza, mediante ordinanza succintamente motivata, anche mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Se ci sono appelli incidentali, l'ordinanza di inammissibilità da “filtro” può essere pronunciata solo se anche tali appelli incidentali non hanno ragionevole probabilità di accoglimento. Quando è pronunciata l'inammissibilità da “filtro”, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto ricorso per Cassazione (una sorta di ricorso per saltum). In tal caso, se l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni di fatto poste alla base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione può avvenire unicamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3), 4) 1° comma art. 360 c.p.c. (non dunque per il numero 5, che concerne l'omesso esame circa un punto di fatto fondamentale per la controversia, v. parte sesta, cap. III). L'inammissibilità per tutte le altre ragioni viene dichiarata con sentenza e non nella prima udienza, bensì previa rimessione della causa in decisione. L'appello dichiarato inammissibile (tranne che nel caso del “filtro”), o improcedibile, non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine per l'appellabilità (art. 358 c.p.c.). Trattasi della cd consumazione o consunzione dell'impugnazione. La sentenza di primo grado passa in tal modo in giudicato. TRATTAZIONE ED EVENTUALE SOSPENSIVA (INIBITORIA) Nella prima udienza del procedimento d'appello, ai sensi dell'art. 350 c.p.c., il giudice:  verifica la regolare costituzione delle parti in giudizio e, quando occorre, ordina l'integrazione di esso (in caso di cause inscindibili) o la notificazione dell'impugnazione ai litisconsorti facoltativi;  dispone che si rinnovi la notificazione nulla dell'atto di appello;  dichiara la contumacia dell'appellato;  provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza;  procede al tentativo di conciliazione, ordinando, quando occorra, la comparizione personale delle parti; 87 conclusioni e da ribadire entro il termine per il deposito delle memorie di replica) in apposita udienza da fissarsi a non oltre 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle conclusionali. La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza va depositata entro il termine ordinatorio di 60 giorni successivi all'udienza di discussione (DECISIONE A SEGUITO DI TRATTAZIONE SCRITTA + discussione orale, art. 352, 2° comma, c.p.c.). c) Su scelta del collegio, precisazione delle conclusioni (nella stessa prima udienza o in apposita successiva udienza), discussione della causa nella stessa o in apposita successiva udienza e pubblicazione della sentenza in udienza, con lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto (la sentenza va a far parte del verbale di udienza che viene sottoscritto dal giudice, nonché immediatamente depositata in cancelleria)(DECISIONE A SEGUITO DI TRATTAZIONE ORALE, artt. 281sexies e 352, 6° comma, c.p.c.). PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE D'APPELLO Qualora il giudice d'appello disponga l'eventuale ammissione di prove costituende, o la rinnovazione delle stesse, pronuncia ordinanza e provvede sulla loro assunzione (art. 356, 1° comma, c.p.c.). Sempre con ordinanza viene pronunciata dal giudice d'appello la propria eventuale incompetenza, nonché l'inammissibilità e l'improcedibilità dell'appello. Pronuncia sentenza non definitiva decidendo su una questione pregiudiziale o preliminare senza definire totalmente il giudizio d'appello (che prosegue come da separata ordinanza). “Senza definire totalmente” non significa solo che la pronuncia non osta alla prosecuzione del giudizio, ma anche che la sentenza non definitiva può essere parziale, ossia può decidere solo parzialmente nel merito il giudizio (sentenza non definitiva parziale). Qualora si pronunci quale giudice di secondo grado, entrando nel merito oppure fermandosi a una pronuncia sul rito (ostativa per la prosecuzione del processo), chiudendo comunque la fase del giudizio d'appello, utilizza lo strumento della sentenza definitiva. In particolare, il giudice d'appello definisce il giudizio con sentenza: 1) rigettando l'appello o riformando, in tutto o in parte, la sentenza di primo grado (la 90 sentenza si sostituisce in ogni caso alla sentenza di primo grado), anche per nullità della sentenza o per difetti del contraddittorio in primo grado (il che per il vero fa “saltare” per queste ipotesi il doppio grado di giurisdizione). Va anche menzionato che il giudice d'appello può dichiarare la nullità di altri atti compiuti in primo grado ordinandone (ordinanza), in quanto possibile, la rinnovazione (ad es. rinnovazione dell'assunzione nulla di un mezzo di prova). In tali ipotesi non definisce il giudizio, ma fa proseguire l'istruttoria con ordinanza; 2) pronunciando l'estinzione del giudizio d'appello; 3) dichiarando il proprio difetto di giurisdizione (mentre nel caso rilevi l'incompetenza il provvedimento assume le forme dell'ordinanza, ancorchè definisca il giudizio ostando alla sua prosecuzione); 4) rimettendo le parti avanti al giudice di primo grado nei seguenti casi:  per motivi di giurisdizione. Se il giudice d'appello riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con cui rimanda le parti davanti al primo giudice per la celebrazione del primo grado di giudizio.  per altri motivi in cui non è stato celebrato in pratica il giudizio di primo grado, ossia nei casi in cui il giudice d'appello: a) dichiari la nullità della notificazione della citazione introduttiva in primo grado; b) riconosca che in primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte; c) dichiari la sentenza di primo grado nulla per mancata sottoscrizione del giudice; d) riformi la sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata l'estinzione del processo. Tutte le volte che il giudice d'appello rimanda le parti avanti al giudice di primo grado, le parti hanno l'onere di riassunzione della causa avanti a questo nel termine perentorio di 3 mesi dalla notificazione della sentenza, pena l'estinzione del giudizio d'appello. 91 Tabella riassuntiva inammissibilità/improcedibilità dell'appello INAMMISSIBILITA' IMPROCEDIBILITA' Decadenza dal termine (breve o lungo) per appellare; Mancata costituzione tempestiva dell'appellante; Decadenza per acquiescenza (totale o parziale, espressa o implicita); Mancata comparizione dell'appellante costituito all'udienza (né a quella successiva appositamente fissata dal giudice). Mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio; Inappellabilità del provvedimento; Mancanza di interesse ad appellare; Mancanza di legittimazione ad appellare; Mancanza di motivazione dell'appello; Non ragionevole probabilità di accoglimento (filtro). Tabella riassuntiva fase decisoria dell'appello TIPO DI TRATTAZIONE TRIBUNALE MONOCRATICO CORTE D'APPELLO Scritta - precisazione conclusioni; - comparse conclusionali (da depositare entro 60 giorni); - memorie di replica (da depositare entro 20 giorni); - deposito sentenza entro 60 giorni. - precisazione conclusioni; - comparse conclusionali (da depositare entro 60 giorni); - memorie di replica (da depositare entro 20 giorni); - deposito sentenza entro 60 giorni. Scritta + discussione orale - precisazione conclusioni; - comparse conclusionali (da depositare entro 60 giorni); - memorie di replica (da depositare entro 20 giorni); - discussione causa in udienza da celebrare entro 60 giorni; - deposito sentenza entro 60 giorni. Mista - precisazione conclusioni; - comparse conclusionali (da depositare entro 60 giorni); - discussione causa in udienza da celebrare entro 60 giorni; - deposito sentenza entro 60 giorni. Orale - precisazione conclusioni; - discussione della causa; - pubblicazione sentenza con lettura in udienza. - precisazione conclusioni; - discussione della causa; - pubblicazione sentenza con lettura in udienza. 92 speciali e giudici ordinari; 2) i conflitti di attribuzione tra la pubblica amministrazione (nell'esercizio del suo potere amministrativo) e i giudici ordinari.  Quello esperibile d al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 363, 1° comma, c.p.c., nel cd interesse della legge, allorquando le parti non hanno proposto impugnazione, oppure vi hanno rinunciato, o il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile. Ciò per chiedere che la Corte enunci il principio di diritto al quale il giudice di merito (che comunque in questo caso non è tenuto a seguire l'indicazione, dato che la pronuncia della Corte non ha effetto nel giudizio di merito) avrebbe dovuto attenersi. Peraltro, il principio di diritto può essere enunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione sia di particolare importanza (art. 363, 3° comma, c.p.c.). La decisione, che potrebbe essere riservata alle sezioni unite, non ha nemmeno in questo caso effetto sul giudizio di merito.  Quello per regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c., v. parte seconda, cap. II), deciso dalle sezioni unite della Cassazione;  Quello per regolamento di competenza (art. 42 c.p.c., v. parte seconda, cap. IV). I motivi di ricorso per Cassazione sono enunciati all'art. 360, 1° comma, c.p.c.: 1) motivi attinenti alla giurisdizione (error in procedendo, per il caso in cui il giudice a quo abbia erroneamente negato o affermato la propria giurisdizione); 2) violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento necessario di competenza (error in procedendo); 3) violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (error in iudicando); 4) nullità della sentenza o del procedimento (error in procedendo, sia per nullità di atti del procedimento non sanati, che investono la sentenza, sia per nullità proprie della sentenza); 5) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (error in procedendo). 95 Nel caso di ricorso per Cassazione per saltum (o omissio medio) i motivi di ricorso possono essere solo quelli di cui al n. 3 (violazione di legge). Un'ulteriore ipotesi di ricorso per Cassazione contro una sentenza di primo grado (un ricorso per saltum, ma stavolta non per accordo tra le parti) è prevista in caso di dichiarazione di inammissibilità dell'appello ex art. 348bis c.p.c. (cd “filtro” dell'appello, ossia l'inammissibilità per non ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello): in tal caso, tuttavia, se il motivo dell'inammissibilità sta nell'identica valutazione sulle questioni in fatto come compiuta dal primo giudice, il ricorso per Cassazione non potrà essere fondato (a pena di inammissibilità) sul motivo di ricorso n. 5 dell'art. 360 c.p.c. (omesso esame di un punto decisivo), ma solo su altri motivi. Il ricorso non può essere fondato sul n. 5 dell'art. 360 c.p.c. (a pena di inammissibilità) anche nel caso in cui la sentenza d'appello abbia confermato la valutazione in fatto compiuta dal primo giudice (cd “pronuncia doppia conforme”). IL PROCEDIMENTO: RICORSO, CONTRORICORSO E RICORSO INCIDENTALE L'impugnazione viene presentata per mezzo di ricorso rivolto alla Corte di Cassazione, e non alle controparti (manca infatti la vocatio in ius), che deve contenere, a pena di inammissibilità (art. 366, 1° comma, c.p.c.): 1) l'indicazione delle parti; 2) l'indicazione della sentenza o del provvedimento impugnato; 3) l'esposizione sommaria dei fatti della causa; 4) i motivi per cui si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano (e qui la Corte è vincolata dalle norme indicate, operandosi una limitazione al principio “iura novit curia”); 5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro su cui il ricorso si fonda. É necessaria la domiciliazione in Roma (o l'indicazione dell'indirizzo PEC comunicato a suo tempo al proprio ordine forense), onde evitare che le comunicazioni vengano effettuate 96 presso la cancelleria della Corte; ma ciò non è previsto a pena di inammissibilità. Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra difensori avvengono per via telematica (art. 366, 4° comma, c.p.c.). É prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso, che lo stesso sia sottoscritto da avvocato iscritto presso l'apposito albo dei cassazionisti, munito di procura speciale (art. 365 c.p.c.). Se il ricorso per Cassazione avviene per accordo delle parti su omissio medio, tale accordo va documentato o mediante visto apposto dalle altre parti sul ricorso, o mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso (art. 366, 3° comma, c.p.c.). Per avviare il procedimento di impugnazione avanti la Corte di Cassazione occorre, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., che il ricorso sia prima notificato alla controparte (nel rispetto del termine, breve o lungo, d'impugnazione) e poi depositato nella cancelleria della Corte (a pena di improcedibilità) entro 20 giorni dall'ultima notificazione effettuata, unitamente:  al decreto di concessione del gratuito patrocinio;  a copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notifica;  alla procura speciale, se conferita con atto separato;  agli atti processuali, ai documenti e ai contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro sui quali il ricorso si fonda. Diversamente da quanto avviene nel procedimento d'appello, qui è il ricorrente che deve fare istanza alla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato perchè trasmetta il fascicolo d'ufficio alla cancelleria della Corte. Altra particolarità verte in tema di sospensiva dell'esecutività del provvedimento impugnato: qui il ricorrente, qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, può fare istanza al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato (e non alla Corte di Cassazione) perchè disponga, con ordinanza non impugnabile, che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione (art. 373, 1° comma, c.p.c.). La controparte, detta resistente, può decidere di non partecipare in alcun modo al procedimento avanti la Cassazione, senza essere dichiarata contumace. Può anche decidere di contraddire il ricorso mediante controricorso, ossia mediante un atto rivolto alla Corte che deve contenere quanto previsto, laddove compatibile, per il 97
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