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Ruolo Genitori nello Sviluppo e Eccellenza Progenie: Prospettiva Dominio-Specifica - Prof., Dispense di Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione

Il ruolo dei genitori nella cura fisica, promozione dello sviluppo fisico, socializzazione, stimolazione dell'apprendimento e l'approccio dominio-specifico di parenting. Vengono discusse le esperienze diverse di maschi e femmine, la gravità delle condizioni di un membro disabile e la scelta dei pari per il figlio. Inoltre, vengono presentati i modelli evolutivi di sviluppo dell'amicizia e i rischi per i bambini rifiutati.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 02/01/2024

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Scarica Ruolo Genitori nello Sviluppo e Eccellenza Progenie: Prospettiva Dominio-Specifica - Prof. e più Dispense in PDF di Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione solo su Docsity! 1 PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO NEI CONTESTI EDUCATIVI Prof.ssa Zampini Anno accademico 2021/2022 2 Programma: 1. Bioecologia dello sviluppo 2. La famiglia 3. Le nuove famiglie - famiglie monogenitoriali - famiglie ricostituite - famiglie omogenitoriali 4. La genitorialità 5. Diverse strade per diventare genitori 6. I rapporti tra fratelli 7. La famiglia di fronte alle disabilità 8. Crescere in ambienti sfavorevoli: - famiglie maltrattanti - crescere in carcere - crescere in orfanotrofio 9. Il contesto socio-culturale 10. La multiculturalità 11. Mass media e nuove tecnologie 12. Il contesto scolastico 13. I servizi educativi per la prima infanzia 14. Le relazioni tra pari in età evolutiva 15. Bullismo e cyberbullismo 16. Bisogni educativi speciali e plusdotazione 17. Lo psicologo scolastico 5 L’ambiente vissuto: l’ambiente è da intendersi come ambiente fisico e ambiente relazionale. Spesso le caratteristiche fisiche dell’ambiente hanno influenza nel determinare le qualità delle relazioni. Le caratteristiche fisiche dell’ambiente interagiscono con le caratteristiche della persona, per questo è importante considerare l’ambiente così come è vissuto dal singolo individuo. Aspettative, presentimenti, speranze, dubbi, credenze personali emergono nella prima infanzia e si estendono a tutta la vita. Alcuni aspetti sono stabili mentre altri tendono ad evolvere nel tempo. Ad esempio, una forte delusione può modificare il modo in cui un individuo investe affettivamente nella relazione con le persone. Uno stesso ambiente può essere diverso per diversi individui in diversi momenti. Ad esempio, una stessa classe può essere percepita in modo diverso dai bambini che ne fanno parte: -Ambiente costrittivo per un bambino iperattivo -Ambiente ostile per un bambino con disturbo dell’apprendimento -Ambiente sereno per un bambino senza disturbi L’individuo contribuisce a creare il proprio ambiente, c’è una circolarità delle influenze fra la persona e l’ambiente in cui vive. Ad esempio: -Adolescente con QI elevato cerca esperienze cognitivamente stimolanti l’ambiente «più ricco» porta a incrementare lo sviluppo cognitivo e sociale. -Bambino che parla poco al nido le educatrici lo stimolano meno dal punto di vista verbale ha meno occasioni per sviluppare il proprio linguaggio. Distinzione tra ambiente condiviso e non condiviso  Ambiente condiviso: l’insieme dello spazio fisico e delle relazioni condivise fra più individui (ad esempio, la stessa famiglia per due fratelli).  Ambiente non condiviso: uno stesso ambiente è diverso per le diverse persone. Le disposizioni individuali, i tratti personali, fanno sì che le esperienze vissute dai singoli individui siano diverse. Anche gli outcome saranno diversi. Scarr (1992) rileva come le differenze all’interno di una stessa famiglia possano essere maggiori rispetto alle differenze fra diverse famiglie. Questo è valido solo nelle situazioni tipiche. È importante rendere i genitori consapevoli che non tutto dipende dall’ambiente ma anche dall’individuo stesso. 6 Modello bioecologico dello sviluppo Bronfenbrenner (1979) nel libro «The ecology of human development» teorizza l’esistenza di diversi sistemi ecologici all’interno dei quali avviene lo sviluppo dell’individuo e che sono in grado di determinarlo. I diversi sistemi ecologici sono interconnessi e inseriti l’uno nell’altro: • Microsistema: contesti con cui il bambino ha contatti diretti, che sono da lui sperimentati con elevata frequenza e da cui è sia influenzato che influente ad esempio la famiglia o la scuola. • Mesosistema: relazioni fra i contesti sperimentati direttamente dai bambini (relazioni tra microsistemi) ad esempio la relazione fra i genitori • Esosistema: contesti non sperimentati direttamente dai bambini ma che influiscono sullo sviluppo ad esempio il lavoro dei genitori • Macrosistema: istituzioni, contesto socio-economico e culturale, leggi e tradizioni ad esempio la religione, il tipo di politica Il modello Processo-Persona-Contesto-Tempo: Secondo Bronfenbrenner, per comprendere lo sviluppo dell’individuo è fondamentale considerare quattro componenti tra loro interrelate: • Il processo evolutivo (dinamiche individuo-contesto) • La persona (caratteristiche biologiche e psicologiche) • Il contesto (i sistemi ecologici) • Il tempo (ontogenetico e storicocronosistema) In quale modo il tempo influenza lo sviluppo? I cambiamenti storico-sociali influenzano profondamente: -La dimensione biologica dell’individuo. Ad esempio, uno studio di Filippone et Al. ha riscontrato un’involuzione delle capacità motorie in età scolare. Si osserva come la quasi totalità delle prestazioni svolte dai ragazzi tra il 1995 e il 1999 risultano migliori rispetto a quelle svolte per le stesse prove dal 2000 al 2004. Questo dimostra come gli aspetti biologici sono influenzati dal tempo in cui ci si trova. -La dimensione sociale dell’individuo. Una meta-analisi svolta su circa 15.000 studenti di un college americano con questionari self-report ha riscontrato una diminuzione della capacità di empatia (a cui corrisponde un aumento di tratti narcisistici e aggressività) ed una diminuzione della capacità di assumere il punto di vista dell’altro. -La dimensione cognitiva dell’individuo. Ad esempio, dagli anni ’50 del Novecento è stato osservato il cosiddetto Effetto Flynn per cui sembra verificarsi un aumento dell’intelligenza misurata in termini di Q.I. Studi più recenti però sembrano aver riscontrato un arresto di questo effetto. Inoltre, degli studi svolti negli Stati Uniti hanno riscontrato anche una diminuzione della creatività (anche nei bambini in età prescolare). 7 2. LA FAMIGLIA Dagli anni’50 la famiglia diventa sempre più un oggetto di studio scientifico. Negli stessi anni nasce la terapia familiare. L’attenzione non è più solo sul singolo individuo, ma sul sistema di cui fa parte. Due domande fondamentali: • Cos’è la famiglia? • Come si evolve la famiglia? La famiglia può essere vista come un “piccolo gruppo”, caratterizzato da interazioni frequenti, i cui membri perseguono uno scopo comune. In questo piccolo gruppo ogni elemento si percepisce come parte di un tutto, la struttura è in parte gerarchica (genitore-figlio) e in parte orizzontale (marito-moglie) e infine esso è regolato da una struttura normativa. La famiglia, inoltre, ha anche una dimensione temporale, ovvero possiede una storia e questo è molto importante in quanto influenza lo sviluppo è un piccolo gruppo con una storia. La famiglia, infatti, non è mai isolata dal contesto (c’è sempre una storia). La famiglia può essere vista anche come un sistema: è più della somma delle sue parti, ha delle regole implicite che stabiliscono le interazioni tra i membri, cerca di mantenersi in una condizione di equilibrio (omeostasi) e benessere nonostante i cambiamenti naturali che avvengono nel corso del tempo. La causalità al suo interno non è lineare (azione-reazione) ma circolare (ogni azione e anche una reazione). Il singolo individuo va considerato come elemento della famiglia in cui vive, ma senza trascurare il legame con le generazioni precedenti è da considerarsi cioè come qualcuno che ha una storia. La famiglia è un sistema pluri-generazionale che deve tenere conto di desideri e aspettative delle tre-quattro generazioni che vivono in contemporanea. Come cambia la famiglia? Due teorie in particolare hanno cercato di rispondere a questa domanda:  Family Stress and Coping Theory (Teoria dello stress e del modo di fronteggiarlo)  Family Developmental Theory (Teoria dello sviluppo familiare)  Per la Family Stress and Coping Theory, di Mc Cubin, il cambiamento nella famiglia è causato da uno sconvolgimento improvviso interno o esterno alla famiglia che porta alla necessità di un processo riadattivo (disorganizzazione – ricerca di una nuova organizzazione – raggiungimento di una nuova organizzazione) per fronteggiare l’evento che ha causato il cambiamento al fine di raggiungere una nuova organizzazione. L’evento critico che porta al cambiamento non necessariamente è un evento negativo. La crisi è vista come “sfida” La famiglia può uscirne arricchita ma anche il singolo individuo. La famiglia mette in atto delle modalità di coping (ridefinizione del problema e ricerca di strategie condivise per risolverlo) inoltre, è fondamentale la capacità di comunicare, poiché il coping è di famiglia, non del singolo individuo Il coping messo in atto è influenzato da diversi fattori: - Abilità di coping dei singoli membri - Condivisione di valori e obiettivi all’interno della famiglia - Visione ottimistica (e realistica) della vita - Fiducia nel mondo esterno - Consapevolezza di poter controllare e influenzare gli eventi - Presenza di una rete sociale di supporto 10 Un articolo pubblicato su “La Repubblica” l’11/02/2020 riporta che: “Gli italiani continuano a diminuire: al primo gennaio di quest'anno i residenti ammontano a 60 milioni 317 mila, 116 mila in meno rispetto allo scorso anno. Il calo è dovuto sostanzialmente al Mezzogiorno e al Centro, mentre nel Nord Italia crescono con un buon ritmo Bolzano (5 per mille), Trento (3,6 per mille), la Lombardia e l'Emilia Romagna. Tra le Regioni del Centro quella con il tasso inferiore di perdita è la Toscana. A determinare il calo della popolazione sono le nascite, decisamente inferiori ai decessi: sono rispettivamente 435 mila contro 647 mila. Si tratta, sottolinea l'Istat, "del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918". La differenza è infatti di 212 mila unità: per ogni 100 persone che muoiono in Italia dunque ne nascono solo 67, dieci anni fa erano 96.” È importante sottolineare la data: l’articolo era stato pubblicato pochi giorni prima dell’inizio della pandemia di Covid-19. I dati ISTAT del 2020 riportano che: 1,17  numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana (il più basso d sempre) 31,4  età media alla nascita del primo figlio 47,5%  percentuale di primi figli, 8 mila in meno in un solo anno (-4,1% rispetto al 2019) La pandemia ha accentuato il calo dei nati: diminuzione ancora più drastica delle nascite a partire da novembre-dicembre (primi nati dall’inizio della pandemia) e nei primi mesi del 2021. Questo è un chiaro esempio dell’influenza del cronosistema. Il calo della natalità non è legato a una perdita del valore del figlio. Il figlio è visto come fonte di realizzazione personale e come elemento che favorisce la riuscita della coppia (viene investito un ruolo molto pesante). Spesso l’investimento col figlio è più elevato rispetto all’investimento sulla coppia, ma questo porta ad una conseguente difficoltà nel processo di distacco. Un altro cambiamento socioculturale che influenza la famiglia è la permanenza prolungata dei figli in casa: la transizione alla vita adulta è rallentata, il passaggio è sempre più graduale e lungo. Si amplia dunque il ventaglio di possibilità (non c’è più “l’obbligo” di sposarsi) e il desiderio di distacco è spesso presente ma le difficoltà economiche non lo consentono (dati 2017). Questo porta ad un esito generazionale: più tempo sarà impiegato per il distacco più sarà il ritardo nella comparsa della nuova generazione. Fenomeno dell’invecchiamento della popolazione: anche l’allungamento della vita media influisce sulle dinamiche familiari e porta alla necessità di revisione delle politiche sociali per fare fronte al crescente bisogno di assistenza. In alcuni nuclei familiari si trovano a confronto 4 diverse generazioni (continua rinegoziazione delle relazioni). 11 3. LE NUOVE FAMIGLIE trasformazione delle famiglie nel tempo: comparazioni dati 2005/2006 – 2015/2016 dati ISTAT 2020: 35% delle famiglie in italia sono composte da una persona dati ISTAT 2020 12  Famiglie monogenitoriali L’aumento delle famiglie monogenitoriali è legato all’aumento dei divorzi (non ci sono dati ufficiali, soprattutto perché la separazione di coppie di fatto che convivevano non possono essere tracciate in quanto non ci sono registri). Dati ISTAT 2015: In Italia sono stati celebrati 194.377 matrimoni; i divorzi ammontano a 82.469 (circa il 40%). La durata media del matrimonio al momento della separazione è di circa 17 anni. In media i mariti hanno 48 anni e le mogli 45. I dati del 2015 risentono degli effetti di variazioni normative, in particolare, dell’introduzione del “divorzio breve”, che prevede la riduzione dei tempi di attesa tra la separazione e la richiesta di divorzio (12 mesi nelle separazioni giudiziali, 6 mesi in quelle consensuali). Il fenomeno è comunque in aumento. La separazione/divorzio crea una frattura e porta alla necessità di una riorganizzazione. Le interazioni possono interrompersi ma non le relazioni! È importante che venga mantenuta la cooperazione tra i partner almeno sul fronte genitoriale. Nel 2006, è entrata in vigore legge sull’affido condiviso a madre e padre. Nel 2015, l’89% dei casi di separazioni e divorzi ha affido congiunto (prima del 2006, i figli minorenni venivano affidati quasi sempre alla madre). È fondamentale non solo mantenere la relazione con entrambi i genitori, ma con le famiglie di origine di entrambi i genitori. TRE QUESITI: 1. I figli di famiglie «unite» stanno meglio di quelli di famiglie separate? 2. I genitori dovrebbero stare insieme per il bene dei figli? 3. Cosa rende un bambino più vulnerabile alle conseguenze dell’esperienza di separazione? 1. I figli di genitori separati presentano, in media, minori capacità di adattamento rispetto a quelli di famiglie non separate (problemi a scuola, relazioni, emotivi, bassa autostima) MA il 75% dei figli in famiglie separate NON ha problemi di adattamento. Questo significa che la maggioranza dei bambini con genitori separati non presentano comunque dei problemi ma in questa situazione sono maggiori i fattori di rischio. 2. In genere no, perché i conflitti hanno un effetto deleterio sullo sviluppo del bambino (situazioni di conflitto coniugale persistenti, situazioni di infelicità dei genitori e stress associato). In alcuni casi, però, stare insieme può essere la soluzione meno deleteria (poiché dal divorzio possono derivare una genitorialità negligente e un aumento dei conflitti). La conflittualità coniugale determina effetti deleteri sotto due punti di vista: -Riduce il benessere dei genitori ed il benessere dei genitori è un fattore protettivo per il bambino -Favorisce lo sviluppo di disturbi d’ansia o depressione nel bambino 3. Sono più vulnerabili agli effetti negativi del divorzio: -I bambini con temperamento difficile (cioè bambini che faticano ad adattarsi alle situazioni nuove, ai cambiamenti). Più il bambino ha un temperamento difficile più sarà a rischio in una situazione di questo tipo. -I maschi (soprattutto se affidati esclusivamente alle madri) Non è la famiglia monogenitoriale o il divorzio in sé a determinare esiti negativi nello sviluppo del bambino MA è il modo in cui i genitori sono in grado di gestire il conflitto e una eventuale rottura. Il genitore deve preservare equilibrio psicologico e capacità di resilienza tali da supportare il bambino nel suo sviluppo, prescindendo dalle difficoltà familiari. 15 La PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) è la modalità sempre più frequentemente utilizzata delle coppie omosessuali per diventare genitori. Ultimamente è acceso un ampio dibattito relativo alla possibilità di adozione nelle famiglie omogenitoriali: per una coppia omosessuale il percorso di adozione è molto più difficile anche in stati con politiche più aperte alla omogenitorialità (ad esempio, USA). Gli studi dimostrano però che le coppie omosessuali sono adeguate quanto quelle eterosessuali. I limiti degli studi scientifici sulle famiglie omogenitoriali sono dati dal considerare come un’unica categoria diverse strutture familiari: donne con figli avuti da precedenti relazioni eterosessuali, coppie con figli avuti con PMA e coppie adottive. Ulteriore problema: le ricerche sono effettuate sulle coppie che si dichiarano come famiglia omogenitoriale (molti scelgono di non rivelarsi alla comunità). 16 4. LA GENITORIALITÀ Ogni famiglia è un sistema insieme complesso di parti che interagiscono fra loro. La famiglia può essere vista come un insieme di sottosistemi, sia diadici (come relazione genitore-bambino, relazione padre-madre), che poliadici, cioè che coinvolgono più persone (ad esempio, relazione padre-figli, relazione madre-padre-figlio). Legame di coppia Il legame di coppia è fondamentale e la nascita di un figlio può portare a un periodo di crisi nella coppia, ma anche servire da rinforzo per il legame. Questo avviene perché cambiano gli equilibri e la nascita del neonato comporta inevitabilmente una serie di cambiamenti (nello spazio e nel tempo). È necessario “fare spazio” al nuovo nato, è importante riuscire a negoziare la divisione dei ruoli con l’ingresso del figlio. I mesi di gravidanza, a livello psicologico, servono proprio alla coppia per fare spazio al bambino che arriverà. In realtà, il “fare spazio” inizia prima del concepimento (o dell’adozione etc.) il processo inizia quando la coppia prende la decisione di allargare la propria famiglia. Le donne che partoriscono precocemente possono rilevare con maggiore possibilità delle difficoltà, proprio perché il bambino arriva prima di quanto ci si aspettasse e prima che il processo di “fare spazio” potesse giungere a termine. Infatti, alcuni studi hanno rilevato che casi di depressione post-partum sono più frequenti in casi di gravidanze interrottasi precocemente. Diminuisce l’importanza data agli aspetti di companionship (piacere nello stare insieme) e aumenta quella agli aspetti di partnership (coinvolgimento in un progetto comune). È fondamentale il mantenimento di una buona relazione tra i genitori: la dimensione genitoriale non deve mai fagocitare quella coniugale. Infatti, una buona relazione di coppia fornisce supporto alla genitorialità. Alcuni studi rilevano che i genitori felicemente sposati sono più sensibili, attenti e affettuosi con i loro figli (Grych-2014, lo studio è stato effettuato su coppie sposate ma vale lo stesso in coppe di fatto) ciò significa che più le persone sono felici nella relazione, più sono in grado di fornire affetto ai figli. Come è cambiata la genitorialità nel tempo? Il supporto sociale che era presente precedentemente, oggi non c’è più: i corsi di pre e post parto non sono sufficienti e, mentre prima i genitori si ritrovavano con una vera e propria rete sociale intorno a sé, oggi i genitori sono più soli nel loro ruolo. Dunque, man mano che la società si evolve anche il ruolo dei genitori cambia Spesso la “colpa” del disagio delle nuove generazioni viene attribuita ai genitori, che vengono criticati per avere meno influenza su figlio, come se il ruolo genitoriale si fosse sempre più affievolito. Bronfenbrenner, rigirando il problema, sostiene invece che forse è il contesto ecologico in cui vivono i genitori a non consentire più di esercitare forze positive sulla vita dei figli. I genitori sono molto più attenti e preoccupati di quanto lo fossero in passato, ma la società moderna non consente il passaggio del loro rinforzo società stratificata per età, in cui bambini e i genitori vivono troppo spesso vite separate (Bronfenbrenner,1973). Questo porta ad una minore influenza del genitore sul bambino. Dunque i momenti di confronto diventano molto pochi nel corso della giornata. Occorre, quindi, lavorare con i genitori per far capire loro l’importanza di dare valore alle competenze dei figli. Ad esempio, se il genitore dà valore alla socializzazione, il bambino è più portato ad avere buoni rapporti con gli altri. Rispetto alle generazioni passate, i genitori di oggi sono più consapevoli dello sviluppo (soprattutto classi sociali più elevate e genitori “più anziani”) maggiore consapevolezza delle tappe di sviluppo che porta a saper fare richieste adeguate allo sviluppo del bambino e a saper comprendere e accettare le loro emozioni. 17 Compiti familiari I compiti familiari sono situazioni davanti alle quali la famiglia può trovarsi a dover prendere delle decisioni. (scegliere se sposarsi, se avere figli…). La nascita di un figlio è uno degli eventi critici più salienti per la famiglia. Anche se non pianificato, un evento può essere più o meno inaspettato. La pianificazione o l’imprevedibilità di un evento cambiano in modo significativo il modo di fronteggiarlo. Timing: la tendenza a posticipare la genitorialità è sempre più evidente. Gli studi dimostrano che ci sono differenze sostanziali tra avere figli in adolescenza in età adulta, con un indubbio vantaggio per le madri più mature. La tendenza attuale è quella di avere figli in media sempre più tardi. Questo è un vantaggio o uno svantaggio? Vantaggi del posticipare la maternità/paternità: -Raggiungimento di un più elevato livello di educazione (si pensa prima a terminare gli studi) -Migliore posizione lavorativa (soprattutto nelle madri) -Maggiore consapevolezza -Maggiore calore, migliore comunicazione genitore-figli e minore rigidità nel controllo (soprattutto nei padri) Svantaggi del posticipare la maternità/paternità: -Minore disponibilità al coinvolgimento fisico (soprattutto nei padri) -Aumento dei figli unici (non viene data la possibilità ai bambini di sperimentare la relazione fraterna) A causa di questa tendenza attuale, è stato notato un aumento del cosiddetto “social frreezing”, ovvero il congelamento degli ovociti della donna per una successiva gravidanza. Questo era già utilizzato, ma principalmente per motivazioni mediche, mentre ora è più diffuso tanto da poter essere definito “social”. Essere genitori richiede notevoli abilità interpersonali e mette in atto richieste emotive intense. Non c’è un’educazione formale al diventare genitore, ciascuno prende spunto dalla relazione che ha avuto con i propri genitori per decidere che tipo di genitore vorrà o non vorrà essere (in base a ciò che ha sperimentato). Il patto genitoriale Una sorta di norma tacita, che viene comunicata (più o meno apertamente) per stabilire quai siano i ruoli dei membri della coppia e come essi saranno gestiti La coppia genitoriale deve sviluppare la capacità di prendersi cura in modo responsabile di ciò che è stato generato insieme. È fondamentale che la coppia costruisca un patto genitoriale, cioè una reciproca legittimazione ad essere genitori. -Ciascun genitore deve essere coinvolto nei compiti di cura ed educazione -Ciascun genitore deve supportare l’altro nell’assunzione del nuovo ruolo e rispettare il suo modo di essere genitore -Il patto genitoriale deve garantire al figlio, in ogni fase evolutiva, la presenza di aspetti protettivi e affettivi (codice materno) e di aspetti normativi e di emancipazione (codice paterno). Sia l’aspetto di affetto che quello di norma sono importanti, ed una buona educazione è quella che trova un equilibrio tra i due elementi. Il supporto reciproco che i genitori si forniscono l’un l’altro nel condividere la crescita di un figlio è detto coparenting. Scarsi livelli di coparenting emergono da una scarsa coordinazione di valori e pratiche educative tra i genitori (questo avviene con maggiori probabilità quando la gravidanza è inaspettata). La svalutazione dell’altro genitore (davanti al figlio) e la mancanza di cooperazione tra i genitori portano allo sviluppo di varie problematiche, ad esempio a livello della capacità di autoregolazione. 20 Le punizioni L’uso di punizioni fisiche risulta essere associato a: • Comportamento antisociale nei figli (inganni, bugie, bullismo) • Più remissività immediatamente dopo la punizione • Più aggressività possono aumentare le probabilità di episodi di bullismo (il bambino ripete con i suoi pari) • Depressione adolescenziale • Problemi esternalizzanti (ad esempio, delinquenza giovanile) Questi studi sono svolti all’interno di contesti abusanti. Dunque, sono da evitare tutte le forme di punizione (anche quelle non fisiche)? Gli studi dicono che alcune forme di punizione potrebbero essere utili a scoraggiare comportamenti negativi. • Sottrazione di un benefit (togliere temporaneamente un privilegio) • Tecnica del time-out (allontanare temporaneamente da una situazione gratificante)  con bambini troppo piccoli non funziona, perché essendo troppo piccoli durante quel tempo non riflettono veramente su ciò che è accaduto. Quando i bambini sono ancora troppo piccoli perché possano riflettere autonomamente, la strategia migliore è quella del dialogo, parlando con lui e cercando le motivazioni per cui si è comportato in un determinato modo etc. Cambiamenti Il genitore deve sapersi adattare ai cambiamenti. Il primo cambiamento è proprio la transizione alla genitorialità, che implica notevoli capacità di adattamento: - Cambiano le condizioni oggettive di vita - Vengono implicate complesse dinamiche affettive ed emotive (desiderio di investire nella relazione con il bambino senza disinvestire nella relazione con il partner o con la propria persona) I mesi di gravidanza sono un periodo importante per i genitori, per prepararsi ad investire il nuovo ruolo. Ulteriori cambiamenti sono dati dall’adattamento progressivo allo sviluppo del bambino: • Passaggio dall’accudimento fisico alla cura dell’interazione • Passaggio da un maggiore controllo a una graduale co-regolazione (stabilire insieme le regole) • Passaggio graduale dalla dipendenza all’autonomia (adolescenza) Quando i figli sono più di uno, il genitore deve saper adattare lo stile ed il comportamento alla specifica età in cui si trovano i diversi figli. Genitori-figli in adolescenza Il genitore deve essere in grado di accompagnare la spinta dell’adolescente verso l’autonomia. • La repressione o l’imposizione non sono strategie vincenti • È importante saper cedere il controllo negli ambiti in cui il ragazzo può prendere autonomamente delle decisioni ragionevoli • Occorre assumere un atteggiamento di «protezione flessibile» l’accudimento e la cura devono diventare sempre più sfumati. Questo non vuol dire che scompaiono, se l’adolescente ha bisogno deve sapere che i genitori saranno sempre lì ad accudirlo come in precedenza, ma questo dominio perde la predominanza. La gestione del conflitto è un aspetto chiave nella relazione genitori-figli adolescenti. I conflitti (spesso riguardanti la vita quotidiana e in genere di livello moderato) aumentano nella prima adolescenza per poi ridursi • I conflitti e le negoziazioni hanno il ruolo fondamentale di favorire l’indipendenza del ragazzo • Le relazioni migliorano se i figli si allontanano da casa per studiare 21 5. DIVERSE STRADE PER DIVENTARE GENITORI  Gravidanza  Gravidanza tramite Procedura Medicalmente Assistita (PMA)  Adozione  Affido familiare  Gravidanza Può essere cercata oppure non cercata questo può influenzare diversi aspetti  Gravidanza tramite Procedura Medicalmente Assistita La nascita di un figlio era un tempo un evento del tutto naturale e non controllabile. Ora invece, prima con la contraccezione e poi con la PMA, si è arrivati ad un grande cambiamento poiché è possibile controllare se avere figli e programmare quando avere figli. Il progresso medico consente oggi la possibilità di avere figli a coppie per le quali la genitorialità era preclusa. Dagli anni ’70 ampia diffusione delle tecniche di PMA, per incremento di infertilità e per diritto alla genitorialità di coppie omosessuali. La PMA in Italia ha avuto un difficile percorso di accettazione: -Consentita a coppie eterosessuali (sposate o conviventi) per fecondazione omologa [Legge 40/2004] -Vengono consentite procedure eterologhe per coppie eterosessuali con condizioni di infertilità assolute e irreversibili (nel 90% di casi circa, donazioni estere) [Sentenza 162/2014] -Il 2.8 % dei bambini italiani sono nati con tecniche di PMA (dati 2016) -Tasso di riuscita: 14% (diminuisce in relazione all’età materna: 24% sotto i 35 anni; 4.5% sopra i 43 anni) Tre tipologie di PMA utilizzate: 1.Fecondazione omologa: unione, realizzata con procedure di laboratorio, tra i gameti della coppia. 2.Fecondazione eterologa: utilizzo di un gamete esterno alla coppia. (In questo caso è possibile scegliere uno stesso donatore per due fratelli/ è possibile, inoltre, utilizzare lo stesso donatore per eventuali altri figli) 3.Maternità surrogata: impianto dell’embrione nel corpo di una donna esterna alla coppia Le questioni etiche dietro alla maternità surrogata sono molto complesse, soprattutto in riferimento all’eventuale retribuzione. Problematiche psicologiche generali legate alla PMA:  Viene persa l’intimità della procreazione. Non è più una relazione intima della coppia, perché si aggiunge un terzo estraneo (medico)  L’infertilità diventa un argomento centrale nella vita e nelle conversazioni della coppia. Si trascurano tutti gli altri aspetti della vita di coppia e individuale  Si riscontrano livelli elevati di ansia e depressione (spesso senso di colpa per l’infertilità)  Manca spesso un accompagnamento psicologico alla PMA. Le coppie si trovano sole davanti al fallimento  Quale posto occupano nella mente dei genitori gli embrioni soprannumerari distrutti o congelati? Problematiche psicologiche legate alla fecondazione eterologa:  Si instaura una diseguaglianza procreativa, dato che solo uno dei genitori può trasmettere il proprio patrimonio genetico  La donna può vivere con difficoltà la presenza di un elemento estraneo nel proprio corpo 22 Problematiche psicologiche per i figli nati da PMA:  Difficoltà a riconoscersi nei propri genitori  Ricerca delle proprie origini Diritti dei figli nati da PMA: • Diritto a conoscere il modo in cui si è stati concepiti • Diritto a conoscere il donatore (se non anonimo) • In Italia, diritto a conoscere la propria identità biologica dai 25 anni (2014). Per esigenze mediche e sanitarie è possibile risalire anche al donatore anonimo tramite il Servizio Sanitario Nazionale Circa l’88% dei genitori lo dicono (o hanno intenzione di dirlo) ai figli in caso di PMA omologa Circa il 46% in caso di PMA eterologa (Murray et al., 2006) La «madre surrogata» è una tipologia di PMA riconosciuta solo in alcuni paesi (es. Stati Uniti, Canada, Belgio, Inghilterra, Grecia). In alcuni paesi, per evitare problemi di sfruttamento, viene consentita solo a donne sposate, con figli e buono status socioeconomico. Alla nascita, i genitori «riceventi» diventano i genitori legali del bambino. Se il paese di origine dei genitori vieta la maternità surrogata, al loro ritorno ci potrebbero essere problemi legali. Uno studio di Golombok et al. del 2012 ha confrontato l’adattamento in bambini: -Nati da maternità surrogate -Nati da donazione di uovo -Nati da donazione di sperma -Concepiti naturalmente L’adattamento dei bambini nati con tecniche di PMA è nei range normali. A 7 anni, l’adattamento dei bambini nati da maternità surrogata risulta minore rispetto ai bambini nati da donazione di gamete. (possibile spiegazione= spesso la madre surrogata mantiene i rapporti con la famiglia, mentre i donatori no). Le madri che mantengono il segreto sono più stressate. Lo stress materno ha un’influenza negativa maggiore rispetto alla conoscenza delle proprie origini. PMA nelle coppie omosessuali In Italia non è consentita, ma è possibile in diversi paesi. Coppie formate da donne: -Fecondazione eterologa -Metodo ROPA [Recepción de Ovocitos de la Pareja] (Spagna), consente una maternità condivisa: una delle due donne fa fecondare in vitro i propri ovuli, che poi sono impiantati nell’utero della compagna, la quale porta avanti la gravidanza, con il patrimonio genetico della propria partner. Coppie formate da uomini: -Madre surrogata 25 Cosa occorre fare? • Lavorare sulle differenze (da identificare, comunicare, accogliere, gestire) • Saper narrare al bambino la sua storia • Aiutare il bambino a costruire la propria identità Adozioni speciali Sono un particolare tipo di adozione che si riferiscono a bambini con bisogni speciali. 23/06/2019 «Sono 424 in Italia i bambini con bisogni speciali dichiarati adottabili, per i quali non è stata trovata una famiglia. Per loro, la prospettiva è spesso quella di restare in un istituto, una casa-famiglia o una residenza sanitaria» Per i minori con disabilità certificata è prevista una sorta di “corsia preferenziale” [Art. 44, Legge 184 (1983)]. Il processo è infatti più agevole: - É consentita l’adozione anche da parte di coppie non sposate o da persone single (discutibile) - Nonostante questo, le domande di adozione di bambini con disabilità pervenute ai Tribunali per i minorenni italiani nel 2016, sono state solamente sette. La capacità delle coppie e le loro possibilità sono accertate prima che il bambino venga adottato.  L’affido familiare L'affido familiare è un'istituzione dell'ordinamento civile italiano che si basa su un provvedimento temporaneo che si rivolge a bambini e a ragazzi fino a 18 anni, che si trovano in situazioni di instabilità familiare. Rappresenta un servizio di aiuto e sostegno creato nell'ottica della tutela dei diritti dell'infanzia, garantendo al minore il diritto a crescere in un ambiente che possa soddisfare le sue esigenze educative e affettive, in grado di rispettare i suoi bisogni, in riferimento alle caratteristiche personali e familiari e alla sua specifica situazione di difficoltà. [Legge n. 184 del 4 maggio 1983] [Legge n. 149 del 28 marzo 2001] Non vi sono più due elementi (bambino e famiglia adottiva) ma gli agenti fondamentali sono tre: - Minore bambino (0-18 anni), che si trova in una famiglia che non riesce a rispondere ai suoi bisogni e/o lo mette in pericolo (il minore può trovarsi in comunità, da solo o con una figura genitoriale) - Famiglia d’origine persona che, singolarmente o in coppia, ha il compito di accudire, allevare, educare un minore, ma che a una valutazione tecnica psicosociale appare impossibilitato e/o inadeguato a svolgerlo. - Famiglia affidataria persona che, singolarmente o in coppia, a una valutazione tecnica psicosociale risulta in grado di accudire, educare e mantenere un minore e che accetta di accoglierlo nella propria abitazione. Hanno poi un ruolo fondamentale i servizi: - Servizi esprimono una diagnosi psicosociale approfondita della situazione familiare; formulano una proposta di progetto mirato in cui sono specificati gli obiettivi a breve, medio e lungo termine; seguono lo svolgimento dell'affido con verifiche periodiche Non è raro che gli affidatari siano parenti del bambino ed è qui ritenuto importante che la famiglia biologica mantenga i rapporti con a famiglia affidataria. L'affido familiare un provvedimento temporaneo, la cui durata non dovrebbe superare i due anni, nel caso dell'affido consensuale, o comunque il periodo temporale indicato nel provvedimento del tribunale, nel caso di affido giudiziale. Nella realtà accade che la situazione si protragga poi per più anni. 26 L'affidamento termina quando: - Viene meno la causa che ha determinato l’allontanamento del minore e il minore torna con la famiglia d’origine. Quindi quando il problema dei genitori viene risolto. - Viene revocata la potestà genitoriale alla famiglia di origine si avvia il procedimento di adozione - Non ha dato buon esito (non ci sono stati esiti positivi nell’aver separato il bambino dalla famiglia di origine) o non può proseguire per altre cause, ad esempio, per la decisione di interrompere l'affidamento (per particolari problemi con la gestione del bambino o con la famiglia affidataria. In questi casi si ricerca una nuova famiglia affidataria) Diritti delle persone coinvolte o Bambino: -Ha diritto a essere ascoltato, informato e preparato prima di procedere per l'affidamento -Ha diritto a mantenere i rapporti con la propria famiglia d’origine -Ha diritto a mantenere i rapporti con la famiglia affidataria anche al termine dell'affido o Famiglia d’origine -Ha diritto a essere informata sulle finalità dell'affidamento e a essere coinvolta nelle le fasi del progetto. È importante che ci siano mediatori culturali qualora le famiglie implicate provengano da altri contesti culturali. -Ha diritto ad avere un sostegno individuale in merito al percorso di affido e a essere coinvolta in un progetto di aiuto per superare le proprie difficoltà o Famiglia affidataria -Ha diritto a essere informata sulle finalità dell'affidamento e a essere coinvolta nelle fasi del progetto -Ha diritto ad avere un sostegno individuale e di gruppo -Ha diritto ad avere un contributo mensile svincolato dal reddito e ad avere facilitazioni per l'accesso ai servizi sanitari, educativi e sociali Diventare genitori affidatari Rispetto all’adozione, la pratica dell’affido familiare è meno diffusa; infatti, le famiglie disponibili all’affido sono molto meno dei bambini che potrebbero esservi collocati (il contrario di ciò che avviene per l’adozione). A determinare ciò, l’aspetto che più spaventa è il fatto che sia un provvedimento a termine. La paura è quella di creare un legame molto forte che possa portare ad una grande sofferenza al momento del distacco. Molte famiglie non si sentono adeguate emotivamente. Durata del periodo di affido (dati 2014) Affido sine die: decreto d’affido la cui durata viene gradualmente prolungata fino ad arrivare all’età adulta 27 Confronto Adozione-Affido Affido d’emergenza  È un affidamento di breve durata, per bambini molto piccoli (0-24 mesi) che quindi hanno bisogno di attenzioni costanti e stabili. Si ritiene che il rischio sia impellente e si agisce con molta fretta.  Consente agli operatori, in collaborazione con l’autorità giudiziaria, di avere il tempo sufficiente per valutare le capacità dei genitori e decidere come proseguire nella cura del bambino  A questo affido segue: rientro in famiglia, affidamento familiare o adozione Pronto intervento:  Si attiva per bambini coinvolti in situazioni improvvise gravi (es. caso in cui si scopra un maltrattamento).  Si ha la necessità di un intervento tempestivo che li metta al riparo dal pericolo  Viene considerata tale opzione dai servizi quando non è possibile affidare il minore ai familiari. L’affido leggero L’affido «leggero» è una modalità in cui l’affido non è residenziale (il bambino non vive a casa della famiglia affidataria)  L’impegno può riguardare parte della giornata, della settimana o alcuni periodi dell’anno, a seconda delle capacità dei genitori naturali di provvedere alle necessità dei figli, almeno parzialmente  È prevista l’esistenza di un progetto e la supervisione e l’accompagnamento da parte degli operatori Come per l’adozione, anche per l’affido le strategie di parenting funzionali sono le stesse di una famiglia «tipica», MA l’affido, ancora più dell’adozione, porta sfide aggiuntive alla famiglia, quali: - Legame con servizi che hanno in carico il bambino - Legame con la famiglia di origine (coinvolgimento, conflitto, collaborazione) - Gestione dei vissuti relativi al «ritorno» alla famiglia d’origine - Limiti burocratici (che limitano ad esempio la libertà di movimento) - Costruzione della propria identità da parte del bambino/ragazzo in affido 30 Numero di fratelli Avere molti fratelli può essere un fattore di rischio. Gli studi rilevano una relazione inversa tra numero di bambini in famiglia e il rendimento scolastico. Le possibili spiegazioni di questa relazione sono diverse: - I figli sperimentano meno disponibilità di tempo da parte dei genitori - Spesso le famiglie più numerose provengono da contesti di più basso status socioeconomico Però, da diversi studi, si rileva un vantaggio nella socializzazione: i bambini con più fratelli acquisiscono più abilità sociali negli anni della scuola primaria (sia rispetto ai figli unici che ai bambini con meno fratelli). Differenze di età La differenza di età è fondamentale per il tipo di relazione che si crea: Relazione con un pari (con cui si condivide anche l’ambiente familiare) vs Relazione gerarchica (nel caso di maggiori differenze) Differenze di genere Alcuni studi rilevano come tra fratelli dello stesso sesso (soprattutto maschi) siano più elevati i livelli di aggressività e le dinamiche di dominanza. Altri studi, invece, rilevano come il livello di intimità sia maggiore tra le sorelle.  questo generalmente, perché ha sempre un ruolo l’individualità. Ordine di nascita Diversi studi hanno sottolineato come in genere i primogeniti abbiano una serie di caratteristiche peculiari che li differenziano dai secondogeniti: - Sono più orientati verso l’adulto perché hanno potuto sperimentare maggiormente relazioni uno ad uno con l’adulto - Hanno maggiore successo in ambito accademico e professionale questo non è correlato tendenzialmente al livello cognitivo o al Q.I.: la spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che inizialmente i genitori hanno più tempo da dedicare al primogenito in quanto le attenzioni possono essere totali. - Sono più ansiosi e hanno più sensi di colpa (maggiori aspettative dei genitori) I genitori sono più inesperti con il primogenito, perché sperimentano per la prima volta l’essere genitori, e questa è sicuramente una variabile che interviene La nascita di un fratello comporta un cambiamento significativo nella relazione madre-bambino: • Aumenta il controllo: i genitori sentono il bisogno di controllare il maggiore al fine di preservare il secondogenito appena nato e spesso c’è una richiesta di maggiore responsabilità. • Aumentano le interazioni negative • Aumenta la frequenza di problemi comportamentali nei figli maggiori Conflittualità tra fratelli La conflittualità è una parte naturale della relazione fraterna. È però importante che il conflitto sia limitato a questioni di poco conto e che non raggiunga livelli elevati e particolarmente difficili da gestire. Diversi studi in letteratura hannostudiato gli esiti della conflittualità tra fratelli. Da questi ultimi è emerso che una forte conflittualità associata a: - Incremento sintomi depressivi nell’infanzia - Comportamento antisociale e relazioni poco funzionali in adolescenza (soprattutto se la genitorialità era poco efficace) - Sentimenti di solitudine: pur avere un fratello/sorella non si riesce ad entrare in sintonia 31 Qual è il ruolo dei genitori nella conflittualità tra fratelli? • Possono intervenire per aiutare a risolvere il conflitto • Possono ammonire entrambi i fratelli • Possono decidere di non agire Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non intervenire, nel caso di bambini in età prescolare, risulta spesso la strategia più efficace. Vantaggi: gli studi ci dicono che in genere bambini con fratelli: - Sono più spinti alla socializzazione - Hanno un migliore sviluppo delle competenze sociali (soprattutto se c’è un buon livello di intimità) - Sperimentano un minore senso di solitudine: in qualsiasi momento della vita familiare l’avere un fratello/sorella rappresenta una risorsa (supporto). - Sono più portati alla condivisione e a mettere in atto comportamenti di aiuto - Hanno dei vantaggi nello sviluppo cognitivo e nella teoria della mente.  lo sviluppo cognitivo (dato dal confronto fra pari o dallo scaffolding da parte del fratello maggiore; ma il confronto da pari risulta essere un apprendimento e un tipo di sviluppo più attivo rispetto a ciò che si impara da qualcuno di più grande. Cambiamento della relazione nel tempo  In età prescolare, la relazione fraterna diventa più intensa con il progressivo incremento delle competenze del minore (aumentano man mano i momenti di gioco tra i due etc.)  In età scolare, la relazione tende a diventare più forte ed egalitaria. Minore percezione del fatto che uno dei due sia il maggiore e si tende a percepirsi come più simili (se la differenza non è troppa)  In adolescenza, la relazione tende a decrescere in corrispondenza dell’aumento del coinvolgimento al di fuori della famiglia.  In età adulta diminuisce poi il tempo speso insieme ma la relazione riacquista notevole importanza dal punto di vista della vicinanza e dell’intimità. Qualita’ della relazione fraterna Validazione del Sibling Relationship Inventory (Stocker e McHale, 1992) su un campione italiano. Valuta la percezione che i bambini (6- 12 anni) hanno dei propri comportamenti e sentimenti verso i fratelli. 17 domande su scala Likert 1 (mai) – 5 (sempre) Costruito su tre dimensioni: -Affetto -Conflitto -Rivalità 32 7. LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA DISABILITÀ Due punti di vista: quello del genitore che riceve la notizia di disabilità del proprio figlio e quello dei fratelli. L’arrivo di un figlio è un evento saliente accompagnato da aspettative e tanta progettualità. Scoprire che il proprio figlio ha una disabilità provoca uno sconvolgimento del singolo genitore e dell’intera famiglia. C’è quindi una necessità di rielaborare il lutto per la perdita del figlio ideale e c’è il bisogno di una riorganizzazione. È un processo lungo e articolato e l’accettazione della realtà è favorita da una buona resilienza individuale e familiare. La difficoltà a essere genitore di un bambino con sviluppo atipico può essere influenzata da altri fattori: - Le risorse socio-economiche disponibili - Le credenze religiose e il contesto culturale la società odierna ultimamente sta procedendo nella direzione opposta con il largo utilizzo di screening prenatali - La possibilità di accedere a supporti esterni che possano favorire l’adattamento parentale La comunicazione della diagnosi Le modalità con cui avviene la prima comunicazione della diagnosi sono fondamentali per l’accettazione della stessa:  Ambiente adeguato  Specialisti sensibili e disponibili, il più possibile formati per comunicare la diagnosi. La figura idonea è lo psicologo ma spesso le strutture ospedaliere lasciano che sia il medico ad occuparsi del momento.  Comunicazione chiara e non frettolosa, che sappia accogliere le domande e i dubbi della famiglia A distanza di anni i genitori parlano del momento in cui gli è stata data la comunicazione come se questo fosse un evento recente, lo ricordano in modo molto nitido questo conferma l’importanza del momento. Tempi della comunicazione: -Alcune diagnosi di disabilità possono essere effettuate prima della nascita (screening prenatale) -Alla nascita (ad esempio, per facies specifica) -Dopo mesi o anni dalla nascita (difficoltà non subito evidenti o malattie comparse in seguito). Quale vantaggio nel saperlo prima? • Minore gap tra il «figlio ideale» e il «figlio reale» • Possibilità di attivare da subito una rete di supporto • È più semplice elaborare una diagnosi se non è del tutto inattesa Elaborazione della comunicazione Fasi di elaborazione dell’esperienza dolorosa di ricezione della diagnosi (Lecciso e Petrocchi, 2012): 1. Stordimento e confusione: difficoltà a comprendere cosa stia succedendo; forte senso di impotenza 2. Negazione della diagnosi del figlio: ricerca di diversi consulti medici per disconfermare la diagnosi 3. Rabbia: nei confronti dei medici, del partner, dei propri genitori, del figlio o di se stessi 4. Accettazione della realtà: adattamento alla nuova situazione; elaborazione di un progetto di vita che tenga conto dei limiti che tale situazione comporta. Sentimenti contrastanti: rabbia, vergogna, inadeguatezza e impotenza. La difficoltà del genitore ad elaborare il passaggio dalla confusione iniziale all’accettazione può intaccare la qualità della relazione genitore-bambino. Il genitore che mostra di potere affrontare la situazione sia sul piano di realtà che su quello psichico sarà maggiormente in grado di fronteggiare le sfide della genitorialità in maniera sensibile e appropriata. 35 Alcuni studi rilevano una incidenza più elevata di problemi comportamentali nei siblings. Diversi fattori possono però contrastare questo effetto: • Clima familiare: avere un clima positivo in cui predomina la comunicazione • Ruolo dei genitori: il genitore deve essere tale per entrambi i figli allo stesso modo, pur utilizzando le proprie risorse laddove ci sia maggiore necessità • Gravità della condizione del fratello: di solito più è grave la condizione del fratello disabile, maggiore è la probabilità di sviluppare problemi Variabili che determinano la gravità della condizione: - Quantità di cure necessarie - Rischi per la salute (ad esempio, ospedalizzazioni frequenti) - Livello di competenze cognitive: in base ad esse può essere o meno possibile che i fratelli giochino insieme (anche giochi simbolici) - Capacità di comunicare - Presenza di comportamenti aggressivi - Disponibilità alla relazione Preoccupazioni: I siblings presentano frequentemente delle preoccupazioni, sia per il presente («Come posso aiutarlo?» «Come posso supportare o rendere felici i miei genitori?») sia per il futuro («Chi si occuperà di lui?» «Avrò anche io un bambino con disabilità?») Indagine su 174 fratelli e sorelle maggiorenni di persone con disabilità (provincia di BG) “Chi si occupa maggiormente di tuo fratello o sorella con disabilità?” Si osserva che fino alla prima metà della vita sono i genitori ad occuparsi, mentre da circa 48 anni in poi è in forte aumento il numero di fratelli che si occupano come caregiver principale del proprio fratello con disabilità (perché i genitori sono troppo anziani o perché sono venuto a mancare). “Chi se ne occuperà quando i tuoi genitori o chi se ne occupa non potranno più svolgere questo compito?” Emerge che nei fratelli è molto alto il senso di responsabilità. La maggioranza degli intervistati ha affermato che si prenderanno cura del proprio fratello con disabilità. 36 Temi emergenti (testimonianze)  La costruzione del proprio progetto di vita: “Mi sto domandando a questo punto della mia vita se le scelte che ho fatto, il lavoro che faccio, l'università che ho scelto di fare, non so se inconsciamente li ho scelti perché appunto c’entra con mio fratello. E’ quello che mi chiedo insomma...C'è un punto di domanda” “Al mio fidanzato la prima cosa che gli ho detto, se ti va bene è così, altrimenti quella è la tua strada. […] gli ho detto: “se ti va bene io ho una sorellina disabile sappi che in un futuro …” “Cioè, l'essere sempre vicino a lui mi incominciava a pesare, allora a un certo punto ho detto no, adesso ho bisogno di uno spazio tutto mio, solo mio senza i miei e senza mio fratello e allora sono andata da sola, però comunque è vicino a casa…a 5 minuti” “Però so che se mio fratello dovesse venire in casa mia la mia famiglia si dividerebbe perché io ho dei figli che me lo accettano e dei figli che non me lo accettano...e io devo rispettare anche quello che non me lo accetta”.  Relazione fraterna e legami familiari “Sono la sorella maggiore e unica, purtroppo, di un ragazzo con Sindrome di Down. Essere fratelli o sorelle è anche… un grosso peso secondo me, perché, io parlo proprio personalmente e apertamente… è un rapporto diverso da un rapporto tra fratelli normodotati” Molto spesso avere più fratelli con cui condividere la situazione può essere un fattore protettivo. “In pratica se io parlavo con mia mamma e, e lui faceva “A” io non c'ero più... Però per me era scontato, era una cosa normalissima, lui ne ha bisogno, io so arrangiarmi da sola”  Io, noi, gli altri “Io quello che trovo difficile è cercare di fare accettare ... cioè io non so perché è mia sorella, è mia sorella punto e basta, però quando gli altri mi vedono insieme a lei hanno... atteggiamenti diversi e mi dà fastidio quello, il fatto di: eh poverina...” “Credo per altro che sia anche legittimo dirsi a volte che è un peso, che è una fatica, soprattutto qui dove sai che ci sono delle persone che possono capirla questa fatica, che magari la vivono in modo diverso però mi sembra che abbiano uno strumento in più per capirla, rispetto a tutte le persone che invece non sanno assolutamente di cosa stiamo parlando” 37 8. CRESCERE IN AMBIENTI SFAVOREVOLI  FAMIGLIE MALTRATTANTI La famiglia dovrebbe essere il luogo in cui il bambino trova riparo e protezione dal mondo esterno e dai fattori di rischio, ma questo non è sempre possibile. Alcune famiglie non risultano in grado di soddisfare adeguatamente il bisogno di protezione, ad esempio: -Famiglie altamente conflittuali (famiglia in cui la coppia genitoriale ha un alto livello di conflitto) -Famiglie con genitori con problemi psichici -Famiglie maltrattanti (invece di proteggere il bambino e fornirgli un ambiente protettivo, aggiungono dei fattori di rischio mettendo in atto comportamenti di maltrattamento) Il maltrattamento infantile "Per abuso all’infanzia e maltrattamento debbono intendersi tutte le forme di maltrattamento fisico e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportino un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere" (OMS, 2002) Un abuso può avvenire quindi in diversi contesti Abuso è tutto ciò che impedisce la crescita armonica del bambino. Vi rientrano non soltanto comportamenti di tipo commissivo (in cui l’adulto agisce sul bambino per procurargli del male), ma anche di tipo omissivo (il non fare, evitare dei comportamenti che servono per la cura del proprio bambino). - OMS (Informativa sui maltrattamenti infantili 2014) Esistono tipi diversi di maltrattamento infantile: • Abuso fisico: tutte quelle azioni volte al fare male fisico al bambino (spesso l’intento non è quello di fare effettivamente male, ma quello di veder riconosciuto il proprio potere) • Abuso sessuale: azioni di abuso rivolte alla sfera sessuale (spesso capita che avvenga da parte di persone che frequentano la casa del bambino abitualmente) • Abuso emotivo: • Trascuratezza: la forma più diffusa. Può essere una trascuratezza fisica, educativa o emotiva L’abuso emotivo è il più difficile da identificare poiché non si presentano segni fisici. Questo tipo di abuso è quasi sempre presente quando sono presenti le altre forme di maltrattamento I numeri Il 25% degli adulti dichiara di aver subito abusi fisici durante l’infanzia è una percentuale molto elevata. Stime in Europa (su 750 mln abitanti in riferimento alla fascia 0-18 anni): • 44 milioni hanno subito abusi fisici da bambini • 18 milioni hanno subito abusi sessuali da bambini • 55 milioni hanno subito abusi emotivi da bambini Inoltre, dai dati emerge che ogni anno circa 850 bambini all’anno muoiono per le conseguenze degli abusi. La maggioranza dei bambini che sopravvivono, hanno comunque delle ripercussioni che andranno anche ad impattare sulla loro vita futura. In Italia: non c’è un sistema di raccolta dati nazionale ma grazie all’Indagine Terres des Hommes del 2015 vi sono delle percentuali riferite alla percentuale delle tipologie di maltrattamento che avvengono nel nostro paese. 40 Conseguenze dell’abuso sullo sviluppo Diversi studi rilevano che i bambini vittime di maltrattamento sviluppano diverse problematiche:  Scarsa regolazione emotiva e problemi a manifestare le proprie emozioni  Problemi di attaccamento (una grande percentuale di bambini hanno uno stile di attaccamento insicuro o evitante)  Problemi relazionali (anche con i pari): non sono rari problemi di bullismo (come carnefici o come vittime)  Difficoltà di adattamento a scuola In età più adulta (o a partire dall’adolescenza):  Maggiore incidenza di depressione, disturbi della condotta, delinquenza (a causa della legittimazione della violenza) I bambini maltrattati hanno un basso grado di benessere:  Diffidenza/paura verso gli adulti  Confusione nei sentimenti verso la famiglia: c’è affetto che si aggiunge al dolore  Vergogna/senso di colpa: il bambino maltrattato spesso si sente in colpa perché interpreta la violenza come una violenza giustificata e meritata (questa è anche una strategia difensiva, poiché si cerca una motivazione)  Bisogno di controllo  Bisogno di risarcimento: bisogno di trovare qualcuno al di fuori del proprio nucleo che possa dare loro quel senso di sicurezza e l’affetto che non hanno avuto da bambini  Iperattività/abulia  Aggressività/vittimizzazione A lungo termine l’abuso infantile può portare a: ripercussioni permanenti sulla salute fisica e mentale, ripercussioni a livello sociale e occupazionale o rallentamento dello sviluppo economico e sociale di un Paese. (Rapporto OMS 2014) Gli adulti abusati nell’infanzia hanno un rischio maggiore di sviluppare comportamenti problematici: • commettere o subire violenze • depressione • fumo • obesità (data dalla minore cura del proprio corso, derivante dalla trascuratezza o dagli abusi sessuali. Il corpo è visto come qualcosa di non degno di essere curato) • comportamenti sessuali ad alto rischio (spesso conseguente ad abuso sessuale) • gravidanze indesiderate • abuso di alcol e droghe Questi comportamenti a rischio sono tali non solo per l’individuo anche per la società. Perché le famiglie non chiedono aiuto? • Vergogna • Paura • Ragioni culturali (in alcune culture è più tollerato che ci sia violenza all’interno delle famiglie) • Perdita di contatto con la realtà familiare (non si percepisce più il senso di famiglia) L’assenza di domanda non significa assenza di motivazione 41 Come intervenire? In quale modo è possibile arginare il maltrattamento? - Attuare programmi di intervento a sostegno della relazione genitore-bambino, che in diversi casi hanno dimostrato una buona efficacia - Incrementare le conoscenze dei genitori sullo sviluppo del bambino - Supportare le famiglie in condizioni sociali svantaggiose, che sono più esposte al rischio di abuso familiare L’intervento può avvenire con diverse modalità: -Una modalità di intervento particolarmente utile consiste nell’introdurre visite domiciliari (aumenta il supporto sociale percepito, diminuisce il livello di stress): personale esterno che entra nella famiglia, risulta un fattore positivo perché aiuta a sentire la vicinanza del sociale. - È possibile prevenire i traumi cranici, informando i neogenitori della sindrome da scuotimento del neonato (spiegare ai genitori cosa fare in caso di pianto incontrollato) - Per il caso specifico degli abusi sessuali è possibile sviluppare programmi all’interno delle scuole per aiutare i bambini a riconoscere le situazioni di abuso. (insegnare il rispetto per il corpo umano etc.) - È fondamentale che le famiglie problematiche ricevano un’assistenza continuata per ridurre il rischio di reiterazione dei maltrattamenti  CRESCERE IN CARCERE La «casa» è tradizionalmente il luogo in cui vive la famiglia e in cui il bambino cresce. È possibile però che alcuni bambini si trovino a vivere in contesti differenti. Si stima che in Europa circa 800.000 bambini e adolescenti abbiano almeno un genitore in carcere. Questo risulta dunque un problema abbastanza diffuso. I bambini si ritrovano a crescere in carcere quando il solo genitore di riferimento viene incarcerato oppure se il bambino molto piccolo resta con la madre che viene incarcerata. In carcere: - È assente il rapporto con le figure maschili - Gli spazi sono ristretti e le esperienze limitate - Sono quasi assenti i contatti con il mondo esterno - La scarsità di personale autorizzato oppure anche volontario rende difficile portare fuori i bambini (ad es. per frequentare l’asilo fuori dalle mura) - Il carico di ansia e frustrazione nelle madri è molto elevato, soprattutto per il senso di colpa o la disperazione - Le madri tendono ad essere iperprotettive, allontanandolo dalle altre persone. Nell’ambiente carcerario prevale la sensazione di sfiducia. In Italia nel 1975 è stata istituita una legge per cui le donne detenute possono tenere con sé i propri figli fino ai 3 anni. Al compimento del terzo anno il bambino veniva portato all’esterno, dai parenti o in alcune strutture. Con questa legge, si afferma la centralità della figura materna nello sviluppo dei bambini. La detenuta, se lo desidera può tenerli con sé in carcere, tuttavia, la struttura carceraria non è stata modificata in vista della presenza di un bambino. La legge viene modificata nel 2001 per cui viene favorito l’accesso alle misure cautelari alternative per le madri con figli a carico. Questa legge nasce per tutelare: - Il diritto del bambino a non essere incarcerato ingiustamente - Il diritto del bambino a stare con la propria madre - Il diritto del bambino e a non subire restrizioni affettive - Il diritto della madre a crescere i propri figli in un ambiente sano 42 La legge prevede l’applicazione di 2 tipi di provvedimento specifici per le madri con figli di età fino a 10 anni:  Detenzione speciale domiciliare (casa privata o istituto di accoglienza)  Assistenza esterna dei figli minori (in modo simile a quanto avviene per il permesso di lavorare all’esterno, le donne hanno un permesso per passare del tempo con i figli) Queste procedure si applicano anche ai padri detenuti, nei casi in cui la madre sia deceduta o nell’impossibilità di assistere i figli. 2011. Modifica della legge del 1975: i bambini possono stare con le madri fino a 6 anni. L’obiettivo era quello di far uscire i bambini dalle carceri con l’istituzione degli ICAM (Istituti di Custodia Attenuata per detenute Madri). Gli ICAM sono strutture detentive, ma più accoglienti e organizzate quasi come se fossero una casa- famiglia. Esistono 6 istituti di questo tipo in Italia. I bambini 0-6 anni attualmente reclusi in Italia si trovano in reparti ordinari delle carceri o negli ICAM (Istituti di Custodia Attenuata per detenute Madri) I numeri dei bambini (0-6 anni) in carcere (o ICAM) in Italia: • 78 nel 2008 • 73 nel 2009 • 70 nel 2017 • 55 nel 2020 • 18 nel 2021 Dai dati si osserva come, col passare del tempo, si stia cercando di evitare sempre più che questa situazione si verifichi attraverso la ricerca di soluzioni alternative. Fattori di rischio per i figli dei detenuti: -Ambiente di provenienza di basso livello socio-culturale -Rischio di trasmissione intergenerazionale della tendenza a compiere atti criminali (si stima che circa il 30% a sua volta metta in atto dei comportamenti criminali) Fattori di rischio legati al crescere in carcere: -Ambiente inadeguato a livello di stimoli materiali e relazionali -Rigidità nella gestione dei ritmi e degli spazi -Assenza della figura paterna Paradossalmente la detenzione può risultare un fattore protettivo per lo sviluppo di alcuni di questi bambini per alcuni fattori: -Alimentazione controllata, -Impossibilità di fare uso di sostanze, -Impossibilità di commettere altri reati -Possibilità di contatto con figure educative. (questo perché provengono da contesti molto disagiati) 45 9. IL CONTESTO SOCIO-CULTURALE Come il macrosistema può influire. Il comportamento dell’individuo è dato dall’interazione delle caratteristiche della persona con le caratteristiche dell’ambiente. L’ambiente ha una notevole influenza sullo sviluppo del potenziale dell’individuo. È importante considerare il contesto socio-economico e socio-culturale in cui il bambino nasce e si sviluppa. Svantaggio socio-culturale Cosa si intende per svantaggio socio-culturale? 1. Presenza di un livello ridotto di risorse educative e sociali nel contesto familiare + 2. Ristrette condizioni economiche 1. Povertà educativa La povertà educativa non è la semplice mancanza di qualcosa ma è legata al contesto sociale, culturale e relazionale che il bambino sperimenta fin dai primi anni di vita. Non è sufficiente fornire aiuti materiali ed economici, occorre favorire un più equo accesso ai servizi educativi e sanitari fin dalla prima infanzia e occorre favorire la partecipazione alla vita sociale, incoraggiando la partecipazione alle attività ludiche, ricreative, sportive e culturali. Povertà educativa e sviluppo psicofisico: - Scarsa cura della salute o dell’igiene (ad es., obesità, carie) - Maggiore esposizione a fattori di rischio per la salute (ad e., fumo passivo) - A lungo termine: maggiore incidenza di malattie mentali (tra cui stress cronico o depressione cronica), malattie cardiache e di morte prematura - Scarsa formazione dei medici sulle relazioni tra povertà e salute (occorre lavorare sulla relazione con il genitore) Povertà educativa e sviluppo cognitivo: - Minore coinvolgimento dei genitori nell’interazione con i figli - Minore stimolazione - Effetti su disturbi dell’apprendimento e abbandono scolastico (e di conseguenza un maggiore abbandono) - Anche esperienze di povertà di breve durata nella prima infanzia hanno effetti duraturi sullo sviluppo cognitivo. Povertà educativa e povertà relazionale: - Dialogo genitori-figli più limitato Necessità di lavorare sulla comunicazione in famiglia - Gli studenti con minori disponibilità economiche hanno minori relazioni sociali in classe (soprattutto durante la preadolescenza/l’adolescenza meno amici, minori possibilità di partecipare alla vita sociale) - Attenzione: spesso i ragazzi giudicano bene i loro insegnanti non per quanto sono bravi ad insegnare ma per quanto si sentono rispettati da loro Povertà educativa e valori: - Scarsi valori di riferimento e poca «ricerca di significato» nei contesti di povertà educativa: si riscontra una tendenza a non porsi delle domande  È necessario che il bambino si ponga delle domande e cerchi di dare un senso alle esperienze che vive. NON è limitato alle ristrette condizioni economiche intervengono entrambi gli aspetti in relazione fra loro 46 2. Ristrettezza a livello socio-economico Come si misura il livello socio-economico? Possibili indicatori: - Livello occupazionale e di istruzione dei genitori - Reddito - Condizioni abitative (ambiente rurale vs urbano) Indice Hollingshead (Hollingshead Four Factor Index of Socioeconomic Status): misura lo status sociale sulla base di 4 domini: - Stato civile - Impiego/ritiro dal lavoro - Livello scolastico - Occupazione Si misura il livello educativo su una scala a 7 gradi L’occupazione è misurata su una scala a 9 gradi Le mansioni e i lavori economicamente più poveri e socialmente poco qualificanti sono ai livelli inferiori, mentre le mansioni economicamente più rilevanti o socialmente più importanti sono ai livelli superiori. La distinzione tra i livelli viene fatta in relazione al livello di reddito dichiarato. Indice ESCS: Indice internazionale per lo status socio-economico-culturale dello studente. Questo indice è un indice composito, ovvero tiene in considerazione diversi fattori Status occupazionale dei genitori. Indicatore denominato HISEI Livello di istruzione dei genitori Indicatore denominato PARED Processo di alcuni specifici beni materiali intesi come variabili di unn contetso economico e culturale favorevole all'apprendimento indicatore dednominato HOMEPOS 47 Povertà in italia Si stimano oltre 1.8 milioni di famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7%), per un totale di 5 milioni di individui (incidenza pari all’8.4% della popolazione). Le famiglie in condizioni di povertà relativa sono stimate a circa 3 milioni (11,8%), per un totale di quasi 9 milioni di individui (15%)  Povertà assoluta: condizione per cui le persone non hanno soldi a sufficienza per soddisfare i propri bisogni di base Povertà relativa: le persone non hanno la possibilità di soddisfare i propri bisogni non primari ma comunque necessari per un corretto sviluppo Un basso livello socio-economico è un fattore di rischio per lo sviluppo È spesso legato ad altri fattori di rischio (madri adolescenti, famiglie molto numerose Influenze a livello relazionale: - Maggiore conflittualità tra i genitori - Maggiore conflittualità genitori-figli (spesso famiglie numerose) - Minore senso di efficacia dei genitori (fatalismo) - Maggiori livelli di stress nei genitori - Minore coerenza nelle condotte educative (punizioni rigide alternate a disinvestimento) Esiti sullo sviluppo del bambino: - Difficoltà nell’autoregolazione - Minore capacità nel ritardare la gratificazione - Bassa autostima e senso di auto-efficacia - Maggiore vulnerabilità (sia fisica che psicologica)  A lungo termine: maggior rischio di condotte devianti, associate alla crescita in questo tipo di contesto Un basso status socio-economico può avere:  Un effetto diretto: (minore materiale a disposizione, giochi meno adeguati al livello di sviluppo, pochi libri, scarsa possibilità di visitare posti e assistere a spettacoli…)  Un effetto indiretto: (mediati dalla relazione con i genitori, che forniscono stimoli più limitati, ad esempio in termini di ricchezza linguistica e di attività proposte) 50 Contatto genitore-bambino nelle diverse culture: Nella maggior parte delle popolazioni (Asia, Africa, Sud America…) i bambini piccoli vivono per l’80%-90% del tempo a contatto con un adulto. Nei paesi industrializzati, invece, il contatto fisico genitore-bambino è molto più basso, in media del 25% del tempo (passeggino per andare in giro, piccola culla per dormire). Studi cross-culturali evidenziano ad esempio che: • Sono diverse le esperienze che maschi e femmine possono fare Ad esempio, nella cultura occidentale, soprattutto negli ultimi due decenni, i giocattoli per maschi e femmine non sono più così differenziati. In altre culture invece c’è una distinzione più netta tra cosa è più opportuno per i maschi e cosa per lo è per le femmine • È diverso il livello di motivazione allo studio Ad esempio, bambini e ragazzi cinesi sono più motivati degli statunitensi. In corea del sud lo studio è molto competitivo e i bambini crescono già con una grande motivazione per poter accedere alle scuole migliori. • È diversa la quantità e la gestione del tempo libero Nella società occidentale le attività della giornata sono molto più organizzate e viene lasciato poco spazio al tempo libero inteso come tempo completamente vuoto (la noia è vista quasi in modo negativo, anche se è in questi momenti che spesso si sviluppa la creatività) Universalmente i genitori sperano che i propri figli riescano a realizzarsi. Cosa significhi «essere realizzato» cambia però in relazione alla cultura di appartenenza. Sono diverse le aspettative: - Qual è il comportamento atteso? (es. essere più o meno competitivi) - Come si possono esprimere le emozioni? (es. maggiore o minore controllo) I genitori contribuiscono direttamente allo sviluppo dei propri figli attraverso due modalità: trasmettendo il proprio patrimonio genetico e prendendosene cura.  La cultura ha un ruolo determinante nelle pratiche di cura. Importante è il concetto di “nicchia evolutiva”: ambiente di sviluppo del bambino, cioè lo specifico contesto che sta attorno all’individuo in una determinata cultura (Super e Harkness, 1986). Un elemento centrale della nicchia evolutiva sono le etnoteorie parentali: sono dei modelli culturali che rappresentano le idee dei genitori su cosa sia giusto o importante fare o non fare per essere dei buoni genitori. I fenomeni migratori Cosa si verifica quando una persona con la propria famiglia lascia il proprio paese e si reca in un altro paese con una cultura diversa?  Effetti sulla famiglia  Influenza sullo sviluppo del bambino I fenomeni migratori non sono un fatto individuale, ma familiare (anche se un solo membro parte): - Spesso lo scopo dei migranti è migliorare le condizioni di vita della famiglia - La decisione di partire e di chi deve partire è presa dalla famiglia - Vengono stabiliti degli obblighi reciproci tra chi parte e chi resta La società diventa sempre più multietnica e sono sempre più le persone di culture diverse che si trovano a vivere nello stesso luogo. Anche in Italia, sono circa 5 milioni gli stranieri residenti nel 2018 (8.5% della popolazione). 51 Percentuale sul totale di stranieri residenti: Romania 23% Albania 8.6% Marocco 8.1% Spesso i migranti si trovano a dover conciliare la propria cultura di origine con quella del paese ospitante. Berry (2001) sostiene che si possano verificare 4 condizioni:  Assimilazione: abbandono della propria cultura e assunzione di quella ospitante  Separazione: mantenimento della propria cultura e rifiuto di quella ospitante  Marginalità: abbandono della propria cultura e mancata adozione di quella ospitante  Integrazione: mantenimento della propria cultura e adozione di quella ospitante è la strategia ideale perché permette una migliore qualità di vita (sia del migrante che di colore che stanno con lui nel paese ospitante) ma è la più difficile, soprattutto se le due culture sono contrastanti. Spesso le minoranze etniche si trovano anche in condizione di basso status socio-economico. - Difficoltà a separare gli effetti dell’una e dell’altra variabile - Il rendimento scolastico sembra maggiormente influenzato dallo status socio-economico piuttosto che dall’etnia (ma questo crea un effetto a catena) Problemi legati all’appartenenza a minoranze etniche: - Lingua (difficoltà di comunicazione, soprattutto nella fase iniziale) - Isolamento sociale (a causa di una scarsa integrazione)  quindi come conseguenza ritorna spesso un minore successo scolastico Le seconde generazioni possono incontrare minori difficoltà (anche per il fatto che hanno meno problemi con la lingua). È importante però mantenere la propria identità culturale per mantenere le proprie radici:  Consente lo sviluppo della propria identità individuale  Permette un migliore confronto con i genitori  Arricchisce lo scambio con gli altri Crescere in una cultura diversa da quella di origine però può portare a un incremento nei conflitti genitori- figli (soprattutto in adolescenza) questo avviene perché spesso il figlio (migrante di seconda generazione) vorrebbe abbracciare maggiormente i costumi della cultura ospitante rispetto che a quelli della cultura di origine. Sviluppo dell’identità etnica in età adolescenziale: L’identità etnica viene scoperta dall’individuo solo nel momento in cui alcuni aspetti della propria tradizione sono messi in discussione (ad esempio, nella migrazione) I minori migranti devono confrontarsi con diverse ipotesi d’identità etnica: - Quella del paese d’origine e della famiglia - Quella del paese in cui vivono - Quella che nel paese in cui vivono è ritenuta l’etnicità del paese d’origine - Quella che la famiglia ritiene essere l’etnicità del paese in cui sono migrati 52 Spesso, infatti, il rapporto che i ragazzi hanno con il paese di origine è un rapporto ambiguo, perché spesso non ci sono mai stati oppure ci vanno solo una volta all’anno per le vacanze. Inoltre, alcuni ragazzi lo vedono come un paese da cui i genitori hanno voluto andarsene e dunque un paese in cui c’è qualcosa di negativo. Nelle seconde generazioni:  Minori difficoltà in termini di lingua e integrazione  Elevato costo psicologico in termini di sviluppo della propria identità: - Identità reattiva (forte adesione all’identità etnica originaria) - Assimilazione (adesione all’identità etnica ospitante) - Marginalità (ai margini in entrambe le culture) - Doppia etnicità (identità plurima) Il percorso che questi adolescenti si trovano ad affrontare è un percorso complesso, che può portare delle difficoltà. L’esperienza di integrazione può essere problematica, ma può anche essere fonte di nuove risorse: - Promuove migliori capacità di adattamento, perché abituato a confrontarsi con ambienti diversi - Promuove maggiori competenze sociali, sia da parte del ragazzo che migra sia da parte della cultura ospitante, perché il contatto tra culture diverse aiuta a sviluppare questo tipo di competenze. - Porta a vantaggi nello sviluppo cognitivo (es. bilinguismo) Il diverso livello di adattamento dipende in parte da fattori individuali, in parte da caratteristiche del contesto. È fondamentale creare un confronto con la cultura di appartenenza e con la cultura ospitante bisogna evitare che si crei una comunità emarginata all’interno della comunità più grande I minori migranti si trovano a dover presentare aspetti diversi di sé a seconda di chi si trovano davanti: l’obiettivo è cercare di conservare la propria integrità e considerare come compatibili le proprie diverse identità. È importante che i ragazzi siano liberi e si sentano a loro agio a portare in famiglia aspetti che sperimentano nella cultura ospitante e, viceversa, portare tra i pari aspetti derivanti dalla cultura di origine. Nell’ultimo decennio si è accantonata l’idea della migrazione come fattore di rischio e l’attenzione degli studi si è spostata a ciò che questo fenomeno può portare come valore e come risorsa. Il multilinguismo Strettamente legato al tema della migrazione c’è quello del multilinguismo. Parlare più lingue è una risorsa importante; occorre però tenere in considerazione le possibili difficoltà che i bambini parlanti più lingue possono incontrare, in modo particolare nel momento di inserimento a scuola. Sarebbe necessario prevenire queste difficoltà favorendo un accesso alla lingua del paese ospitante tramite corsi o progetti ai bambini migranti prima del loro inserimento a scuola. È bilingue la persona che conosce due lingue e sa parlare ciascuna di esse tanto bene quanto un monolingue. Il bilinguismo è molto diffuso, metà della popolazione mondiale è bilingue (o plurilingue)  dei 224 stati del mondo, solo 29 sono monolingui. Solo a partire dalla fine degli anni ’60 si inizia a riconoscere l’importanza di mantenere la pluralità linguistica (prima di allora, si sosteneva che parlare due lingue potesse avere effetti negativi sullo sviluppo cognitivo dei bambini). Gli studi più recenti (ultimo ventennio), infatti, hanno mostrato che i bambini bilingui hanno migliori capacità metalinguistiche e metacognitive. Sono dunque più abili nel riflettere sul significato della lingua, nell’inibire determinate informazioni e dare accesso ad altre etc. 55 11. MASS MEDIA E NUOVE TECNOLOGIE Vi è un vasto interesse della psicologia dello sviluppo per l’effetto dei mass media sullo sviluppo individuale Oggi il focus è sulle nuove tecnologie (dunque sui nativi digitali) - Anni ‘50, si diffonde la televisione in Italia - Anni ‘90 diffusione del telefono cellulare in Italia - 1989 nasce il web - 2004 nasce Facebook - 2007 nasce il primo telefono touch-screen Il termine screen- time è utilizzato per indicare il tempo speso davanti ai device tecnologici. Global Digital Report 2018 - Tempo speso sui social media Per «nativi digitali» (2001) si intendono i bambini nati e cresciuti in corrispondenza della diffusione di massa delle tecnologie informatiche. Per i nativi digitali: - La tecnologia è un elemento naturale - L’uso della tecnologia è intuitivo e non richiede sforzo Potenzialità delle nuove tecnologie:  Permettono una comunicazione veloce (anche a distanza)  Rendono visibile e utilizzabile un numero enorme di contenuti  Consentono di creare una propria identità sociale e una propria rete sociale  Permettono di comunicare tra pari senza troppo controllo da parte degli adulti Rischi delle nuove tecnologie:  Le nuove tecnologie spingono a vivere nell’immediato (la gratificazione non può essere dilazionata)  Il web fornisce contenuti ma non strumenti di pensiero (cambia l’obiettivo della scuola: non solo passare informazioni, ma fornire uno strumento critico di pensiero) Effetti che hanno sullo sviluppo: • Televisione • Videogiochi • Smartphone e tablet • Social network 56  La televisione La televisione è il Mass Media preponderante nella 2° metà del XX secolo. Molti bambini e ragazzi hanno passato più tempo con la televisione che a scuola o svolgendo attività con i loro genitori. In Italia, i telespettatori sono più numerosi tra i giovanissimi (6-14 anni) e gli anziani (65-74 anni). Effetti della televisione sullo sviluppo del bambino Dagli anni ‘80 sono stati svolti numerosi studi sugli effetti del guardare la televisione: alcuni effetti sono diretti (influenza sui comportamenti e sul pensiero), mentre altri sono indiretti (attività che il bambino non svolge in quanto impegnato davanti alla tv) Aspetti negativi - Distoglie dai compiti, provocando un conseguente calo del rendimento scolastico - Riduce i tempi di interazione - Rende passivi (aumenta il rischio di obesità) - Presenta visioni irrealistiche del mondo - Fornisce spesso modelli legati a stereotipi - Fornisce spesso modelli aggressivi e violenti - Abitua il bambino a uno stimolo dinamico attività come la lettura vengono percepite come troppo statiche e noiose) Inoltre, il tempo speso davanti alla televisione viene tolto: - Al gioco sociale - All’attività fisica - Alla lettura Sono dunque evidenti conseguenze sullo sviluppo sociale-emotivo, fisico e linguistico-cognitivo. L’American Academy of Pediatrics (2013) sconsiglia la visione della tv prima dei 2 anni, poiché riduce i tempi di interazione con i genitori. Evidenze empiriche longitudinali sui bambini molto piccoli hanno mostrato che:  Tempo trascorso davanti alla tv a 1-3 anni legato a problemi attentivi a 7 anni  Esposizione tv a 18 mesi legata a sintomi di disattenzione e iperattività a 30 mesi Punteggi standard dei problemi attentivi per media di ore giornaliere di televisione tra 5 e 11 anni (Landhuis et al., 2007) 57 Aspetti positivi: - Fornisce conoscenza, anche su aspetti del mondo di cui non si ha esperienza diretta - Presenta modelli di comportamento (ad esempio, i programmi per i più piccoli orientano spesso alla prosocialità) È vero che guardare programmi violenti porta ad essere più violenti? Il legame “tv violenta – aggressività” è mediato da una serie di fattori, tra cui predisposizione individuale all’aggressività, esposizione alla violenza in ambito familiare o extra-familiare. La scena televisiva assume carattere di realtà per i bambini, favorendo un forte coinvolgimento. Le scene violente hanno un effetto catartico (portano alla «scarica» delle proprie pulsioni aggressive, grazie all’identificazione con il personaggio televisivo) MA suggestionano lo spettatore, che fa propri atteggiamenti, sentimenti e tendenze dei personaggi, portando a riprodurre i comportamenti violenti osservati nella vita reale. Effetti della violenza in televisione: - Assimilazione di script comportamentali impulsivi e aggressivi (effetto suggestivo) - Desensibilizzazione alla violenza reale - Valorizzazione del comportamento violento come mezzo per l’affermazione di sé da uno studio di Anderson e Bushman del 2002, è stata individuata un’associazione significativa tra il tempo speso davanti alla tv e i comportamenti aggressivi. L’associazione resta significativa anche controllando per la presenza di fattori di rischio (episodi di aggressione, SES, violenza nel vicinato…) Risulta quindi evidente il ruolo fondamentale dei genitori e della scuola: occorre educare i bambini e i ragazzi a una visione più critica e selettiva dei programmi televisivi. Deve essere spiegato loro che il messaggio televisivo può anche avere una funzione formativa (se usato in modo corretto) Variabili moderatrici degli effetti avversi:  Quantità e qualità del consumo di tv  Età del bambino (sotto i 3 anni maggiore coinvolgimento emotivo e confusione tra mondo reale e tv)  Fattori socio-culturali della famiglia (es. presenza di esperienze alternative alla tv questo è diventato problematico soprattutto nel periodo di lockdown)  Educazione all’uso dei Mass Media 60 Questo è stato notato in uno studio del 2022 di Rozenblatt-Perkal et al., nel quale dei bambini sono stati divisi in tre gruppi, a seconda del comportamento dello sperimentatore nei loro confronti in un contesto di gioco:  Mobile-phone Disruption  lo sperimentatore interrompe la prima fase di gioco per utilizzare il telefono (texting) e riprendendo il gioco dopo 3 minuti  Social Distruption  lo sperimentatore interrompe la prima fase di gioco per una conversazione con un altro sperimentatore e tornando al gioco dopo 3 minuti  Undisrupted play  lo sperimentatore non interrompe il gioco Nella condizione 1: - Più elevato incremento di battito cardiaco nel passaggio tra gioco e interruzione - Più elevato incremento di espressioni negative Sharenting Lo sharenting è un problema comparso abbastanza recentemente ed indica la tendenza di alcuni genitori a condividere sui social il proprio essere genitore. È una rappresentazione digitale del proprio sé. Questa pratica implica però il rendere pubblici molti aspetti della vita dei propri figli. Deriva dalle parole “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità) Lo sharenting espone a due di problemi: di tipo legale e psicologico. Problemi legali legati allo sharenting: Problemi psicologici legati allo sharenting: - La privacy del minore viene violata - Aumenta il rischio di pedofilia/adescamento on-line - La dimensione privata scompare - Il bisogno di condividere tutto porta a condividere la vita del proprio figlio - Il bambino si trova ad avere un’identità reale e un’identità virtuale che è stata creata da qualcun altro I blog dei genitori sono numerosi e molto seguiti: 4 milioni di genitori negli USA scrivono o leggono blog (dati del 2013). Il blog permette di mostrare la «vera» vita con i figli e di mettere in evidenza il cambiamento che avviene nel passaggio dal sé prima della genitorialità al sé genitore (il sé in relazione con i figli e la famiglia). Il minore supporto sociale sperimentato dalle madri nel periodo postparto spinge alla ricerca di condivisione. Vengono condivisi aspetti materiali (nuovi acquisti per la casa) o intimi e profondi (depressione post-parto). Quali sono gli obiettivi dei blog dei genitori? • Fini commerciali • Influenzare le politiche sociali • Bisogno di condivisione • Riconoscimento personale (es. delle proprie capacità narrative) Cyberbullismo I problemi legati al bullismo in rete vengono amplificati a causa dell’anonimato e della lontananza fisica. La difficoltà a gestire le emozioni on-line (distaccate dalla vita reale) porta a un analfabetismo emotivo: - Mancanza di consapevolezza e controllo delle proprie emozioni - Mancanza di consapevolezza delle ragioni per cui si provano determinate emozioni - Incapacità di entrare in contatto con le emozioni altrui 61 12. IL CONTESTO SCOLASTICO Il contesto scolastico italiano  Scuola dell’infanzia Primo ciclo di istruzione  Scuola primaria  Scuola secondaria di primo grado Secondo ciclo di istruzione  Scuola secondaria di secondo grado (licei, istituti tecnici, istituti professionali) o  Istruzione e Formazione Professionale (centri regionali di formazione professionale) La scuola come contesto di sviluppo La scuola è il contesto educativo in cui il bambino: - Acquisisce competenze - Sviluppa il proprio sé nella relazione con gli adulti e con i pari - Sviluppa il proprio sistema motivazionale Obiettivo primario della scuola non è solo trasmettere conoscenze, ma fornire competenze quali la capacità di pensiero critico, la flessibilità cognitiva e l’abilità di problem-solving. OMS (1993) Life skills education in schools • Autoconsapevolezza • Gestione delle emozioni • Gestione dello stress • Pensiero critico (obiettivo) • Decision making • Problem solving • Pensiero creativo (prevedere gli esiti di diverse opzioni) • Comunicazione efficace • Empatia • Capacità di relazionarsi La scuola contesto di apprendimento. L’apprendimento è un processo dinamico e attivo - Richiede allo studente lo sforzo di rielaborare i contenuti per integrarli con le conoscenze pregresse - Ha lo scopo di rendere l’individuo maggiormente adattato all’ambiente in cui vive Lo stile di insegnamento adottato dall’insegnante influenza molto il tipo di relazione che si instaura tra docente e alunno. Si distingue infatti.  Insegnamento diretto: l’insegnante massimizza l’apprendimento attraverso il trasferimento di metodi e contenuti  Approccio costruttivista: l’insegnante guida i bambini alla scoperta e alla costruzione attiva della conoscenza. Enfatizza la collaborazione tra studenti L’esistenza di una buona relazione con l’insegnante è molto importante per diversi motivi: • È un fattore protettivo (soprattutto in condizioni di rischio) • È una risorsa negli interventi di prevenzione • Aumenta il livello di benessere dei bambini • Aumenta il livello di benessere dell’insegnante (soddisfazione personale, efficacia professionale percepita) 62 In condizioni di rischio (povertà, devianza, divorzio genitoriale), la relazione con l’insegnante è fondamentale: • L’insegnante diventa un’importante figura di riferimento • Una migliore relazione consente un migliore rendimento scolastico Valutazione della relazione insegnante-alunno: - Come l’insegnante valuta la relazione  Student Teacher Relationship Scale (STRS – Pianta, 2001) Questionario a 28 item su scala likert a 5 punti (da «non applicabile» a «pienamente applicabile») somministrabile agli insegnanti. Tre dimensioni: • Vicinanza • Conflitto • Dipendenza - Come lo studente valuta la relazione  Student Perception of Affective Relationship with Teacher Scale (SPARTS – Koomen e Jellesma, 2015) Questionario a 25 item su scala likert a 5 punti (da «No, non è vero» a «Sì, è vero») somministrabile a studenti di scuola secondaria. La consegna data ai ragazzi è: «Pensa all’insegnante che sta in classe più ore alla settimana, poi leggi attentamente queste affermazioni e indica quanto pensi che ciascuna sia vera per te» Tre dimensioni: • Vicinanza • Conflitto • Aspettative negative Variabili che influenzano l’apprendimento L’apprendimento (quello che il bambino può imparare e il modo in cui lo può imparare) può essere influenzato da: - Variabili individuali (motivazione, orientamento al compito, atteggiamento mentale, percezione di sé, capacità di stabilire e perseguire obiettivi) - Aspettative degli insegnanti e dei genitori La motivazione è l’insieme dei fattori cognitivi e affettivi che spingono l’individuo alla soddisfazione di un bisogno e al raggiungimento di un obiettivo. Si distingue:  Motivazione intrinseca: l’individuo trova gratificazione dal comportamento messo in atto  Motivazione estrinseca: l’individuo è gratificato dal premio ottenuto (è sostenuta da rinforzi esterni) Gli obiettivi perseguiti dagli individui durante un compito possono essere diversi. Si può riconoscere infatti: - Orientamento alla performance  l’individuo agisce per ottenere un buon risultato alla prova - Orientamento alla padronanza  l’individuo agisce per accrescere le proprie competenze (in caso di insuccesso o difficoltà, l’impegno viene intensificato) Anche l’atteggiamento mentale è qualcosa di molto importante: Dweck (2007) sostiene che gli individui possono assumere: • Un atteggiamento mentale fisso (immutabilità delle qualità personali) • Un atteggiamento mentale in crescita (fiducia nei propri sforzi come promotori di cambiamento delle qualità personali) Gli individui con atteggiamento mentale in crescita stabiliscono meglio i propri obiettivi, si impegnano per raggiungerli e hanno un migliore rendimento L’autoefficacia (percepire se stesso come «capace») fa sì che lo studente sia più disponibile a compiere degli sforzi, più perseverante e più orientato a compiti difficili e stimolanti Il rendimento risulta migliore. 65 13. I SERVIZI EDUCATIVI PER L’INFANZIA Per la prima infanzia: Asilo nido - Nasce nel 1925, per sostenere la maternità nelle fasce più deboli della popolazione, per intervenire nel fenomeno della mortalità infantile - Inizialmente era un servizio centrato sugli aspetti igienico-sanitari (non c’era attenzione alle necessità educative dei bambini) - Nel 1971, il nido cambia ruolo: servizio di accudimento per le madri lavoratrici, ma anche di riconoscimento del valore dell’infanzia e della responsabilità educativa verso i più piccoli come dovere della comunità. Problema: l’asilo nido è un servizio «a domanda individuale», quindi a carico delle famiglie per una quota rilevante dei costi. Con la legge 107/2015 viene riconosciuta pienamente la funzione educativa dell’asilo nido. L’asilo nido viene visto in continuità con la scuola dell’infanzia nel Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini dalla nascita fino ai sei anni. In anni più recenti, delle politiche sociali hanno introdotto misure atte a favorire la partecipazione dei nuclei familiari in condizione di vulnerabilità economica e sociale alla rete dei servizi socioeducativi (es. dal 2017 Misura Nidi Gratis della Regione Lombardia). «Alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino ai sei anni, per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo, sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali» (Legge 107/2015, art. 1.1). Principi fondamentali per i servizi alla prima infanzia (Early Child Education and Care [ECEC] della Comunità Europea):  Garantire accessibilità alle famiglie e inclusione (differenze culturali e di abilità)  Garantire qualificazione e aggiornamento degli educatori  Avere un programma educativo (inteso come prospettiva che aiuti il singolo bambino a sviluppare le proprie potenzialità)  Monitorare la corrispondenza fra obiettivi e organizzazione effettiva  Disponibilità di risorse dalle politiche sociali  Effetto dell’investimento nel supporto alle situazioni di svantaggio culturale nelle diverse età della vita. Heckman, 2006 66 Investimento sociale ed economico sull’infanzia. Nuova fase del welfare basata su quattro elementi: • Attenzione a tutte le fasi del corso di vita degli individui • Centratura sui processi di apprendimento utili a migliorare capacità e competenze individuali • Posto specifico nelle agende politiche degli interventi rivolti ai bambini • Riconoscimento del nesso tra sviluppo delle competenze individuali e benessere collettivo Donne lavoratrici e asilo nido L’asilo nido è frequentato soprattutto da figli di madri lavoratrici. Da un sondaggio svolto nel 2010 (world values survey). Alla domnda “I bambini piccoli soffrono se stanno all’silo e la madre lavora?” emerge che: - l’80% di famiglie in Italia ritiene di sì! - la maggior parte dei paesi europei oscilla tra il 40 e 60% - il 18% in Danimarca (dove da più tempo c’è una tradizione di forte presenza di nidi) Le donne che lavorano hanno minore tempo da dedicare ai figli (pur riducendo il lavoro domestico) MA in genere, aumenta il tempo di presenza dei padri (rispetto a quanto si verifica con madri non lavoratrici). Aumentano le disponibilità economiche (e quindi anche l’investimento sull’infanzia). In genere, le donne occupate sono quelle con titolo di studio più alto (lavori meglio remunerati, professioni). Il nido fa bene? Negli anni ’70 c’è stato un grande dibattito sull’opportunità di inserire i bambini all’asilo nido. Gli studi di Bowlby sull’attaccamento (1969) sostengono che il bambino abbia bisogno nei primi anni di vita di una relazione costante e unica con una figura materna Il momento dell’inserimento (ambientamento) diventa fondamentale per garantire un sereno passaggio al bambino  costruzione di una nuova relazione di fiducia con l’educatore Quanto le modalità di cura influenzano lo sviluppo del bambino? Da uno studio longitudinale svolto negli USA negli anni ’90 su una coorte di più di 1000 bambini (Study of early child care and youth development) risulta che lo sviluppo del bambino non è predetto dalle modalità di cura, ma dalle caratteristiche dei genitori e della famiglia: livello di istruzione, reddito, ambiente emotivamente supportivo e cognitivamente ricco a casa e bassi livelli di stress genitoriale. Non ci sono rischi per i bambini legati alla frequenza di servizi educativi nell’infanzia, soprattutto se di buona qualità. Due elementi sono cruciali nel determinare la positività degli effetti del nido sullo sviluppo:  la qualità del servizio  un tempo non eccessivo di permanenza quotidiana nei servizi. Frequentare l’asilo nido è un fattore di protezione rispetto alle diseguaglianze sociali delle famiglie. Il nido fa bene sia al bambino, per il suo sviluppo individuale che alla società, per la riduzione del gap tra classi più e meno abbienti Gli studi sugli effetti del nido rilevano come a beneficiare, in termini di sviluppo linguistico e cognitivo, siano soprattutto i bambini provenienti da situazioni di svantaggio socio-culturale. Il fattore che sistematicamente influenza lo sviluppo cognitivo e il successo scolastico è il bagaglio culturale della famiglia. Il nido si propone quindi come fattore di protezione rispetto alle povertà educative 67 Il ruolo dell’educatore L’educatore ha un duplice ruolo: 1. Fungere da figura di riferimento (base sicura) nel nuovo ambiente 2. Sostenere il ruolo genitoriale Il bambino sviluppa un legame di attaccamento anche con l’educatore (non necessariamente con lo stesso pattern che ha sviluppato con la madre. Il pattern di attaccamento è una caratteristica relazionale e non individuale). L’educatore deve saper prendersi cura, ma non facendosi coinvolgere emotivamente in modo eccessivo. È importante che non si crei una sorta di «competizione» con le figure genitoriali: la relazione con l’educatore, infatti, è una “relazione a termine”. È fondamentale che l’educatore sappia osservare. Dall’osservazione del singolo bambino nascono le proposte adeguate alle sue competenze. L’educatore inoltre deve osservare in modo sistematico: focalizzare l’osservazione sul target che si è esplicitato (es. osservare un determinato comportamento, osservare gli esiti di un intervento educativo…) L’asilo nido offre un contesto unico per poter studiare lo sviluppo sociale dei bambini da 0 a 3 anni, in modo particolare attraverso l’osservazione delle relazioni tra pari. Rispetto al contesto domestico, il nido permette di sperimentare diverse forme di socialità: - Con diversi adulti di riferimento - Con i pari (interazione quotidiana con i coetanei) Il confronto con i coetanei è un’occasione di crescita sociale, affettiva e cognitiva. È fondamentale creare condizioni al cui interno i bambini siano liberi di interagire con una certa autonomia (ad esempio, lasciare che i bambini intervengano in aiuto a un compagno per sviluppare la prosocialità) Un nido di qualità: - Ha educatori qualificati (alto livello di istruzione) - Ha un buon rapporto numerico educatori/bambini - È ricco e cognitivamente stimolante (materiali adeguati) - Ha una programmazione delle attività didattiche Uno strumento per valutare la qualità degli asili nido è la scala SVANI (Harmes, Cryere e Clifford, 1992) Obiettivo: la valutazione della qualità dei servizi extradomestici per l’accudimento di bambini da 0 a 3 anni. La SVANI può essere usata dalle educatrici, dalle coordinatrici psicopedagogiche, da coloro che hanno funzioni di supervisione o di controllo. La scala SVANI è costituita da 35 item divisi in 7 sotto-scale: 1. Arredi e materiali 2. Routine 3. Ascoltare e parlare 4. Attività 5. Interazione 6. Organizzazione delle attività 7. Bisogni degli adulti Ogni item viene presentato sotto forma di scala ordinale con un punteggio da 1 (inadeguato) a 7 (eccellente) • Sono previste delle descrizioni in aiuto all’attribuzione del punteggio • Attenzione! La scala valuta il servizio, non i bambini 70 Relazionarsi con i pari a scuola L’ambiente scolastico è la prima grande occasione di relazionarsi con i pari per i bambini. Il gruppo classe assume un ruolo importante nei processi di socializzazione del bambino. Il gruppo classe È possibile vivere la classe a diversi livelli:  Livello personale: il bambino condivide vissuti individuali, affetti, autostima, aspettative (di insegnanti/genitori su se stessi) motivazioni – ogni individuo vede la classe in modo personale. Ci sono persone più propense a condividere con gli altri aspetti della vita personale e altri meno propensi.  Livello interpersonale: relazioni tra coppie amicali e tra sottogruppi in cui c’è comunicazione tra individui, rispetto e sostegno reciproco, ruoli  Livello sistemico: ruoli, regole, orari imposti dall’istituzione scolastica. La classe come un sistema organizzativo: per alcuni la classe è solo un posto in cui si deve stare – non vuole condividere nulla. La capacità di sostegno reciproco è un aspetto fondamentale per il benessere della classe Strategie per sviluppare questa competenza: • A livello di scuola: sviluppare il senso di appartenenza alla comunità scolastica, realizzazione di progetti scolastici sulla diversità • A livello di classe: gruppi di lavoro per compiti a casa, cooperative learning • A livello dei singoli alunni: accoglienza dei nuovi studenti, rappresentanti di classe con ruolo di mediatori, tutoring nei casi di difficoltà • A livello di comunità: favorire la partecipazione ad attività organizzate extrascolastiche (scout, oratori, gruppi di quartiere…) Valutare le relazioni tra pari Il test sociometrico consente di esaminare la posizione di una persona all’interno del gruppo, rendendo allo stesso tempo possibile analizzare la struttura organizzativa del gruppo stesso Nomina dei pari di Moreno (1934): La sociometria viene usata come metodo per scoprire, descrivere e valutare lo status sociale. La ricerca sociometrica deve però sempre essere accompagnata da un’attenta osservazione clinica. Le frecce indicano chi sceglie chi Categorie di bambini rilevate a partire dalle nomine dei pari: • Popolari (molte nomine positive / poche nomine negative) • Medi (numero simile di nomine positive e negative) • Trascurati (poche nomine positive / poche nomine negative) • Rifiutati (poche nomine positive / molte nomine negative) • Controversi (molte nomine positive / molte nomine negative) 71 I bambini rifiutati sono quelli maggiormente a rischio. In genere: • Hanno un temperamento difficile • Sono più aggressivi • Hanno minori capacità attentive (più disturbanti nelle attività) • Hanno minore controllo delle emozioni • Hanno minori abilità sociali Aggressività  Rifiuto dei pari (maggior isolamento sociale)  maggiori livelli di delinquenza in adolescenza Circa il 10-20% dei bambini rifiutati è però timido, emarginato. Quando si osserva gruppo classe, se i bambini rifiutati sono a rischio, o non riescono a integrarsi, inserirsi nel contesto. La cultura dei pari Esistono regole e norme adottate da gruppi di bambini e adolescenti in particolare su abbigliamento, aspetto, musica, linguaggio, valori sociali e comportamento. La pressione a conformarsi a queste «regole» (anche a quelle che prevedono comportamenti a rischio, es. commettere un atto delinquenziale per entrare nel gruppo) è forte poiché chi non le rispetta, viene «sanzionato», spesso con l’esclusione. Le relazioni tra pari sono influenzate dalla cultura di appartenenza. È fondamentale tenerne conto in contesti multiculturali come le classi scolastiche. Ad esempio: Cina enfatizza i valori della cooperazione e della dedizione agli interessi collettivi. Le esperienze con i pari sono precoci e occupano molto tempo Occidente enfatizza individualismo, indipendenza e competizione. Le relazioni tra pari vengono sperimentate in contesti istituzionali e molto diretti dagli adulti Il rifiuto dei pari Essere rifiutato dai pari porta a notevoli influenze negative sullo sviluppo. Lo status di «rifiutato» tende ad essere stabile nel tempo- Spesso i bambini/ragazzi rifiutati: • Hanno un attaccamento insicuro/ansioso e hanno genitori con stile punitivo-autoritario, padre distaccato e madre intrusiva (Bierman, 2004) • Sono a rischio di sintomi esteriorizzanti (aggressività, devianza, condotte antisociali, abbandono scolastico) • Tendono ad allearsi con altri bambini/ragazzi rifiutati L’esclusione sociale è l’esperienza di essere messo da parte dagli altri fisicamente o emotivamente: - Rifiuto (sentirsi dire esplicitamente di non essere voluti) - Ostracismo (essere ignorati) In età evolutiva, l’esclusione sociale può impattare negativamente su diversi aspetti: • Sullo sviluppo emotivo: esperienza dolorosa che può portare a condizioni di ansia e depressione • Sul rendimento scolastico: evitamento delle relazioni in classe • Sullo sviluppo cognitivo: le risorse cognitive necessarie per l’autoregolazione dopo un episodio di esclusione sociale non possono essere utilizzate per il controllo dei processi cognitivi Effetti cognitivi dell’esclusione sociale nei bambini (Tobia et al., 2017) Studio su bambini di 9-12 anni con manipolazione sperimentale: Cyberball (Williams et al., 2000). È uno strumento che consente di riprodurre il dolore del rifiuto sociale in laboratorio e consiste in un gioco di palla virtuale tra tre giocatori, il partecipante e due giocatori virtuali che omini che si passano la palla tra di loro ma, ad un certo punto, i due uomini si passano la palla tra di loro ed escludono il partecipante. Questo tipo di gioco è stato usato con bambini di 9-10 anni (età prescolare). È emerso che gli effetti cognitivi (basse prestazioni nelle matrici di Raven) conseguenti all’esclusione sociale sono più forti nei bambini: • Con bassa autostima • Con bassa popolarità • Con bassa intelligenza non-verbale 72 15. BULLISMO E CYBERBULLISMO Bullismo I primi studi sul bullismo risalgono agli anni ‘70 (Olweus). Viene definito come «un atto aggressivo condotto intenzionalmente da un individuo (o da un gruppo di individui) ripetutamente e nel tempo contro una vittima che spesso non riesce a difendersi». In questo fenomeno è presente uno squilibrio di potere tra la vittima e il bullo e l’interazione è dinamica: la vittima perde progressivamente potere, mentre il bullo lo acquisisce. Il bullismo è una forma di aggressione dettata dal desiderio di raggiungere un obiettivo personale, ad esempio il controllo sociale del gruppo o una posizione di supremazia Le azioni sono pianificate e sistematiche, si basano su gesti premeditati e ben organizzati nei dettagli, dalla scelta della «vittima più idonea» a quella del luogo e del momento opportuno. Elementi utili a identificare il bullismo (Fedeli, 2007) • È volto ad arrecare danno • Implica due ruoli ben distinti: bullo e vittima • Sottende il coinvolgimento di complici (fenomeno di gruppo) • Ha lo scopo di rendere la vittima inerme (no ribellione) • Provoca paura negli spettatori • È caratterizzato da disimpegno morale (deumanizzazione della vittima, assenza di sensi di colpa) Il bullismo è universalmente diffuso. L’incidenza varia in relazione all’età: in Italia (dati ISTAT 2015), il 22% degli studenti di 11 e 13 anni dichiara di avere subito prepotenze una o più volte al mese. Tra i 14 e i 17 anni la percentuale scende al 18% ma rimane comunque un fenomeno preoccupante  è la più comune forma di violenza nel contesto scolastico. Il bullismo può assumere diverse forme:  Dirette alla persona (di tipo fisico o verbale)  Indirette, cioè rivolte ai «beni» della persona (materiali o relazionali)  più difficili da rilevare. Modalità di aggressione e target degli attacchi 75 Cyberbullismo Si definisce cyberbullismo, il bullismo mediato dalle nuove tecnologie e dai nuovi mezzi di comunicazione. Ne sono esempi esclusione da chat, insulti sui social, condivisione di immagini private, uso di credenziali altrui Questi attacchi possono essere anche più violenti del bullismo tradizionale: 1. Il bullo può trovare protezione nell’anonimato: disimpegno morale (Bandura, 1996). Le conseguenze delle proprie azioni aggressive sono percepite come lontane, quindi si allenta il senso di colpa 2. L’attacco non è più circoscritto a un solo contesto (ad esempio, la scuola), ma pervade spazi e tempi privati - assenza di un luogo sicuro in cui rifugiarsi - la vittima non ha possibilità di fuga o di «tornare a casa» (spegnere lo smartphone non ferma il cyberbullismo) Legge Ferrara 71/2017 Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo • Il cyberbullismo è un reato inserito nell’ordinamento giuridico • Ogni istituto scolastico deve individuare un referente tra i docenti che possa coordinare iniziative di prevenzione e contrasto al cyberbullismo • Per i minori autori di atti di cyberbullismo tra i 14 e i 18 anni è prevista l’ammonizione da parte del questore (convoca il minore insieme a un genitore e lo ammonisce oralmente, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge con specifiche prescrizioni) Strategie di intervento • Creare una cultura scolastica attenta, rispettosa, inclusiva • Stabilire una definizione chiara a livello scolastico del bullismo • Stabilire un piano di azione dettagliato in caso di denuncia • Coinvolgere attivamente i genitori nelle attività anti bullismo attraverso incontri di formazione, conferenze, assemblee • Creare/utilizzare video di sensibilizzazione anti-bullismo • Migliorare la qualità della supervisione soprattutto durante i momenti ricreativi 76 16. BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E PLUSDOTAZIONE Diritto all’istruzione Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza  20/11/89 Diritto del fanciullo all’educazione (Articolo 28): a. Insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti b. Garantire a tutti l’accesso all’insegnamento superiore, in funzione delle capacità di ognuno c. Fornire informazione e orientamento scolastico e professionale d. Promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola La scuola deve essere in grado di accogliere bambini con competenze diverse e deve poter fornire a ciascuno le condizioni ottimali per sviluppare il proprio potenziale. «L'inclusione scolastica rappresenta un valore primario nell'ambito delle politiche scolastiche nazionali. Essa si ispira ai principi costituzionali di eguaglianza e pari dignità sociale di ogni cittadino» Questi principi si sono concretizzati nell'applicazione delle norme previste dalla Legge e dalle Direttive Ministeriali • Legge n. 104 (1992) «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili» • Legge n. 170 (2010) «Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento» • Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali (BES) Bisogni Educativi Speciali (BES) In Italia, i Bisogni Educativi Speciali (BES) vengono regolamentati dalla Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 “Strumenti di intervento per alunni con BES e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” Viene delineata e precisata la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare a pieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà: «Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali, o per motivi fisici, biologici, fisiologici, o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta» Rientrano nei Bisogni Educativi Speciali: • Disabilità (legge 104/92) • Disturbi evolutivi specifici - Disturbi Specifici dell’Apprendimento (legge 170/2010) - Disturbi del linguaggio - Deficit delle abilità non verbali - Deficit della coordinazione motoria - ADHD - Funzionamento intellettivo limite - Altre problematiche certificate • Svantaggio sociale, culturale e linguistico Considerare i bisogni in relazione al contesto International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF)  Sistema di classificazione della disabilità sviluppato dall'OMS. Il funzionamento e la disabilità sono visti dall'ICF come una complessa interazione tra le condizioni di salute dell'individuo e i fattori ambientali e personali. Questi aspetti sono dinamici e in interazione tra loro, modificabili nel corso della vita. 77 L’ICF NON classifica le persone con disabilità. Riguarda "tutti", perché tutti possono avere una condizione di salute che, in un contesto ambientale sfavorevole, causa disabilità. L'ambiente in cui la persona vive condiziona inevitabilmente il suo benessere Barriere: fattori che, mediante la loro assenza o presenza, limitano il funzionamento e creano disabilità (es. inaccessibilità; mancanza di servizi di assistenza; atteggiamento negativo delle persone) Facilitatori: fattori che, mediante la loro assenza o presenza, migliorano il funzionamento e riducono la disabilità (es. accessibilità; ausili; assistenza; politiche di inclusione; atteggiamenti positivi delle persone) Nella logica dell’ICF, le difficoltà degli studenti non vengono viste come «assolute» o «intrinseche», ma come derivanti dall’incontro tra le caratteristiche dello studente e le caratteristiche dell’ambiente (contetso scolastico e contesto extrascolastico) Strumenti per la scuola PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa): Documento in cui sono indicate le linee guida seguite dall’Istituto per la realizzazione delle sue azioni formative. Mira all’attuazione del diritto alle pari opportunità e per il successo formativo di tutti. PAI (Piano Annuale per l’Inclusività): Deve essere redatto entro il mese di giugno dal Gruppo di Lavoro per l’Inclusione. Individua punti di forza e criticità degli interventi di inclusione svolti nel corso dell’anno appena trascorso e formula ipotesi di utilizzo delle risorse al fine di incrementare il livello di inclusione generale della scuola nell’anno successivo. PEI (Piano Educativo Individualizzato): Stabilisce il programma che viene redatto per uno specifico studente con disabilità (legge 104/92). Include gli interventi prospettati per raggiungere gli obiettivi personalizzati per l’alunno e, inoltre, le metodologie di lavoro, le figure coinvolte e le modalità di valutazione. PDP (Piano Didattico Personalizzato): È uno strumento che deve essere redatto per ciascuno studente con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (legge 170/2010). Può (ma non è obbligatorio) essere redatto anche per studenti con altri disturbi evolutivi o con svantaggio sociale, culturale, linguistico. Il Piano Didattico Personalizzato deve contenere: • Dati anagrafici • Tipologia del disturbo • Attività didattiche individualizzate e personalizzate • Strumenti compensativi • Misure dispensative • Forme di verifica e valutazione personalizzata 80  Disturbo dello spettro autistico Quattro criteri (DSM 5): 1. Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non dovuti a generali ritardi dello sviluppo 2. Modelli di comportamento ristretti e ripetitivi 3. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma potrebbero non diventare pienamente manifesti finché le richieste sociali non eccedano i limiti delle capacità) 4. I sintomi, nel loro insieme, limitano e compromettono il funzionamento quotidiano • Occorre indicare il livello di gravità dei sintomi (richiesta di assistenza / assistenza sostanziale / assistenza molto sostanziale) • Va indicata la presenza di altre caratteristiche cliniche (ad esempio, presenza o meno di disabilità intellettiva) In caso di bambini con disturbo dello spettro autistico la scuola deve intervenire con:  Funzionamento intellettivo limite Non è una vera e propria diagnosi, ma un’etichetta usata per indicare persone che non rientrano nei criteri di disabilità intellettiva, ma che hanno un basso livello di funzionamento. Indicativamente il QI compreso fra 71 e 84 ma il criterio del QI non è sufficiente, occorre considerare il livello di adattamento. Difficoltà intellettive e di adattamento meno marcate rispetto alla disabilità intellettiva, ma che influenzano notevolmente l’apprendimento. Non hanno un disturbo specifico dell’apprendimento ma una difficoltà generale nello “stare al passo”: di solito necessitano di più tempo. In caso di bambino con funzionamento intellettivo limite la scuola deve intervenire con: - Stesura del PDP (non è un vincolo, ma una scelta dei docenti) Però non è previsto l’insegnante di sostegno Lo psicologo scolastico in questo caso ha il compito di aiutare i docenti a interpretare e comprendere la “diagnosi”. Egli deve fare in modo che vengano sostenuti gli aspetti emotivi e motivazionali del bambino, che spesso prova sensazioni negative a causa della consapevolezza della propria difficoltà.  ADHD (Disturbo da deficit dell’attenzione iperattività) Criteri (DSM 5): • Almeno 6 sintomi (all’interno di un elenco che identifica problematiche legate alla disattenzione e all’iperattività) per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti • È necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni • Questi sintomi compromettono il rendimento scolastico e/o sociale Se è presente disabilità intellettiva: • Stesura del PEI • Insegnante di sostegno Se l’intelligenza è nella norma: • Stesura del PDP (non obbligatoria ma consigliata) • Assistente educatore (nel caso in cui siano presenti problemi comportamentali) • È importante lavorare sugli aspetti emotivi e motivazionali 81 Disattenzione – esempi di sintomi: - Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività - Spesso sembra non ascoltare quando gli/le si parla direttamente - Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti - Ha spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività varie Iperattività – esempi di sintomi: - Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia - È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente - Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata - Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno In caso di un bambino con ADHD la scuola deve intervenire con: - Stesura del PDP (non è un vincolo, ma una scelta dei docenti) - Assistente educatore (come supporto nel controllo dei problemi comportamentali) Lo psicologo scolastico può supportare l’insegnante che rischia in queste situazioni di sentirsi inadeguato  Plusdotazione La plusdotazione in Italia è stata poco considerata fino a pochi anni fa. Nel 2019, in una Nota del MIUR (Nota n. 562 del 03/04/2019) si segnala che i bambini ad alto potenziale intellettivo (Gifted children) presenti nella popolazione scolastica possono essere considerati nell'ambito dei Bisogni Educativi Speciali Il fine è quello di personalizzare gli insegnamenti e di valorizzare gli stili di apprendimento individuali Plusdotazione: complessa costellazione di caratteristiche genetiche, psicologiche e comportamentali che caratterizza circa il 5% della popolazione. Emerge che vi è una probabilità piuttosto alta che vi sia un bambino plusdotato in circa ogni classe. I bambini plusdotati mostrano (o hanno il potenziale per mostrare) livelli eccezionali di performance in una o più delle seguenti aree: abilità intellettiva generale, specifica attitudine scolastica, pensiero creativo, attitudine alla leadership, arti visive e dello spettacolo. (Maria Assunta Zanetti – docente di Pavia che tra le prime si è occupata di bambini plusdotati) I bambini plusdotati non sono tutti uguali: • Alcuni hanno performance eccellenti in molte aree • Alcuni manifestano abilità eccezionali in una specifica area di interesse I bambini plusdotati risultano più avanti degli altri nell’acquisizione delle tappe di sviluppo. Già dai primi anni di vita è possibile identificare un vantaggio in questi bambini (è possibile però che questo derivi dalla stimolazione ambientale – sono spesso bambini molto stimolati). In genere la valutazione del potenziale viene fatta con l’inserimento nella scuola primaria. Attenzione: un QI elevato non equivale alla plusdotazione! Il QI è solo un indice di misura che può suggerire l’esistenza di una plusdotazione. Occorre approfondire la valutazione indagando gli stili di apprendimento e le modalità di pensiero. 82 Ciò che caratterizza i bambini plusdotati è la spontaneità e la naturalezza con cui avviene l’apprendimento. I bambini plusdotati non sono semplicemente bambini «brillanti». • Elaborano rapidamente le informazioni • Imparano precocemente e velocemente • Hanno solitamente un precoce sviluppo del linguaggio • Mostrano elevate abilità di problem solving • Hanno un’ottima memoria • Mostrano elevati livelli di curiosità e di motivazione ad apprendere • Hanno alti livelli di perfezionismo (si sentono in dovere di fare bene) • Possono avere difficoltà a regolare le proprie emozioni. Nonostante le capacità siano riferibili ad un’età più avanzata, l’emotività rimane quella dell’età anagrafica e questo può creare una difficoltà. Il potenziale deve però essere allenato I contesti di crescita e gli eventi della vita hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento dell’alto potenziale. Il bambino plusdotato svilupperà il suo potenziale solo se viene precocemente identificato e il suo percorso accademico viene supportato. Occorre sostenere la plusdotazione, perché questa deve essere vista come: • Un vantaggio del singolo • Un vantaggio per la classe Il bambino plusdotato può «trainare» il resto della classe, può fornire utili spunti di riflessione e di confronto Problemi legati alla plusdotazione: Si verifica una discrepanza tra il livello di maturazione emotiva e lo sviluppo cognitivo • Le reazioni emotive non sono sincrone con il funzionamento Per esempio, ci si relaziona con un bambino di 4 anni che è molto competente su un argomento, ma che non è in grado di accettare il punto di vista dell’altro. • Maggiore incidenza di problemi comportamentali a scuola (la noia può portare a mettere in atto comportamenti disturbanti) • Possono avere difficoltà a tollerare la fatica (quando sono piccoli viene tutto molto semplice, apprendono le cose senza sforzo, ma poi occorre un metodo di studio) • Percezione di essere diversi dagli altri (incapacità relazionali) • Possono diventare vittime di bullismo • Rischio di abbandono scolastico  spesso per noia o per mancato senso di appartenenza Il mancato riconoscimento di questa condizione può portare all’underachievement: discrepanza tra il QI e il rendimento scolastico. Questo porta a: • Rischio di drop-out scolastico • Possibile disagio socio-relazionale • Rischio di insorgenza di problemi di comportamento e di adattamento • Pressione al conformismo • Disagio dato dai sentimenti di invidia che vengono suscitati Può avvenire una “confusione” con il disturbo dello spettro autistico poiché anche in esso si possono notare particolari predisposizioni per ambiti specifici e difficoltà relazionali. In Italia, non esiste ancora una regolamentazione relativa all’identificazione e al supporto degli alunni con plusdotazione ad eccezione della Nota MIUR del 2019 e la formazione degli insegnanti su questi aspetti è ancora molto limitata. Si stima che oltre il 20% degli individui plusdotati non sia identificato 85 I colloqui devono essere in numero limitato (4 o 5), devono vertere su un tema specifico e devono essere orientati al futuro, cioè devono essere volti alla possibilità di trovare una soluzione e riuscire a trovare il modo per vivere la propria situazione in modo diverso da come è stata vissuta fino al momento delle consulenze. Modello possibile di consulenza: Modello a 3 step (Egan, 1990): 1. Valutare il problema (o elencare i problemi in ordine di priorità) 2. Stabilire gli obiettivi della consulenza (specifici, concreti e realizzabili) 3. Collaborare per stabilire un piano d’azione finalizzato a raggiungere gli obiettivi (individuare risorse e strategie) È possibile che lo psicologo ritenga utile il coinvolgimento di altri sistemi, quali:  Classe: intervento di prevenzione svolto con tutta la classe  Famiglia (se lo studente è d’accordo nel coinvolgerla)  servizi territoriali: inviando lo studente al consultorio territoriale Queste decisioni vanno sempre condivise con lo studente, che deve sentirsi parte attiva nel processo di presa in carico. La consulenza con i genitori Due situazioni possibili: • I genitori si rivolgono allo psicologo perché preoccupati per comportamenti o atteggiamenti del figlio • I genitori vengono convocati dallo psicologo a seguito di una consulenza fatta con il figlio Un possibile modello di intervento è la consulenza centrata sull’utente: • Il genitore (utente) ha un ruolo attivo nella gestione del problema • Lo psicologo non «risolve un problema», ma crea una collaborazione con i genitori al fine di valutare possibili soluzioni per i problemi del ragazzo (aiuta i genitori a comprendere, favorisce l’individuazione di strategie) • Il ruolo parentale dei genitori viene confermato Gli interventi di prevenzione Uno dei compiti dello psicologo scolastico è la realizzazione di interventi di prevenzione: - Prevenzione dei comportamenti a rischio (soprattutto in adolescenza) - Prevenzione dei rischi relazionali tra pari (es. bullismo) Cosa può fare un intervento di «prevenzione»? • Interrompere i comportamenti problema • Ritarda l’insorgere di un problema comportamentale • Riduce l’impatto di un problema comportamentale • Rafforza gli atteggiamenti che promuovono il benessere • Promuove pratiche e politiche volte alla promozione del benessere Esistono diversi livelli di prevenzione: • Universale (rivolta a tutta la popolazione) • Selettiva (rivolta alle popolazioni a rischio) • Indicata (rivolta a coloro che manifestano il problema) 86 È fondamentale che gli interventi siano basati sull’evidenza: • Devono essere efficaci [efficacy] (funzionamento dimostrato da studi scientifici) • Devono essere efficaci sul campo [effectiveness] (analisi delle circostanze contestuali che rendono un intervento efficace) • Devono essere implementabili su larga scala [going to scale] (generalizzabili a popolazione più ampia e in diversi contesti culturali) Gli interventi di prevenzione non funzionano con tutti i ragazzi allo stesso modo, poiché entrano in gioco variabili individuali (temperamento, predisposizioni genetiche) e contestuali (esperienze, contesti di vita) Soprattutto in adolescenza è fondamentale prevenire la messa in atto di comportamenti a rischio (condotte che possono mettere in pericolo salute e benessere degli individui) È importante prestare attenzione perché gli adolescenti tendono a: - Ricercare gratificazioni - Sviluppare dipendenze - Valorizzare maggiormente un risultato positivo piuttosto che le sue conseguenze negative Alcuni comportamenti a rischio in adolescenza: • Dipendenze da sostanze • Comportamenti alimentari anomali: ultimamente l’insorgenza risulta sempre più precoce • Guida pericolosa • Attività sessuali non protette La promozione delle life skills (OMS, 1993) è una strategia di prevenzione dei comportamenti a rischio al fine di potenziare le abilità personali (es. pensiero critico, empatia, problem solving) e interpersonali (es. capacità relazionali)  ciò aiuta ad affrontare in modo funzionale i compiti e le sfide dell’adolescenza. Le campagne pubblicitarie con slogan preventivi non sono efficaci largo uso di questa modalità negli anni ’90, ma è stato osservato che non è stato funzionale. La modalità più corretta riguarda il lavoro sulle life skills. La prevenzione a livello relazionale riguarda soprattutto il fenomeno del bullismo Per prevenire il bullismo è necessario lavorare sul clima sociale. È fondamentale far sì che i bambini, sin dalla scuola primaria, possano ritrovarsi in un ambiente positivo. • Potenziare le abilità sociali • Migliorare il clima della classe • Favorire lo sviluppo dell’empatia • Promuovere la consapevolezza del fenomeno bullismo Per il funzionamento dei programmi di prevenzione del bullismo è fondamentale prendere in considerazione le variabili contestuali, ovvero il ruolo dei ragazzi all’interno dei programmi ed il ruolo e le caratteristiche degli insegnanti  lo psicologo scolastico, quindi, dovrebbe conoscere il contesto in cui deve operare e in cui portare il proprio progetto di intervento. La gestione della classe È importante garantire il sostegno psicologico agli insegnanti nella gestione della classe. Infatti, l’ambiente scolastico è in continua trasformazione e le classi sono spesso numerose, multiproblematiche e multietniche. I ragazzi e le loro famiglie vanno incontro a profondi cambiamenti socio-culturali Uno dei compiti dello psicologo scolastico è quello di aiutare l’insegnante a rendere la classe un buon ambiente di apprendimento, che offra a tutti gli studenti pari opportunità di apprendere e di raggiungere gli obiettivi. 87 Poiché la classe è un sistema, per comprendere un determinato comportamento occorre analizzare le relazioni che intercorrono tra i membri del sistema. Questo è un ruolo fondamentale per lo psicologo scolastico, che si pone come osservatore esterno ed h auna visione più obiettiva (le/gli insegnati sono invece inevitabilmente in qualche modo coinvolti) È importante che gli studenti siano coinvolti in quello che avviene nella classe. Infatti, un alto livello di coinvolgimento porta spesso a benefici: • un buon rendimento scolastico • un senso di benessere individuale Lo studente adolescente deve sentire soddisfatti i propri bisogni psicologici di base: • Sentirsi riconosciuto come persona autonoma • Sentirsi considerato come persona competente • Sentire di far parte di una rete di relazioni significative La partecipazione in classe Una lezione riesce bene se gli studenti partecipano ed uno dei compiti della scuola è anche formare buoni cittadini: Formare i propri allievi all’assunzione di una posizione partecipe MA è realmente così? • Poche occasioni di vero dialogo e scambio all’interno della scuola italiana (l’insegnante è spesso visto come colui che detiene le risposte corrette) • Poco spazio lasciato all’argomentazione, all’esposizione delle proprie ragioni o motivazioni, all’ascolto e alla critica costruttiva dei punti di vista degli altri La classe deve essere percepita come uno spazio in cui si può sbagliare, per far sì che gli studenti non si sottraggano ad intervenire. La scuola non deve più solo trasmettere conoscenze, ma deve trasmettere soprattutto la capacità di ragionamento e di dialogo Molinari et al. (2017) hanno studiato la partecipazione in alunni di scuola secondaria di primo grado. Hanno osservato che gli studenti rispondono a domande poste dall’insegnante ma fanno poche domande all’insegnante ed esprimono poco le loro opinioni o idee. L’ambiente scolastico è percepito generalmente come molto asimmetrico. Myhill (2006) rileva come gli insegnanti tendano a valorizzare gli interventi più «attesi» da parte degli studenti e come tendano invece a svalutare gli interventi più originali. Si crea uno sbilanciamento del potere nella comunicazione: l’insegnante conduce e controlla le interazioni La conseguenza è un calo del coinvolgimento e della motivazione negli studenti. Una strategia funzionale può essere quella di organizzare determinati momenti programmati ogni settima dedicati al dibattito Dinamica interattiva Lo studente deve essere parte attiva nella costruzione dei significati Nella classe si possono verificare momenti in cui si verifica un attacco nei confronti dell’insegnante: Messa in discussione delle valutazioni - Rifiuto di svolgere un compito - Proposta di punti di vista alternativi - Suggerimento di esplorare nuovi contenuti
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