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Dispensa di storia romana, dalle origini fino alla fine dell'impero, Dispense di Storia Romana

È un documento scritto, con un excursus storico della storia dell'antica Roma

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 02/06/2023

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Scarica Dispensa di storia romana, dalle origini fino alla fine dell'impero e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA: I POPOLI DELL'ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA PERIODIZZAZIONE: Il modo di indicare le date, per noi abituale, in riferimento alla nascita di cristo (a.C. - d.C.) non è mai stato utilizzo nel mondo antico. A Roma, a partire dagli primi anni della repubblica, ciascun anno fu indicato mediante i magistrati “eponimi” (davano il nome); tramite la menzione dei consoli: datazione consolare. Monarchia: (753-509 a.C.) • Età romulea (753-717 a.C.) • Età latino-sabina (715-617 a.C.) • Età m. etrusca (616-509 a.C.) Repubblica: (509-27 a.C.) • Alto repubblicana (509-367 a.C.) • Medio repubblicana (367-133 a.C.) • Tardo repubblicana (133-310/27 a.C.) Impero: (310/27 a.C. - 476 d.C.) • Alto impero (310/27 a.C. - 235 d.C.) • Età dell'anarchia militare (235-284 d.C.) • Tardo impero (284-476 d.C.) ONOMASTICA ROMANA: Il nome completo del cittadino romano libero, comportava 3 elementi (tria nomina): 1. Prenome (praenomen): l'originario nome personale. 2. Gentilizio (nomen): designava il gruppo familiare (gens) di appartenenza dell'individuo e veniva trasmesso di padre in figlio. 3. Cognomen: spesso derivato da un soprannome personale (tratto da caratteristiche fisiche.) In caso di adozione l'adottato assumeva la tria nomina del padre adottivo, a cui faceva seguire un secondo cognomen tratto dal gentilizio della sua famiglia di origine. Le donne di nascita libera ricevevano come nome il solo gentilizio paterno, al femminile, e continuavano a portarlo anche da sposate. Gli schiavi erano abitualmente denominati con un unico nome personale. I liberti, cioè gli ex schiavi liberati tramite un atto chiamato monomissione, assumeva il prenome e il gentilizio dell'ex padrone, e portavano come cognome il loro antico nome di schiavo. L'ITALIA PREROMANA Età del bronzo: (1500-900 a.C) Età del ferro: (900-725 a.C) Nella penisola italiana nell'arco di 2 millenni (III-I) si assiste ad uno sviluppo di notevoli proporzioni. Dall'età del bronzo media a i primi dell'età del ferro, si passa da una miriade di gruppi umani di piccole dimensioni a complesse forme di organizzazione protostatale. L'Italia nell'età del bronzo di contraddistingue per la sua uniformità; i siti risultano dislocati in tutta la penisola ma particolarmente lungo gli appennini, da qui il nome della cultura “appenninica”. Un fenomeno che caratterizza questo periodo è un forte incremento demografico (il numero di insediamenti si riduce e quelli che sopravvivono si estendono)che inevitabilmente implica un intensivo sfruttamento delle risorse disponibili. Quest'ultimo fenomeno è particolarmente evidente nella cultura “terramaricola” - termine che fa riferimento a grossi tumuli di terra grassa e scura formati dai depositi dei vecchi insediamenti (terramarne) – che diede vita a insediamenti di capanne che poggiavano su una sorta di impalcatura di legno, con lo scopo di difendersi da attacchi animali e isolarsi dal territorio circostante. Tali villaggi avevano una forma trapezoidale, circondati da un fossato o da un argine e attraversati da due strade perpendicolari tra loro. Con l'età del ferro l'Italia inizia un periodo differenziato di culture locali. Un primo criterio di differenziazione è la sepoltura, esistono infatti due differenti popoli che praticano riti diversi: la cremazione, in linea di massima si svolgeva lungo la costa tirrenica fino alla Campania, e l'inumazione nelle restanti regioni. Le culture che assumono caratteri distintivi sono quella nota come “Golasecca” (compresa tra i laghi del Piemonte e della Lombardia) e quella nota come “cultura di Este” (vicinanze con Padova). In Etruria e in Emilia emerge una nuova cultura, quella “Villanoviana” (prende il nome da una necropoli rinvenuta nell'omonima località ai pressi di Bologna). Gli uomini villanoviani sapevano fabbricare utensili e armi in ferro, vivevano in insediamenti che avevano ormai preso la forma di villaggi, e le loro sepolture consistevano in urne destinate a raccogliere le ceneri del defunto o in tombe a pozzo. Le diversità culturali aprono un variegato quadro linguistico. Queste lingue possono essere ricondotte a due grandi famiglie: quelle indoeuropee (latino e falisco -Lazio- celtico -pianura padana- messapico -Puglia-) e quelle non indoeuropee (etrusco, ligure, retico -Adige- sardo). All'interno di un gruppo designante come “parlante una lingua italica” si distinguono 3 sottogruppi: - Umbro Sabino: centro-nord, comprende la Sabina, Umbria e il Piceno. - Osco: centro-sud,comprende Sanniti, Lucani, Brettii. - Enotri e Siculi. Un posto di eccezionale rilievo tra le culture furono le colonie della Magna Grecia, fondate nel VIII sec. a.C. nell'Italia meridionale. Lungo la costa ionica, tirrenica e Sicilia sorsero alcune città importanti: Taranto, Crotone, Reggio, Napoli, Agrigento, Siracusa e tante altre, che influenzarono le popolazioni indigene. Un posto a parte in tutto ciò ha la civiltà sarda, che si sviluppò in Sardegna, nota con il nome di civiltà nuragica, dalla costruzione tipica “il nuraghe” (torre a forma di tronco di cono). La struttura massiccia di queste costruzioni lascia presumere avessero funzione difensiva. Nel corso del tempo il ruolo di queste costruzioni divenne di organizzazione e controllo delle attività economiche del circondario. GLI ETRUSCHI Gli Etruschi sono la più importante popolazione dell'Italia preromana. La loro origine appare riconducibile ad uno sviluppo autonomo realizzato nella regione compresa tra l'Arno e il Tevere. adottati, tutti coloro che sceglievano di sottoporsi alla sua potestas, compresi gli schiavi). Aveva potere di vita o di morte sui figli (riconoscerli come figli o venderli come schiavi). L'autorità spettava al parente maschio diretto più anziano in vita: di questa potestà ci si liberava solo alla morte. Tutto ciò valeva anche per le donne, che non avevano mai pieno controllo della propria vita, caratterizzata da una netta supremazia dell'uomo sulla donna. Il potere del marito sulla moglie era detto manus, e non conosceva limiti (la donna poteva essere punita in caso di qualche mancanza, o addirittura uccisa in caso di flagrante adulterio). I romani si sposavano presto, la legge proibiva comunque che le ragazze prendessero marito prima dei 12 anni. Toccava al padre cercare uno sposo alle figlie, tutto ciò avveniva tramite un'apposita cerimonia di fidanzamento detta sponsalia. La felicità di una donna era subordinata alla capacità di avere figli, per le donne sterili il destino era quasi sempre il ripudio, con il conseguente ritorno alla casa paterna. Un istituto alternativo fu rappresentato dall'adozione, che non avevo solo lo scopo di garantirsi una discendenza, ma serviva anche per realizzare precise scelte patrimoniali, o per concretizzare strategie militari. Esistevano diverse forme per contrarre un matrimonio, in origine vi era la cosiddetta confarreatio (divisione di una focaccia di farro tra i due sposi), o la mancipatio (una sorta di atto di compra-vendita). Il sistema più comune di sposarsi a Roma era quello chiamato usus (convivenza ininterrotta dei coniugi per un anno), in mancanza di un atto che sancisse l'unione però il problema sorgeva per stabilire se la convivenza fosse di tipo matrimoniale, per questo era fondamentale il ruolo dei testimoni in caso di contestazioni. Il divorzio era un atto informale, e il ripudio era un atto che consisteva nella separazione di fatto dei coniugi, per decisione unilaterale dell'uomo. Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens: gruppo organizzato politicamente e religiosamente. La gens è una componente rilevante in età arcaica e conservò anche in seguito la sua importanza nella vita politica. L'insieme di più famiglie andava a costituire le aristocrazie gentilizie, il cui elemento di base era la gens. La popolazione dello stato romano arcaico era diviso in gruppi religiosi e militari detti curie: comprendevano tutti gli abitanti del territorio tranne gli schiavi. Risulta incerta la loro origine, ma si sa che praticavano riti religiosi e che rappresentavano il fondamento della più antica assemblea politica cittadina: i comizi curiati: avevano funzioni inerenti il diritto civile (adozioni, testamenti), e votavano la cosiddetta Lex de imperio che conferiva il potere al magistrato eletto. Attribuita a Romolo fu la creazione delle tribù, originariamente 3: Tites, Ramnes e Luceres. In epoca più tarda lo stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù fu divisa in 10 curie e da ogni tribù vennero scelti 100 senatori (=300 assemblea degli anziani). Tale struttura di base fu molto importante perché su questo modello si fondò anche l'organizzazione militare: ogni tribù era tenuta a fornire un contingente di cavalleria e uno di fanteria rispettivamente di 100 e 1000 uomini. La componente fondamentale dell'esercito, la legione, risultava dunque formata da 3000 fanti e 300n cavalieri (detti celeres). Il termine clientela indicava un rapporto di dipendenza tra 2 o più persone libere (la persona al posto superiore era il patrono e quella al posto inferiore era il cliente) basato sulla reciproca Fides. Il rex aveva il potere di prendere gli auspici, ed era dotato di imperium ovvero aveva poteri in ambito militare (comando esercito, spartizione bottino ecc..) in ambito giudiziario (autorità giudiziaria) e in ambito religioso (garante della “pace degli dei”). COMIZI CURIATI (assemblea popolare) REX (imperium) SENATO - Comizi Curiati (assemblea popolare): Il popolo era diviso in curie, 1 curia = 100 uomini, 30 curie = comizi curiati. L'appartenenza alla curia dipendeva dalla residenza o dall'appartenenza a una gens. Avevano il compito di dare l'imperium al rex e svolgevano il consiglio gentilizio. - Senato: Deriva da Senex (= vecchio o anziano) → assemblea degli anziani Il primo senato venne fondato da Romolo, era composto da 100 patres (i capi delle gentes), termine usato per indicare i senatori. Il rex era affiancato nelle sue funzioni dai patres e la loro influenza su di lui era grandissima. Il senato decideva chi doveva essere il rex poiché la particolarità della monarchia romana è il fatto che essa fosse elettiva e non ereditaria. Alla morte del re non diventava re il figlio, ma si incaricava un senatore, che prendeva il nome di interrex, il quale aveva 5 giorni per trovare un rex adeguato (se questi non riusciva subentrava un altro senatore come interrex che aveva a disposizione altri 5 giorni per trovare un rex adeguto e cosi via finché non veniva trovato). Il senato continuò ad esistere anche dopo la morte dell'impero. INTERREX → CREATIO (sceglie) AUGURI → INAUGURATIO (inaugura la persona scelta) POPOLO → DA L'IMPERIUM AL REX CON UNA LEGGE L'incertezza regna anche per quanto riguarda la divisione sociale: patrizi e plebei. Per la tradizione i patrizi erano i discendenti dei primi senatori. Tra le ipotesi avanzate c'è quella secondo la quale i plebei erano i clienti dei patroni patrizi. Un'ulteriore ipotesi mette in primo piano il fattore economico: i patrizi sarebbero stati i grandi proprietari terrieri, mentre i plebei corrisponderebbero alle classi degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente ma tenuti in condizioni di inferiorità rispetto alla rappresentanza politica. Si deve comunque tener conto che la società di Roma andò incontro a notevoli trasformazioni sociali anche per un accrescimento della popolazione dovuta al costante afflusso di persone estranee alla comunità originaria. E' possibile dunque che la divisione tra patrizi e plebei sia il punto d'arrivo di un'evoluzione complessa. Roma sorse in un area di frontiera: il Tevere costituiva la linea di demarcazione tra due aree con caratteristiche diverse: quella etrusca al nord del fiume, e quella propriamente laziale al sud. L'agricoltura era limitata alle condizioni poco favorevoli del terreno, ai cui si aggiungeva la bassa qualità delle tecniche agricole. Le coltivazioni comprendevano varie specie di cereali, soprattutto farro e orzo, associate tra loro o con leguminose come le veccia: quella che i latini chiamavano farrago. Lo scopo della farrago era assicurare un minimo di sopravvivenza rispetto ad eventuali calamità atmosferiche che potevano colpire il raccolto. Il cereale più coltivato è il farro, che si coltivava in quantità superiori rispetto al grano anche se la sua resa era inferiore. A Roma il soddisfacimento delle necessità alimentari di base rappresentava un problema considerando la scarsa produttività e l'estensione del terreno coltivabile. Possiamo parlare di un contesto economico in cui allevamento e agricoltura vanno intesi all'interno di un rapporto di interdipendenza: il bestiame serviva a produrre il concime indispensabili per i terreni nel periodo in cui essi non erano lavorati e gli animali da tiro aiutavano l'uomo nel lavoro. Controversa è la questione della prima proprietà a Roma, risalendo a Romolo nell'assegnazione dei primi lotti di proprietà. La prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all'orto circostante (heredium), escludendo la terra arabile e quella a pascolo. Esisteva poi il sors (bene trasmissibile per via ereditaria). I romani credevano in forze superiori di cui si temeva la vendetta nel momento in cui non venissero venerate. Hanno influenze mediterranee per quanto riguarda la fertilità della terra e la fecondità del gregge. Divinità femminili: Tellus, Pales Divinità maschili: Terminus, Saturno Influenze indoeuropee: Giove (cielo), Marte (agricoltura), Quirino (produzione) Il calendario romano è legato ai riti e può essere: legato all'esercito (armi e cavalli: marzo- ottobre) dedicato ai defunti (Paremtalia: legato al ricordo benevolo; Lemuria: i morti venivano scongiurati) o legato a riti familiari (genio: angelo custode, accompagna e protegge). Influenze etrusche: Giove, Massimo, Giunone Regina, Minerva TARQUINIO IL SUPERBO (534-509 a.C.): figlio di Tarquinio Prisco, non conquista il potere per vie legali, ma ricorre alla violenza. Sposa una figlia di Servio Tullio (ancora re), organizzandosi con essa una congiura per ucciderlo e impadronirsi del potere: Tarquinio un giorno si presentò in Senato e si sedette sul trono del suocero rivendicandolo per sé. Tullio, avvertito del fatto, si precipitò nella curia, nacque un'accesa discussione tra i due e Tarquinio, dopo averlo spintonato fuori dalla curia, scagliò il re giù dalle scale. Servio, ferito ma non ancora morto, fu finito dalla figlia Tullia Minore che ne fece scempio travolgendolo con il cocchio che guidava. A Tarquinio venne attribuito il soprannome di Superbo dopo che negò la sepoltura di Servio. Introduce il principio dinastico (diritto al trono poiché imparentati con il re), e portò avanti anche lui una politica tirannica, poggiandosi sulle classi popolari effettuando una politica estera e costruendo opere pubbliche. Politica estera: tenta di stabilire l'egemonia di Roma sul Latium Vetus attraverso patti matrimoniali, trattati (trattato cartaginese-romano: fonte) e guerra. Opere pubbliche: tempio di Giove Capitolino, Giunone, Minerva = simbolo di potere e grandezza. Si sviluppa anche per quanto riguarda l'edilizia privata: si ha un grande fervore edilizio. LA CACCIATA DEI TARQUINI: Secondo la leggenda, il figlio di Tarquinio il Superbo si rende colpevole dell'ennesimo atto di violenza nei confronti della moglie di uno dei suoi generali, Tarquinio Collatino tornando appositamente a Roma dall'assedio di Ardea per violentarla. La donna, di nome Lucrezia, confessa l'accaduto e si toglie la vita per il disonore. Il marito Collatino, il padre ed il suo grande amico Lucio Giunio Bruto decisero di vendicarla, provocando e guidando una sommossa popolare che cacciò via i Tarquini da Roma e li costrinse a rifugiarsi in Etruria. Tarquinio una volta cacciato chiede aiuto a Porsenna per riconquistare il potere. Nel 508 a.C., durante l'assedio di Roma da parte degli etruschi comandati da Porsenna, un giovane aristocratico romano, Munzio Scevola, propose al senato di uccidere il comandante etrusco. Non appena ottenne l'autorizzazione, si infiltrò nelle linee nemiche e armato di un pugnale, raggiunse l'accampamento di Porsenna. Muzio attese che il suo bersaglio rimanesse solo e quindi lo pugnalò, ma sbagliò persona: aveva infatti assassinato il suo scriba. Subito venne catturato dalle guardie del comandante, e portato al cospetto di Porsenna che gli chiese spiegazioni: il giovane disse che lui era solo il primo di tanti che voleva la sua morte, e che da li a breve qualcuno sarebbe riuscito a ucciderlo. Questa rivelazione spaventò Porsenna a tal punto da considerare molto più importante salvaguardare il futuro del re, piuttosto che preoccuparsi del destino dei Tarquini, così Porsenna prese la decisione di intavolare trattative di pace con i Romani. MITO DI ROMOLO E REMO Amulio e Numitore erano due fratelli che, nell'antico Lazio, si contendevano il trono della città di Albalonga. Quando Amulio riuscì a cacciare il fratello, costrinse la figlia di lui Rea Silvia a diventare vestale. Così non si sarebbe potuta sposare e non avrebbe generato possibili rivali al trono. La fanciulla però fu amata dal dio Marte e nacquero due gemelli, ai quali diede i nomi di Romolo e Remo. Lo zio infuriato ordinò che i neonati fossero subito uccisi. La guardia però non ebbe il coraggio di commettere un simile delitto, mise di nascosto i piccoli in una cesta e li affidò alla corrente del Tevere nella speranza che qualcuno li trovasse e si prendesse cura di loro. Lo stesso giorno, una lupa che era scesa al fiume per abbeverarsi nei pressi del Colle Palatino udì il vagito dei bimbi. Li portò a riva, riscaldò e li sfamò con il suo latte. Dopo poco passò in quel luogo anche il pastore Faustolo che senza esitare li portò a casa da sua moglie, la quale li crebbe come fossero stati i figli che lei non aveva potuto avere. Divenuti adulti, i gemelli vennero a conoscenza della loro origine. Così tornarono ad Albalonga, uccisero lo zio Amulio, restituirono il trono al nonno Numitore e liberarono la madre che era stata imprigionata per tutti quegli anni. Un giorno i due decisero di fondare una loro città, ma non riuscivano a mettersi d'accordo sul luogo dove farlo: Romolo la voleva costruire sul Colle Palatino, mentre Remo preferiva la pianura. Così si affidarono al responso degli dei i quali stabilirono che la scelta sarebbe toccata a chi avesse visto, in un certo tempo e in uno spazio definito di cielo, il maggior numero di uccelli. Vinse Romolo, che subito iniziò a tracciare con l'aratro il solco sacro che avrebbe delimitato la città. Remo però lo prendeva in giro e lo infastidiva sul lavoro, al punto che Romolo si arrabbiò e lo uccise. Diventando così il primo Re di Roma. Era l'anno 753 a. C. STORIA ROMANA LA NASCITA DELLA REPUBBLICA. La caduta della monarchia risale al 510 a.C. La leggenda narra che Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma Tarquinio il Superbo, respinto da Lucrezia (moglie di Tarquinio), la stupra. Lei, prima di suicidarsi, racconta tutto al padre (Lucio Tarquinio Collatino) e al marito. Questo avvenimento fece scoppiare una rivolta che portò alla caduta della monarchia. Tarquinio il Superbo, in quel momento era impegnato in azioni militari e non riuscì a rispondere con prontezza alla ribellione. Così nel 509 a.C. (primo anno della repubblica) i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo (i consoli). Questa leggenda contiene elementi di drammatizzazione che ricordano la caduta di alcuni tiranni Greci e che minano fortemente la sua attendibilità. Si ipotizza inoltre che la caduta sia dovuta alla rivolta del patriziato romano contro un regime autocratico (autocrazia = forma di governo in cui un singolo individuo detiene un potere illimitato. È una forma di governo secondo la quale il monarca assoluto non condivide con nessuno i poteri che possiede né con i ministri né con le classi dirigenti.). L’odio che l’aristocrazia romana provava nei confronti dell’istituto monarchico sembra indicare che il cambiamento improvviso di regime sia stato frutto di una rivoluzione. Questo non significa però che alla caduta dei Tarquini, si sia immediatamente instaurata la Repubblica nelle forme canoniche che appaiono nella tradizione storiografica. Alcuni suggerimenti fanno pensare che alla caduta di Tarquinio il Superbo, sia seguito un periodo confuso in cui Roma appare in balìa di re e condottieri come Porsenna di Chiusi o Mastarna e i fratelli Vibenna. Porsenna era un re etrusco al quale Tarquinio chiese aiuto per porre fine alla ribellione dei Romani, ma egli ebbe timore di questi ultimi e si ritira. A testimonianza del suo breve governo, pare ci sia un trattato che lo testimoni. I Fasti sono liste dei magistrati eponimi della Repubblica, ovvero i magistrati che davano il nome all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti sono giunti fino a noi grazie alla letteratura e ai documenti epigrafici come i cosiddetti Fasti Capitolini. La datazione incerta del 510 a.C. (nascita della Repubblica) ha un primo argomento a sostenere la sua datazione tradizionale grazie alla cerimonia ricordata da Livio. Secondo questa, una vecchia legge arcaica prescriveva che il massimo magistrato della repubblica infiggesse un chiodo nel tempio di Giove Capitolino ogni anno alle idi di settembre, anniversario della consacrazione del tempio. Lo scopo del rito era quello di scongiurare il pericolo di pestilenze e carestie. Il tempio di Giove Capitolino era stato inaugurato il primo anno della Repubblica, così il numero di chiodi conficcati avrebbe costituito un bizzarro metodo di datazione. Così accadde forse nel 304 a.C. quando Cneo Flavio, nell’inaugurazione del tempio di Concordia, poté datare l’evento 204 anni dopo la consacrazione del tempio di Giove, riportandoci al 508 a.C. circa. La Repubblica Romana si regge su 3 fondamentali pilastri: le Magistrature, il Senato e le Assemblee popolari. I supremi magistrati della Repubblica. I poteri che un tempo erano affidati ad un solo RE, dal 367 a.C. diventano dei due consules o praetores. Questi ultimi venivano eletti dai Comizi Centuriati e la loro carica aveva una durata di 1 anno. Ai consoli spettava il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine all’interno della città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il Senato e le assemblee popolari, la cura del censimento e la compilazione delle liste dei senatori e prevedevano gli auspici. In fine avevano anche la funzione eponima ovvero davano il nome all’anno in corso. I consoli avevano due imperium: l’imperium domi il quale veniva esercitato in città, potevano convocare e presiedere il senato e le assemblee popolari e garantivano il rispetto delle leggi; l’imperium militiae il quale garantiva il comando supremo dell’esercito. L’imperium del re e quello dei consoli era differente, questo perché il re stava in carica per sempre e non gli si chiedeva di badare agli atti compiuti, mentre i consoli stavano in carica per un tempo limitato e alla fine del loro consolato gli veniva chiesto il resoconto delle sue azioni. Ogni console aveva il diritto di veto sull’altro console in determinate situazioni, questo potere era detto collegialità. Il conflitto tra patrizi e plebei. Il periodo che va dalla nascita della Repubblica al 287 a.C. è dominato dai contrasti civili che opposero il patriziato e la plebe. I patrizi, erano i discendenti dei 100 paters che Romolo inserì nel primo Senato. Egli avevano molto potere grazie alle loro ricchezze, alla loro salda struttura parentale e al controllo delle clientele che potevano usare militarmente. La plebe, era una forza popolare composta in buona parte di persone povere me non erano esclusivamente povere. Dalla caduta dei Tarquini, alla prima metà del V secolo a.C. ci furono pesanti ripercussioni nella situazione economica di Roma. Le lotte esterne alla città portarono grandi difficoltà economiche alle quali si affiancavano carestie, annate di cattivi raccolti ed epidemie. Gli effetti dei cattivi raccolti colpivano principalmente i piccoli agricoltori che si indebitavano con i ricchi proprietari terrieri per poter sopravvivere. Spesso, questi debitori erano incapaci di estinguere i debiti ed erano costretti a mettersi a servizio del creditore diventando nexus, questo li vincolava ad una situazione simile a quella di uno schiavo. Così, vista la disparità tra patrizi e plebei, questi ultimi chiedevano che venissero migliorate le condizioni delle norme sui debiti (riguardo il tasso minimo di interesse e la condizione dei debitori insolventi), e che ci fosse una più equa distribuzione dell’ager publicus (proprietà dello Stato che venivano distribuita ai privati, ma i patrizi si impossessavano di tutto l’ager publicus prima dei plebei). La parte dei plebei più ricchi, rivendicavano soprattutto i loro diritti politici: non potevano far parte delle massime magistrature e volevano un codice scritto di leggi che ponesse i cittadini al riparo da arbitrarie applicazioni di norme da parte di chi era stato depositario dei saperi giudiziari fino a quel momento. Il conflitto tra i due ordini, fu causato inoltre dalla presa di coscienza dalla propria importanza da parte della plebe. Questa presa di coscienza poteva essere ricondotta ad un cambiamento nella struttura dell’esercito che nel V secolo a.C. afferma un nuovo modello tattico chiamato oplitico-falangitico. Con questa tattica si eclissa l’idea del modello di combattimento aristocratico, per prevalere l’idea di un esercito formato dalla fanteria pesante (reclutata dalle classi che potevano permettersi l’acquisto dell’armatura) e da soldati armati alla leggera facenti parte della IV o V classe. La vera rivoluzione era che la legione veniva reclutata su base censitaria e quindi indipendentemente dal fatto che facessero parte dell’aristocrazia o della classe popolare. Il conflitto si apre nel 494 a.C. circa. La plebe esasperata dalla crisi economica ricorse ad una specie di sciopero generale ritirandosi nell’Aventino, dando inizio alla secessione. Durante la prima secessione, la plebe si diede dei propri organismi (concilia plebis tributa). L’assemblea plebea aveva funzione elettorale (eleggeva i plebei), legislativa (poteva emanare dei plebiscita, ovvero provvedimenti che avevano valore solo per la plebe stessa) e giudiziaria. Vennero poi scelti come rappresentanti dell’assemblea i tribuni della plebe, inizialmente erano 2 poi divennero 10. Questi stavano in carica per 1 anno e avevano una magistratura civile. I tribuni potevano convocare l’assemblea, avevano il potere di andare in soccorso di un cittadino contro l’azione di un magistrato (auxilium), dal quale si sviluppò il potere di porre veto a qualsiasi provvedimento di un magistrato (ius interconcessionis) e non erano soggetti al veto del dittatore e dei censori. Chi aveva questa magistratura aveva un’inviolabilità personale (sacrosancitas) e chi commetteva qualche violenza contro i tribuni, veniva sacrificato e gli venivano confiscati i beni a favore del tempio di Cesare, Libero e Libera sull’Aventino. Altri due rappresentanti della plebe erano gli edili plebei, che si occupavano dell’organizzazione dei giochi, della sorveglianza sui mercati, del controllo delle strutture pubbliche e soprattutto conservavano gli atti delle riunioni del Senato e delle assemblee plebee (prima forma di scrittura politica). Fine prima secessione portò al riconoscimento da parte dello Stato a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il problema dei debiti rimase ma grazie all’auxilium, i plebei potevano difendere i debitori. Ottenuto il riconoscimento di una propria organizzazione interna, la plebe voleva un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. viene nominata una commissione di 10 uomini (Decemvirato) esclusivamente scelti tra i patrizi e incaricati di stendere in forma scritta un codice giuridico che avrebbe reso tutti i cittadini UGUALI davanti alla legge. Il Decemvirato, in quegli anni, assunse il controllo della Stato e sospese le cariche del consolato e del tribunale della plebe in modo che non potessero mettere veto alle decisioni prese. Nel corso del primo anno i decemviri compilarono un complesso di norme scritte in 10 tavole di legno ed esposte nel Foro. Nel 450 a.C. ci fu una seconda commissione decemvirale, dove venne rappresentata anche la plebe, nella quale si aggiunsero altre 2 tavole di norme. Queste XII tavole, affrontavano argomenti di diritto privato (famiglia, proprietà e il matrimonio che venne definito illegale tra patrizi e plebei) e di relazione tra i cittadini (cercando di porre fine al processo di vendetta privata). La commissione del Decemvirato, tra cui Appio Claudio, cercò di prorogare i loro poteri assoluti ma questo tentativo si scontrò con la plebe e gli elementi più moderati dei patrizi (Marco Orazio e Lucio Valerio). Così i decemviri sono sciolti, e i più moderati tra i patrizi divennero consoli nel 449 a.C. . Nel 445 a.C. la legge che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei, venne abolita per mezzo del plebiscito Canuleio. A seguito di questo plebiscito, i plebei non avevano più solo sangue plebeo ma anche patrizio ed è per questo che veniva difficile escludere un plebeo dal diritto di prendere gli auspici o di far parte del consolato. Così i patrizi nel 444 a.C. decisero che di anno in anno il Senato avrebbe scelto se alla testa dello Stato sarebbero dovuti esserci due consoli oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari (tribuni militum consulari potestate). I tribuni militari con potere consolare, erano dai 3 ai 6 e non avevano il potere di trarre gli auspici. Questo sistema istituzionale rimane in vigore fino al 367 a.C. . Nonostante la promulgazione delle XII tavole, il problema politico ed economico non era del tutto risolto. La plebe chiedeva ancora delle terre per loro, così il territorio di Veio e di Capena conquistato pochi anni prima, venne distribuito ai cittadini romani in piccoli appezzamenti. I tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, esponenti di due influenti famiglie plebee, presentarono un ambizioso pacchetto di proposte concernenti il problema dei debiti, la distribuzione dell’ager publicus e l’accesso dei plebei al consolato. Queste proposte assunsero valore di Legge e vennero chiamate Leggi Licinie-Sestie. Con queste leggi, i plebei volevano risolvere la questione dei debiti, chiedendo ai creditori di andare incontro ai debitori permettendo una rateizzazione in 3 rate annuali ed escludendo la somma che era già stata resa; la questione dell’accesso all’ager publicus ponendo un limite massimo di terra che ogni privato poteva possedere; e infine la questione dell’accesso al consolato, eliminando il tribunato militare con potestà consolare e inserendo la possibilità per i plebei di diventare consoli. Dopo 9 anni, nel 366 a.C. si arrivò ad un compromesso. I patrizi propongono altri 2 magistrati patrizi: il praetor urbanus che si occupava dell’amministrazione della giustizia dei cittadini romani, e il strutture di governo, ma agli abitanti vennero assegnati i diritti e doveri dei cittadini romani. Roma in questi anni era cresciuta parecchio, anche a causa dell’afflusso di persone che non avevano la cittadinanza romana, testimoniato dalla creazione del pretore peregrino. [età medio repubblicana 367-133 a.C.] I Volsci e gli Ernici (358 a.C.) furono costretti a cedere parte dei loro territori, dove vennero insediati cittadini romani iscritti a due nuove tribù e le città di Tarquinia e Cere furono costrette a siglare una lunga tregua. L’espansione di Roma ebbe varie interpretazioni nel tempo: -imperialismo difensivo: non c’era nessuno piano preordinato, ma si rispondeva alle singole esigenze difensive (fonti latine); -consapevole e meditata volontà espansionistica; -tutti gli stati antichi furono naturalmente bellicosi (più recente). Nel 354 a.C. venne concluso un trattato coi Sanniti, nel quale si stabilivano i confini. Il territorio del Sannio (dei Sanniti) era molto più grande di quello romano, comprendendo l’Appenino centro-meridionale. Questo territorio era però incapace di sostenere la forte crescita demografica. Dal punto di vista politico: - era organizzato in pagi, che comprendevano uno o più villaggi, con un proprio governatore; -più pagi costituivano una tribù, con un altro governatore; - le quattro tribù costituivano la Lega sannitica, un’”assemblea federale” che poteva nominare in caso di guerra un governatore supremo. Nel V sec. alcune popolazioni si stanziarono in Campania, allontanandosi culturalmente e politicamente da quelle d’origine. Alcune di esse si riunirono nella Lega campana (inizio del IV sec.), che aveva come centro principale Capua. I contrasti fra Sanniti e Campani crebbe, sino a sfociare in una guerra nel 343 a.C., quando i Sanniti attaccarono Teano, occupata dai Sidicini. Questi chiesero aiuto alla Lega campana, che a sua volta si rivolse a Roma, che decise di intervenire solo quando i Capuani si consegnarono a Roma, mediante un atto formale di deditio (la Campania era la regione più ricca e fertile). La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse rapidamente, con i romani che sconfissero il nemico a Capua, ma che non riuscirono a proseguire l’offensiva, acconsentendo, quindi, alle richieste di pace dei Sanniti. Venne rinnovata l’alleanza del 354 a.C., riconoscendo a Roma la Campania, e ai Sanniti Teano. I Campani e i Sidicini rimasero insoddisfatti per gli esiti della guerra, in particolare i primi si accorsero dell’errore commesso. Si allearono, quindi, coi Latini, che volevano distaccarsi da Roma, coi Volsci, desiderosi di rivincita, con gli Aurunci, timorosi nel vedersi accerchiati dalla crescente potenza romana. Il conflitto, noto come grande guerra latina (341-338 a.C.) fu durissimo e si concluse con la vittoria dei Romani. La Lega latina fu sciolta e i territori vennero riorganizzati:  Alcune città vennero incorporate nello stato come municipi;  Vennero fondate colonie latine: fondate in modo strategico per controllare il territorio, sopratutto i valichi, i cui cittadini erano prevalentemente romani, che perdevano la loro cittadinanza e stringevano un foedus con Roma (erano sopratutto poveri). I Latini erano obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessità, e se si trovavano a Roma quando venivano convocati i comizi, potevano votare;  Alcune città diventano civitas sine suffragio: avevano gli stessi obblighi dei cittadini romani (servizio di leva e tributum), ma non avevano il diritto di voto e non potevano erre eletti alle magistrature; conservavano, inoltre, ampia autonomia interna. Questa semi-cittadinanza viene data alle comunità di cultura non latina, che potevano così mantenere l’autonomia interna senza dover abbandonare le proprie leggi;  Altre città divennero socii latini o italici (ai primi erano riconosciuti i diritti di connubium, commercium e migrationis), di solito quelle più grandi e più distanti; veniva lasciata autonomia interna, mentre la politica subiva una forte influenza da Roma: non potevano allearsi tra loro e dovevano fornire, in caso di guerra, delle truppe a Roma, che dovevano essere mantenute dalla stato di provenienza;  Vennero fondate anche colonie romane, più piccole di quelle latine, che avevano la piena cittadinanza romana, fondate principalmente sulla costa (la prima Anzio). Erano esentati dal servizio militare, perché lo facevano con il controllo delle coste. Si parlò di “Federazione romano-italica”, ma non è del tutto corretto: a Roma non esisteva una costituzione e inoltre il rapporto non era paritario, poiché gli altri stati dipendevano fortemente da Roma. La fondazione di colonie in territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza provocò una nuova crisi nei rapporti, inoltre Napoli (ultima città greca indipendente in Campania) era divisa internamente: il popolo era favorevole ai Sanniti, le classi più agiate ai Romani. Scoppia la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.). I romani riescono sconfiggere i Sanniti e conquistare Napoli abbastanza rapidamente, mentre il tentativo di penetrare nel Sannio fu un fallimento; per qualche anno vi fu una tregua, nella quale i Romani si rafforzarono e facevano alleanze. Nel 316 a.C. i Romani attaccarono Saticula, inizialmente non ottennero molti successi, ma presto recuperarono il terreno perduto, cingendo il Sannio in una sorta di assedio. Roma si trovò, però, a dover affrontare un’altra minaccia: una coalizione di stati etruschi, con i quali stipulò una tregua nel 308 a.C. Nel 304 a.C. venne fatto un trattato di pace coi Sanniti: fu rinnovata la precedente alleanza, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano, gli Equi sterminati e le altre popolazioni minori furono costrette a concludere trattati di alleanza con Roma. La guerra comportò pe Roma numerosi cambiamenti:  L’imperium dei consoli venne prorogato, evitando così dittatori e danni per la guerra;  Venne sostituito lo schieramento a falange, incapace nei territori accidentati, con la legione manipolare: la legione veniva schierata in tre linee, ognuna composta da 10 manipoli (2 centurie-120 uomini); per affrontare il nemico: -i primi erano i velites: soldati armati alla leggera, che lanciano la loro ancia e poi indietreggiano; - seguono i princeps, armati con elmo, scudo, pettorale, due lance e la spada -poi gli hastati, armati come i princeps, gli danno il cambio; - se il combattimento va male intervengono, intervengono i triari, che sono schierati in modo oplitico, ma hanno in più una spada. Cambia, quindi, anche l’equipaggiamento, viene usato lo scudo rettangolare e il giavellotto.  Aumentano gli schiavi e l’economia schiavista;  Inizia l’economia monetaria;  Inizia la costruzione della via Appia (Roma-Capua). I Sanniti attaccarono i Lucani e iniziò la terza guerra sannitica (298-290 a.C.), si erano alleati con gli Etruschi, i Galli e gli Umbri. I Romani sconfissero prima i Sanniti e i Galli, e poi in un’altra battaglia di nuovo i Sanniti che si videro obbligati a chiedere la pace nel 290 a.C. I Galli e gli Etruschi cercarono di penetrare nell’Italia centrale, ma vennero bloccati nel Lazio settentrionale (283 a.C.). La controffensiva colpì prima l’Etruria meridionale, poi quella settentrionale, e vennero fondate delle colonie latine (Andria e Rimini). I Piceni tentarono una disperata guerra contro Roma, ma vennero sconfitti, Ascoli e Ancona rimasero indipendenti. Roma aveva stipulato con Taranto un trattato secondo cui le sue navi da guerra non potevano entrare nel golfo di Taranto. Turi era minacciata dai Lucani e chiese aiuto a Roma, che intervenne inviando una guarnigione nella città e una flotta nelle acque di Taranto. I Tarantini attaccarono le navi romane e espulsero la guarnigione da Turi. Scoppiò la guerra (contro Taranto e Pirro), Taranto chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro, facendo della spedizione una crociata in difesa dei Greci d’Occidente, ottenendo così l’appoggio dei regni ellenistici; era anche marito della figlia del re di Siracusa. Nel 280 a.C. sbarcò in Italia, con un grande esercito (con una ventina di elefanti) al quale si aggiunsero le truppe di Taranto e delle popolazioni italiche. Roma fu costretta ad arruolare per la prima volta i nullatenenti. A Eraclea i Romani, nonostante la superiorità numerica, vennero sconfitti, ma anche l’esercito di Pirro subì numerose perdite. L’esercito epirota era insufficiente per assediare Roma, e decise di intavolare delle trattative: Roma doveva ridare la libertà alle città greche e restituire i territori del meridione; queste condizioni furono rifiutate. Ci fu un’altra battaglia (279 a.C., Ascoli Satriano), nel quale Pirro vinse, ma con perdite gravissime. Per questo rapporti con gli alleati si stavano deteriorando. Pirro decise di accogliere le domande di aiuto che gli arrivavano da Siracusa, in guerra contro i Cartaginesi, con l’obiettivo di ingrandire la sua potenza e vincere la guerra contro Roma. Ma nel 279 a.C. Roma e Cartagine avevano stretto un’alleanza difensiva. In Sicilia non riuscendo a conquistare Lilibeo, dove si erano chiusi i Cartaginesi, decise di invadere l’Africa, ma l’impresa fallì. I Romani nel mentre avevano riconquistato posizioni, e Pirro decise di tornare in Italia. Lo scontro decisivo avvenne nel 275 a.C. a Benevento, dove Pirro fu sconfitto e tornò nell’Epiro. Taranto si arrese, diventando socia di Roma. -Nel 216 a.C. Annibale annienta gli eserciti nella battaglia di Canne, nonostante l’inferiorità numerica, grazie all’accerchiamento. I Romani ricorrono quindi al tumultus, la leva di massa, anche degli schiavi; -Si scopre che Annibale aveva stretto un patto col re di Macedonia, Filippo V; questo fece scoppiare la prima guerra di Macedonia (215-205 a.C.), che fu combattuta per lo più da una coalizione di stati greci (che si affacciavano sul Mediterraneo) a lui ostili. Nell’Adriatico furono sufficienti poche navi per impedire un’invasione dell’Italia. Si arriva alla pace di Fenice, che lascia immutato il quadro territoriale; -Nel mentre Roma era riuscita a riguadagnare le posizioni perse nel Mezzogiorno e Siracusa; -Dopo la sconfitta sul Trebbia, Scipione era riuscito a raggiungere il fratello in Spagna, riuscendo ad impedire che venissero mandati aiuti ad Annibale. Nel 211 a.C. vennero però sconfitti e uccisi; -Venne allora mandato il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione (poi Africano) grazie ad un imperium straordinario (il primo), appoggiato dal popolo. Nel 209 a.C. riesce ad impadronirsi di Nova Carthago, sconfigge il fratello di Annibale, Asdrubale, che poi però riuscirà ad andare in Italia a portare aiuto; -L’esercito congiunto dei due consoli riesce a bloccare Asdrubale sul fiume Metauro, che muore in battaglia; -Scipione fu eletto console nel 205 a.C., e iniziò i preparativi per un’invasione dell’Africa: ha bisogno della forza dei cavalieri numidi, e si allea con il principe Massinissa; i due ottengono una grande vittoria nella battaglia dei Campi Magni; -Iniziarono le trattative di pace, ma il ritorno in Africa di Annibale diede nuove speranze ai Cartaginesi e le trattative fallirono; -La battaglia finale avvenne a Zama nel 201 a.C. -Il trattato di pace stabiliva che Cartagine:  poteva avere al massimo 10 navi;  doveva pagare una fortissima indennità;  doveva rinunciare ai sui possedimenti fuori dall’Africa;  non poteva dichiarare guerra senza il permesso di Roma;  doveva restituire ai Numidi tutti i territori dei loro antenati (Massinissa poteva rivendicare tutti i territori poiché i Cartaginesi non erano africani). Lo sforzo bellico per Roma fu enorme, coinvolgendo circa 1/3 dei maschi adulti. Il ruolo politico del Senato si rafforzò, poiché era capace di dare continuità nelle scelte, ma allo stesso tempo ci fu l’ascesa dei singoli comandanti, che potevano anche ricevere il prolungamento del loro incarico. Gli Stati dell’Oriente erano fondamentalmente tre:  Macedonia: il più compatto, con notevole fama militare;  Egitto: il più ricco;  Siria: il più grande, ma anche quello con più problemi interni (diversi popoli, difficilmente governabili). Roma aveva stabilito delle alleanze in Oriente, in particolare con la Lega Etolica, il Regno di Pergamo, Atene e la Repubblica di Rodi. Nel 201 a.C. La Macedonia iniziò un’invasione verso i regni greci, Pergamo e Rodi capirono che da soli non ce la potevano fare e decisero di chiedere aiuto a Roma. Venne, prima, inviato un ultimatum a Filippo, che però venne ignorato. L’anno seguente i Romani sbarcano ad Apollonia, e inizia la seconda guerra macedonica (200-197 a.C.). Nei primi due anni di guerra non ci furono azioni decisive, la svolta si ebbe con il nuovo comandante delle forze romane Tito Quinzio Flaminio, che, dopo alcune, vittorie intavolò le trattative chiedendo la liberazione della Tessaglia, ma Filippo rifiutò. Questo aveva uno scopo strategico, infatti gli Stati greci si schierarono dalla sua parte, vedendolo come loro liberatore. Fu Filippo a proporre nuove trattative, ma il comando di Flaminio era stato prorogato anche per il 197 a.C., e decise di rifiutare. La battaglia decisiva avvenne in Tessaglia, dove l’esercito macedone fu annientato, e il re fu costretto ad accettare le condizioni di pace: -ritirare le guarnigioni dalla Grecia; -pagare un’indennità; -consegnare tutta la flotta, tranne cinque navi. I Romani lasciarono la libertà alla Grecia, e nel 194 a.C. richiamarono il proprio esercito in Italia. Negli stessi anni il re di Siria, Antioco III, stava estendendo la sua egemonia sulle città greche dell’Asia Minore, formalmente autonome. Roma chiese la cessazione degli attacchi, ma Antioco rifiutò, dicendo di non voler ostilità con Roma e che lui stava solo rivendicando territori che appartenevano al fondatore della monarchia di Siria. Nel 192 a.C. la Lega etolica, insoddisfatta dei risultato della guerra macedone, invitarono Antioco III a liberare la Grecia dai falsi liberatori. Iniziò la guerra siriaca (192-188 a.C. console L. C. Scipione, fratello dell’Africano). L’anno seguente il re di Siria venne duramente battuto alle Termopoli. L’esercito romano si preparò ad invadere l’Asia Minore per via terrestre, mentre la flotta combatteva nell’Egeo. Lo scontro decisivo avvenne a Sipilo, dove l’esercito siriano, anche se superiore numericamente, era mal organizzato e venne distrutto. Venne siglata la pace di Apamea solo nel 188 a.C., Antioco doveva: -affondare le navi, tranne dieci; -pagare un’indennità di guerra; -consegnare a Roma i suoi nemici che si erano rifugiati in Siria; -sgomberare i territori a ovest e nord del Tauro. I territori vennero spartiti tra Pergamo e Rodi e le città greche che si erano schierate con Roma ottennero l’autonomia. Roma inizia ad ampliare i propri orizzonti e i suoi assetti politici e sociale cambiano, con contrasti all’interno della stessa classe dirigente. La prima evidente vicenda è il “processo degli Scipioni”:  L. C. Scipione venne accusato dai tribuni della plebe di essersi impadronito di parte dell’indennità di guerra; riuscì ad evitare la condanna grazie al veto di un tribuno della plebe;  Scipione Africano, qualche anno dopo, venne accusato di avere condotto trattative personali con il re di Siria; si ritirò nelle sue proprietà in Campania. Il processo agli Scipioni fu certamente ispirato da Marco Porcio Catone, e ci mostra i contrasti della nobilitas e le spinte individualistiche. Questo lo si può notare anche con la lex Villia, che introduceva un obbligo di età minima per rivestire le magistrature e un intervallo di un biennio tra una carica e l’altra. Negli stessi anni si stava diffondendo in Italia il culto di Bacco che preoccupava la classe dirigente perché i devoti si erano dotati di una propria organizzazione interna. Venne quindi emanato un Senatus cunsultum ultimum e molti sacerdoti e adepti vennero imprigionati o addirittura messi a morte. Le varie città greche chiedevano a Roma aiuto nelle loro controversie e, per risolvere il problema, vennero privilegiati i gruppi aristocratici. Nel 179 a.C. morì Filippo V e gli succedette il figlio Perseo; agli occhi di Roma era una minaccia, e ogni sua azione militare era interpretata come gesto di sfida. Nel 171 a.C., dopo il fallimento di alcune trattative, iniziò la terza guerra macedonica (171-167 a.C.). Nei primi anni di guerra i Romani rapinarono molte città greche e bastarono pochi successi militari di Perseo per portarle dalla sua parte. Nella battaglia campale di Pidna, però, l’esercito macedone fu distrutto. -la Macedonia fu divisa in quattro repubbliche, che non potevano avere rapporti tra loro, costruire navi, estrarre oro e argento e dovevano versare tributi a Roma; -l’Illiria fu divisa in tre stati, anch’essi tributari di Roma; -Rodi, che aveva solo tentato una mediazione in extremis, venne privata delle regioni dell’Asia Minore; -venne creato un porto franco a Delo, in cui si spostarono le rotte commerciali. Vent’anni dopo scoppiò una rivolta in Macedonia, cappeggiata da Andrisco, che però fu velocemente stroncata. Dalla Lega achea vengono tolte le città più importanti, che decise quindi di entrare in guerra: il Peloponneso venne invaso, l’esercito acheo sconfitto e Corinto saccheggiata e distrutta. La Macedonia divenne provincia romana, tutte le leghe greche sciolte e vennero imposti regimi aristocratici fedeli. Cartagine si era ripresa velocemente dal punto di vista economico, ma c’erano problemi con Massinissa: nella prima metà del II secolo avanzò richieste sempre più ambiziose sui territori cartagine, Cartagine chiese aiuto a Roma, che però rifiutò. Quando però Massinissa inglobò uno dei territori più ricchi, i Cartaginesi decisero di attaccare. L’esercito fu duramente sconfitto, ma erano stati violati gli accordi con Roma, che decise di intervenire. Iniziò la terza guerra punica (149-146 a.C.): i Cartaginesi volevano delle trattative di pace, ma quando i Romani chiesero che la città venisse abbandonata, decisero di resistere ad oltranza. L’assedio fu lungo e difficile, con al comando Publio Cornelio Scipione Emiliano la città fu saccheggiata e rasa al suolo. Venne creata la provincia d’Africa. Dopo la seconda guerra punica, in Spagna i Romani erano riusciti a stabilirsi in due zone: a sud, nella zona di Cadice, e nella zona costiera settentrionale. Nel 197 a.C. queste zone divennero province. La conquista dell’interno fu molto lenta e difficile (si concluse con Augusto), e Roma dovette, quindi, lasciare quasi costantemente forti eserciti in Spagna (soprattutto contro Celtiberi e Lusitani). Nel 149 a.C. venne creato anche un tribunale che giudicasse il reato di concussione (quaestio perpetua de repetundis), che poi estese le sue competenze a tutti i casi di abuso di potere dei governanti provinciali. Catone venne mandato in Spagna come console al comando di un grande esercito, ma nonostante le vittorie, la situazione non cambiò. Anche Tiberio Sempronio Gracco (padre) venne mandato nella penisola Iberica, riuscendo a concludere alcuni trattati di pace con le tribù celtibere. Contro la città celtibera di Numanzia, in particolare, Roma fu pesantemente sconfitta e costretta a firmare una pace umiliante. Venne, quindi, Scipione Emiliano, che riuscì a conquistarla e distruggerla (133 a.C.) profondamente mutata e la sua popolatirà in grave declino. Candidandosi ancora al tribunato per il 121, non venne rieletto. Per abbattere il suo residuo prestigio alla fondazione della colonia, Caio Gracco e Fulvio Flacco tentarono di opporsi alla votazione del provvedimento, ma scoppiarono gravi disordini, in conseguenza dei quali il senato fece ricorso alla procedura del senatus consultum ultimum, con cui veniva sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato con i mezzi che ritenessero necessari. Forte di tale provvedimento, il console Licinio Opimio ordinò il massacro dei sostenitori di Gracco che avessero osato resistere: Fulvio Flacco perì negli scontri, Caio Gracco si fecce uccidere da un suo schiavo. Poiché le riforme dei Gracchi rispondevano a problemi reali, gli ottimati non osarono abolire, ma ne ridussero gli effetti, soprattutto quelli della legge agraria. I lotti attribuiti furono dichiarati alienabili, sicché riprese la loro migrazione nelle mani del più ricchi. Venne posto fine alle operazione di recupero e rassegnazione delle terre, lasciando i possessi legittimamente occupati agli attuali detentori, prima in concessione e poi in proprietà, e fu abolita la commissione agraria. Cominciarono a delinearsi due fazioni, entrambe scaturite dalla nobilitas, denominate optimates e populares dall’atteggiamento assunto da ciascuna di esse e nei confronti delle nuove istanze che si venivano consolidando. Gli optimates si richiamavano alla tradizione degli avi, ispirata da buoni principi e sollecita del bene dello Stato, sostenitrice dell’autorità e delle prerogative del senato. I populares si consideravano difensori dei diritti del popolo ed erano sostenitori di riforme in ambito politico-sociale. Ci furono 3 leggi tabellarie cioè concernenti l’espressione scritta del voto: la Lex Gabina tabellaria che introduceva ne comizi elettorali, la Lex Cassia tabellaria nei giudizi popolari, la Lex Papiria tabellaria nei comizi legislativi. Roma continua ad espandersi e tra il 125 e il 121 conquista la Gallia meridionale fondando la provincia narbonese. Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane, dopo la terza guerra punica, tramite la costruzione di una piccola ma ricca provincia e rapporti di buon vicinato con le città libere e con i figli di Massinissa, il re della Numidia tradizionale alleato dei romani. Tra essi si era progressivamente riposto Micipsa che, morti i fratelli, era divenuto unico re di Numidia. Morto nel 118 a.C. Micipsa, il regno numidico fu conteso tra i suoi tre eredi principali. Il più spregiudicato dei tre, Giugurta, suo nipote e figlio adottivo, che aveva combattuto agli ordini di Scipione Emiliano, si sbarazzò di uno di essi, Iempsale, ammazzandolo. L’altro, Aderbale, fu costretto a rifugiarsi a Roma e a chiedere l’arbitrato del senato che, nel 116 a.C., optò per la divisione della Numidia tra i due superstiti: ad Aderbale la parte orientale, più ricca, a Giugurta quella occidentale, più vasta. Ma nel 112 a.c. Giugurta volle impadronirsi della porzione di regno assegnata ad Aderbale e ne assediò la capitale. Compiendo un errore fatale, Giugurta, presa la città, fece trucidare non solo il rivale, ma anche i Romani e gli Italici che vi svolgevano la loro attività. Roma si vide costretta a scende in guerra nel 111 a.C. All’evidente riluttanza del senato nell’intraprendere un conflitto in Africa. Al comando della guerra fu posto il console Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva parte, come legato, Caio Mario. Metello riprese le redini del conflitto, sconfisse ripetutamente Giugurta, ma non riuscì a concludere la campagna. Caio Mario venne eletto console nel 107 a.C. e gli venne affidato il comando della guerra contro Giugurta. Mario era un homo novus originario del territorio di Arpino, non poteva vantare alcun antenato illustre ed era il primo della sua famiglia ad arrivare ai sommi vertici dello Stato. Mario, bisognoso di nuove truppe a lui fedeli e per far fronte ai gravi vuoti determinati dalla guerra contro Giugurta, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, cioè a coloro che erano iscritti sui registri del censo per la loro sola persona, senza il minimo bene patrimoniale, dunque nullatenenti. Con il suo nuovo esercito Mario ritornò in Africa, ma gli occorsero quasi 3 anni per mantenere l’impegno di por fine al conflitto e di catturare Giugurta. Valsero le trattative diplomatiche, già imposte da Metello, per rompere l’alleanza tra Giugurta e il suocero Bocco, re di Mauretania. Grazie soprattutto all’opera di Silla, allora legati di Mario, Bocco tradì Giugurta e lo consegno ai romani. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa, fedele di Roma, la parte rimanente allo stesso Bocco. Mario fu rieletto console nel 104 a.C. dopo aver rivestito per due anni il proconsolato, celebrò il trionfo sudi lui, che venne in seguito giustiziato. Nel frattempo due popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni avevano iniziato un movimento migratorio verso sud, spinti da problemi di sovrappopolamento o da maree rovinose. Furono affrontati aldilà delle Alpi dal console Cneo Papirio Carbone, inviato a proteggere i confini d’Italia. Presso Noreia i Romani subirono una disastrosa sconfitta. Continuando con il cammino verso occidente, intorno al 110 a.C. i Cimbri e i Teutoni comparvero in Gallia minacciando la nuova provincia narbonese. Mario venne rieletto console in assenza per il 104 a.C. (e lo fu per ben 5 volte di seguito finché perdurò la minaccia germanica) e gli fu affidato il comando della guerra. Nell’attesa che i barbari si facessero vivi di nuovo, Mario provvide a riorganizzare l’esercito, portando a compimento trasformazioni già sperimentate, per cui ogni legione risultò articolata non più in 30 piccole unità ma in 10 coorti di circa 600 uomini (legione coortale), ciascuna delle quali costituiva un’unità tattica sufficientemente grande per operare con una certa autonomia e consentire un più agile impegno della legione. Cimbri e Teutoni si erano divisi: mentre i Teutoni avanzavano verso la Gallia meridionale, i Cimbri si accingevano a valicare i passi delle Alpi centrali. Mario affrontò dapprima i Teutoni sterminandoli ad Aquae Sextiae. L’anno dopo mosse contro i Cimbri che, travolta ogni resistenza, furono raggiunti e annientati ai Campi Raudii. Mentre era costantemente impegnato sul fronte militare, Mario aveva creduto utile appoggiarsi a Lucio Apuleio Saturnino, un nobile entrato in rotta con le fazioni conservatrici del senato che, nel 104 a.C., usando come pretesto l’aumento del prezzo del grano, lo avevano sostituito con un proprio membro nell’incarico di quaestor Ostiensis, cioè di soprintendente frumentario degli approdi alle foci del Tevere. Mario l’aveva aiutato a essere eletto tribuno della plebe nel 103 a.C.; in cambio Saturnino aveva fatto approvare una distribuzione di terre in Africa a ciascuno dei veterani delle campagne africane di Mario. Grande importanza poi ebbe la sua Lex de maiestate, che puniva il reato di lesione di lesione dell’autorità del popolo romano. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al suo sesto consolato; Saturnino era stati rieletto tribuno della plebe per la seconda volta e Caio Servio Glaucia, suo compagno di parte popolare, pretore. Contando sull’appoggio di Mario, Saturnino presentò una Legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Per poter sviluppare il suo programma Saturnino ottenne la rielezione a tribuno anche l’anno successivo, mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante le votazioni scoppiarono tumulti nei quali un competitore di Glaucia finì assassinato. Il senato non attendeva altro per proclamare, come contro Caio Gracco, il senatus consultum ultimum. Mario, come console, si trovò nella situazione imbarazzante di doverlo applicare contro i suoi alleati politici. Per questa vergogna, Mario, preferì allontanarsi da Roma, ufficialmente per svolgere una missione diplomatica presso il re del Ponto. Nel 102 a.C. si decise di intervenire riguardo la pirateria, inviando il pretore Marco Antonio con il compito di distruggere le principali basi anatoliche dei pirati e di impadronirsene. Il decennio successivo al 100 a.C. si aprì tra forti tensioni politiche e sociali. In questa atmosfera fu eletto tra i tribuni della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso, figlio di Livio Druso, che si era opposto a Caio Gracco. Figura enigmatica di aristocratico, egli tentò di destreggiarsi tra le varie parti con una politica di reciproca compensazione. Da un lato promulgò provvedimenti di evidente contenuto popolare, come una legge agraria. Dall’altro restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione, proponendo però l’ammissione dei cavalieri in senato che veniva aumentato da 300 a 600 senatori. Intanto la condizione di cittadino romano era diventata sempre più vantaggiosa e ciò aumentava l’irritazione e le rivendicazioni degli Italici. Delle distribuzioni agrarie beneficiavano solo i cittadini romani, non avevano parte alcuna nelle decisioni politiche, economiche e militari. L’assassinio di un impoverimento complessivo dello stato romano oltre che dei singoli. Molti debitori (tra essi esponenti dell’aristocrazia), si erano trovati nell’impossibilità di rimborsare i propri creditori, che colpiti anch’essi dalla crisi, esigevano con grande accanimento quanto era loro dovuto. Per far fronte a questi problemi Sulpicio Rufo propose una serie di provvedimenti:  richiamo dall’esilio di coloro che erano stati perseguiti per collusioni con alleati italici  inserimento dei neocittadini in tutte le tribù  limite massimo di indebitamento di 2000 denari per ciascun senatore (oltre la quale era prevista l’esclusione dal senato)  trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Silla a Mario (tornava nella scena dopo un lungo periodo di eclissi politica) Appresa la notizia della sua sostituzione, Silla non esitò a marciare su Roma alla testa dei suoi soldati. Una volta impadronito di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici pubblici: Sulpicio fu subito eliminato, Mario riuscì a stento a fuggire alla volta dell’Africa, dove poteva contare su protezioni e clientele fidate. Prima di recarsi in Oriente nell’88 a.C., Silla fece approvare alcune norme anticipando la sua futura opera riformatrice:  ogni proposta di legge dovuto essere approvata dal senato prima di essere sottoposta al voto popolare  i comizi centuriati dovevano diventare la sola assemblea legislativa legittima. Ottenuto ciò partì alla volta dell’Oriente. 1 GUERRA MITRIDATICA: Sbarcato in Epiro nell’87 a.C. e attraversata la Beozia, Silla cinse d’assedio Atene, che venne presa e saccheggiata. Direttosi nuovamente verso la Grecia centrale, sconfisse le truppe pontiche e ciò segnò la fine del predominio delle armate di Mitridate in Grecia. Lucio Cornelio Cinna (fautore di Mario) nell’87 a.C. aveva ripreso la proposta di iscrivere i neocittadini italici in tutte le 35 tribù. Cacciato da Roma si era rifugiato in Campania dove venne raggiunto da Mario, rientrato dall’Africa; si ebbe così una nuova marcia su Roma. La città fu presa con la forza: Silla venne dichiarato nemico pubblico e ci furono stragi e rappresaglie atroci. In questo clima Mario fu eletto console per la 7 volta, insieme a Cinna, per l’anno 86 a.C.; morì poco dopo essere entrato in carica. Nel frattempo un nuovo corpo di spedizione guidato da Lucio Valerio Flacco, in sostituzione a quello sillano, era stato mandato in Oriente a combattere contro Mitridate. Cinna fu rieletto console di anno in anno fino all’84 a.C. promuovendo un’ampia opera legislativa: fu definitivamente risolta la questione della cittadinanza con l’inserimento dei neocittadini in tutte le 35 tribù, fu inoltre risolto il problema dei debiti riducendone ¾ dell’ammontare. Verso la dine dell’84 a.C., alla notizia dell’imminente rientro di Silla, Cinna cercò di anticiparlo ammassando forze ad Ancona (in vista di un successivo sbarco in Grecia), ma fu ucciso da una rivolta dei suoi stessi soldati. CONCLUSIONE 1 GUERRA MITRIDATICA : Nell’86 a.C. due armate romane di opposte fazioni si trovarono dunque in Grecia, una cappeggiata da Silla e una inviata da Cinna agli ordini di Flacco: esse non si scontrarono mai, anzi agirono “parallelamente”, ricacciando Mitridate in Asia. La condizione del re pontico di fece via via più precaria: molti dei suoi alleati disertarono. D’altronde Silla, attento attento all’evolversi degli eventi a Roma, aveva fretta di chiudere le ostilità: si giunse così a trattative di pace, che fu stipulata a Dardano → Mitridate conserva il suo regno ma doveva evacuare l’Asia, inoltre è costretto a versare una forte indennità di guerra e consegnare la propria flotta. Nicomede IV recuperava il regno paterno di Bitinia e Ariobarzane la Cappadocia. Nell’83 a.C. Silla sbarco in Italia a Brindisi carico di bottino. La pace di Dardano però non pose fine alle ostilità in Anatolia, dove Lucio Licinio Murena (governatore dell’Asia lasciato da Silla a capo dell’esercito) non cessò di effettuare incursioni in territorio portico, accusando Mitridate di prepararsi a riprendere le armi. Dopo aver ottenuto ripetutamente ragione dal senato, all’ennesima provocazione Mitridate reagì, sconfiggendo Murena e dilagando di nuovo in Cappadocia , finché entrambi i contendenti non furono fermati da un intervento personale di Silla. Questo prolungamento del conflitto viene talora definito seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.) A Brindisi raggiunsero Silla, Cneo Pompeo con 3 legioni assoldate e altri suoi fautori in armi. Silla impiegò 2 anni per trionfare sui suoi avversari. Il primo anno riuscì a riprendersi l’Apulia, la Campania e il Piceno; l’anno successivo sconfisse Caio Mario il Giovane (figlio adottivo di Mario obbligandolo a chiudersi a Preneste dove si uccise), si impadronì di Roma e grazie all’aiuto di Caio Licinio Crasso distrusse le ultime resistenze avversarie nella battaglia di Porta Collina 82 a.C. cui fece seguito il massacro di tutti i prigionieri. Restarono da eliminare gli oppositori mariani in Africa e Sicilia; in queste operazioni si distinse Cneo Pompeo, che Silla gratificò con il titolo di Magnus. Per rendere effettiva la sua vittoria Silla introdusse le LISTE DI PROSCRIZIONE: elenchi di avversari politici i cui nomi venivano notificati al pubblico; chiunque poteva ucciderli, i loro beni venivano confiscati e venduti all’asta, i loro figli e discendenti esclusi da ogni carica. Gli obiettivi principali erano ovviamente senatori e cavalieri più in vista, che furono eliminati con una caccia all’uomo. Ciò ebbe importanti conseguenze perché contribuì a modificare la composizione dell’aristocrazia romana. Le proscrizioni continuarono fino all’81 a.C. Le comunità italiche che avevano parteggiato per i mariani subirono confische territoriali che furono utilizzate per dedurre colonie a favore dei veterani di Silla. Poiché entrambi i consoli dell’82 a.C erano morti nel conflitto, il senato nominò secondo la tradizione, un interrex: il principes senatus Lucio Valerio Flacco, il quale invece di designare nuovi consoli, presentò ai comizi una proposta Lex Valeria che nominava Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, ovvero dittatore con l’incarico di redigere leggi e di organizzare lo stato. In effetti il vecchio ordinamento pareva non reggere più davanti ai mutamenti che si erano succeduti:  allargamento del corpo civico e sua estensione a tutta l’Italia  trasformazione delle comunità latine e italiche in municipia della Stato romano  aumento numero delle province  professionalizzazione dell’esercito Una parte dell’opera riformatrice Silla l’aveva anticipata nell’88 facendo approvare due norme, prima di partire per la guerra mitridatica. Il senato fu portato da Silla a 600 membri, con l’immissione di suoi numerosi partigiani, nonché di 300 cavalieri ed esponenti dei ceti superiori dei municipi italici, i questori furono portati a 20; il numero dei pretori fu portato a 8, per far fronte a necessità derivanti dalla moltiplicazione dei tribunali permanenti a cui dovevano presiedere. Questi tribunali vennero riservati in esclusiva al senato. Le loro competenze furono suddivise in modo che a ognuno di essi spettasse uno dei principali reati:  estorsione e concussione (de repetundis)  alto tradimento (de maiestate)  appropriazione dei beni pubblici (de paculatu)  brogio e corruzione elettorale (de ambitu)  assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis)  frode testamentaria (de falsis)  lesioni alle persone (de iniuriis) Vennero di nuovo regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi:  questura: 30 anni  edilità: 36 anni  pretura: 39 anni  consolato: 42 anni Nessuna carica poteva essere rinnovata prima di 10 anni. Furono totalmente ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitato il diritto di veto e totalmente annullato quello di proporre leggi; fu fatto divieto a chi avesse ricoperto il tribunato di poter accedere a qualunque altra carica. Abolisce inoltre la distribuzione del grano a prezzo politico. Il pomerium fu esteso lungo una linea virtuale tra Arno e Rubicone, superato il quale si diventava nemico di Stato. Compiuta la riorganizzazione dello stato Silla abdicò dalla dittatura. Nel 79 a.C. si ritirò a vita privata in Campania, dove morì l’anno dopo. Già nello stesso 78 a.C. uno dei consoli, Marco Emilio Lepido, tentò di ridimensionare l’ordinamento sillano proponendo: il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino delle distribuzioni frumentarie a prezzo politico, la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate a favore dei coloni insediati da Silla. L’opposizione incontrata dai suoi progetti scatenò una riforma in Etruria, dove le espropriazioni furono più pesanti; Lepido, partito per assumere il governo della provincia di Narbonese, si fermò in Etruria dove fece causa comune con i ribelli e marciò su Roma. Il senato rispolvera su di lui in senatus consultum ultimum, ordinando di difendere lo stato con qualsiasi mezzo. Poiché non erano ancora avvenute le elezioni consolari venne affidato eccezionalmente a Pompeo l’imperium. La rivolta venne rapidamente stroncata, Lepido fuggì in Sardegna, dove morì poco dopo. Quinto Sertorio si era distinto nella gierra sociale, e nell’82 a.C. dopo le prime vittorie di Silla, aveva raggiunto il suo posto di governatore in Spagna Citeriore, dove creò una sorta di Stato mariano in esilio. Tutti i tentativi di abbatterlo (iniziatisi da Silla) si erano rivelati vani, anche grazie alla sua conoscenza perfetta del paese, la cui conformazione gli aveva permesso di mettere in atto una stremante guerriglia contro l’esercito di Quinto Cecilio Metello Pio. Verso la fine del 77 a.C. si erano congiunte a Sertorio le truppe superstiti di Lepido al comando di Marco Perperna; ciò gli consentì di costruire a Osca (scelta come sua capitale) un senato di 300 membri, a imitazione romana, e una scuola dove i capi delle tribù spagnole potevano mandare i loro figli poiché fossero educati alla romana. Corsero a Roma voci di sue alleanze, a questo punto il senato ricorre un’altra volta a Pompeo, affidandogli nuovamente un imperium straordinario. Arrivato in Spagna nel 76 a.C. Pompeo si trovò in una posizione difficile, subì una serie di sconfitte da parte di Sertorio, che lo costrinsero a mandare una lettera al senato chiedendo minacciosamente rifornimenti e rinforzi. Ottenuto contro un provvedimento che concentrava nelle mani di un solo uomo poteri e risorse ingentissimi, esso fu approvato: Pompeo cacciò rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale. Nel 66 a.C. nel mentre egli era ancora impegnato nella guerra contro i pirati, un altro tribuno della plebe, Caio Manilio, propose che venisse esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Subentrato nel comando a Lucullo, Pompeo riuscì a convincere il re dei Parti a tenere impegnato Tigrane mentre marciava indisturbato verso il Ponto. Sconfitto e cacciato dal Ponto, Mitridate, privo dell’appoggio del genero, fu costretto a rifugiarsi al nord, dove abbandonato anche dal figlio si fece trafiggere per non cadere in mano ai romani. Nel 62 a.C. dopo una serie di conquiste Pompeo tornò a Roma carico di gloria e di bottino, certo che il senato avrebbe ratificato senza problemi i suoi provvedimenti e gli avrebbe consentito di ricompensare generosamente i suoi veterani. Gli venne immediatamente decretato il trionfo. Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una situazione di crisi. Lucio Sergio Catilina si era molto arricchito durante gli eccidi dell’età sillana, ma aveva sperperato somme enormi per mantenere alto il suo tenore di vita. La sua campagna per ottenere il consolato nel 65 a.C. gli era costata una fortuna, ma all’ultimo momento la sua candidatura era stata respinta per indegnità. Prosciolto infine dall’accusa di concussione tentò di rifarsi e si ripresentò alle elezioni consolari per 63 a.C., sostenuto in tutto e per tutto da Marco Licinio Crasso che si trovava da tempo collegato con un brillante patrizio Caio Giulio Cesare, e con Cinna (del quale sposò la figlia). Venne eletto console un homo novus, Marco Tullio Cicerone, che nella campagna elettorale aveva attaccato la corruzione, la violenza e le collusioni politiche di Catilina. Ma Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto un programma elettorale che pensava lo avrebbe condotto ad ottenere il consolato nel 62 a.C., basato sulla cancellazione dei debiti e rivolto non tanto alle classi sociali più basse, quanto agli aristocratici. Abbandonato però dai suoi sostenitori, Catilina riuscì di nuovo battuto nelle elezioni. Mise allora in atto una cospirazione che mirava a sopprimere i consoli, terrorizzare la città e impadronirsi del potere; il piano fu però scoperto e sventato da Cicerone che poté infine indurre il senato a emettere un senatus consultum ultimum, e con un attacco durissimo costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma. Acquisite le prove scritte della congiura, Cicerone potè arrestare 5 dei capi della cospirazione e consultare sul da farsi il senato, che trascinato da Marco Porcio Catone, si pronunziò per la pena di morte, solo Cesare rimase per il carcere a vita. DAL PRIMO TRIUMVIRATO ALLE IDI DI MARZO Nel 62 a.C. Pompeo sbarca a Brindisi, smobilitò immediatamente il suo esercito convinto di ottenere una ratifica degli assetti territoriali e provinciali da lui decisi in Oriente. In senato però i suoi avversari politici, lo ricambiarono umiliandolo, facendo rimandare di giorno in giorno questi riconoscimenti di pratica dovuti. Profondamente deluso allora Pompeo si riavvicinò a Crasso e al suo emergente alleato Cesare, con i quali strinse un accordo di sostegno reciproco comunemente chiamato “primo triumvirato” (definizione impropriamente modellata sull’unico triumvirato realmente esistito, quello tra Ottaviano, Antonio e Lepido). Questo cosiddetto triumvirato era un accordo in base al quale Cesare avrebbe dovuto essere eletto console per il 59 a.C. e avrebbe dovuto varare una legge agraria che sistemasse i veterani di Pompeo; anche Crasso avrebbe avuto vantaggi per i cavalieri e le compagnie di appaltatori che gli erano particolarmente legati. L’accordo fu cementato anche col matrimonio tra Pompeo e la figlia di Cesare, Giulia. Questo accordo diede immediatamente i suoi frutti e Cesare venne eletto console per il 59 a.C. Egli fece votare due leggi che prevedevano una distribuzione ai veterani di Pompeo di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, ad eccezione della Campania che venne inclusa in un secondo momento. Fu approvata una Lex Iulia de Repetundis, per i procedimenti di concussione, che migliorava e ampliava la precedente legislazione sillana in materia. Sul finire del consolato, un tribuno della plebe Publio Vatinio fece votare un provvedimento che attribuiva a Cesare per 5 anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico; essendosi da poco reso vacante il governo della Gallia Narbonese, su proposta di Pompeo il senato dovette aggiungere alle competenze di Cesare anche l’assegnazione di questa provincia. Partendo dalle province attribuitegli Cesare volle, con Pompeo e Crasso, lasciare una spina nel fianco a quanti in senato gli erano stati ostili. Appoggiarono nella candidatura al tribunato della plebe, Publio Clodio Pulcro che una volta eletto fece approvare una serie di leggi: o Il potere dei consoli di espellere i membri dal senato venne limitato dal divieto di procedere nei confronti di chiunque senza un giudizio formale che consente agli interessati di difendersi; o Nessun magistrato (tranne auguri e tribuni) avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche adducendo l’osservazione di auspici sfavorevoli; o Vennero legalizzati i collegia: associazioni private con fini religiosi e di mutuo soccorso o Le distribuzioni frumentarie ai cittadini romani residenti a Roma, fino ad allora a prezzo politico, dovevano divenire completamente gratuite. o Si stabilisce l’esilio a chiunque condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedergli di appellarsi al popolo. Cicerone che aveva fatto giustiziare i catilinari era diventato un bersaglio evidente, si era allontanato immediatamente da Roma e Pompeo non aveva fatto nulla per aiutarlo. Quando Cesare arrivò nelle sue province era in atto una migrazione di Elvezi che minacciava le terre degli Edui e forse la stessa provincia romana; Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, a Bibracte (capitale degli Edui), costringendoli a ritornare nelle loro sedi. Comincia così la lunga conquista cesariana della Gallia. Successivamente, la presenza romana in Gallia centrale, suscitò però a nord delle reazioni delle tribù dei Belgi, allarmate dalla vicinanza delle legioni. Nonostante l’ampiezza delle forze messe in campo, Cesare riuscì a impadronirsi delle loro piazzeforti, riducendoli alla 1. secondo Cesare, che computava 10 anni a partire dal 58 a.C., alla fine del 49 a.C.; 2. secondo i suoi avversari, che calcolavano 5 anni dal rinnovo della carica fatto votare da Pompeo e Crasso nel 55 a.C., al più tardi del 50 a.C. Per evitare ogni procedimento contro di sé, Cesare si trovava nella necessità di reinvestire di nuovo il consolato congiungendolo senza interruzioni al proconsolato. Oltre a conservare il suo comando fino al termine stabilito, gli era dunque indispensabile poter presentare la sua candidatura restando “assente” da Roma e tale privilegio gli era stato attribuito “ad personam”, grazie a una legge che i dieci tribuni della plebe avevano fatto votare nel 52 a.C. Nel frattempo Pompeo aveva però proposto un provvedimento che prescriveva che dovesse trascorrere un intervallo di 5 anni tra una magistratura e una promagistratura e ciò costituiva una minaccia per Cesare, il quale se fosse riuscito a diventare console alla fine della carica sarebbe divenuto privato cittadino. A partire dal 51 a.C. perciò iniziarono discussioni sul termine dei potere di Cesare e cominciò tra Cesare e i suoi avversari una lotta tesa a raggiungere da parte di Cesare l'estensione del suo comando fino a tutto il 49 a.C. per potersi candidare al Consolato del 48 a.C. Con una nuova procedura diveniva molto più facile rimpiazzarlo: grazie ad essa il successore di Cesare al governo della sua provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una magistratura 5 o più anni prima; con le vecchie norme invece la provincia di Cesare avrebbe dovuto essere dichiarata consolare preventivamente, costui avrebbe poi dovuto esercitare a Roma il suo anno consolare è solo dopo averlo esaurito avrebbe potuto assumere il comando della provincia; nel frattempo Cesare avrebbe conservato per proroga il suo posto. Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine a un moltiplicarsi di contese, un tribuno della plebe, Caio Scribonio Curione, propose che per uscire dalla crisi si dovessero abolire contemporaneamente tutti i comandi straordinari, sia quello di Cesare sia quello di Pompeo. Il primo dicembre del 50 a.C. il senato si pronuncio a larghissima maggioranza nel senso che ambedue i proconsoli dovessero deporre le loro cariche. All'inizio del 49 a.C. Cesare inoltrò al Senato una lettera nella quale si dichiarava disposto a deporre il comando se anche Pompeo lo avesse fatto, ma i suoi avversari ottennero invece e si ingiungesse a Cesare di porre fine unilateralmente alle sue cariche. Minacciato dal veto di due tribuni, dopo averli cacciati con la violenza, il Senato votò il senatus consultum ultimum affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo stato. Appresa questa decisione Cesare varca in armi nel Rubicone, diventa nemico pubblico e scoppia una guerra civile. Aveva pochi soldati, una sola legione, pensavano così di sconfiggerlo facilmente ma vinse grazie a:  Celeritas = velocità si sposta Infatti da un luogo all'altro velocemente disorientando i suoi avversari.  Clementi Cesaris: si temeva che Cesare fosse un nuovo Silla ma stupisce tutti nel momento in cui sconfigge i suoi nemici e li perdona virgola così da non avere nemici . Tornato a Roma negli ultimi giorni del 49 a.C. riveste la carica che il pretore Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in assenza di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali. I comizi lo elessero console per il successivo anno 48 a.C. Nel frattempo Pompeo aveva posto il suo quartier generale a Tessalonica, mentre le sue navi battevano nell'Adriatico per impedire eventuali sbarchi di Cesare. Quest'ultimo però compiendo la traversata in pieno inverno riuscì a traghettare solo 7 legioni e a porre l’assedio Durazzo. Poiché la flotta Pompeiana bloccava la costa impedendo l'arrivo di altre legioni Cesare fu costretto ad attaccare a fondo la città ma fu duramente respinto. Avanzò allora verso la Tessaglia sempre inseguito da Pompeo, lo scontro ebbe luogo lì e si tradusse in una disfatta Pompeiana. Pompeo fugge verso l'Egitto dove contava di trovare il rifugio presso i figli del re Tolemeo XII, ma in Egitto era in corso una contesa dinastica tra il giovane Tolemeo XIII e la sorella maggiore Cleopatra VII; i consiglieri del re giudicando compromettente accogliere Pompeo lo fece assassinare. Arrivato anche gli ad Alessandria Cesare si trattiene in Egitto per oltre un anno allo scopo di dirimere le lotte tra i fratelli ed assicurarsi l'appoggio di quel regno ricchissimo è grande produttore di grano. Cleopatra VII fu confermata regina d'Egitto e partito Cesare diede alla luce un figlio di lui a cui impose il nome inequivocabile di Tolemeo Cesare. Frattanto il figlio di Mitridate, Farnace, aveva tentato di approfittare della situazione per recuperare i territori paterni, ma Cesare marciò contro di lui sconfiggendolo nel Ponto. Nell'autunno del 47 Cesare tornò brevemente a Roma ma poi ripartì per l'Africa dove si erano rifugiati e riorganizzati i pompeiani assicurandosi l'appoggio di Giuba, re di Numidia (il quale si suicidò e il suo regno divenne provincia romana). Ritornato a Roma in luglio Cesare celebra i trionfi sulla Gallia, sull'Egitto, su Farnace e su Giuba, ma alla fine dell'anno è costretto a ripartire per la Spagna dove avevano ripreso fiato i suoi avversari sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. L'esercito nemico fu distrutto e solo Sesto Pompeo riuscì a salvarsi con la fuga. Cesare ormai padrone della situazione poteva tornare a Roma e completare una sua opera di riorganizzazione politica. Mentre tornava in Egitto Cesare era stato nominato dittatore per un anno, poi prima di partire per la campagna d'Africa era stato eletto al suo terzo consolato per il 46 a.C., e a metà del 46 a.C. gli viene conferita la dettatura per 10 anni. Nel 45 ricoprì il quarto consolato e nel 44 a.C. il quinto alla cui fine gli venne affidato il titolo di dittatore a vita, dictator perpetuus. Era inoltre stato, precedentemente, fatto per tre anni praefectus moribus, con l'incarico di vigilare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, dei cavalieri e dei cittadini (dunque competenze analoghe a quelle dei censori). Gli viene poi  riconosciuta la facoltà di sedere tra tribuni della plebe  assegnata la potestà tribunizia e gli conferiva tutte le prerogative proprie dei tribuni come l'inviolabilità personale il diritto di veto  gli fu attribuito il potere di fare Trattati di Pace o dichiarazione di guerra senza consultare il senato o il popolo  presiedere l'attribuzione delle magistrature e di raccomandare i suoi candidati alle elezioni  gli vengono offerti gli onori del primo posto in Senato, del titolo di imperator a vita e quello di padre della patria. Già nel 49 a.C. personalmente o tramite magistrati suoi fautori aveva messo insieme un vastissimo piano di riforme:  Erano stati concessi di perdono e il richiamo in patria a tutti gli esuli e condannati politici;  Vengono accordate facilitazioni ai debitori sia per il pagamento dei canoni arretrati che per le modalità del rimborso dei prestiti  Tra il 46 a.C. e 44 a.C. il senato fu portato da 600 a 900 membri con l’immissione di un grande numero di seguaci di cesare;  Aumentarono da 20 a 40 il numero dei questori, da 4 a 6 quello degli edili, da 8 a 16 quello dei pretori: venivano garantite in tal modo maggiori possibilità di carriera politica a suoi sostenitori;  Le giurie dei tribunali permanenti furono di nuovo ripartite equamente tra senatori e cavalieri  Furono indotte sanzioni più severe nei confronti di quanti si fossero resi colpevoli di malversazioni e venne rivisto il sistema tributario provinciale; ricompense per i suoi soldati. Al rifiuto, Ottavio non esitò a marciare su Roma. Nel 43 a.C. venne eletto console (andando contro ogni regola) insieme al cugino Quinto Pedio. I due consoli, fecero revocare tutte le misure di amnistia e istituirono un tribunale per perseguire gli assassini di Cesare. Ottavio fece ratificare l’adozione dai comizi centuriati e si fece dare il nome di Caio Giulio Cesare. Nel 42 a.C. venne poi divinizzata la figura di Cesare e Ottaviano ne trasse vantaggio perché divenne Divi filius (figlio di un Dio). Nell’ottobre del 43 a.C Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono per sancire un accordo, che venne fatto istituire da una legge votata dai comizi tributi (lex titia). In base ad essa, veniva istituito un triumvirato costituente (secondo triumvirato) il quale doveva riorganizzare lo Stato. Questo avrebbe avuto una durata di 5 anni (fino al 38 a.C.).  Antonio avrebbe conservato il governatorato della Gallia Cisalpina e della Gallia Comata  Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le due Spagne  Ottaviano invece avrebbe tenuto l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica.  Bruto e Cassio avevano ormai il potere sull’Oriente. Possiamo dire che a Ottaviano era toccata la parte peggiore perché in Sardegna e in Sicilia, Sesto Pompeo minacciava con le sue forze navali i mari. Lasciati Lepido e Munazio come consoli a Roma, Antonio e Ottaviano partono alla volta della Grecia contro i cesaricidi. La battaglia decisiva si ebbe a Filippi in Macedonia nel 42 a.C. in due battaglie nelle quali Cassio e Bruto si tolgono la vita. Dallo scontro contro i cesaricidi, Antonio acquista grande potere e prestigio militare.  Antonio ottiene il potere su tutto l’Oriente da cui aveva intenzione di partire per sconfiggere i Parti e continuare l’opera di Cesare.  Lepido ottenne l’Africa  Ottaviano ottenne le Spagne e il compito di sistemare la questione con Sesto Pompeo che dominava la Sicilia e a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. È in questo periodo, che le proscrizioni e le guerre avevano decimato una grande parte delle famiglie più conservatrici di Roma. Questo fenomeno diede luogo alla creazione di una nuova aristocrazia composta da nuove famiglie di cui alcune persone di fiducia dei triumviri. Questo cambiamento radicale nella società portò l’élite di governo a pensare a rapporti di dipendenza politica e personale, spingendo la mentalità verso il regime imperiale. Antonio parte per l’Oriente per vincere i parti e incontra Cleopatra. Ottaviano rimane in Italia per risolvere il problema delle terre per i veterani. Non essendoci rimasto più agro pubblico da assegnare, Ottaviano avrebbe dovuto espropriarlo dai territori delle 18 città d’Italia. Venivano colpiti soprattutto piccoli e medio proprietari terrieri, così, nel 41 a.C. scoppia la guerra di Perugia della quale si approfittarono la moglie e il fratello di Antonio (Fulvia e Lucio Antonio). Così dopo un feroce assedio alla città di Perugia, Ottaviano vince contro Fulvia e Lucio e s’impadronì della Gallia di M. Antonio. Lucio Antonio fu risparmiato, Fulvia scappò da Antonio in Grecia e molti fuggirono da Sesto Pompeo aiutandolo a conquistare anche la Sardegna e la Sicilia. Ora quest’ultimo, aveva il potere di impedire i rifornimenti dell’Italia e di Roma. Nel 39 a.C. vengono riconosciuti a Pompeo i territori della Sardegna, Corsica e Sicilia a patto che lui facesse partire i rifornimenti (Accordi di Miseno). Antonio saputo della conquista di Ottaviano, corse in Italia e per evitare lo scontro, fecero degli Accordi a Taranto che attribuivano ad Ottaviano l’occidente, ad Antonio l’Oriente e a Lepido l’Africa. Con questi accordi, Antonio e Ottaviano decidono di combattere insieme contro Pompeo. Antonio avrebbe fornito 120 navi ad Ottaviano il quale gli avrebbe dato 20.000 legionari per combattere la battaglia partica. Marco Antonio sposa Ottavia (sorella di Ottaviano) per evitare i conflitti e Ottaviano sposa Scribonia (sorella di Sesto Pompeo) per cercare si trattare con lui. Dopo gli accordi di Taranto, Antonio torna in Oriente lasciando Ottavia in Italia. Nell’autunno del 37 a.C. ritrovò Cleopatra e riconobbe i due gemelli che aveva avuto con lei. Così Antonio cedette alcuni territori romani all’Egitto. Nel 36 a.C. Ottaviano inizia la sua guerra contro Sesto Pompeo, quest’ultimo attaccato da tutti i fronti viene sconfitto. Lepido chiede che gli si ceda almeno la Sicilia ma Ottaviano rifiuta. Lepido viene abbandonato dai suoi soldati, Ottaviano decide di lasciarlo in vita e lo costringe a vivere per sempre nella sua casa del Lazio. Così nello stesso anno il triumvirato si è sciolto e Antonio tiene l’Oriente mentre Ottaviano ha l’Occidente. Sempre nel 36 a.C. Antonio diede inizio alla sua spedizione partica passando per l’Armenia e giungendo ad assediare Fraata. Non avendo abbastanza forze non riesce ad assediare la città ed è costretto a ritirarsi. Nel 35 a.C. lo trascorse ad organizzare l’armata per una seconda invasione della Partia e dell’Armenia che ebbe luogo nel 34 a.C. quando riuscì a conquistare quest’ultima. Nel 35 a.C. abbiamo quindi l’effettiva rottura tra Antonio e Ottaviano in seguito alla beffa giocata da quest’ultimo che restituì ad Antonio solo 70 navi delle 120 prestate, la sorella Ottavia e 2000 uomini. Antonio cadendo nella provocazione ripudia Ottavia e la rimanda in Italia. Così l’offeso diventava Ottaviano, con la sorella romana ripudiata a causa di Cleopatra. Per tutta risposta Antonio celebra la vittoria dell’Armenia ad Alessandria confermando a Cleopatra e a Tolomeo Cesare (unico erede di sangue di Cesare) il trono dell’Egitto, di Cipro e della Celesiria e attribuendo altri territori ai figli avuti con Cleopatra. Nel 32 a.C. due consoli (Cneo Domizio e Caio Sosio) chiesero la ratifica delle decisioni prese da Antonio in Oriente , ma Ottaviano ne impedì al Senato l’approvazione. Così entrambi i consoli con 300 Senatori, si rifugiano presso Antonio e quest’ultimo rispose mandando un atto di ripudio per Ottavia. Ottaviano rivela il testamento di Antonio (che disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra e attribuiva i terreni ai figli avuti con la regina) e si presentò come il difensore di Roma e dell’Italia contro una regina avida e infida. Quando ottenne la fedeltà dell’Italia e dell’Occidente, Ottaviano intraprese una guerra contro l’Oriente o meglio contro Cleopatra. Lo scontro determinante avvenne nel Mar Ionio dinanzi ad Azio (battaglia di Azio) nel 31 a.C. con una battaglia navale vinta da Agrippa per nome di Ottaviano. Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto ma quando Ottaviano giunse ad Alessandria con le sue truppe, prima Antonio e poi Cleopatra si suicidarono. L’Egitto fu dichiarato provincia romana e anche Tolomeo Cesare fu opportunamente eliminato. province, senato e plebe urbana). Il benessere materiale di Roma dipendeva ormai anche dalla prosperità delle province. Tra il 27 e il 25 a.C. il regime non si era ancora stabilizzato e Augusto si recò il Gallia e poi nella Spagna settentrionale per sottometterli al dominio romano. In questi anni Augusto alternerà periodi ci circa 3 anni passati nelle province e periodi biennali trascorsi a Roma così da garantire la pace in tutto lo Stato. Così metteva in luce l’importanza del Senato, del popolo e dei magistrati a Roma e la sua importanza nelle province per garantire la pace. Quella di Augusto fu un’era di PACE e questo si poté intuire dalla chiusura nel 29 a.C. del tempio di Giano, il quel rimaneva chiuso quando non si era in guerra. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi in Spagna. Augusto si era seriamente ammalato e rischiava la vita così se fosse avvenuta la sua morte (senza eredi maschi) ci sarebbe stato di nuovo il problema delle guerre civili. Così Augusto pensò al marito di sua figlia Giulia, Marcello e agli eventuali nipoti, ma Marcello morì e Giulia sposò Agrippa il quale divenne il successore designato. Dopo l’attribuzione dell’imperium proconsulare dato ad Augusto, gli venne dato anche l’imperium maius nel 27 a.C. che gli consentiva di controllare tutte le province, comprese quelle del Senato. Però questo potere non consentiva ad Augusto di agire sella vita politica di Roma quando non si trovava lì, così per ovviare a questo, gli venne dato un vitalizio (ovvero il potere di un tribuno della plebe) che veniva rinnovato ogni anno. POTERI DI AUGUSTO. Egli diveniva pretore della plebe di Roma, poteva convocare i comizi, poteva porre il veto agli altri tribuni e godere della sacrosancitas (era sacro e inviolabile). In questo modo deteneva dei poteri che presi singolarmente erano compatibili con la tradizione repubblicana ma presi in contemporanea erano incompatibili con essa. Per quanto riguarda le ELEZIONI, queste venivano controllate da Augusto attraverso 2 procedure:  La nominatio: accettazione della candidatura del magistrato che sovraintendeva all’elezione  La commendatio: la raccomandazione di qualcuno da parte dell’imperatore stesso. Nel 22 a.C. in seguito a una carestia Augusto rinuncia alla dittatura offertagli dal popolo e assunse la cura annonae ovvero l’incarico di provvedere all’approvvigionamento del popolo di Roma. Nel 19 e nel 18 a.C. esercitò anche dei poteri del consolato tra cui il diritto di usare le insegne dei consoli: la sella curulis e i 12 littori che portavano i fasci. Anche Agrippa nel 23 a.C. aveva ricevuto un imperium proconsolare con durata di 5 anni grazie al quale si recò in Oriente mentre Augusto era a Roma. Tra il 22 e il 19 a.C. Augusto si recò verso l’Oriente per recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio e le ottenne con una trattativa diplomatica. Nel 18 a.C. scadevano gli imperium proconsolare di Augusto e di Agrippa e vennero rinnovati entrambi per altri 5 anni. Agrippa allo stesso tempo ottenne anche la tribunicia potestas così da rendere la sua posizione sempre più vicina al princeps. Egli aveva già avuta da Giulia 2 figli, Lucio Cesare e Caio. Augusto, li adottò entrambi facendo i suoi successori. Da questo momento non ci furono più variazioni nei poteri di Augusto tranne per il fatto che nel 12 a.C. dopo la morte di Lepido, gli fu conferita la sua carica di pontefice massimo che lo poneva alla guida della vita religiosa di Roma. L’ultima espressione di riconoscimento della sua posizione ce l’abbiamo con la nomina di pater patriae (padre della patria) che gli viene attribuita del Senato, dal popolo e dai cavalieri nel 2 a.C. . Il Senato, negli ultimi anni della Repubblica, aveva visto una profonda trasformazione nella sua composizione tradizionale (da 600 si era arrivato a 1000 componenti). Augusto, agì su questa situazione con provvedimenti che miravano a ripristinare la dignità e il prestigio dell’assemblea senatoria favorendo l’accesso all’élite provinciali più romanizzate per esempio della Gallia o della Spagna. Le misure prese da Augusto, furono adottate in due occasioni:  nel 28 a.C. nella sua veste di console si fece conferire la potestà censoria e procedette alla lectio senatus ovvero alla revisione delle liste dei senatori, espellendo dall’assemblea persone indegne ( persone il cui censo e le sue origini non corrispondevano a quelle degli standard richiesti)  nel 18 a.C. sempre grazie alla potestà censoria, condusse una radicale revisione, riportando il numero dei senatori a 600 previsti da Silla. Inoltre rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria. Durante la Repubblica, chi possedeva un censo di 400.000 sterzi ed era un cittadino libero, e non esercitava professioni disonorevoli, poteva far parte del ceto equestre. Quindi anche i figli dei senatori finché non accedevano alla questura, erano semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo perché avevano intrapreso la vita politica che gli assicurava l’ingresso in Senato. Potevano mostrare questo status portando il laticlavio (una larga striscia color porpora sulla toga). Nell’ultima fase della Repubblica anche i figli dei cavalieri e dei senatori lo portavano anche senza essere membri del Senato. Augusto proibì l’uso di questo ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli dei senatori che rimanendo pur cavalieri, potevano segnalare la distinzione sociale. Infine innalzò il censo minimo per entrare in Senato a un milioni di sesterzi. In alcuni casi, Augusto poteva concedere il diritto di entrare in senato a chi non apparteneva ad una famiglia senatoria. Naturalmente era necessario aver rivestito una magistratura che Augusto si riservava di trovare per la persona in questione. In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo equester e ordo senatorius. Anche per quanto riguarda l’ordo equester, Augusto poteva riservarsi il privilegio di favorire l’inserimento di qualcuno. Da queste due classi, veniva reclutata la classe dirigente dello stato romano, gli amministratori militari e civili e i più importanti ufficiali dell’esercito. LE INNOVAZIONI DI AUGUSTO. Augusto agì in ambito monumentale e nell’ambito dei servizi. Quando divenne pontefice massimo, una parte della sua residenza divenne un edificio pubblico dove fece costruire il focolare di Vesta, di cui sua moglie divenne sacerdotessa. Sempre accanto alla sua casa, fece costruire un tempio di Apollo, il quale era la sua divinità tutelare. Egli concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel Foro Romano dove completò i programmi di Cesare. Nel vecchio foro fece costruire un tempio per Cesare dove mise i rostri delle nave della battaglia di Azio e accanto un arco partico su cui erano raffigurate le insegne di Crasso e Antonio. Fece costruire un nuovo foro, il forum Augusti, dove mise al centro un tempio di Marte Ultore. Trasformò l’aspetto del Campo Marzio facendovi costruire il Pantheon e il suo mausoleo che era un complesso architettonico che occupava una grande parte del Campo Marzio. Durante il suo principato Augusto realizzò molte opere pubbliche e ne ristrutturò altre tante. Nel 22 a.C. quando la carestia colpì Roma, Augusto assunse la cura annonae, e fronteggiò l’emergenza con i suoi fondi finanziari; dopo l’8 a.C. in seguito ad un’altra crisi, Augusto istituì un servizio stabile che provvedeva al rifornimento granario dalle province, con a capo un prefetto di ordine equestre: il praefectus annonae. Alla morte di Agrippa, che fino ad allora si era occupato delle opere pubbliche in quanto edile, il mantenimento degli uffici pubblici passò ai senatori. Augusto creò anche un servizio di vigili del fuoco organizzati in 7 coorti di 500- 1000 uomini ciascuna e ognuna di questo doveva proteggere 2 dei 14 quartieri in cui aveva diviso Roma. Divise, inoltre, l’Italia in 11 regioni per il censimento di proprietà e persone. Organizzò un sistema di strade e di un servizio di comunicazioni, soprattutto a scopo militare, affidato alla responsabilità dei magistrati e organizzati da un praefectus vehiculorum equestre. L’amministrazione delle province era suddivisa tra i poteri del Senato e del popolo e quello del princeps. Quest’ ultimo amministrava le province non pacificate ed infatti Furono attribuiti a Tiberio la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare. Successivamente gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, in modo che alla sua morte esistesse una personalità con pari poteri in campo civile e militare. Augusto muore nel 14 d.C. (viene divinizzato) e, fino al 68 d.C., saranno al potere i Giulio-Claudi (da Giulio Cesare e da Tiberio Claudio Nerone, padre di Tiberio). La successione di Tiberio mostra come non si poteva più ritornare alla Repubblica. Tiberio (14-37 d.C.) Fa eliminare Agrippa Postumo suo possibile rivale e, negli stessi anni, muore anche Giulia (Maggiore). Ricevette un cattivo trattamento da parte delle fonti antiche, ma venne riabilitato dalle moderne. Gli antichi, infatti, non parlano del suo volere di collaborare col Senato, a cui affida vari compiti, del suo rispetto verso le forme repubblicane e del fatto che accettava anche le posizioni contrarie alle sue. Il suo governo fu, infatti, un positiva prosecuzione di quello augusteo. Dal punto di vista militare non procede con nuove conquiste, rafforza le frontiere e in Oriente segue una politica diplomatica. Porta a compimento la modifica del sistema elettorale: le votazioni dai comizi popolari passano al Senato. Nonostante questo nel Senato c’era una parte a lui ostile, che rivendicava la propria autonomia decisionale. Germanico (sposato con Agrippina Maggiore) in Germania reprime la rivolta delle legioni e riporta grandi vittorie contro i Germani. Tiberio, per questo, gli concede anche un trionfo. Successivamente gli affida un imperium maius sull’Oriente per trattare coi Parti la questione dell’Armenia: il sovrano sarà partico, ma scelto dai Romani e la Cappadocia diventa provincia romana. Germanico però ha dei contrasti col governatore di Siria, Pisone (amico di Tiberio) e fa un viaggio in Egitto, senza il permesso dell’imperatore. Tornato in Siria sta male e accusa Pisone di averlo avvelenato, morirà dopo pochi giorni (19 d.C.). Venne fatto un processo contro Pisone che si suicidò; tra gli antichi ci furono molti sospetti del coinvolgimento di Tiberio. Con la morte di Germanico si aprì un contrasto politico tra Tiberio e Agrippina: il successore più accreditato era Druso Minore, ma c’erano anche i tre figli di Germanico e Agrippina. Seiano, il prefetto del pretorio, ne approfitta per accrescere il suo potere, intromettendosi nella questore. Nel 23 però Druso Minore muore. Quando Tiberio si ritira a Capri (27 d.C.) Seiano diventa il suo principale informatore di ciò che accade a Roma, accrescendo così il suo potere. Qualche anno dopo vengono arrestati Agrippina e i suoi due figli maggiori. Seiano chiese di potersi sposare con la vedova di Druso Minore. Antonia, cognata di Tiberio, riuscì a risvegliare in Tiberio i sospetti su Seiano (aveva avvelenato Druso Minore) che venne processato e giustiziato; nei suoi confronti venne fatta la damnatio memoriae: provvedimento votato dal Senato con cui una persona veniva condannata all’oblio (distrutte le statue e cancellato ovunque il suo nome) Nell’ultimo periodo di governo scoppiò una grave crisi finanziaria e fu un periodo di terrore, segnato da suicidi, processi e condanne per lesa maestà. Alla successione restavano due possibili eredi: -il figlio di Druso, Tiberio Gemello; -il terzo figlio di Agrippina, Caligola. Tiberio nominò entrambi eredi congiunti, ma alla sua morte (27 d.C.), probabilmente grazie all’intervento del prefetto del pretorio Sutorio Macrone, il senato riconobbe come unico erede il maggiorenne Caligola, il quale conferì a Tiberio Gemello il titolo di principe dei giovani. Caligola (37-41 d.C.) Con Gaio Cesare, detto Caligola, si inizia a vedere una successione che si basava solo sulla linea familiare, infatti non aveva ricevuto né imperium proconsolare né potestà tributizia. Fu accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, probabilmente anche grazie al ricordo del padre. Pochi mesi dopo però si ammala, arrivando sul punto di morte, ma si salva. Caligola, però, viene a sapere che Macrone nel mentre si era avvicinato a Tiberio Gemello e li fa uccidere. Fece una politica che puntava ad attirarsi la popolazione, attraverso donativi, grandi spettacoli e ambiziosi piani edilizi; si comportò come un sovrano ellenistico ed ebbe rapporti incestuosi con le sorelle. Le spese furono enormi, che aggrevarono la crisi finanziaria e lo portarono a rompere con il Senato. Nell’impero scoppiano delle crisi: -Mauretania: fece uccider il re, nipote di Antonio e Cleopatra; -Giudea: voleva porre una sua statua nel tempio di Gerusalemme. In Oriente ripristinò il sistema degli stati cuscinetto, affidandoli a sovrani suoi amici. Nel 41 d.C. cadde vittima di una congiura in cui avevano partecipato senatori, cavalieri, pretoriani, liberti imperiali. Claudio (41-54 d.C.) Alla morte di Caligola non ci sono idee chiare in Senato riguardo il suo successore, viene riconosciuto come nuovo imperatore dai pretoriani Claudio, fratello di Germanico. Augusto si era accorto della sua intelligenza, ma era stato escluso per problemi fisici. L’unico che gli aveva dato un po’ di spazio nella vita politica era stato Caligola, che l’aveva nominato console, ma probabilmente per denigrarlo. Egli fu il primo princeps completamente estraneo alla casa Giulia e salì al trono a 50 anni circa. Neanche lui ebbe il favore delle fonti antiche.  Riforma amministrativa: si era reso conto che era necessaria una struttura burocratica per reggere l’impero, venne per questo creata la cancelleria, formata da quattro grandi uffici (generale, finanze, suppliche, processi da tenersi davanti all’imperatore) con a capo dei liberti imperiali.  Opere pubbliche: costruì un nuovo porto ad Ostia (per favorire gli approvvigionamenti di grano, probabilmente togliendo il compito al Senato e dandolo al prefetto dell’annona); costruì due nuovi acquedotti; bonificò la conca del Fucino per renderla coltivabile.  Politica d’integrazione (riprende Cesare): concede ai notabili della Gallia Comata il diritto di accesso al senato; fonda colonie e municipi; attraverso i diplomi militari dà la cittadinanza ai soldati ausiliari in congedo; fece un censimento, nel 48 d.C. (6 milioni di cittadini).  Politica estera: Claudio dovette risolvere i problemi lasciati da Caligola, ponendo fine alla guerra in Mauretania, organizzandola in due province e modificando l’assetto dei regni clienti orientali istituiti dal suo predecessore. L’impresa militare più rilevante fu la conquista della Britannia meridionale (43 d.C.), che divenne provincia. Il regno di Claudio fu caratterizzato dagli intrighi di corte: sposò in terze nozze Messalina, dalla quale ebbe un figlio, Britannico (e una figlia Ottavia); ma accusata di intrigare contro il marito, Messalina fu condannata a morte. Claudio sposò allora la nipote Agrippina (minore), che riuscì a fargli adottare il figlio avuto da un precedente matrimonio, Nerone. Claudio morì avvelenato da Agrippina. Nerone (54-68 d.C.) Nerone diventa imperatore, grazie all’appoggio della madre Agrippina, di Seneca (educatore nell’oratoria) e del prefetto del pretorio Afranio Burro (educatore in ambito militare). Inizialmente, sotto l’influenza dei suoi sostenitori il suo governo segue la linea augustea, anche se progressivamente si passa a un governo autocratico. Quasi subito, però, inizia una relazione con una liberta, Atte, nonostante l’opposizione della madre. Nel mentre Britannico viene ucciso (55 d.C.). I successivi 5 anni furono tranquilli (quinquennio felice): Nerone sposa Ottavia e inizia, con buoni risultati, la guerra contro i Parti. Nel 59, però, Nerone fa uccidere la madre: doveva morire in un naufragio, ma si salva, allora vengono mandati i soldati ad ucciderla. In Britannia scoppia una grave ribellione delle popolazioni locali, che dopo molte difficoltà viene sedata; fu seguita da una ribellione in Giudea. Nerone divorziò da Ottavia e sposò Poppea, e nello stesso anno muore Burro e Seneca si ritira a vita privata. Iniziò un periodo caratterizzato da processi di lesa maestà, volti ad eliminare l’opposizione e anche i parenti di Augusto, suoi potenziali rivali (come Rubellio Plauto). Nel 64 d.C. scoppiò un incendio a Roma, di cui Nerone incolpò i Cristiani. Le fonti però diedero la colpa all’imperatore, anche perché nei luoghi dell’incendio costruì la domus aurea. Nerone cercò di rimediare alla crisi finanziaria, riducendo il peso della moneta d’argento (la moneta principale). L’anno seguente fu scoperta una congiura, detta dei Pisoni (Pisone doveva essere il futuro imperatore), alla quale seguirono una serie di eliminazioni, tra cui Seneca e Fenio Rufo (prefetto del pretorio). I Romani ebbero la meglio sui Parti, riuscendo a riportare l’Armenia sotto la propria influenza, nominando il nuovo re, che fu incoronato a Roma. Nerone partì per la ruolo di rettifica della scelta dei soldati. Capitolo 3: i Flavi (69-96 d.C.) Si contraddistinsero tutti per un rigido impegno nell’amministrazione imperiale. La stabilità venne garantita dal fatto che Vespasiano avesse due figli maschi. Vespasiano (69-79 d.C.) Insieme al fratello, era stato il primo della sua famiglia ad entrare in senato. Si occupò innanzitutto di riportare la pace nell’impero, evitando punizioni troppo dure nei confronti dei vinti. Per rafforzare e affermare il suo potere venne fatta una propaganda “religiosa” e, per affermare l’autorità del princeps, venne proclamato un decreto, la lex de impero Vespasiani, dove vengono elencati i suoi poteri. Nel 70 d.C. dovette affrontare una rivolta in Gallia (anche alcune popolazioni germaniche avevano partecipato) e, nello stesso anno, venne presa Gerusalemme e distrutto il tempio; le ultime forze della ribellione giudaica vennero sconfitte a Masda tre anni dopo. Nel 71 Vespasiano associò a sé il figlio Tito, dandogli il titolo di Cesare prima volta ad essere usato per designare il successore l’imperatore ha sia il titolo di Cesare che di Augusto Domiziano fu tenuto in disparte, anche se aveva avuto un ruolo importante negli scontri a Roma. - Politica: può essere definita dei flavi poiché venne ripresa dai figli. Le casse dell’impero erano vuote a causa della politica di Nerone e delle guerre civili; Vespasiano riuscì a far fronte al problema in pochi anni grazie a una raccolta delle imposte molto attenta, alla creazione di nuove tasse, all’accatastamento, alla vendita di terre libere/incolte. Potè anche iniziare una politica urbanistica: strade, ponti, Colosseo, tempio di Giove Capitolino, Foro della Pace. Fece una politica di protezione della cultura, purché non ostile al regime. Estese ai cavalieri la responsabilità di alcuni uffici della burocrazia, togliendoli ai liberti imperiali, e inizia ad usare la pratica dell’adlectio: inserire in senato cavalieri scelti, trasformandoli in senatori, dandogli direttamente incarichi di alto livello, principalmente militari; questo perché c’era bisogno di abili generali. Riprese l’integrazione dei provinciali - concessione della cittadinanza e dei diritti latini; - aumento dei senatori dalle province occidentali; -aumento dei provinciali arruolati nelle legioni. Politica militare: in Oriente abbandonò la politica degli stati clienti, facendoli diventare province; fece delle spedizioni in Germania, per rafforzare le difese, e in Britannia, ad opera di Agricola, per estendere i territori. Iniziò la costruzione del limes: apparato difensivo creato da barriere naturali e artificiali, forti, strade, sistemi di comunicazione visivi. Abbiamo notizia di un solo episodio di opposizione in senato, da parte di alcuni senatori cinici e stoici. Con i flavi inizia la sacralizzazione della famiglia imperiale (uso del termine domus divina,e titolo di Augusta alla figlia di Vespasiano e di Tito), e cresce il culto imperiale, che inizia a venire organizzato con sacerdozi particolari. Tito (79-81 d.C.) La successione avvenne senza problemi, grazie alla linea tracciata dal padre. Fu un principe perfetto, nonostante la sua fama giovanile di dissolutezza e crudeltà. Durante il suo principato ci furono gravi disgrazie: -eruzione del Vesuvio nel 79 (in cui morì Plinio il Vecchio) -incendio di Roma nell’80 In entrambe le occasioni Tito si distinse per la generosità con cui intervenne. Alla sua morte fu definito delizia del genere umano. Domiziano (81-96 d.C.) La tradizione storiografica gli fu ostile: riprende il governo del padre, ma in modo più autocratico. Cerca di accaparrarsi tutti gli anni il consolato e nell’85 si fece nominare censore perpetuo (sceglieva la composizione del senato). Fece una forte politica moralizzatrice, soprattutto in opposizione degli eccessi dell’epoca neroniana e enne per questo definito princeps pudicus. Diede una forte ripresa al culto imperiale e fece costruire un palazzo sul Palatino, portando al massimo splendore la costruzione precedente (Augusto e Tiberio). Cercò di reprimere gli abusi dei governatori provinciali e, nell’amministrazione centrale, sostituì i liberti coi cavalieri. Nell’83 fece una guerra contro i Catti in Germania, che fu divisa in due province: inferiore e superiore. Era un territorio molto importante dal punto di vista strategico, poiché permetteva di accorciare la linea difensiva. Domiziano si occupò, in seguito, di riorganizzare il limes: nel confine più esterno mise delle torri di guardia con accampamenti che collegavano gli accampamenti auxiliarii, alle spalle si trovavano vari castra, gli accampamenti fortificati dei legionari. Vengono fatte delle campagne militari anche in Britannia, sotto il comando di Agricola, che però venne richiamato a Roma e le conquiste più settentrionali non vennero mantenute. Nell’85 ci fu un altro problema da risolvere: in Dacia (odierna Romania) il re Decebalo aveva riunito varie tribù e iniziò a fare incursioni nel territorio romano. Una prima campagna non ebbe successo; la seconda, guidata da Domiziano in persona si concluse con una frettolosa pace (Decebalo accettava di dipendere da Roma mantenendo il suo stato, e restava una minaccia) a causa della rivolta del governatore della Germania, L. Antonio Saturnino, proclamato imperatore dalle sue legioni. La rivolta venne sedata, ma Domiziano iniziò a sentirsi continuamente minacciato, inaugurando un periodo di persecuzioni ed eliminazioni di persone sospette: -senatori -Giudei e Cristiani -membri della stessa famiglia imperiale Nel 96 Domiziano cadde vittima di una congiura, alla quale aveva partecipato anche la moglie; il senato proclamò contro di lui la damnatio memoriae. Cristianesimo Cristo nacque sotto il principato di Augusto, intorno al 6/5 a.C. e morì durante il principato di Tiberio nel 30 d.C. Il Cristianesimo iniziò a formarsi come religione strutturata nel corso del I e del II secolo. Inizialmente era un movimento all’interno dell’Giudaismo: era il gruppo dei giudaico-cristiani, che seguivano Giacomo. C’era poi un altro gruppo, che seguiva Paolo di Tarso, che voleva diffondere gli insegnamenti anche ai non ebrei. La prima diffusione avviene tra le comunità ebraiche in Palestina e nelle grandi città dell’impero. Le prime comunità cristiane hanno organizzazioni molto diverse, ma dal II secolo prevalse la struttura di comunità guidata da un episcopus. Inizialmente quindi i romani non distinguevano giudei e cristiani. Sotto Augusto le comunità ebraiche potevano mantenere le loro tradizioni e il proprio culto, ma questo fece in modo che non venissero assimilate al resto della cittadinanza. La prima testimonianza di seguaci di Gesù l’abbiamo sotto Claudio, quando vennero espulsi gli Ebrei da Roma con l’accusa di aver creato disordini, fomentati da un certo Chrestus. Con Nerone, invece, c’è una prima distinzione tre ebrei e cristiani: questi ultimi vennero accusati del grande incendio di Roma. I cristiani erano anche mal visti dalla popolazione, credendoli dediti a pratiche mostruose e riprovevoli. Vespasiano e Tito, una volta sedata la rivolta giudaica, non imposero loro limiti nel culto. Con Domiziano si può parlare di persecuzione, forse anche per cercare di riacquistare il favore della parte più tradizionalista del senato. Non sappiamo, però, se vi fosse fondamento giuridico alle persecuzioni. Sotto Traiano, Plinio il Giovane, che era governatore in Bitinia, chiese all’imperatore come doveva comportarsi nei confronti dei cristiani: non dovevano essere ricercati, ma puniti solo se, espressamente denunciati, non sacrificavano agli dei; inoltre le denunce anonime non dovevano essere prese in considerazione. si suicidò. La parte meridionale della Dacia divenne provincia romana, e la popolazione dovette lasciare i territori a favore di coloni provenienti da tutto l’Impero. Il resto del territorio rimase a tribù sparse. Grazie a questa conquista la crisi fu parzialmente tamponata. La guerra portò innovazioni militari: -carrobalista -create nuove legioni e unità ausiliarie -vexillationes: usare solo una parte della legione Tra i generali che spiccarono ci fu anche il lontano nipote di Traiano, Adriano. Contemporaneamente alla fine delle campagne daciche, venne conquistata l’Arabia Petraea, in cui sorgevano importanti città carovaniere, che diventò provincia. Il bottino permise di realizzare opere di rappresentanza, ma anche urbanistiche: porto di Fiumicino, collegato al Tevere, strade, Foro di Traiano (tutte furono realizzate da Apollodoro di Damasco, architetto personale di Traiano). Con Traiano si ebbe la piena attuazione del programma degli alimenta ideato da Nerva. Nel 114 organizzò una grande campagna contro i Parti, probabilmente per: -gloria personale, imitando Alessandro il Grande -rendere più protetta la Siria -controllare le vie del commercio con l’estremo Oriente Il casus belli fu l’Armenia: i Parti avevano messo sul trono un loro re senza rispettare l’accordo coi Romani. Traiano invade ed annette l’Armenia e successivamente invade la Mesopotamia, conquistando anche la capitale partica, Ctesifonte. Scoppia però, una rivolta in Mesopotamia degli Ebrei, e Traiano decide di abbandonare queste nuove conquiste. Sulla via del ritorno a Roma, Traiano si ammalò e morì in Cilicia. Adriano (117-138 d.C.) Alla morte di Traiano assistono solo due persona, la moglie e il prefetto del pretorio, che dicono che in punto di morte l’imperatore ha adottato, e quindi scelto come suo successore, Adriano (ci furono dubbi sia tra gli antichi che tra i moderni). Venne proclamato dalle truppe imperatore, e poi venne riconosciuto dal senato. Era discendente di italici emigrati in Spagna, nipote di Traiano; aveva percorso la carriera senatoriale a Roma e aveva partecipato alla guerra dacica, quella partica (con l’incarico di governatore della Siria) e fu mandato a fronteggiare la grande rivolta degli Ebrei. Sin da subito Adriano decise di affidare le province orientali (Mesopotamia e Armenia) a regni clienti, preferendo alla politica espansionistica quella di consolidamento interno. Questo suscitò malumori negli uomini che erano stati vicini a Traiano e alla sua politica: nel 118 quattro consoli furono messi a morte. Perfezionò il concetto di limes: in Britannia costruì il vallo di Adriano, una zona ipersorvegliata, che consste in un grande fossato, un muro, fortini e torri di avvistamento, dietro unità ausiliarie e legioni, poi un altro fossato con due argini di terra. Un limes viene organizzato anche in Nord Africa, ed è costituito da un sistema di strade, trincee, valli, accampamenti militari. Nonostante questa politica di difesa, per Adriano l’esercito doveva essere sempre pronto per la guerra: -rinvigorì la disciplina militare -favorì il reclutamento dei provinciali -creò due nuove unità, i numeri (fanteria) e i cunei (cavalleria) che usavano gli armamenti e i loro sistemi di combattimento tradizionali Cercò di alleviare il malessere economico cancellando i debiti contratti a Roma e in Italia con la cassa imperiale, facendo distribuzioni al popolo, proseguendo il programma degli alimenta. Favorì le arti, con una predilezione verso quelle elleniche e fu un grande costruttore: villa a Tivoli, tempio di Venere e Roma, un nuovo mausoleo. Passò gran parte del suo regno viaggiando attraverso le province, che servivano anche per controllare lo stato delle truppe e delle difese, il lavoro dei governatori e le varie problematiche. Dopo il suo viaggio in Palestina ci fu una gravissima rivolta, a causa dell’intenzione di Adriano di assimilare gli Ebrei alle altre popolazioni e di voler costruire un tempio di Giove sulle rovine del Tempio di Gerusalemme. La repressione fu violenta e spietata. Riorganizzò il gruppo dei suoi consiglieri, facendo diventare il consilium principis un’istituzione, che venne usato soprattutto per l’amministrazione della giustizia. Venne riorganizzata anche la carriera dell’ordine equestre, il cui impiego divenne sempre maggiore, soprattutto nell’amministrazione del patrimonio imperiale. Promulgò l’editto perpetuo, un testo che conteneva tutti gli editti emanati dai pretori. Per la successione adottò Lucio Elio Cesare, che, però, morì prematuramente. Decise, quindi, di adottare Arrio Antonino (Pio), il quale adottò Lucio Vero (figlio di L. Elio Cesare) e Marco Aurelio (nipote della moglie). Antonino Pio (138-161 d.C.) Continuò sulla scia di governo di Adriano, ma a differenza di lui rinunciò ai viaggi. Questo fa parte anche della sua politica attenta alle spese. Il periodo in cui governò fu sostanzialmente privo di grandi avvenimenti. Ebbe buoni rapporti con il senato e venne detto Pio poiché riuscì a convincere il senato a divinizzare Adriano. Continuò e rafforzò la politica di humanitas verso i più deboli, rafforzando (in nome della moglie morta) il sistema degli alimenta, con maggiori attenzioni alle donne. Fece poche operazioni militari, costruendo nella Scozia meridionale il Vallo di Antonino, formato da trincee e argini di terra. Alla sua morte venne divinizzato. Marco Aurelio (161-180 d.C. con Lucio Vero sino al 169) Marco Aurelio (l’imperatore-filosofo) succedette ad Antonino, com’era previsto, ciò che non sembra essere stato previsto fu che insieme a lui diventasse imperatore il “fratello” Lucio Vero. Questo fu il primo caso di “doppio principato”, in cui i due imperatori erano in condizione di perfetta uguaglianza. Nel 161 inizia una nuova guerra partica (161-166), a causa dell’attacco, da parte dei Parti, all’Armenia e alla Siria. Lucio Vero riesce a riconquistare l’Armenia e invade la Partia, che chiede la pace. Viene creata la provincia di Macedonia e alcuni stati rimangono clienti. Ma l’esercito, al ritorno dall’Oriente, portò una pestilenza che si diffuse in tutto l’Impero, causando problemi sia all’economia che al reclutamento dell’esercito. Approfittando di questo i Germani (Marcomanni e Quadi) attaccarono i territori romani, probabilmente a causa di: -movimenti di popolazioni che spingevano quelle più vicine al confine -idea di conquistare ricchezze Nel 169 Lucio Vero muore e l’anno seguente i barbari arrivano a minacciare l’Italia. Marco Aurelio capisce che i senatori non hanno abbastanza esperienza per comandare, quindi si rivolge ai cavalieri che porta al rango di senatori. I barbari sconfitti iniziano a venir installati nei territori dell’Impero, principalmente per coltivare terre e per fornire soldati. La grandezza della frontiera non permette di resistere ad attacchi simultanei e il fatto che le legioni sono tutte schierate ai confini non permette, in caso di invasione, una buona difesa. Quando la guerra volgeva per il meglio per i Romani (viene firmata una pace), il generale Avidio Cassio si ribella (175), probabilmente perché gli era arrivata voce della morte di Marco Aurelio e la moglie gli aveva chiesto di prendere le redini dell’Impero. Ma, quando arriva la notizia che l’imperatore non è morto, Cassio viene ucciso dalle sue truppe. Politica interna: crea gli iuridici in Italia, quattro persone che amministrano la giustizia civile in Italia (divisa in 4 parti); aumenta i poteri del prefetto del pretorio; crea l’anagrafe, per controllare l’appropriazione della cittadinanza romana. Fu ostile verso i Cristiani, considerandoli dei fanatici e non capiva la loro ostinazione; nel 177 a Lione ci fu una cruenta persecuzione contro di loro. Commodo (180-192 d.C.) Divenne imperatore a soli 19 anni, e fu l’antitesi del padre, per le inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza ed era convinto di essere la reincarnazione di Ercole. Il suo primo atto concludere la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio, rinunciando alle regioni a nord del fiume. Il padre gli aveva messo attorno varie persone fidate per aiutarlo, ma Commodo cercò sin da subito di liberarsene e, anche per questo, ruppe sin da subito i rapporti col senato. Durante il suo governo vi furono importanti fenomeni di integrazione della cultura provinciale, con l’accoglimento delle divinità straniere. Non si occupò mai di guidare il governo, demandando il compito inizialmente al prefetto del pretorio Tigidio Perenne (182-5); quando venne ucciso l’incarico passò ad un liberto, Cleandro, che ne approfittò per vendere i titoli delle magistrature. Vennero sospesi i sussidi alimentari e i donativi dei soldati. Commodo diede la colpa di questo a Cleandro, che venne sostituito con un altro cortigiano, Eclecto e dal prefetto del pretorio, Leto. Insieme ordinarono una congiura, che mise fine al regime nel 192. Alla sua morte la memoria fu condannata. Questo periodo fa emergere l’ottima organizzazione che aveva l’Impero, che riuscì a restare in piedi per 12 anni nonostante la mancanza di un vero capo. Le città incoraggia l’arruolamento dei figli dei soldati (autoriproduzione del gruppo. Applica anche una politica monetaria basata sulla svalutazione e l’inflazione, si ha un drastico snellimento dell’argento (meno 50%). 2. A Settimio Severo succedono i figli CARACALLA e GETA, elevato anche lui al rango di Augusto. Questa nuova diarchia ebbe breve durata perché Caracalla non esitò a far fuori il fratello. Caracalla nel 212 dispose la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero a eccezione dei così detti dediticii (barbari non ancora assimilati). Alla base della promulgazione della Constitutio Antoniana giocarono probabilmente anche ragioni di carattere fiscale: con tale provvedimento aumentava infatti il numero dei contribuenti. Caracalla conia l’antoniniano, una moneta che aveva il valore nominale di 2 denari pur avendo il valore di 1 denaro e mezzo. Anche caracalla non si ritirò dal disegno ambizioso di condurre una grande campagna in Oriente contro i Parti. Durante questa spedizione, nel 217, fu assassinato a Carre, in Siria. 3. Fu allora acclamato imperatore il prefetto del pretorio MACRINO. Era la prima volta che un appartenente all’ordine equestre veniva proclamato imperatore. L’opposizione del senato, e soprattutto la scontentezza dello stesso esercito, insoddisfatto della pace da lui stipulata con i Parti, fecero sì che il regno di Macrino durasse solo un anno. 4. C’è un altro aspetto che emerge durante la dinastia dei Severi, e cioè l’importanza del ruolo femminile come quello della moglie di Settimio Giulia Domna e soprattutto della sorella Giulia Mesa. Giulia Mesa fecce sì che l’esercito, ucciso Macrno, acclamasse nel 218 d.C. imperatore suo nipote noto come ELAGABALO. E’ ricordato soprattutto per il suo culto del dio Sole venerato a Emesa (in Siria). Egli si dedicò solo alla sua religione lasciando il potere alla madre e alla nonna. Giulia Mesa impose al nipote di associale al potere il cugino Bassiano. Nel 222 d.C. Elagabalo fu assassinato dai pretoriani. 5. Sempre i pretoriani proclamarono imperatore il cugino Bassiano, che gli succede con il nome di SEVERO ALESSANDRO. Anche qui il vero potere lo ha la madre Giulia Mammea. Durante il suo regno si verificò un evento destinato ad avere conseguenze. Nel 224 d.C., i Persiani scatenarono un’offensiva contro la Mesopotamia romana arrivando a minacciare anche la Siria. L’intervento di Severo in Oriente, anche se non risolutivo, riuscì a bloccare l’offensiva nemica. L’imperatore era appena rientrato a Roma che fu chiamato in Gallia, minacciata a sua volta da incursioni di popolazioni barbariche, fu assassinato a Magonza insieme alla madre nel corso di una congiura dei militari, lo accusavano di trattare coi barbari anziché combatterli. ETA’ ANARCHIA MILITARE (235-284/285 d.C.): 1. L’esercito proclamò imperatore un ufficiale di origine tracia MASSIMINO. Con il suo regno incomincia l’epoca di massima crisi. Massimino ottenne dei successi nelle sue campagne contro i barbari, in particolare contro gli Alamanni. La durezza del suo regime, che impose una fortissima pressione fiscale per far fronte alla grave situazione militare in cui si trovava l’Impero, spiega la ritrovata forza di coesione del senato che giunse a dichiararlo nemico di Stato. Venne mandato via e poco dopo morì. 2. Il senato elegge 20 consolari e due imperatori, PUBIENO e BALBINO, che vennero uccisi dai pretoriani. 3. Sempre i pretoriani proclamarono Augusto GIORDANO III, in precedenza nominato Cesare. Giordano III muore nel 244 durante una campagna militare in Persia. 4. Fu proclamato imperatore FILIPPO, detto l’ARABO per le sue origini, si affrettò a stipulare una pace con il re dei persiano Sapore. Nel 248 d.C. celebrò con grande enfasi il millenario di Roma. malgrado alcuni successi conseguiti nella difesa delle frontiere, anche il regno di Filippo terminò in modo cruento. 5. L’esercito acclamò al suo posto il senatore DECIO, che era stato inviato a combattere lungo in Danubio. Il breve regno del tradizionalista Decio è caratterizzato da un’evidente volontà di rafforzare l’osservanza dei culti tradizionali, tra cui quello ufficiale dell’imperatore, inteso come strumento di coesione interna. Questo significava per i cristiani una forte discriminazione, infatti Decio è responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani scatenata nel 250/251. Decio morì nei Balcani nel 251 d.C., combattendo contro i Goti. La sua morte avviene mentre l’Impero è minacciato su più fronti: sul confine gallico e su quello germanico premevano le popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la frontiera del basso Danubio era attaccata dai Goti mentre in Oriente i Persiani, guidati da Sapore, si stavano impadronendo della Siria. 6. VALERIANO, un anziano senatore, arrivò al trono imperiale. Data la gravità e l’incertezza della situazione, Valeriano ebbe accortezza di associare immediatamente al potere il figlio Gallieno e di decentrare il governo dell’Impero: infatti, egli affidò a Gallieno il compito di difendere le provincie occidentali. Valeriano riprende la persecuzione dei cristiani e muore San Crispino. La campagna contro i Persiani di Valeriano (imperatore d’Oriente), ormai padroni dell’Antiochia, finì tragicamente; dopo qualche giorno infatti egli fu sconfitto ad Edessa e fatto prigioniere del re Sapore. 7. GALLIENO, rimasto solo a reggere l’impero tra il 260 e il 268 d.C., riuscì a bloccare l’avanzata degli Alamanni e dei Goti, allo stesso tempo però perse la Dacia. Di fronte alle ribellioni degli usurpatori e alle tendenze delle provincie a governarsi da sole, Gallieno dovette tollerare che all’interno dell’impero di formassero due regni: quello delle Gallie (retto da Postumo ed esteso anche alla Spagna e alla Britannia) e quello di Palmira (comprendente la Siria, la Palestina, la Mesopotamia con a capo Odenato). Per porre rimedio alle continue ribellioni sottrasse il comando delle legioni ai senatori e lo affidò ai cavalieri. Notevole fu l’innovazione da lui introdotta nella concezione strategica di difesa dei confini: invece di dislocare tutte le truppe lungo la frontiera, privilegiò la concentrazione di alcuni contingenti all’interno del territorio imperiale con la funzione di unità mobili di difesa. Negli eserciti fanno sempre più parte soldati non romani, le fanterie rimangono importanti ma vengono superate dai cavalieri. Gallieno revoca gli editti contro i cristiani e questa fase sarà ricordata come la piccola pace della Chiesa. Nel 267 muore Odenato e la regina Zenobia, rimasta vedova, decide di fare una politica autonoma. Gallieno muore durante una congiura ordita dai suoi ufficiali nel 268 d.C., nello steso anno ci furono delle invasioni in Italia da parte degli Alamanni. ETA’ IMPERATORI ILLIRICI (268-285): 1. CLAUDIO II è il primo di una serie di imperatori detti illirici (perche originari di quella regione che si trova nei Balcani, hanno tutti una preparazione militare). Claudio conseguì due importanti successi, uno contro di Alamanni e uno contro i Goti (a Naissus nel 269). Claudio muore di peste nel 270 d.C. 2. La sua opera fu completata da AURELIANO, chiamato restituto horbis (restauratore dell’impero Romano). Riuscì a costruire un’imponente cintura muraria, con un perimetro di oltre 18 km e con uno spessore di 4 metri. Aureliano del 272 d.C. si impadronì in Siria della città di Palmira dopo aver sconfitto le forze condotte dall’energica Zenobia. La città fu poi punita con la distruzione per aver OCCIDENTE Augusto: Costanzo Cloro Cesare: Severo ORIENTE Augusto: Galerio Cesare: Massimino Daia. al loro posto subentrarono i due Cesari Costanzo Cloro per l’Occidente e Galerio per l’Oriente. Essi nominarono a loro volta due Cesari, Severo e Massimino Daia. Il sistema tetrarchico però entrò subito in crisi. Già nel 306 d.C., alla morte di Costanzo Cloro a York, l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino. Era la rivincita del principio dinastico su quello di una successione che privilegiasse considerazioni diverse dai legami di sangue. Galerio offre a Costantino il titolo di Cesare. Non a caso anche il figlio di Massimiano, Massenzio, rivendicò per se il potere imperiale, chiede a Massimiano se vuole lavorare con lui. Intanto prima Severo e poi Galerio cercarono di prendere il potere ma non riescono, Severo muore. Massimiano stringe un accordo con Costantino, entrando in contrasto con il figlio. Fu istituito un convengo carnuntum in cui parteciparono l'allora Augusto Galerio, Massimiano e Diocleziano, nel tentativo di risolvere la crisi in cui versava l'istituto della Tetrarchia. Licinio venne nominato Augusto e Costantino Cesare. Massimiano si ribella, lo catturano e si uccide, mentre Massimino si proclama Augusto. Diocleziano aveva promosso un’intensificazione del culto imperiale, facendosi chiamare Iovius (figlio di Giove). La violenta persecuzione contro i cristiani (303-304 d.C.) iniziò verso la fine del suo regno. In Occidente, e specialmente nelle regioni sottoposte al governo di Costanzo Cloro, essa cessò quasi subito. In Oriente , invece, essa fu cruenta e durò diversi anni con alterne vicende. La fine delle persecuzioni fu ordinata da Galerio, prossimo a morire, nel 311 d.C. Esse però proseguirono ancora nelle regioni sottoposte al governo di Massimino Daia e poterono dirsi definitivamente concluse solo con la vittoria conseguita su di lui da Licinio nel 313 d.C. DA COSTANTINO A TEODOSIO MAGNO: LA TARDA ANTICHITA’ E LA CRISTIANIZZAZIONE DELL’IMPERO Costantino condusse per alcuni anni una politica prudente, che conosce una risvolta nel 310 d.C., quando abbandona ogni legame con i presupposti ideologici della tetrarchia: a partire da questo momento egli mostra di propendere per una religione di tipo solare, monoteistico. Mentre Galerio moriva nel 311 d.C., dopo aver ordinato di cessare le persecuzioni contro i cristiani, COSTANTINO ebbe la meglio su Massenzio nel 321 d.C. nella battaglia del ponte Milvio. Questa vittoria fu ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che dichiarava di aver abbandonato in quella circostanza il paganesimo per il cristianesimo. La conversione di Costantino fu un evento di portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello stato con l’imperatore che si sente abilitato a intervenire nelle questioni dottrinali. All’inizio del 313 d.C. Licinio e Costantino si incontrarono a Milano dove si accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa. Importante è l’editto di Milano che da la libertà di professare qualsiasi religione. I contrasti tra Costantino e Licinio, che ormai avevano il controllo su tutto l’impero, incominciarono molto presto. Lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C., quando Costantino, con la vittoria di Adrianopoli, divenne il solo imperatore. Costantino convoca:  Il concilio di Arles del 314 a causa dello scisma donatista che durava in Africa da circa un decennio, in seguito al rifiuto di un folto gruppo d'intransigenti vescovi africani di riconoscere Ceciliano, vescovo di Cartagine, consacrato da Felice, un vescovo presunto "traditore" che nella persecuzione dioclezianea aveva destinato le Sacre Scritture al rogo. Vennero condannati i donatisti. Esso minacciò anche di scomunica tutti i soldati che volevano disertare dalle armate imperiali: il che tornava comodo a Costantino nella sua lotta contro Licinio.  Il concilio di Nicea del 325 d.C. che egli presiedette personalmente dopo che invano aveva supplicato i due contendenti, Alessandro e Ario, di trovare un accordo. Ario negava infatti la natura divina di Cristo, cosa che implicava un indebolimento della funzione della Chiesa. Con un'amplissima maggioranza si arrivò a una dichiarazione di fede , che ricevette il nome di Simbolo niceno o credo niceno. Si sceglie anche la data di Pasqua. Allo scopo di rendere più efficiente l’amministrazione provinciale, le diocesi, furono raggruppate in 4 grandi prefetture, delle Gallie, di Italia e Africa, dell’Illirico e dell’Oriente, rette ciascuna da un prefetto del pretorio. Le diocesi a loro volta riunivano al loro interno un numero più o meno grande di provincie. Il consilium principis diventa sacrum consistorium. Venne abolito anche l’ordine equestre assorbito dal senato. Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli ci fu la fondazione da parte di Costantino di Costantinopoli quale ‘Roma nuova’ nel 330 d.C. Roma di fatto non era più la sede ufficiale di residenza dell’Imperatore. E l’allestimento di una nuova capitale nel sito dell’antica Bisanzio, in una posizione strategicamente molto importante all’ingresso del mar Nero, era anche un riconoscimento all’importanza dell’oriente all’interno dell’Impero. Costantinopoli fu dotata nel corso degli anni di tutte le strutture che la dovevano equiparare a Roma. Ebbe anche un suo senato, all’inizio composto da soli 300 membri che divenne ben presto quasi 2.000. L’imperatore è presentato come “vescovo di quelli che sono fuori”, cioè dei laici. Tra le riforme attuate da Costantino, una delle più significative riguarda l’esercito. E’ a lui infatti che si deve la creazione di un consistente esercito mobile, detto comitatus perche ‘accompagnava’ l’imperatore. I comitatenses, ricevevano una paga più alta rispetto agli altri. Così i soldati direttamente in frontiera, i limitanei, finivano per essere soldati di secondo ordine, di scarsa esperienza e mal pagati. Il comando dell’esercito mobile fu affidato a due distinti generali, uno della cavalleria e uno della fanteria. L’esercito mancava di soldati. Per sopperire alle sue esigenze si ridusse l’altezza richiesta delle reclute, si incrementò la caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione militare e, infine, si concessero privilegi ai veterani per attirare dei volontari. I soldati finirono per essere reclutati sempre più dai barbari. La minaccia barbarica venne fronteggiata dallo Stato come poteva: da un lato, combattendo con tutte le risorse di un apparato militare, dall’altro mediante una politica di assorbimento dei quadri dell’organismo imperale, dalla quale ineluttabilmente derivò una disomogenea ‘barbarizzazione della società’. Fecce anche una riforma monetaria che puntava tutta sull’oro (solidus aureo), diventa moneta di alto valore a discapito delle classi meno abbienti. Ristruttura l’amministrazione centrale del palazzo creando una struttura burocratica capillare e gerarchica, tutti i funzionati sono nominati dall’imperatore. Separa le funzioni civili e le funzioni militari. Costantino solo in punto di morte ricevette il battesimo. A battezzare Costantino, nella residenza imperiale nei pressi di Nicomedia, fu il vescovo della città Eusebio, di sentimenti filoariani. La morte arrivò durante la festa di Pentecoste del 337 d.C. Assai significative appaiono le disposizioni date da Costantino per la sua sepoltura. Nella chiesa dedicata ai Santi Apostoli egli aveva fatto collocare 12 cenotafi, 6 da una parte e 6 dall’altra. Al centro c’era un sarcofago riservato per lui, l’imperatore ‘isoapostolo’. da Teodosio. L’inesperto Graziano, rimasto imperatore da solo con il piccolo Valentiniano II, chiamò un generale spagnolo, TEODOSIO, a sua volta figlio di un generale, a condividere con lui il governo dell’Impero. Il suo compito era quello di far fronte alla drammatica situazione che si era creata in Oriente. Teodosio, consapevole dell’impossibilità di ricacciare i Goti al di là del Danubio, concluse nel 382 d.C. un accordo con il capo Fritigerno. La particolarità risiede nel fatto che i Goti ricevevano delle terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma: essi erano detti infatti foederati (vincolati da un foedus, trattato) e mantenevano i loro capi e le loro leggi pur essendo tenuti a fornire dei soldati in caso di necessità. Nel 383 d.C. ci fu un’usurpazione in Britannia da parte di un ufficiale spagnolo, Magno Massimo. Quando questi invase la Gallia, Graziano, abbandonato dall’esercito, si tolse la vita. Massimino regnò per qualche anno sulla Gallia: la sua invasione dell’Italia, dove governava Giustina, per conto del figlio Valentiniano II, provocò la risposta di Teodosio che sconfisse Massimino nel 388 d.C. Il generale franco Arbogaste fece assassinare, nel 392 d.C., Valentiniano II che era stato affidato alla sua tutela. Arbogaste fece nominare imperatore Eugenio. Teodosio intervenne nuovamente di persona in Italia nel 394 d.C. e sconfisse Eugenio. Fondamentale è l’editto del 380 d.C. con il quale la religione cristiana veniva elevata al rango di religione ufficiale dell’Impero. Nel 381 d.C. Teodosio convocò un concilio ecumenico a Costantinopoli, che ribadì il credo niceno e promulgò una legislazione sempre più severa nel confronti sei seguaci del paganesimo. Un protagonista degli ultimi decenni del IV secolo è il vescovo di Milano, sant’Ambrogio. Figlio di un prefetto del pretorio fu acclamato vescovo nel 374 d.C. Quando l’imperatore punì un vescovo di località della Mesopotamia per aver incendiato una sinagoga ebraica egli lo costrinse a ritornare sulla decisione minacciando di sanzioni spirituali. Nel natale del 390 d.C. Ambrogio impose a Teodosio addirittura una penitenza pubblica per riammetterlo nella comunità cristiana: tale sanzione era dovuta alla strage che l’imperatore aveva ordinato a Tessalonica a seguito di una sommossa popolare. Nella tarda antichità ci troviamo davanti uno “Stato coercitivo”, con riferimento a una società in cui la divisione tra poche categorie privilegiate, honestiores, e la grande massa dei deboli, gli humiliates, è sempre più netta. Il trionfo del cristianesimo porta con sé novità fondamentali nella politica come nella società: il vescovo, l’uomo santo e la donna diventano i protagonisti di un mondo profondamente rinnovato. La villa schiavistica aveva ormai esaurito il suo ciclo come centro produttivo autonomo, la produzione tendeva a essere decentrata su varie unità minori, sulle quali predomina la conduzione indiretta, tramite grandi e piccoli affittuari. Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia determinarono la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei, rispetto a quelli dell’Europa settentrionale. Il tipo di Stato che alla fine ne emerge è caratterizzato da una maggiore pressione coercitiva sulla società, da un irrigidimento a tutti i livelli dell’articolazione sociale. Nelle campagne compare una nuova figura, almeno sul piano giuridico, di un coltivatore (colono), di stato libero ma di fatto vincolato alla sede in cui lavora, assimilabile quindi per molto aspetti a un schiavo. Conseguenze importanti per l’economia e per la gestione agraria ebbe anche l’istituzione di più capitali che corrispondevano alle aree strategicamente più importanti. Le accentuate esigenze fiscali producevano però distorsioni, oltre che nel regime economico, anche nelle relazioni sociali. Una circolazione limitata di beni fu garantita dall’emergere di nuove classi sociali, magistrati e funzionari statali, ecclesia astici e altri, che mantenevano un alto livello di potere d’acquisto. La frammentazione politica seguita dalle invasioni barbariche provocò nel V secolo d.C. la definitiva rottura delle relazioni commerciali all’interno del Mediterraneo, che determinarono un rapido abbassamento delle condizioni di vita e un netto declino demografico. L’imperatore tardo antico è tale per ‘grazia divina’. L’aspetto dell’imperatore era di primaria importanza. Costantino farà propria questa idea della funzione del sovrano. Fuori linea è invece il nipote Giuliano, simbolo di battaglia ideologica per le generazioni successive. La fine della dinastia costantiniana pone in tutta evidenza il problema della non coincidenza del destino dell’ impero con quello della Chiesa. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE Attorno alla metà del IV secolo d.C. i Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto, operano nei raggruppamenti fondamentali dei Greutungi e dei Tervingi, e per buona parte di questo secolo le relazioni tra Roma e Goti furono condizionate dal trattato di pace di Costantino del 332 d.C. (che faceva dei Goti Tervingi uno stato cliente dei romani). Il trattato del 332 d.C. contiene un importante elemento di novità perché poneva le condizioni per l'Impiego di barbari goti come soldati al servizio di Roma. L'accordo stipulato tra romani e goti, autorizzati a insediarsi all'interno delle frontiere imperiali in cambio di un impegno a fornire soldati in caso di necessità, rappresenta una novità rilevante nella politica romana perché non scaturiva da un successo militare. Il disastro di Adrianopoli nel 378 d.C., trova la morte lo stesso imperatore Valente, è una delle pagine più drammatiche della storia del tardo impero e le sue conseguenze sono decisive per la sopravvivenza dell'impero romano. Il trattato del 382 d.C., con cui si chiude questa fase critica, finì per consentire definitivamente l’insediamento dei Goti in Tracia, all'interno dunque delle frontiere dell'impero romano: come contropartita è probabile che, oltre al pagamento di tasse, sia da mettere in conto la prestazione del servizio militare. Oltre agli aspetti militari questa situazione aveva importanti risvolti sociali; e soprattutto in un settore e si nota la presenza sempre più massiccia di germani: nell'esercito. Il processo in virtù del quale, le tribù erano state insediate a vario titolo sul territorio imperiale romano, era iniziato con Marco Aurelio. Da questo momento in poi gli imperatori romani si appoggiano sempre più alle truppe germaniche e ai loro capi. L’influsso dei germani sulla politica interna romana si basa quasi esclusivamente sulla loro posizione guadagnata all'interno della gerarchia militare; nell'esercito la possibilità di carriera non era vincolante all'appartenenza a un ordine, ma si basano essenzialmente sulla capacità personali e sul favore imperiale. L'esclusione dei senatori dei comandi militari, inoltre, avrebbe come conseguenza il cambiamento della base sociale di reclutamento degli ufficiali. L'impiego di barbari come coloni su terre dell'impero risale fino all'età di Marco Aurelio è già negli anni successivi si sono attestate assegnazioni di terra in Italia e la presenza insediamenti barbarici. La caratteristica di questi accantonamenti, la cui finalità è ad un tempo agricola e militare, è di avvenire sulla base di gruppi etnici compatti. Solo eccezionalmente tuttavia veniva concessa queste categorie di barbari la cittadinanza romana. Almeno fino alla sconfitta Adrianopoli sembra chiara la volontà degli imperatori di perseguire due finalità egualmente vitali: reclutare barbari per la terra e per l’esercito, e mantenere reciproca estraneità tra barbari e romani. Un altro grave problema riguarda la durata e l'efficienza del divieto, stabilito da Valentiniano I, che prevedeva una grave sanzione per i trasgressori; ed è possibile che si sia trattato di un provvedimento di breve durata. La legge di valentiniano inoltre non sembrava avere conosciuto alcune applicazioni in Oriente; in Occidente il problema barbarico era sicuramente avvertito in termini assai diversi che in Oriente: mentre qui esso aveva forte applicazione di carattere religioso, in Occidente erano prevalenti i risvolti di carattere politico sociale ed etnici. Una considerazione particolare deve essere riservata alla risposta data dalla Chiesa alla questione barbarica così come risulta dai decreti conciliari. Le delibere conciliari non si occupano dei barbari in quanto tali, ma solo indirettamente. Un buon esempio è fornito da una lettera inviata da Ambrogio nel 385 d.C. al vescovo Virgilio, appena insediato sulla cattedra episcopale di Trento. Gran parte del programma pastorale contenuto nella lettera è dedicato alla disparità di culto tra i nubendi, forse in ragione della sede del vescovo, che nella sua regione avrà conosciuto il problema in modo accentuato. Ci sono anche altri indizi che suggeriscono la cresciuta rilevanza del problema barbarico proprio come problema di integrazione ai vari livelli sociali. Tra le leggi emanate dal figlio e successore di Teodosio in occidente, Onorio, tra la fine del IV e all'inizio del V secolo comminano gravi pene a chiunque, libero o schiavo, assuma modo di vestire e di acconciarsi proprio dei barbari. Il risultato più importante del trattato del 382 d.C. fu quello di far sì che i Goti venissero insediati da Teodosio. A prescindere dall’atto formale di sottomissione a Roma, i Goti dovettero continuare a mantenere, all'interno dell'Impero Romano, la loro struttura tribale: erano tenuti a pagare delle tasse, e a prestare servizio militare, che però doveva consistere nella partecipazione in unità compatte a campagne straordinarie come quella contro gli usurpatori Massimo e Eugenio. La morte di Teodosio nel 395 d.C. segnò un momento di svolta decisiva per la storia dell'impero romano. Per la prima volta è suddiviso territorialmente di fatto in due parti tra i due figli di Teodosio, Arcadio a cui toccò l'Oriente, e Onorio a cui toccò l'Occidente. Non c'erano solo due imperatori, ma si crearono anche due corti, due amministrazioni, due eserciti del tutto autonomi. A partire da questo momento l'ideologia unitaria fu nei fatti piegata agli interessi che, di volta in volta riguardavano ciascuna delle due parti. L'esito di tale smembramento, risulta particolarmente rovinoso per l'Occidente minacciato dalle sempre più frequenti e pericolose incursioni barbariche, mentre l'Oriente superata la crisi gotica del 378 d.C. doveva fronteggiare il tradizionale nemico persiano. Nelle intenzioni di Teodosio in realtà il principio unitario doveva essere mantenuto vivo dal generale di origine vandalica Stilicone (a cui affido la tutela dei due figli). Il suo compito però si rivelò impossibile da realizzare a causa del costante aggravarsi ESTERNE sa INVASIONI DEI GERMANI (BARBARI) alla fine del IV secolo ER verso occidente, seu 370 d.C. facendo andare sa = espansione | Germani /anotivi dello Unna | nell'impero romano spostamento dei barbori INTERNE "anarchia militar - conflitti interni tra i vari pretendenti al trono |- la crisi economica I BARBARI = difficottà | la scarsità di cibo li spinse economiche |- verso le pianure più fertili dei Germani dell'impero romano al servizio di Roma meta del V® sec., gli UNNI 406 d.c. costituiscono nelle pianure dell'Asia ori sono soltanto un ALANI, VANDALI e SUEBI ‘ L'Impero delle Steppe" ce arrivano fino in quicati da ma svoiperno” Gallia e Spagna ATTILA Grillanti carriere militeri entrarono nell'impero romano andando verso la Gallia esempio Loco dopo - 450 d.C., Ezio (generale romano) Aisigoni li sconfisse nei campi Catalaunici con un esercito sé atarico formato prevalentemente divenne comandante delle legioni occidentali. STILICONE: | da soldati barberi un anno dopo conquistarono Roma ndl406.dG a” ATTILA invase l'Italia, ma Papa Leone I a causa della riusci a farlo tornare indietro politica di amicizia coni barbari pochi anni dopo Roma perse — venne ucciso altri territori, fossa 455 c.C.: Roma venne 1 meccanismo era seripre uguale: x | saccheggiata dai VANDALI deposero l'imperatore i germani Romolo Augùstolo, si stabilivano in una regione dell'impero, al suo posto sall poi dichiaravano la lora indipendenza dando vita così ai regni romano-barbarici MAPPE per la SCUOLA varnemappe:scuola.com IREGNI ROMANO-BARBARICI il comandante Odeacre ) TS ED ECONOMICA LA POVERTA” SS L'INFI DEI CAMPI cESTE sE ff Sessonick DE: DEMOGRAFICA COMMERCI da té D'ORIENTE I D'OCCIDENTE La penisola italica era rimasta per un certo periodo di tempo sotto il controllo di Odoacre, così il re dei Goti Teodorico, scese in Italia nel 488 d.C. con il titolo ufficiale di patricius e la missione di eliminarlo. Nel 493 d.C. Odoacre fu sconfitto e ucciso. Iniziava così una sorta di regno ostrogoto dell’Italia comprendente alcune parte della Dalmazia. Gli OSTROGOTI (Goti orientali) erano distinti dai VISIGOTI (Goti occidentali) e i primi, sotto il profilo demografico rappresentavano una minoranza ma sotto il profilo sociale e politico avevano un grosso peso perché facevano parte della società ricca che aveva possedimenti. L’intento di Teodorico era quello di una collaborazione tra Goti e Romani questo perché provava ammirazione per il mondo romano. E’ proprio per questo motivo che scelse due collaboratori dall’aristocrazia romana (Cassidoro Simmaco e Severino Boezio). Nel complesso, il regno di Teodorico rappresentò un momento positivo per la penisola italiana, anche se alla lunga, questa collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile. Uno dei maggiori fattori fu la differenza di religioni: i romani erano cattolici mentre i Goti erano ariani. In un determinato periodo della collaborazione, ci furono condizioni che spingevano verso una rivolta antiariana di cattolici. Teodorico reagì facendo imprigionare il papa Giovanni I e condannando a morte gli stessi uomini che lui aveva scelto per la sua collaborazione (Simmaco e Boezio). Nel 526 d.C. Teodorico moriva lasciando il regno alla figlia Amalasunta. Così la conciliazione tra Goti e Romani risultò ormai impraticabile anche per le crescenti interferenze della corte di Costantinopoli che voleva un pretesto per intervenire in Italia. L’occasione, fu fornita dall’assassinio di Amalasunta nel 535 d.C. Nella storia delle invasioni barbariche nell’Occidente romano si distinguono 2 fasi fondamentali. La prima è riconducibile a popoli penetrati all’interno dell’Impero dopo lunghe peregrinazioni (Visigoti e Burgundi). Si tratta di piccoli gruppi che si stanziarono in zone limitate delle province occupate lasciando che la parte più consistente rimanesse in mano romana. I barbari si organizzarono secondo regole tradizionali proprie mentre i romani continuavano a tenere le loro regole giuridiche. Per indicare queste due componenti in convivenza, questi popoli vengono detti convenzionalmente romano-barbarici. La seconda ondata di invasioni era quella germanica. Fu opera di popoli già da tempo stanziati ai confini dell’impero romano che furono in grado di imporre la loro organizzazione alla popolazione romana. In questa seconda fase rientrano i regni dei Longobardi in Italia, quello dei Franchi in Galli e quello degli Angli e dei Sassoni in Britannia. Nel 406-407 d.C. per la prima volta si dava la possibilità ai barbari di insediarsi legittimamente all’interno dei confini dell’Impero e di esercitare una piena autorità sulle terre su cui si insediavano. La durata di questi regni non è identica. Il Regno dei Burgundi (costituito in Stato autonomo nel 443 d.C.) fu sottomesso definitivamente dai Franchi alleati con i Bizantini nel 534 d.C. Il regno Visigotico fu creato nel 418 d.C. e durò fino al 711 d.C. quando dovette soccombere di fronte all’espansionismo arabo. Il più importante regno barbarico fu quello dei Franchi. La figura decisiva era quella di Clodoveo, della dinastia di Merovingi che divenne re nel 481 d.C. . La sua conversione al cristianesimo di rito cattolico (fine del V secolo d.C.) fu fondamentale nel favorire l’integrazione dei Franchi con l’aristocrazia gallo-romana. Grazie alle PARTE SESTA Capitolo 3: Bisanzio Dal 395 possiamo dire che le vicende dell’Impero d’Oriente da quelle dell’Impero d’Occidente sono distinte, ossia dal momento in cui l’Impero viene diviso da Teodosio ai suoi due figli. Si può, inoltre, parlare di “storia bizantina” dalla fondazione della nuova capitale da parte di Costantino (330) alla sua presa da parte dei Turchi (1453) L’Oriente era toccato ad Arcadio, anche se il governo era effettivamente sotto altre persone. Nel 399 una rivolta dei Goti venne repressa dalla stessa popolazione di Costantinopoli. Alla morte di Arcadio (408) gli successe il figlio Teodosio II (fino al 450), un bambino di appena 8 anni, in vece del quale governò il prefetto del pretorio. In questo periodo l’Impero d’oriente dovette fronteggiare il pericolo barbarico, soprattutto degli Unni, dal quale riuscì ad uscire senza rilevanti perdite territoriali e con compattezza interna. In realtà c’era ancora una certa unità tra Impero d’Occidente e d’Oriente, e questo lo si può notare anche il codice Teodosiano (438), un codice di leggi imperiali, promulgato da Teodosio II, che erano valide sia per l’Oriente che per l’Occidente. Successivamente sul trono si succedettero persone di estrazione diversa. Con i regni di Leone (457-74) e Zenone (474-91) si aggravarono i problemi di natura finanziaria. C’erano inoltre, controversie religiose riguardo la natura di Cristo. Anastasio (491-518) realizzò un’importante opera di riforma delle strutture fiscali e riuscì a bloccare un’offensiva lanciata dai Persiani. Gli succedette Giustino e alla sua morte il nipote, precedentemente adottato, Giustiniano. Giustiniano (527-565 d.C.) Fu un importante riformatore ed ebbe un ambizioso progetto di riunificare l’Impero. Nel 528 costituì una commissione per predisporre una nuova raccolta di costituzioni imperiali (Codex Iustinianus), e successivamente un’altra commissione che scrisse il Digesto. Fu poi pubblicato un manuale coi fondamenti giuridici per gli studenti. Tutto questo andò a formare il Corpus Iuris Civilis. Di grande rilievo fu anche l’attività edilizia (chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli), e diede grande impulso al commercio e alle nuove attività economiche, tra cui la produzione della seta. Fece varie riforme amministrative, che cercavano di reprimere gli abusi in campo fiscale. Non godette del favore degli storici a lui contemporanei, che gli rimproveravano l’influenza della moglie Teodora. Per quanto riguarda le controversie dottrinali, erano due le posizioni che si opponevano principalmente: -ortodossia, secondo la quale la natura umana e quella divina coesistevano in Cristo; -credo monofista, che accentuava la natura divina, a cui aderiva anche Teodora. Giustiniano aveva interesse ad un’intesa col papato, ma allo stesso tempo doveva tener conto dei sostegni che godeva la seconda posizione in Oriente. Tuttavia non riuscì a portare a termine un’effettiva soluzione. Nel 533 il suo generale, Belisario, sconfisse l’ultimo sovrano vandalico, Gelimero, portando sotto il controllo bizantino il Nord Africa, la Sardegna e la Corsica. Più lunga e difficile fu la guerra per il dominio dell’Italia (535-53): i Goti opponevano una forte resistenza, favoriti anche dalla contemporanea minaccia persiana. Alla fine della guerra l’Italia divenne una prefettura dell’Impero d’Oriente, sotto l’autorità del prefetto del pretorio d’Italia. Venne emanato un provvedimento legislativo specifico (Prammatica sanzione), che ristabiliva la vita politica ed economica della penisola, di fatto estendendo il diritto giustinianeo. La restaurazione giustinianea fu interrotta tre anni dopo la morte di Giustiniano (568) dall’arrivo dei Longobardi. Costantinopoli Inaugurata da Costanti nel 330, già nel IV secolo contava 100.000 abitanti, sotto Teodosio II la sua superfice era più che raddoppiata e in età giustinianea la città contava mezzo milione di abitanti. Questo era dovuto anche alle distribuzioni gratuite di generi alimentari e un’intensa attività economica; esistevano delle corporazioni regolate dalla legge. Il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria e seguivano cerimoniali minuziosi: l’imperatore si mostrava al popolo nella Basilica di Santa Sofia o nell’ippodromo, e pochi privilegiati potevano vederlo di persona. Società bizantina Il suo formarsi ha inizio in seguito alla grave crisi del III secolo, verso la quale l’Oriente dimostrò maggiori capacità di reazione e di ripresa rispetto l’Occidente, e questo fu anche la causa del lento e progressivo distacco. La sua evoluzione fu complessa, ma esistono caratteri particolari e permanenti: -saldo e autonomo apparato burocratico, che sostituiva i magistrati; i funzionari avevano carriere e funzioni specifiche al servizio diretto dell’imperatore. La loro entrata in servizio avveniva tramite un rituale preciso, con il giuramento di fedeltà all’imperatore (dall’VIII secolo il giuramento veniva fatto anche dalle alte gerarchie ecclesiastiche e dal patriarca); -figura dell’imperatore, che inizialmente ha i connotati del capo scelto per volontà popolare (come da tradizione romana), per poi passare progressivamente all’idea che il potere fosse concesso dalla grazia di Dio; -simboli, come il palazzo imperiale, che era un complesso di edifici, o l’ippodromo, che ospitava le rappresentazioni solenni, le processioni e le manifestazioni sportive. Altro simbolo era il rosso porpora, simbolo del potere imperiale, poteva essere usato solo dall’imperatore e dai suoi stretti familiari; -taxis, è l’ordine cosmico voluto da Dio, che esige che ciascuno rimanga nella posizione che gli è stata assegnata; -mimesis, è l’imitazione del modello, per l’imperatore è Cristo, per gli altri la Madonna o i santi. Chiesa bizantina La Chiesa svolse un ruolo di grande rilievo: tra il IV e il VI secolo la funzione pubblica dei vescovi fu una caratteristica fondamentale della vita urbana. C’era una precisa gerarchia: -vescovi nelle città; era eletto dal clero e dagli uomini in vista della diocesi -metropoliti nei capoluoghi di provincia -arcivescovi nelle città importanti --patriarca nelle tre città maggiori, Costantinopoli, Antiochia ed Alessandria; in teoria era eletto dal clero, dal popolo della città e dai metropoliti, in pratica era nominato dall’imperatore Grande importanza la ebbero i monasteri, che in origine avevano una dimensione anarchica, poiché erano nati da un rifiuto della società, ed erano l’unica via di ricerca della perfezione cristiana. Le dispute teologiche, in alcuni momenti, costituirono fattori di grave crisi. In particolare erano due le “correnti” che si contrapponevano: -quella di Antiochia, più razionalista, privilegiava l’idea della natura umana di Cristo e che, quindi, Maria non era “madre di Dio”, ma di “Cristo”; -quella mistica di Alessandria, che affermava la piena unità della natura divina e umana in Gesù. Per risolvere il problema vennero convocati vari concili, dai quali prevalse la posizione della scuola di Alessandria.
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