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Dispensa di "Manuale di Diritto Amministrativo" (Clarich, ultima ed), Dispense di Diritto Amministrativo

Dispensa redatta personalmente da me, per poter poi sostenere l'esame di diritto amministrativo: la dispensa è di 168 pagine, all'interno della quale troverete anche schemi e mappe, utili alla comprensione.

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 14/05/2020

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Scarica Dispensa di "Manuale di Diritto Amministrativo" (Clarich, ultima ed) e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! 1 MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO (Clarich edizione 2019) Capitolo 1 – INTRODUZIONE Il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico interno, che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della Pubblica Amministrazione. È un corpo di regole e principi AUTONOMO dal diritto privato, che si è formato nella Europa continentale nel XIX sec in parallelo all’evoluzione dello Stato di diritto. È un diritto recente. Il diritto amministrativo può essere avvicinato lungo una pluralità di percorsi: A. C’è un emergere di apparati amministrativi STABILI posti al servizio del sovrano ed una evoluzione della struttura della P.A. in relazione all’ampiezza delle funzioni assunte pian piano dallo Stato. C’è una progressiva sottoposizione della P.A. ai principi dello Stato di diritto e alla formazione di un diritto speciale ad essa applicabile. B. Muoversi dalle scienze sociali che analizzano il fenomeno delle P.A. e gettano le basi teoriche della teoria della regolazione. C. Bisogna fissare le distinzioni e i nessi del diritto amministrativo rispetto alle altre branche del diritto. MODELLI DI STATO E NASCITA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO STATO AMMINISTRATIVO La presenza di apparati burocratici organizzati secondo criteri razionali è una costante nella storia. Strutture stabili così che il sovrano potesse esercitare i suoi poteri. Nel XVI sec, si assiste alla formazione degli stati nazionali in Europa e il superamento dell’ordinamento feudale Cioè i rapporti che ha con i soggetti privati nell’esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per cura degli interessi della collettività. Organizzazione politica POLICENTRICA e pluralistica fondata su rapporti personali pattizi (vassallaggio). Mancanza di un centro di potere unitario effettivo diverso dall’impero romano, dove c’era una perenne lotta per la sovranità. 2 STATO MODERNO STATO ASSOLUTO il potere politico in capo al Re. Si formano di apparati amministrativi stabili (centro e periferia) posti alle dirette dipendenze del sovrano. L’accentramento burocratico costituì uno degli strumenti per ricondurre ad unitarietà in capo al sovrano il potere politico e statuale (Es: Francia  lo Stato assoluto coincide con lo Stato amministrativo). STATO DI POLIZIA XVIII: Lo stato assoluto assume i caratteri dell’assolutismo illuminato. Lo Stato di polizia ha l’obiettivo di curare la convivenza ordinata e il benessere della collettività. Nascono due scuole di pensiero:  Scienza della polizia  Cameralista Esse studiavano i metodi di buona gestione della cosa pubblica nell’interesse delle finanze statali e per la cura dei bisogni generali. FUNZIONE AMMINISTRATIVA In epoca medievale solo la funzione legislativa e quella giudiziaria aveva assunto una fisionomia DEFINITA. Il potere esecutivo acquisì autonomia solo dopo la formulazione della teoria della SEPARAZIONE DEI POTERI. La dottrina faticava a dare una definizione di attività amministrativa e la individuò nell’attività dello Stato o di altri poteri pubblici diversa da quella normativa e giurisdizionale. Otto Mayer “L’amministrazione è l’attività dello Stato che non è né legislazione né giustizia. Lo stato assoluto entrò in crisi nella seconda metà del XVIII e XIX secolo. La Rivoluzione francese (1789) e le costituzioni liberali segnarono la nascita del modello dello: STATO DI DIRITTO E’ uno dei principi fondanti dell’Unione europea:  Dignità  Libertà  Democrazia  Uguaglianza  Rispetto dei diritti umani L’espansione dei compiti dello Stato e l’attribuzione di poteri amministrativi ai funzionari delegati del sovrano, portò all’emersione della funzione amministrativa come funzione AUTONOMA. Art.2 TFUE 5 f) 1962: viene nazionalizzato il settore dell’energia elettrica ed istituito un ente pubblico economico (ENEL) per la gestione in regime di monopolio di tutte le attività della filiera. g) 1978: istituzione del servizio sanitario nazionale (ASL). h) Anni ’70: la P.A. assume la conformazione di una costellazione multilivello e policentrica di enti pubblici che affianco gli apparati ministeriali centrali, anch’essi aumentati al numero nel corso degli anni. i) Anni ’90: in Italia lo stato imprenditore entrò in crisi, dati i suoi costi sempre meno sostenibili in una fase di crisi della finanza pubblica; si avviarono due processi: - LIBERALIZZAZIONE: imposti da direttive europee. - PRIVATIZZAZIONE: di imprese ritenute non strategiche. RIFORME ANNI ’90: favoreggiamento da parte dello Stato di processi di decentramento e valorizzazione delle autonomie territoriali e funzionali  L.3/2001: ri - disegnamento dell’assetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni e delle funzioni amministrative dei vari livelli di governo in base al principio della SUSSIDIARIETA’ VERTICALE j) 2012: La crisi del 2008 portò a dei processi di razionalizzazione degli apparati e di adozione di meccanismi di “spending review”, volti a contenere i costi e a ridurre gli sprechi; successivamente, venne introdotta la L.190/2012 anti – corruzione: impone alle amministrazioni l’adozione di misure di prevenzione e obblighi di pubblicità. k) 2015: venne approvata la legge delega 124/2015 (LEGGE MADIA) che ha gettato le basi per una riforma ambiziosa della P.A. attuata poi solo in parte. l) 2019: il parlamento ha approvato una legge di semplificazione  L.12/2019 che contiene una serie di misure puntuali, in tema di istituzione di “zone economiche speciali” e di “zone logistiche semplificate” e “semplificazione per l’innovazione”. m) L.56/2019: “interventi per la concretezza delle azioni delle P.A. e la prevenzione dell’assenteismo”. Il diritto amministrativo cerca di risolvere un problema presente in ogni ordinamento ispirato al principio dello Stato di Diritto: conciliare l’esigenza di curare i molteplici interessi della collettività (INTERESSI PUBBLICI) con quella di garantire al massimo grado le libertà dei singoli. Esso privilegia, nell’allocazione delle funzioni, per quanto possibile, le unità organizzative più vicine ai cittadini destinatari delle attività e dei servizi. Viene attribuita un’ampia autonomia organizzativa anche ad enti pubblici quali le università e le camere di commercio. 6 DIRITTO AMMINISTRATIVO E SCIENZE SOCIALI: LA SCIENZA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO DIRITTO AMMINISTRATIVO IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E I SUOI RAPPORTI CON ALTRE BRANCHE DEL DIRITTO 1. Diritto privato 2. Diritto costituzionale 3. Diritto europeo: il diritto amministrativo ha acquisito una dimensione europea sotto 5 profili: a) legislazione amministrativa b) organizzazione c) finanza d) attività amministrativa e) tutela giurisdizionale OGGETTO DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO ORGANIZZAZIONE E ATTIVITA' DELLA P.A. Precondizione necessaria per ricostruire gli istituti del diritto amministrativo è una CONOSCENZA ADEGUATA DELLA P.A. SOCIOLOGIA: analisi delle relazioni fattuali di potere interno ed esterno agli apparati burocratici. Il potere è un fenomeno sociale, prima ancora che giuridico presente in ogni collettività organizzata. SCIENZE POLITICHE: esse analizzano il ruolo degli apparati burocratici all’interno del circuito politico rappresentativo, cioè come STRUMENTI per realizzare le politiche pubbliche decise dal parlamento. SCIENZE ECONOMICHE: analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l’intervento dei pubblici poteri sotto forma di regolazione. L’art.1 della L.241/1990 include tra i principi generali dell’attività amministrativa: - ECONOMICITA’ - EFFICACIA - IMPARZIALITA’ - PUBBLICITA’ 7 4. Diritto penale: delitti contro la pubblica amministrazione (peculato – abuso d’ufficio – concussione). Capitolo 2 - LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO La funzione regolatrice della P.A. ha assunto un ruolo crescente negli ultimi decenni in conseguenza della crisi della legge come fonte di disciplina dei rapporti giuridici; il parlamento è sempre meno in grado di elaborare testi legislativi completi e di operare in tempo gli aggiornamenti necessari. Le leggi diventano così “leggi di indirizzo poggianti su incerte prognosi” o meri “programmi legislativi aperti” che si limitano ad assumere “decisioni di meta - livello” le quali lasciano spazio ad un’amministrazione auto – programmantesi. Possiamo dire che la funzione regolatrice della P.A. include tutti gli strumenti formali e informali di condizionamento dell’attività dei privati. Essa attenua almeno in parte il principio della separazione dei poteri. Le pubbliche amministrazioni, prima ancora che soggetti regolatori, sono soggetti regolati sottoposti ad un corpo più o meno esteso di norme. Emerge una distinzione tra:  Fonti sull’amministrazione hanno come destinatarie le P.A. che diventano così soggetti eteroregolati, sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Esse disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri di queste ultime e fungono da parametro per sindacare la legittimità di provvedimento da esse emanati. Le fonti sull’amministrazione sono costituite da fonti normative di rango primario e secondario.  Fonti dell’amministrazione sono strumenti a disposizione delle P.A. sia per regolare comportamenti dei privati, sia per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. Esse danno sostanza alla funzione di regolazione propria delle P.A. LA COSTITUZIONE La Costituzione del 1948 è la fonte giuridica di rango più elevato. Essa è il parametro in base al quale la Corte Costituzionale esercita il sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. La nostra è una Costituzione rigida (ha un procedimento di modifica aggravato rispetto a quello delle leggi ordinarie) e lunga (dal punto di vista contenutistico): la Costituzione non definisce solo i diritti di libertà dei cittadini e delinea l’assetto generale dello Stato – ordinamento, ma essa individua anche un’ampia serie di compiti dei quali lo Stato, e per esso la P.A., deve farsi carico nell’interesse della collettività. La Costituzione non tratta invece in modo diffuso l’assetto della P.A.: enuncia i principi essenziali in tema di organizzazione Art.97  Buon andamento – imparzialità – equilibrio di bilancio 10  Legalità – garanzia: garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo;  Legalità – indirizzo: ancoraggio dell’azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che emergono all’interno del circuito politico – rappresentativo. Il principio di legalità ha due accezioni: 1. Principio della preferenza della legge  gli atti emanati dalla P.A. non possono porsi in contrasto con la legge; la legge cioè costituisce un limite negativo all’attività dei poteri pubblici: se travalicato, determina l’illegittimità degli atti emanati (vizio di violazione della legge). 2. La legge come fondamento e misura del potere amministrativo  richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Ciò costituisce il fondamento esclusivo (limite positivo) dei poteri dell’amministrazione: essa deve attribuire in modo espresso alla P.A. la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti. Il principio di legalità inteso nel secondo senso ha a sua volta una duplice dimensione:  Legalità formale: per soddisfarla è sufficiente la semplice indicazione nella legge dell’apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che risulta indeterminato nei suoi contenuti;  Legalità sostanziale: per soddisfarla si esige che la legge ponga una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l’esercizio, le modalità procedurali e le altre caratteristiche essenziali  accezione adottata dalla Corte Costituzionale. Il principio di legalità richiede spesso all’amministrazione una valutazione articolata delle norme e dei principi generali riferibili al caso concreto; essa può richiedere talora alla P.A. di accertare la conformità delle disposizioni nazionali con quelle europee o di interpretare delle disposizioni interne nel modo più conforme ai principi costituzionali. LE LEGGI PROVVEDIMENTO Si tratta di leggi (statali, ma anche regionali) prive dei caratteri della GENERALITA’ e ASTRATTEZZA, che regolano cioè situazioni concrete e talora un’unica fattispecie. Esempio: le leggi che rilasciano, prorogano o revocano concessioni amministrative riferite ad alcune imprese. Ma il loro uso eccessivo è sintomo di una disfunzione nei rapporti tra il parlamento e il potere esecutivo e scardina le garanzie offerte al privato dal regime dell’atto e del procedimento amministrativo. I REGOLAMENTI GOVERNATIVI La legge costituzionale 3/2001 ha introdotto il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza regolamentare dello Stato. Lo Stato è cioè titolare di un potere regolamentare esclusivamente nelle materie che l’art.117 Cost. attribuisce alla sua competenza legislativa esclusiva. Tale potere può essere delegato alle regioni. Lo stato può emanare regolamenti nelle 11 materie devolute alla potestà legislativa regionale concorrente o residuale solo nelle more dell’approvazione da parte delle regioni delle norme di loro competenza e in caso di inerzia di queste ultime. I regolamenti in questione hanno carattere cedevole, nel senso che perdono efficacia all’entrata in vigore della normativa da parte di ciascuna regione. Il potere regolamentare del governo è richiamato dall’art.87 cost, che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di emanare regolamenti. Una disciplina generale di rango primario è contenuta nell’art.17 della L.400/1988, che individua 5 tipi di regolamenti governativi: 1. Regolamenti esecutivi: pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di una legge. Non è necessario che la legge attribuisca di volta in volta al governo il potere di approvarli, poiché la legge 400/88 costituisce un fondamento legislativo generale sufficiente a soddisfare il principio di legalità. I regolamenti di questo genere possono essere emanati per dare esecuzione a regolamenti europei. 2. Regolamenti attuativi – integrativi: possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti ad individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio. 3. Regolamenti indipendenti: intervengono nelle materie non soggette a riserva di legge là dove manchi una disciplina di rango primario: si è dubitato della compatibilità con la Costituzione di un potere normativo così ampio e indeterminato. Di fatto sono poche è marginali le materie nelle quali è assente oggi una qualsiasi disciplina legislativa. 4. Regolamenti di organizzazione: costituiscono in realtà una sottospecie di regolamenti esecutivi e di attuazione. Essi disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle P.A. “secondo le disposizioni dettate dalla legge”. 5. Regolamenti delegati o autorizzati: sono previsti nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge e attuano la delegificazione; sostituiscono cioè la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta da una fonte secondaria. La loro entrata in vigore determina infatti l’abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti anche di rango primario. L’art.17 comma 2 L.400/1988 pone alcune condizioni: occorre una legge che autorizzi il governo a emanarli; la stessa legge deve contenere le norme generali regolatrici della materia; essa deve altresì disporre l’abrogazione delle norme vigenti rinviando il prodursi dell’effetto abrogativo al momento all’entrata in vigore del regolamento. La delegificazione mira a contrastare la tendenza del parlamento a porre regole anche di dettaglio. Le leggi irrigidiscono spesso inutilmente la disciplina, visto che possono essere modificate soltanto da una fonte primaria. La delegificazione non esclude che leggi successive possano rilegificare in tutto o in parte la materia. Questi cinque regolamenti sono attribuiti alla competenza del Consiglio dei Ministri. 6. Regolamenti ministeriali e interministeriali: sono previsti dall’art.17 comma 3, nelle materie attribuite alla competenza di uno o più ministri. Questi regolamenti possono 12 essere emanati solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sotto ordinati ai regolamenti governativi. Essi devono essere comunicati prima della loro emanazione al presidente del Consiglio dei ministri ai fini del coordinamento. Profilo procedurale: sono adottati PREVIO il parere del Consiglio di Stato  sottoposti al controllo preventivo di legittimità e alla registrazione della Corte dei conti  pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Il procedimento per la loro adozione non prevede la partecipazione di privati che è anzi espressamente esclusa ex art.13 L.241/90 e non è richiesta la motivazione. L’art.17 L.400/88 non esaurisce la tipologia dei regolamenti governativi in quanto numerose leggi speciali prevedono fattispecie che derogano alla disciplina generale. Una specie particolare di fonti secondarie consiste nei regolamenti emanati con decreto del presidente del consiglio dei ministri. I decreti in questione sono talora assunti previa delibera del consiglio dei ministri e senza seguire l’iter procedurale previsto per gli altri tipi di regolamenti. In seguito alla legge cost. 3/2001 che ha limitato l’ambito dei regolamenti governativi e ministeriali alle materie che rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello stato, molte leggi recenti tendono ad aggirare il divieto utilizzando l’emanazione di non meglio precisati decreti ministeriali “non aventi valore regolamentare” che però contengono prescrizioni generali analoghe a quelle proprie dei regolamenti. Il regime giuridico dei regolamenti, che sono atti formalmente amministrativi anche se sostanzialmente normativi, è in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi, in parte quello proprio delle fonti del diritto. In base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario. Anche il giudice amministrativo può disapplicare una norma regolamentare in almeno due ipotesi: quando il provvedimento impugnato viola un regolamento a sua volta difforme dalla legge, oppure quando il provvedimento impugnato è conforme ad un regolamento che però contrasta con la legge. In entrambi i casi il giudice esercita il proprio sindacato valutando la legittimità del provvedimento direttamente rispetto alla norma primaria. Dal secondo punto di vista, cioè in quanto fonti del diritto, ai regolamenti si applicano le norme generali sull’interpretazione contenute nell’art.12 delle disp. Prel. Del c.c. Inoltre, vale per essi il principio IURA NOVIT CURIA e la loro violazione può costituire motivo di ricorso per Cassazione. I TESTI UNICI E I CODICI Negli ultimi anni la legislazione amministrativa si è estesa e ramificata; l’inflazione legislativa e il disordine normativo sono dovuti al cattivo funzionamento del parlamento riconducibile a fattori collegati alla forma di governo, quali l’instabilità politica, la scarsa omogeneità e coesione della maggioranza di governo, l’influenza degli interessi particolari. 15 GLI ATTI AMMINISTRATIVI GENERALI Di regola, i provvedimenti amministrativi, hanno un contenuto concreto e si rivolgono ad uno o più destinatari determinati (es: multa al proprietario della macchina messa in divieto di sosta): fissano cioè autoritativamente il modo di essere di un rapporto giuridico tra P.A. e privato in relazione alla specifica situazione di fatto e all’atteggiarsi degli interessi pubblici e privati in gioco. Tuttavia di frequente la P.A. ha il potere di emanare atti amministrativi aventi contenuto generale che sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici. Essi sono propedeutici all’emanazione di provvedimenti puntuali o trovano svolgimento in un’attività organizzativa degli uffici pubblici. Si rivolgono in maniera indifferenziato a categorie più o meno ampie di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili sulla base di esso. Gli atti amministrativi generali sono soggetti ad un regime giuridico che deroga in parte a quello proprio dei provvedimenti amministrativi e che ricalca quello degli atti normativi. Come i regolamenti, non richiedono una motivazione, il procedimento per la loro adozione non prevede la partecipazione dei soggetti privati, l’attività dell’amministrazione diretta alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso: per molti atti amministrativi generali sono previsti obblighi di pubblicazione e ciò accentua la loro valenza regolatoria. I BANDI DI CONCORSO E GLI AVVISI DI GARA Tra gli atti amministrativi generali privi del carattere di astrattezza, dei quali è certa la natura non normativa, rientrano i bandi di concorso per l’assunzione di dipendenti nelle P.A., oppure gli avvisi di gara per la scelta del contraente nei contratti stipulati dalle P.A. I bandi di concorso costituiscono l’atto di avvio del procedimento della selezione di personale delle P.A.: essi specificano: a) Requisiti di partecipazione b) Modalità e termini per la presentazione delle domande c) Modalità e termini per la presentazione delle domande d) Svolgimento delle prove e) Criteri di attribuzione dei punteggi Hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, che avviene con l’approvazione della graduatoria finale. I bandi o avvisi di gara sono disciplinati dal Codice dei contratti pubblici, individuano: a) Oggetto del contratto b) Tipo di procedura c) Criteri per l’ammissione e valutazione offerte d) Modalità e tempi per la presentazione delle offerte 16 Il bando di concorso costituisce la “lex specialis” della singola procedura di gara, vincola pertanto la stazione appaltante e condiziona la legittimità degli atti adottati. GLI ATTI DI PIANIFICAZIONE E DI PROGRAMMAZIONE Una delle esigenze che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi è che esso avvenga in modo COERENTE con una strategia complessiva. Pertanto in molte materie la legge prevede un’attività di pianificazione o programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti, contingenti e altri criteri che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi e all’attività degli uffici pubblici. Per esempio, il rilascio dei permessi di costruzione avviene nel rispetto dei piani regolatori comunali. L’attività di pianificazione e di programmazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo secondo il metodo della “pianificazione a cascata”: esso si è rivelato molto oneroso in termini di adempimenti e di difficile attuazione data anche la difficoltà operativa di raccogliere e razionalizzare tutte le informazioni rilevanti necessarie per la formulazione dei contenuti del piano. La legge anti – corruzione L.190/2012 prevede l’adozione da parte di ciascuna P.A. di un piano per la prevenzione: il piano è elaborato sulla base del piano nazionale approvato dall’autorità nazionale anticorruzione. PIANO REGOLATORE GENERALE: costituisce lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. Esso fu previsto in origine dalla legge urbanistica del 1942, è disciplinato oggi dalle leggi regionali che in questa materia hanno adottato talora soluzioni originali e innovative. Il piano regolatore suddivide il territorio comunale in zona omogenee (zonizzazione) con l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili, in base a criteri e parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale: attività edificatoria a fini abitativi, industriale, agricola. Il piano poi individua poi le aree destinate a edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (localizzazione); se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata quinquennale che decade se nel frattempo non interviene l’espropriazione. Il piano regolatore generale si inserisce in un sistema articolato di strumenti di pianificazione: è condizionato a monte dal piano territoriale di coordinamento provinciale, dai piani paesistici e dai piani urbanistici. Il piano regolatore generale è approvato all’esito di un procedimento aperto alla partecipazione dei privati; viene adottato dal comune con delibera del consiglio comunale e pubblicato per 30 giorni per consentire agli interessati di prenderne visione e di presentare osservazioni viene poi sottoposto ad una nuova delibera del consiglio comunale che deve pronunciarsi sulle osservazione presentate. Il piano regolatore si qualifica come atto complesso che prevede il coinvolgimento del comune e della regione con poteri propri. 17 La sua natura giuridica è controversa: si discute se sia di natura normativa (regolamentare) o di atto amministrativo generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati. Prevale la “natura mista” dei piani regolatori che, da un lato dispongono in via generale e astratta in ordine al governo ed all’utilizzazione dell’intero territorio comunale e dall’altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano. La disciplina legislativa dei piani regolatori ha natura procedimentale e rimette alle amministrazioni ampli spazi di discrezionalità. LE ORDINANZE CONTINGIBILI E URGENTI Gli stati devono dotarsi di strumenti per far fronte a situazioni di emergenza imprevedibili che possono mettere a rischio interessi fondamentali della comunità, ma che non si prestano ad essere classificate e disciplinate EX ANTE in modo puntuale a livello di fonti primarie. Con l’avvento della Costituzione questo tipo di potere (esercitato troppo nel momento fascista) venne assorbito in gran parte dal potere attribuito al governo, nei casi straordinari di necessità e d’urgenza, di emanare decreti legge (art.77 Cost) contenenti disposizioni di rango primario. Il potere di emanare tali ordinanze è affidato a diverse autorità, come il prefetto o il sindaco: l’autorità competente è dotata di ampia discrezionalità nel giudicare in concreto se la situazione giustifichi l’esercizio del potere di ordinanza e nell’individuare le misure specifiche da adottare (è richiesta una motivazione adeguata). Le ordinanze hanno però dei limiti: a) Non possono essere in contrasto con i principi costituzionali e dell’ordinamento giuridico; b) Devono avere un’efficacia limitata nel tempo, devono essere motivati ed adeguatamente pubblicizzati c) Devono rispettare il principio di proporzionalità d) Hanno carattere residuale Hanno carattere non normativo ma, dove la situazione di emergenza tenda a protrarsi, possono acquistare anche un carattere di astrattezza e perdere il carattere di temporaneità. Esse vanno distinte da altri atti amministrativi che hanno come presupposto l’urgenza, ma il cui contenuto e i cui effetti sono predefiniti in tutto e per tutto dalla norma attributiva del potere  ATTI NECESSITATI LE DIRETTIVE E GLI ATTI DI INDIRIZZO Hanno un contenuto che consiste in: a) Fini b) Obiettivi c) Criteri di massima 20  Autoregolazione “monitorata” prevista ad esempio, nel T.U. della finanza per l’organizzazione e la gestione dei mercato regolamentati di strumenti finanziari, le quali possono essere svolte anche da società di gestione del mercato, cioè da soggetti privati. Capitolo 3 - IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO LE FUNZIONI E L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA La funzione di amministrazione ATTIVA consiste nell’esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad un apparato pubblico al fine di curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati, L’INTERESSE PUBBLICO. LE FUNZIONI: La legge, allorché istituisce un apparato amministrativo, ne delinea anzitutto le funzioni correlato alle finalità di interesse pubblico. I fini pubblici concorrono a definire la missione affidata ad un soggetto pubblico che consiste appunto nella cura di un determinato interesse pubblico individuato dalla legge. L’esigenza di tutelare un interesse pubblico si afferma via via nella coscienza sociale e ciò si traduce di regola in normative che prevedono anche l’istituzione di un apparato pubblico per lo svolgimento delle attività necessarie per curare tale interesse. Quanto più i fini sono definiti dalla legge in modo preciso e focalizzato, tanto più mirata può risultare l’azione posta in essere dall’apparato e tanto più agevole è anche valutare EX POST l’operato dell’ente. FUNZIONI AMMINISTRATIVE: Si intendono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, in coerenza con la finalità ad esso affidata. L’apparato è tenuto ad esercitarle per la cura in concreto dell’interesse pubblico. A tal fine la legge conferisce agli apparati amministrativi le risorse e i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi ultimi tra gli organi che compongono l’apparato (competenze). L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA: L’esercizio delle funzioni comporta lo svolgimento da parte dell’apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. Possiamo dire che l’attività amministrativa consiste nell’insieme dei comportamenti e decisioni riconducibili ad una P.A. in relazione alle funzioni affidate ad essa da una legge. L’attività amministrativa è rivolta ad uno scopo o fine pubblico, cioè alla cura di un interesse pubblico e, per questo, anch’essa è dotata del carattere della doverosità (il mancato esercizio dell’attività può essere fonte di responsabilità). Art.1 L.241/1990 L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla 21 presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario. La sua nozione di attività amministrativa va distinta da quella di atto o provvedimento: essa si presta a qualificazioni che consentono di valutare in modo complessivo e unitario l’operato delle singole amministrazioni in termini sia di legalità sia di efficienza, efficacia e economicità. A ciò provvedono gli organi di controllo come la Corte dei conti, preposta al controllo successivo sull’attività degli enti pubblici. L’atto amministrativo, che costituisce un singolo episodio o un frammento dell’attività posta in essere da un apparato, si presta invece ad essere valutato sotto i profili della conformità o meno all’ordinamento (legittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso concreto l’interesse pubblico (opportunità o merito amministrativo). Una questione interpretativa è stabilire dove vada tracciata la “linea di confine” tra attività amministrativa e attività di diritto privato in senso proprio della P.A. La giurisprudenza tende a ritenere che un apparato pubblico svolge attività amministrativa “non solo quando esercita funzioni pubbliche e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato”. IL POTERE, IL PROVVEDIMENTO, IL PROCEDIMENTO L’attività amministrativa può esprimersi, oltre che in comportamenti materiali, nell’adozione di atti o provvedimenti amministrativi che sono la manifestazione concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad un apparato pubblico. IL POTERE: è una nozione di teoria generale. Essa può essere applicata, oltre al potere amministrativo: a) Potere legislativo  consiste nel dettare norme generali e astratte che innovano l’ordinamento giuridico; b) Potere giurisdizionale  consiste nel risolvere nel risolvere una controversia con una sentenza suscettibile di passare in giudicato. Il potere è una categoria sociologica correlata alle dinamiche dei gruppi organizzati: alcuni individui, per proprie virtù o abilità, sono in grado di esercitare un’influenza dominante su altri individui. I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime nella possibilità di produrre, con una manifestazione di volontà unilaterale, effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Essa si aggiunge alla capacità giuridica generale di diritto comune, intesa quest’ultima come attitudine ad assumere la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive previste dall’ordinamento, di cui essi, al pari delle persone giuridiche private, sono dotati. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovraordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. 22 Il potere si divide in:  Potere in astratto  potere definito dalla legge nei suoi elementi costitutivi: dove l’amministrazione agisca in mancanza di una norma attributiva del potere, si configura un difetto assoluto di attribuzione che determina la nullità del provvedimento. Esso ha il carattere dell’inesauribilità: fin tanto che resta in vigore la norma attributiva, esso si presta ad essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni concrete.  Potere in concreto  potere esercitato in concreto ogni qual volta si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere. L’ATTO E IL PROVVEDIMENTO: nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento; la nozione di atto amministrativo costituisce una nozione elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, possiamo trovare: a) Nell’art.113 Costituzione: richiama due aspetti del regime giuridico degli atti amministrativi, cioè la sottoposizione necessaria ad un controllo giurisdizionale e la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. b) In alcune norme di legge: nelle norme sul processo amministrativo, in diverse norme della legge 241/90 ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato e dotato di autoritarietà (attitudine a determinare in modo unilaterale la produzione degli effetti giuridici nei confronti di terzi) Atto amministrativo: include ogni dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica nell’esercizio di una potestà amministrativa. Sono atti amministrativi:  Pareri  Valutazioni tecniche  Proposte  Intimazioni Provvedimento amministrativo: manifestazione di volontà, espressa dall’amministrazione titolare del potere all’esito di un procedimento, volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo. Sono provvedimenti:  Decreto di espropriazione  Autorizzazione  Sanzione amministrativa IL PROCEDIMENTO: la L.241/1990 richiama la nozione di procedimento amministrativo: essa è stata elaborata dalla dottrina giuspubblicistica verso la metà del secolo scorso. L’esercizio del potere amministrativo avviene secondo il modulo del procedimento, cioè attraverso una SEQUENZA di operazioni e di atti strumentali all’emanazione di un provvedimento produttivo degli effetti giuridici tipici nei rapporti esterni. 25 Sussistono alcune specificità del potere amministrativo rispetto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale:  Nei rapporti interprivati il diritto potestativo stragiudiziale trova un fondamento consensuale di tipo pattizio.  Il potere amministrativo trova un fondamento nella legge, ossia nella norma di conferimento del potere piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si produce l’effetto e senza che sussista un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la P.A. Il potere conferito dalla legge alla P.A. non è sempre integralmente vincolato, anzi all’amministrazione sono attribuiti margini più o meno ampi di valutazione discrezionale che possono determinare una modulazione degli effetti del provvedimento emanato. LA NORMA ATTRIBUTIVA DEL POTERE Secondo una classificazione tradizionale, le norme che si riferiscono alla P.A. sono di due tipi: a) NORME DI AZIONE  esse disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della P.A. e hanno lo scopo di assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell’interesse dei soggetti privati; b) NORME DI RELAZIONE sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra amministrazione e soggetti privati e garantiscono gli stessi. Oggi è preferibile utilizzare la formula generica “norma attributiva o di conferimento del potere” che individua:  Soggetto competente: ogni potere amministrativo deve essere attribuito ad uno e un solo soggetto e, dove l’organizzazione si articoli in una pluralità di organi, ad uno e un solo organo. La norma deve individuarlo con precisione. [l’atto emanato da un soggetto o organo diverso da quello previsto è affetto da vizio di competenza.]  Fine pubblico: costituisce un elemento che è specificato dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina una certa materia. Il fine pubblico è etero – imposto dalla norma: la violazione del fine configura un vizio di eccesso di potere per sviamento.  Presupposti e requisiti: in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato; la loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del potere. L’espressione “presupposti e requisiti di legge” è utilizzata dall’art.19 L.241/90 ed è riferita all’autorizzazioni vincolate che sono sostituite dalla S.C.I.A., ossia da una semplice comunicazione effettuata dal privato all’amministrazione contestuale all’inizio dell’attività. Es: T.U. in materia edilizia (D.P.R. 380/2001), per quanto riguarda il “permesso a costruire” 26 come presupposti deve esserci la conformità dei regolamenti edilizi e la conformità del progetto alle previsioni degli strumenti urbanistici.  Requisiti formali degli atti (forma scritta) e modalità dell’esercizio del potere  Elemento temporale dell’esercizio del potere: avvio del procedimento – deve specificare il tempo massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo – tempo per l’adozione degli atti endoprocedimentali.  La norma attributiva individua in termini astratti gli effetti giuridici che l’atto amministrativo può produrre una volta emanato all’esito del procedimento. I provvedimenti, essendo una manifestazione del potere, hanno l’attitudine a produrre degli effetti, che possono essere: - COSTITUTIVI (concessioni amministrative) - MODIFICATIVI (sanzione disciplinare di sospensione d’iscrizione ad un albo professionale) - ESTINTIVI (esproprio) IL POTERE DISCREZIONALE La discrezionalità, che può essere riferita, oltre che al potere, anche all’attività e al provvedimento amministrativo, costituisce la nozione forse più caratteristica del diritto amministrativo. DISCREZIONALITA’ Nel diritto amministrativo la discrezionalità connota l’essenza stessa dell’amministrare, cioè della cura in concreto degli interessi pubblici. Tale attività presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. Emerge una tensione quasi insanabile con il principio di legalità intenso in senso sostanziale, che nella sua accezione più estrema porterebbe ad attribuire all’amministrazione soltanto poteri vincolati. MA ciò, oltre ad essere impossibile, sarebbe inopportuno. Infatti, le situazioni concrete nelle quali l’amministrazione deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e di imprevedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di adattabilità della misura da disporre. Emerge una differenza rispetto al diritto privato nel quale l’autonomia negoziale è espressione della libertà dei privati di provvedere alla cura dei propri interessi. Dove si mantengano nei limiti del lecito, le scelte dei privati non sono sottoposte a regole e principi particolari; basta cioè che il soggetto privato sia pienamente capace e che la sua volontà non sia affetta da vizi. Il fine concretamente conseguito del soggetto privato è relegato alla sfera interna di quest’ultimo ed è insindacabile. L’amministrazione titolare di un potere invece ha un ambito di libertà più RISTRETTO, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni deve avvenire nel rispetto di un vincolo interno consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. 27 La discrezionalità amministrativa non trova una definizione legislativa, anche se è richiamata direttamente e indirettamente in alcune disposizioni generali: l’art.11 L.241/90, nel disciplinare gli accordi tra l’amministrazione procedente e i privati, specifica che essi hanno per oggetto “il contenuto discrezionale del provvedimento”. L’art.21 octies L.241/90 pone un limite all’annullabilità del provvedimento affetto da vizi del procedimento o della forma allorché esso abbia “natura vincolata”. Il Codice del processo amministrativo, a proposito del giudizio avverso il silenzio della P.A., chiarisce che il giudice può conoscere la fondatezza della pretesa del ricorrente ad ottenere un provvedimento favorevole richiesto “solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità”. Nell’ambito del giudizio di legittimità infatti il giudice NON può mai sostituire le proprie valutazioni di merito a quelle dell’amministrazione. La DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene attraversi una VALUTAZIONE COMPARATIVA (ponderazione) degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale. Tra di essi abbiamo: interesse pubblico PRIMARIO (fine pubblico) individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere compito dell’amministrazione è MASSIMIZZARE la realizzazione dell’interesse primario. Ma vi sono anche gli interessi SECONDARI rilevanti che possono emergere sia dall’istruttoria o possono essere individuati dalle norme che disciplinano il tipo particolare di procedimento e tra questi annoveriamo gli interessi pubblici incisi dal provvedimento. La scelta operata dall’amministrazione deve contemperare l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minore sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento. La discrezionalità amministrativa incide su 4 elementi logicamente distinti: 1) AN cioè sul SE esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento. 2) QUID cioè sul CONTENUTO del provvedimento. 3) QUOMODO cioè sulle MODALITA’ da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento. 4) QUANDO cioè sul MOMENTO OPPORTUNO per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest’ultimo, per emanare i provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento. In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o vincolato in relazione ad uno o più di questi elementi. Bisogna porre la distinzione tra:  Discrezionalità in astratto 30 L’INTERESSE LEGITTIMO Al pari del diritto soggetti, esso trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale (art.24, art.103, art.113 Cost) ed è una situazione giuridica soggettiva. La distinzione tra le due categorie di situazioni giuridiche ha assunto tradizionalmente rilievo sotto due aspetti:  è assurta a criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggetti mentre il secondo della giurisdizione sugli interessi legittimi;  è servita a delimitare l’ambito della responsabilità civile della responsabilità della P.A. Questo secondo aspetto è stato superato dalla sentenza delle S.U. della Cassazione n.500/99 che, ha aperto la strada alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. Il primo aspetto mantiene la sua attualità: la Corte Costituzionale in una sentenza che può essere considerata come la pronuncia più importante in materia di assetto della giustizia amministrativa (Sentenza 204/2004), ha sconfessato il tentativo del legislatore della fine degli anni ’90 di superare la distinzione tra diritti soggettivi e interesse legittimi come criterio di riparto della giurisdizione sostituito dal criterio oggettivo dei blocchi di materie. La Corte ha ribadito che la giurisdizione amministrativa ha per oggetto gli interessi legittimi; ad essa può essere devoluta in casi tassativi anche la cognizione di diritti soggettivi, ma solo quando questi ultimi sono in qualche modo connessi e intrecciati ad un rapporto nel quale l’amministrazione si presenta essenzialmente in veste di autorità. Per dar conto della nascita dell’interesse legittimo, bisogna ricordare al modello del giudice unico fu aggiunta nel 1889 la IV sezione del consiglio di stato che mirava ad introdurre un nuovo rimedio per tutelare le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. Dell’interesse legittimo sono state date varie ricostruzioni, oramai superate, che bisogna però analizzare: Il diritto fatto valere come interesse Ci fu chi ritenne che la situazione giuridica soggettiva devoluta alla cognizione della IV Sezione fosse un normale diritto “fatto valere come interesse”. Si propose come criterio per incardinare la competenza della IV Sezione quella del PETITUM, ovvero della richiesta formulata dal ricorrente di annullamento del provvedimento emanato piuttosto che la richiesta del mero risarcimento del danno, riservata al giudice ordinario. Era così rimessa alla libera scelta del privato, in funzione del tipo di tutela che intendeva ottenere, la via giurisdizionale da perseguire, senza necessità di costruire una nuova situazione giuridica soggettiva distinta dal diritto soggettivo. Questa concezione fu disattesa dalla giurisprudenza, che invece ancorò il riparto di giurisdizione al criterio più oggettivo della CAUSA PETENDI, cioè quella situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio. 31 L’interesse legittimo come interesse di mero fatto Per lungo tempo un filone dottrinale negò all’interesse legittimo la consistenza di vera e propria situazione giuridica avente natura sostanziale, ascrivendo ad essa soltanto un significato processuale. L’interesse legittimo fu considerato come un interesse di mero fatto, collegato alla norma di azione volta a tutelare in modo esclusivo l’interesse pubblico. L’interesse di mero fatto fa però sorgere in capo al privato un interesse processuale ad attivare la tutela davanti al giudice amministrativo nel momento in cui l’amministrazione emana un atto amministrativo illegittimo. Il diritto alla legittimità degli atti L’interesse legittimo doveva essere qualificato come un “diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa”, cioè un diritto soggettivo avente per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l’azione amministrativa sia conforme alle norme che regolano il potere esercitato. In realtà la legittimità dell’azione amministrativa non sembra costituire di per sé un bene della vita suscettibile di essere oggetto di una situazione giuridica di diritto soggettivo. Il diritto affievolito Si basa sulla “teoria della DEGRADAZIONE (o dell’affievolimento)” del diritto soggettivo: essa considera l’interesse legittimo come un diritto affievolito, cioè come la risultante dell’atto di esercizio del potere amministrativo che incide su un diritto soggettivo. Il provvedimento autoritativo (o imperativo), ancorché illegittimo, è idoneo ad intaccare (a degradare) il diritto soggettivo trasformandolo in interesse legittimo (esempio di diritto affievolito: il diritto di proprietà che viene inciso dal potere espropriativo). Gli effetti pratici di questo tipo di impostazione furono quelli di restringere l’area del diritto soggettivo, ritenuto sempre cedevole di fronte al potere amministrativo, relegando così ad un ruolo marginale il giudice ordinario; quest’ultimo divenne quasi esclusivamente il giudice dei meri comportamenti della P.A. non collegati all’esercizio del potere amministrativo. L’interesse occasionalmente protetto L’interesse legittimo si distingue dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela in modo diretto solo l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo, senza che peraltro sussista alcuna garanzia in ordine alla sua acquisizione o conservazione. La presenza di un ambito di discrezionalità esclude infatti che il soggetto titolare sia in grado di prevedere ex ante l’assetto finale degli interessi posto dal provvedimento emanato; quest’ultimo potrebbe, del tutto legittimamente, negare o sacrificare l’utilità collegata all’interesse legittimo. 32 L’interesse legittimo fonda in capo al suo titolare soltanto la pretesa a che l’amministrazione eserciti il potere in modo legittimo, cioè in conformità con la norma di azione. Il titolare dell’interesse legittimo può cercare di influenzare l’esercizio del potere in senso a sé più favorevole attraverso la partecipazione al procedimento, fornendo elementi che possono orientare in tal senso la valutazione discrezionale. La norma attributiva del potere offre in definitiva al titolare dell’interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l’esercizio del potere, anziché finale, come accade invece per il diritto soggettivo, nel quale la norma attribuisce al suo titolare in modo diretto un certo bene della vita o utilità. Ricostruzioni più recenti dell’interesse legittimo L’impianto delineato fino ad adesso è entrato in crisi con i valori espressi dalla Costituzione, dall’ordinamento europeo e dalla legge 241/90. La Costituzione attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità e che pertanto ad entrambi l’ordinamento deve assicurare una tutela piena ed effettiva (ex art.24 Cost.). Per il superamento della concezione tradizionale dell’interesse legittimo è stata determinante l’apertura alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo, operata con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.500/1999. La Corte ha posto cioè una linea di confine della risarcibilità tutta all’interno dell’interesse legittimo in ragione della rilevabilità, nella situazione concreta, di una lesione ad un bene della vita già ascrivibile in qualche modo alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell’interesse legittimo. La connotazione sostanziale dell’interesse legittimo emerge dal modo nel quale la giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo devoluta ora alla giurisdizione del giudice amministrativo. La giurisprudenza si è posta la questione SE il risarcimento del danno costituisca un diritto soggettivo distinto dall’interesse legittimo, nel senso che la lesione di quest’ultimo ad opera del provvedimento illegittimo fa sorgere in capo al suo titolare un diritto al risarcimento del danno. La Corte Costituzionale, nella sentenza 204/2004, ha inteso l’azione risarcitoria non già come volta a tutelare un diritto soggettivo autonomo, bensì in funzione “rimediale”, cioè come tecnica di tutela più tradizionale costituita dall’annullamento. SE l’interesse legittimo incorpora anche una pretesa risarcitoria, essa ha necessariamente per oggetto un bene della vita suscettibile di essere leso da un provvedimento illegittimo. L’interesse legittimo ha una connotazione sostanziale. L’interesse legittimo è una SITUAZIONE GIURIDICA SOGGETTIVA, correlata al potere della P.A. e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti ad influire sull’esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. 35 BISOGNO DI TUTELA TUTELA RISARCITORIA INTERESSI LEGITTIMI OPPOSITIVI Il bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita. L’annullamento dell’atto impugnato con efficacia ex tunc soddisfa in modo specifico tale bisogno. Il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell’emanazione del provvedimento. INTERESSI LEGITTIMI PRETENSIVI Il bisogno di tutela è legato invece all’interesse all’acquisizione del bene della vita. Rispetto a questo bisogno l’annullamento del provvedimento di diniego o, nel caso di silenzio – inadempimento, l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di concludere il procedimento nel termine stabilito ex art.2 L.241/90 con un provvedimento espresso si rivelano insufficienti. Solo una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l’amministrazione ad emanare un provvedimento richiesto risulta pienamente satisfattiva azione di adempimento: azione di un condanna ad un FACERE specifico. INTERESSI LEGITTIMI OPPOSITIVI Essa riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non può porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. INTERESSI LEGITTIMI PRETENSIVI La tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l’amministrazione sia rimasta inerte. La sentenza che accoglie l’azione di adempimento, condannando l’amministrazione ad emanare il provvedimento richiesto, non riesce infatti a porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. 36 La distinzione tra i due tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i provvedimenti a doppio effetto, che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo e un effetto restrittivo della sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine ad un rapporto giuridico trilaterale. Per esempio: si pensi al rilascio di un permesso a costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica al proprietario del terreno confinante o al rilascio di un’autorizzazione ad avviare un’attività commerciale in concorrenza con un esercizio posto nelle immediate vicinanze che subirebbe una contrazione del proprio giro d’affari. In questi casi, la dinamica dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo o e oppositivo diventa più articolata, sia nell’ambito del procedimento, sia nell’ambito del processo, proprio perché si instaura anche una dialettica che vede contrapposti due interessi privati. Nella fase procedimentale le parti private tenderanno infatti a sottoporre all’amministrazione gli elementi istruttori e valutativi che inducano quest’ultima a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrario all’interesse dell’altra parte privata. Nella fase processuale successiva all’emanazione del provvedimento che determina contestualmente un effetto ampliativo nei confronti di un soggetto e uno restrittivo nei confronti di un altro, invece, accanto alla parte ricorrente che impugna il provvedimento chiedendone l’annullamento e all’amministrazione resistente, interviene come parte processuale necessaria il controinteressato. I CRITERI DI DISTINZIONE TRA DIRITTI SOGGETTIVI E INTERESSI LEGITTIMI La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri interpretativi. a) Il primo criterio si incentra sulla struttura della norma attributiva del potere: ricorre ancora la distinzione tradizionale, tra norma di relazione e norma d’azione: la prima volta a regolare il rapporto giuridico tra P.A. e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo; la seconda, volta a disciplinare l’attività dell’amministrazione ai fini di tutela dell’interesse pubblico e alla quale è correlato l’interesse legittimo. Nelle norme di relazione, la produzione dell’effetto giuridico avviene in modo automatico sulla base dello schema norma – fatto – effetto. L’eventuale atto dell’amministrazione che accerta il prodursi dell’effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti ha un carattere meramente cognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito e lesivo del diritto soggettivo; l’accertamento della illiceità spetta al giudice ordinario. Nella norma di azione la produzione dell’effetto avviene secondo lo schema norma – fatto – potere – effetto. Il provvedimento emanato dall’amministrazione ha un carattere costitutivo dell’effetto giuridico nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione va qualificato come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo. L’annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al 37 giudice amministrativo. La distinzione tra norme di relazione e norme di azione non regge quando a quest’ultima si attribuisce un valore di disciplina del rapporto giuridico amministrativo. b) Il secondo criterio consiste nella distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale: in presenza di un potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente interesse legittimo. Ciò perché la conservazione o l’acquisizione del bene della vita in capo al soggetto privato è rimessa alla valutazione dell’amministrazione titolare del potere. Di fronte al potere discrezionale il soggetto privato non è in grado di prevede con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta dall’amministrazione all’esito del procedimento; manca quindi la possibilità di ascrivere in modo immediato e diretto il vantaggio o bene della vita alla sfera giuridica del soggetto privato, ciò che invece caratterizza invece la struttura del diritto soggettivo. Diversa è la situazione nel caso in cui il potere sia vincolato. In questo caso, il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado di prevedere con certezza se l’amministrazione riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. Il cd giudizio di spettanza ha carattere univoco, ove la situazione di fatto e di diritto venga ricostruita in modo corretto dall’amministrazione. La situazione in cui versa il privato è in questo caso assimilabile a quella in cui si trova il titolare di un diritto soggettivo. Questo criterio offre una soluzione certa solo quando il potere ha natura discrezionale. c) Un terzo criterio tradizionale, introdotto dalla Corte di Cassazione si fonda sulla diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell’atto emanato. Se viene contestata l’assenza di un fondamento legislativo del potere (carenza di potere) o una deviazione abnorme dallo schema normativo (straripamento di potere), l’atto emanato dall’amministrazione è in realtà una parvenza di provvedimento, privo dell’idoneità a produrre l’effetto tipico nella sfera giuridica del destinatario (provvedimento nullo o inesistente). La situazione giuridica soggettiva di cui il privato è titolare resiste di fronte al potere e non subisce alcuna degradazione tramutandosi in un interesse legittimo. Se il soggetto privato lamenta il cattivo esercizio del potere, senza però contestarne in radice l’esistenza, deducendo un vizio di legittimità del provvedimento (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge), la situazione giuridica fatta valere nei confronti dell’amministrazione ha la consistenza di un interesse legittimo. La giurisprudenza ha incluso nella carenza di potere anche la carenza di potere IN CONCRETO, ipotesi che si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere all’amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare. La carenza di potere in concreto in concreto è stata oggetto di contrasti tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo anche in ragione delle conseguenze che ne derivano in termini di ampliamento o restrizione dei rispettivi ambiti di giurisdizione. La carenza di potere in concreto sarebbe inquadrabile nella categoria generale della violazione di legge e determinerebbe soltanto l’annullabilità del provvedimento emanato. Questi criteri però non hanno risolto il problema della distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, tanto da indurre il legislatore a devolvere un numero elevato di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 40 verifica non solo nel caso delle norme interne, ma anche nel caso di norme poste da fonti normative primarie o secondarie. Per esempio: le norme che impongono alle amministrazioni di adottare atti di pianificazione (urbanistici, del traffico). La violazione di questi doveri rileva, di regola, solo all’interno dell’organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine, a seconda dei casi, ad interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei dirigenti e dei funzionari responsabili della violazione o ad altre forme di penalizzazione. I soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da queste attività vantano un interesse di mero fatto (o interesse semplice) a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di tipo giurisdizionale. I portatori di un interesse di mero fatto possono infatti tutt’al più promuovere l’osservanza da parte delle amministrazioni dei doveri, per esempio sollecitandole ad attivarsi (con segnalazioni o petizioni) o attraverso campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica o intraprendendo azioni di tipo politico. Emerge così la necessità di distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi. I criteri base sono due: CRITERIO DELLA DIFFERENZIAZIONE Perché possa configurarsi un interesse legittimo, occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto all’amministrazione gravata da un dovere di agire sia in qualche modo differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento. Può essere rilevante a questo riguardo l’elemento fisico – spaziale della vicinanza, che rende più concreto il pregiudizio in capo a taluni soggetti. CRITERIO DELLA QUALIFICAZIONE Gli interessi di mero fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale: è così emersa in dottrina e giurisprudenza la nozione di interesse diffuso è stato definito come “interessi non personalizzati, senza struttura, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti. Il carattere diffuso dell’interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale ad esso correlato che non è suscettibile di appropriazione e di godimento esclusivi. Si tratta di beni pubblici non rivali e non escludibili: non rivali perché il loro consumo da parte di uno non ne impedisce la fruizione da parte di un altro, non escludibili perché, una volta fornito il bene, nessuno può essere escluso dalla fruizione. Gli interessi diffusi hanno una certa rilevanza sia in sede procedimentale che in sede processuale: sotto il primo profilo l’art.9 L.241/90 attribuisce la facoltà di intervenire nel procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati ai quali possa derivare un pregiudizio del provvedimento; sotto il secondo profilo il diritto di partecipazione consente di immettere nel procedimento interessi riferibili alla collettività che non coincidono necessariamente con quello curato in via istituzionale e dall’amministrazione titolare del potere. 41 La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi si basa su 3 criteri: 1. Partecipazione al procedimento: la prima strada proposta in dottrina, che però non ha trovato un riscontro positivo nella giurisprudenza, è stata quella di individuare nella partecipazione al procedimento ex L.241/90 un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentire l’impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del procedimento. La partecipazione al procedimento assolve non solo alla funzione di tutela preventiva degli interessi dei soggetti suscettibili di essere incisi dal provvedimento, ma anche a quella di fornire all’amministrazione una gamma più ampia di informazioni utili per esercitare meglio il potere. Essa ha un ambito naturale più ampio della legittimazione processuale che può essere riconosciuta soltanto dal titolare di una situazione giuridica soggettiva in senso proprio che ha subito una lesione alla quale occorre porre rimedio. 2. Elaborazione della nozione di interesse collettivo: sono interessi riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati. A questi organismi è stata riconosciuta una legittimazione processuale autonoma, correlata ad una situazione di interesse legittimo, allo scopo di tutelare gli interessi della categoria in quanto tale. 3. Legittimazione EX LEGE: per esempio, il codice del consumo attribuisce alle organizzazioni rappresentative dei consumatori a livello nazionale e iscritte in un elenco presso il ministero dello sviluppo economico, la legittimazione a proporre azioni in sede giudiziaria civile a tutela degli interessi collettivi dei consumati. Gli INTERESSI INDIVIDUALI OMOGENEI O ISOMORFI vanno distinti dagli interessi diffusi e collettivi, che hanno una dimensione superindividuale in senso proprio. Essi infatti mantengono il carattere di situazioni giuridiche soggettive individuali e acquistano una dimensione collettiva solo per il fatto di essere comuni ad una pluralità o molteplicità di soggetti. Per esempio, agli utenti del servizio elettrico di una città nella quale si verifica una situazione di interruzione della fornitura di energia elettrica protratta nel tempo. In questi casi l’interesse leso resta un interesse individuale e l’elemento di omogeneità e comunanza consiste nel fatto che la lesione deriva da un’attività illecita o illegittima plurioffensiva. Per questi interessi l’ordinamento prevede forme di tutela non giurisdizionale semplificate, meno formalizzare e costose, innanzi ad organismi di mediazione o conciliazione, oppure innanzi alle stesse autorità amministrative di regolazione (ADR). Di recente, il legislatore ha introdotto per essi rimedi processuali particolari ribattezzati “azione di classe”, ispirandosi a modelli invalsi soprattutto negli USA. In esse i diritti lesi dal comportamento illecito sono dedotti in giudizio da un rappresentate dell’intera classe, salva la facoltà dei singoli di dichiarare la loro non adesione con la clausola di opt out, e il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni da esperire davanti al giudice amministrativo che consente ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti e consumatori di adire il giudice amministrativo in caso di accertata violazione dei livelli di qualità predefiniti. 42 I PRINCIPI GENERALI I principi generali si ricavano da più fonti: a) Costituzione: art.97  principio di imparzialità e buon andamento della P.A. b) Carta dei diritti fondamentali dell’UE diritto alla buona amministrazione c) Trattati europei I principi europei e nazionali sono oramai tra loro intrecciati in virtù dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. I PRINCIPI SULLE FUNZIONI  Principio di sussidiarietà (verticale – ex art.118: la generalità delle funzioni è attribuita al livello di governo più vicino al cittadino e cioè il comune). Le funzioni amministrative vanno allocate tra gli enti territoriali secondo il principio della dimensione degli interessi.  Principio dell’adeguatezza  Principio di differenziazione - principi di efficienza e economicità, di responsabilità e unicità dell’amministrazione  Principio di sussidiarietà orizzontale: serve a definire i rapporti tra poteri pubblici e società civile.  Principio di proporzionalità I PRINCIPI SULLE ATTIVITA’ Art.1 L.241/1990: L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario.  Principio dell’amministrazione di risultato  Principio di economicità  Principio di efficienza  Principio di efficacia I PRINCIPI SULL’ESERCIZIO DEL POTERE DISCREZIONALE (fungono da guida per la P.A.) Sono principi indipendenti 45 amministrative indipendenti, tende ad offrire un’interpretazione estensiva ed elastica delle norme attributive del potere, anche nel tentativo di colmare alcune lacune presenti nelle leggi di settore. LA CD IMPERATIVITA’ L’imperatività o autoritarietà è deducibile dall’art.1 comma 1bis L.241/90: essa consiste nel P.A. titolare di un potere attribuito dalla legge può imporre al soggetto privato destinatario del provvedimento le proprie determinazioni operando in modo unilaterale una modifica nella sua sfera giuridica. Nell’imperatività si manifesta la dimensione verticale (di sovraordinazione) dei rapporti tra stato e cittadino che si contrappone a quella orizzontale (di equiordinazione) delle relazioni giuridiche privatistiche. L’imperatività coincide con l’unilateralità nella produzione di un effetto giuridico che accomuna ogni atto di esercizio di un potere in senso proprio. L’efficacia del provvedimento non dipende dalla validità del medesimo, cioè dalla sua conformità alla norma attributiva del potere; anche l’atto illegittimo è in grado di produrre gli effetti tipici al pari dell’atto valido. Tuttavia gli effetti possono essere rimossi con efficacia retroattiva, insieme al provvedimento viziato, in seguito ad una sentenza di annullamento del giudice amministrativo, oppure in seguito all’annullamento pronunciato dalla stessa amministrazione. Solo il provvedimento affetto da nullità ai sensi dell’art.21speties L.241/90 non ha carattere imperativo e dunque le situazioni giuridiche soggettive di cui è titolare il soggetto privato destinatario non sono intaccate e resistono di fronte alla pretesa dell’amministrazione. L’imperatività emerge con più evidenza negli atti amministrativi che determinano effetti ablatori o restrittivi della sfera giuridica del destinatario; la volontà eventualmente contraria del soggetto privato non preclude il prodursi dell’effetto giuridico. Il destinatario del provvedimento si trova in una posizione di passività (di soggezione). L’ESECUTORIETA’ E L’EFFICACIA L’esecutorietà può essere definita come il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza doversi rivolgere preventivamente ad un giudice allo scopo di ottenere l’esecuzione forzata. La P.A. ha la possibilità di portare ad esecuzione i provvedimenti con propri uomini e mezzi; così se il proprietario di un bene non coopera all’esecuzione del provvedimento di esproprio con la consegna materiale spontanea del bene, se necessario, anche con l’uso della forza. Mentre l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiale necessarie per conformare la realtà di fatto alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento. PRIMA dell’introduzione dell’art.21 ter (l.241/90), il fondamento dell’esecutorietà è stato rinvenuto nella “presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo. La sua giustificazione teorica venne individuata nella provenienza dell’atto amministrativo da organi espressione della sovranità, nell’esigenza di assicurare un andamento regolare e sollecito 46 dell’attività amministrazione, nelle garanzie offerte dai metodi concorsuali di selezione dei funzionari pubblici e nel sistema dei controlli amministrativi. Questi e altri elementi portano a ritenere che i provvedimenti siano emanati in modo legittimo e dunque possono essere portati ad esecuzione dall’amministrazione immediatamente. IN REALTA’, la presunzione di legittimità aveva una connotazione ideologica e si ricollegava ad una visione autoritaria dei rapporti tra Stato e cittadino. La dottrina ha dimostrato da tempo l’inconsistenza teorica di questo principio. OGGI: l’art.21 ter l.241/90 pone una disciplina embrionale dell’esecuzione coattiva dei provvedimenti, confermando anzitutto la dottrina prevalente secondo la quale l’esecutorietà non è una caratteristica propria di tutti i provvedimenti amministrativi, ma deve essere di volta in volta prevista dalla legge. Il comma 1 precisa che il potere di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’amministrazione solo nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge. In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, quest’ultimo deve indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l’esecuzione coattiva può avvenire solo previa adozione di un atto di diffida con il quale l’amministrazione intima al privato di porre in essere le attività esecutive già indicate nel provvedimento, concedendo così al privato un’ultima chance. L’esecutorietà del provvedimento dà luogo ad un procedimento d’ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. L’esecutorietà del provvedimento presuppone che il provvedimento emanato sia EFFICACE ed ESECUTIVO. La l.241/90 dedica due articoli all’efficacia e all’esecutività del provvedimento:  Art.21bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario e ha dunque natura recettizio. Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere “cautelare e urgente” che sono immediatamente efficaci.  Art.21quater disciplina l’esecutività del provvedimento, secondo il quale i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento amministrativo (l’esecuzione del provvedimento può essere differita o sospesa discrezionalmente dall’amministrazione). All’efficacia del provvedimento consegue la NECESSITA’ che esso venga portato subito ad esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l’atto, e prima ancora dal destinatario del medesimo, là dove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest’ultimo un obbligo di dare o di fare. L’INOPPUGNABILITA’ Essa si ha allorché decorrono i termini previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo. In particolare:  l’azione di annullamento va proposta di regola, nel termine di decadenza di 60 giorni;  l’azione di nullità è soggetta ad un termine di 180 giorni;  l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma nel termine di 120 giorni; 47 Esigenze di certezza e di stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici conseguenti all’emanazione di un provvedimento giustificano in definitiva la previsione di termini decadenziali brevi per l’esperimento dei mezzi di tutela giurisdizionale. Nei rapporti di diritto privato, la tutela giurisdizionale può essere attivata entro termini di prescrizione molto lunghi. L’inoppugnabilità non esclude che l’amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico esercitando, il potere di autotutela. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito ad ACQUIESCENZA da parte del destinatario, che consiste in una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento. GLI ELEMENTI STRUTTURALI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO – L’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE a) Soggetto: si individua in base alle norme sulla competenza: di regola, si tratta di P.A., ma in casi particolari, anche soggetti privati sono titolari di poteri amministrativi e i loro atti sono qualificabili come amministrativi. b) Volontà: il provvedimento è manifestazione della volontà dell’amministrazione che va intesa non già in senso psicologico, ma in senso oggettivato. I vizi della volontà non determinano, come accade per il negozio privato, in via diretta l’annullabilità del provvedimento, ma rilevano in via indiretta come figura sintomatica dell’eccesso di potere. c) Oggetto: si tratta della cosa, attività o situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce. Deve essere determinato o determinabile almeno. d) Contenuto: si ricava dalla parte dispositiva dell’atto e consiste in ciò che con esso l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare. Il contenuto può essere integrato con clausole accessorie che fissano prescrizioni e condizioni particolari, che devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla legge attributiva del potere. e) Motivazione: è la parte del provvedimento che (ex art.3 L.241/90), enuncia i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria. L’obbligo di motivazione, la cui violazione può essere una causa di annullabilità, costituisce, uno dei principi generali del regime degli atti amministrativi, che lo differenzia da quello sia degli atti legislativi, sia degli atti negoziali. La motivazione adempie a 3 funzioni principali: 1. Promuovere la trasparenza dell’azione amministrativa (rendendo palesi le ragioni delle scelte). 2. Agevola l’interpretazione del provvedimento. 3. Costituisce una garanzia per il soggetto privato che subisce dal provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull’operato dell’amministrazione. Nella motivazione l’amministrazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale e devono emergere le valutazioni operate dall’amministrazione stessa sugli apporti partecipativi dei privati e deve essere possibile ricostruire l’iter logico seguito dall’amministrazione per addivenire ad una certa 50 Molti casi di sanzioni di primo tipo sono disciplinati nel Codice della strada che contiene una serie di regole comportamentali soggette ad un’ampia gamma di sanzioni pecuniarie e non pecuniarie definite e quantificate direttamente dalla legge. Sanzioni amministrative per la violazione di provvedimenti amministrativi sono previste dal T.U. degli enti locali (d.lgs. 267/2000) nel caso di violazione di regolamenti degli enti locali o delle ordinanze contingibili e urgenti emanate dal sindaco o dal Presidente della provincia. Anche le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità possono irrogare sanzioni pecuniarie di importo assai elevato ne caso di inottemperanza ai provvedimenti regolatori e di tipo individuale. Sussiste un certo grado di fungibilità tra sanzioni penali e sanzioni amministrative: entrambi i tipi di sanzione hanno la finalità di prevenzione generale e speciale degli illeciti. La legge 689/1981 detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiamando una serie di principi tipicamente penalistici:  Principio di legalità: in base al quale nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione.  Principio della personalità: in base al quale le sanzioni possono essere irrogate sono nei confronti di chi abbia la capacità di intendere e di volere.  Principio della non trasmissibilità agli eredi Da qualche anno, la distinzione tra sanzioni amministrative e penali è stata messa in dubbio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; secondo la corte di Strasburgo, ex art.6 CEDU sul diritto ad un equo processo e ai fini dell’applicazione delle garanzie previste da tale disposizione, le sanzioni amministrative hanno natura sostanzialmente penale nei casi in cui, per il tipo e la gravità della sanzione irrogata, abbiano un carattere particolarmente afflittivo. Il diritto europeo attribuisce natura penale anche a sanzioni amministrative sulla base dei criteri ENGEL, dal nome della sentenza capostipite: a) Qualificazione giuridica formale attribuita dalla legge alla sanzione; b) Natura della sanzione ricavabile principalmente dallo scopo punitivo, deterrente e repressivo; c) Grado di severità della sanzione; Le sanzioni amministrative sono: 1. Sanzioni pecuniarie: fanno sorgere l’obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma. L’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito. Inoltre l’obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (OBLAZIONE) entro 60 giorni dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per l’accertamento dell’illecito. L’oblazione evita che si arrivi ad un accertamento definitivo dell’illecito e per l’amministrazione ha il vantaggio di non gravare gli uffici di un’attività istruttoria onerosa. 51 2. Sanzioni interdittive: incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della patente, decadenza di una concessione). 3. Sanzioni disciplinari: si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le P.A. e sono volte a colpire comportamenti posti in violazione di obblighi speciali collegati allo status particolare. Esse consistono, a seconda della gravità dell’illecito: a) Ammonizione b) Sospensione dal servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato c) Radiazione da un albo o dalla destituzione. Sul piano funzionale va posta la distinzione tra sanzioni in senso proprio, che hanno valenza repressiva e punitiva del colpevole e sanzioni RIPRISTINATORIE, che hanno come scopo principale quello di reintegrare l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito. Secondo alcune ricostruzioni, esse non dovrebbero essere considerate sanzioni amministrative in senso stretto. Ad esempio, in materia edilizia, nel caso di esecuzione di interventi in assenza o in difformità del permesso di costruire, l’amministrazione comunale ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione assegnando un termine, il quale, se decorre inutilmente, comporta l’acquisto dell’area da parte del comune. Le sanzioni amministrative sono applicate di regola, soltanto nei confronti del trasgressore e ciò in coerenza con il carattere personale della responsabilità. La persona giuridica può essere chiamata a rispondere solo a titolo di responsabilità solidale e l’ente che paghi la sanzione può esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’autore dell’illecito. Una particolare forma di responsabilità amministrativa è prevista a carico delle imprese e degli enti “per illeciti amministrativi dipendenti da reato” (D.lgs. 231/2001). Questa responsabilità sorge direttamente in capo all’ente per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli amministratori e dipendenti. Tra questi reati figurano per esempio, la truffa ai danni dello stato, la concussione o il riciclaggio di denaro. La responsabilità amministrativa degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive come per esempio, la sospensione e la revoca di autorizzazioni e licenze, l’esclusione da agevolazioni e finanziamenti pubblici, il divieto di contrattare con la P.A. All’applicazione di questo particolare tipo di sanzione amministrativa provvede il giudice penale competente a conoscere dei reati corrispondenti. L’ente può sottrarsi alla responsabilità amministrativa solo se dimostra di aver adottato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione da parte degli amministratori e dipendenti dei reati, introducendo regole e procedure interne. 52 LE ATTIVITA’ LIBERE SOTTOPOSTE A REGIME DI COMUNICAZIONE PREVENTIVA – S.C.I.A. I provvedimenti amministrativi con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono quelli di tipo “autorizzativo”. Negli ordinamenti giuridici che si ispirano al modello dello Stato di matrice liberal – democratica, l’attività dei privati è LIBERA, nel senso che essa è sottoposta solo esclusivamente al diritto comune. Vale la regola che è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, salvo i limiti generali posti dall’ordinamento civile e dai principi del NEMINEM LAEDERE. Tuttavia, nei casi in cui l’attività dei privati può interferire o mettere a rischio un interesse della collettività, si giustificano regole speciali volte a porre prescrizioni e vincoli particolari. Nel conformare le attività dei privati all’interesse pubblico le leggi amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità: esso impone un onere di giustificare la misura introdotta che deve comportare il minor sacrificio possibile dell’interesse privato. Così il rispetto delle leggi amministrative è assicurato in un primo gruppo di casi attraverso un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi e sanzionatori nei casi in cui vengono accertate violazioni. Per agevolare i controlli effettuati dall’amministrazione, in un secondo gruppo di casi di attività libere, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente ad una P.A. l’intenzione di intraprendere un’attività: talvolta la comunicazione è contestuale all’avvio dell’attività, altre volte tra la comunicazione e l’avvio dell’attività è previsto un termine minimo. La fattispecie delle attività regolato e sottoposte ad un regime di comunicazione preventiva è ora disciplinata in termini generali dall’articolo 19 L.241/90  Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), che ha sostituito dal 2010 la DIA (dichiarazione di inizio attività). Le attività sottoposte al regime della SCIA sono LIBERE, anche se conformate da un regime amministrativo. La SCIA riconduce una serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo (EX ANTE) sotto forma di “autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta”, ad un regime meno intrusivo di controllo successivo (EX POST), effettuato cioè dall’amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell’attività. Non è qualificabile come istanza ex art.2 L.241/90 (che dà avvio al procedimento per il rilascio di un titolo abilitativo), essa ha la funzione di consentire all’amministrazione di verificare se l’attività in questione è conforme alle norme amministrative. L’avvio dell’attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA allo sportello unico indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione. Il privato deve corredare la segnalazione con un’autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di dichiarazioni mendaci scattano sanzioni amministrative e penali. L’attività viene svolta sulla base di un’autovalutazione della conformità dell’attività della legge. In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti” previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività, l’amministrazione, nel termine perentorio di 60 giorni, emana un provvedimento 55 c) Autorizzazioni ricognitive: sono volte a valutare l’idoneità tecnica di persone o cose (es: abilitazioni per i professionisti); d) Licenze: è una categoria ibrida che ha due caratteristiche, in quanto riguarda le attività nelle quali non sono rinvenibili preesistenti diritto soggettivi dei privati e il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo tecnico e discrezionale. CONCESSIONI: sono atti con cui l’amministrazione attribuisce EX NOVO o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto privato. Nel rapporto giuridico amministrativo che si instaura tra il privato, che presenta l’istanza di concessione, e l’amministrazione, il privato si presenta come titolare di un interesse legittimo pretensivo e solo in seguito all’emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo a lui un diritto soggettivo pieno che può essere fatto valere anche nei confronti dei terzi. La concessione instaura in molti casi un rapporto di lunga durata con il concessionario caratterizzato da diritti e obblighi reciproci e da poteri di vigilanza più continuativa e anche da poteri di indirizzo delle attività poste in essere in base alla concessione. Può avere una valenza di tipo organizzativo e può realizzare una forma di partenariato pubblico – privato. Le concessioni si dividono in: a) Concessioni traslative: trasferiscono in capo ad un soggetto privato un diritto o un potere del quale è titolare l’amministrazione. Un esempio è la concessione dell’uso di un bene demaniale per l’installazione di uno stabilimento balneare; b) Concessioni costitutive: attribuiscono al soggetto privato un nuovo diritto; c) Concessioni di beni pubblici d) Concessioni di servizi pubblici o di attività sottoposte ad un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello Stato o di enti pubblici e) Concessioni di lavori o di servizi assimilati dal codice dei contratti pubblici: la differenza rispetto ai contratti di appalto di lavori e di servizi (aggiudicati all’esito di una procedura di evidenza pubblica) consiste nel fatto che nelle concessioni di questo tipo, il corrispettivo non è a carico dell’amministrazione appaltante, ma è costituito nel diritto a gestire l’opera o il servizio applicando un prezzo o una tariffa agli utenti che deve consentire il recupero dei costi per la realizzazione dell’infrastruttura La dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato la nozione di concessione – contratto o contratto accessivo al provvedimento con tale nozione il fenomeno concessorio si sdoppia in due componenti, ossia un provvedimento volto ad attribuire al concessionario il diritto a svolgere una certa attività, e un contratto o convenzione volti a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti in un rapporto di durata. Il contratto regola anche il diritto di recesso e quello di riscatto subordinandoli ad una serie di garanzie, incluso il pagamento di un indennizzo secondo criteri predefiniti. Sia per le concessioni che per le autorizzazioni, in mancanza di un atto di assenso preventivo dell’amministrazione, l’attività non può essere intrapresa. 56 Il diritto europeo è sempre stato nemico della discrezionalità e infatti numerose direttive europee hanno trasformato i regimi di concessione discrezionale in regimi di autorizzazione vincolata. Il D.lgs. 59/2010 di recepimento della direttiva sui servizi, afferma che l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie. I requisiti di accesso all’attività vietati in modo assoluto sono: a) Requisiti che richiedono al prestatore di servizi la cittadinanza o la residenza italiana (discriminazione); b) Applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio del titolo autorizzatorio alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o alla valutazione degli effetti economico – potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti c) Requisiti che sono ammessi solo in presenza di un motivo imperativo di interesse generale (ordine pubblico, sanità e ambiente) e previa notifica alla commissione europea; d) Nei casi in cui il numero delle autorizzazioni debba essere limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili o per altri motivi imperativi di interesse generale il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione pubblica sulla base di criteri resi pubblici e atti ad assicurare l’imparzialità. Le condizioni a cui i regimi autorizzatori subordinano l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi devono essere NON DISCRIMANTORIE, GIUSTIFICATE da un motivo di interesse generale, CHIARE, INEQUIVOCABILI, OGGETTIVE e rese PUBBLICHE preventivamente. In seguito alla sentenza 500/99 perde di significato ai fini della risarcibilità la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, in particolare la distinzione tra autorizzazioni e concessioni fondata sulla preesistenza o meno della titolarità in capo al soggetto privato di una situazione giuridica di diritto soggettivo. Ai fini della risarcibilità entra in gioco solo il giudizio prognostico, ossia una valutazione oggettiva sulla base della normativa applicabile e delle caratteristiche della situazione concreta e della possibilità di conseguire il bene della vita correlata al provvedimento autorizzativo negato. Alla luce del diritto europeo e del diritto interno, la distinzione più rilevante in materia autorizzazioni e concessioni è tra atti discrezionali e atti vincolati, in particolare tra:  Autorizzazioni discrezionali costitutive: l’atto amministrativo è la fonte diretta dell’effetto giuridico prodotto che ricollega al verificarsi di un fatto sussumibile nella norma il potere dell’amministrazione di produrre con una propria manifestazione di volontà un effetto giuridico in capo ad un soggetto terzo;  Autorizzazioni vincolate ricognitive: l’effetto giuridico si ricollega direttamente alla legge, ossia al verificarsi di un fatto sussumibile nella norma. All’autorità che emana l’atto è riservato in via esclusiva il compito di accertare la produzione dell’effetto giuridico. L’avvio dell’attività è precluso in assenza di un atto amministrativo perché l’ordinamento, per 57 ragioni di certezza delle relazioni giuridiche, riserva all’amministrazione il compito di verificare se sussistono in concreto i presupposti e i requisiti richiesti dalla norma per svolgerla. GLI ATTI DICHIARATIVI Gli atti amministrativi DICHIARATIVI nei quali il momento volitivo tipico dei provvedimenti è assente e ai quali va invece riconosciuta una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa finalizzata alla produzione di certezze giuridiche.  Certificazioni  sono dichiarazioni di scienza effettuata da una P.A. in relazione ad atti e fatti, qualità e stati soggettivi (art.18 L.241/90) La P.A. organizza e verifica la correttezza dei dati e informazioni in registri (es: i registri dello stato civile dei comuni): le certificazioni relative a questo tipo di dati si ricollegano ad una funzione di certezza pubblica. La certezza pubblica si realizza con due modalità: 1. La tenuta e l’aggiornamento di registri, albi, elenchi pubblici nei quali certe categorie di soggetti o beni possono essere iscritti in base a procedimenti tipizzati e in relazione al possesso di determinati requisiti; 2. La messa a disposizione ai soggetti interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni. Le certificazioni SOSTITUISCONO la modalità tradizionale per dimostrare il possesso di presupposti e requisiti richiesti ai privati per poter svolgere molte attività. Esse sono usualmente presentate insieme alle altre documentazioni necessarie nell’ambito dei procedimenti autorizzatori. L’art.18 L.241/1990 e il testo unico sulla documentazione amministrativa prevedono due modalità alternative alle certificazioni che dovrebbero essere preferite:  Da un lato, le P.A. sono tenute a scambiarsi d’ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i soggetti privati dell’onere di ottenere il rilascio dei certificati;  Dall’altro lato, in molti casi le certificazioni possono essere sostituite con la AUTOCERTIFICAZIONE, cioè tramite una dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità dal soggetto. Esse hanno ad oggetto la data, il luogo di nascita, la residenza, la cittadinanza, l’iscrizione in albi. (es: nella domanda di partecipazione ad un concorso pubblico la richiede). L’amministrazione che utilizza il dato autocertificato nell’ambito di un procedimento può verificarne, almeno a campione, la correttezza e deve farlo nei casi in cui sorgono dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni: SE l’autocertificazione risulta falsa possono essere irrogate sanzioni anche di tipo penale. 60 norme secondarie, norme di condotta e norme sulla produzione giuridica, norme di relazione e norme di azione. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come ILLECITI e contro di essi l’ordinamento reagisce in vario modo (sanzioni penali, obbligo di risarcimento). Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’invalidità può essere definita come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale: essa può essere sanzionata, in gravità della violazione, secondo due modalità: 1. L’inidoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell’ordinamento NULLITA’(prevista solo in relazione a poche ipotesi tassative). 2. L’idoneità a produrli in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice che, accertata l’invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore ANNULLABILITA’. Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo si ispira ma non coincide, con quello accolto dal codice civile che, nell’ambito della disciplina del contratto, distingue la nullità e annullabilità. Nel diritto amministrativo, in coerenza con la logica della legalità e della tipicità, le norme attributive del potere, in quanto finalizzate a garantire ai soggetti destinatari del provvedimento e a tutelare un interesse pubblico, hanno di regola carattere cogente (imperativo). Esse cioè non possono essere derogate o disapplicate dall’amministrazione: sanzionare con la nullità ogni difformità tra provvedimento e norma attributiva del potere costituirebbe una reazione sproporzionata da parte dell’ordinamento. L’invalidità può essere totale o parziale: la prima investe l’intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non affetta dal vizio. Anche il provvedimento amministrativo può essere colpito da invalidità totale o parziale; quest’ultima evenienza si può avere nel caso di provvedimento con effetti scindibili, come in quello degli atti plurimi. L’art.159 c.p.c. afferma che l’invalidità di una parte dell’atto si estende alle altre parti solo dove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. L’invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta: a) Invalidità propria o derivata: nella prima, assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto, mentre nella seconda, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto presupposto. Per esempio: l’illegittimità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di aggiudicazione o di approvazione della graduatoria dei vincitori. Anche l’atto applicativo di un regolamento illegittimo è affetto d invalidità derivata. 61 L’invalidità derivata può essere di due tipi: 1. A effetto caducante: quando travolge in modo automatico l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; 2. A effetto invalidante: quando l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. L’effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta causalità tra i due atti: il secondo costituisce una mera esecuzione del primo. Se invece l’atto successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti che segnano una discontinuità tra i due atti, l’invalidità derivata ha solo un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere tramite l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. b) Invalidità originaria o derivata: bisogna premettere che in linea di principio trova applicazione nel diritto amministrativo il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nei casi di legge retroattivita, di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende, ora per allora, viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti, cioè di fattispecie orami interamente realizzate. L’annullabilità è disciplinata dall’art.21octies l.241/90 e dall’art.29 del codice del processo amministrativo; entrambe le disposizioni riprendono la ripartizione tradizionale dei vizi di legittimità: incompetenza, l’eccesso di potere e la violazione di legge. Rispetto al regime precedente, il primo riduce l’area dell’annullabilità operando la “dequotazione dei vizi formali”. Il secondo conferma l’impianto tradizionale dell’azione di annullamento. La nullità è disciplinata dall’art.21septies l.241/1990, che individua 4 ipotesi tassative, e dall’art.31 del codice del processo amministrativo. A livello europeo, l’art.263 TFUE, nel disciplinare il ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE, prevede che dove esso sia fondato il giudice dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Questa disposizione viene però interpretata nel senso che l’atto è annullabile e l’azione promossa ha natura costitutiva e non meramente dichiarativa. Quanto alla tipologia dei vizi l’art.263 TFUE prevede 4 ipotesi: 1. Incompetenza 2. Violazione delle forme sostanziali 3. Violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione 4. Sviamento di potere 62 Anche nel diritto europeo il regime ordinario dell’invalidità è quello dell’annullabilità. L’ANNULLABILITA’ L’atto amministrativo affetto da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge viene qualificato come illegittimo (e pertanto suscettibile di annullamento). La stessa tripartizione tradizionale dei vizi che possono essere causa di annullabilità ha una rilevanza minore dopo che la Costituzione ha sancito che la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (art.113 Cost): sono state dichiarate così incostituzionali le leggi amministrative, emanate soprattutto nel ventennio autoritario, che sottraevano al sindacato del giudice amministrativo alcune tipologie di vizi o addirittura alcuni tipi di provvedimenti. Una limitazione alla deduzione di singoli vizi avveniva per esempio, nei ricorsi in materia di dispensa di insegnanti per ragioni di servizio o in materia doganale e di leva militare. Le conseguenze dell’annillamento, cioè il venir meno degli effetti del provvedimento con efficacia retroattiva, non cambiano in relazione al tipo di vizio accertato. L’annullamento elimina comunque l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e l’amministrazione ha l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per ripristinare, per quanto possibile, la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il destinatario dell’atto ove quest’ultimo non fosse stato emanato (effetto ripristinatorio).  Vizio di natura formale o procedurale (error in procedendo) mancata acquisizione di un parere obbligatorio o la rilevazione del vizio di incompetenza, non è da escludere che l’amministrazione, una volta assunto il parere, possa emanare un nuovo atto dal contenuto identico rispetto a quello dell’atto annullato.  Vizio di natura sostanziale (error in judicando) la mancanza di un presupposto o di un requisito posto dalla norma attributiva del potere o un eccesso di potere per travisamento dei fatti, l’amministrazione non potrà reiterare l’atto annullato. La retroattività dell’annullamento è oggetto di ripensamento nella giurisprudenza: in una controversia relativa alla legittimità di un piano faunistico venatorio, il Consiglio di Stato, nell’accogliere il ricorso proposto da un’associazione ambientalista, ha stabilito che l’atto viziato continui a produrre i suoi effetti fin tanto che l’amministrazione non provveda a modificarlo o a sostituirlo entro un termine assegnato. E ciò per evitare la conseguenza paradossale, certamente non conforme agli interessi della ricorrente, che, eliminati gli effetti del piano, ritenuto dalla sentenza illegittimo a causa di un vizio procedurale, riprendesse vigore il piano precedente ancor meno protettivo. 65 conclusione di questa simulazione è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l’atto non può essere annullato. La disposizione presenta due specificità:  Manca il riferimento alla natura vincolata del potere.  Si richiede all’amministrazione che ha emanato l’atto di dimostrare in giudizio che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento. Quanto al primo aspetto, la disposizione include nel suo campo di applicazione anche i poteri discrezionali (in astratto). Solo qualora risulti ex post, tenuto conto di tutte le circostanze specifiche, che l’amministrazione non aveva altra scelta legittima se non quella di emanare un atto con quel contenuto (vincolatezza in concreto), può operare il principio della non annullabilità per violazione delle norme formali e procedurali. Quanto al secondo aspetto, l’onere della prova grava sull’amministrazione nei confronti della quale sia stato proposto un ricorso per l’annullamento del provvedimento viziato. Ciò comporta una deroga alle regole processuali ordinarie che vietano all’amministrazione di integrare la motivazione nel corso del giudizio. L’art.21octies L.241/90 si inserisce nella tendenza del nostro ordinamento a valorizzare il principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa a scapito, di quello del rispetto della forma e dunque della funzione di garanzia assolta dalle norme relative al procedimento e alla forma. Il regime della legittimità degli atti amministrativa si avvicina così a quello degli atti processuali per i quali vale il principio che la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. L’articolo ha dato origine a dispute in dottrina e una cospicua giurisprudenza non ancora consolidata. Per esempio, la giurisprudenza ha chiarito che la mancanza della motivazione in un provvedimento integralmente vincolato non può giustificare l’annullamento di quest’ultimo, ma applica talora la stessa regola anche a provvedimenti che presentano margini di discrezionalità allorché dagli atti del procedimento risultino già in qualche modo le ragioni sottostanti; sembra peraltro prevalente l’orientamento secondo cui il difetto di motivazione non può essere assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma e non può essere dunque considerato un vizio non invalidante. In relazione a ciò, un indirizzo interpretativo ritiene che la disposizione abbia tipizzato la fattispecie dell’IRREGOLARITA’ è un’imperfezione minore del provvedimento che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d’azione. Danno origine a irregolarità, per esempio:  L’erronea indicazione di un testo di legge o di una data;  Un errore nell’intestazione del provvedimento;  L’omessa indicazione nell’atto dell’autorità alla quale può essere proposto il ricorso e del relativo termine;  La sottoscrizione illeggibile o anche la mancanza di una firma;  Un errore riconoscibile nell’individuazione dell’oggetto del provvedimento; 66 L’irregolarità non rende invalido il provvedimento che è suscettibile di regolarizzazione, attraverso la rettifica del provvedimento. Il disvalore della violazione delle norme sulla forma dell’atto e sul procedimento previsto dall’art.21octies sembra essere maggiore rispetto a quello di una mera irregolarità non lesiva di alcun interesse pubblico apprezzabile, proprio per la funzione di garanzia che può essere riconosciuta agli aspetti formali. L’art.21octies segue un’ultima interpretazione, ossia quella che qualifica come illegittimi anche i provvedimenti non annullabili ai sensi della disposizione, ha stabilito soltanto che per alcuni atti illegittimi l’annullamento, vuoi da parte del giudice vuoi d’ufficio. Costituisce una reazione dell’ordinamento da ritenersi non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. L’ECCESSO DI POTERE L’eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. Esso mette in condizione il giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli puntuali posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere e che può spingersi invece fino alle soglie del merito amministrativo. L’eccesso di potere riguarda l’aspetto funzionale del potere, cioè la realizzazione in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione. Il BENVENUTI definisce l’eccesso di potere come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. In tale passaggio, all’interno cioè delle fasi del procedimento, possono emergere anomalie, incongruenze e disfunzioni che danno origine appunto all’eccesso di potere. La FIGURA PRIMIGENIA dell’eccesso di potere è lo sviamento di potere che consiste nella violazione del vincolo del fine pubblico posto, dalla norma attributiva del potere: una violazione del genere si ha quando il provvedimento emanato persegue un fine diverso da quello in elazione al quale il potere è conferito dalla legge all’amministrazione. Talvolta il fine pubblico non è posto in modo espresso dalla legge, ma va ricavato in via interpretativa. Esempi di sviamento di potere sono: a) Il trasferimento d’ufficio di un dipendente pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio, che in realtà ha una finalità punitiva; b) L’ordinanza di un sindaco che impone un divieto di fermata dei veicoli in alcune strade motivato con l’esigenza di evitare intralci alla circolazione, che persegue in realtà il fine di disincentivare la prostituzione su strada; 67 c) Il provvedimento comunale che nega l’installazione di un’antenna di telefonia mobile per ragioni di tipo urbanistico – edilizio, che in realtà persegue il fine sanitario di minimizzare l’esposizione dei residenti all’inquinamento elettromagnetico. Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare, in quanto il provvedimento all’apparenza di presenta come perfettamente conforme alle disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha portato la giurisprudenza a rilevare il vizio in via indiretta, attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionali costituiti dalle FIGURE SINTOMATICHE. Se l’eccesso di potere può essere visto come una malattia del provvedimento discrezionale, la diagnosi va operata essenzialmente attraverso i “sintomi”, cioè le manifestazioni caratteristiche dell’affezione rilevabili dall’osservatore. Le figure sintomatiche sono:  Errore o travisamento dei fatti se il provvedimento viene emanato sul presupposto, richiamato nell’atto medesimo, dell’esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta invece inesistente o, viceversa, della non esistenza di un fatto o di una circostanza che invece risulta esistente. Per esempio: imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno nel quale invece si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti. L’errore di fatto può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in seguito all’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo  Difetto di istruttoria  nella fase istruttoria del procedimento l’amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti e ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. Dove quest’attività, svolta dal responsabile del procedimento, manchi in parte o del tutto o sia svolta in maniera poca approfondita, il provvedimento è viziato.  Difetto di motivazione nella motivazione del provvedimento l’amministrazione deve dare conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. Per quanto sintetica, essa deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere, cioè dell’iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento, traendo le fila degli elementi istruttori rilevanti e operando la ponderazione degli interessi. Il difetto di motivazione ha varie sfaccettature: la motivazione può essere insufficiente, incompleta o generica. L’insufficienza della motivazione non è solo un fatto di quantità, ma anche di qualità come nel caso di omessa considerazione specifica di un interesse acquisito al procedimento. La legge 241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il contenuto minimo della motivazione; l’amministrazione è tenuta a valutare (quindi motivare) gli apporti partecipativi di chi interviene nel procedimento e a dar conto delle ragioni per le quali non accoglie le osservazioni presentate dall’interessato al quale sia comunicato il preavviso di rigetto di un’istanza (art.10bis) La motivazione può consistere soltanto in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo nel caso in cui l’amministrazione ritenga un’istanza 70 alcuno spazio di valutazione. Il nuovo atto ignora e palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato e manifesta il reale intendimento dell’amministrazione di sottrarsi al giudicato. 4. Altri casi espressamente previsti dalla legge: un’ipotesi di nullità prevista per la legge riguarda gli atti adottati da organi collegiali scaduti, decorso il periodo di prorogatio di 45 giorni durante il quale possono comunque essere posti in essere solo gli atti di ordinaria amministrazione. L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO, LA CONVALIDA, LA RATIFICA, LA SANATORIA, LA CONFERMA, LA CONVERSIONE, LA REVOCA, IL RECESSO. Bisogna guardare ai provvedimenti che l’amministrazione può emanare per porre rimedio all’invalidità o alla non conformità all’interesse pubblico di un provvedimento amministrativi. Annullamento d’ufficio La misura specifica per reagire all’illegittimità del provvedimento è costituita dall’annullamento con efficacia ex tunc dell’atto emanato. L’annullamento del provvedimento illegittimo può essere pronunciato, sotto il profilo soggettivo, dal giudice amministrativo, dalla stessa amministrazione in sede di esame dei ricorsi amministrativi, dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti. In queste ipotesi l’annullamento è doveroso, nel senso che deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato un vizio. Ha invece carattere discrezionale e costituisce una delle manifestazioni del potere di autotutela della P.A., e cioè l’annullamento d’ufficio. Il potere in questione può essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l’atto o da altro organo al quale sia attribuito per legge o, a livello statale, dal ministro nei confronti degli atti adottati dai dirigenti. Una specie particolare di annullamento d’ufficio è quello attribuito al Consiglio dei ministri nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali e locali. Si tratta dell’annullamento STRAORDINARIO del governo a tutela dell’unità dell’ordinamento in particolare contro il rischio che gli enti locali assumano determinazioni aberranti: per la sua particolare delicatezza, esso richiede l’acquisizione preventiva di un parere del Consiglio di Stato (es: annullamento dello statuto del comune di Genova che attribuiva l’elettorato attivo agli stranieri residenti). Per far sì che l0amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d’ufficio devono sussistere 4 presupposti esplicitati dall’art.21 nonies L.2411/90: 1. Il primo è che il provvedimento sia illegittimo ai sensi dell’art.21octies e dunque, che sia affetto da un vizio di violazione di legge, di incompetenza o di eccesso di potere, ma non si deve ricadere in una delle ipotesi di vizi formali di cui al comma due dell’art..21 nonies. 2. Devono sussistere ragioni di interesse pubblico rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell’atto e dei suoi effetti 71 piuttosto che la loro conservazione, pur in presenza di un’illegittimità accertata. L’interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l’amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l’annullamento d’ufficio. 3. L’annullamento d’ufficio richiede una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devono essere valutati, oltre all’interesse pubblico all’annullamento, da un lato, quello del destinatario del provvedimento (che potrebbe aver ottenuto un provvedimento favorevole) tale da ingenerare una situazione di affidamento; dall’altro lato, quello degli eventuali contro interessati, come per esempio i proprietari di terreni confinanti con quello in relazione al quale è stato rilasciato un permesso a costruire illegittimo. 4. La valutazione discrezionale deve tenere conto del fattore temporale: l’annullamento può essere disposto entro un termine ragionale, principio espresso dalla giurisprudenza europea e previsto anche in altri ordinamenti. Rientra nella discrezionalità dell’amministrazione stabilire se il termine è ragionevole e ciò introduce un elemento di incertezza sulla stabilità dei rapporti giuridici amministrativi; per ovviare a ciò, la legge 124/2005 fissa almeno per alcuni tipi di provvedimenti, il termine di 18 mesi decorso il quale l’amministrazione decade dal potere. Il potere di annullamento d’ufficio deve essere esercitato nel rispetto delle regole generali della l.241/90 in tema di comunicazione di avvio del procedimento e di partecipazione dei soggetti interessati. Convalida In alternativa all’annullamento d’ufficio, l’art.21nonies, prevede che l’amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo, sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Il potere in questione è espressione del principio generale della conservazione dei valori giuridici, che permea il diritto amministrativo così come il diritto privato, e che consiste nell’eliminazione del vizio del quale è affetto il provvedimento amministrativo. La convalida del provvedimento amministrativo è operata dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato. Si tratta di un istituto di applicazione poco frequente e che ha comunque un ambito limitato, anche in conseguenza del principio di dequotazione dei vizi formali ex art.21octies. Quando la convalida riguarda il vizio di incompetenza è ricorrete l’uso dell’espressione RATIFICA: il termine si riferisce più propriamente, alle ipotesi nelle quali all’interno di un’amministrazione pubblica un organo può, in base alla legge, esercitare in caso di urgenza una competenza attribuita in via ordinaria ad un altro organo, che poi è chiamato a far proprio l’atto emanato. Sanatoria Si parla di sanatoria (ma è un istituto controverso) nei casi in cui l’atto è emanato in carenza di un presupposto e quest’ultimo si materializza in un momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. 72 La conferma e l’atto confermativo All’esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un privato o anche d’ufficio, l’amministrazione può pervenire, in seguito all’istruttoria, alla conclusione che il provvedimento, nonostante i dubbi iniziali, non è affetto da alcun vizio. In questi casi l’amministrazione emana un provvedimento di conferma. In giurisprudenza si distingue tra conferma (provvedimento autonomo dal contenuto identico rispetto a quello oggetto del riesame) e atto confermativo (l’amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non ci sono motivi per riaprire il procedimento). La conversione Ai provvedimenti affetti da nullità e da annullabilità si ritiene generalmente applicabile la conversione, sulla falsariga del modello civilistico. La revoca I provvedimenti validi sono passibili di un riesame che ha per oggetto il merito (opportunità), cioè la conformità all’interesse pubblico dell’assetto degli interessi risultante dall’atto emanato. La revoca è uno degli istituti più caratteristici del diritto amministrativo. Il diritto privato infatti non ammette di regola, uno jus poenitendi relativo ad atti che abbiano già prodotto effetti nella sfera giuridica di terzi e ciò in relazione al principio della stabilità e della certezza dei rapporti giuridici. Un caso eccezionale è quello della revoca della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli che è ricostruito, come diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale. Nel diritto amministrativo, il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela della P.A. ed è ammesso da sempre nella giurisprudenza: per esempio le concessioni di illuminazione a gas rilasciate a livello comunale, revocate in seguito alla possibilità d’impiego di lampade elettriche. Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità dell’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento amministrativo, esigenza che è ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati. Esso dà una connotazione di precarietà e instabilità al rapporto giuridico amministrativo. L’art.21 quinquies l.241/90 pone una disciplina generale della revoca, precisandone i presupposti e gli effetti; l’articolo è stato introdotto dalla legge 15/2005. L’art.21quinquies prevede due fattispecie: 1. Revoca per sopravvenienza: in essa troviamo due sotto categorie: a) revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse interviene quando l’amministrazione opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenute, cioè non presenti al momento in cui l’atto era stato emanato. b) costituisce revoca per sopravvenienza anche l’ipotesi del “mutamento della situazione di fatto” non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento. 75 Il procedimento amministrativo assolve ad una pluralità di funzioni: * ciò sia nell’interesse dell’amministrazione che può così colmare le asimmetrie informative che spesso sussistono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell’interesse di questi ultimi che hanno la possibilità di rappresentare e difendere il proprio punto di vista. La partecipazione acquista così una dimensione COLLABORATIVA. Questa dimensione collaborativa di tipo individuale nei quali il provvedimento determina effetti ampliativi nella sfera giuridica del destinatario: la partecipazione del privato al procedimento è utile sia all’amministrazione in relazione alle esigenze di completezza dell’istruttoria, sia al privato che ha così la possibilità di sottoporre all’amministrazione gli elementi necessari affinché essa emani il provvedimento favorevole. L’amministrazione deve appurare che tutti gli interessi coinvolti siano adeguatamente rappresentati e deve vagliare criticamente gli apporti partecipativi dei privati. ** il contraddittorio connota in senso giustiziale il procedimento e talora ricorre anche nella giurisprudenza l’espressione “giusto provvedimento”. Il contraddittorio può assumere una dimensione: a) Verticale: si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amministrazione titolare del potere e il destinatario diretto dell’effetto giuridico restrittivo. Nel contraddittorio verticale l’amministrazione deve essere parte imparziale: deve cioè ad un tempo curare l’interesse pubblico di cui essa è portatrice e garantire la posizione della parte privata portatrice di un interesse contrapposto. Consente un controllo sull'esercizio del potere, attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e operazioni normativamente predefinita. Far emergere e da voce agli interessi incisi direttamente e indirettamente dal provvedimento. * Contraddittorio: questa funzione emerge nei procedimenti di tipo individuale, nei quali la P.A. esercita un potere che determina effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridco si connota in termini di contrapposizione. ** Costituire un fattore di legittimazione del potere dell'amministrazione e di promuovere la democrticità dell'ordinamento amministrativo. Promuovere il coordinamento tra più amministrazioni nei casi in cui un provvedimento amministrativo vada ad incidere su una pluralità di interessi pubblici curati da ciascuna di esse 76 b) Orizzontale: emerge nei procedimenti nei quali i privati sono portatori di interessi contrapposti e nei quali pertanto l’organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi. LE LEGGI GENERALI SUL PROCEDIMENTO E A L.241/1990 Genesi della L.241/1990: a) 1944 – 1947: venne elaborato un primo progetto da una commissione presieduta da Ugo Forti il progetto venne rielaborato in varie legislature senza però essere approvato. b) Anni ’80: ci fu un nuovo tentativo ad opera della commissione presieduta da Mario Nigro: la commissione elaborò un testo che, arricchito anche di una parte di disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi, ispirò: c) Legge 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”: il testo è stato più volte modificato. d) L.15/2005: una delle modifiche più importanti, che ha inserito il Capo IVbis, sul provvedimento amministrativo. La L.241/90 è una legge soprattutto di principi, molti dei quali già affermati dalla giurisprudenza amministrativa, senza la pretesa di porre una disciplina esaustiva di tutti gli istituti. Già all’interno della commissione Nigro era prevalsa l’idea di non “ingessare” il procedimento in schemi generali troppo rigidi. La 241/90 non contiene né una definizione generale di procedimento, né una disciplina organica delle singole fasi in cui esso si articola; disciplina alcuni istituti fondamentali come:  Il termine del procedimento;  Il responsabile del procedimento;  La partecipazione;  Il diritto di accesso; la legge 241/90 fornisce una CORNICE GENERALE che integra tutte le leggi amministrative che disciplinano, in modo più o meno articolato, anche con norme derogatorie o speciali, i singoli procedimenti. Il suo campo di applicazione è individuato sulla base di: 1. Criterio soggettivo: sotto di esso la l.241/90 si applica alle amministrazioni statali, agli enti pubblici nazionali e anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente alle attività che si sostanziano nell’esercizio delle funzioni amministrative. Le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti dalla l.241/90 2. Criterio oggettivo: la 241/90 si applica nella sua interezza ai procedimenti di tipo individuale; invece, le disposizioni sull’obbligo di motivazione, sulla partecipazione al 77 procedimento e sul diritto di accesso non si applicano agli atti normativi e agli atti amministrativi generali. La l.241/90: LE FASI DEL PROCEDIMENTO INIZIATIVA L’iniziativa è la fase dell’avvio del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. OBBLIGO DI PROCEDERE OBBLIGO DI PROVVEDERE L’amministrazione competente è tenuta ad aprire il procedimento su istanza di parte o d’ufficio e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale. Esso pone in capo all’amministrazione il dovere di portare a conclusione attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso. Colma la distanza e la separatezza tradizionali tra amministrazione e soggetti privati (entrano nel procedimento, tramite gli strumenti di partecipazione). La partceipazione è utile anche alla stessa P.A. in una visione di tipo collaborativo. Il "dialogo" tra P.A. e cittadino e la ricerca di soluzioni consensuali danno sostanza alla concezione del diritto amministrativo PARITARIO, teorizzato negli anni '70 (BENVENUTI). il soggetto privato è coamministratore. Si attenua la concezione individualistica e atomistica dei rapporti tra Stato e cittadino, propria della concezione liberale ottocentesca. Al procedimento possono partecipare oltre i soggetti incisi dal provvedimento, anche i soggetti portatori di interessi diffusi. L'amministrazione si apre alle espressioni della società civile. Supera in gran parte il principio del segreto d'ufficio sulle attività interne all'amministrazione che rendeva imperscrutabile l'operato dell'amministrazione. L.241/90 enuncia il principio di pubblicità e trasparenza e pone una disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi. Cade il "velo" dell'anonimato tra il cittadino e gli apparati amministrativi. Il responsabile del procedimento personalizza il rapporto. Essa cerca di superare la "separatezza" tra le stesse P.A. Si vuole privilegiare gli strumenti di collaborazione paritaria. 80 Alcuni atti istruttori sono richiesti talvolta dalle leggi che disciplinano i singoli procedimenti: questo è il caso dei PARERI OBBLIGATORI (art.16) e delle VALUTAZIONI TECNICHE (art.17) di competenza di amministrazioni diverse da quella procedente. L’art.17bis della L.241/90, introdotto dalla legge 24/2015, allo scopo di accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti, introduce un meccanismo inedito di SILENZIO – ASSENSO tra amministrazioni: stabilisce termini stringenti per il rilascio di assensi, concerti e nullaosta di amministrazioni statali (di regola 30 giorni), decorsi i quali l’atto si intende acquisito. Il termine può essere interrotto nel caso in cui l’amministrazione che deve rendere l’assenso, il concerto o nullaosta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate. Il termine è di 90 giorni nel caso in cui l’amministrazione sia preposta alla tutela ambientale, paesaggistico – ambientale, dei beni culturali e della salute dei cittadini. In caso di mancato accordo tra amministrazioni statali la questione viene rimessa al presidente del Consiglio dei ministri che decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento. Il silenzio – assenso tra amministrazioni non vale nel caso in cui il diritto dell’UE richieda l’adozione di provvedimenti espressi. La tendenza più recente in tema di adempimenti istruttori è di sgravare per quanto possibile i soggetti privati da oneri di documentazione, imponendo all’amministrazione di acquisire d’ufficio i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi necessari per l’istruttoria. Ai privati può essere richiesta soltanto l’autocertificazione che consiste nella possibilità per i soggetti privati di dichiarare sotto propria responsabilità il possesso di determinati stati e qualità. L’attività istruttoria può essere effettuata anche con modalità informali: l’art.11 L.241/90 prevede per esempio, che per favorire la conclusione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento può essere predisposto un calendario di incontro ai quali sono invitati, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. Inoltre, qualora sia opportuno un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento, l’amministrazione procedente può indire una conferenza dei servizi istruttoria nella quale ciascuna amministrazione interessata può esprimere le proprie valutazioni. Emerge da queste disposizioni una visione di amministrazione DIALOGICA, aperta ad un confronto informale anche orale con i privati e con le altre amministrazioni. I pareri, espressione della funzione consultiva, possono essere obbligatori o facoltativi. I primi sono previsti dalla legge in relazione a specifici procedimenti e l’omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale. L’amministrazione competente ad esprimere il parere deve rilasciarlo entro 20 giorni (in caso di ritardo, l’amministrazione può procedere indipendentemente dall’espressione del parere. I secondi sono richiesti dove l’amministrazione procedente ritenga possano essere utili ai fini della decisione. I pareri, in alcuni casi, possono essere VINCOLANTI: l’amministrazione che li riceve non può assumere una decisione difforme dal contenuto del parere. 81 LA PARTECIPAZIONE l’istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al procedimento (art.10); questi ultimi sono i soggetti ai quali l’amministrazione è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento. Hanno facoltà di intervenire anche i portatori di interessi pubblici o privati e i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. La partecipazione è funzionale all’interesse sia dei privati, in quanto garantisce il contraddittorio, sia dell’amministrazione che può acquisire elementi utili per deliberare. La partecipazione e l’intervento si sostanziano in due diritti: 1. Diritto di prendere visione degli atti del procedimento (accesso procedimentale) non esclusi dal diritto di accesso; 2. Possibilità di presentare memorie scritte, cioè documenti che illustrano il punto di vista del soggetto interessato e documenti. Nel loro insieme essi concorrono a fondare il diritto alla partecipazione informata. Sotto il profilo organizzativo l’istruttoria è affidata al responsabile del procedimento, assegnato di volta in volta dal dirigente responsabile della struttura subito dopo l’apertura del procedimento. Il suo nominativo viene comunicato o reso disponibile su richiesta a tutti i soggetti interessati (art.5 L.241/90). È la figura più caratteristica della L.241/90: consente infatti al cittadino di avere un interlocutore certo con il quale confrontarsi e rende meno spersonalizzato il rapporto con gli uffici. I suoi compiti sono elencati nell’art.6 e includono tutte le attività propedeutiche all’emanazione del provvedimento finale e l’adozione di ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.  Accertamento dei fatti  Potere di rettifica di dichiarazione o istanze erronee o incomplete Allo scopo di prevenire fenomeni di corruzione, il responsabile del procedimento deve ASTENERSI quando si trovi in conflitto di interessi anche potenziale. PREAVVISO DI RIGETTO nei procedimenti a istanza di parte il responsabile del procedimento è tenuto ad attivare una fase istruttoria supplementare nei casi in cui, sulla base degli elementi già acquisiti sia orientato a proporre o ad adottare un provvedimento di rigetto dell’istanza (art.10bis). Al soggetto che l’ha proposta e che quindi ha dato avvio al procedimento, deve essere dato comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Entro 10 giorni l’interessato può presentare osservazioni scritte, corredate da altri documenti, nel tentativo di superare le obiezioni formulate dall’amministrazione. L’eventuale provvedimento finale negativo che rigetta l’istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. Ha una funzione di supporto nei confronti del soggetto privato, ciò in linea con la visione collaborativa dei rapporti tra amministrazione e cittadino. 82 Il preavviso di rigetto si iscrive nella tendenza recente del legislatore ad agevolare l’avvio di attività da parte dei privati e a superare per quanto possibile, gli ostacoli di tipo amministrativo: il diniego di un atto autorizzativo è concepito come extrema ratio. L’art.10bis segna un passo avanti nella visione collaborativa dei rapporti tra amministrazione e soggetti privati. Il responsabile del procedimento non adotta il provvedimento finale, ma trasmette tutti gli atti, corredati da una relazione istruttoria, all’organo competente ad emanare il provvedimento finale. Quest’ultimo si deve attenere alle risultanze dell’istruttoria. Può eccezionalmente discostarsene ma deve indicarne le ragioni nel provvedimento finale. Il suo operato non può essere infatti sconfessato senza che la dialettica interna all’amministrazione emerga in modo formale nella motivazione dell’atto. CONCLUSIONE: il termine, il silenzio, gli accordi Conclusa l’istruttoria, l’organo competente ad emanare il provvedimento assume la decisione all’esito di una valutazione complessiva del materiale acquisito al procedimento. SE il potere esercitato ha natura discrezionale, nella fase decisoria avviene la comparazione e ponderazione degli interessi, propedeutica alla scelta finale tra più soluzioni alternative. L’art.2 pone in capo all’amministrazione l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento finale espresso il provvedimento è il PRODOTTO finito. Il provvedimento può essere emanato, a seconda dei casi, dal titolare di un organo individuale (come il sindaco o il ministro), oppure da un organo collegiale (giunta comunale o provinciale, consiglio di amministrazione di un ente pubblico). Accanto ad atti semplici (o mono strutturati) è frequente nelle leggi amministrative il ricorso ad ATTI COMPLESSI o PLURISTRUTTURATI per esempio, nel rapporto tra i ministeri, il decreto interministeriale nel quale converge la volontà paritaria di una pluralità di amministrazioni. Si parla di CONCERTO quando il ministero competente ad emanare il provvedimento (autorità concertata) deve prima inviare al ministero concertante lo schema di provvedimento per ottenere l’assenso o proposte di modifica; l’atto finale è sottoscritto da entrambe le autorità. Un’altra decisione pluri - strutturata è l’INTESA che interviene soprattutto nei rapporti tra Stato e regioni: essa può essere di tipo debole, quando il dissenso regionale può essere motivatamente superato dallo Stato all’esito del confronto e ciò al fine di evitare effetti paralizzanti, oppure in senso forte, nei casi in cui sia indispensabile il doppio consenso. La determinazione finale, così come ogni atto della sequenza procedimentale, è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è adottata. Al procedimento si applica il principio del “tempus regit actum”: le modifiche legislative intervenute a procedimento avviato trovano immediata applicazione, a meno che non si sia in presenza di situazioni giuridiche oramai consolidate o di fasi procedimentali già del tutto esaurite. 85 procedimenti che riguardano un elenco lungo di interessi pubblici. Non vale neppure nei casi in cui la normativa europea impone l’adozione di un provvedimento formale. Per ridurre le incertezze applicative, nella l.222/2016 è contenuto un lungo elenco di casi di silenzio – assenso. Il silenzio – assenso ha valore provvedimentale: ciò determina due conseguenze 1. Il silenzio può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sotto forma di revoca e annullamento d’ufficio. 2. Può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo, per esempio da un soggetto terzo che vuol contrastare l’avvio dell’attività da parte del soggetto che ha presentato l’istanza. Sotto il profilo procedurale quest’ultimo deve dichiarare sotto propria responsabilità la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge. Il regime del silenzio – assenso non fa venir meno l’obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, non altera la struttura del procedimento, ma incide solo sulla fase decisionale, introducendo un incentivo al rispetto del termine. A differenza con la SCIA, resta fermo il modello del controllo EX ANTE. Il regime del silenzio – assenso ha dei difetti: 1. Poiché esso può applicarsi anche a provvedimenti discrezionali, la valutazione degli interessi pubblici, di fatto, nei casi di inerzia assoluta dell’amministrazione, non viene operata. 2. Dal punto di vista del soggetto privato che ha presentato l’istanza, il silenzio – assenso non soddisfa l’esigenza di certezza in relazione allo svolgimento di attività sottoposte a controllo pubblico. Infatti, formatosi il silenzio – assenso, il privato non è in grado di sapere se dietro l’atteggiamento silenzioso dell’amministrazione si celi un’inerzia assoluta degli uffici o se una qualche istruttoria sia stata in realtà compiuta. c) Gli accordi integrativi e sostitutivi: il provvedimento espresso costituisce l’esito normale e più frequente del procedimento amministrativo. Esiste una modalità alternativa di conclusione del procedimento che la l.241/90 tende a favorire e cioè l’accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. [ là dove occorra valutare e ponderare più interessi di regola è preferibile la composizione negoziata a quella imposta.] Gli accordi pongono l’amministrazione su un piano più paritario rispetto al soggetto privato e riducono il rischio di possibili contenziosi. In base alla l.241/90 l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare un miglio contemperamento tra l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione procedente e l’interesse del privato spesso contrapposto al primo. I poteri vincolati invece, non si prestano ad essere oggetto di accordi in quanto in essi manca il presupposto per una negoziazione e cioè un ventagli più o meno ampio di scelte. L’accordo può essere promosso dal soggetto privato, il quale può presentare a questo fine osservazioni e proposte in sede di partecipazione al procedimento. L’accordo fa salvi i diritti dei terzi che ben potrebbero contestarne i contenuti proponendo un’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo. L’amministrazione non è tuttavia obbligata a concludere accordi integrativi o sostitutivi con 86 i privati e può prediligere la via del provvedimento unilaterale non negoziato. INTEGRATIVI servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che viene emanato in attuazione dell’accordo; essi pongono la questione se il mancato o parziale recepimento dei suoi contenuti nel provvedimento finale renda quest’ultimo illegittimo. SOSTITUTIVI gli effetti giuridici si producono in via diretta con la conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento. L’amministrazione può recedere dall’accordo, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico; il recesso ha cioè fonte legale ed è dunque espressione di un potere in senso proprio. PROCEDIMENTI SEMPLICI, COMPLESSI, COLLEGATI. IL SUB – PROCEDIMENTO 1. Procedimenti autorizzatori semplici nei quali la sequenza procedimentale consiste soltanto in una domanda o istanza presentata dall’interessato in un’istruttoria limitata a poche verifiche documentali e una decisione affidata a un’unica autorità; 2. Procedimenti complessi che richiedono accertamenti fattuali momenti partecipativi acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali. I procedimenti a struttura complessa sono spesso articolati all’interno in subprocedimenti sequenziali ciascuno avente una unità funzionale in quale misura autonoma. Talvolta i subprocedimenti si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive in quanto produttivi di effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all’effetto giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione dell’intero procedimento. Per esempio la conclusione di un contratto pubblico prevede una fase di prequalifica. Questa fase è volta a individuare i requisiti minimi di capacità tecnica e finanziaria, dopo la conclusione della fase di valutazione delle offerte vi è una fase di verifica delle eventuali offerte anomale. La non ammissione alla presentazione di un’offerta al termine della fase di prequalifica e l’esclusione dell’impresa che ha presentato un’offerta anomala a conclusione del subprocedimento di verifica vanno considerati ad un tempo atti endoprocedimentali o provvedimenti autonomi: endoprocedimentali perché fanno parte della sequenza procedimentale unitaria che dal bando di gara si sviluppa fino al provvedimento finale di aggiudicazione e che ha per oggetto come esito finale complessivo la conclusione di un contratto; provvedimenti autonomi in quanto producono effetti giuridici negativi immediati nella sfera giuridica del loro destinatario e sono dunque suscettibili di impugnazione immediata. Nei procedimenti sanzionatori di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato l’impresa inquisita ha la possibilità di proporre all’Autorità che ha avviato il procedimento impegni formali atti a rimuovere 87 l’illecito concorrenziale. Se l’Autorità approva gli impegni attraverso un subprocedimento in contradditorio aperto anche ad altre imprese concorrenti e più in generale a tutti i terzi interessati il procedimento si conclude senza ulteriori accertamenti istruttori e senza l’assunzione di un provvedimento sanzionatorio. Se l’Autorità conclude il subprocedimento rigettando gli impegni il procedimento prosegue fino all’emanazione di un provvedimento conclusivo che accerta o meno l’esistenza dell’illecito e irroga se del caso la sanzione. Il provvedimento di rigetto degli impegni ha una rilevanza meramente interna e non è suscettibile di impugnazione autonoma da parte dell’impresa che li ha presentati la quale potrà se mai censurare innanzi al giudice amministrativo tale provvedimento unitamente al provvedimento sanzionatorio eventualmente irrogato. Il provvedimento di accoglimento degli impegni è invece impugnabile da parte di imprese concorrenti che ritengono che le misure non siano in realtà in grado di rimuovere la situazione anticoncorrenziale che le danneggia. In realtà la distinzione tra procedimento e subprocedimento ha carattere relativo. Un punto fermo è che l’unitarietà del procedimento si ha solo là dove nessuno degli atti endoprocedimentali è suscettibile di produrre effetti giuridici autonomi esterni. Per il resto se il subprocedimento si conclude con l’emanazione di un atto idoneo a produrre effetti esterni può essere più corretto ricorrere alla nozione di procedimenti autonomi ancorché collegati. Si parla di procedimenti collegati o connessi in tutti i casi in cui una pluralità di procedimenti da avviare in sequenza o in parallelo sono funzionali a un risultato unitario. Un esempio è l’espropriazione per pubblica utilità, procedimenti connessi sotto il profilo teleologico in vista del risultato finale consistente nel trasferimento coattivo del diritto di proprietà da un soggetto privato all’amministrazione o ad altro soggetto privato. Un esempio di procedimenti collegati avviati in parallelo è la realizzazione e la messa in opera di un impianto industriale che presuppone il rilascio di una molteplicità di atti autorizzativi. Il collegamento tra questo tipo di procedimenti è di tipo funzionale. Sotto il profilo organizzativo per coordinare meglio le attività relative a ciascun procedimento è previsto a livello comunale il cosiddetto sportello unico delle imprese presso il quale possono essere svolte tute le formalità necessarie. Si possono distinguere i procedimenti di primo grado e i procedimenti di secondo grado. I primi sono finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni e alla cura di un interesse pubblico (come una licenza) i secondi hanno per oggetto provvedimenti amministrativi già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico (procedimenti di autotutela). Sono inclusi anche i controlli sugli atti amministrativi affidati ad organi esterni all’amministrazione, in taluni casi hanno carattere preventivo e nella sequenza del procedimento si distingue una fase eventuale una successiva a quella decisoria definita come fase di integrazione dell’efficacia del provvedimento adottato. 90 riunione per cercare di trovare una soluzione condivisa. SE il dissenso non viene superato, la determinazione finale viene rimessa al Consiglio dei ministri. La conferenza dei servizi è soprattutto uno strumento di coordinamento tra P.A., ma in alcuni casi anche i soggetti privati possono partecipare, MA senza diritto di voto. 3. La conferenza dei servizi PRELIMINARE che può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi. Il privato sottopone uno studio di fattibilità alle amministrazioni competenti a rilasciare gli atti autorizzativi, i pareri e le intese ancor prima di presentare formalmente le istanze necessarie. Esistono altre forme di coordinamento: a) Il T.U. sull’ordinamento degli enti locali disciplina uno strumento di coordinamento analogo alla conferenza dei servizi decisoria costituito dall’ACCORDO DI PROGRAMMA promosso, a seconda dei casi, dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco. b) La L.241/90 prevede gli ACCORDI tra P.A. come strumenti per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. c) AUTORIZZAZIONE UNICA nella quale confluiscono una pluralità di atti di assenso attribuiti alla competenza di più amministrazioni. Un esempio è quella prevista per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Altro esempio è il provvedimento unico statale o regionale in materia ambientale assunto all’esito di una conferenza di servizi che include il provvedimento di valutazione di impianto ambientale (VIA). d) SPORTELLO UNICO: ufficio istituito con la funzione di far da tramite tra i soggetti privati e i vari uffici e amministrazioni competenti a emanare atti di assenso, i pareri e le valutazioni di volta in volta necessari. TIPI DI PROCEDIMENTO ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ Il procedimento espropriativo è uno di quelli che per primi sono stati oggetti di una disciplina legislativa articolata; ciò attesta la sua incidenza su uno dei diritti considerati più rilevanti, come quello di proprietà, e la conseguente necessità di circondare l’esercizio del potere di una serie di garanzie a favore del soggetto privato. La disciplina generale fu posta dalla legge 2359 del 1865 emanata all’indomani dell’unificazione nazionale; l’espropriazione per motivi di interesse generale è richiamata anche nell’art.42 comma 3 della Costituzione. 91 Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni competenti a realizzare un’opera pubblica. OGGI la materia è contenuta nel T.U. in materia di espropriazione che ha operato un’unificazione dei procedimenti, prevedendo 4 fasi: a) Apposizione del vincolo finalizzato all’esproprio: il vincolo preordinato all’esproprio instaura un raccordo tra l’attività di pianificazione del territorio e il procedimento espropriativo. Il vincolo può essere posto all’esito delle procedure di pianificazione urbanistica ordinarie o speciali o in seguito all’approvazione di un progetto preliminare o definitivo di un’opera pubblica. L’apposizione del vincolo è circondato da molte garanzie: 1. È prevista la partecipazione dei proprietari ai quali deve essere inviato con un congruo anticipo un avviso di avvio del procedimento in modo da permettere a quest’ultimi nei 30 giorni successivi le proprie osservazioni. 2. L’avvio deve essere comunicato personalmente agli interessati o se il numero dei destinatari è superiore a 50, tramite avviso pubblico. 3. Il vincolo ha durata di 5 anni ed entro questo termine deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilità. b) Dichiarazione di pubblica utilità: in passato essa costituiva una fase fondamentale del procedimento di esproprio essendo volta ad accertare la conformità dell’opera da realizzare all’interesse pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà dei terreni sui quali è prevista la costruzione dell’opera. Molte leggi speciali hanno tuttavia dequotato questa fase ritenendola per così dire assorbita in altri atti; in molto casi la dichiarazione di pubblica utilità è implicita, perché costituisce uno degli effetti automatici prodotti da alcuni atti come l’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica, oppure l’approvazione di un piano particolareggiato o di lottizzazione. Essa ha un’efficacia di 5 anni, la sua scadenza ha natura perentoria e comporta l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. c) Emanazione del decreto di esproprio: determina il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato al soggetto nel cui interesse il procedimento è stato avviato. A questo effetto si aggiunge l’estinzione automatica dei diritti reali o personali gravanti sul bene espropriato. L’efficacia del provvedimento non è immediata, ma è subordinata a due condizioni sospensive: l’effetto traslativo si produce in seguito alla notifica e all’esecuzione del decreto, che deve avvenire nel termine perentorio di due anni tramite l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio. d) Determinazione dell’indennità di esproprio: deve indicare l’importo dell’indennità che è quantificato all’esito di una fase in contraddittorio con gli interessati. Non appena sia divenuta efficace la dichiarazione di pubblica utilità, il promotore della procedura espropriativa formula ai proprietari un’offerta; quest’ultimi possono indicare quale sia il 92 valore da attribuire al bene ai fini della determinazione dell’indennità. L’autorità procedente, valutate le osservazioni degli interessati, determina in via provvisoria la misura dell’indennità. Nei 30 giorni successivi i privati possono comunicare all’autorità espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla proposta. Da questo momento in poi il procedimento per la determinazione in via definitiva dell’indennità ha uno svolgimento autonomo. Il procedimento prevede in ultima battuta l’intervento di una Commissione provinciale istituita presso l’ufficio tecnico erariale che procede alla determinazione definitiva dell’indennità. A questo punto il proprietario che intenda contestare quest’ultima può avviare un procedimento innanzi alla Corte d’appello per ottenere una determinazione in via giudiziale dell’indennità. Il giudizio deve essere instaurato entro 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla stima peritale. Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente unilaterale; tuttavia l’ordinamento tende a favorire soluzioni consensuali attraverso l’istituto della cessione volontaria del bene. Quest’ultima è configurata come un diritto soggettivo dell’espropriando nei confronti del beneficiario dell’espropriazione che può essere esercitato fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio. Il procedimento di espropriazione si caratterizza per la presenza in tutte le fasi in cui esso è articolato di garanzie del contraddittorio particolarmente rigorose. La vicenda espropriativa può dar luogo al fenomeno dei procedimenti collegati in parallelo. Ciò può avvenire in 3 ipotesi: 1. Quando l’amministrazione ritenga che l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza tale da non consentire il perfezionamento del procedimento ordinario 2. In relazione ai progetti delle grandi opere pubbliche previste dalla legge obiettivo 3. Quando la procedura espropriativa riguardi più di 50 proprietari. LA RETROCESSIONE (garanzia del diritto di proprietà): il fondamento dell’istituto è che il diritto di proprietà può essere sacrificato solo nella misura strettamente necessaria per conseguire finalità di pubblico interesse. La retrocessione consiste nel diritto del soggetto espropriato di riacquistare la proprietà del bene nei casi in cui l’opera pubblica non sia stata realizzata nel termine di 10 anni dall’esecuzione del decreto di espropriazione. LE SANZIONI PECUNIARIE E DISCIPLINARI Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni al pari di quello espropriativo è caratterizzato dall’attenzione particolare alle garanzie del contraddittorio. I principali tipi di sanzioni sono le sanzioni pecuniarie e le sanzioni disciplinari. Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni di tipo pecuniario è disciplinato in termini generali dalla l.n.689/1981 che distingue più fasi: l’accertamento, la contestazione degli addebiti, 95 La domanda deve essere corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione degli elaborati progettuali da altra documentazione tecnica, nell’ edilizia residenziale si devono accertare anche le norme igienico-sanitarie. Entro dieci giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento. Quest’ultimo cura l’istruttoria acquisendo i pareri degli uffici comunali nonché altri pareri. Se sono richiesti altri atti di assenso a cura di amministrazioni diverse il responsabile del procedimento convoca una conferenza dei servizi (gli atti di assenso includono l’autorizzazione e certificazione regionale per le costruzioni in zone sismiche, l’assenso dell’amministrazione militare per le costruzioni contigue a zone di salvaguardia o a opera di difesa dello Stato, l’autorizzazione del ministero dei Beni culturali, il parere dell’autorità competente in materia di vincolo idrogeologico). All’esito dell’istruttoria entro 60 giorni dalla presentazione della domanda il responsabile del procedimento valuta la conformità del progetto a tutta la normativa applicabile formula una proposta al dirigente del servizio il quale nei 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Della determinazione è dato avviso pubblico mediante affissione all’albo pretorio. Decorsi i termini sopra menzionati si intende formato il silenzio rifiuto. L’interessato può a questo punto proporre un ricorso in sede giurisdizionale. In alternativa può richiedere con un’istanza formale avente valore di diffida che il dirigente si pronunci entro 15 giorni. Decorso inutilmente anche questo termine l’interessato può richiedere alla regione l’esercizio del potere sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta che provvede nel termine di 60 giorni. I PROCEDIMENTI CONCORSUALI Le pubbliche amministrazioni sono sempre più spesso enti erogatori di denaro e di altre utilità che vengono messe a disposizione dei soggetti privati. Peraltro in molti casi le risorse e i beni attribuibili sono limitati. Hanno il carattere della scarsità coloro che ambiscono ad acquisirli sono in numero superiore rispetto alle quantità disponibili (per esempio concessione di uso esclusivo di un bene demaniale). La platea delle persone o imprese potenzialmente interessate eccede di regola la disponibilità dei beni. Come scegliere tra più aspiranti allo stesso bene o utilità? Per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e più in generale agli uffici pubblici l’art.51.1 e l’art.97.3 Cost pongono rispettivamente il principio di eguaglianza e il principio del concorso pubblico. La direttiva 200/123/CE relativa ai servizi del mercato interno dispone che quando il numero di autorizzazioni disponibili sia limitato a causa della scarsità delle risorse gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali che presenti garanzia di imparzialità e trasparenza. L’autorizzazione così rilasciata deve avere una durata limitata e deve escludere il rinnovo automatico ciò affinché possa essere avviata una nuova procedura selettiva. 96 Il Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs.163/2006 include tra i principi generali quello secondo il quale le procedure per l’affidamento dei contratti devono rispettare i principi di libera concorrenza parità di trattamento non discriminazione trasparenza proporzionalità nonché quello di pubblicità. La l.n. 241/1990 prevede che la concessione di sovvenzioni contributi sussidi e ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere sono subordinate alla predeterminazione e alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti dei criteri e delle modalità cui esse devono attenersi. I procedimenti di tipo competitivo o concorsuale hanno la funzione specifica di selezionare gli aspiranti ea una risorsa scarsa in base ad alcuni principi generali: il principio di pubblicità che consente a tutti i potenziali interessati di aver notizia della procedura che sta per essere avviata; il principio di parità di trattamento (non discriminazione, par condicio) che pone sullo stesso piano tutti gli aspiranti; il principio di trasparenza della procedura ( controllo sulla corretta applicazione dei criteri di selezione) principio di oggettività dei criteri (parametri non discrezionali o arbitrari). Il concorso per l’accesso agli impieghi pubblici art.35 d.lgs.165/2001 è un esempio di questa tipologia di procedimento, ossia il concorso per l’accesso agli impieghi pubblici che costituisce la modalità ordinaria per il reclutamento del personale alle dipendenze delle P.A. L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI I profili procedimentali sono disciplinati oltre che dalla l.n.241/1990 anche dal regolamento attuativo approvato con d.p.r. 184/2006. Il procedimento di accesso è a iniziativa di parte e si apre con la richiesta presentata dal soggetto interessato. La richiesta va rivolta a una pubblica amministrazione, nozione che include tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario. La richiesta può riferirsi soltanto a documenti ben individuati e già formati: ben individuati perché il diritto di accesso non è uno strumento di controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni; già formati perché l’amministrazione non è tenuta a elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste. Il d.p.r. 184/2006 distingue due modalità di accesso, formale e informale. L’accesso informale si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di riservatezza e in questo caso la richiesta può essere anche verbale, l’esibizione del documento o l’estrazione di copia. L’accesso formale è necessario nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati o quando sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo dell’interesse o sulla accessibilità di un documento in relazione alle norme sull’esclusione e in altre ipotesi che richiedono una valutazione più approfondita. La richiesta deve essere presentata per iscritto e deve indicare gli estremi del documento o gli elementi che consentano di individuarlo. Deve essere motivata sotto il profilo dell’interesse diretto concreto e attuale connesso all’oggetto della richiesta. Il procedimento prevede anche una fase di contraddittorio con i soggetti controinteressati. 97 L’amministrazione è tenuta a dar comunicazione a questi ultimi della richiesta presentata con l’assegnazione di un termine di 10 giorni per l’eventuale presentazione di una opposizione motivata. L’accesso è gratuito e consiste nell’esame dei documenti presso l’ufficio con la presenza ove ritenuta necessaria di personale addetto. L’accesso è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata. È consentito prendere appunti o trascrivere in tutto o in parte i documenti. La copia dei documenti è rilasciata dietro il pagamento di regola del solo rimborso del costo della produzione. Il procedimento di accesso deve concludersi entro 30 giorni dalla richiesta. Decorso il termine la richiesta si intende respinta. Il provvedimento che rifiuta limita o differisce l’accesso deve essere motivato. L’atto di accoglimento della richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 giorni) concesso per prendere visione o per ottenere copia dei documenti. Il procedimento può concludersi anche con un provvedimento che dispone il differimento dell’accesso. L’accesso non può essere negato quando possa essere sufficiente far ricorso al potere di differimento. Quest’ultimo si giustifica nei casi in cui l’accesso possa compromettere specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, il buon andamento dell’azione amministrativa fermo restando che una volta concluso il procedimento non vi è alcuna ragione per non rendere disponibile agli interessati l’intera documentazione. Un caso importante di differimento previsto per legge riguarda l’accesso ai documenti nei procedimenti per l’affidamento di contratti pubblici in relazione all’esigenza di non compromettere la regolarità della procedura. L’art.13 Codice dei contratti pubblici vieta l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno presentato l’offerta fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte. Contro il diniego espresso o tacito dell’accesso ma anche contro il differimento può essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 giorni innanzi al giudice amministrativo. Il processo segue un rito speciale accelerato che si può concludere con una sentenza di condanna che ordina l’esibizione dei documenti richiesti. In alternativa al ricorso giurisprudenziale la l.n.241/1990 prevede un ricorso di tipo amministrativo esperibile innanzi al difensore civico o alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri che si devono pronunciare entro 30 giorni. Decorso inutilmente questo termine il ricorso si intende respinto e può essere proposto ricorso in sede giurisdizionale. Se ritengono illegittimi il diniego o il differimento dell’accesso il difensore civico o la Commissione lo comunicano all’autorità amministrativa. Se quest’ultima non emana un provvedimento confermativo motivato entro 30 giorni l’accesso è consentito (caso di silenzio assenso).
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