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DISPENSA DIRITTO COSTITUZIONALE, Dispense di Diritto Costituzionale

riassunto diritto costituzionale Temistocle Martines

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 04/03/2021

cristina-caramanno
cristina-caramanno 🇮🇹

4.8

(12)

13 documenti

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Scarica DISPENSA DIRITTO COSTITUZIONALE e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE TEMISTOCLE MARTINES PARTE PRIMA: SOCIETÀ, DIRITTO, STATO CAPITOLO PRIMO: COMUNITÀ E DIRITTO 1. I gruppi e gli interessi sociali ed il loro principio ordinatore. Fenomeno giuridico e fenomeno associativo. L’uomo è in continua relazione con i suoi simili, con i quali costituisce dei “gruppi sociali” di cui si entra a far parte o necessariamente (senza alcuna determinazione di volontà) o volontariamente (per libera determinazione) quando ci si associa ad un gruppo già formato. La ragione per la quale l’uomo tende ad unirsi ad altri uomini è che certi interessi e certe esigenze non possono essere soddisfatti dall’individuo isolato, bensì soltanto collettivamente. Gli interessi si distinguono in individuali e collettivi. Gli interessi individuali possono essere puramente egoistici e, come tali, contrapposti ad altri parimenti egoistici. Gli interessi individuali che non possono essere soddisfatti se non in forma associata vanno definiti interessi collettivi. L’interesse dell’intero gruppo è definito interesse generale. L’interesse individuale egoistico è asociale e può divenire antisociale qualora si ponga in contrasto con gli altri interessi individuali collettivi o al limite generali. Un gruppo sociale può essere costituito soltanto quando al principio di confliggenza-composizione si sovrappone un altro principio ordinatore che assicura la coesione interna del gruppo. Esso può operare, all’interno del gruppo facendo coincidere l’interesse di uno solo ( tirannia) o di un ristretto numero (oligarchia) o di tutti gli associati (democrazia). Procedure e strutture sociali assolvono ad un’essenziale funzione, detta organizzativa, diretta a dare al gruppo il carattere della stabilità e della continuità nel tempo. Le regole organizzative predispongono le procedure per il soddisfacimento degli interessi, ripartendo i compiti tra gli associati. A fondamento di ogni gruppo sociale possiamo porre, un principio ordinatore che trova espressione nel vincolo associativo ed un complesso di regole che ne costituiscano l’organizzazione. Il principio ordinatore ed organizzazione, valgono ad imprimere il carattere della giuridicità ad ogni consociazione umana. Il fenomeno giuridico si rinviene pertanto là dove si ha un fatto razionale di composizione di interessi ed una o più regole che stabilizzano nel tempo tale composizione. Il fenomeno giuridico non si esaurisce, dunque, nel fatto organizzativo poiché, accanto alle regole organizzative, devono porsi altre regole mediante le quali i vari tipi di interessi che il gruppo esprime siano soddisfatti e tutelati. Un esempio sono le regole che in un dato ordinamento giuridico statale, stabiliscono quali diritti sono attribuiti ai soggetti dell’ordinamento. 2. la teoria istituzionale del Romano e la dottrina pura del diritto del Kelsen. La concezione istituzionale del diritto nel pensiero del Mortati. Secondo Santi Romano, il fenomeno giuridico è collegato al gruppo sociale, escludendo che vi sia un solo ordinamento giuridico, quello statale. Secondo questa concezione, ogni gruppo sociale, crea un proprio ordinamento giuridico, autonomo da quello dello Stato. Santi Romano ha giuridicizzato il concetto di istituzione e lo ha sostituito a quello di comunità e ha affermato che il diritto non si esaurisce in un complesso di norme o regole create dalla comunità, ma è la 1 comunità stessa. Secondo il Romano, ordinamento giuridico ed istituzione sono la stessa cosa: ogni istituzione, in quanto ente o corpo sociale, è un ordinamento giuridico ed ogni ordinamento è, in quanto unità sociale regolata di rapporti umani, una istituzione. Romano ha sottolineato che il fenomeno giuridico non si esaurisce nel fenomeno normativo e che, non solo le norme traggono la loro giuridicità dal fatto di essere espressione associativa del gruppo sociale, ma anche l’organizzazione imprime al gruppo sociale il carattere della giuridicità. Tuttavia la teoria istituzionale del diritto, non riesce a superare un certo vuoto logico. Infatti, il Romano, mentre giunge a stabilire che l’istituzione deve avere una esistenza obiettiva e concreta, sembra, d’altra parte dare per presupposto il fenomeno associativo che pur costituisce l’intima essenza dell’istituzione organizzazione. Secondo l’opposta teoria normativa, il diritto si esaurirebbe nelle norme intese come comandi o imperativi. Il più illustre rappresentate di questa seconda tendenza è Hans Kelsen, la cui “dottrina pura del diritto” vuole conoscere esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Kelsen sostiene che il giurista deve limitarsi a chiarire cosa il diritto sia e come esso si presenti. Secondo Kelsen il diritto è un ordinamento normativo del comportamento umano, cioè un sistema di norme che regolano comportamenti umani e la norma va considerata come uno schema qualificativo di un fatto esteriore, il quale viene trasformato in atto giuridico. Il diritto viene concepito da Kelsen come un insieme di norme regolanti (o superiori) e di norme regolate (o inferiori) e che questo insieme di norme costituisce una “costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico”. Norma superiore è la norma che costituisce il fondamento della validità di un’altra. Tuttavia la ricerca di questo fondamento deve terminare con una norma presupposta come ultima e suprema. Alla concezione istituzionale del diritto si rifà lo stesso Mortati sostenendo che la sola considerazione della serie delle norme viene a dare una rappresentazione monca del fenomeno giuridico (che non verrebbe ricollegato alla concreta realtà sociale come al suo fondamento) ed eventualmente anche fallace (perché suscettibile di attribuire alle norme una giuridicità che esse non hanno quando non risultano osservate). Da qui la necessita di risalire dalle norme alla “istituzione”. 3. Il diritto e gli altri fenomeni sociali Le teorie del Romano, del Kelsen e del Mortati approdano alla medesima conclusione circa il fondamento della giuridicità ovvero l’essenza stessa del fenomeno giuridico. Tutti e tre si riferiscono ad un assetto fondamentale, identificato dal Romano nella istituzione (intesa come corpo sociale organizzato), dal Kelsen nella norma fondamentale (presupposto logico trascendentale e costituzione effettivamente statuita ed efficace) e dal Mortati nel gruppo sociale (cioè nel fine fondamentale per cui il gruppo esiste). Sembra che la tesi della socialità del diritto trovi ulteriore conferma. Kelsen afferma che le norme giuridiche regolano comportamenti umani e che l’ordinamento giuridico è un ordinamento sociale diretto ad assicurare la sicurezza collettiva. Questa conclusione non è sufficiente ad isolare il fenomeno giuridico da altri fenomeni sociali. Le regole economiche, morali o religiose, non valgono ad assicurare la convivenza e la coesione del gruppo, la sicurezza sociale e la pace; esse sono regole sociali ma esse presuppongono l’esistenza di un gruppo sociale e non valgono a costituirlo. Solo il diritto, nelle sue componenti materiale e formale, vale a creare il gruppo sociale ed a conferirgli stabilità e continuità nel tempo, mediante la posizione di norme dotate del carattere della coattività. 4. La costituzione in senso formale e materiale. La costituzione come processo. Per costituzione materiale il Mortati intende “quel nucleo essenziale di fini e di forze che regge ogni singolo ordinamento positivo”. L’elemento strumentale da cui emana la costituzione materiale è dato dalle forze politiche; mentre l’elemento materiale è dato dall’idea (scopo unificatore di vari interessi). La costituzione 2 B) La coattività: La norma giuridica è coattiva, qualora l’interesse della comunità richieda la sua puntuale osservanza, l’ordinamento appresta gli strumenti affinché il precetto normativo sia eseguito anche contro la volontà o in assenza della volontà del destinatario. Nell’ipotesi in cui la violazione della norma sia tale da impedire il soddisfacimento, dell’interesse protetto, la sanzione consisterà nell’applicazione di una misura punitiva nei confronti di chi non ha obbedito al precetto. Coattività e sanzione vanno pertanto di tale passo. Va detto che non tutte le norme giuridiche esprimono un comando assistito da una sanzione in caso di inosservanza del precetto. Di conseguenza accanto alle norme coattive si pone un’altra categoria di norme che coattive non sono. Si pensi alle norme che attribuiscono capacità, diritti, potestà, situazioni giuridiche attive in genere alle norme istituzionali organizzative, permissive, definitorie, promozionali ecc. Non si deve però cadere nell’errore di ritenere che le norme appartenenti a questa seconda categoria, poiché non munite di sanzione, possono non essere osservate. Infatti esse sono dotate del carattere della positività, sono, cioè, inserite in un sistema normativo ed esprimono un interesse. Di conseguenza i soggetti ai quali sono indirizzate, sono tenuti od incoraggiati a comportarsi secondo quanto esse dispongono. In altre parole, i fini in esse previsti devono, nel corretto funzionamento del sistema, essere soddisfatti. Sono queste in particolare le norme promozionali, presenti in buon numero nella nostra costituzione. A differenza delle norme precettive che disciplinano situazioni giuridiche attive, delle norme istituzionali e di quelle organizzative, questo tipo di norme determina i fini intorno ai quali la comunità statale si è costituita. C) L’esteriorità; il carattere della esteriorità della norma giuridica consiste nel fatto che essa disciplina la vita di relazione e ne organizza i modi di svolgimento. Questo carattere può essere meglio compreso facendo riferimento a quelle regole (per esempio igieniche) la cui osservanza ed inosservanza non ha alcuna incidenza sullo svolgimento della vita associata, proprio perché sono regole che ciascuno di noi formula per se stesso e la cui osservanza è frutto di autodeterminazione. D) La generalità e astrattezza; la generalità consiste nella attitudine della norma a regolare categorie di fatti o di comportamenti senza riferimento a situazioni o soggetti determinato. Si pensi all’art. 43, comma I, cod. civ: “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi” Strettamente collegata alla generalità è l’astrattezza, in quanto la norma proprio perché disciplina categorie e non casi concreti, finisce col disporre in via preventiva ed ipotetica e secondo uno schema logico. Questo carattere è ormai in dubbio poiché non si può definire la giuridicità della norma in una società come l’attuale (sempre più frammentata in gruppi). Va notato che l’avere accantonato il carattere della generalità e dell’astrattezza, pregiudica la stabilità dell’ordinamento e la certezza del diritto. Occorre osservare che i caratteri della generalità e dell’astrattezza sono comuni ad altre regole sociali ed inoltre possono assumere natura relativa. Nelle norme speciali (norme che rispetto a quelle generali stanno in rapporto di species a genus) e nelle norme eccezionali (che contengono una deroga alla norma generale), appare evidente che la generalità e l’astrattezza sono in grado inferiore rispetto a quello delle norme generali. 5 È possibile fare una distinzione tra il previo “disporre” in generale ed in astratto per tutti i possibili casi futuri e il “provvedere” nei singoli casi particolari. Dubbi possono sorgere sulla natura normativa delle leggi c.d. personali, vale a dire di quelle leggi che hanno per destinatari soggetti singoli e determinati, e delle leggi con le quali vengono assunti provvedimenti concreti, appunto definite leggi-provvedimento. Gli atti legislativi in questione sono equiparati alla legge ma non hanno carattere normativo, cioè non contengono norme giuridiche (che abbiano come connotati essenziali la generalità e l’astrattezza). Se così non fosse non ci sarebbe distinzione fra norma e sentenza. Le leggi provvedimento costituiscono uno dei casi di deroga al principio della divisione dei poteri, dato che non spetterebbe al legislatore ordinario emanare atti a contenuto concreto, questo compito essendo proprio delle autorità amministrative. Sorge il problema dei limiti delle leggi provvedimento. Può affermarsi che la Costituzione non vieta che la legge assuma un contenuto concreto giacché, laddove vuole che essa abbia carattere di generalità, lo ha espressamente disposto. L’ammissibilità delle leggi-provvedimento incide, sulla concezione che la legge abbia un suo contenuto tipico che nello Stato contemporaneo, appare ormai superata. Possiamo quindi definire la norma giuridica come “una prescrizione generale ed astratta che identifica ed enuncia gli interessi vigenti in un gruppo sociale o appresta le procedure per la loro tutela ed il loro concreto soddisfacimento e della quale, pertanto, deve essere garantita l’osservazione”. 3. Fonti di produzione e fonti sulla produzione: fonti-atti e fonti-fatti; fonti dirette e fonti indirette; fonti di cognizione. Il grado di certezza e stabilità viene conferito alle norme giuridiche attraverso una formulazione scritta. Testo scritto e norma costituiscono due entità distinte che non vanno confuse, in quanto la norma è esterna all’atto che l’ha posta e non si identifica con la statuizione legislativa. Spetta all’interprete di enucleare la norma dalla statuizione legislativa. In presenza di una fonte del diritto bisogna distinguere: a) L’aspetto formale, l’atto posto in essere da una determinata procedura (legge, decreto-legge); b) L’aspetto sostanziale, il contenuto dell’atto (formula normativa, disposizione); c) La norma giuridica desumibile dall’atto (disposizione). Si definiscono fonti normative gli atti ed i fatti mediante i quali vengono poste le norme giuridiche. La fonte è lo strumento tecnico predisposto o riconosciuto dall’ordinamento che serve a produrre il diritto oggettivo. Per questo le fonti in esame vengono definite fonti di produzione. Esse vengono predisposte o riconosciute dall’ordinamento, nel senso che questo disciplina gli organi e le procedure necessarie alla produzione delle norme. Ad esempio l’art. 70 Cost. “La funzione legislativa è esercitata collettivamente alle due camere” stabilisce quali organi sono deputati a produrre leggi, mentre l’art. 72 Cost. determina la procedura per la formazione delle leggi. In questi casi siamo in presenza di una fonte di produzione (norme organizzative) che è al tempo stesso fonte sulla produzione (fonte di norme che determinano le procedure sulla formazione del diritto). Le fonti sulla produzione sono contenute nella Costituzione. Le fonti normative si distinguono in fonti-atti e fonti-fatti. Le fonti-atti sono costituite da manifestazioni di volontà espresse da un organo dello Stato-soggetto o un altro ente e trovano la loro formulazione nel testo normativo (fonti scritte). Le fonti-fatti consistono in un comportamento oggettivo o atti di produzione giuridica esterni al nostro ordinamento giuridico, perciò vengono assunti come fatti. 6 La distinzione fra fonti-atti e fonti-fatti normativi acquista rilevanza nel momento in cui va a delimitare la competenza della Corte costituzionale che a norma dell’art. 134, comma II, Cost., nei giudizi di legittimità costituzionale è chiamata a sindacare la conformità alla Costituzione delle fonti-atti. Altra distinzione è quella fra fonti dirette e fonti indirette: si hanno le prime quando la fonte è prevista e regolata nello stesso ordinamento, le seconde quando essa è disciplinata in un ordinamento esterno a quello dello Stato. Fra le fonti del diritto viene ricordata la necessità, intesa con elemento intrinseco e legittimante di una attività che, senza di esso, sarebbe contraria al sistema legale delle fonti. Per meglio intendere la natura di fonte del diritto, appare opportuno distinguerla dallo stato di necessità, ovvero la condizione o presupposto per l’emanazione di un atto in deroga all’ordine prestabilito delle competenze. La necessità come fonte opera al di fuori o in contrasto con l’ordinamento e si riconnette strettamente ad un fatto che ha la forza di imporsi come normativo. Dalle fonti di e sulla produzione vanno tenute distinte le fonti di cognizione (documenti ufficiali nei quali vengono racchiuse le disposizioni normative. 7. le fonti aventi un’efficacia subordinata a quella della legge formale. I regolamenti governativi possono immettere nuove norme nell’ordinamento solo se queste norme non sono in contrasto con quelle contenute in leggi formali. I regolamenti autorizzati invece rispondo ad esigenze pratiche e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti. In entrambi i casi, l’efficacia sostanziale del regolamento è uguale a quella della legge ma l’efficacia formale è diversa: i regolamenti infatti sono considerati fonti inferiori alla legge. Inoltre vanno menzionati i regolamenti statali non governativi, statuti e regolamenti degli enti territoriali e enti pubblici non territoriali e possono essere emanati da ministri, organi centrali o locali. Tali regolamenti sono subordinati alle fonti primarie ed ai regolamenti governativi. La subordinazione del regolamento alla legge appare ormai però relativa perché alcuni tipi di regolamento possono operare deroghe alla legge del Parlamento o dettare norme in materie riservate. Ci sono diverse tesi al riguardo e la più accreditata è che i regolamenti con efficacia sostanziale non siano in tutto compatibili con l’attuale sistema delle fonti a causa: a) Dell’incertezza della dottrina riguardo l’efficacia sostanziale dei regolamenti; b) Dell’opportunità di contenere il potere regolamentare del governo entro i limiti della legge formale; c) Della necessità di assicurare certezza riguardo i vari gradi delle norme, facendo coincidere efficacia formale dei regolamenti con la loro efficacia sostanziale. 9. La consuetudine La consuetudine è subordinata sia alle leggi sia ai regolamenti è la consuetudine. Nel nostro ordinamento, sono ammesse soltanto consuetudini che integrano e specificano il dettato legislativo o disciplinano materie non regolate dalla legge. Sembra tuttavia ammessa nel nostro ordinamento l’abrogazione di una norma mediante desuetudine che si ha quando i destinatari della norma pongono in essere in modo reiterato e diffuso un comportamento omissivo, non osservano cioè un precetto legislativo. L’abrogazione per desuetudine dà luogo a delicati problemi circa l’accertamento giudiziale del comportamento omissivo e l’ambito entro il quale esso può spiegare la sua efficacia abrogante. 7 Quanto al primo, l’art. 10 Cost. dispone che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Pertanto il legislatore ordinario non può emanare norme in contrasto con le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Le norme costituzionali prevalgono sulle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e sono da considerare costituzionalmente legittime. Al contrario se il contrasto non è originario ma susseguente a cedere dovrebbero essere le norme costituzionali. L’ordine di esecuzione riguarda il diritto internazionale pattizio, vale a dire le norme di diritto interazionale prodotte dall’accordo fra due o più Stati, diretto a regolare i loro rapporti in campo politico, commerciale, civile, penale ecc. Con la stipulazione dell’accordo gli stati contraenti sono tenuti ad adottare nel loro ordinamento tutte quelle misure necessarie per dare esecuzione all’accordo stesso. Ciò può venire secondo due procedure: a) con l’emanazione di una legge o di un atto avente forza di legge; b) con l’ordine di esecuzione. Quest’ordine è, di solito, contenuto in una legge e consiste nella formula: “piena ed intera esecuzione è data al trattato…”, di cui è annesso il testo integrale. Nel primo caso è il legislatore statale a porre direttamente le norme esecutive del trattato; nel secondo il legislatore si limita ad operare un rinvio al trattato. Fra le norme di diritto internazionale pattizie merita di essere segnalata la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in epoca anteriore alla riforma del Titolo V aveva riconosciuto alle norme della convenzione un’efficacia non superiore a quella tipica delle leggi ordinarie, si trattava dunque di fonti esterne, anche se la Corte costituzionale italiana aveva sempre riconosciuto la grande rilevanza delle norme CEDU, in quanto le stesse si muovono nel campo della tutela dei diritti fondamentali delle persone ed integrano quindi valori e principi propri della civiltà giuridica europea e contenuti nella stessa Costituzione italiana. Il nuovo testo dell’art.117, comma I, Cost. ha istituito un condizionamento contenutistico della legislazione italiana, sia statale che regionale, ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’unione europea e agli obblighi internazionali. Le norme internazionali pattizie, sono indicate dalla dottrina giuridica italiana con l’espressione “norme interposte” per dire che esse sono situate tra la norme costituzionale e le norme di legge ordinarie ritenute in contrasto. Il rapporto tra norma costituzionale e norme interposte è pertanto di reciproco appoggio nel senso che la prima trae dalla seconda i contenuti normativi sostanziali da affrontare alla legislazione ordinaria e le seconde traggono dalla prima la forza di imporsi sulle leggi interne. Ciò non significa che le norme CEDU abbiano acquistato la forza e il valore delle norme costituzionali. Si tratta pur sempre di fonti sub-costituzionali, di cui deve essere accertata la non difformità con la costituzione italiana. L’innovazione dell’art.117 ha acquistato particolare rilievo per le norme della CEDU, non sono quindi le pure disposizioni della Convenzione e dei Protocolli aggiuntivi, ma le norme tratte dall’opera interpretativa della Corte di Strasburgo, di tali atti le cui pronunce acquistano efficacia vincolante nell’ordinamento giuridico italiano. 16 Segue: b) per le norme di altri ordinamenti statali, la presupposizione ed il rinvio. Gli istituti che vengono in considerazione, sono quelli della presupposizione e del rinvio. Si ha la presupposizione quando per interpretare ed applicare una norma dell’ordinamento statale si rende necessario il riferimento ad una norma contenuta in un ordinamento straniero. Si ha il rinvio quando, in virtù di una norma posta nell’ordinamento interno, una norma, propria di altro ordinamento, viene ad essere applicata nello stato. Tale tipo di rinvio è ammesso anche fra norme appartenenti allo stesso ordinamento. Abbiamo due diverse figure di rinvio: formale o non ricettizio; materiale o ricettizio. 10 Si ha la prima quando lo Stato pone nel suo ordinamento una norma che rinvia, alla norma di un ordinamento straniero, statuendo però i criteri per l’individuazione della stessa; si ha la seconda quando la norma posta dall’ordinamento statale rinvia alla norma dell’ordinamento straniero pe farne proprio il contenuto o per nazionalizzarla. Nel primo caso la norma straniera non entra a far parte dell’ordinamento italiano, nel secondo invece la norma straniera viene identificata e fatta propria una volta per tutte. Le norme di diritto interno che rinviano ad un ordinamento straniero costituiscono il diritto internazionale privato, esse sono sempre norme di diritto interno e vengono qualificate come internazionali poiché disciplinano fatti o rapporti che interessano lo stato, ma sono collegati con uno o più stati stranieri. 17. c) per le norme dell’UE, l’art.11 Cost. in relazione al trattato su funzionamento dell’UE. Le norme comunitarie o dell’Unione europea sono le norme oggi emanate dagli organi dell’UE ed originariamente dagli organi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), dalla Comunità economica europea (CEE) e dalla Comunità europea per l’energia atomica (Euratom). Gli atti delle istituzioni comunitarie che hanno la funzione di disciplinare aspetti “interni” della vita degli ordinamenti nazionali sono molteplici e vengono di solito accomunati in dottrina sotto l’etichetta di “diritto comunitario” o “diritto dell’Unione europea”. I principali tipi di fonte comunitaria sono dati dai regolamenti, dalle direttive e dalle decisioni. Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. La direttiva vincola lo stato membro a cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, lasciando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Le due fonti differiscono tra di loro in quanto: a) unico destinatario possibile della direttiva è lo stato membro, mentre il regolamento può indirizzarsi ad uno qualsiasi dei soggetti di diritto interno; b) il regolamento è interamente obbligatorio, mentre la direttiva dà norme di scopo, che lasciano libero il destinatario quanto alla scelta del mezzo e della forma più opportuni per la realizzazione del fine. I caratteri propri dei regolamenti, questi sembrano riconducibili ai seguenti: portata generale, obbligatorietà, applicazione diretta. La portata generale consiste in ciò che il regolamento si dirige ad una o più categorie di destinatari determinate astrattamente e nel loro complesso. L’obbligatorietà caratterizza il regolamento rispetto ad altri atti comunitari non vincolanti (le raccomandazioni, i pareri) e rispetto ad atti anch’essi vincolanti ma non in tutti i loro elementi (le direttive). L’applicabilità diretta vale a rendere efficacie il regolamento all’interno degli ordinamenti degli stati membri per il fatto stesso della sua emanazione a livello comunitario. L’adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento dell’UE è ora disciplinato dalla “legge di delegazione europea” e la “legge europea” (art.30). La prima reca disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative volte all’attuazione delle direttive europee e alla modifica o all’abrogazione di disposizioni statali vigenti, allo scopo di garantire la conformità con l’ordinamento dell’Unione europea. La legge europea, invece, reca: disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivati dall’appartenenza all’unione europea, disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione europea. 18. Le c.d. fonti atipiche e le leggi rinforzate Il nostro ordinamento costituzionale prevede una pluralità e varietà di fonti, il cui coordinamento può variare, a seconda che si adotti il criterio della gerarchia o della separazione delle competenze. 11 Esistono poi fonti di pari forza della legge formale emanate da organi diversi dal Parlamento; fonti la cui forza attiva o passiva è depotenziata o, al contrario, potenziata ed, ancora, fonti per la cii formazione sono prescritti alcuni adempimenti, da ritenere però esterni al procedimento di formazione di senso stretto. Tutti questi elementi hanno portato parte della dottrina a costituire la figura delle fonti atipiche e rinforzate, presupponendo, l’esistenza di una fonte la cui forza ed efficacia siano tipiche e che dovrebbe porsi come paradigma. Alcune fonti emanate con la forza propria degli atti del potere esecutivo (i decreti-legge e i decreti legislativi) hanno la stessa efficacia della legge formale, mentre ad altre (regolamenti parlamentari) la Costituzione riserva la disciplina dell’organizzazione e dell’esercizio delle funzioni delle assemblee legislative. Alcune fonti si distinguono dalle altre di pari grado, perché sono sottratte all’abrogazione mediante referendum ( come le leggi tributarie e di bilancio, l’amnistia, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali), hanno cioè una forza (o efficacia formale) potenziata, mentre la fonte referendum abrogativo ha una forza ( o efficacia formale) depotenziata. Inoltre gli adempimenti previsti, estranei al procedimento legislativo in senso stretto e rispetto a questo soltanto aggiuntivi, consistono sostanzialmente in una partecipazione dal basso mediante atti di iniziativa o consultivi, degli enti e/o delle popolazioni interessati alla decisione politica che formalmente resta affidata agli organi legislativi statali o regionali. Per cui ad essere rinforzata non è tanto la fonte-atto quanto il momento partecipativo. 19. L’interpretazione dei testi normativi La distinzione fra fonte del diritto e norma pone il problema della interpretazione. È necessario trarre dalla fonte la norma per cogliere il significato della norma stessa nel contesto dell’ordinamento giuridico. Chi non ha nozioni tecniche e la preparazione necessaria, non riuscirà a cogliere il significato del testo normativo; mentre chi conosce le tecniche giuridiche, potrà compiere l’operazione intellettiva d’interpretare. È intuitivo che l’attività dell’interprete dovrà svolgersi nei limiti dell’ordinamento giuridico affinché sia assicurata l’armonicità e la coerenza dello stesso. Le norme sono ordinate in sistema, per cui risultano fra loro strettamente coordinate, quindi l’interpretazione non può mai essere arbitraria poichè non può trarre dal testo una norma che non si coordini in sistema con le altre. L’interprete di un testo normativo deve tener conto del significato grammaticale delle parole, non isolatamente considerate bensì secondo la loro connessione sintattica (interpretazione letterale), nonché della intenzione del legislatore (la mens o ratio legis). Queste vanno integrate con l’interpretazione sistematica. Essendo la norma inserita in un sistema unitario e concluso, essa va colta nelle sue connessioni con le altre norme e deve armonizzarsi con i principi fondamentali. Potrà allora avvenire che il suo significato si arricchisca (e avremo un’interpretazione estensiva) oppure si restringa (e avremo un’interpretazione restrittiva). Si è già osservato che dallo stesso testo possono trarsi, in distinti periodi, norme del tutto o in parte diverse, perché, pur restando immutato il testo, sono mutati i principi fondamentali che reggono l’ordinamento. In questa ipotesi occorrerà adeguare il significato della norma ai nuovi e diversi princìpi (interpretazione adeguatrice). Può anche accadere che il testo normativo, col passare del tempo, venga interpretato e quindi applicato in maniera diversa (interpretazione evolutiva). L’interpretazione di un testo, anche compiuta in sede giurisdizionale, non vincola l’interprete successivo se non nell’ambito di un rapporto gerarchico. Proprio perché un testo normativo può ricevere varie e talvolta 12 Ciò comporta l’attribuzione di una serie di situazioni attive (dirette a tutelare ed a realizzare gli interessi) e passive (dirette a subire che gli altri tutelino e realizzino i loro interessi). Il complesso di queste situazioni costituisce quella che viene tecnicamente definita soggettività giuridica e il loro titolare, quale protagonista (attivo e passivo) della vita del diritto, diviene soggetto di diritto. La capacità delle persone fisiche-soggetti di diritto di essere potenzialmente destinatari delle norme che attribuiscono situazioni attive e passive viene definita capacità giuridica e si acquista dal momento della nascita. Occorre osservare che, se da un lato capacità e soggettività giuridica coincidono esse possono anche essere disgiunte. Esistono, delle norme che si indirizzano indistintamente a tutte le persone fisiche soggetti di diritto; e delle altre che si indirizzano soltanto ad alcuni di essi, limitando ed escludendo, la capacità giuridica degli altri. La capacità di essere destinatari delle norme acquista particolare rilievo in diritto pubblico perché possono sorgere dubbi sull’attribuzione di situazioni giuridiche attive e passive ad alcuni soggetti. Il riconoscimento formale della capacità giuridica può non coincidere con l’effettiva attribuzione in capo ai soggetti di situazioni giuridiche attive, quando ciò è impedito dall’esistenza di ostacoli di ordine economico e sociale. Dalla capacità giuridica va distinta la capacità di agire che consiste nella attitudine del soggetto a porre in essere direttamente atti produttivi di effetti giuridici e che si acquista con il compimento del diciottesimo anno. Pertanto i minori di età non possono azionare direttamente dette situazioni e debbono necessariamente ricorrere ad un rappresentante, cioè ad un’altra persona fisica che agisce in loro nome e per loro conto. La capacità di agire può venir meno in caso di interdizione o di inabilitazione, con la conseguente nomina di un rappresentante. Oltre che alle persone fisiche l’ordinamento attribuisce la soggettività giuridica anche ad entità composte o da una unione di persone costituitasi in vista del conseguimento di un interesse comune (associazioni o corporazioni) ovvero ad una struttura organizzativa idonea a soddisfare gli interessi di persone determinate o determinabili (formazioni o istituzioni). Tali entità vengono definite persone giuridiche per sottolineare che tali persone non esistono nel mondo reale e sono soltanto la creazione del diritto. Le persone giuridiche –a differenza delle persone fisiche– possono essere pubbliche o private, a seconda della natura dei fini che esse perseguono. Destinatari delle norme giuridiche possono anche essere entità alle quali l’ordinamento non ricollega necessariamente la soggettività giuridica. La nostra Costituzione, contiene norme che hanno per destinatari entità (il popolo, le minoranze linguistiche, la famiglia legittima ecc.) non soggettivizzate o non soggettivizzabili. Sono queste figure giuridiche soggettive che possono qualificarsi come veri e propri soggetti di diritto bensì come entità alle quali l’ordinamento attribuisce situazioni giuridiche attive e passive, forme di tutela, legittimazioni processuali. 2. Le situazioni giuridiche attive: il potere giuridico; il diritto soggettivo; l’interesse legittimo. Ogni uomo ha e persegue interessi propri o alieni che, sono giuridicamente rilevanti. Alla posizione di coloro che sono titolari di tali interessi (posizione attiva) si contrappone quella di coloro ai quali l’ordinamento impone di collaborare o di non opporsi al soddisfacimento degli stessi (posizione passiva). Quindi,ogni qualvolta si realizza un interesse ne viene, di regola, compresso o sacrificato un altro. 15 Ad es. all’interesse dell’intera comunità a disporre di denaro per il perseguimento dei fini che le sono propri, corrisponde la posizione passiva di quei suoi componenti che sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Alle posizioni giuridiche (attive e passive) si ricollega una varietà di situazioni giuridiche soggettive (parimenti attive e passive). Alle situazioni giuridiche attive, si possono ricondurre: il potere, il diritto soggettivo e l’interesse legittimo. Potere giuridico è una situazione giuridica astratta riconosciuta dall’ordinamento a tutti i soggetti o a determinate categorie di soggetti in ordine al soddisfacimento di un interesse, giuridicamente rilevante. Il potere è la figura soggettiva che attiene sia al campo del diritto privato che a quello del diritto pubblico. Quanto al primo si pensi alla potestà dei genitori sui figli minori (art. 316 cod. civ.); quanto al secondo, al potere dei cittadini di eleggere i loro rappresentanti politici. Nell’ambito di questi settori si specificano poi quelle situazioni soggettive dette diritti soggettivi ed interessi legittimi. Dall’astrattezza del potere giuridico (come situazione soggettiva potenziale) si passa alla concretezza del diritto soggettivo (come situazione soggettiva attuale). Affinché la situazione divenga attuale è necessario che l’ordinamento riconosca in capo ad un soggetto la titolarità di un interesse ed il connesso potere di far valere e di tutelare l’interesse stesso nei confronti degli altri soggetti. Il diritto soggettivo presuppone una relazione fra due o più soggetti che prende il nome di rapporto giuridico e che vede da una parte il titolare della situazione giuridica passiva e dall’altra il titolare della situazione giuridica attiva. Il rapporto giuridico può essere di diritto pubblico o di diritto privato: è di diritto pubblico, quando ambedue i soggetti od uno soltanto dei soggetti del rapporto sono soggetti pubblici, è di diritto privato, quando ambedue i soggetti sono soggetti privati o quando pure se uno dei soggetti è di diritto pubblico, quel determinato rapporto è disciplinato da norme di diritto privato. L’interesse legittimo è la situazione giuridica in cui l’interesse protetto in capo ad un soggetto è inscindibilmente connesso alla tutela di un interesse altrui. CAPITOLO QUARTO: LO STATO SEZIONE I: STATO-ISTITUZIONE; STATO-APPARATO; COMUNITA’ STATALE 1. Lo stato-istituzione Una prima condizione perché un ordinamento venga qualificato come statale è che esso non dipenda da un altro ordinamento, che sia cioè originario. Se un ordinamento giuridico deriva la sua validità da un altro ordinamento, non si è in presenza di uno Stato, ma di un altro tipo di società. Perché si abbia uno stato, accanto alla condizione che il suo ordinamento sia indipendente nei confronti di tutti gli altri, se ne pone una seconda, e cioè che esso sia dotato di un apparato autoritario preminente, idoneo ad individuare ed a selezionare gli interessi e ad assicurare la composizione degli interessi confliggenti e la pacifica convivenza dei consociati. Perché si abbia uno stato inoltre, occorre che l’ordinamento sia su base territoriale. Ciò significa che deve esistere un elemento materiale, come centro di riferimento degli interessi comunitari che in esso trovano la loro localizzazione. Quanto sopra detto porta ad escludere che possano considerarsi Stati sia quei gruppi sociali organizzati non stanziati su un territorio (tribù nomadi) sia quelli stanziati su un territorio le cui dimensioni tuttavia non sono sufficienti a renderlo centro di riferimento degli interessi generali. (Città del Vaticano, San Marino, Principato di Monaco, Repubblica di Andorra.) 16 Possiamo allora definire lo Stato come un ordinamento giuridico originario a fini generali ed a base territoriale, dotato di un apparato autoritario posto in posizione di supremazia. Questa definizione consente anche di distinguere lo Stato dagli altri ordinamenti giuridici. 2. Lo Stato-istituzione e la sua evoluzione storica (le forme di stato) Nello Stato feudale, in cui non esiste una netta linea di demarcazione fra diritto pubblico e diritto privato, il territorio è patrimonio del sovrano e dei vari feudatari e l’ordinamento si regge su una pluralità di comunità politiche autonome non coordinate fra loro. In questa forma di stato non esiste un interesse generale ma tanti interessi localizzati nel feudo ed impersonati nel feudatario. Lo Stato assoluto richiede la creazione di un apparato autoritario, con al vertice il monarca quale fonte di ogni altro potere politico che è portato a tutelare gli interessi espressi da una società non più suddivisa e nella quale cominciano a farsi valere alcuni diritti dei singoli, anche nei confronti dello Stato. Lo Stato di polizia tende a promuovere il benessere dei sudditi, ai quali viene riconosciuta la tutela giurisdizionale dei diritti nei confronti dello Stato limitatamente al campo patrimoniale, e la loro felicità (polizia va intesa, etimologicamente ricollegata a polis ed al ius politiae proprio dei sovrani medievali). Il superamento dello Stato assoluto si ha alla fine del 1700 quando il potere passa nelle mani della borghesia. I principi sui quali si forma questa forma di stato detto moderno o di diritto sono in buona parte contenuti nei bills of rights “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, redatta dall’ “Assemblea nazionale” francese nel 1789. Lo stato moderno assume come propri i principi dell’eguaglianza formale, della tutela dei diritti fondamentali, dell’autorità legittimata del consenso dei governati e si dà costituzioni scritte in cui questi principi sono solennemente proclamati. Tuttavia, questa prima incarnazione dello stato moderno appare strutturata su basi escludendo dalla partecipazione al governo dello stato chi non facesse parte della borghesia. L’evoluzione dello stato moderno è caratterizzata sul piano giuridico, dalla progressiva estensione del suffragio e dalla conseguente costituzione, accanto ai partiti politici d’élites, dei partiti di massa. Già alla fine della prima guerra mondiale lo stato di tipo liberale-ottocentesco entra in crisi e ad esso si contrappone lo Stato socialista nel quale tutto il potere appartiene dai lavoratori delle città e nelle campagne, rappresentati dai deputati dei lavoratori o lo stato autoritario in cui è necessaria la figura di un capo carismatico che lo rappresenti. Il secondo dopoguerra segna il passaggio dallo stato moderno allo Stato sociale. Esso si caratterizza per l’azione dei pubblici poteri diretta a promuovere il benessere dei cittadini mediante un intervento programmato sempre più esteso alle attività economico sociali e nel campo della protezione sociale. Un’ulteriore forma di stato, è data dallo “stato socialista” o “del socialismo reale”. Tale forma di stato si ispira alla forma marxista leninista e si distingue per la collettivizzazione dei mezzi di produzione, per l’esistenza di un unico partito il partito comunista e per la prevalenza assegnata al principio di eguaglianza sostanziale. 3. Stati unitari e Stati composti Secondo un criterio secondario le forme di stato si distinguono in unitarie e composte. Si ha lo stato unitario quando il potere sovrano è attribuito dall’ordinamento ad un unico ente; e lo stato composto quando detto potere è invece suddiviso fra uno stato centrale e più enti che hanno la caratteristica di Stati. La forma più diffusa di Stato composto è lo Stato federale che si ha quando più stati, pur conservando la loro identità, si uniscono per dar vita ad un ordinamento statale ad essi sovrapposto al quale conferiscono determinati poteri sovrani, in modo che i poteri degli stati membri vengano compressi a vantaggio di quelli dello Stato centrale. 17 Mancando uno di essi non si ha uno Stato bensì un diverso gruppo sociale. Ciò che caratterizza l’apparato autoritario dello Stato è il fatto che esso sono subordinati sia gli individui sia gli apparati autoritari delle altre comunità minori. Storicamente, però, uno stato di questo tipo probabilmente è esistito soltanto nel periodo delle monarchie assolute. Oggi, lo Stato contemporaneo non si identifica più completamente nel modello astratto, che è stato modificato, almeno in parte, dalla realtà giuridica; da un lato lo Stato estende, nel suo interno, i suoi interventi a campi sempre più vasti; dall’altro acconsente a limitazioni esterne della sua sovranità. Il territorio come elemento essenziale dello stato è costituito, in via esclusiva, da quella parte del globo terrestre sulla quale lo Stato è legittimato ad esercitare la sua sovranità. 12. I singoli elementi costitutivi dello Stato: a) il territorio. Il territorio dello stato è costituito dalla terraferma e dalle acque interne (fiumi, laghi, mari interni) comprese entro i confini e dallo spazio aereo sovrastante, dal sottosuolo e da quel tratto di mare adiacente alle coste che è denominato “mare territoriale”. Il territorio è delimitato dai confini che possono essere naturali (es. catena della alpi, il Danubio); oppure artificiali, quando la linea di confine è fissata non avvalendosi di elementi naturali ma di opere dell’uomo (un reticolato, una strada ecc.). L’estensione del mare territoriale è variabile da Stato a stato con un minimo di 3 miglia marine ed un massimo di 12-15 miglia. Strettamente collegati al territorio sono gli istituti della extraterritorialità e della immunità territoriale. L’extraterritorialità è una finzione giuridica in base alla quale le navi e gli aeromobili militari che si trovano rispettivamente nelle acque territoriali o nello spazio aereo di un altro stato, sono invece assoggettati alle leggi dello stato del quale battono bandiera. L’immunità territoriale si ha quando una porzione del territorio statale risulta parzialmente immune od esente dalla potestà dell’impero dello stato. I casi più frequenti di immunità territoriale sono le sedi delle rappresentanze diplomatiche ogni luogo in cui risieda l’agente diplomatico; in tali luoghi lo stato non può esercitare la sua potestà d’imperio a meno che non ci acconsenta l’agente diplomatico stesso. Dal territorio come elemento costitutivo dello Stato va distinto quello dei possedimenti che non entra a far parte integrante dello Stato cosicché la sua perdita o la sua riduzione non valgano a mutarne l’essenza. Si discute in dottrina sulla natura del diritto dello stato sul proprio territorio. Sembra si possa accogliere la tesi secondo la quale il diritto dello stato sul territorio rientra nella categoria dei diritti sugli elementi costitutivi della propria persona e non già nella categoria dei diritti reali. Ciò non toglie che il territorio possa essere assunto come elemento costitutivo anche di altri enti che vengono detti territoriali per significare che il territorio rappresenta una condizione essenziale per la loro giuridica esistenza, per gli enti non territoriali,invece, il territorio costituisce soltanto l’ambito entro il quale le attribuzioni loro conferite dalla legge. 13. Segue: b) il popolo. Il termine popolo sta a designare la comunità di tutti coloro ai quali l’ordinamento giuridico statale segna lo status di cittadino. Da detto status deriva una serie di situazioni giuridiche attive e passive che mettono i cittadini in relazione con l’apparato autoritario. Il presupposto per l’acquisto della qualità di cittadino è la comunanza di certi valori ed interessi materiali e spirituali che valgono a distinguere una comunità statale da un’altra, sia nei suoi aspetti postivi che negativi. 20 (Ciò spiega ad esempio la ragione per cui gli ebrei non hanno costituito un popolo fino a quando non si sono stabilmente stanziati su un territorio dando vita allo Stato di Israele.) Il popolo è inteso come “la collettività di individui, in sé e per se considerata nel suo complesso e nella sua unità che non vien meno e non muta con l’incessante mutarsi dei suoi componenti”. Nell’ordinamento italiano l’art. 1 dispone che “è cittadino per nascita: a) Il figlio di un padre o una madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambe i genitori sono ignoti o apolidi. La legge in esame prevede poi i casi in cui l’acquisto della cittadinanza può essere precluso, o la cittadinanza può essere perduta o ad essa si può rinunciare. La qualità di cittadino non vale a fare del popolo di ogni Stato un’entità isolata e racchiusa entro i confini, che tende a distinguersi dalle altre. Basti ricordare le disposizioni del trattato istitutivo della Comunità europea che prevedono l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, fra i lavoratori degli Stati membri. L’aver considerato il popolo come portatore di interessi generali territorialmente organizzati, induce ad accogliere, la tesi secondo la quale il popolo è una figura giuridica soggettiva, vale a dire un soggetto privo di personalità giuridica ma titolare di situazioni giuridiche, anche se non di veri e propri diritti soggettivi. La maggiore di tali situazioni soggettive è quella che si identifica nella sovranità ossia nel massimo potere di governo da esercitare “nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, comma II, Cost.). Dal popolo va distinta la popolazione dello Stato, termine con il quale si indica il complesso di tutti coloro che in un dato momento risiedono stabilmente sul territorio dello Stato e sono sottoposti alle sue leggi. Stranieri sono i cittadini di un altro Stato. Apolidi sono coloro che non hanno la cittadinanza di alcun stato e sono anch’essi sottoposti alla legge dello stato. Dal popolo va ancora distinta la nazione, che sta a designare una entità etnico-sociale caratterizzata dalla comunione di razza, di lingua, di cultura, di costumi, di tradizioni, di religione, fra coloro che la compongono. Dalla distinzione fra popolo e nazione deriva che possono esistere Stati i cui cittadini appartengono a più nazioni (Stati plurinazionali). L’Italia non può essere considerata uno stato plurinazionale, data la scarsa consistenza numerica dei suoi cittadini appartenenti a gruppi etnici diversi per lingua, tradizioni costumi. Tuttavia “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. 14. Segue. c) la sovranità. La sovranità, può due diversi significati. In un primo significato la sovranità caratterizza l’ordinamento giuridico dello stato come originario ed indipendente. In una seconda accezione, poi, la sovranità si identifica con la supremazia dell’ordinamento statale rispetto agli altri ordinamenti minori. Indipendenza ed originarietà, da una parte, e supremazia, dall’altra, appaiono fra loro strettamente indipendenti. La sovranità non può non essere attributo dello Stato visto nel suo complesso, come Stato-istituzione o Stato-ordinamento. Essa non è soltanto un principio astratto ma si concreta in una serie di atti tipicizzati mediante i quali viene esercitato il comando e fatta valere la supremazia. Questi atti sono la legge, l’atto amministrativo e la sentenza. Il problema della “spettanza” della sovranità, diviene, a questo punto, un problema d’imputazione. 21 Pertanto, vanno qui soltanto ricordate quelle teorie che non si limitano a ricercare a quale soggetto è attribuita la sovranità, ma che determinano anche la fonte, sulla base di considerazioni extragiuridiche ed, essenzialmente politiche. La sovranità va riconosciuta non più allo stato-soggetto bensì a quella persona viene, a quel complesso di persone alle quali l’ordinamento giuridico conferisce istituzionalmente il potere supremo di decidere per lo Stato. La nostra Costituzione, con l’attribuzione della sovranità al popolo, ha voluto garantire che la democrazia non si risolva in una vuota formula, bensì divenga, oltre che un costume di vita, un metodo giuridico di governare lo Stato. Nell’epoca contemporanea la sovranità tende a diventare oggettiva, connotato di un sistema di valori che dà forza storica alle istituzioni previste da una Costituzione positiva. 15. Stato-istituzione; Stato-apparato; comunità-statale. Il termine “Stato” può avere diversi significati. Lo Stato-istituzione, indica uno dei tanti corpi sociali organizzati o istituzioni con determinate caratteristiche e con propri ed esclusivi elementi costitutivi che valgono ad individuare l’ordinamento come comprensivo. In un secondo significato il termine Stato indica l’apparato autoritario, cioè quel complesso di autorità cui l’ordinamento attribuisce formalmente il potere di emanare e di applicare le norme ed i comandi madianite i quali lo Stato fa valere la sua supremazia. Allo stato così inteso, l’ordinamento può conferire la personalità giuridica, ed allora esso sarà anche definito Stato-soggetto o Stato-persona. In questa accezione, esso sarà il massimo dei soggetti giuridici ma sottoposto al pari degli altri soggetti, al diritto. Nell’ordinamento italiano lo Stato-apparato è la persona giuridica. Dallo stato-apparato che costituisce l’insieme dei governanti, vanno distinti tutti gli altri soggetti sottoposti alla sua supremazia, definiti complessivamente governati. Si tratta di due ambiti diversi che a seconda della forma di governo sono o nettamente distinti o tendono ad avvicinarsi senza arrivare a confondersi. Questo insieme di soggetti distinto dallo stato apparato viene detto “Stato-comunità”. Si parla di una comunità statale che esiste come realtà sociale anche se caratterizzata dalla varietà e dalla contrapposizione dialettica delle sue parti e dei valori che esse esprimono e che trovano la loro composizione nel principio ordinatore che rappresenta la causa prima della formazione e della permanenza del tempo della istituzione statale. Mentre lo Stato-istituzione è una realtà giuridica ben determinata nei suoi elementi costitutivi, la comunità statale è una realtà sociale in continua trasformazione. 16. Lo Stato-apparato e la sua organizzazione: a) le funzioni dello Stato. L’organizzazione e i modi di svolgimento delle attività di governo devono essere sottoposti al diritto. Non esistono naturalmente, al riguardo, regole assolute valide per tutti gli ordinamenti. Ogni istituzione ha le sue leggi, i suoi atti di amministrazione, le sue sentenze dichiarative, costitutive e di condanna. L’attività complessiva diretta alla produzione degli atti dell’autorità viene definita funzione. Il termine sta ad indicare un’attività organizzata e preordinata al perseguimento di uno scopo. In questo significato esso è stato adottato nella nostra costituzione negli artt. 70 (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”), 102 (“La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”), 118 (con riferimento alle “funzioni amministrative”). Nessuna indicazione è dato trovare almeno nella sedes materiae, della funzione amministrativa. Accanto alle tre funzioni sopra menzionate si porrebbe una quarta funzione, quella di indirizzo politico, la quale risponderebbe all’esigenza che la distribuzione dei vari compiti statali fra molteplici organi forniti di autonomia e il loro esercizio nella successione del tempo vengano preceduti da un momento unitario e di 22 In particolare la interferenze funzionali si possono ordinare, nel nostro sistema costituzionale, secondo il seguente schema: A) il potere legislativo svolge sia funzioni materialmente amministrative (es. la nomina dei dipendenti delle Camere) sia funzioni materialmente giurisdizionali (es. il giudizio sulle elezioni contestate dei membri delle camere o il porre in stato d’accusa il Presidente della Repubblica). Esso svolge, inoltre, istituzionalmente un’attività di direzione politica che non è riconducibile ad una funzione autonoma. B) il potere esecutivo svolge funzioni materialmente legislative quando emana atti contenenti norme giuridiche che possono avere o un’efficacia inferiore a quella della legge formale (i regolamenti) o un’efficacia uguale a quella della legge formale (i decreti-legge e i decreti legislativi). C) il potere giudiziario svolge funzioni materialmente amministrative mediante provvedimenti rientranti nella “volontaria giurisdizione” mentre nel nostro ordinamento, che si ispira al “sistema della legalità”, ai magistrati è assolutamente precluso di cercare la norma da applicare al caso concreto, cioè di svolgere funzioni materialmente legislative. 19. Gli organi e la loro classificazione Per organo si intende una persona giuridica. Le persone giuridiche sono una creazione dell’ordinamento giuridico che attribuisce la titolarità di situazioni giuridiche attive o passive ad alcune entità collettive. Le persone giuridiche, sono pertanto delle entità astratte, che per volere e per agire devono avvalersi di persona fisiche. Col termine organo si indica la persona fisica agisce per conto della persona giuridica. In un’accezione più ampia e complessa, l’organo risulta costituito, oltre che dalla persona fisica, anche dalla sfera di competenza, e dai mezzi materiali e dalla struttura organizzativa di cui l’organo si avvale per esplicare le sue funzioni. L’organo non ha una propria soggettività giuridica. Di conseguenza, l’attività esplicata dalla persona fisica titolare dell’organo viene dal diritto imputata direttamente all’ente. Può accadere che lo stato-soggetto affidi la cura di alcuni suoi servizi ad altri enti che devono anche sopportarne la spesa relativa (si pensi ai servizi anagrafici, elettorali, di leva militare e di stato civile svolto dai comuni). Qualora l’assunzione di tali servizi e compiti comporti un rapporto di organico, la persona giuridica che diviene titolare dell’organo non agisce come distinto soggetto di diritto, per cui i suoi atti vengono giuridicamente imputati direttamente allo Stato. Ad esempio la figura del funzionario di fatto si ha quando il titolo di investitura della persona fisica all’organo sia irregolare, sia scaduto o venga a mancare. Gli atti posti in essere dal funzionario di fatto sono considerati validi e continuano ad esplicare la loro efficacia e il loro annullamento provocherebbe un grave turbamento dello stato di fatto e di diritto. Dal funzionario di fatto va distinto l’usurpatore di pubbliche funzioni, vale a dire chi, commettendo un reato, svolga una pubblica funzione senza avere e senza mai avere avuto alcun titolo di investitura. Gli atti dell’usurpatore di pubbliche funzioni sono, ovviamente, nulli. I funzionari sono persone fisiche titolari di un organo di un ente pubblico e possono essere o meno collegate all’ente da un rapporto d’impiego. In caso affermativo, oltre che funzionari saranno anche pubblici impiegati; qualora, invece, manchi il collegamento stabile con l’ente saranno funzionari onorari. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. Gli organi possono essere classificati in base a vari criteri. In base alla loro struttura abbiamo: 25 a) organi individuali, che sono costituiti da una sola persona e collegiali che sono costituiti da una pluralità di persone, che agiscono, però, come una unità; b) organi semplici, che costituiscono un’attività indivisibile o organi complessi che risultano composti da più organi. Con riferimento alle loro attribuzioni abbiamo: a) organi esterni, che hanno il compito di manifestare la volontà dell’ente ed organi interni, che esauriscono la loro attività entro la sfera giuridica dell’ente; b) fra gli organi esterni si distinguono gli organi primari che hanno per legge una propria competenza e gli organi secondari, destinati a sostituire altri organi in caso di assenza o di impedimento del titolare di quest; c) organi centrali, se la loro competenza si estende a tutto il territorio dello stato o locali se è invece territorialmente delimitata; d) organi attivi, portano ad esecuzione la volontà dell’ente; consultivi, che esercitano funzioni di apprezzamento tecnico mediante pareri; di controllo, che accertano la conformità degli atti degli organi attivi alle norme di legge (controllo di legittimità) od anche alla convenienza amministrativa (controllo di merito), oppure al raggiungimento degli obiettivi valutando costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa (controllo di gestione). Con riferimento della loro formazione: organi rappresentativi o non rappresentativi, secondo che siano o non in collegamento con il popolo attraverso l’istituto della rappresentanza politica. Con riferimenti infine alla loro posizione giuridica: organi direttivi che esercitano funzioni di amministrazione attiva e non hanno superiori gerarchici ed organi dipendenti, che sono gerarchicamente subordinati ai primi. Infine abbiamo gli organi costituzionali quegli organi dello Stato che posti al vertice dell’organizzazione statale, si trovano in una posizione di indipendenza e di parità giuridica fra loro. Essi sono indefettibili, nel senso che la loro presenza nell’ordinamento caratterizza la forma di governo, laddove il loro venir meno provocherebbe un mutamento dell’assetto costituzionale dei poteri. Nel nostro ordinamento sono organi costituzionali il Presidente della Repubblica, le Camere, il Governo e la Corte costituzionale. Altri organi che assumono rilevanza costituzionale nel nostro ordinamento sono: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. 20. Gli atti giuridici e la loro classificazione. Gli atti in senso proprio si caratterizzano per l’elemento della volontà e, una volta emanati, possono essere presi in considerazione dall’ordinamento non più come tali bensì come fatti. A noi qui interessano gli atti dei pubblici poteri. Lo Stato e gli altri anti pubblici svolgono le loro funzioni prevalentemente mediante attività ed atti di diritto pubblico che assumono una forma tipica: la legge, il decreto, la sentenza. L’’attività dei pubblici poteri si svolge anche mediante tutta una serie di atti che sono preparatori all’emanazione dell’atto definitivo. Mentre la funzione risulta essere l’attività complessiva diretta alla produzione degli atti dello stato, l’attività è diretta all’esercizio di una funzione. Nel diritto amministrativo abbiamo una distinzione tra provvedimenti amministrativi ed atti amministrativi strumentali e ci è definito. Il provvedimento è ad esempio una concessione, un’autorizzazione e l’atto strumentale è ad esempio un parere o una richiesta. Gli atti giuridici sono classificati in atti semplici (individuali e collegiali), atti composti (reiterati e complessi) e atti collettivi. Si dicono atti semplici quelli posti in essere o da un solo soggetto o da un solo organo, e possono essere sia individuali che collegiali; gli atti composti si distinguono in reiterati e complessi. Sono atti reiterati quelli per la cui formazione si richiede più di una manifestazione di volontà da parte dello stesso organo (la legge costituzionale che deve avere una doppia deliberazione da parte di ciascuna 26 Camera); sono complessi quelli risultanti dalla fusione della volontà di più organi, volontà che può essere espressa mediante o un atto individuale o un atto collegiale. Ad esempio la legge formale è un atto formato con due distinte deliberazioni dai due rami del Parlamento. Gli atti collettivi risultano composti anch’essi dal concorso di più volontà; solo che, mentre nell’atto complesso le volontà si fondono, nell’atto collettivo restano distinte, unica essendo soltanto la manifestazione. Un esempio è un ordine dato da più ministri al personale dipendente. La meggior parte degli atti giuridici vengono a formazione in seguito ad un procedimento. Il procedimento è una figura di teoria genarle che sta ad indicare il modo della formazione di un atto quando questa risulti preceduta da una serie di atti e attività fra di loro funzionalmente collegati 21. Gli atti giuridici: a) perfezione, validità, efficacia; b) vizi. L’atto giuridico si dice perfetto quando è completo di tutti i suoi elementi intrinseci, strutturali e funzionali (la legge ad esempio è un atto giuridico perfetto quando ha esaurito il suo procedimento di formazione e sono presenti tutti i suoi elementi costitutivi). La mancanza di un requisito essenziale dell’atto ne provoca l’inesistenza, o meglio la nullità. Un atto giuridico si dice valido quando i suoi elementi costitutivi, oltre ad essere tutti presenti, sono anche regolari, cioè non viziati. I vizi degli atti possono essere di due tipi: di legittimità e di merito.  I vizi di legittimità si hanno quando l’atto non è conforme al suo modello legale e si distinguono in: incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge.  Si ha l’incompetenza quando l’atto è posto in essere da un soggetto diverso da quello previsto per il modello legale; l’incompetenza può essere di due gradi: assoluta quando il soggetto agente appartiene ad un ramo diverso dell’amministrazione e relativa, quando il soggetto agente appartiene allo stesso ramo dell’amministrazione; si ha il vizio di incompetenza anche quando l’atto viene emanato da un organo appartenente ad un ente diverso da quello legittimato. L’eccesso di potere è un vizio che attiene alla funzione tipica dell’atto e si ha quando l’atto è posto in essere per eseguire un fine diverso da qu8ello previsto dalla disposizione normativa o anche quando non è idoneo a perseguire il fine stesso. La violazione di legge si ha quando l’atto è contrario alla legge sia nell’aspetto formale sia nell’aspetto contenutistico, cioè quando il contenuto dell’atto è contrario alla legge e più in generale quando il vizio non attenga né all’incompetenza ne all’eccesso di potere. L’atto si dice, infine, efficace quando è in grado di spiegare i suoi effetti. SEZIONE III: LA COSTITUZIONE DELLO STATO 22. Concetto e “tipi” di costituzione. La Costituzione è l’assetto fondamentale dello Stato. Nelle sue norme e nella sua struttura trovano espressione i valori e le esigenze del gruppo, il fine che il gruppo si propone di raggiungere e l’apparato autoritario che un qualsiasi gruppo sociale si è dato per il conseguimento del fine e per garantire l’osservanza delle regole sociali. La Costituzione è il frutto dell’ideologia dominante in un dato momento storico e del modo in cui, di conseguenza, sono venuti a comporsi i rapporti fra le varie parti della società statale. 27 c) o anche in maniera decentrata, consentendo, che le società intermedie a carattere politico ed i singoli individui possano concorrere a determinare l’indirizzo politico dello stato e ad evidenziare le esigenze della collettività (democrazia decentrata o pluralista). Tutte e tre queste forme di partecipazione del popolo al governo dello Stato sono state disciplinate e garantite nella nostra costituzione. Affinché l’azione dei governanti sia conforme alla volontà dei governati: a) la democrazia rappresentativa, rende elettivi da parte di tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età, gli organi del potere legislativo e collega ai rappresentanti del popolo attraverso l’istituto della fiducia; b) per quanto riguarda la democrazia diretta, vengono istituiti gli istituti del referendum abrogativo delle leggo ordinarie, il referendum costituzionale e dei referendum in materia di creazione, fusione o modifiche territoriali; c) per quanto riguarda, infine, la democrazia decentrata o pluralista, si dà ai cittadini associati in partiti politici del potere di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale e autotutelare gli interessi della categoria alla quale appartengono. Oltre che dei partiti e dei sindacati occorre far menzione dei “gruppi di pressione” (economica, politica, religiosa ecc.) , la cui attività sfugge ad ogni disciplina formale. Poi abbiamo le altre società intermedie fra il cittadino e lo Stato: la famiglia, le associazioni culturali, politiche ecc., insomma tutte quelle formazioni sociali in cui l’uomo svolge la sua personalità e si realizza la c.d “partecipazione democratica” Né sono da sottovalutare i fenomeni dell’associazionismo spontaneo, quale espressione di uno stato di insoddisfazione nei confronti delle strutture attuali della società. Nella nostra Costituzione vengono sempre tutelati il diritto di riunione, di associazione e della libera espressione del pensiero. Il carattere democratico del nostro stato è completato dall’ampio riconoscimento del principio di eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale (art. 3) che assicura ai cittadini la parità di trattamento giuridico ed impegna la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”. 27. Lo stato fondato sul lavoro. Il lavoro rappresenta il valore-base dell’ordinamento e nessun criterio di differenziazione fra i cittadini è ammesso se non quello dei meriti che ciascuno si acquista con il proprio lavoro. 28. Lo Stato sociale. Lo Stato sociale è uno stato che pur conservando i tradizionali istituti della proprietà privata e della libertà della iniziativa economica privata, li considera non più come un mito che ha valore intangibile e ritiene necessario intervenire nel settore dei rapporti economici per coordinare l’attività economica ed indirizzarla al raggiungimento di un maggiore benessere comune. Le norme costituzionali prendono atto, della realtà preesistente e si suppongono di modificarla affinché possano essere raggiunti alcuni fini: fini sociali (art. 41), fini di utilità generale (art. 43), razionale sfruttamento del suolo e stabilimento di equi rapporti sociali (art. 44). Occorre ora ricordare un altro articolo della Costituzione, l’art. 2, perché da esso risulta che l’elemento umano è posto in piena evidenza nella nostra costituzione. Il singolo non sempre ha la possibilità di partecipare direttamente al governo della cosa pubblica: è necessario quindi che elabori nelle società intermedie le sue esigenze e che queste ultime le proiettino facnedole divenire interessi pubblici al livello dei governanti. Gli strumenti predisposti dal legislatore costituzionale per realizzare il processo di sviluppo sono almeno tre: la programmazione (art. 41, ultimo comma); l’espropriazione di imprese e categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali (art. 43); la riforma agraria (art. 44). 30 In una società come la nostra, alla programmazione può essere assegnata soltanto la funzione di indirizzare e coordinare a fini sociali l’attività economica pubblica e privata. 29. Lo Stato parlamentare. La norma costituzionale che definisce la nostra forma di governo come parlamentare è contenuta nell’art. 94 comma I, il quale dispone che “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”. Il tipo di governo parlamentare delineato nella nostra costituzione si può definire “a tendenza equilibratrice” e si ha quando ha assegnata la prevalenza, essendo essi chiamati ad operare in condizioni di parità, pur nella distinzione dei ruoli loro propri. I poteri attribuiti al Parlamento fanno si che esso abbia una posizione di centralità nell’intero sistema. Le camere partecipano attivamente alla direzione politica dello Stato e svolgono un’attività di controllo sugli organi dell’apparato esecutivo. 33. Le disposizioni costituzionali. Le disposizioni contenute nella nostra Costituzione non hanno tette la medesima natura: con l’art. 55 si da vita ad un organo dello stato (il Parlamento) e si stabilisce la sua composizione; con l’art. 21 si regolano i rapporti tra lo Stato e i cittadini, attribuendo a questi un diritto soggettivo; con l’art. 3 si riconosce come costituzionalmente rilevante, una determinata situazione (l’eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini) e la si pone come fine da raggiungere. Volendo dare una qualificazione a questi tre tipi di disposizioni, le definiremo rispettivamente: istitutive o organizzative, precettive, programmatiche. Esse devono essere poste sullo stesso piano, in quanto costitutive dell’ordinamento statale. Se vuol farsi una differenziazione tra le disposizioni che convenzionalmente si definiscono precettive e quelle che convenzionalmente si definiscono programmatiche questa va fatta tenendo presente che il precetto contenuto nelle prime si indirizza a tutti i soggetti dell’ordinamento statale mentre il precetto contenuto nelle seconde si indirizza agli organi dello Stato complessivamente considerato ed in particolare al legislatore. 34. La Costituzione vigente. Nella Costituzione vigente è stata attuata la parte organizzativa ma non quella programmatica. Per questo sorgono seri dubbi sul valore vincolante delle disposizioni programmatiche. Si può osservare che l’affermarsi di prassi, convenzioni consuetudini contra constitutionem, il permanere di leggi costituzionalmente illegittime, e la mancata emanazione di altre hanno finito per dar vita ad una costituzione effettivamente vigente in netta antitesi in alcune sue parti con quella scritta. Solo che il divario non sempre può risolversi a favore della prima in considerazione della sua effettività. In particolare poi una visione d’insieme dei caratteri del nostro stato secondo la costituzione effettivamente vigente porta a far salve la natura repubblicana e la sua vocazione internazionalistica ma si può affermare che il nostro stato non è ancora fondato sul lavoro, data la persistenza di larghe sacche di disoccupazione e di sottoccupazione. Quanto al carattere parlamentare, esso ha trovato attuazione non sempre in maniera conforme alla costituzione, ma resta da dimostrare che l’effettivo potere di direzione politica risieda nel raccordo Parlamento-governo e non, piuttosto, in entità sociali come partiti o i gruppi di interesse organizzati, estranee all’apparato governante. Il decentramento dello stato di è realizzato con la creazione delle Regioni di diritto comune. La piena attuazione del carattere non confessionale dello stato richiederebbe che il precetto costituzionale venisse reso operante sia completando la disciplina legislativa dei rapporti fra lo Stato e le confessioni 31 cattoliche, sia eliminando le residue discriminazioni sul piano legislativo fra religione cattolica e culti acattolici. PARTE SECONDA: L’ORDINAMENTO DELLO STATO ITALIANO CAPITOLO PRIMO: IL POTERE LEGISLATIVO SEZIONE I: LA FORMAZIONE DELLE CAMERE 1. Il bicameralismo Il potere legislativo è attribuito in Italia al Parlamento che a norma dell’art. 55 Cost. è definito un organo complesso perché formato da due organi collegiali: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. La Costituzione ha dunque adottato il sistema bicamerale che è il sistema più diffuso negli Stati di democrazia classica, alcuni soltanto dei quali hanno affidato il potere legislativo ad una sola camera (unicameralismo). Il bicameralismo è proprio degli Stati federali, nei quali, accanto ad una Camera che rappresenta l’intero popolo, è stata posta una seconda Camera che rappresenta i singoli Stati membri. Si parla di bicameralismo imperfetto o limitato quando le due Camere non sono in posizione di parità. A favore del bicameralismo perfetto vi è la considerazione che le leggi, dovendo essere sottoposte all’approvazione di due distinte assemblee, risultano elaborate con maggiore accuratezza e riflessione. 2. Il Parlamento in seduta comune Il Parlamento in seduta comune dei membri delle due Camere è un organo a sé stante e, più specificamente, un organo collegiale che esercita funzioni di diversa natura tassativamente indicate nella Costituzione. I casi in cui il parlamento si riunisce in seduta comune sono:  L’elezione e il giuramento del Presidente della Repubblica;  La messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica;  L’elezione di 1/3 dei componenti di Consiglio superiore della magistratura, di 5 giudici costituzionali e la compilazione ogni nove anni di un elenco di persone fra le quali sono sorteggiati, in caso di necessità, i 16 giudici aggregati alla Corte costituzionale per i giudizi in materia penale. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della camera dei deputati, ed il regolamento della Camera è applicato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune, ma è sempre fatta salva la facoltà delle Camere riunite di stabilire norme diverse. Un’altra questione è se il Parlamento in seduta comune sia un collegio perfetto (legittimato cioè a discutere prima di deliberare) o imperfetto (vale a dire legittimato a deliberare senza discutere). A favore della tesi del collegio perfetto vi è la necessità che l’organo si dia un regolamento, si può invocare un principio di carattere generale, per cui ogni deliberazione degli organi di direzione politica deve essere preceduta dalla discussione. 3. Elezioni ed ordinamento democratico. In una società democraticamente ordinata, i governanti devono essere espressi dai governati ed il governo dev’essere un governo di estrazione popolare. E poiché “democrazia”, esprime glia solo per questo il concetto di elettività, nella nostra Costituzione, si è dato largo posto al sistema selettivo mediante elezione per la formazione degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale dello Stato-governo. 32 È personale, perché il diritto di voto dev’essere esercitato personalmente a meno che non si tratti di elettori fisicamente impediti che esercitano il diritto elettorale con l’aiuto di un elettore della propria famiglia o di un altro elettore che sia stato volontariamente scelto come accompagnatore. È uguale, nel senso che ciascun voto ha lo stesso valore di tuti gli altri. E tuttavia il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto può essere violato in seguito ad una non corretta ripartizione dei seggi fra le circoscrizioni. È libero nel senso che non solo le leggi elettorali ma anche l’intero ordinamento devono impedire che l’elettore subisca forma alcuna di pressione o di coazione a favore di un partito o di un candidato. Ed è segreto proprio per assicurare la libertà. L’esercizio del voto è un dovere civico ciò, però, non vuol dire che sia obbligatorio. 8. Il procedimento elettorale e l’assegnazione dei seggi Con la legge n.270 del 2005 è stato reintrodotto in Italia il sistema proporzionale. Essa prevedeva, però, la correzione del proporzionalismo mediante “premi di maggioranza”, da assegnarsi con metodi diversi per la Camera e il Senato. Il nuovo sistema elettorale è a “liste bloccate”, nel senso che l’elettorale può votare solo per le liste di candidati ma non può indicare alcuna preferenza. Le disposizioni introdotte con questa legge sono state, in parte, dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con la sent. n.1 del 2014. Incostituzionali sono state dichiarate le norme delle leggi elettorali di Camera e Senato nella parte in cui non consentivano all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Ciò ha fatto si che il sistema elettorale della Camera e del Senato diventasse un proporzionale puro, con la possibilità di esprimere un’unica preferenza. Successivamente il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale, n.52 del 2015, relativa alla sola Camera dei deputati che prevedeva la trasformazione del Senato in una camera delle autonomie territoriali, non eletta direttamente dal corpo elettorale. Questo nuovo sistema elettorale manteneva l’impianto proporzionale disponendo l’attribuzione di un premio di maggioranza alla lista (non più alla coalizione) che, al primo turno, avesse ottenuto almeno il 40% dei voti. Nel caso di mancato raggiungimento di questa soglia sarebbero state ammesse al ballottaggio le prime due liste e alla vincente sarebbe stato assegnato il premio di maggioranza. Anche su questa legge è, però, intervenuta la Corte costituzionale che con la sent. n.35 del 2017 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione di un turno di ballottaggio all’esito del quale era prevista l’assegnazione di un premio di maggioranza. Una lista avrebbe potuto accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo e, ciò nonostante, ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi. Era rimasta inalterata la previsione del solo capolista “bloccato”, con la possibilità di esprimere fino a due preferenze per gli altri candidati della stessa lista. Era stata, invece, dichiarata illegittima la norma che consentiva al deputato eletto di scegliere il collegio di elezione. La legge n.165 del 2017 prevede un sistema misto, sia alla Camera sia al Senato, nel senso che i 3/8 dei seggi sono assegnati in altrettanti collegi uninominali con un sistema maggioritario, mentre i restanti 5/8 sono assegnati in collegi plurinominali con un sistema proporzionale. Ad essi si aggiungono 12 deputati e 6 senatori eletti nella circoscrizione estero. Il procedimento elettorale per le due camere si apre con il decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri che indice le elezioni. La seconda fase del procedimento riguarda la formazione e la presentazione delle liste dei candidati. Queste ultime sono presentate dai partiti e dai gruppi politici organizzati, che devono depositare presso il Ministero dell’interno, il contrassegno con il quale dichiarano di voler distinguere le liste. I partiti o i gruppi politici organizzati possono dichiarare il collegamento in una coalizione nelle liste che deve essere reciproco ed effettuato contestualmente al 35 deposito del contrassegno. Contestualmente depositano il programma elettorale, nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica. Nei collegi uninominali ciascuna lista presenta un singolo candidato e le liste collegate presentano il medesimo candidato. Nei collegi plurinominali di Camera e Senato ciascuna lista è composta da un elenco di candidati presentati secondo un determinato ordine numerico. Non può essere inferiore a 2 ne superiore a 4. La dichiarazione di presentazione delle liste di candidati per l’attribuzione dei seggi nel collegio plurinominale deve essere sottoscritta da almeno 1500 e da non più di 2000 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nel medesimo collegio plurinominale. In caso di scioglimento delle Camere il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà. La campagna elettorale dura sino al giorno precedente a votazione ed è regolata da leggi che hanno l’intento di assicurare la par condicio fra i candidati in modo che siano assicurate la parità di trattamento, la completezza e l’imparzialità dell’informazione. Le operazioni di votazione in occasione delle consultazione elettorali o referendarie si svolgono nella sola giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23. In ciascuna sezione è costituito un seggio elettorale composto da un presidente, quattro scrutatori, di cui uno, a scelta del presidente, assume le funzioni di vicepresidente, e da un segretario. L’elezione del Senato avviene su base regionale. I candidati eletti deputati entrano nel pieno esercizio delle loro funzioni all’atto della proclamazione. Sia alla Camera sia al Senato, nel caso in cui un seggio in un collegio uninominale rimanga vacante, si procede alle elezioni suppletive. Nel caso in cui un seggio rimanga vacante in un collegio plurinominale il seggio è attribuito al primo dei non eletti. 9. Differenziazione fra le due Camere Le principali differenze tra le due camere sono: a) È richiesta un’età diversa per l’acquisto del diritto di elettorato attivo e del diritto di elettorato passivo; b) La Camera dei deputati è composta da 630 membri; il senato da 315, più i senatori di diritto ed a vita; c) Il rapporto rappresentativo (vale a dire il numero disabitanti corrispondenti ad un seggio di una assemblea elettiva) è più elevato per il senato, essendo il numero dei senatori la metà di quello dei deputati; d) La Camera dei deputati è interamente elettiva mentre del senato fanno parte anche i senatori di diritto e a vita. Altri tratti distintivi sono poi contenuti nei regolamenti parlamentari. Ben diversa avrebbe potuto essere, invece, la differenziazione fra le due Camere se in Assemblea costituente fosse stata accolta la proposta di stabilire un collegamento stabile ed istituzionale fra lo Stato e le Regioni. La formula alla fine adottata fu invece quella del Senato eletto “a base regionale”. “Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sette, il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.” 10. Ineleggibilità ed incompatibilità parlamentari In caso di ineleggibilità il legislatore esclude alcune categorie di persone che ricoprono determinati uffici dall’elezione all’ufficio di deputato o senatore, mentre in caso di incompatibilità per i componenti altre categorie è stato stabilito che essi non possano ricoprire contemporaneamente all’ufficio di parlamentare un altro ufficio e debbano pertanto scegliere fra i due. 36 Le persone colpite da cause di ineleggibilità possono essere distinte in tre gruppi:  Persone che ricoprono determinati uffici, avvalendosi dei quali potrebbero esercitare a loro favore pressioni su alcuni elettori;  Persone che abbiano impiego da governi esteri al dine di impedire possibili interferenze nello svolgimento delle elezioni;  Persone che sono legate allo Stato da particolari rapporti economici, in modo da evitare che i loro interessi personali possano interferire con lo svolgimento del mandato parlamentare. A tali categorie vanno aggiunti i giudici della Corte costituzionale e i magistrati. Per quanto riguarda le cause di incompatibilità, alcune di esse sono previste nella stessa Costituzione ed altre nella legge 13 febbraio 1953, n. 60, diretta ad impedire che i membri del parlamento ricoprano cariche in enti controllati dallo Stato. Poi abbiamo l’incandidabilità, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato o senatore:  Coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti, consumati o tentati, previsti dall’art.51 del codice di procedura penale;  Coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione inferiore a quattro anni. 11. La verifica delle elezioni Appena proclamato eletto, il parlamentare assume immediatamente la qualità di deputato o senatore e può esercitare le funzioni inerenti al suo ufficio. La sua elezione viene sottoposta ad un controllo sia sotto il profilo della sussistenza dei requisiti per la validità dell’ammissione all’ufficio, sia sotto il profilo della regolarità delle operazioni elettorali. Tale controllo è esercitato da una commissione permanente costituita presso ciascuna Camera, che prende il nome di Giunta delle elezioni alla Camera e Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari al Senato ed i cui componenti sono scelti dai relativi presidenti. La verifica delle elezioni si svolge attraverso due fasi, una necessaria (controllo di deliberazione) ed una eventuale (giudizio di contestazione). Il controllo di deliberazione mira ad accertare la validità della elezione secondo il duplice profilo sopra esaminato; se la giunta, invece ritiene l’elezione non regolare, la contesta. In seguito alla contestazione si inizia la seconda fase che si svolge innanzi alla Giunta, e che si conclude con una deliberazione della medesima a favore o contro la convalida, e l’intera assemblea che decide definitivamente, a scrutinio segreto, se convalidare o meno l’elezione. SEZIONE II: LO STATUS SI MEMBRO DEL PARLAMENTO 15. Divieto di mandato imperativo L’art. 67 Cost. dispone che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il parlamentare non può ricevere dagli elettori del suo collegio disposizioni vincolanti circa il modo in cui deve svolgere il suo mandato; anche se egli sarà portato a rendersi interprete anche delle esigenze e dei bisogni del suo elettorato. 37 Ogni gruppo parlamentare è composto da almeno 20 deputati mentre al senato ciascun gruppo deve essere composto da almeno 10 senatori e deve rappresentare un partito o un movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno. Al gruppo misto aderiscono gli indipendenti ed i parlamentari la cui forza numerica non è sufficiente a formare un gruppo. Possono essere formate componenti di consistenza inferiore in numero non minore di 3, i quali rappresentino un partito o un movimento politico la cui esistenza risulti in forza di elementi certi ed inequivoci. Ogni gruppo si da un’organizzazione interna con la nomina di un presidente, di uno o più vicepresidenti, in un comitato direttivo (alla Camera), di uno o più segretari (al Senato) e con l’approvazione di un proprio statuto (alla Camera) o di un proprio regolamento (al Senato). Ai gruppi parlamentari è assicurata la disponibilità di locali e attrezzature delle Camere e vengono assegnati contributi a carico del bilancio delle Camere stesse. Le commissioni permanenti sono organi interni delle Camere composte, di regola, in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari. Ogni commissione riproduce, la composizione politica delle camere; ciò perché svolgono funzioni di grande rilievo ed è quindi necessario che esse corrispondano agli orientamenti politici dell’intera Assemblea. In particolare alla camera ciascun gruppo parlamentare subito dopo la costituzione, designa i propri componenti nelle commissioni permanenti ripartendoli in numero eguale in ciascuna commissione. Le commissioni sono in numero di quattordici sia alla Camera sia al senato, si distinguono in ragione della loro competenza per materia e riproducono la suddivisione dell’amministrazione centrale dei ministeri. I compiti delle commissioni sono quelle di riunirsi in sede referente per l’esame delle questioni sulle quali devono riferire all’Assemblea; in sede consultiva per esprimere pareri; in sede legislativa per l’esame e l’approvazione dei progetti di legge; in sede redigente per la formulazione degli articoli di un progetto di legge. Esse si riuniscono inoltre per ascoltare e discutere comunicazioni del Governo nonché per esercitare le funzioni di indirizzo, di controllo e di informazione e per presentare all’Assemblea, di propria iniziativa relazioni e proposte sulle materie di loro competenza. Dalle commissioni permanenti si distinguono le giunte sia per la specificità dei loro compiti sia per il modo di composizione. Tali giunte sono: alla Camera, la giunta per il regolamento, la giunta delle elezioni, la giunta per le autorizzazioni; al Senato, la giunta per il regolamento e la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Oltre alle commissioni permanenti ed alle giunte, sono da ricordare le commissioni d’inchiesta e le deputazioni che sono organi straordinari creati ogni qualvolta se ne presenti la necessità. Esse devono essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari. 22. Gli organi bicamerali Sono organi composti pariteticamente da deputati e senatori e collegati, strutturalmente e funzionalmente, con l’ordinamento delle Camere. La costituzione non prevede espressamente tale categoria di organi; d’altra parte essa ne istituisce uno (la commissione di deputati e senatori per le questioni regionali), e non esclude che le inchieste parlamentari possano essere svolte contiguamente alle due camere. Quanto ai modi di formazione degli organi in esame, le perplessità riguardano l’invasione della sfera di competenza riservata a ciascuna Camera dall’art. 64 Cost. mediante la previsione contenuta nella legge istitutiva di tutta una serie di norme relative al numero ed alla qualità dei componenti, alle procedure da seguire, ecc.; pur se è da osservare che nella prassi, le relative disposizioni legislative vengono in buona misura disattese o ricondotte alle norme regolamentari. Anche in questo caso si potrebbe rilasciare 40 all’autonomia di ciascuna Camera. Infine è da mettere in rilievo la difficoltà di conciliare, nella composizione degli organi bicamerali, il criterio della proporzionalità con quello della rappresentatività, a meno che non si voglia aumentare oltre misura il numero dei componenti. L’art. 26 R.S. dispone al riguardo che gli organi bicamerali debbono essere composti in modo da assicurare la rappresentanza del maggior numero di gruppi parlamentari costituiti nei due rami del Parlamento. Fra gli organi bicamerali più importanti possono ricordarsi: la commissione parlamentare per le questioni regionali; la commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. 23. La legislatura; la decadenza dei progetti di legge; la prorogatio; la convocazione. Con il termine legislatura si indica il periodo che va dalla prima riunione delle Assemblee al giorno del loro scioglimento normale o anticipato (ad opera del Presidente della Repubblica che però non può farlo negli ultimi sei mesi del suo mandato). Con la fine della legislatura decadono tutti i progetti di legge che non siano stati ancora approvati da entrambi i rami del Parlamento, che dovranno essere ripresentati alle nuove Camere per poter essere presi nuovamente in esame. Tuttavia, i regolamenti parlamentari hanno adottato una formula di compromesso secondo la quale se i progetti decaduti sono ripresentati entro sei mesi dall’inizio della nuova legislatura nell’identico testo già approvato possono essere riesaminati con una procedura d’urgenza. Unica eccezione al principio della decadenza riguarda i progetti di legge di iniziativa popolare, per il cui riesame non è richiesta una nuova presentazione all’inizio della legislatura. A norma dell’art. 61 Cost., “Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” (la prorogatio). Il fine della prorogatio è quello di evitare ogni soluzione di continuità fra le Camere scadute o anticipamene sciolte e quelle neo-elette. Le Camere, in regime di prorogatio, devono attenersi alla normale amministrazione costituzionale. Esse potranno svolgere la funzione legislativa, qualora questa abbia i caratteri dell’indifferibilità o dell’urgenza come nei casi dei decreti-legge per la loro conversione in legge. Le Camere sono convocate di diritto:  Non oltre il ventesimo giorno delle elezioni in una data fissata nel decreto del Presidente della Repubblica che indice le elezioni;  Il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre;  Quando una camera si riunisce in via straordinarie è convocata di diritto anche l’altra, e ciò per permettere il contemporaneo svolgersi dei lavori delle due camere. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti e su mozione di aggiornamento quando l’assemblea, sospendendo i lavori, indica la data della loro ripresa. 24. Il funzionamento: la pubblicità delle sedute; il numero legale; la determinazione della maggioranza; i sistemi di votazione; l’ordine del giorno; la programmazione dei lavori. Le sedute delle Camere sono pubbliche, ma ciascuna delle due Camere o il Parlamento in seduta comune possono deliberare di riunirsi in seduta segreta. La pubblicità delle sedute si attua ammettendo il pubblico ad assistere da apposite tribune, sia con la pubblicazione degli atti parlamentari e sia nella forma della trasmissione televisiva. Perché le deliberazioni di ciascuna Camera e del parlamento in seduta comune siano valide è necessaria la presenza alla seduta della maggioranza dei loro componenti (numero legale). Il numero legale è sempre 41 presunto, a meno che ne richiedano la verifica venti deputati e dodici senatori, e sempre che l’Assemblea stia per decidere con una votazione per alzata di mano. Le deliberazioni di ciascuna camera del parlamento in seduta comune non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti (maggioranza semplice), salvo che la Costituzione prescriva la maggioranza assoluta, cioè la metà più uno dei componenti l’assemblea, o una maggioranza qualificata, cioè una percentuale elevata dei componenti l’assemblea (i 2/3, i 3/5 ecc.). Gli astenuti sono coloro che non votano né a favore né contro. Sono considerati assenti, mentre al Senato vengono calcolati ai fini della determinazione della maggioranza e dunque sono considerati presenti. Le votazioni delle camere possono essere palesi o segrete. La votazione palese può avvenire per alzata di mano; per divisione in due distinti settori dell’aula per favorevoli e contrari; con procedimento elettronico; per appello nominale. La votazione segreta può avvenire per schede; a scrutinio segreto. Va detto al riguardo che il voto segreto offre il vantaggio di consentire la libera espressione della propria volontà da parte del votante; di contro si sostiene che la segretezza del voto offre l’opportunità di sottrarsi alla rigida disciplina di partito. Le Camere non possono discutere o deliberare sopra materie che non siano all’ordine del giorno (reso noto almeno il giorno precedente alla seduta) e ciò secondo una regola democratica, secondo la quale bisogna conoscere gli argomenti sui quali si è chiamati a deliberare. Le Camere dovrebbero organizzare i propri lavori secondo il metodo della programmazione. Alla Camera il programma dei lavori dell’assemblea per non oltre tre mesi, è predisposto, con una maggioranza pari ad almeno i tre quarti dei componenti della camera stessa. Al Senato il progetto del programma è predisposto ogni due mesi dal Presidente, presi gli opportuni contatti con il Presidente della Camera e con il Governo ed è adottato all’unanimità dalla conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari. 25. Gli “interna corporis” Per interna corporis si intendono gli atti e le attività compiuti all’interno delle camere. Il problema che sorge al riguardo è quello della loro sindacabilità da parte di organi esterni. Essa viene esclusa sulla base della speciale posizione di indipendenza costituzionale degli organi legislativi da cui deriva. La Corte costituzionale ha, però, affermato la sua competenza tutte le volte in cui si tratti di accertare l’osservanza delle norme costituzionali sul procedimento di formazione delle leggi. In particolare, la corte ha deciso che spetta ad essa accertare se il testo di una legge, sia effettivamente conforme al testo approvato dalla stessa Camera. SEZIONE IV: LA FUNZIONE LEGISLATIVA DELLE CAMERE Secondo il principio della separazione dei poteri spetta alle camere di emanare le norme costitutive dell’ordinamento giuridico dello Stato, però anche il Governo può porre in essere atti contenenti norme giuridiche, mentre, a loro volta, le Camere svolgono attività e funzioni che non possono essere ricondotte nell’ambito della funzione legislativa. Le norme giuridiche poste in essere dalle Camere sono contenute in atti (che assumono il nome di leggi formali) dotati di una particolare efficacia, consistente nella idoneità a innovare l’ordine legislativo preesistente, sia integrandolo mediante la posizione di nuove norme, sia modificandolo, mediante 42 I lavori delle commissioni contemplano pubblicità prevista nei regolamenti delle Camere ed implicano oltre che con la pubblicazione di un resoconto stenografico anche l’ammissione della stampa e del pubblico. Il procedimento decentrato non può essere adottato per i progetti di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi. 30. c) il procedimento misto. Le commissioni legislative possono svolgere i loro lavori in sede redigente. Il procedimento misto consiste in una suddivisione del lavoro legislativo fra la commissione e l’assemblea. Secondo l’art. 96 l’Assemblea può decidere di definire alla competente commissione permanente o speciale la formulazione, degli articoli di un progetto di legge, riservando a sé medesima l’approvazione. Diversa è la disciplina prevista nell’art. 36 R.S., a norma del quale il Presidente può, dandone comunicazione al Senato, accennare in sede redigente alle commissioni permanenti od a commissioni speciali progetti di legge per la deliberazione dei singoli articoli, riservando all’Assemblea la votazione finale con sole dichiarazioni di voto. 31. Alcune considerazioni sulla fase costitutiva Alla fine dell’esame della fase costitutiva del procedimento di formazione della legge ordinaria, appaiono opportune alcune considerazioni. Le Camere devono approvare il progetto di legge nel medesimo testo; ne deriva che se una camera apporta al progetto già approvato dall’altra degli emendamenti, il progetto stesso dovrà ritornare alla Camera che lo ha approvato per prima perché anche questo approvi a sua volta gli emendamenti (le c.d. navette). Secondo le disposizioni dei regolamenti parlamentari, i Presidenti delle Camere possono disporre che su un progetto di legge assegnato ad una commissione sia sentito il parere di un'altra commissione. 32. il procedimento di formazione della legge ordinaria: C) la promulgazione. La legge approvata da ambedue le Camere viene trasmessa, a cura del Presidente della Camera che l’ha approvata per ultima, al Presidente della Repubblica per la promulgazione. La promulgazione si distingue dalla sanzione perché la sanzione si concretava in una vera e propria approvazione regia della proposta di legge; mentre la promulgazione non attiene alla fase dell’approvazione bensì a quella dell’integrazione dell’efficacia. La promulgazione delle leggi deve avvenire entro un mesa dall’approvazione e consiste in un decreto del Presidente della Repubblica:  Attesta che la legge è stata approvata dalle Camere;  Dichiara la sua volontà di promulgare la legge;  Ordina la pubblicazione della legge e vi appone la clausola esecutiva. Avvalendosi del potere conferitogli dalla Costituzione egli può rinviare alle Camere accompagnandola con un messaggio nel quale esporrà i motivi per cui ha ritenuto di non dover promulgare, e chiedere una nuova deliberazione. Con il rinvio della legge alle Camere, il Presidente della Repubblica esercita sulla stessa un controllo che può essere di legittimità costituzionale formale o sostanziale. Questo atto non ha valore definitivo e decisivo giacchè le Camere sono libere di accogliere o meno i rilievi del Presidente della Repubblica. Pertanto, se le Camere dovessero riapprovare la legge nel medesimo testo 45 il Presidente della Repubblica dovrà promulgarla di modo che, fra la valutazione del Presidente e quella delle Camere, finisce col prelevare quest’ultima. 33. La pubblicazione della legge. La pubblicazione della legge avviene ad opera del ministro della giustizia (guardasigilli) e consiste nella inserzione del testo della Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e nella pubblicazione dello stesso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, queste operazioni sono precedute dell’apposizione, da parte del ministro, del visto e dal “gran sigillo dello stato”. L’inserzione nella Raccolta è disposta in funzione della certezza del diritto, mentre la pubblicazione nella Gazzetta vale solo ai fini della conoscenza. Alla pubblicazione delle leggi si deve provvedere “subito dopo la promulgazione” vale a dire senza alcun indugio oltre i limiti di tempo strettamente necessari per le operazioni di cui si è detto. La legge entra in vigore nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; a meno che la legge stessa non prescriva un termine minore o maggiore. Pubblicata la legge nella Gazzetta Ufficiale, sorge la presunzione assoluta che tutti i suoi destinatari la conoscano, per cui essi sono tenuti comunque ad osservarla e non possono invocare a loro scusarne il fatto di non aver preso visione del testo ( ignorantia legis non excusat). La data della legge è quella del decreto di promulgazione, il numero quello della sua inserzione della Raccolta ufficiale. 34. Il procedimento di formazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali. Le leggi ordinarie non possono modificare la Costituzione, essendo necessaria una legge approvata con una procedura aggravata, che assume il nome di “legge costituzionale”. Tale procedura ha in comune con quella diretta alla formazione delle leggi ordinarie la fase dell’iniziativa e la fase della promulgazione e della pubblicazione e ne differisce per quanto attiene alla fase dell’approvazione. A norma dell’art. 138, comma I, Cost., “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, sono approvate con maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. L’“aggravamento” della procedura non si esaurisce nella doppia deliberazione del progetto di legge costituzionale da parte delle Camere e nella richiesta maggioranza assoluta per la seconda approvazione. Il progetto di legge costituzionale, non si trasforma in legge ma resta allo stato di progetto. Come tale, esso viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale al solo fine di far conoscere il suo contenuto, si tratta di una pubblicazione anomala; sia perché la pubblicazione precede la promulgazione, sia perché il progetto non è inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. Nel procedimento di formazione delle leggi costituzionali può inoltre inseriresti la manifestazione di volontà del corpo elettorale, espressa mediante referendum: 500.000 elettori, 1/5 dei membri di ciascuna Camera o 5 Consigli regionali. Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica ed il progetto sul quale il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi si intende approvato dal corpo elettorale qualora abbia ottenuto la maggioranza dei voti validi. Il referendum è facoltativo e non obbligatorio. Pertanto, i tre mesi possono decorrere senza che esso venga richiesto. In tal caso, il progetto si intende tacitamente approvato. Il progetto di revisione costituzionale o di legge costituzionale approvato espressamente o tacitamente o approvato da ciascuna delle Camere a maggioranza di 2/3 dei suoi componenti, si trasforma in legge. Appare evidente che, se si adotta il criterio formale, leggi di revisione della costituzione e altre leggi costituzionali sono quella approvate con la procedura aggravata ex art. 138 Cost. Ma siffatto criterio non può soddisfare, occorre quindi applicare il criterio sostanziale. Le leggi di revisione sono quelle che disciplinano la materia che ne forma oggetto in modo diverso da quello in cui la stessa è disciplinata nella Costituzione o in altre leggi costituzionali. “Altre leggi costituzionali” sono quelle integrative del testo costituzionale, valgono cioè ad aggiungervi qualcosa. 46 Diversa dalla revisione costituzionale è la rottura della Costituzione che si ha quando una norma contenuta nel testo costituzionale si ponga in contrasto con un’altra norma o con un principio contenuti nel medesimo testo. Nel nostro ordinamento le rotture della Costituzione si trovano nelle disposizioni transitorie e finali. 35. I limiti della revisione costituzionale Non tutte le disposizioni costituzionali possono essere modificate. Esistono, infatti, di limiti alla revisione, che possono essere espressi o impliciti nel sistema. Valgono sia per le costituzioni rigide, come la nostra, sia per quelle flessibili. Dire che la costituzione sia rigida non vuol dire che essa sia immodificabile. Infatti pur essendo destinata a durare nel tempo, la costituzione di uno Stato può subire modificazioni espresse o tacite. Le prime possono avvenire o ad opera di un’assemblea appositamente eletta o delle due camere riunite o con l’intervento del corpo elettorale. Le seconde dipendono dal modo in cui alla costituzione viene data attuazione al opera delle leggi ordinarie, delle consuetudini e delle convenzioni costituzionali, delle sentenze della magistratura ecc. o al contrario dalla mancata attuazione di alcune sue parti. I limiti sono dati da quella che è stata definita elasticità o duttilità della Costituzione. Il problema dunque non consiste tanto nell’ammettere la revisione, quanto piuttosto nello stabilire il grado e la misura della revisione. Esistono limiti assoluti alla revisione costituzionale, che possono essere espressi o impliciti. Siffatti limiti sono dati da quelle norme-principio sulle quali si fonda l’intero sistema costituzionale. Alcuni esempi sono il principio secondo il quale il lavoro è posto a fondamento dello Stato; il principio dell’inviolabilità della persona umana, la Corte Costituzionale ha affermato che la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale, quale la forma repubblicana. SEZIONE V -L’ATTIVITÀ DI INDIRIZZO POLITICO DELLE CAMERE Il governo per iniziare a svolgere la sua attività di indirizzo politico ha bisogno di godere della fiducia di ambedue le camere. Venuta meno la fiducia di una sola camera, il governo ha l’obbligo di dimettersi. Ora, le Camere, nel nostro sistema costituzionale, hanno anche la funzione di collaborare con il Governo, in virtù del rapporto fiduciario. 36. L’indirizzo politico. L’attività di indirizzo politico risponde all’esigenza di distribuire i vari compiti statali fra molteplici organi. L’indirizzo politico concerne la condotta ed il governo di ogni comunità sociale, per cui esso appare strettamente collegato con l’azione di governo: non può aversi, infatti indirizzo politico senza che vi sia una azione di governo e non può aversi azione di governo senza che vi sia un indirizzo politico. L’attività in esame può essere distinta in tre fasi: una prima (che può definirsi teologica), relativa alla determinazione dei fini dell’azione statale; una seconda (strumentale), nel corso della quale gli organi di indirizzo politico predispongono un apparato organizzativo ed i mezzi materiali per tradurre in risultati giuridici la volontà programmata e conseguire i fini; una terza (effettuale) che si svolge mediante una serie di atti nei quali i fini programmati trovano concreta attuazione. Nella fase teologica gli ordinamenti a costituzione rigida, la scelta e la determinazione dei fini è già contenuta nelle norme costituzionali. La nozione di indirizzo politico appare essere unitaria, nel senso che 47 data di inizio dell’anno finanziario, esse approvano una legge per concedere al Governo l’esercizio provvisorio del bilancio, per una durata complessiva non superiore ai quattro mesi. Sempre a norma dell’art. 81, comma III, “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”; e ciò al fine di evitare che un nuovo onere tributario venga istituito senza alcuna legge ad hoc. Il carattere normativo della legge discende dall’essere essa una legge di indirizzo politico mediante la quale il Governo e il parlamento concorrono annualmente a determinare la ripartizione delle spese tar i vari rami dell’amministrazione statale in stretta connessione con i fini che ad essi è demandato di conseguirle. Il controllo sulla osservanza della legge di bilancio da parte delle amministrazioni statali è affidato in Italia al Parlamento che lo esercita avvalendosi della Corte dei Conti. La Corte è chiamata a controllare la legittimità dell’atto sia in generale, vale a dire la sua conformità alle leggi ed ai regolamenti, sia con particolare riguardo alla legge di bilancio che costituisce lo specifico parametro di controllo. La Corte esercita di regola il controllo in via preventiva, vale a dire dopo che l’atto si è perfezionato ma prima che acquisti efficacia, le spetta poi alla Corte il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, al fine di confrontarne i risultati ponendoli a riscontro con la legge di bilancio ( parificazione). Inoltre la corte accerta la corrispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge (il controllo di gestione). 39. II) le leggi di approvazione dei programmi economici. Le leggi di approvazione dei programmi economici, anche settoriali sono leggi di indirizzo politico. Esse sono strettamente connesse con la legge di bilancio, un programma di sviluppo economico-sociale necessita, infatti, di un supporto finanziario adeguato, per cui il bilancio, si pone come strumento necessario per il conseguimento dei fini programmati. 40. III) le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. I trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale. Come atto esterno all’ordinamento giuridico italiano, il trattato acquista efficacia nell’ambito interno in seguito ad un apposito ordine di esecuzione, che viene normalmente adottato con un decreto presidenziale. Il procedimento di formazione dei trattati inizia con la negoziazione, continua con la conclusione e la ratifica dell’organo competente, in Italia il Capo dello stato. La ratifica deve essere autorizzata con legge delle camere nel caso in cui il trattato abbia natura politica, preveda arbitrati o regolamenti giudiziari, importi variazioni del territorio, oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Secondo una prassi ormai consolidata, le Camere esprimono nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica la volontà di dare esecuzione al trattato nell’ordinamento interno. 41. IV) le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto. “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale”. Tale legge si può fare rientrare fra quelle di indirizzo politico in quanto espressione della discrezionalità politica del Parlamento L’amnistia estingue il reato e se vi è stata condanna, l’esecuzione della stessa e delle pene accessorie. L’indulto condona in tutto o i parte la pena o la commuta in altra minore. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non si applicano ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. 44. E) La mozione di sfiducia. 50 Le Camere possono porre termine al rapporto che lega al Governo con l’approvazione di una mozione in cui esse esprimono la loro sfiducia. In seguito alla quale, da parte anche di una sola delle due Camere, il Governo deve presentare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica e si apre la “crisi di Governo”. Essa deve essere motivata e votata per appello nominale. Inoltre deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti la Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorno dalla sua presentazione, al fine di evitare votazioni di sorpresa e di consentire che il voto sia l’espressione meditata e sicura della volontà della maggioranza parlamentare. La differenza fra mancata fiducia iniziale e voto di sfiducia è che la prima si ha quando il Governo, presentandosi alle camere dopo al sua formazione, non ne ottiene la fiducia; la seconda si ha quando la fiducia già concessa viene revocata dalle camere. Il voto di sfiducia può colpire anche un singolo ministro, qualora le Camere lo ritengano politicamente responsabile per gli atti del suo dicastero. Il Governo al quale le Camere hanno votato la sfiducia ha l’obbligo giuridico di dimettersi. Se non si dimettesse, spetterebbe al Presidente della Repubblica revocarlo dalla carica. Dalle mozioni di fiducia e di sfiducia va tenuta distinta la questione di fiducia che è posta dallo stesso Governo tutte le volte che esso, temendo colpi di mano da parte di una maggioranza voglia assicurarsene l’appoggio. La questione di fiducia costituisce un efficace strumento per superare l’ostruzionismo di minoranze parlamentari e per ottenere decisioni più tempestive. SEZIONE VI -FUNZIONI ELETTORALI, GIURISDIZIONALI, CONSULTIVE. Le Camere svolgono funzioni diverse per quanto riguarda il nostro sistema elettorale. Spetta alle Camere e, più precisamente, al Parlamento l’elezione:  Del Presidente della Repubblica;  Di cinque giudici ordinari della Corte costituzionale;  Di un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura;  Dei 45 cittadini fra i quali vengono estratti a sorte i 16 giudici aggregati della Corte costituzionale nel caso di giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica. Le Camere svolgono poi una funzione materialmente giurisdizionale quando procedono alla verifica delle elezioni contestate dei propri membri e quando sono chiamate a svolgere funzioni istruttorie nel il procedimento per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. CAPITOLO SECONDO: IL POTERE LEGISLATIVO DEL POPOLO 1.L’iniziativa legislativa popolare ed il referendum costituzionale (rinvio). Il popolo può esercitare la funzione legislativa attraverso i suoi rappresentanti o mediante il referendum, abrogativo e costituzionale, e l’iniziativa legislativa. Esso interviene sia nel procedimento di formazione della legge con l’iniziativa sia con il referendum costituzionale e sia nell’abrogazione di una legge (o di un atto avente valore di legge). 2. Il referendum abrogativo: a) la disciplina. Il referendum abrogativo è indetto per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono 500.000 elettori o 5 Consigli regionali. 51 Esso non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e d’indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Sull’ammissibilità del referendum abrogativo è chiamata a giudicare la Corte costituzionale, cui spetta di accertare se la legge rispetto alla quale è stato richiesto il referendum rientri o meno fra quelle per le quali tale strumento abrogativo è esclusa dall’art. 75 Cost. 3. Segue: b) i limiti e le sentenze della Corte costituzionale sulla ammissibilità Sottratte all’abrogazione mediante referendum sono le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali per il semplice motivo che il procedimento di revisione o di integrazione della Costituzione è riservato al Parlamento e che in tale procedura può essere chiamata ad esprimersi, sempre mediante referendum, per confermare o porre nel nulla le deliberazioni già assunte dalle Camere. Sembra, data la brevità del termine previsto per la conversione in legge (60 giorni), sia da escludere un referendum abrogativo di un decreto-legge. Alcuni autori escludono poi l’abrogazione per referendum delle leggi di delegazione perché esse immettono nell’ordinamento norme incapaci di operare all’esterno. La Corte ha ritenuto inammissibili le richieste che non riguardino atti legislativi dello Stato aventi forza delle leggi ordinarie ma tendano ad abrogare la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali considerate dall’art. 138 Cost., confermando, al tempo stesso, l’inammissibilità del referendum su materie che l’art. 75. In particolare ha ritenuto inammissibile la richiesta quando:  Quando è carente di una matrice unitaria;  Quando la legge abbia una rilevanza costituzionale;  Quando concerne disposizioni legislative. 4. c) le modalità di attuazione. Le modalità di attuazione principali del referendum sono:  La deliberazione di richiedere il referendum deve essere approvata dai consigli regionali con la maggioranza assoluta;  Non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle camere medesime;  Le richieste di referendum devono essere depositate dal 1° gennaio al 30 settembre, mediante la presentazione alla cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori entro tre mesi dalla data del timbro apposto su fogli medesimi;  Si possono presentare memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di referendum;  Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, che fissa la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa fra il 15 aprile ed il 15 giugno;  Nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;  L’abrogazione di una legge o di n atto avente forza di legge mediante referendum è dichiarata con decreto del Presidente della Repubblica, il decreto è pubblicato immediatamente nella Gazzetta Ufficiale ed inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana; 52 Il principio della democraticità deve essere tenuto presente anche nell’ordinamento delle forze armate che deve conformarsi allo spirito democratico della Repubblica. L’efficienza della pubblica amministrazione è assicurata dal principio a norma del quale “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Tramite le commissioni giudicatrici deve essere assicurato il principio dell’imparzialità. La Costituzione, prevede un’ampia tutela dei cittadini nei confronti degli atti della pubblica amministrazione stabilendo sia che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti e che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Gli atti politici si caratterizzano per essere emanati da organi costituzionali nell’esercizio delle attività di indirizzo politico e pertanto, a differenza degli atti amministrativi, sono atti liberi nel fine. Sono sottratti al controllo giurisdizionale e non possono provocare lesioni di situazioni giuridiche soggettive. 3. La formazione del Governo. La formazione del Governo costituisce un procedimento che inizia ogni qual volta un Governo presenti le dimissioni e queste vengano accolte dal Presidente della Repubblica, per cui si rende necessario nominarne uno nuovo. La nostra Costituzione si limita a disporre che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e su proposta di questo, i ministri”. Le norme che presiedono al procedimento di formazione del Governo sono in gran parte non scritte e costituiscono altrettante convenzioni costituzionali. Esse, per questo, possono subire delle modificazioni. Il Presidente della Repubblica ha un limitato margine di discrezionalità nella scelta del Presidente del Consiglio, perché egli dovrà tenere conto le indicazioni che gli vengono date da parte di coloro che sono gli interpreti della volontà e degli orientamenti del Paese e delle forze politiche rappresentate in Parlamento. Per quanto riguarda i ministri, il Capo dello Stato non può compiere scelte autonome ma deve limitarsi ad accettare o respingere le proposte del Presidente incaricato. Il Presidente della Repubblica può alle volte, specie dopo una crisi di Governo, esercitare una effettiva influenza nella determinazione di una nuova maggioranza, poiché, in un regime a pluralità di partiti come il nostro, non è da escludere che le Camere siano in grado di esprimere più di una formula politica e, conseguentemente, più di una maggioranza. Il procedimento di nomina del Governo inizia con le consultazioni svolte dal Capo dello Stato. La scelta delle personalità da consultare dipende dalla sensibilità politica del Presidente della Repubblica e dalle cause che hanno provocato la crisi delle condizioni politiche in cui il Presidente è chiamato ad operare. Il Capo dello Stato può consultare soltanto alcune personalità o, anche informalmente, altre la cui opinione ritenga opportuno acquisire ai fini della soluzione della crisi. Alla chiusura delle consultazioni, il Presidente della Repubblica avrà degli elementi di valutazione in base ai quali procederà al conferimento dell’incarico a quella personalità politica che egli ritenga abbia le maggiori probabilità di formare il Governo. Tuttavia, può anche avvenire che, in condizioni particolarmente difficili, il Capo dello stato affidi ad una personalità il mandato esplorativo, ovvero il compito di svolgere delle consultazioni, ristrette a quelle ritenute più essenziali. 55 Dal mandato esplorativo si suole distinguere il preincarico che si avrebbe quando il Presidente della Repubblica affida alla personalità politica alla quale, con ogni probabilità, conferirà l’incarico, il compito di svolgere ulteriori consultazioni onde assumere elementi di chiarificazione per la formazione del nuovo Governo. L’incaricato inizia a sua volta una serie di “piccole consultazioni” dirette ad accertare quali possibilità vi siano di formare una maggioranza che faccia proprio un programma concordato fra i partiti che entreranno a comporla ed a formare la lista dei futuri ministri. Nel caso in cui l’incaricato non riesca nel suo intento il Presidente della Repubblica affiderà ad altri l’incarico. Qualora poi la rinuncia sia dovuta alla impossibilità obiettiva di formare una maggioranza, il Presidente della Repubblica può o rinviare il governo dimissionario alle Camere o sciogliere le Camere. (L’introduzione del sistema maggioritario ha prodotto i suoi effetti anche nel procedimento di formazione del Governo. Infatti i problemi di formazione della compagine ministeriale spesso sono stati risolti dal leder della coalizione vincente prima dell’inizio delle consultazioni e pertanto il Presidente incaricato ha potuto in brevissimo tempo porre al Capo dello Stato la lista dei ministri.) In conclusione la nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri con decreto del Presidente della Repubblica. A questo punto il Governo è formato ma, prima di assumerne le funzioni, i membri del Governo dovranno prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Infine, entro dieci giorni dal giuramento, il Governo dovrà presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia, esponendo a mezzo del Presidente del Consiglio, il suo programma. Le Camere votano la fiducia sulla base degli obiettivi che il governo si propone di realizzare, obiettivi che il governo ha l’obbligo di rendere noti alle assemblee parlamentari ed al Paese. Il programma di governo diviene indirizzo politico dello Stato e vincola Governo e Parlamento a dargli attuazione. Esso trae il suo contenuto dell’essere espressione diretta ed immediata dell’accordo fra i partiti della coalizione (accordo di governo). Il ruolo svolto effettivamente dal programma è meno rilevante quando, a causa della disomogeneità della maggioranza, si rendono necessari frequenti modificazioni del programma originariamente concordato. In tali condizioni i programmi risultano essere vaghi e generici. Con il sistema proporzionale l’accordo di governo si raggiungeva e si raggiunge dopo le elezioni, con quello maggioritario si sono formati vasti schieramenti contrapposti, ciascuno dei quali ha presentato al corpo elettorale un suo programma di governo, destinato a trasformarsi in atto ufficiale di indirizzo politico in caso di vittoria. Il Governo appena prestato giuramento viene immesso nelle sue funzioni ma esso è limitato nell’attività di indirizzo politico che non può svolgere prima che le Camere ne approvino il programma concedendogli la fiducia. Uno dei primi atti del Governo è la designazione dei sottosegretari di Stato, che vengono nominati con il decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. I sottosegretari di stato coadiuvano il ministro ed esercitano i compiti ad essi delegati con decreto dello stesso ministro. Possono inoltre intervenire, quali rappresentanti del Governo, alle sedute delle Camere e delle commissioni parlamentari. Con legge n. 81 del 2001, è stata introdotta la figura del vice ministro, possono essere nominati vice ministri al massimo dieci sottosegretari, se ad esse sono conferite deleghe relative ad aree o progetti di competenza di una o più strutture dipartimentali. In tale caso la delega è approvata dal consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. 56 8. Le funzioni normative: a) le leggi in senso formale e leggi in senso materiale. Il potere esecutivo non si limita a svolgere funzioni amministrative ed attività di direzione politica ma pone anche in essere norme costitutive dell’ordinamento giuridico dello Stato. Tale funzione vene detta materialmente legislativa per mettere in evidenza come gli atti normativi predisposti dagli organi esecutivi abbiano, di regola, il contenuto tipico della legge ma non la forma. Si definiscono leggi in senso formale tutti gli atti deliberati dalle due Camere o, comunque, da un organo cui è attribuita dalla Costituzione la funzione legislativa. Si definiscono leggi in senso materiale tutti gli atti che contengono norme giuridiche. La forma degli atti normativi del potere esecutivo è quella del decreto. Qualora poi si tratti di atti aventi forza di legge o di regolamenti governativi, la loro forma sarà quella del decreto del Presidente della Repubblica. Sono equiparati alla legge i decreti-legge ed i decreti-legislativi; mentre i regolamenti hanno un’efficacia inferiore a quella della legge. 9. b) i decreti-legge. A norma dell’art. 77 Cost., il Governo, in casi straordinari di necessità e di urgenza, può adottare provvedimenti provvisori con forza di legge; ma deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che si riuniscono entro cinque giorni. Il poter del governo di adottare decreti-legge assume un carattere di eccezionalità; ciò è anche sottolineato dallo locuzione provvedimenti provvisori con cui essi vengono designati nell’art. 77 Cost., dalla loro efficacia limitata nel tempo. Il governo può adottare un decreto-legge in caso straordinario di necessità e di urgenza in cui può sostituirsi alle camere e approvare un atto avente la stessa efficacia della legge nel caso in cui le Camere non possano intervenire tempestivamente. L’alto numero di decreti adottati non è certamente giustificato dall’esistenza di altrettanti casi straordinari di necessità e di urgenza. Il decreto-legge è diventato “un modo frequente di accelerare il procedimento di formazione della legge, imponendo, per iniziativa del governo, ad una qualsiasi domanda legislativa ad esso prescelta un termine rapido e inferiore, largamente a quello medio di approvazione di un disegno di legge, imponendo, per iniziativa del governo, un termine rapido ed inferiore a quello medio di approvazione di un disegno di legge”. Il presupposto d’urgenza è stato clamorosamente smentito quando il governo ha dato attuazione solo in parte o tardivamente alle norme contenute nel decreto. La corte costituzionale ha affermato la propria competenza a verificare il “rispetto dei requisiti di necessità e urgenza”. Anche da deplorare è la prassi di adottare, in caso di mancata conversione, un nuovo decreto-legge ripetitivo di quello decaduto. La Corte costituzionale ha finalmente posto fine alla prassi della reiterazione dei decreti-legge non convertiti, dichiarata illegittima ed incostituzionale. La responsabilità di questo stato di cose va fatta risalire non solo al Governo ma anche al Parlamento che converte in legge i decreti anche quando questi siano stati adottati senza che ricorressero i presupposti dei casi straordinari di necessità e urgenza. La Costituzione richiede che i due presupposti abbiano un riscontro obiettivo, in caso contrario, la conversione potrà essere giustificata da motivi di opportunità politica ma assumerà il significato di una espropriazione della funzione legislativa del Parlamento da parte del Governo. 57  Regolamenti autorizzati. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle commissioni parlamentari competenti, possono essere emanati regolamenti per la disciplina delle materie non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione. In tali materie le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti; Regolamenti delegati, si hanno quando una legge autorizza il regolamento a derogare ad alcune sue norme od a norme di altre leggi o a disciplinare ex novo materie già disciplinate da una legge.  Regolamenti di riordino e di ricognizione delle disposizioni regolamentari vigenti. Il Governo provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione. 12. I limiti alla potestà regolamentare. La riserva di legge. I regolamenti incontrano limiti specifici contenute in altrettante riserve di legge espressamente previste dalla Costituzione. Si ha una riserva di legge quando una norma costituzionale riserva, appunto, alla legge la disciplina di una determinata materia, escludendo pertanto che essa possa essere fatto oggetto del potere regolamentare del Governo. L’origine storica della riserva di legge vanno ricollegate al sorgere dei primi Parlamenti medievali, quando il potere del monarca venne limitato attribuendo alle assemblee elettive ogni decisione sui diritti patrimoniali e personali dei sudditi. Nelle costituzioni contemporanee la funzione garantista della riserva di legge, risulta raggirata dalla loro rigidità. La natura convenzionale della nostra Costituzione, ha fatto sì che il Costituente dettasse, parte della disciplina delle materie riservate restringendo il campo di intervento del legislatore ordinario. Alla riserva di legge non ha solo una funzione garantista. La riserva di legge oltre che riserva di legge statale può anche riferirsi alle leggi regionali e provinciali. È da ritenere che nelle materie rientranti nella competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano questi enti possano legiferare. La dottrina e la giurisprudenza hanno identificato due tipi di riserva:  Assoluta, che si ha quando la disciplina della materia è riservata alla legge del Parlamento; tale tipo di riserva vale nel campo penale ed in quello dei diritti delle libertà fondamentali dei cittadini; nelle materie riservate in via assoluta alla legge resta pertanto escluso dall’esercizio del potere regolamentare, a meno che si tratti di regolamenti di esecuzione, dati i ristretti limiti entro i quali questi possono essere emanati;  Relativa, che si ha quando la materia può essere disciplinata, oltre che dalle leggi formali, anche da altre fonti. Soltanto dopo che la legge abbia determinato le linee essenziali della disciplina. Sia la riserva di legge assoluta che quella relativa possono poi essere rafforzate quando la Costituzione non si limita a rinviare puramente e semplicemente alla legge (nel qual caso si parla di riserva di legge semplice) ma disciplina essa stessa parte della materia ponendo altrettanti limiti alla discrezionalità del legislatore. Una riserva dei legge implicita è contenuta nell’art. 72 il quale esclude che per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale possa essere adottato un procedimento di formazione deverso da quello 60 ordinario, allo stesso tempo esclude che tali materie possano essere disciplinate da un atto avente forza di legge o da un regolamento. Si ha riserva di legge costituzionale quando la Costituzione espressamente dispone che determinate materie debbano essere regolate con legge costituzionale. 13. Le cause di cessazione del Governo. Il Governo non è un organo a termine: esso rimane in carica, sin quando le Camere non revochino la fiducia o non decida di dimettersi. Il Governo presenta le dimissioni quando viene meno la maggioranza oppure possono essere dovute a cause che non coinvolgono la formula politica e non presuppongono l’intervento dei partiti e dei gruppi parlamentari. La cessazione del Governo in seguito al venir meno della maggioranza (crisi di governo) può essere determinata:  Da un voto di sfiducia delle Camere;  Dal ritiro dell’appoggio al Governo da parte di uno o più gruppi parlamentari, qualora ciò comporti che il Governo non possa più contare su una maggioranza;  Dalla decisione del Governo di dimettersi quando, dall’andamento di una discussione o dai risultati di una votazione, riporti il non godere più della fiducia della maggioranza. Il voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non comporta l’obbligo di dimissioni. Appare evidente che qualora la proposta governativa non approvata dalle camere sia di particolare rilievo ai fini dello svolgimento dell'attività di indirizzo politico del governo, il non ricevere l’approvazione delle camere sarebbe un chiaro segno che la maggioranza non condivida più la linea politica del governo. Un’altra causa di dimissioni del Governo potrebbe poi essere data dalle elezioni politiche generali soprattutto qualora a seguito di esse i gruppi parlamentari che nelle camere decadute lo appoggiavano siano nelle nuove rimasti in maggioranza. Il Governo, infine, è tenuto a dimettersi quando presentatosi alle Camere dopo la sua formazione, non ne ottiene la fiducia. In tal caso, le dimissioni sono dovute alla mancata costituzione iniziale del rapporto di fiducia e non alla rottura del rapporto fiduciario già instauratosi fra il Governo ed il Parlamento. La frequenza con la quale si verificano le crisi (e la conseguente instabilità governativa) sottolineano la peculiarità del “caso italiano”, dovuta essenzialmente al sistema in cui sono venuti ordinandosi i partiti. Le crisi che si verificano in seguito all’approvazione di una mozione di sfiducia sono comunemente dette parlamentari per distinguere da quelle dette extraparlamentari che non trovano la loro espressione formale nel parlamento. Spesso le crisi extraparlamentari si svolgono, per così dire, al buio e le loro vere cause non sono sempre portate a conoscenza dell’opinione pubblica; e ciò, oltre a renderne difficile la soluzione, contrasta con quella esigenza di chiarezza e di pubblicità dell’attività dei governanti. Il Governo può dimettersi anche per:  La morte del Presidente del Consiglio o per la cessazione o la sospensione dalla carica per motivi inerenti alla propria persona;  L’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica;  In seguito al elezioni generali, al fine di accertare la permanenza del rapporto fiduciario. 61 Dalla crisi di governo va distinto il rimpasto che si ha quando il Presidente del Consiglio procede alla sostituzione di qualcuno dei ministri, al fine di poter continuare a mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo del Governo stesso. Il Governo dimissionario rimane in carica sino alla nomina dei nuovi ministri per il disbrigo degli affari correnti. Il Governo dimissionario e il Governo in attesa della fiducia sono nella stessa posizione, giacché ambedue sono privi di fiducia dalle Camere. Sostanzialmente però vi è una differenza, dovuta al fatto che un Governo in attesa della fiducia è già sostenuto da un accordo fra partiti che lo pone nelle condizioni di dare alla “ordinaria amministrazione” un contenuto meno restrittivo rispetto a quello che può attribuirle un Governo dimissionario. 14. La responsabilità dei ministri. “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”; inoltre “Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.” Particolare rilievo assume, al fine della configurazione della responsabilità ministeriale, l’istituto della controriforma, ove si osservi che la maggior parte del Presidente della Repubblica sono imputabili al capo dello stato soltanto formalmente sostanzialmente sono posti in essere dal Governo. Rispetto a tali atti il Presidente della Repubblica può sempre esercitare un controllo di legittimità. Ne consegue che la responsabilità assunta dai ministri e dal Presidente del Consiglio con la controriforma degli atti in esame si configura come una responsabilità per atti propri. Qualora, invece, l’atto sia formalmente ed anche sostanzialmente imputabile al Presidente della Repubblica, la controriforma assume il valore di un controllo della sua validità formale, anche se la responsabilità può sempre essere fatta valere nei confronti di chi lo ha controfirmato. La responsabilità giuridica dei ministri del Presidente del Consiglio può essere distinta in civile, penale e amministrativa. Civilmente essi sono direttamente responsabili per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle loro funzioni. Penalmente sono responsabili per i reati ministeriali, vale a dire per quei reati comuni commessi dai ministri in occasione ed a causa dell’esercizio delle loro funzioni ed abusando del potere loro conferito. Amministrativamente i titolari degli organi del Governo sono responsabili innanzi alla Corte dei conti per danni arrecati alla pubblica amministrazione. La responsabilità politica dei ministri e del Presidente del Consiglio può essere collegiale o individuale, a seconda che a rispondere innanzi alle camere degli atti o dei comportamenti posti in essere sia l’intero governo o il singolo ministro. Qualora le camere ritengano che il governo od un ministro abbiano posto in essere atti o comportamenti politicamente non opportuni o contrari all’indirizzo politico ed amministrativo concordato ritardino oltre misura il compimento di determinati atti, possono colpirli con un voto di sfiducia, facendo così sorgere l’obbligo giuridico delle dimissioni. A differenza della responsabilità giuridica, quella politica appare molto sfumata nei suoi contorni. Il voto di sfiducia fa sorgere l’obbligo delle dimissioni ma il Capo dello Stato può non accogliere e procedere, invece, allo scioglimento delle Camere. Di responsabilità politica si parla anche nei confronti del Presidente della Repubblica e dei parlamentari. Essi sarebbero chiamati a rispondere del modo in cui hanno esercitato le loro funzioni alla scadenza del mandato e la sanzione consisterebbe nella mancata rielezione. 62 4. La ripartizione fra i vari organi della funzione giurisdizionale. La funzione giurisdizionale può essere suddivisa a seconda degli organi che la esercitano: - la giurisdizione civile è esercitata dai giudici di pace, dal tribunale, dalla Corte di appello, dalla Corte di cassazione; -la giurisdizione penale è esercitata dai giudici di pace, dal tribunale, dalla Corte di assise di primo grado e di appello, dalla Corte di cassazione -la giurisdizione amministrativa è esercitata dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei Conti, dai tribunali amministrativi regionali, dal tribunale superiore delle acque pubbliche -la giurisdizione costituzionale è esercitata dalla Corte costituzionale. Il criterio fondamentale di ripartizione della competenza è quello che vede attribuita alla cognizione del giudice ordinario le controversie nella quali si discute della lesione di un diritto soggettivo ad opera di un atto amministrativo che si assume illegittimo ed alla cognizione del giudice amministrativo le controversie nelle quelli, invece, si discute della lesione di un interesse legittimo. La Corte costituzionale ha precisato che il tradizionale divieto per il giudice ordinario di annullare atti della pubblica amministrazione non ha rango costituzionale. Resta affidata pertanto alla discrezionalità del legislatore ordinario l’attribuzione del potere di annullamento o al giudice amministrativo o a quello ordinario. Una eccezione al criterio sopra enunciato è data dalla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi regionali e del consiglio di Stato. Infatti in sede di giurisdizione esclusiva tali organi sono competenti a decidere anche sulla lesione di diritti soggettivi. Ai TAR ed al Consiglio di Stato è, poi, attribuita la giurisdizione di merito, vale a dire la competenza a giudicare nelle materie tassativamente indicate dalle legge, oltre che sulla legittimità degli atti amministrativi, anche sulla loro opportunità, convenienza, utilità ed equità. In alternativa al ricorso giurisdizionale, è proponibile ricorso al Presidente della Repubblica attraverso atti amministrativi definitivi che si assumano lesivi non solo di interessi legittimi ma anche di diritti soggettivi, la decisione del ricorso avviene con decreto presidenziale, su proposta del ministro competente. Infine va ricordato che, secondo una tendenza giurisprudenziale, è stata riconosciuta la possibilità di tutelare in giudizio gli interessi diffusi. La nozione di interesse diffuso evidenzia una pluralità di interessi individuali dello stesso contenuto e dunque non esclude le disposizioni di interesse legittimo o di diritto soggettivo dei singoli). La Corte ha ammesso che, qualora l’interesse al godimento di un bene pubblico assuma la dignità di diritto soggettivo, esso può trovare tutela innanzi al giudice ordinario. 5. I ricorsi amministrativi. La tutela del cittadino nei confronti degli atti della pubblica amministrazione è assicurata, nel nostro ordinamento dal ricorso agli organi giurisdizionali e dai ricorsi amministrativi. Detti ricorsi non hanno natura giurisdizionale, poiché essi sono rivolti o alla stessa autorità che ha emanato l’atto o all’autorità gerarchicamente sovraordinata. I ricorsi amministrativi sono l’opposizione ed il ricorso generico. a) L’opposizione consiste in una istanza rivolta dall’interessato alla stessa autorità che ha emanato l’atto alfine di richiederne il riesame o l’eventuale rimozione. b) Il ricorso gerarchico consiste nell’istanza presentata dall’interessato, entro 30 giorni dalla data della notificazione, all’autorità gerarchicamente sovraordinata quella che ha emanato l’atto al fine di richiedere il riesame dell’atto che si assume invalido e lesivo di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Tale tipo di ricorso è proponibile solo quando l’autorità che ha emanato l’atto abbia superiori gerarchici e, dunque, va escluso quando l’autorità che ha emanato l’atto: a) sia posta al vertice della gerarchia statale; 65 b) sia un organo collegiale; c) sia un ente pubblico. Una forma indiretta di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione è data sia dai controlli, cui gli atti amministrativi dello stato e degli altri enti pubblici sono sottoposti, sia da quelle forme di autocontrollo cui la stessa amministrazione può ricorrere ritirando, revocando o annullando l’atto. Un potere di annullamento generale era conferito al Governo nei confronti di tutti gli atti amministrativi sia dello Stato sia di qualsiasi altra persona giuridica pubblica, viziata da incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge e di regolamenti generali o speciali. 6. Le giurisdizioni non statali. Gli arbitri sono dei privati (di cittadinanza italiana) nominati, di regola, dalle stesse parti. Frequentemente si ricorre al giudizio arbitrale invece che alla giurisdizione ordinaria, dovuta ad una maggiore speditezza del primo. La nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici, decise secondo le norme del codice canonico. Le sentenze di nullità dei tribunali ecclesiastici sono dichiarate efficaci nell’ordinamento italiano con sentenza della Corte di appello competente per territorio; ciò solo a condizione che le corti d’appello accertino: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa; b) che nel procedimento innanzi al tribunale ecclesiastico, sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; c) che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia sulle sentenze straniere. Alle giurisdizioni internazionali può ricorrere lo stato quale membro della Comunità internazionale e ad una di esse, la Corte europea dei diritti dell’uomo , possono ricorrere i singoli cittadini. La Corte internazionale di Giustizia, organo dell’ONU con sede all’Aja, giudica, su ricorso dei singoli Stati, su ogni controversia di natura giuridica avente per oggetto: a) l’interpretazione di un trattato; b) qualsiasi questione di diritto internazionale; c) un qualsiasi fatto che costituirebbe la violazione di un obbligo internazionale; d) la riparazione dovuta per la violazione di un obbligo internazionale. La Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo giudica sulla violazione del trattato da parte di uno stato membro e sulle “questioni pregiudiziali”. Inoltre esercita il controllo di legittimità sugli atti degli organi comunitari. (Commissione europea dei diritti dell’uomo e la Corte europea dei diritti dell’uomo.) 7. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria. La Costituzione ha voluto assicurare ai magistrati ordinari una posizione di autonomia e di indipendenza nei confronti degli altri poteri dello Stato, sottraendo i giudici ad ogni forma di dipendenza dal ministro della giustizia. Al Consiglio superiore della magistratura, spetta in via esclusiva di deliberare tutti i provvedimenti relativi allo stato giuridico dei magistrati. Ad esso secondo l’art. 105 Cost. spettano le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Questa disposizione costituzionale ha assicurato l’autogoverno dei giudici che, comunque, non è pieno. Altre attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura sono:  La nomina e la revoca dei giudici di pace, nonché dei componenti estranei alla magistratura delle sezioni specializzate; 66  La designazione per la nomina a magistrato di Corte di cassazione;  La nomina delle commissioni per le assunzioni in magistratura. Il Consiglio, inoltre, può fare proposte al ministro della giustizia sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e può dare pareri al ministro. Le attribuzioni residue del ministro della giustizia sono le seguenti:  Può formulare richieste in ordine ai provvedimenti inerenti allo stato giuridico dei magistrati;  Ha facoltà di chiedere ai capi delle Corti informazioni circa il funzionamento della giustizia e di fare al riguardo le comunicazioni che ritiene opportune;  Esercita tutte le altre attribuzioni domandategli dalla legge sull’ordinamento giudiziario e in genere riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia;  Ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare; A norma dell’art. 104 Cost., il Consiglio superiore è presieduto dal Presidente della Repubblica e ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari e per un terzo al Parlamento in seduta comune fra i professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il numero complessivo dei componenti del CSM è ventisette. All’elezione partecipano tutti i magistrati ordinari, con la sola esclusione degli uditori giudiziari ai quali non siano state conferite le funzioni giudiziarie e dei magistrati sospesi dalle funzioni. Vengono eletti, in ciascun collegio, i candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti, in numero pari a quelli dei seggi da assegnare. In caso di parità prevale il candidato più anziano nel ruolo e, in caso di ulteriore parità, prevale il candidato più anziano d’età. L’elezione dei componenti da parte del Parlamento in seduta comune avvien a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea; per gli scrutini successivi al secondo è sufficiente la maggioranza dei tre quarti dei votanti. La Costituzione ha voluto che facessero parte del Consiglio anche membri “laici”, eletti dal Parlamento. Il Presidente della Repubblica ha il compito di moderatore dell’attività del Consiglio. I membri elettivi del consiglio superiore della magistratura durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Essi non possono far parte del Parlamento, dei Consigli regionali, provinciali e comunali e della Corte costituzionale, né assumere la carica di ministro o di sottosegretario di stato; se eletti dal Parlamento non possono, sinché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali. Inoltre, non possono svolgere attività proprie degli iscritti ad un partito politico. I componenti del Consiglio infine, non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni per le opinioni concernenti l’oggetto della discussione. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura cono assicurate, oltre che dal Consiglio superiore della magistratura, anche da alcune norme costituzionali come l’art. 101 che dispone che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, nel senso che essi devono godere di un’assoluta autonomia di giudizio, senza che il loro convincimento possa essere determinato o influenzato. Una disciplina particolare vige per il pubblico ministero che a norma dell’art. 107, comma IV, Cost., “gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”; il p.m. esercita le sue funzioni non più sotto la direzione del ministro della giustizia, bensì sotto la sua vigilanza. Nel corso delle udienze penali il magistrato designato svolge le funzioni di pubblico ministero con piena autonomia e piò essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale. Il titolare dell’ufficio deve trasmettere al CSM copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione del magistrato. La Costituzione ha disposto che “I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio ne destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso”. I magistrati non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni se non 67 Parlamento in seduta comune, poiché è da quel momento che il Presidente entra nell’esercizio delle sue funzioni. La lunga durata nell’ufficio consente al Presidente di meglio esercitare la sua funzione di moderatore fra le parti politiche. Dopo i sette anni è possibile anche essere rieletto se la rieleggibilità costituirebbe un elemento di freno. 2. Le incompatibilità; la cessazione dall’ufficio; la supplenza. A norma dell’art. 84, comma II, Cost., “L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica”. La cessazione dell’ufficio può avvenire oltre che per scadenza del settennio:  Per impedimento permanente;  Per morte o dimissioni;  Per scadenza dalla carica, in seguito ad esempio alla perdita della cittadinanza o dei diritti civili o politici. In caso di cessazione anticipata dall’ufficio, il Presidente della Camera indice l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni. Qualora il Presidente sia permanentemente o temporaneamente impedito ad adempiere le sue funzioni, queste vengono esercitate dal Presidente del Senato (supplenza). Non sempre si è fatto luogo alla supplenza, questo poiché quando il Presidente si reca all’estero in ragione del suo ufficio anche fuori dal territorio italiano, può continuare a svolgere le sue funzioni. Altra parte della dottrina ritiene che una prolungata assenza dall’Italia e la distanza dal territorio nazionale potrebbero impedire al Presidente di esercitare le sue funzioni in maniera costante. Il supplente del Presidente della Repubblica, acquista la sua carica automaticamente, senza alcun atto di investitura e senza che debba prestare giuramento. I poteri del supplente sono quelli propri del Capo dello Stato. Si ritiene tuttavia che egli debba, per correttezza costituzionale, astenersi dal compiere atti che incidano sull’equilibrio dei rapporti fra gli organi costituzionali. 3. Irresponsabilità del Presidente della Repubblica e i suoi limiti. Bisogna distinguere responsabilità politica e responsabilità giuridica (civile e penale). Il Presidente della Repubblica è politicamente irresponsabile in via istituzionale, poiché la responsabilità politica degli atti presidenziali è assunta dai ministri proponenti (o da ministri competenti) che li controfirmano, secondo una regola propria della forma di governo parlamentare. L’art. 89 Cost. richiede la controriforma ministeriale di tutti gli atti presidenziali come requisito di validità degli atti stessi. Diversamente si atteggia la irresponsabilità giuridica del Presidente della Repubblica. Il Presidente non è responsabile penalmente e civilmente, per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione, come privato cittadino egli è pienamente responsabile ma, in materia penale soltanto alla scadenza dell’ufficio. La sfera di comunicazione del Presidente della Repubblica non può essere oggetto di intercettazioni da parte dell’autorità giudiziaria. I reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, non sono previsti nel codice penale. Per alto tradimento s’intende ogni comportamento doloso che si concreta in una violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica e per attentato alla Costituzione ogni comportamento, egualmente doloso, diretto a sovvertire le istituzioni costituzionali o a violare deliberatamente la Costituzione. Spetta al Parlamento in seduta comune mettere in stato di accusa, a maggioranza assoluta dei suoi membri, il Presidente della Repubblica, qualora ritenga che l’atto da lui compiuto integri il reato di alto tradimento o 70 di attentato alla Costituzione; in tal caso, il Presidente è sottoposto al giudizio della Corte costituzionale (art. 134 Cost.). 4. L’assegno e la dotazione. La legge 23 luglio 1985, n. 372, ha attribuito al Presidente della Repubblica un assegno personale annuo di “lire 200 milioni da corrispondersi in 12 mensilità” (oggi, nel valore corrispondente in euro). La dotazione consiste nell’uso di beni patrimoniali indisponibili destinati alla residenza ed agli uffici del Presidente e nell’assegnazione di 2.500 milioni annui per le spese della presidenza. 7. Lo scioglimento delle Camere. Lo scioglimento delle Camere può essere determinato dall’impossibilità di formare un Governo sorretto da una maggioranza parlamentare, sia che ciò avvenga all’inizio della legislatura, sia che si verifichi in seguito all’approvazione di una mozione di sfiducia in corso di legislatura. Il Presidente della Repubblica, preso atto di un’estrema instabilità governativa, può procedere allo scioglimento nell’intento di giungere alla formazione di una maggioranza parlamentare coesa, in grado di sorreggere un Governo stabile. Altra ipotesi di scioglimento potrebbe essere una valutazione presidenziale su chiari segni di un cambiamento degli orientamenti politici dell’elettorato. Nel caso in cui il Governo venga battuto da un voto di sfiducia, il Presidente della Repubblica può, valutare le circostanze che hanno determinato il voto e la situazione politica generale, usare del suo potere di scioglimento e rimettere quindi la decisione del contrasto insorto fra Parlamento e Governo alla volontà popolare. Lo scioglimento anticipato deve essere giustificato, da ragioni obiettive e deve tendere a ristabilire il corretto funzionamento del meccanismo costituzionale. Lo scioglimento anticipato potrebbe essere determinato anche dalla opportunità di fare affrontare problemi di grave momento per la vita nazionale a Camere neo-elette e non a quelle in carica. Il Presidente della Repubblica, prima di sciogliere le camere deve sentire il parere dei loro Presidenti. Inoltre, egli non può sciogliere le Camere negli ultimi mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano, in tutto o in parte, con gli ultimi sei mesi della legislatura (semestre bianco). Si è ritenuto che il divieto sia stato posto per impedire che il Presidente sciolga le Camere i cui membri egli stimi non gli siano in maggioranza favorevoli, facendo assegnamento sulle nuove camere per la sua rielezione. 8. Classificazione degli atti presidenziali. Gli atti presidenziali possono classificarsi in tre grandi categorie, a seconda che siano: I) Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi; II) Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali; III) Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente complessi. Appartengono alla prima categoria i decreti presidenziali contenenti norme giuridiche sia aventi efficacia di legge formale (decreti-legge e decreto legislativo) sia aventi efficacia subordinata a quella della legge formale (regolamenti) e gli atti che siano espressione della funzione amministrativa e della attività di indirizzo politico. Rispetto a tali atti, il Presidente della Repubblica può esercitare soltanto un controllo di legittimità e richiederne il riesame. Appartengono alla seconda categoria le nomina di cinque senatori a vita, la nomina di cinque giudici costituzionali, la nomina di otto esperti quali componenti il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il rinvio al parlamento di una legge, la promulgazione delle leggi. Rispetto a tali atti il presidente gode di 71 un’ampia sfera di discrezionalità. La controfirma assume, in questo caso, una funzione di controllo ad accertare la legittimità formale dell’atto. Appartiene alla terza categoria la nomina del Presidente del Consiglio, perché spetta al Capo dello Stato di scegliere la personalità in grado di costituire un Governo ma l’incaricato, accettando la nomina, mostra di concordare con il Presidente nella valutazione della situazione politica. Lo scioglimento anticipato delle Camere perché il presidente non potrebbe, di sua esclusiva iniziativa, rompere il rapporto Parlamento-Governo e perché la sua decisione non potrebbe non essere affidata anche al Governo dimissionario. 9. La posizione giuridica. Il Presidente della Repubblica assume nel nostro sistema costituzionale un “potere neutro”, posto al di sopra delle parti che non svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nella attuazione dell’indirizzo politico. Il Presidente esercita una concreta influenza sul corretto svolgimento delle attività costituzionali, attraverso: a) il potere di controllo della costituzionalità dei provvedimenti sostanzialmente imputati al governo; b) il potere di iniziativa, di impulso e di persuasione; c) il potere di decisione sul modo di risolvere i conflitti fra il Governo od uno dei suoi rami; d) il potere di nomina del Presidente del Consiglio, nel caso in cui sia politicamente possibile la formazione di più coalizioni governative. La “forza politica” di cui il Presidente della Repubblica appare dotato deve essere sempre esercitata in modo tale da non essere di parte. Deve essere sempre dalla parte della Costituzione e rappresentare l’unità nazionale, anche se i suoi atti incidono, ed è inevitabile, sullo schieramento delle forze politiche, favorendo la maggioranza contro la minoranza o viceversa, oppure rimettendo l’una e l’altra al giudizio del corpo elettorale. CAPITOLO SESTO: LA CORTE COSTITUZIONALE Le costituzioni rigide prevedono alcuni strumenti mediante i quali è possibile controllare al legittimità costituzionale delle leggi, al fine di togliere ogni efficacia a quelle che risultino essere in contrasto con una disposizione costituzionale. Per effettuare i controllo di legittimità costituzionale delle leggi, dobbiamo dire che la nostra Costituzione ha creato un organo ad hoc, che presenta dei caratteri propri che ne fanno un tipo a sé: appunto la Corte costituzionale (artt. 134 e ss.), alla quale è stato affidato, oltre che il giudizio sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, oltre che il giudizio sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo stato e le Regioni e fra le Regioni, il giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica ed, infine, il giudizio sulla ammissibilità del referendum abrogativo. La corte garantisce l’osservanza della Costituzione anche da parte dei supremi organi dello Stato e delle Regioni, mentre i giudizi sulle accuse sono stati affidati alla Corte stessa. 1.La composizione ed il funzionamento. La Corte costituzionale è composta in modo diverso a seconda che giudichi sulle controversie di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, sui conflitti di attribuzione e sull’ammissibilità del referendum abrogativo ovvero sulle accuse mosse dal Presidente della Repubblica. 72 Si ha il primo tipo di vizio materiale nel caso di una legge che autorizzi la limitazione della libertà di corrispondenza senza richiedere il preventivo intervento dell’autorità giudiziaria. Si ha il secondo tipo di vizio materiale (o per incompetenza) quando una legge dello Stato invade la sfera di competenza riservata alla Costituzione o dagli statuti regionali alle Regioni o quando la legge di una Regione disciplina una materia non rientrante fra quelle sulle quali essa può legiferare. Infine lo Stato può impugnare innanzi alla Corte una legge provinciale per violazione della Costituzione, dello Statuto regionale o del principio di parità fra gruppi linguistici. Dubbi invece sussistono sulla possibilità di configurare il vizio di eccesso di potere legislativo. Alla Corte è precluso ogni giudizio sul merito delle leggi. Così il giudizio se la legge sia giusta e tecnicamente ben fatta è riservato all’esclusivo apprezzamento del legislatore, che ne assume l’intera responsabilità. La Corte ha allo stesso tempo affermato la sua competenza nel verificare alcuni criteri che valgono come indici dell’eccesso di potere legislativo. Tali criteri sono: a) quello dell’assoluta illogicità, incoerenza od arbitrarietà della motivazione della legge o della palese contraddittorietà rispetto ai presupposti; b) quello della irragionevolezza delle statuizioni legislative rispetto alla realizzazione concreta del fine; c) quello della incongruità fra mezzi e fini che la legge intende conseguire. I vizi materiali delle leggi si estendono anche agli atti aventi forza di legge. Questi vizi formali attengono all’atto e, al procedimento con il quale l’atto è stato posto in essere; i vizi materiali o al contenuto dell’atto o al soggetto che ha emanato l’atto. L’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti equiparati può frasi valere secondo due distinti procedimenti: un primo procedimento in via d’eccezione (o incidentale) ed un secondo in via d’azione (o per impugnativa diretta). Questo secondo procedimento può essere adottato soltanto dallo Stato per impugnare una legge regionale o provinciale o della Regione, per impugnare una legge od un atto avente forza di legge dello Stato od una legge di altra Regione. 5. Gli atti soggetti al sindacato di legittimità costituzionale. Gli atti soggetti al sindacato di legittimità costituzionale sono regolati dall’art. 134 Cost., che afferma che “La Corte giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”. Secondo una interpretazione restrittiva della disposizione, soggetti a sindacato solo dunque: a) le leggi; b) gli atti aventi forza di legge. Si tratta di una scelta operata dall’Assemblea costituente poichè, in linea di principio, anche i regolamenti, gli atti amministrativi e le sentenze potrebbero essere assoggettati al sindacato di costituzionalità. Questa interpretazione restrittiva è prevalsa rispetto a quella estensiva poiché nell’individuare atti aventi “forza di legge” si è preferito il criterio formale a quello sostanziale. Questo anche per un’esigenza di certezza, derivante dalle difficoltà interpretative che potrebbero sorgere nell’accertare l’efficacia sostanziale della legge in un regolamento od in altri atti aventi contenuto normativo. D’altra parte, l’illegittimità costituzionale di un regolamento può sempre essere accertata in sede giurisdizionale, facendo valere il vizio di violazione di legge. La Corte ha anche escluso che oggetto del suo sindacato possano essere gli atti normativi dell’unione europea perché essi non sono atti aventi forza di legge dello Stato. Gli atti soggetti al sindacato di costituzionalità sono: a) le leggi ordinarie dello Stato e delle Regioni, alle quali occorre aggiungere le leggi delle province di Trento e Bolzano; 75 b) le leggi costituzionali, sicuramente sotto il profilo della illegittimità formale ma anche sotto quello della illegittimità materiale; c) gli atti aventi forza di legge dello Stato, vale a dire i decreti-legge e le leggi delegate. Dubbi possono sorgere sulla impugnabilità di un decreto-legge, giacché appare problematico che possa instaurarsi ed esaurirsi il giudizio innanzi alla Corte. La Corte costituzionale, con una consolidata giurisprudenza ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale sollevata nei confronti di un decreto-legge non convertito. Altro problema è quello se possono aversi decreti-legge e leggi delegate delle Regioni, anche in presenza della disposizione che sembrerebbe ammetterli. La risposta al quesito è negativa, ove si osservi che la delegazione legislativa e la decretazione d’urgenza sono dalla Costituzione riservate alla competenza dello Stato. 7. Segue: b) i poteri del giudice a quo. Il giudice innanzi al quale è sollevata la questione deve pronunciarsi su di essa. Egli si deve accertare che la questione non sia manifestamente infondata e che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione. Preliminarmente alla decisione sulla questione il giudice dovrà, dunque, accertare: a) che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione (rilevanza della questione). In altri termini, il giudice dovrà esaminare se la questione sia sollevata nei confronti di una legge o atto equiparato che egli ritiene di dovere applicare per potere definire il giudizio. È questo il punto di diritto che interessa al giudice a quo, e non l’astratta possibilità che una legge sia incostituzionale, ed infatti, se la questione riguardasse una legge che il giudice non ritiene di dover applicare per la controversia in questione, la questione sarebbe per quel giudizio, del tutto irrilevante. La Corte costituzionale, a volte, si è sostituita al giudice a quo nel valutare la rilevanza, sia dichiarando inammissibile la questione propostale per difetto di rilevanza, sia rinviando gli atti al giudice a quo assumendo che i motivi da questi addotti circa la rilevanza erano inadeguati. b) Ritenuta rilevante la questione, il giudice dovrà accertare che essa non sia manifestamente infondata. Al giudice non spetta accertare né che la questione sia infondata, né che sia fondata, ma dovrà respingere la questione quando palesemente, prima facie, gli appaia priva di ogni fondamento giuridico; e dovrà accoglierla, quando al contrario, l’infondatezza non gli appaia manifesta, palese. c) Bisogna tuttavia aggiungere che l’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza della Corte costituzionale è nel senso di esigere che il giudice a quo sollevi la questione solo se sia risultato impossibile dal luogo ad un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione da applicare nel giudizio. I poteri conferiti al giudice a quo sono notevoli, giacché la proposizione del giudizio innanzi alla Corte costituzionale dipende esclusivamente da lui. In merito Calamandrei dice che, “il giudice funziona dunque da portiere, o, se sembra irriverente questa parola, diciamo da introduttore necessario del giudizio di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale”. Qualora il giudice ritenga la questione rilevante e non manifestatamente infondata, emette ordinanza con la quale solleva la questione stessa e dispone l’immediata trasmissione degli atti della Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. L’ordinanza dovrà essere notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero; e comunicata ai Presidente delle Camere o al Presidente del Consiglio regionale interessato. Scopo della notificazione e della comunicazione ai Presidenti del Consiglio e della Giunta regionale ed ai Presidenti delle camere e del Consiglio regionale sembra essere quello di consentire che vengano adottate le idonee iniziative legislative dirette a modificare la legge. 76 8. Segue: c) il giudizio innanzi alla Corte costituzionale. Entro venti giorni dall’avvenuta notificazione dell’ordinanza emessa dal giudice a quo, le parti nel giudizio possono esaminare gli atti depositati nella cancelleria e presentare le loro deduzioni. La costituzione delle parti ha luogo mediante deposito in cancelleria alla procura speciale e delle deduzioni. Entro lo stesso termine di venti giorni, il Presidente del Consiglio ed il Presidente della Giunta della Regione interessata possono intervenire in giudizio e presentare le loro deduzioni. A differenza della parti nel giudizio principale, il Presidente del Consiglio non ha alcun specifico interesse da far valere ed, infatti, non assume la veste di parte; per cui il suo non può certamente classificarsi come intervento in senso tecnico, è facoltativo e non obbligatorio. Anche le parti nel giudizio a quo non sono tenute a costituirsi innanzi alla Corte. Oggetto del giudizio è la legittimità costituzionale della legge e non l’esistenza o meno di una situazione giuridica soggettiva che ha dato luogo alla controversia fra le parti innanzi al giudice a quo. Trascorso il termine di venti giorni entro il quale le parti possono costituirsi, ed i Presidenti del Consiglio o della Giunta regionale intervenire, il Presidente della Corte nomina un giudice per l’istruzione e la relazione e convoca entro i successivi venti giorni la Corte per la discussione. Qualora non si costituisca alcuna parte o in caso di manifesta infondatezza, la Corte può decidere in Camera di consiglio. “Le formazioni sociali senza scopo di lucro ed i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi e diffusi attinenti alla questione di costituzionalità, possono presentare alla Corte costituzionale, in quanto amici curiae, un opinione non scritta” ma “non assumono la qualità di parti nel giudizio costituzionale e non partecipano all’udienza.” 9. Il procedimento in via d’azione (o principale). Il Governo della Repubblica, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge medesima. Al contrario, la Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell’una o dell’altro. Quindi lo Stato e la Regione vengono posti sullo stesso piano per quanto riguarda il carattere del sindacato di legittimità costituzionale in via d’azione delle rispettive leggi; sia che il ricorso provenga dallo Stato, sia che provenga da una Regione, il sindacato è successivo alla pubblicazione della legge impugnata. Anche per le Regioni speciali il controllo si è trasformato da preventivo in successivo. La disparità di trattamento tra Stato e Regioni per quanto riguarda i vizi denunciabili davanti alla Corte è data dal fatto che lo Stato può impugnare le leggi regionali non solo per la violazione delle disposizioni che delimitano la sfera delle competenze legislative delle Regioni ma anche per violazione di qualunque altra disposizione costituzionale. Le Regioni, invece, potevano impugnare le leggi dello Stato solo per violazione delle disposizioni che delimitavano la sfera delle rispettive competenze legislative. 10. Le decisioni della Corte costituzionale. La corte giudica in via definitiva con sentenza. Tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza. Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo italiano e devono contenere, oltre alle indicazioni dei motivi di fatto e di diritto, il dispositivo, la data della decisione e la sottoscrizione del presidente e del giudice che le ha redatte. 77 La Corte ha alle volte ritenuto di dovere reinterpretare il testo legislativo. A conclusione del giudizio, quindi, non si avrà né una sentenza di accoglimento, né di rigetto, bensì una sentenza che è stata definita interpretativa. Il potere di reinterpretare il testo si arresta però, per riconoscimento della stessa Corte innanzi alla costante interpretazione giurisprudenziale che attribuisce al precetto legislativo un determinato significato (diritto vivente). Si ha una sentenza interpretativa di rigetto quando la Corte, avendo tratto dal testo legislativo una norma in tutto od in parte diversa da quella tratta dalla parti e dal giudice, dichiara che, rispetto a questa norma, non sussistono vizi di legittimità costituzionale, facendo in tal modo salvo il testo legislativo. Le sentenze interpretative di rigetto non valgono a privare d’efficacia la legge e non hanno efficacia erga omnes, anche perché, se così fosse, la Corte si sostituirebbe indebitamente al legislatore ordinario con una specie di interpretazione autentica del testo legislativo. La stessa Corte, del resto, ha riconosciuto che non spetta ad essa l’accertamento, del contenuto di precedenti sue sentenze. Si tratta allora di esaminare se vincolato all’interpretazione della Corte sia il giudice a quo. La dottrina a riguardo è divisa. Quanto alle sentenze interpretative di accoglimento, esse si hanno quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di un testo se ed in quanto si ricavi da esso una determinata norma. In tal modo vengono fatte salve tutte le altre possibili interpretazioni del testo, la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di norme o di frammenti di norme da esso desumibili in via interpretativa. Con questo tipo di sentenze la Corte in realtà interviene sulla portata normativa della disposizione, che viene estesa, ridotta o comunque mutata, in modo da ricondurre il testo stesso nell’alveo della legittimità costituzionale. In tutti i casi in cui la Corte usa questa tecnica di intervento sulla norma oggetto del suo giudizio, si parla di sentenze manipolative, che implicano la nascita di una nuova norma, più ampia, più ristretta e, in ogni caso, diversa da quella che era stata prospettata come illegittima dal giudice a quo. La tipologia delle sentenze manipolativa comprende ancora: a) le sentenze additive, con le quali la Core dichiara la illegittimità di un testo nella parte in cui non contiene una previsione normativa, che deve necessariamente esserci; senza che ciò significhi che la norma immessa sia creata dalla Corte, essendo essa già implicita nel sistema . Le sentenze additive possono essere di garanzia quando riconoscono un diritto fondamentale negato dalla norma illegittima, o di prestazione, quando riconoscono una pretesa patrimoniale tutelata dalla Costituzione e negata dalla norma illegittima. Queste sentenze sono state definite, per le caratteristiche ora ricordate, additive di principio; b) le sentenze riduttive, con le quali la corte dichiara l’illegittimità costituzionale di un testo nella parte in cui contiene una previsione normativa, che non deve esserci. 14. Segue: d) altri “tipi” di sentenze. Altri tipi di sentenze sono dati: a) dalle sentenze sostitutive, che si hanno quando la Corte sostituisce ad una parte del testo un’altra parte, che essa stessa trae dal testo in via di interpretazione; b) le sentenze-indirizzo o sentenze-monito. Con tale tipo di sentenze, la Corte, rilevata la mancanza di una determinata legge di disposizioni che, dovrebbero esserci perché ritenute essenziali al fine di assicurare il rispetto della Costituzione, si indirizza al legislatore e detta essa stessa i criteri ai quali dovrà uniformarsi per adeguare la disciplina della materia ai precetti costituzionali. Altre volte, l’intervento della Corte nei confronti del legislatore non è così penetrante, limitandosi essa a dargli “ suggerimenti” sul modo di disciplinare la materia conformemente alla Costituzione, con l’“auspicio” che gli stessi vengano accolti. 80 SEZIONE II: CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE 15. I conflitti di attribuzione: a) fra i poteri dello Stato. A norma dell’art. 134, la Corte costituzionale giudica “sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni”. Perché sorga conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato sono necessarie le seguenti condizioni: I) Che esso sorga fra organi appartenenti a poteri diversi; II) Che sorga fra organi competenti s dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono; III) Che sorga per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Restano esclusi dalla competenza della Corte i conflitti fra gli organi appartenenti a giurisdizioni diverse ed i conflitti fra gli organi appartenenti ad no stesso potere (conflitti di competenza). Fra i poteri dello Stato rientrano, oltre ai tre tradizionali legislativo, esecutivo e giudiziario anche il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Possono riconoscersi come poteri dello stato anche figure soggettive esterne rispetto allo stato-apparato, se ad esse l’ordinamento conferisca la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite. Gli organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, sono gli organi costituzionali e gli organi i cui atti o comportamenti siano idonei a configurarsi come espressione ultima ed immodificabile dei poteri rispettivi. Possono anche essere parti i poteri strutturati in un solo organo ( poteri -organo: il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale), sia organi minori di un singolo potere, in quanto competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere al quale appartengono (organi-poteri). 16. Segue: b) fra Stato e Regioni e fra Regioni. Tale conflitto può sorgere quando una Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato o, viceversa. Nella prassi, invece, non è così, perché la Corte costituzionale ha slargato le ipotesi di conflitto, ritenendo che questo possa anche sorgere sia in seguito alla emanazione di una circolare; sia in seguito all’emanazione di qualunque atto, con o senza elementi rigorosamente formali, che però contenga una chiara manifestazione di volontà con la quale si affermi il diritto di esercitare un potere per competenza propria. Il giudizio della Corte verte sulla controversia di ordine allo svolgimento di funzioni di livello costituzionale, “di cui l’atto è mero indizio”. Inoltre il conflitto è stato giudicato ammissibile anche quando il “cattivo uso” configuri una menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto. Perché possa sorgere conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni, la lesione della sfera di competenza non deve essere operata da una legge o da un atto avente forza di legge; perché, in tal caso, rientreremmo nell’ipotesi di controversie di legittimità costituzionale, risolte dalla Corte nel giudizio in via principale. Il ricorso è proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio o da un ministro da lui delegato e per la Regione dal Presidente della Giunta in un seguito a deliberazione della giunta stessa. Nella sentenza con la quale risolve il conflitto, la Corte costituzionale dichiara a quale dei due enti (Stato o Regione) spetti la competenza e lo annulla. Tutto ciò vale anche per i conflitti di attribuzione fra Regioni. 81 17. I reati presidenziali (rinvio). La Corte Costituzionale può conoscere soltanto i reati compresi nell’atto di accusa. Può, inoltre, dichiarare la connessione per un reato previsto dall’art.90 non compreso nell’atto di accusa, dandone comunicazione al Presidente della Camera. 18. Il procedimento. L’art. 3 della legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1, dispone che la deliberazione sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica è adottata dal Parlamento in seduta comune su relazione di un comitato formato dai componenti della giunta del Senato della Repubblica e da quelli della giunta della Camera dei deputati per le autorizzazioni a procedere. La deliberazione è adottata a scrutinio segreto. Il Parlamento in seduta comune, nel porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica, elegge, anche fra i suoi componenti, uno o più commissari per sostenere l’accusa, i quali esercitano innanzi alla Corte costituzionale le funzioni di pubblico ministero. Intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da una elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento in seduta comune compila ogni nove anni mediante elezione con la stessa modalità per l’elezione dei giudici ordinari. Il Collegio giudicante deve essere costituito da almeno ventuno giudici, dei quali i giudici aggregati devono essere in maggioranza. Il Presidente della Corte costituzionale provvede al compimento degli atti di indagine necessari compreso l’interrogatorio dell’imputato, nonché alla relazione. Nelle votazioni per la deliberazione della sentenza, il Presidente della corte raccoglie i voti cominciando dal giudice meno anziano e vota per ultimo. In caso di parità di voti prevale l’opinione più favorevole all’accusato. Nel pronunciare sentenza di condanna la Corte determina le sanzioni penali nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto. Nel giudizio sulle accuse, chiuso il dibattimento, la Corte si riunisce in Camera di consiglio senza interruzione con la presenza dei giudici ordinari ed aggregati presenti a tutte le udienze in cui si è svolto il giudizio. Nelle votazioni per deliberare la sentenza non sono ammesse astensioni. La sentenza è irrevocabile, ma può essere sottoposta a revisione se sopravvengono elementi di prov PARTE TERZA: LE LIBERTÀ E LE AUTONOMIE CAPITOLO PRIMO: LE LIBERTÀ Il concetto di libertà appare essere uno dei più controversi e uno dei più condizionati. Alle libertà degli antichi che consistevano nell’esercitare collettivamente ma direttamente la sovranità, mentre l’individuo era totalmente assoggettato alla comunità che ne controllava e guidava tutte le attività private, si contrappongono le libertà dei moderni che vedono riconosciuta e garantita una sfera di autonomia dei cittadini nei confronti dei pubblici poteri. Abbiamo libertà negative (dallo Stato) si aggiungono e libertà positive (nello Stato) e le libertà dell’individuo all’interno delle formazioni sociali delle quali entra a far parte. Strettamente connesso al concetto di libertà è quello di autonomia; ambedue i concetti, infatti, esprimono l’idea di una relazione: si è liberi (o autonomi) nei confronti di qualcosa. Si è liberi o autonomi, in quanto si possa, al riparo da interferenze esterne, esprimere e selezionare i propri interessi. I limiti entro i quali si è liberi od autonomi vengono predeterminati dall’ordinamento giuridico, cui spetta di dettare regole di condotta ed organizzative e di comporre conflitti fra interessi. Quindi la libertà e 82 Il riconoscimento giuridico delle libertà segna il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto e la conquista della qualità di cittadino da parte di chi prima era considerato soltanto suddito. Il mero riconoscimento di alcune libertà non è sufficiente se ad esso si accompagna tutta una serie di garanzie dirette a stabilire dei limiti invalicabili all’attività dello Stato. Nelle costituzioni contemporanee, le norme nelle quali le libertà sono enunciate assumono un contenuto non più generico ma dettano una disciplina puntuale delle materie riservate; e inoltre, la riserva di legge viene resa più efficace col conferire carattere rigido alle costituzioni e con la previsione di un sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi. Le libertà dallo Stato (o libertà negative) divengono l’oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo, assistito da precise garanzie e pienamente azionabile nei confronti dei pubblici poteri. Cosicché le libertà costituzionalmente garantite divengono “diritti inviolabili” o “diritti assoluti”. Le libertà riconosciute e garantite nella Costituzione consistono, in primo luogo e originariamente, nella pretesa ad un comportamento omissivo dello Stato e, costituiscono l’oggetto di una situazione giuridica attiva e, di un diritto soggettivo. Inoltre è preteso un intervento attivo dei pubblici poteri per dare attuazione al principio costituzionale d’eguaglianza sostanziale e assicurare il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini al governo dello Stato (libertà nello Stato). Alcuni dei diritti soggettivi pubblici costituzionalmente garantiti non hanno, tuttavia, ad oggetto una libertà in senso stretto; ed in particolare: a) il diritto alla difesa, che la Costituzione definisce “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” e che è strettamente connesso al diritto di tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi sia personalmente, sia per mezzo di un difensore. La Costituzione si preoccupa anche di rendere effettivo il diritto in esame disponendo che siano assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. b) il diritto di voto (art. 48), vale a dire il diritto ad essere iscritto nelle liste elettorali ed a partecipare alle elezioni degli organi rappresentativi dello Stato e degli enti pubblici territoriali ed a votare nei vari referendum previsti nella Costituzione; c) il diritto di petizione. A norma dell’art. 50 Cost., tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. Si tratta di uno degli istituti di democrazia diretta, la cui incidenza politica è quasi nulla. d) il diritto all’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 51), che si specifica nel diritto a porre le propria candidatura nelle elezioni politiche ed amministrative ed a partecipare ai pubblici concorsi; si distinguono anche un ius ad officium consistente nel diritto di esser investito della carica elettiva e dell’ufficio, ed un ius in ufficio, consistente nel diritto ad essere mantenuto nella carica elettiva e nell’ufficio e ad esercitare le relative funzioni. e) il diritto, per chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive, di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il proprio posto di lavoro (art. 51, comma III). 4. I doveri costituzionali. La Costituzione prevede anche una serie di prestazioni puntuali e di comportamenti qualificanti, il cui adempimento, per la sua necessarietà e rilevanza sociale, viene considerato un dovere. In particolare la Costituzione impone ai cittadini i seguenti doveri: a) dovere di fedeltà alla Repubblica che implica la fedeltà ai principi dello Stato repubblicano. I cittadini hanno inoltre il dovere di osservare la Costituzione e le leggi e, qualora siano loro affidate funzioni pubbliche “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge; b) dovere di difendere la Patria. La difesa della Patria è “sacro dovere” del cittadino (art. 52). A tale dovere si adempie non soltanto col prestare servizio militare ma anche in altre forme più dirette quale, ad 85 esempio, la resistenza individuale o collettiva contro forze militari straniere che abbiano occupato il territorio italiano o parte di esso; c) dovere di prestare servizio militare, nei limiti e modi stabiliti dalla legge. I cittadini che per obbedire alla loro coscienza non accettano l’arruolamento nelle forze armate e nei corpi armati dello Stato hanno il diritto di adempiere gli obblighi di leva prestando un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria. Dal 2001 si ha una progressiva sostituzione del servizio militare obbligatorio di leva con servizio volontario in ferma prefissata. L’obbligatorietà del servizio militare rimane confinata in due ipotesi: 1) Qualora sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’art. 78 Costi.; 2) Qualora una grave crisi internazionale, nella quale l’Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale, giustifichi un aumento della consistenza numerica delle forze armate. d) dovere del lavoro cioè il dovere “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”; e) dovere di prestazioni patrimoniali. Tutti hanno il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione alla loro capacità contributiva. f) dovere di voto, definito civico dall’art. 48, comma II. L’adempimento di tale dovere è affidato peraltro più alla coscienza, appunto civica, degli elettori che alla obbligatorietà del relativo comportamento, non assistita da efficaci sanzioni giuridiche. SEZIONE III: LE LIBERTÀ NEGATIVE Le libertà negative rientrano fra quei “diritti inviolabili” che l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce all’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Le garanzie che la Costituzione appresta per le libertà negative consistono nel fatto che le limitazioni dei soggetti non siano a discrezione di chi detiene il potere ma possono essere messe in atto solo nei casi e modi previsti dalla legge. Le limitazioni delle libertà costituzionalmente garantite in tanto sono ammesse nel nostro ordinamento in quanto siano dirette ad assicurare il rispetto reciproco delle varie sfere di autonomia privata. 5. La libertà personale. (Art.13) Consiste nella libertà della persona fisica da ogni coercizione che ne impedisca o limiti i movimenti e le azioni. Nella libertà personale può farsi rientrare la libertà morale, vale a dire la pretesa dei singoli all’autodeterminazione ed all’integrità della propria coscienza. Modi di limitazione della libertà personale sono, la detenzione, l’ispezione, la perquisizione, la custodia cautelare, l’arresto di polizia, il fermo di indiziati di delitto, ecc. Il vigente codice di procedura penale ha peraltro maggiormente garantita la libertà personale dell’imputato adottando alcuni istituti del sistema accusatorio; per cui il ruolo del p.m risulta nettamente distinto da quello dei giudice. Il p.m non può emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale che sono appunto di competenza del giudice. Ulteriori garanzie dell’integrità fisico-psichica della persona sono previste sia nello stesso art. 13 sia in altri articoli della Costituzione. E precisamente: a) È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà; b) La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva che sono fissati in relazione alla gravità del reato; c) Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tenere alla rieducazione del condannato; 86 d) Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge; e) Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, che non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana; f) L’estradizione del cittadino può essere consentita ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali e non può in alcun caso essere ammessa per reati politici; g) “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.”; h) Infine l’imputato o il suo difensore possono proporre richiesta di riesame anche nel merito al tribunale del capoluogo di provincia in cui ha sede l’ufficio del giudice che ha emesso un’ordinanza coercitiva. 6. La libertà di domicilio e il diritto alla riservatezza. Per “domicilio” deve intendersi non soltanto il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, ma anche qualunque luogo in cui la persona riesca ad isolarsi dal mondo esterno ed a mettersi al riparo da ogni invasione della sua sfera privata. Per domicilio si intende anche la sede delle persone giuridiche o degli enti di fatto. La Costituzione, ha inteso tutelare nel modo più ampio il diritto dell’uomo ad avere una propria sfera privata, nella quale egli possa svolgere, in piena riservatezza (diritto alla riservatezza) ogni attività individuale e collettiva e, in ogni caso, autodisciplinare il proprio modo di vivere. Per questo motivo la libertà di domicilio tutela anche la privacy. Non sempre, però, tale diritto è effettivo, nel senso che la natura del “domicilio”, non consente l’isolamento dal mondo esterno. Poi abbiamo il “diritto alla casa”, vale a dire il diritto ad avere una abitazione idonea ad assicurare il libero svolgimento della vita privata. Il diritto alla riservatezza è stato modificato innovando la disciplina del trattamento dei dati personali e della privacy che è direttamente applicabile in tutti i Paesi dell’Unione Europea. I cosiddetti dati sensibili sono stati definiti come “categorie particolari di dati personali”, e possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante che è un’autorità che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. Si tratta di un organo collegiale costituito da quattro membri, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica. Il Garante ha notevoli funzioni e poteri per la tutela dei diritti e l’adempimento degli obblighi previsti dal Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 154). 7. La libertà e la segretezza della corrispondenza. Per “corrispondenza” deve intendersi quella epistolare telegrafica e telefonica. Dispone l’art. 15 Cost. che deve essere assicurata sia la libertà della rispondenza sia la segretezza della stessa. L’art. 15 tutela anche la libertà e la segretezza “di ogni altra forma di comunicazione”. Le limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione possono avvenire mediante il sequestro e l’intercettazione telefonica e sono disposti con atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Il cod. proc. pen. (art. 166 ss.) ha disciplinato in modo più rigoroso la facoltà di impedire, interrompere o intercettare comunicazioni o conversazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, disponendo che ciò possa venire soltanto in caso di indagini relative ad alcuni reati e qualora l’intercettazione sia assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Più in generale, si ritiene che la libertà e la segretezza della corrispondenza possano essere limitate in caso di guerra, valendo al riguardo l’art. 78 Cost., a norma del quale le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari. 8. La libertà di circolazione e soggiorno. 87 I “reati di opinione” vedono il loro limite nel buon costume e nella necessità di tutelare beni diversi fra cui il prestigio del Governo, dell’ordine giudiziario, e delle forze armate. Sono ammesse anche severe critiche alle istituzioni vigenti per assicurare l’adeguamento ai mutamenti intervenuti nella coscienza sociale. La stampa costituisce il mezzo più incisivo e per questo vi è una disciplina specifica sia per la libertà di stampa, sia per le limitazioni al suo esercizio. Per stampa o stampato si intende qualsiasi riproduzione tipografica destinata alla pubblicazione. Bisogna inoltre precisare che nella stampa online, si ripropongono tutti i problemi di tutela della libertà e del pluralismo che riguardano la stampa o gli stampati nel significato tradizionale. “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Chiunque voglia pubblicare un opuscolo, un libro, un giornale, un manifesto è assolutamente libero di farlo e prima di procedere non deve sottoporlo ad alcuna censura. La registrazione presso la cancelleria del tribunale ha il solo scopo di consentire l’identificazione dei responsabili nel caso in cui siano commessi reati a mezzo della stampa ma non è una limitazione della libertà di stampa. L’unica forma di limitazione espressa dalla libertà di stampa è il sequestro che può, essere posta in essere soltanto dopo la pubblicazione dello stampato ed al fine di impedirne la diffusione. Si può procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. Inoltre “La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica”, e ciò per consentire una lettura “critica” e consapevole dei quotidiani e dei periodici in genere che è resa possibile solo dalla conoscenza dei nomi dei proprietari e dei finanziatori degli stessi (e dunque dei loro orientamenti). Tutte le competenze relative alla garanzia del pluralismo della stampa sono state trasferite all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il problema del finanziamento della stampa è direttamente collegato a quello dell’effettivo esercizio della relativa libertà. L’esercizio effettivo della libertà di stampa è in buona parte condizionato dalla disponibilità dei mezzi economici necessari. Con la legge 7 marzo 2001, n. 62 è stato istituito un Fondo per le agevolazioni di credito alle imprese del settore editoriale, sono stati previsti sgravi fiscali per le imprese editoriali più dinamiche e innovative, è stato istituito un Fondo per la promozione del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale ed è stata introdotta una nuova disciplina del prezzo dei libri. 15. Internet E’ un veicolo potente per la manifestazione e la diffusione del pensiero che consente ad un numero molto elevato di individui di dare e ricevere informazioni. L’uso della rete può essere ricondotto all’ampia previsione contenuta nell’art.21 Cost., tuttavia il suo utilizzo consente all’utente di non sottostare ad un serie di vincoli e limitazioni legati ai messi tradizionali di diffusione del pensiero. La comunicazione digitale oggi è abbastanza agevole e non risulta limitata, né di diritto né di fatto, dalle norme che disciplinano la stampa, la radio e la televisione. Ogni individuo può accedere ad un blog, ad un 90 forum, o può mettere direttamente in rete suoi scritti di qualunque genere, con i soli limiti derivanti dal codice penale. Un problema è l’eccesso di informazioni ed il difficile accertamento dell’attendibilità dei dati messi in circolo. Il primo effetto negativo controbilancia l’effetto positivo dell’aumento di possibilità di accesso a fonti normative. Il secondo effetto negativo può essere il frutto di strategie di disinformazione messe in atto da poteri privati e dagli stessi governi, interessati a fuorviare l’opinione pubblica. Un aspetto molto importante è il contemperamento tra l’Utilizzazione in rete di opere dell’ingegno e la tutela del diritto d’autore. E’ consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Ciò è giustificato dal fatto che la tutela della libertà di manifestazione del pensiero riguarda il pensiero proprio di chi la pone in atto, mentre rimane integro il diritto dell’autore di non vedere vanificato il copyright, riconosciuto e protetto dalla gran parte degli ordinamenti e delle norme internazionali. La libertà di manifestazione del pensiero attraverso la rete può creare problemi di improprio o illegittimo uso di dati personali dei soggetti, con conseguente violazione del diritto alla riservatezza degli stessi. SEZIONE IV: LE LIBERTA’ POSITIVE Il passaggio dallo Stato moderno o di diritto allo Stato sociale avviene con il riconoscimento di alcuni diritti “sociali” accanto alle tradizionali libertà negative e del principio di eguaglianza sostanziale accanto a quello di eguaglianza formale. 18. Libertà positive e libertà negative. Le libertà positive vanno considerate come il risultato ultimo di una serie di interventi dei pubblici poteri diretti a dare attuazione al principio di eguaglianza sostanziale, di modo che la persona umana si possa pienamente sviluppare e la partecipazione al governo possa divenire effettiva. Le libertà positive conferiscono nuovo significato e valore alle libertà negative che sono viste ormai non soltanto sotto il profilo formale ma anche sotto quello sostanziale, dell’effettiva possibilità di esercizio. Le libertà positive rappresentano un modo di essere delle libertà civili e politiche, l’altra faccia della medaglia. Si pensi a questo riguardo, alle disposizioni della nostra Costituzione che specificano l’aspetto positivo di una libertà o in tanto riconoscono e garantiscono un diritto in quanto il suo esercizio sia funzionalizzato al raggiungimento di un fine sociale SEZIONE V: LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DELL’UOMO E LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO I “diritti dell’uomo” hanno ricevuto una particolar protezione sia in seno alla Comunità internazionale (con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1948) sia in seno alla Comunità europea (con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 dagli Stati aderenti al Consiglio d’Europa.). 22. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. 91 La “Dichiarazione” costituisce il frutto di un accordo sul riconoscimento e sulla tutela di alcuni diritti fondamentali da parte di tutti gli Stati aderenti all’ONU. Il suo valore è dato dall’essere stata approvata da un organismo di diritti internazionale al quale aderisce la maggior parte degli Stati del mondo. Già nel preambolo la “Dichiarazione” viene definita come “ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni”. Spetterà ai singoli stati membri di darle attuazione e l’ONU non può obbligare alcuno Stato a mutare comportamento e non potrà applicargli una sanzione. La “Dichiarazione” riconosce non solo il principio di eguaglianza formale ed i tradizionali diritti fondamentali ma anche i “diritti sociali”. Così viene riconosciuto il diritto di ogni individuo alla vita, di sposarsi e fondare una famiglia, ad avere una proprietà, al riposo ed allo svago. Viene inoltre riconosciuto il diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, all’istruzione… Questi diritti sono stati meglio specificati e più concretamente garantiti nei Patti sui “diritti economici, sociali e culturali” e sui “diritti civili e politici” approvati dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1966 e resi esecutivi in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881. 23. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e le altre Carte dei diritti fondamentali. La Convenzione si propone di prendere le prime misure adatte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella “Dichiarazione Universale” dei diritti dell’uomo. Rispetto ad essa, la Convenzione appare riduttiva per quanto riguarda i diritti e le libertà in essa compresi ed estensiva per quanto attiene alla loro tutela. Riduttiva, perché essa garantisce le libertà negative e i diritti sociali; ed estensiva al fine di assicurare il rispetto degli impegni assunti dagli Stati firmatari, istituisce una Commissione europea dei Diritti dell’Uomo ed una Corte europea dei Diritti dell’Uomo; la prima, alla quale possono rivolgersi non soltanto le Parti contraenti per denunciare l’inosservanza delle disposizioni della Convenzione, imputabili ad un’altra parte contraente, ma anche ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda d’essere vittima di una violazione, imputabile ad una delle parti contraenti, dei diritti riconosciuti nella Convenzione; la seconda, alla quale spetta, nel caso di fallimento della composizione amichevole della controversi ad opera della Commissione, di risolvere la questione. La decisione della Corte è definitiva e le Parti contraenti sono impegnate a darle esecuzione. La Corte costituzionale ha riconosciuto alle norme CEDU il ruolo di parametro interposto, valido a rendere applicabile il comma I dell’art. 117 Cost., in cui è stabilito che la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è esercitata nel rispetto, tra l’altro, degli obblighi internazionali. La Corte costituzionale ha pure precisato che le norme CEDU non hanno la stessa efficacia diretta delle norme comunitarie, che vengono prodotte da un ordinamento sopranazionale, di cui l’Italia fa parte e rispetto al quale, ai sensi dell’art. 11 Cost., ha accettato limitazioni della propria sovranità. Esse, in quanto integratrici del parametro di costituzionalità, devono essere conformi a Costituzione, onde evitare che la legge possa essere dichiarata illegittima sulla base di un’altra norma, a sua volta incostituzionale. Il Consiglio europeo, nella sessione di Nizza del 7-9 dicembre 2000, ha proclamato solennemente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa era stata inserita come seconda parte della Costituzione europea in modo da farle assumere un valore giuridico formale a seguito della ratifica del Trattamento costituzionale. La mancata ratifica di quest’ultimo da parte di alcuni Stati membri dell’Unione ha riaperto il dibattito sulla natura vincolante della Carta. La questione è stata risolta inserendo una disposizione nel trattato di Lisbona che stabilisce che “L’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Pertanto alla Carta dei diritti fondamentali è stata riconosciuta 92 fondamento volta per volta in alcuni articoli. Secondo una tesi intermedia esso troverebbe il suo fondamento come principio non scritto della Costituzione vigente in Italia. I dati e considerazioni svolte ci inducono a ritenere che non si possa parlare di un autonomo “diritto alla riservatezza” ma che, a livello costituzionale, la privacy rappresenti una componente di alcuni diritti di libertà e risulti almeno formalmente gratuita. La Costituzione contiene due principi, fra di loro strettamente collegati, che, se opportunamente sviluppati e applicati possono tutelare la privacy: essi sono contenuti nell’art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, e nell’art. 3, comma II, che richiede la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana” e l’“effettiva partecipazione” di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Il diritto all’oblio è una particolare forma di garanzia che prevede la non diffusione di informazioni che possono costituire un precedente pregiudizievole dell'onore di una persona (precedenti giudiziari). In base a questo principio non è legittimo, ad esempio, diffondere informazioni relative a condanne ricevute o, comunque, altri dati sensibili di analogo argomento, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca. Anche in tali casi la pubblicità del fatto deve essere proporzionata all'importanza dell'evento ed al tempo trascorso dall'accaduto. Le leggi che regolamentano il diritto all'oblio si applicano esclusivamente alle persone fisiche e non alle aziende. CAPITOLO SECONDO: LE AUTONOMIE DELLE FORMAZIONI SOCIALI 1. Costituzione italiana e formazioni sociali. La Costituzione italiana dà ampio spazio alle formazioni sociali ove si svolge la possibilità dell’uomo. Il trapasso dal modello politico liberale “chiuso” nel dualismo stato individuo ad un sistema “aperto” di collegamenti, è una condizione necessaria perché si realizzi “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L intermediazione delle formazioni sociali fra apparato e cittadino assume il più profondo significato di un valore e di un metodo nuovo di concepire ed esercitare la sovranità, per un ordinamento democratico. La principale distinzione tra le democrazie formali dell’Ottocento e le democrazie sociali (o sostanziali) sta nella sostituzione della visione liberale della sovranità dall’alto con la concezione di sovranità dal basso, la cui componente necessaria è il pluralismo sociale. 2. La famiglia. La primigenia formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’uomo è indubbiamente la famiglia. Nella nostra carta fondamentale ci sono tre articoli (29, 30 e 31) relativi alla famiglia. La famigli ha costituito e costituisce un ideale parametro di riferimento ed ha un’importantissima funzione sociale. Essa è considerata come una società naturale. E’ l’idea di famiglia che viene costituzionalmente riconosciuta come essenziale. Il Costituente ha rifiutato il modello tradizionale di famiglia. Il codice civile del 1942 offriva la visione di una famiglia patriarcale, propria di una società prevalentemente agricola, fortemente gerarchizzata con al vertice il pater familias. A lui dovevano sottostare la moglie e i figli. A porre rimedio a questa situazione si è provveduto solo nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia, che ha dato attuazione ala indicazioni costituzionali. 95 Fondamento della famiglia è il matrimonio, come ordine morale e materiale insieme. Il vincolo creativo della società naturale-famiglia ha carattere legale ed esso è pertanto costituzionalmente rilevante nei limiti in cui sia legittimamente costituito. Dal 2010 viene riconosciuta anche l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia e il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Con la legge 20 maggio 2016 n.76 istituisce e regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Non sussistono ostacoli costituzionali alla ammissibilità del divorzio. Il matrimonio si basa sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi che tollera solo quei limiti predisposti a tutela dell’unità della famiglia. Per quanto riguarda l’eguaglianza giuridica, si ha una conduzione paritaria, da parte di entrambi i coniugi del governo familiare ed un regime patrimoniale della comunione dei beni. Quanto invece, all’eguaglianza morale dei coniugi essa è ancora bisognevole di tutela, anzi di effettiva concretizzazione. La eguaglianza morale mira a proteggere la pari dignità personale dei coniugi e pertanto ad evitare i tentativi di umiliazione e spersonalizzazione di un coniuge da parte dell’altro (quali purtroppo è dato alle volte riscontrare, per lo più a carico della donna). Per quanto riguarda la condizione dei figli spetta ad entrambi i genitori il diritto-dovere di “mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. È un diritto dovere, sanzionabile penalmente e civilmente per il caso di inadempienza. I genitori sono però liberi circa le modalità e i tipi di istruzione ed educazione, ma non possono venire meno all’impegno, quanto all’istruzione, di assicurare ai figli la frequenza alla scuola dell’obbligo. I figli devono esplicare in pieno la propria personalità e non vedere frustrate la proprie capacità intellettuali e spirituali dall’incomprensione dei genitori. 3. La scuola. L’importanza della scuola è determinata dal fatto che il processo ideale della formazione intellettuale e spirituale del cittadino si svolge nelle sue fasi iniziali, e senza soluzione di continuità, dalla famiglia alla scuola. Essa prepara culturalmente l’individuo, in modo che questi possa inserirsi con una idonea preparazione di base nel mondo del lavoro. Per questo “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Questo è infatti il grado minimo di istruzione, comunque socialmente necessario, e, come tale, assolutamente inderogabile. Per esso, la frequenza alla scuola dell’obbligo, costituisce un diritto-dovere civico. La Costituzione, inoltre, assicura (con borse di studio, assegni ed altre provvidenze ai “capaci e i meritevoli” il “diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” “anche se privi di mezzi”. La sola capacità non è sufficiente, giacché è ben possibile riscontrare siffatta qualità intellettuale anche in capo a persone non bisognose; né è da solo sufficiente il merito, giacché l’impegno assidue la volontà di studio degli scolari naturalmente incapaci non vanno premiati con un diploma o una laurea, bensì assicurando l’inserzione nel mondo del lavoro. Occorre, quindi, il cumulo di entrambe le qualità: della capacità e del merito. La scuola ha natura “pluralistica” con più di un tipo o modello pedagogico. “Enti e privati” “hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato”. D’altro canto, però, l’esigenza di fornire agli scolari degli istituti parificati una adeguata istruzione è fatta salva sia attraverso l’imposizione a carico delle scuole non statali dell’obbligo di assicurare “un trattamento scolastico equipollente a quello degli 96 alunni di scuole statali”, sia prescrivendo “un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”. 4. Le confessioni religiose. A norma dell’art. 8, comma I, Cost. “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. La differenza con la libertà di religione (art. 19) sta nel fatto che l’art. 19 riguarda una libertà dell’uomo come tale, l’art. 8, invece, riguarda l’“eguale libertà” del gruppo confessione religiosa, inteso in senso istituzionale. La libertà della confessione cattolica non è qualitativamente diversa dalla libertà delle confessioni acattoliche, forte della appartenenza ad esso della larga maggioranza degli italiani, una particolare posizione rispetto agli altri culti. a) La confessione cattolica I Patti lateranensi (11 febbraio 1929), ancora oggi regolano in via esclusiva i rapporti fra Stato e Chiesa. Essi constano di un Trattato con un’allegata Convenzione finanziaria; e di un Concordato (ora modificato dall’”Accordo fra la Repubblica italiana e la Santa Sede). La Costituzione repubblicana afferma che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” (art. 7, comma I). “Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. L’articolo in esame è stato fatto oggetto di numerosissime dispute dottrinali, alle quali hanno dato occasione anche talune decisioni della Corte costituzionale. In particolare n un prima tempo l’interpretazione del secondo comma dell’art. 7 era orientata nel senso che il rinvio ai Patti, valesse come implicita costituzionalizzazione delle singole norme pattizie. Questa opinione è stata ormai abbandonata dalla dottrina dominante. Sarebbe stata comunque necessaria, per la modifica dei patti, l’adozione del procedimento di revisione costituzionale. Appare dunque, preferibile ritenere che l’art. 7 contenga una norma sulla produzione giuridica, costituzionalizzando il principio concordatario, per il quale lo Stato sarebbe vincolato a disciplinare bilateralmente i propri rapporti con la Chiesa. (Qualora, invece l’accordo non fosse raggiungibile, la modifica unilaterale delle norme concordatarie richiederebbe il ricorso alla procedura aggravata di cui l’art. 138 Cost.) L’occasione per una maggiore chiarezza nei rapporti fra Stato e chiesa cattolica avrebbe potuto rinvenirsi soltanto in una revisione del Concordato avutasi con l’ “Accordo”, stipulato fra la Repubblica italiana e la Santa sede. Esso, di fatto, costituisce un nuovo concordato sottoposto, alla stessa disciplina di cui tali patti godono ex art. 7 Cost., di modo che esso conserva la “copertura costituzionale” di cui godeva l’originario Concordato. b) Le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Anche i rapporti fra lo Stato ed i culti acattolici non sempre si sono svolti all’insegna della reciproca comprensione. Si è assistito ad un lentissimo processo di liberalizzazione, conclusosi sul piano normativo con l’entrata in vigore della Costituzione. L’“eguale libertà”, si ha solo con il ripudio della struttura rigidamente accentrata e statualista del regime liberale prima e fascista poi e l’affermazione, dell’ideologia democratica e pluralista. Solo in questa visione generale, infatti può essere compreso appieno il precetto dell’art. 8, comma I. L’ultimo comma dell’art. 8 stabilisce, infine, che i rapporti delle confessioni diverse dalla cattolica con lo Stato “sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. Si è molto discusso in dottrina sulla natura giuridica di siffatte “intese”; alcuni ritengono che si tratti di convenzioni di diritto interno; ed altri invece, intese siano da parificare ai concordati, quali fonti 97
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