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Dispensa Diritto Costituzionale II, Dispense di Diritto Costituzionale

Dispensa comprendente slides, appunti presi a lezione e manuale. Voto finale 30 e lode

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 05/06/2023

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alessandro-arrius-1 🇮🇹

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dispensa Diritto Costituzionale II e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE II IL GOVERNO PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE Il governo è un organo costituzionale complesso, formato dal Presidente del consiglio e dai ministri, che insieme formano il Consiglio dei ministri, svolge la funzione esecutiva, attività di indirizzo politico e parte della funzione legislativa. Per quanto riguarda la disciplina generale, la costituzione non detta molte regole, lasciando alla prassi, alle convenzioni e alle consuetudini costituzionali la maggior parte dei passaggi. L’articolo 92.2 stabilisce che il presidente della repubblica nomina il Presidente del consiglio dei ministri e, su sua proposta, i ministri. Durante il procedimento di nomina, all’inizio della legislatura o a seguito di una crisi di governo, il presidente: 1. Svolge le consultazioni (consuetudine costituzionale) → Il presidente incontra gli ex presidenti della repubblica, i presidenti delle camere e dei gruppi parlamentari, e ogni personalità ritenuta utile interpellare (in generale la scelta delle persone dipende molto dal presidente). Questa fase può essere più o meno lunga e complessa in base all’esito delle elezioni o alla situazione politica del momento. ➢ Consultazioni a seguito di nuove elezioni: ○ Prima del 1993 → Vigendo un sistema proporzionale, non sempre ci si trova di fronte a una maggioranza netta, con la necessità di un’intensa attività di consultazioni ○ Tra 1993 e 2001 → Il sistema elettorale era di stampo maggioritario e prevede alleanze prima delle elezioni tra partiti, dunque era molto facile e veloce andare avanti con le consultazioni ○ Tra 2006 e 2013 → Essendoci un sistema elettorale tendenzialmente misto, in base all’esito delle elezioni le consultazioni risultavano essere più o meno facili (vittoria netta portava a consultazioni veloci). ○ Dal 2018 → Anche in questo caso il sistema elettorale era tendenzialmente misto, e dunque in base al risultato delle elezioni le consultazioni erano più o meno semplici. Ad esempio le consultazioni per il governo Meloni sono state molto rapide (circa un giorno e mezzo, iniziate il 20 ottobre e terminate con il conferimento dell’incarico il 22) in quanto l’esito delle elezioni è stato piuttosto netto. ➢ Consultazioni a seguito di una crisi di governo → Il presidente deve verificare se, con i numeri in parlamento, ci fosse la possibilità di formare una nuovo governo che riesca ad ottenere la fiducia (ad esempio i governi Monti, Renzi, Gentiloni, Conte II e Draghi); se così non fosse il presidente scioglie anticipatamente le camere e indice nuove elezioni. Non per forza alle dimissioni del governo seguono nuove elezioni. 2. Eventualmente conferisce: a. Un mandato esplorativo → Compito di svolgere ulteriori consultazioni a una personalità super partes, che sicuramente non diventerà il nuovo Presidente del Consiglio 1 b. Un preincarico → Compito di svolgere ulteriori consultazioni alla persona che successivamente svolgerà l’incarico, proprio per comprendere se egli sia effettivamente in grado di dar vita a una maggioranza stabile. Se a seguito anche di queste consultazioni il quadro generale denota l’impossibilità di dar vita a un governo stabile il presidente ricorre allo scioglimento anticipato delle camere, indicendo nuove elezioni. 3. Conferisce l’incarico di formare il governo → Inizialmente in forma scritta, poi oralmente, con l’incaricato che accetta (di norma) con riserva. La riserva serve a verificare se sussista la fiducia in parlamento e per ragionare sulla lista dei ministri. Sciolta la riserva il presidente nomina il nuovo governo con suo decreto, controfirmato dal Presidente del consiglio entrante, che sottoscrive anche il decreto di dimissioni del governo uscente. Non hanno accettato con riserva Berlusconi nel 2008, Conte nel 2018 e Meloni nel 2022. Per quanto riguarda la scelta dei ministri la costituzione non stabilisce nessuna norma particolare. In generale essi vengono proposti dal Presidente del Consiglio, anche se la lista viene ovviamente influenzata dai vari partiti che fanno parte della coalizione di maggioranza, decisivi al fine della concessione della fiducia. La proposta è vincolante, e può essere rifiutata dal presidente della repubblica solo in casi estremi per gravi motivi: - Nel 1994, Scalfaro rifiuta di nominare Cesare Previti ministro della giustizia - Nel 2014, Napolitano rifiuta di nominare Nicola Gratteri ministro della giustizia - Nel 2018, Mattarella rifiuta di nominare Paolo Savona ministro dell’economia Articolo 93 → Il presidente del consiglio e i ministri devono prestare, prima di assumere le proprie funzioni, giuramento nelle mani del presidente della repubblica. Con questo atto termina il processo di formazione del governo, che per avere tutte le sue funzioni deve però ottenere la fiducia in parlamento (fino a questo momento potrà compiere solo atti di ordinaria amministrazione): se ciò non si verificasse il presidente della repubblica dovrebbe indire nuove elezioni, rimanendo in carica per tutto il periodo elettorale. Articolo 94 → Il governo deve avere la fiducia delle due camere, che è votata tramite mozione motivata, per appello nominale. Il governo deve presentarsi entro 10 giorni alle camere per chiedere la fiducia, e questa viene votata solo a seguito del discorso programmatico tenuto dal presidente del consiglio. L’appello nominale serve perché ogni parlamentare si assuma la responsabilità del suo voto, rendendo chiaro chi sia o meno sostenitore del governo. La fiducia è concessa a maggioranza semplice, e questo è un fattore di debolezza del governo, perché potrebbe entrare nel pieno delle sue funzioni senza avere realmente la maggioranza parlamentare. Il governo che non ha ancora ottenuto la fiducia deve limitarsi ad atti di ordinaria amministrazione, senza concentrarsi su iniziative di rilievo politico. A. Governo Monti → Durante un periodo di profonda crisi politica e finanziaria, Berlusconi, presidente in carica, decide di lasciar spazio a una personalità più tecnica, soprattutto per far fronte ai problemi economici ○ 8/11/2011 → Il presidente del consiglio Berlusconi comunica che, a seguito dell’approvazione della legge di stabilità, si dimetterà 2 ○ 3/02/2021 → Mattarella affida a Mario Draghi l’incarico di formare un nuovo governo tecnico. Il nuovo governo ottiene la fiducia di tutti i partiti politici (tranne Fratelli d’Italia) il 17 e 18 febbraio H. Governo Meloni ○ 21/10/2022 → Dopo le consultazioni a seguito delle elezioni avvenute il 15/09 il presidente incarica Giorgia Meloni di formare il nuovo governo, la quale accetta senza riserva. ○ 22/10/2022 → Il governo giura nelle mani del presidente ○ 25 e 26/10/2022 → Il governo ottiene la fiducia alla camera e al senato. RAPPORTI GOVERNO-PARLAMENTO I rapporti tra governo e parlamento sono regolati da: ● Mozione di fiducia iniziale → Prevista dall’articolo 94: il governo, entro 10 giorni dal giuramento, deve presentarsi alle camere per ottenerne la fiducia. Approvando la mozione di fiducia le camere esprimono la loro consonanza rispetto all’indirizzo politico che il governo si propone di svolgere. Il venir meno della fiducia di anche solo una delle camere comporta l’obbligo di dimissioni del governo. La mozione si vota a seguito di un discorso programmatico, seguito da un dibattito, tenuto dal presidente sul suo programma di governo. E’ votata tramite appello nominale a maggioranza semplice e deve essere motivata. ● Mozione di sfiducia→ L’approvazione di una mozione di sfiducia da parte anche di una sola camera comporta l’obbligo di dimissioni da parte del governo. Secondo quanto previsto dall’articolo 94, la sfiducia è votata per appello nominale e deve essere motivata, su richiesta di almeno 1/10 dei componenti di una camera e non può essere discussa prima di tre giorni dalla sua presentazione. Gli obiettivi di questa norma servono a: - Avere un consenso minimo di parlamentari intorno alla sfiducia - Il termine serve per evitare scelte troppo avventate e per permettere un dialogo tra le varie forze politiche, oltre al fatto che, essendo la sfiducia votata a maggioranza semplice, i parlamentari siano informati in anticipo della necessità della loro presenza e del loro voto alla seduta. - L’appello nominale serve perchè i parlamentari si assumano la responsabilità politica della loro decisione Pur non essendo prevista dalla costituzione, è ammessa la sfiducia nei confronti di un singolo ministro (Sentenza 7/1996 → Sfiducia al ministro di grazia e giustizia, l’unico specificamente menzionato dalla costituzione). Nonostante le motivazioni contrarie a questa tesi, la corte ha sottolineato come la possibilità di sfiduciare il singolo ministro sia la conseguenza della sua responsabilità politica individuale. 5 ● Questione di fiducia→ Non disciplinata dalla costituzione, ma si è sviluppata dalla prassi e ora è disciplinata dai regolamenti delle camere (116 Regolamento della camera e 161 Regolamento del senato). Essa viene posta dal governo su un atto ritenuto essenziale per il proprio programma politico, e la non approvazione di questa comporta le dimissioni del governo. Questa può essere chiesta tutte le volte che le camere discutono questioni di fondamentale importanza per il perseguimento degli obiettivi programmatici del governo, e l’unica materia di deliberazione su cui non può essere chiesta è quella attinente al funzionamento delle camere. In genere con la questione di fiducia il procedimento legislativo subisce alcune modifiche, infatti il voto a favore della questione di fiducia impedisce che vengano votate alternative alla proposta del governo: di solito, dunque, viene chiesta per accelerare i tempi di approvazione o per evitare l’inserimento di emendamenti. Viene votata come tutte le votazioni fiduciarie, dunque il voto è palese. Diverso è il voto contrario su una proposta del governo (per la quale non sia stata posta la fiducia), che non comporta necessariamente le sue dimissioni. LE CRISI DI GOVERNO Le crisi di governo si hanno ogni qualvolta il governo presenta le sue dimissioni, e possono essere: ● Parlamentari → Durante la legislatura, sono determinate dall’approvazione di una mozione di sfiducia o da un voto contrario a una questione di fiducia. Il governo è costretto a dimettersi. Nella storia si registrano i casi del governo Prodi I (1998) e Prodi II (2008). ● Extraparlamentari → Determinate dalle dimissioni del presidente del consiglio, per vari motivi (impedimento fisico, venire meno del sostegno politico anche senza mozione di sfiducia, motivi personali, sconfitte elettorali intermedie,...). Tendenzialmente nella prassi si ha questo tipo di crisi quando il presidente del consiglio abbia preso atto che, al di là di una specifica mozione di sfiducia, sia venuto meno il sostegno parlamentare al suo governo.Un esempio è nel 2022, quando Draghi ha rassegnato le dimissioni nonostante il governo non fosse stato formalmente sfiduciato. 6 A seguito di una crisi di governo il ruolo più importante lo svolge il presidente della repubblica, che può agire in due modi: ➔ Formazione di un nuovo governo → Tendenzialmente la strada più seguita: si ricerca un nuovo esecutivo che possa godere della fiducia parlamentare, eventualmente anche facendo ricorso a personalità tecniche (Draghi, Monti) ➔ Scioglimento anticipato delle camere → Quando è impossibile formare un nuovo governo si ricorre allo scioglimento dei rami del parlamento e all’indizione di nuove elezioni, secondo quanto previsto dall’articolo 88. In generale nella prassi si è sempre preferito utilizzare lo scioglimento anticipato delle camere come ultima possibilità di trovare una soluzione alle crisi di governo. Non si è di fronte a una crisi di governo quando, al termine della legislatura, le camere sono naturalmente sciolte e il governo in carica ha l’obbligo di dimettersi per permettere la formazione del nuovo esecutivo. RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO Articolo 95 → Il presidente del consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. Per questo tipo di responsabilità possono essere sanzionati dal parlamento con una votazione contraria alla fiducia. La responsabilità di cui si parla è di tipo politico e non giuridico. Dal punto di vista giuridico sono soggetti all’articolo 28, che stabilisce che sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti commessi in violazione di diritti. Articolo 96 → Il presidente del consiglio e i ministri possono essere sottoposti a un procedimento penale per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione del senato o della camera, secondo quanto stabilito da una legge costituzionale. La legge costituzionale 1/1989 stabilisce che può essere negata l’autorizzazione solo se l’assemblea reputi, a maggioranza assoluta, che l’indagato abbia agito per tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un interesse pubblico. Questa valutazione è insindacabile. Prima della riforma del 1989 la competenza a giudicare i membri del governo era attribuita solamente alla corte costituzionale, e solo se il parlamento in seduta comune avesse messo i giudicati in stato di accusa. Questa attribuzione ha però portato, nel biennio 1977/1979, durante una causa contro due ministri per corruzione (cosiddetto "Lockheed"), a un rallentamento dell’attività della corte stessa; motivo questo, per cui poi si è deciso di cambiare la disciplina. Ora un ruolo fondamentale è svolto da un particolare collegio (il tribunale dei ministri) composto da tre magistrati estratti a sorte presso il tribunale del distretto di corte di appello competente per territorio, che ha il compito di svolgere le indagini preliminari; se non ritiene che si debba procedere con l’archiviazione il collegio trasmette gli atti al procuratore della repubblica, per la immediata rimessione al presidente della camera di appartenenza. Se la camera non si oppone il processo continua regolarmente, altrimenti termina con l’archiviazione. Recenti sono stati i casi di Diciotti (autorizzazione negata dal senato), Gregoretti e Salvini-Open Arms (autorizzazioni concesse). 7 In generale comunque si tende a preferire la tesi stabilita anche dalla giurisprudenza della corte costituzionale, anche se ultimamente si assiste sempre di più a un rafforzamento del ruolo del presidente: basti pensare all’indicazione del nome candidato alla carica durante le campagne elettorali (a partire dal 1994), o il ruolo di questa figura in sede europea (l’articolo 15 del Trattato di Lisbona stabilisce che il presidente del consiglio faccia parte del Consiglio Europeo). Nella prassi molto dipende poi da quali siano gli equilibri interni alla coalizione di governo,e alla specifica personalità del presidente. Fino al 1994, con un sistema elettorale di stampo proporzionale e la formazione di maggioranze parlamentari veramente deboli, il ruolo guida del presidente è stato ridimensionato dal peso dei ministri: si parla di “governi dei feudi”, in cui per gli atti di competenza dei ministri né il governo né il consiglio dei ministri erano in grado di assumere poteri decisionali.Tra 1994 e 2013 il presidente del consiglio era tendenzialmente il leader del partito che avesse ottenuto il maggior consenso elettorale. Nel 2013 il governo Letta si è formato con un presidente che non aveva avuto chissà quale ruolo di spicco in una campagna elettorale molto incerta, e di conseguenza il presidente era tendenzialmente in una situazione di parità rispetto ai ministri; esattamente il contrario fu nel 2014 quando il presidente diventò Renzi, che, almeno per la prima fase del suo governo, riuscì ad avere un consenso politico molto elevato. Tra i due governi Conte, sicuramente il secondo è stato quello più forte, a causa soprattutto dell’emergenza sanitaria e del ruolo centrale nel sistema partitico del Movimento 5 Stelle. Draghi fu rispetto ad altri probabilmente in una posizione sopraelevata rispetto a quella dei suoi ministri. I ministri sono posti a capo, ciascuno, di un ramo della pubblica amministrazione. Sono collegialmente responsabili degli atti del consiglio dei ministri e individualmente dei loro dicasteri. Si incaricano di promuovere, proporre e gestire all’interno del consiglio tutti gli atti relativi al loro ambito di competenza; hanno infine potere di vigilanza su enti ed istituzioni pubbliche che agiscono nel loro settore di competenza. La legge ne disciplina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione; attualmente i ministri con portafoglio sono 15. Le funzioni del consiglio dei ministri sono disciplinate soprattutto dall’articolo 2 della Legge 400/1988: determina la politica generale del governo e l’indirizzo dell’azione amministrativa; delibera su ogni questione relativa all’indirizzo politico e dirime i conflitti di attribuzione tra ministri. Inoltre esprime l’assenso all’iniziativa del presidente del consiglio di porre la questione di fiducia in parlamento. 10 Tra i vari punti dello stesso articolo sono specificati altri atti per cui sia necessario la delibera del consiglio dei ministri: a. Dichiarazioni relative all’indirizzo politico, a impegni programmatici e alle questioni su cui il governo chiede la fiducia in parlamento b. Disegni di legge e proposte di ritiro dei disegni di legge c. Decreti aventi forza o valore di legge e i regolamenti da emanare con decreto del presidente della repubblica d. Le proposte che il ministro competente formula per disporre il compimento degli atti in sostituzione dell'amministrazione regionale, da svolgersi entro i termini perentori previsti. e. Le proposte di sollevare conflitti di attribuzione o di resistere nei confronti degli altri poteri dello stato, delle regioni e delle province autonome f. Le linee di indirizzo in tema di politica internazionale e comunitaria e i progetti dei trattati e degli accordi internazionali, purché di natura politica o militare g. Gli atti concernenti i rapporti tra stato e chiesa cattolica h. Gli atti concernenti i rapporti previsti dall’articolo 8 (libertà di religione) i. I provvedimenti da emanare con decreto del presidente della repubblica previo parere del consiglio di stato, se il ministro competente non intende conformarsi a questo parere j. Proposte motivate per lo scioglimento dei consigli regionali k. Gli altri provvedimenti per i quali sia prescritta, o il presidente del consiglio ritenga opportuna la deliberazione consiliare. Nella prassi prima, e poi con la legge 400/1988, è stata consentita l’istituzione di alcuni organi non necessari che possano comporre il governo, a condizione che non violino le competenze attribuite agli organi necessari. Generalmente l’introduzione di questi organi si verifica maggiormente durante governi di coalizione, per regolarne gli equilibri politici. ➢ Vice presidente del consiglio (articolo 8) → Spetta la supplenza del presidente in caso di assenza o impedimento temporaneo. Di solito rappresenta un altro partito della coalizione di maggioranza. Non ha altre funzioni se non quelle suppletive. Possono essere nominati anche più vicepresidenti e nel caso in cui non fosse nominato le sue funzioni vengono svolte dal ministro più anziano. ➢ Ministri senza portafoglio (articolo 9) → Ministri non appartenenti a un ministero, ma preposti ad un dipartimento della presidenza del consiglio o che svolgono funzioni delegate dal presidente del consiglio. Degli esempi sono il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, quello delle riforme costituzionali e dei rapporti con il parlamento, e altri. Fanno parte a pieno titolo del consiglio dei ministri. ➢ Sottosegretari di stato (articolo 10) → Coadiuvano il ministro eseguendo i loro compiti conferiti tramite delega. Come i ministri sono nominati e prestano giuramento nelle mani del presidente della repubblica; la legge permette anche che essi intervengano nelle sedute delle camere o rispondano a interrogazioni e interpellanze, come rappresentanti del governo. ➢ Viceministri (articolo 10)→ Sottosegretari a cui vengono conferite deleghe relative all’area di competenza di una o più strutture dipartimentali o di più direzioni generali. Se invitati dal Presidente del consiglio, partecipano al consiglio dei ministri ma senza diritto di voto. Non possono essere più di 10 per governo, e, come per la nomina di sottosegretari e ministri 11 senza portafoglio, anche i viceministri vengono nominati per regolare equilibri politici delle varie coalizioni governative. ➢ Commissari straordinari di governo (articolo 11) → Vengono nominati al fine di raggiungere specifici obiettivi, o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento tra amministrazioni statali. L’incarico resta valido per un tempo indicato dallo stesso decreto di nomina, e al parlamento riferisce del suo operato il presidente del consiglio o un ministro delegato. ➢ Comitati interministeriali → Organi collegiali composti da ministri che hanno competenze trasversali nelle materie oggetto del comitato. Sono permanenti e istituiti per legge, e deliberano su determinati oggetti (stabiliti dalla legge) o DPCM in via definitiva. Degli esempi sono il CIPE (Comitato interministeriale programmazione economica), il CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della repubblica) e il CICR (Comitato interministeriale credito e risparmio). ➢ Comitati di ministri (articolo 5)→ Organi collegiali istituiti dal Presidente del consiglio al fine di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere pareri su direttive dell’attività di governo e su problemi di rilevante importanza da sottoporre al consiglio dei ministri. ➢ Consiglio di gabinetto (articolo 6) → Coadiuva il presidente del consiglio nell’esercizio delle sue competenze costituzionali. E’ composto da determinati ministri designati dal presidente del consiglio. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Pubblica amministrazione = Ogni articolazione dello stato deputata a provvedere alla concreta realizzazione degli interessi pubblici determinati dalle leggi, mediante l’adozione di concreti provvedimenti autoritativi. In poche parole il legislatore individua gli obiettivi che lo stato intende perseguire, e la pubblica amministrazione metterà in atto l’attività concreta di attuazione di questi obiettivi. I ministeri rappresentano le strutture organizzative dell’amministrazione centrale dello stato: hanno il compito di svolgere tutte le funzioni amministrative che spettano allo stato e che non siano assegnate ad altri enti pubblici. Dal punto di vista costituzionale, sono due gli articoli che disciplinano l’attività e il funzionamento della pubblica amministrazione: - Articolo 97 → L’organizzazione e le attività di tutti gli uffici della pubblica amministrazione devono essere regolate in modo da assicurare l’imparzialità e il buon andamento: - Imparzialità → In applicazione del principio di uguaglianza deve essere garantito pari trattamento a tutti i soggetti che vengano a contatto con la pubblica amministrazione. Per questo ogni decisione amministrativa deve trovare il suo fondamento nella legge. - Buon andamento → La pubblica amministrazione deve agire al fine di conseguire sempre gli obiettivi posti, secondo i criteri di efficienza, economicità ed efficacia: deve essere in grado di raggiungere gli obiettivi perseguiti con strumenti adeguati allo scopo. 12 Non è tra i requisiti la carica di parlamentare, anche se nella storia solamente Mattarella e Ciampi sono stati eletti da altri “organi”. Una questione particolarmente dibattuta in dottrina è quella della rielezione, che la costituzione non vieta esplicitamente: - A favore ci sono le tesi secondo cui il divieto di rielezione provocherebbe un eccessivo irrigidimento del dettato costituzionale, oltre al fatto che sia impossibile per il presidente sciogliere le camere durante il semestre bianco - Contro c’è l’idea che sia necessario porre un freno all’azione presidenziale, per evitare abusi di potere, nel momento in cui da un doppio mandato conseguirebbe un’eccessiva personalizzazione del ruolo di garanzia che gli spetta. Decisiva in questo caso risulta essere la prassi, con la doppia rielezione di: ● Napolitano → Nonostante avesse specificamente richiesto la non rielezione, per motivi istituzionali e personali, in un periodo di crisi e dopo 5 scrutini a vuoto nel 2013 venne rieletto con la stragrande maggioranza dei voti, accettando un incarico “a tempo”. Sottoscriverà le proprie dimissioni nel gennaio 2015. ● Mattarella → Eletto la prima volta per il settennato 2015-2022, viene rieletto nel gennaio 2022 per l’incapacità delle forze politiche di riuscire a trovare un nome sostituto. In entrambe le situazioni si nota come i presidenti abbiano specificamente sostenuto la volontà di non essere rieletti, e che la causa principale della loro elezione fosse l’incapacità di accordarsi delle forze politiche su candidati alternativi. L’articolo 85 prescrive che il presidente resti in carica per 7 anni. Anche questo è un tentativo di rendere il presidente indipendente dalle maggioranze parlamentari, infatti il suo incarico è più lungo di quello delle camere che lo hanno eletto, garantendo inoltre più continuità nell’esercizio delle funzioni presidenziali. La carica di presidente della repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. In caso di impedimento si distinguono i due commi dell’articolo 86: 1. Se temporaneo le sue funzioni vengono assunte dal presidente del senato, che, secondo la dottrina, deve limitarsi ad esercitare le funzioni di ordinaria amministrazione. In realtà è molto difficile, soprattutto per impedimenti particolarmente lunghi, limitare l’ambito di intervento solamente in questa prospettiva. In genere l’unico atto che è precluso al presidente del senato è lo scioglimento anticipato delle camere. Nella storia si è assistito al rinvio, da parte del presidente del senato Carlo Scognamiglio Pasini, di una legge alle camere. 2. Se permanente, o morte, o dimissioni, il presidente della camera indice le elezioni del nuovo presidente entro 15 giorni, salvo un termine maggiore nel caso in cui esse siano sciolte o manchino meno di tre mesi alla loro cessazione. Non ci sono indicazioni ben precise su quelle che siano le cause dell’impedimento temporaneo né su chi ne possa accertare l’esistenza. Le cause di cessazione dell’incarico sono: - Scadenza del settennato - Impedimento permanente - Morte 15 - Dimissioni → Nella storia si sono dimessi Segni, Leone, Cossiga e Napolitano (secondo mandato) con largo anticipo rispetto alla fine del mandato, mentre con lieve anticipo, per accelerare la successione, si sono dimessi Pertini, Scalfaro, Ciampi e Napolitano I. - Destituzione per effetto di condanna pronunciata dalla corte costituzionale, per reati di alto tradimento o attentato alla costituzione - Decadenza dalla carica per perdita della cittadinanza o dei diritti civili e politici. Gli ultimi due commi dell’articolo 85 stabiliscono che il presidente della camera deve convocare il parlamento in seduta comune e i delegati regionali trenta giorni prima che scada il mandato, per eleggere il nuovo presidente. Se le camere sono sciolte, o a meno di tre mesi dalla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro 15 giorni dall’insediamento del nuovo parlamento, mentre vengono prorogati i poteri del presidente in carica. Il fatto che si aspetti l’insediamento della nuova legislatura è giustificabile dalla volontà di avere un presidente eletto da un parlamento che abbia una maggior legittimazione da parte dei cittadini rispetto a un parlamento alla fine del suo mandato. Al termine del mandato, ai sensi dell’articolo 59, il presidente della repubblica è nominato senatore a vita, ed eventualmente potrà essere consultato per la formazione di nuovi governi. Articolo 87 → Il presidente della repubblica è il capo dello stato e rappresenta l’unità nazionale. L’unità nazionale deve essere intesa come unità costituzionale, fondata su quei valori comuni della nazione contenuti all’interno della carta costituzionale, e che rappresentano il collante stesso dell’unità nazionale. FUNZIONI Trattandosi di un organo monocratico, la descrizione delle funzioni e in generale della figura del presidente deve essere fondata sicuramente sulle norme costituzionali espressamente enunciate, ma anche dalla prassi dei vari presidenti che si sono susseguiti. In assemblea costituente si discusse molto su quelli che potevano essere i poteri legati a tale figura, e la tesi più affermata fu quella che vedeva il presidente come completamente estraneo a un qualsiasi ruolo di politica attiva. Nonostante questa ipotesi non sia realmente possibile, dal momento che nella prassi, in modi ovviamente differenti, tutti i presidenti hanno avuto un certo ruolo di spicco all’interno della scena politica e istituzionale, la corte costituzionale, con la sentenza 1/2013, afferma che il presidente debba comunque essere collocato in una posizione esterna rispetto ai poteri tradizionali dello stato e al di sopra di tutte le forze politiche. In particolare il ruolo del presidente risulta essere molto importante nei periodi di maggiori crisi, in cui la situazione politica risulta essere fortemente frammentata. Le funzioni del presidente della repubblica possono essere classificate attraverso due metodi: ● Rapporto del presidente con gli altri poteri dello stato → La maggior parte delle sue funzioni è riconducibile ai tre poteri classici statali (legislativo, esecutivo e giudiziario), fatta eccezione per il potere di esternazione e per il potere di nomina dei 5 giudici costituzionali: ○ Rapporti con il potere legislativo: - Indice le elezioni delle nuove camere, ne fissa la prima riunione ed eventualmente le convoca in via straordinaria (articoli 87 e 62). Le elezioni devono essere indette entro 70 giorni dallo scioglimento, e la prima riunione 16 entro 20 dalle elezioni. La convocazione straordinaria non è mai stata utilizzata,ma può essere disposta nel caso in cui i presidenti di camera o senato non comunicassero le camere, bloccando l’esercizio delle funzioni ad esse attribuite. - Invia messaggi alle camere (articolo 87.2) → I messaggi “liberi” possono riguardare qualsiasi materia su cui il presidente voglia sensibilizzare il parlamento, non vanno modificati con i messaggi motivati di rinvio della legge. Nella prassi non sono molti i messaggi inviati dal presidente. Hanno mandato messaggi Napolitano, sulla questione carceraria, e Cossiga, per sottolineare la necessità di un nuovo assetto istituzionale per la nazione. - Autorizza tramite suo decreto i disegni di legge di iniziativa governativa. In realtà non può rifiutare l’autorizzazione, perché ciò lederebbe le prerogative parlamentari (articolo 87.4) - Promulga le leggi, entro un mese dall’approvazione o, se la camere a maggioranza assoluta ne hanno dichiarato l’urgenza, nel termine stabilito (articolo 87.5 e 73.2.3) - Potere di rinvio, prima di promulgare una legge, tramite messaggio motivato alle camere. Richiede contestualmente una nuova deliberazione, e nel caso in cui le camere approvano nuovamente la stessa legge è obbligato a promulgarla (articolo 74). I rinvii vengono motivati, nella prassi, con rilievi di legittimità costituzionale, a cui talvolta si accompagnano ragioni di merito. Questo è un potere in disuso nella realtà, al rinvio si preferisce la promulgazione motivata, in cui il presidente emette un comunicato nel quale spiega le ragioni della promulgazione, fornendo però indicazioni per eventuali correzioni, anche per la fase attuativa della legge. Legata a questo potere è la pratica della moral suasion, in cui il presidente, durante il corso del procedimento legislativo, esercita un’azione di convincimento nei confronti del parlamento, tramite messaggi ed esternazioni volti a suggerire correzioni del testo in corso d’opera. - Emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti (articolo 87.5). Anche in questo caso si ritiene che possa rifiutarsi di emanare gli atti solo se questi violino in modo evidente la costituzione. - Indice il referendum costituzionale e il referendum abrogativo nei casi previsti dalla costituzione (articolo 87.6) - Nomina 5 senatori a vita (articolo 59). Prima della riforma costituzionale del 2020 sussiste il dubbio se le nomine dei 5 senatori spetti a ogni presidente oppure se i senatori a vita non potessero essere in tutto più di 5. Tra i senatori a vita più illustri si ricordano Eugenio Montale, Eduardo de Filippo, Norberto Bobbio, Giovanni Agnelli, Elena Cattaneo, Mario Monti, Liliana Segre. - Può sciogliere anticipatamente le camere, previa consultazione dei presidenti di esse (articolo 88), ma non può esercitare questa facoltà durante il cosiddetto semestre bianco, dunque negli ultimi sei mesi del suo mandato, a meno che essi coincidano in parte o del tutto con gli ultimi 6 mesi della 17 - Invio di messaggi alle camere - Convocazione straordinaria delle camere - Concessione della grazia ○ Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente complessi → Il contenuto sostanziale è deciso sia dal governo che dal presidente: - Nomina del presidente del consiglio ○ Atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi → Il governo decide il contenuto degli atti, ma il presidente può comunque svolgere un controllo circa la loro conformità a costituzione: - Emanazione di decreti legge, di decreti legislativi e di regolamenti - Promulgazione delle leggi - Autorizzazione alla presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa - Nomina degli alti funzionari dello stato - Accreditamento dei rappresentanti diplomatici - Ratifica dei trattati internazionali - Conferimento delle onorificenze - Comando delle forze armate - Presidenza del consiglio superiore della difesa - Dichiarazione dello stato di guerra ○ Atti dovuti → Non è riscontrabile alcuna discrezionalità nè rispetto all’adozione nè rispetto al contenuto dell’atto, ma è la costituzione stessa a imporre l’esecuzione: - Promulgazione in caso di riapprovazione della legge (articolo 74) - Scioglimento delle camere al termine della legislatura (articolo 61) - Indizione delle elezioni delle nuove camere (articolo 61 e articolo 87) ○ Atti di incerta classificazione: - Scioglimento anticipato delle camere → La dottrina è divisa sulla questione se sia un atto legato alla sola volontà del presidente o se sia un provvedimento che viene preso in base a una decisione condivisa del governo. - Nomina dei ministri → Possono sorgere dei dubbi in merito alla possibilità del presidente di obiettare le proposte del presidente del consiglio nominato - Scioglimento dei consigli regionali IRRESPONSABILITA’ E CONTROFIRMA Il ministro (proponente o competente) controfirma gli atti e se ne assume ogni responsabilità. L’articolo 89.1 stabilisce che nessun atto del presidente sia valido se non è controfirmato dai ministri. Nel secondo comma è sancita la necessità della controfirma anche del presidente del consiglio per gli atti che abbiano valore legislativo o per gli altri atti indicati dalla legge. L’articolo 90 stabilisce inoltre che il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne nel caso di alto tradimento o di attentato alla costituzione, per cui è messo in stato di accusa dal parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri. Per quanto riguarda gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, il presidente è sempre responsabile; la corte 20 costituzionale, con la sentenza 1/2013 stabilisce l’impossibilità di utilizzare, ai fini di indagini, intercettazioni telefoniche, perché potrebbero arrecare una lesione della sfera di comunicazione costituzionalmente protetta del presidente, invitando dunque all’utilizzo, nella ricerca di prove per reati extrafunzionali, mezzi alternativi (documenti, testimonianze,...). Alto tradimento = Tentativo di sovvertire le istituzioni costituzionali e collusione con potenze straniere Attentato alla costituzione = Violazione delle norme costituzionali. Il procedimento di accusa consta di due fasi: 1. Fase politica → Messa in stato di accusa con votazione a maggioranza assoluta del parlamento in seduta comune. Preceduta da un’istruttoria svolta da un comitato costituito dai membri delle giunte per le immunità: può disporre intercettazioni telefoniche, perquisizioni personali e domiciliari e anche misure cautelari di natura limitativa della libertà personale. Al termine dell’indagine il comitato può: a. Ritenere infondata l’accusa e procedere all’archiviazione b. Presentare una relazione sulla messa in stato d’accusa, specificando le conclusioni a cui è giunto il comitato c. Dichiarare la propria incompetenza qualora il reato oggetto dell’indagine non rientri in quelli stabiliti dall’articolo 90 A questo seguirà poi la votazione del parlamento; nel frattempo il presidente può essere sospeso dalla carica per ordinanza della corte costituzionale. 2. Fase giurisdizionale → Giudizio della corte costituzionale, integrata con 16 membri estratti a sorte dall’elenco dei cittadini aventi requisiti per l’eleggibilità a senatore, che godranno dello stesso status dei giudici togati. Il giudizio si divide in tre fasi: istruttoria, dibattimento e decisione. La decisione viene adottata con sentenza non soggetta a impugnazione, ad eccezione del caso in cui emergano fatti nuovi tali da determinare la revocazione della sentenza. La controfirma dei ministri o del presidente del consiglio ha una duplice funzione: ● Rende il presidente irresponsabile e, di conseguenza, comporta l’assunzione di responsabilità da parte del ministro controfirmante ● Costituisce elemento di validità degli atti presidenziali Il valore della controfirma inoltre muta a seconda del tipo di cui la controfirma rappresenta il requisito di validità (sentenza 200/2006): - Ha valore sostanziale se l’atto è sostanzialmente governativo, e rappresenta la scelta e la conseguente responsabilità da parte del governo per l’atto presidenziale. - Ha valore formale se l’atto è sostanzialmente presidenziale, e ha una mera funzione di rendere l’atto valido. La controfirma: ➢ Negli atti presidenziali in senso stretto serve ad attestare la legittimità formale e la provenienza presidenziale dell’atto, ed è eseguita dal ministro competente in materia. ➢ Negli atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi attesta proprio che l’atto sia deciso dal governo, ed è eseguita dal ministro proponente. 21 ➢ Per gli atti formalmente presidenziali e sostanzialmente complessi attesta che l’atto sia il frutto dell’incontro delle volontà dei due organi; la controfirma governativa è quella del presidente del consiglio. Ci sono alcuni atti presidenziali che sono esenti da controfirma: ○ Dimissioni ○ Messaggi orali ○ Atti compiuti in qualità di membro di organi collegiali, fatta eccezione per gli atti del CSM che attengono allo status giuridico dei magistrati ○ Regolamenti presidenziali relativi all’organizzazione della presidenza della repubblica MAGISTRATURA FUNZIONE GIURISDIZIONALE Funzione giurisdizionale = Attività esercitata da soggetti a ciò abilitati dall’ordinamento che, in posizione di indipendenza, imparzialità e terzietà, applicano le norme ai casi concreti, pronunciando una sentenza motivata, definitiva e inconvertibile. L’articolo 102 stabilisce che questa deve essere esercitata da magistrati ordinari, e non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali; possono solamente essere istituite, presso gli organi giudiziari, sezioni specializzate per determinate materie. Questo è il cosiddetto principio di unicità della giurisdizione. Essendo soggetti solamente alla legge, ed essendo che la legge sia prodotta dal parlamento, rappresentante dei cittadini, si può dire che i magistrati abbiano un certo grado di legittimazione, seppur indiretta, da parte dei cittadini. Mentre durante il periodo della rivoluzione francese il giudice era visto come “bocca della legge”, e quindi come un tecnico che applicava le norme alla lettera, è impossibile al giorno d’oggi questo tipo di considerazione. Questo è dovuto al fatto che il giudice si ritrova a trarre la soluzione di casi concreti attraverso l’interpretazione di enunciati normativi che non sono mai completamente univochi. Inoltre l’attività di interpretazione, oggi, fa fronte a una grandissima varietà di fonti normative di rango e provenienza diverse, che richiede uno sforzo maggiore del giudice rispetto a quello che potrebbe essere richiesto dalla semplice lettura e applicazione rigida della norma. In questa attività di interpretazione il giudice non ha però discrezionalità a tutto campo, ma deve seguire dei criteri individuati dallo stesso ordinamento, oltre che attenersi al testo della norma: un’interpretazione troppo discordante da quella che risulta dalla lettura della norma andrebbe a creare diritto, ledendo la sfera di competenza del legislatore. Esistono diverse tipologie di magistrati: - Ordinari → Istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Hanno come organo referente del loro status il CSM - Speciali → Competenti a risolvere solo controversie in determinate materia; sono comunque costituiti anticipatamente al caso da giudicare. Si è voluto limitare notevolmente la loro presenza a causa dell’esperienza totalitaria del periodo pre-costituzionale, in cui i 22 CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Il Consiglio Superiore della Magistratura è comunemente qualificato come organo di “autogoverno” della magistratura: è l’organo deputato a gestire autonomamente l’organizzazione dell’ordine giudiziario, ma non a determinare le regole della gestione stessa, sancite dalla legge. E’ stato previsto dalla costituzione nel ‘48, ma ha iniziato a svolgere regolarmente le sue funzioni a partire dal ‘58. La prima donna ad essere eletta membro è stata Elena Paciotta negli anni 80. La composizione attuale è stabilita dalla Legge 71 del 2022 (Riforma Cartabia) e prevede: ● 3 membri di diritto: ○ Presidente della repubblica → E’ anche il presidente del CSM. In realtà generalmente la gestione organizzativa di tutte le funzioni e i lavori spetta al vice-presidente (scelto tra uno dei membri laici), in quanto il presidente della repubblica non è nella materiale posizione di svolgere a pieno titolo il ruolo di presidente di questo organo. Rappresenta comunque una funzione di garanzia a doppio senso: ■ Concorre a proteggere l’autonomia dell’organo da attacchi esterni ■ Richiama il CSM e i componenti dell’ordine giudiziario a mantenersi entro i confini delle proprie competenze. ○ Primo presidente della corte di cassazione ○ Procuratore generale presso la corte di cassazione ● 10 componenti laici → Professori universitari in materie giuridiche o avvocati con 15 anni di esercizio della professione, eletti dal parlamento in seduta comune con maggioranze qualificate (⅗ dei componenti per i primi due scrutini, ⅗ dei votanti dal terzo scrutinio). Le maggioranze qualificate impongono che nella scelta dei componenti ci sia un certo grado di accordo e partecipazione nella scelta delle minoranze politiche. ● 20 componenti togati → Magistrati, eletti dai magistrati ordinari Prima dell’entrata in vigore della legge 71/2022, i componenti erano 3 di diritto, 8 laici e 16 togati. Questa composizione mista serve sia a garantire l’autonomia dell’organo, e allo stesso tempo la previsione dei membri laici permette all’organo di non essere completamente scollegato dagli altri poteri statali, al fine di evitare un eccesso di autoreferenzialità. Inizialmente l’elezione dei componenti togati era disciplinata dalla legge 44 del 2002, la quale prevedeva un sistema maggioritario con i componenti eletti in tre collegi nazionali unici distinti (l’elettore riceve tre schede e può esprimere una sola preferenza per collegio). A seguito della Riforma Cartabia si individua una nuova articolazione dei collegi elettorali: - 2 giudici saranno eletti dalla Corte di Cassazione - 13 saranno giudici di merito - 5 sono pubblici ministeri. I magistrati voteranno in 7 collegi, 1 per la cassazione, 2 per la magistratura inquirente e 4 per quella giudicante. 14 saranno eletti con un sistema maggioritario, che individua i collegi nei quali sono eletti i magistrati più votati su un minimo di 6 candidati, mentre il 15° seggio è assegnato a un pubblico ministero sulla base di un calcolo ponderato che individua uno tra i terzi più votati. Gli ultimi 5 seggi sono assegnati con un sistema proporzionale nazionale. Non sono previste liste nazionali ma ci si può candidare individualmente. Altre disposizioni riguardano la convocazione delle elezioni, la costituzione degli uffici elettorali e la verifica delle candidature, oltre al fatto che per le candidature sia richiesto un numero non inferiore a 6 per collegio e 25 devono rispecchiare la rappresentanza paritaria tra i generi. Ci sono poi disposizioni riguardanti la disciplina del ricollocamento dei componenti togati alla cessazione dell’incarico e del magistrato dopo la candidatura in politica. La Riforma Cartabia ha previsto anche delle novità per l’elezione dei componenti laici, che devono essere eletti dal parlamento in seduta comune, tramite scrutinio segreto a maggioranza dei ⅗ dei componenti dell’assemblea. Inoltre la riforma ha introdotto ulteriori previsioni in modo da limitare il più possibile l’influenza esterna di particolari “correnti” nell’elezione dei membri togati, e sono stati previsti alcuni meccanismi volti a garantire maggior rigore e trasparenza nelle procedure di selezione per gli incarichi direttivi e semi-direttivi. I membri restano in carica per 4 anni e non sono rieleggibili. Per tutto il periodo di carica non possono essere iscritti agli albi professionali, non possono far parte del parlamento né di consigli regionali. In base a quanto previsto dalla legge 195/1958, come per i parlamentari, godono di insindacabilità per le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni. In materia di ordinamento giudiziario si sono svolti alcuni importanti referendum: - Separazione delle funzioni e delle carriere (Sentenza 58/2022) - Composizione e attribuzione dei consigli giudiziari (Sentenza 59/2022) - Presentazione delle candidature togate al CSM (Sentenza 60/2022) Nel giugno 2022 è stato anche effettuato un referendum sulla giustizia (per il quale non è stato raggiunto il quorum), con 5 quesiti riguardanti: 1. Riforma del CSM, limitatamente al numero di firme che il magistrato doveva portare per candidarsi come membro togato 2. Equa valutazione dei magistrati 3. Separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti 4. Limiti agli abusi della custodia cautelare 5. Abolizione del decreto Severino Le attribuzioni del CSM sono disciplinate dagli articoli: ● 105 → Sono di sua competenza, in base alle norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. E’ prevista una riserva di legge per evitare abusi e arbitrari del CSM nei confronti dei magistrati. ● 106 → I magistrati sono eletti per concorso, ma la legge può permettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari. ● 107 → I magistrati sono inamovibili (non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altra sede o funzioni), se non a seguito di decisione del CSM, adottata per i motivi e con le garanzie stabilite dalla legge, o con il loro consenso. Questo articolo prevede che sia il CSM a prendere tutte le decisioni riguardante il rapporto di lavoro con il magistrato; questo soprattutto per sottrarre questo tipo di provvedimenti all’influenza del potere esecutivo. ● 108 → Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. Le riserve di legge che rafforzano la materia sono previste per due motivi: 26 - Sono funzionali a contenere il potere normativo del governo in una materia a cui si vuole affidare le decisioni più importanti al parlamento, e dunque si vuole garantire al massimo l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario dal potere esecutivo - Servono a ridurre la totale discrezionalità dell’organo, evitando di permettere azioni di troppa libertà nella sua funzione di garanzia di autonomia. L’articolo 110 disciplina il rapporto che intercorre tra il CSM e il ministro di grazia e giustizia, al quale spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Dunque al ministro spetta il compito di organizzare gli uffici giudiziari, attraverso la determinazione del numero di magistrati da destinare a ciascuna sede. Inoltre è previsto un potere di osservazione sull’efficienza degli uffici giudiziari, che può essere strumentale all’eventuale attivazione del potere di promozione dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati L’articolo 11 della legge 195/1958 prevede che gli incarichi direttivi vengano conferiti dal CSM, previo concerto del ministro; nel caso in cui manchi il concerto, la scelta e la competenza spetta al CSM, motivando le ragioni del mancato concerto con il ministro, e, in modo completo e puntuale la scelta (sentenza 380/2003). L’articolo 10 della stessa legge disciplina i pareri e le proposte che il CSM avanza al ministro: - Proposte → Sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia - Pareri → Su disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto attinente a queste materie. A questo proposito in dottrina è aperto il dibattito sulla possibilità del CSM di esprimere pareri non richiesti o anche darli direttamente in parlamento. Gli atti del CSM sono adottati con decreto del presidente della repubblica o, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del ministro della giustizia. Questo consente di impugnare le delibere del CSM anche davanti all’autorità giudiziaria, infatti anche i decreti del presidente della repubblica rientrano negli atti amministrativi. Il ricorso verrà fatto davanti al TAR Lazio e, in secondo grado, davanti al Consiglio di Stato; mentre per i provvedimenti disciplinari il ricorso verrà fatto alle Sezioni unite della corte di cassazione. Da notare che la trasformazione dell’atto in decreto del presidente o del ministro non presuppone un controllo da parte degli organi di governo sul contenuto della decisione. INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA L’indipendenza della magistratura è riferibile sia all’ordine giudiziario nel suo complesso sia ai singoli magistrati: - Articolo 104 → La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere - Articolo 101 → I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Da ciò si ricava anche il divieto, per il giudice, di disapplicare la legge. Il divieto di disapplicare la legge vale anche nel caso in cui il giudice ritenga che una norma violi un principio costituzionale: in queste situazioni è tenuto a sospendere il giudizio e sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla corte. Solamente per le fonti dell’Unione Europea direttamente applicabili il giudice avrà la possibilità di disapplicare la norma contrastante, anche se la disapplicazione avrà valore solamente per quel caso. 27 l’indipendenza dell’organo, e prevede dei limiti ad incarichi extragiudiziari, che devono essere autorizzati dal CSM; tutto questo per tutelare al massimo l’indipendenza istituzionale esterna della magistratura. B. Interna → L’articolo 107 prevede che i magistrati si distinguono tra loro solamente per la diversità delle loro funzioni, escludendo qualsiasi tipo di gerarchia interna. Questo comporta che i giudici di grado superiore non sono nella condizione di vincolare giuridicamente i giudici di grado inferiore. Dunque si può affermare che il potere giurisdizionale è un potere diffuso presso ogni magistrato. Con questa norma non si esclude però che alcuni ruoli (funzioni di appello o di cassazione, funzioni direttive,...) si possano raggiungere attraverso promozioni per merito. Per queste promozioni ci si basa su una procedura concorsuale che parte da una valutazione di professionalità da parte del CSM, sulla capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno del magistrato, decisa anche sulla base dei pareri redatti dai consigli giudiziari. Per gli incarichi direttivi e semi-direttivi la legge richiede inoltre la valutazione dell’attitudine del magistrato a svolgere gli incarichi di gestione, organizzazione e direzione. Inoltre è previsto che i relativi procedimenti vengano svolti in modo tale da evitare sovrapposizioni di assegnazione, così da precludere la possibilità di accordi tra le varie correnti. A parità di valutazione è previsto che sia preferito il candidato del genere meno rappresentato. I magistrati si dividono in giudici e pubblici ministeri. Dal punto di vista dell’indipendenza, tra queste due figure ci sono alcune differenze, in particolare: - L’indipendenza funzionale dei pubblici ministeri è rimessa a scelte del legislatore, in base alla riserva di legge prevista dall’articolo 107. Il fatto che sia la legge ordinaria a garantire l’indipendenza del pubblico ministero rappresenta una forma attenuata di indipendenza, non forte come quella prevista dalla costituzione per i giudici. - Al pubblico ministero non si applica l’articolo 101.2, è dunque possibile un’organizzazione gerarchica degli uffici della procura, anche se bisogna sottolineare come il procuratore capo può dare delle direttive al fine di garantire l’uniformità dei criteri seguiti dall’ufficio nell’esercizio della sua funzione. Non sarebbe possibile che questo potere si trasformi in un’emanazione di atti di direzione gerarchica che si estrinsechino come un ordine puntuale e non come dei criteri generali da seguire. - L’articolo 112 stabilisce l’obbligo, per il pubblico ministero, di esercitare l’azione penale. Dunque ricevuta la notizia di un crimine, e sussistenti le condizioni prescritte dalla legge, il pubblico ministero è tenuto a dare impulso al processo penale. Se così non fosse si rischierebbe sia di compromettere il principio di uguaglianza, sia che in questo spazio valutativo si possano creare delle interferenze esterne capaci di compromettere l’indipendenza del magistrato. E’ prevista, dalla legge 134/2021 e dalla legge 71/2022 la possibilità di introdurre dei criteri di priorità per selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre. Dunque è la costituzione stessa a garantire anche la sua indipendenza funzionale. L’articolo 108 prevede una riserva di legge per assicurare l’indipendenza delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia. Inoltre lo 30 stesso articolo va integrato da quanto previsto dal 101 (soggezione solamente alla legge) e dall’articolo 100, che richiede alla legge di garantire l’indipendenza della Corte dei Conti e del Consiglio di stato. Più in generale, per l’autonomia e l’indipendenza delle giurisdizioni speciali, bisogna seguire più che le norme costituzionali, le scelte del legislatore ordinario, che ha introdotto degli organi di governo autonomo, simili al CSM, anche per queste giurisdizioni: - Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (materia amministrativa) → Presieduto dal Presidente del consiglio di stato, ed è composto da un presidente, 4 magistrati in servizio presso il consiglio di stato, 6 magistrati in servizio presso i TAR e 4 componenti laici eletti dalle camere. - Consiglio di presidenza della corte dei conti (materia contabile) → Composto dal presidente della corte dei conti, il presidente aggiunto, il procuratore generale, 4 magistrati appartenenti alla giurisdizione contabile e 4 membri eletti dal parlamento. - Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (materia tributaria) → Composto da 11 magistrati eletti dai componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali e 4 membri eletti dal parlamento a maggioranza assoluta, tra i quali viene scelto il presidente. - Consiglio della magistratura militare (materia militare) → Composto (e presieduto) dal primo presidente della corte di cassazione, il procuratore generale militare presso la corte stessa, 2 membri eletti dai magistrati militari e un componente estraneo alla magistratura militare scelto dai presidenti delle camere. Questi organi si occupano di tutto ciò che concerne la carriera e le sanzioni disciplinari delle giurisdizioni ad essi affidate (come il CSM per la giurisdizione ordinaria). Per quanto riguarda l’indipendenza dei giudici speciali, si possono evidenziare alcuni aspetti critici: - La presenza, tra i membri del consiglio di stato e della corte dei conti, accanto ai componenti di magistrati di concorso promossi alla carica, anche una componente di nomina governativa, anche se selezionata tra persone in possesso dei requisiti necessari - La prassi che vede i giudici amministrativi impegnati anche in incarichi extra-giudiziari. IMPARZIALITA’ DEI MAGISTRATI Articolo 111 → Ogni processo si svolge in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. Questo articolo presuppone che a giudicare un caso sia sempre un giudice che risieda in una posizione di indifferenza rispetto alle parti, alle questioni da decidere e all’esito finale della causa: si parla di imparzialità del magistrato. L’imparzialità può essere di due tipi: - Soggettiva → Il magistrato deve essere imparziale per la sua storia personale: non deve avere nessun tipo di rapporto (parentela, amicizia,...) con le parti a processo, e dunque non deve sussistere nessun suo interesse personale rispetto all’esito del processo. - Oggettiva → Oltre a essere soggettivamente imparziale, il magistrato deve apparire imparziale nelle modalità in cui esercita la propria funzione; per esempio il giudice non può giudicare due volte la stessa vicenda, oppure non può preannunciare l’esito della sentenza agli organi di stampa. A questo proposito, anche legato al concetto di indipendenza funzionale esterna, sono state sviluppate alcune regole e idee per evitare un collegamento troppo forte tra i magistrati e la politica, e tra i magistrati e associazioni con forti vincoli interni, in quanto 31 legami stabili tra queste due sfere renderebbe di fatto la posizione del magistrato priva della fiducia dei consociati di cui dovrebbe godere (sentenza 170/2018). Anche la riforma Cartabia prevede una serie di regole in merito al ricollocamento dei magistrati a seguito di una competizione elettorale: - Se non eletti → Non possono, nei tre anni successivi, essere ricollocati in ruolo nel territorio ricompreso nella circoscrizione elettorale, né nella sede dove svolgevano le funzioni prima di candidarsi; non possono svolgere le funzioni di giudice per le indagini o per le udienze preliminari, né potranno assumere incarichi direttivi o semidirettivi. - Se eletti → Alla cessazione dell’incarico sono collocati fuori luogo presso il ministero della giustizia, oppure in ruolo e destinati allo svolgimento di attività non giurisdizionali L’imparzialità è garantita da: ● Incompatibilità → Il magistrato non può giudicare nel caso in cui non possa essere soggettivamente imparziale ● Astensione → Possibilità di astenersi dal giudicare nel caso in cui non sarebbe o non apparirebbe imparziale. E’ obbligato ad astenersi secondo quanto previsto: ○ Dall’articolo 51 del codice di procedura civile ○ Dall’articolo 36 del codice di procedura penale ● Ricusazione → Una delle parti richiede che il caso sia giudicato da un altro giudice perché c’è il rischio di non imparzialità ● Rimessione del processo → Spostamento del processo ad altra sede, su richiesta di parte, laddove si verifichino determinate circostanze tali da turbare lo svolgimento del processo (strumento utilizzato solo come estrema ratio). Nonostante l’articolo 111 si riferisca ai soli giudici, si presuppone che anche i pubblici ministeri siano imparziali nell’esercizio delle loro funzioni, ma non è previsto per quanto riguarda la terzietà, infatti il pubblico ministero partecipa al contraddittorio come parte, seppur in una condizione peculiare. RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI In virtù del principio di indipendenza, è esclusa qualsiasi forma di responsabilità politica dei magistrati, anche per il fatto che essi non intrattengono con il popolo nessun rapporto di rappresentanza. Sono però previste: - Responsabilità civile → L’articolo 28 prevede che i magistrati (come i vari funzionari statali), siano responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. Inizialmente la disciplina in merito era prevista dalla legge 117/1988, che prevedeva, tra le altre cose: - Risarcibilità del danno imputabile a un provvedimento del giudice posto in essere con dolo o colpa grave, indicando come colpa grave la grave violazione di legge, purché determinata da negligenza inescusabile. - Veniva però esclusa dalla responsabilità, come clausola di salvaguardia, l’attività di interpretazione di norme e di valutazione del fatto e delle prove - Si agiva nei confronti dello stato e non del magistrato. Lo stato poteva poi rivalersi successivamente sul magistrato 32 contrario di tutti gli altri atti della pubblica amministrazione, non sono impugnabile. In realtà nella prassi si è sempre data un'interpretazione assai restrittiva della non impugnabile, relegando solamente a situazioni eccezionali. ● Articolo 25 → Diritto al giudice naturale precostituito per legge, che deve essere individuato prima,a dell'insorgere della controversia, per garantire al massimo l'imparzialità del giudizio. La legge prevede comunque, in alcune situazioni, la possibilità di sostituzione del giudice inizialmente individuato. ● Articolo 111 → Garanzie del giusto processo. Questo articolo venne introdotto attraverso una riforma costituzionale del 1999, per superare una sentenza in senso contrario della corte costituzionale. A garanzia del giusto processo sono previsti un contraddittorio in condizioni di parità e un giudice terzo e imparziale. Inoltre il legislatore deve assicurare la ragionevole durata del processo; è prevista anche una forma di ristoro, disciplinata dalla Legge Pinto, per ottenere un risarcimento di un'acqua riparazione del danno nel caso del mancato rispetto del termine ragionevole. Infine è previsto che ogni provvedimento giurisdizionale venga motivato, allo scopo di consentire un'eventuale impugnazione diparte delle parti. Con riguardo al processo penale vige il principio del contraddittorio nella formazione della prova; inoltre, data la possibile incidenza sulla libertà personale, sono previsti alcuni importanti principi: ● Principio di legalità → Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Dunque è prevista la necessaria determinatezza della norma penale, che preclude in ogni modo l'arbitro del giudice, e ch3 non può essere interpretata retroattivamente o per analogia. ● Carattere personale della pena → L'articolo 27.1 vieta che si possa essere chiamati a rispondere per fatto altrui. ● Presunzione di non colpevolezza → L'imputato deve provare la propria innocenza, ma allo stesso tempo l'accusa deve provarne la colpevolezza. Dunque, fino alla condanna definitiva, l'imputato è considerato innocente (articolo 27.2). ● Finalità rieducazione della pena → Secondo quanto previsto dall'articolo 27.3, la pena non solo non deve essere contraria al senso di umanità, ma deve anche essere finalizzata al reinserimento del reo nella società. Inoltre la pena deve necessariamente essere proporzionata alla condotta punita. Questo principio trova applicazione anche per i condannati all'ergastolo a cui, nel caso in cui dovessero aver intrapreso un percorso di reale ravvedimento durante la detenzione, può essere consentito un graduale reinserimento sociale durante l'esecuzione della pena, attraverso la concessione di alcuni benefici penitenziari. GIUSTIZIA COSTITUZIONALE La previsione di un sistema di giustizia costituzionale è legata al principio di rigidità della costituzione, che si pone come fonte superprimaria superiore alla legge. La rigidità della costituzione si caratterizza per: ● Procedimento aggravato per modificare la costituzione o approvare altre leggi costituzionali (articolo 138) 35 ● Previsione di un organo a tutela dei principi costituzionali, volto a reprimere eventuali violazioni di essi tramite il potere di annullamento delle leggi contrarie ad essa. I principi costituzionali riguardo alle garanzie costituzionali (e quindi riguardo la corte costituzionale) sono contenute nel titolo VI parte II della costituzione, denominato appunto “Garanzie Costituzionali”. Rispetto al presidente della repubblica, che in altri modi risulta essere un organo di garanzia, la corte è un organo collegiale, che svolge la sua funzione di controllo con criterio e metodo giurisdizionale, nonostante si ponga comunque come estranea ai tre poteri fondamentali dello stato. Ci sono più modelli di giustizia costituzionale: ➢ Modello diffuso (USA, ‘800)→ Ogni giudice può disapplicare la legge ritenuta incostituzionale (primo caso Marbury vs Madison del 1803). E’ prevista anche la possibilità di overruling, quindi la possibilità di ribaltare sentenze precedenti (ad esempio con la sentenza Doms per l’aborto). In questo tipo di giustizia la decisione è inter pares: non viene cancellata ma solo disapplicata la legge incostituzionale, che però potrà essere applicata da giudici che non la ritengano tale, e l’accertamento è retroattivo. Vige il principio dello stare decisis: le sentenze precedenti sono vincolanti per i giudici di livello inferiore, e se non vengono seguite bisogna motivarne la non attinenza. ➢ Modello accentrato (Austria, ‘900)→ Sindacato compiuto da un organo ad hoc, non appartenente al potere giudiziario, che annulla la legge in contrasto con la costituzione. Si parla qua di legislatore negativo perché l’organo in questione, annullando la legge, fa esattamente l’opposto di ciò che è stato fatto dal legislatore ordinario. L’efficacia è erga omnes e non retroattiva (salvo che per il diritto penale, nel caso in cui la sentenza sia a favore del reo). ll modello accentrato è quello utilizzato anche in Italia, dove l’accesso è incidentale: la richiesta di sindacato arriva direttamente da un giudice a cui sorge il dubbio riguardo a una norma durante un processo. ➢ Modello misto → Sindacato con caratteristiche sia del tipo diffuso che del tipo misto. Con il passare del tempo si è assistito a un avvicinamento e a una contaminazione sempre maggiore tra i due modelli. In realtà il modello italiano potrebbe essere considerato misto, in quanto la decisione di illegittimità costituzionale viene presa da un organo ad hoc, ma la facoltà di iniziativa è garantita a tutti i giudici, e quindi diffusa. Il tipo di sindacato può, inoltre, essere: ● Preventivo → Legge sottoposta allo scrutinio di costituzionalità durante il procedimento di approvazione, e dunque prima che sia entrata in vigore ● Successivo → Legge sottoposta allo scrutinio di costituzionalità dopo la sua entrata in vigore CORTE COSTITUZIONALE In assemblea costituente ci fu un lungo dibattito in merito al tipo di modello da adottare per il controllo di legittimità costituzionale delle leggi. Si scelse di optare per il modello accentrato per una serie di motivi: - Il potere giudiziario era generalmente il meno forte e il più colpito da eventuali rivoluzioni e colpi di stato 36 - Erano presenti già alcuni progetti politici per istituire un “tribunale per la tutela delle libertà dei cittadini” - C’era molta diffidenza verso il potere giudiziario: in alcune situazioni, soprattutto in campo amministrativo, la legge non veniva applicata in modo propriamente rigoroso e si temeva che questo fosse sintomo di una minor sicurezza nell’affidare un controllo così importante a tutti i giudici. Sempre in assemblea costituente erano stati proposti tre tipi di richiesta di giudizio di costituzionalità: ● In via incidentale → Questione di legittimità sollevata nel corso di un giudizio concreto ● In via diretta del cittadino → Entro un determinato periodo di tempo dall’entrata in vigore della legge incostituzionale (in genere 1/2 anni). ● Su azione di alcuni soggetti→ Attraverso il ricorso di più cittadini, dei consigli regionali o di enti qualificati Tra le opzioni sembrava essere preferito il ricorso in via diretta del cittadino, ma si oppose fermamente il partito comunista, che riteneva ingiusto che un cittadino, mosso da interessi personali, avrebbe potuto mettere in discussione un atto votato dal parlamento, organo rappresentativo di tutti i cittadini. La soluzione in realtà venne decisa in un momento successivo, infatti l’articolo 137 prevede che le modalità vengano decise da una successiva legge costituzionale. Articolo 137 → Condizione, forme, termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e garanzie d'indipendenza dei giudici della corte sono stabilite da una legge costituzionale. Questo articolo presuppone una riserva di legge costituzionale in materia, che viene attuata attraverso: - Legge costituzionale 1 del 9/02/1948 → Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della corte - Legge costituzionale 1 del 11/03/1953 → Norme integrative della costituzione concernenti la corte costituzionale. Al secondo comma dello stesso articolo è previsto che una legge ordinaria stabilisca le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della corte; in attuazione sono state emanate: - Legge 87 del 11/03/1953 → Norme sulla costituzione e sul funzionamento della corte costituzionale - Legge 131 del 5/06/2003 → Modifiche degli articoli 31, 32 e 35 della legge 87/1953 per quanto riguarda il giudizio di legittimità in via principale Inoltre, la legge costituzionale 1/1953 introduce il giudizio di legittimità spettante alla corte sul referendum abrogativo (previsto dall’articolo 75), stabilendo che le modalità di questo giudizio vengano disciplinate da una legge: - Legge 352 del 25/06/1970 → Norme sui referendum previsti dalla costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo. La stessa legge costituzionale 1/1953 prevede anche la disciplina in merito al giudizio sulle accuse promosse contro il presidente della repubblica, che vengono integrate con: - Legge 20 del 25/01/1962 → Norme sui procedimenti e giudizi di accusa Ci sono anche delle situazioni in cui la Corte produce da sé delle fonti di “autonormazione” - Norme integrative per i giudizi davanti alla corte costituzionale (7 ottobre 2008, modificate nel 2020, nel 2021 e nel 2022) 37 La scelta del sindacato in via incidentale è stata operata dalla legge costituzionale 1/1948, articolo 1: “La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione.” Accanto a questo, importante è l’articolo 23 della legge 87/1953: “Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza, indicando:...” Dunque è possibile che la questione di legittimità costituzionale sia sollevata: - Da un’autorità giurisdizionale → Organo che sia soggettivamente giudice, e che quindi sia chiamato a prendere una decisione in modo terzo e imparziale, in un contraddittorio tra le parti interessate (elemento soggettivo). - Durante il corso di un giudizio → Processo o comunque in una sede nella quale si faccia applicazione oggettiva di norme giuridiche, tendenzialmente durante il contraddittorio delle parti (elemento oggettivo). Inizialmente i due requisiti venivano chiesti alternativamente (sentenza 83/1966), per timore che i giudici non sollevassero alcuna questione, mentre attualmente la giurisprudenza richiede la compresenza di entrambi. In realtà a questo principio sono state ammesse, nel tempo, alcune deroghe, in particolare per quelle leggi per cui la questione di legittimità sarebbe difficilmente arrivata alla corte per altra via: ad esempio con la sentenza 376/2001 sono stati legittimati a sollevare la questione gli arbitri rituali, che svolgono la loro attività nel corso di un arbitrato regolato dalle norme del codice di procedura civile. Il sindacato di costituzionalità delle leggi in via incidentale è accentrato e successivo, ma ad iniziativa diffusa: tutti i giudici possono sollevare una questione di legittimità costituzionale. Prima di sollevare la questione il giudice deve verificare che sussistano 3 requisiti (Legge costituzionale 1/1948 e articolo 23 della legge 87/1953): ● Che la questione sia rilevante → Con rilevanza si intende un nesso di pregiudizialità tra giudizio di costituzionalità e giudizio a quo. In pratica la questione è rilevante quando la legge della cui costituzionalità si giudica deve essere necessariamente utilizzata nella controversia, che non può essere definito o non può proseguire senza la risoluzione della questione. Essa deve essere attuale, e non sono ammissibili questioni di legittimità costituzionale premature o tardive. Non basta la rilevanza, essa deve essere motivata dal giudice; nel caso in cui non ci sia rilevanza la questione risulta essere inammissibile. Nel caso in cui, dopo la rimessione della questione di legittimità, sopraggiungono fatti nuovi che in qualche modo possano incidere sulla rilevanza stessa, si aprono due strade, a seconda che gli eventi interessino: - Il processo a quo → La corte non pronuncia l’inammissibilità per sopravvenuta irrilevanza, essendo il giudizio in punto di rilevanza soddisfatto qualora tale requisito sussista al momento della rimessione della questione. - Il sistema normativo nel suo complesso → La corte rimette con ordinanza gli atti al giudice a quo, che, dopo aver valutato la questione in base al nuovo assetto dell’ordinamento, decide se riproporla. ● Che la questione non sia manifestamente infondata → In questo senso è sufficiente che il giudice abbia un dubbio circa la legittimità costituzionale della norma da applicare. Non è 40 necessario che il giudice sia convinto della fondatezza della questione e nemmeno che sia persuaso del contrario, perché questo spetterà alla corte stabilirlo, ma è sufficiente che esistano ragioni oggettive di incertezza della compatibilità costituzionale della norma di legge. Questo requisito rappresenta una sorta di filtro di merito che evita il pervenire alla corte di troppe questioni del tutto infondate. Anche in questo caso le ragioni della non manifesta infondatezza devono essere dettagliatamente motivate dal giudice. ● Che non sia possibile interpretare la disposizione in modo costituzionalmente conforme → E’ necessario che il giudice, prima di sollevare la questione, abbia esperito senza esiti positivi un tentativo di interpretazione conforme alla costituzione della norma; tra due possibili alternative, una costituzionale e una no, il giudice è tenuto a seguire quella costituzionalmente conforme. Secondo quanto stabilito dalla sentenza 356/1996, infatti, le leggi non sono dichiarate incostituzionali perché è possibile individuare interpretazioni non conformi a costituzione, ma perché non è possibile trovare interpretazioni conformi. Questo requisito ha portato con il tempo a una diminuzione delle richieste di legittimità costituzionale, poiché i giudici si sono ritrovati a interpretare alcune disposizioni in modo conforme attraverso ragionamenti particolarmente forzati. Nella sua interpretazione, il giudice deve eventualmente tenere conto della presenza di un’interpretazione consolidata in termini di diritto vigente, cioè se è sostenuta dalla giurisprudenza comune prevalente. L’atto che apre il giudizio in via incidentale è l’ordinanza di rimessione, all’interno della quale deve essere indicato il thema decidendum, su cui la corte è chiamata a pronunciarsi. Esso deve essere definito e non può limitarsi a una generica contestazione della legge da parte del giudice a quo. L’ordinanza di rimessione deve contenere: - Indicazione dell’autorità procedente e del giudizio nel quale si è riscontrata la questione - Riferimento alla controversia concreta, nell’ambito della quale sorge la questione, attraverso l’indicazione dei fatti di causa - Indicazione del soggetto che ha prospettato il dubbio di legittimità - Norma oggetto → Legge o atto avente forza di legge della cui costituzionalità si dubita - Norma parametro → Costituzione o leggi costituzionali che si ritengono violate - Esposizione dei termini e motivi della questione - Motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza - Resoconto del tentativo di risolvere il dubbio attraverso un’interpretazione costituzionalmente conforme La corte costituzionale tendenzialmente non può rifiutarsi di decidere o modificare la richiesta del giudice, ma ci sono stati casi in cui ci si è ritrovati in una modifica del thema decidendum, o in altre circostanze è stata la corte stessa a auto-rimettersi la questione di legittimità costituzionale. Un esempio è stato il caso Cappato, in cui era stata sollevata la questione in violazione degli articoli 2, 3 e 13 della costituzione; la corte ha aggiunto anche un termine nella violazione dell’articolo 32. E’ altresì possibile che in una stessa ordinanza vengano proposte più questioni, o che una stessa questione venga sollevata su una pluralità di profili. L’articolo 134 stabilisce che possano essere di sindacato le leggi e gli atti aventi forza di legge dello stato e delle regioni; quindi possono essere incluse tra queste le leggi costituzionali, con riguardo ai loro limiti 41 specifici di contenuto e di procedimento e rispetto ai principi supremi della costituzione. Sono invece esclusi gli atti normativi subordinati alla legge (il cui controllo è affidato ai giudici ordinari), e i regolamenti parlamentari. Il giudice deve indicare la norma della cui costituzionalità dubita, indicando la disposizione da cui la desume per via interpretativa. E’ bene ricordare che una norma possa essere desunta anche dalla lettura congiunta di più disposizioni, e allo stesso tempo che una singola disposizione può contenere al suo interno più norme. E’ possibile che ad essere violata sia una norma di rango sub-costituzionale alla quale la costituzione attribuisce però efficacia vincolante nei confronti delle altre leggi ordinarie; si parla in questo caso di parametro interposto, cioè norma la cui violazione comporta un’indiretta violazione della costituzione. I vizi sindacabili possono essere: - Vizio formale →Mancato rispetto delle regole che disciplinano il procedimento di formazione dell’atto - Vizio sostanziale → Concerne i contenuti della norma oggetto, in contrasto con i contenuti sostanziali della norma parametro - Vizio di competenza → L’atto è adottato da un soggetto diverso rispetto a quello costituzionalmente competente. Con l’ordinanza di rimessione si sospende il processo a quo, e il giudice è tenuto a trasferire il fascicolo contenente gli atti del giudizio alla corte. In particolare si seguono delle “tappe” ben definite: 1. Redazione dell’ordinanza di rimessione → Ai sensi dell’articolo 23 della legge 87/1953, è necessario che essa contenga alcuni elementi tipici, a pena nullità dell’atto: a. Nome dell’autorità giudiziaria da cui proviene la questione b. Notizie sul giudizio a quo, per permetterne alla corte di apprezzarne la rilevanza c. Esatta individuazione della questione di legittimità, attraverso il raffronto tra norma oggetto e parametro d. Motivazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza e. Indicazione di aver esperito inutilmente il tentativo di interpretare in modo costituzionalmente uniforme f. Motivazione sul thema decidendum, quindi sui termini e i profili della questione di legittimità 2. Notificazione dell’ordinanza → E’ necessario che l’ordinanza venga notificata: ○ Alle parti del giudizio a quo e al pubblico ministero nel caso in cui il suo intervento, nel giudizio a quo, sia obbligatorio ○ Al presidente del consiglio o al presidente della giunta regionale, a seconda che la legge impugnata sia statale o regionale La notificazione ha la funzione di realizzare la regolare costituzione del contraddittorio (sentenza 202/1983) 3. Pubblicazione dell’ordinanza → Giunta alla cancelleria della corte costituzionale, l’ordinanza viene pubblicata in gazzetta ufficiale, definendo: ★ Il dies a quo per la decorrenza dei termini di costituzione delle parti del processo costituzionale ★ Il momento in cui la questione di legittimità costituzionale si svincola dalla sua appartenenza al giudizio concreto per assumere una dimensione generale 42 cittadino, indipendentemente dalla presenza di un giudizio concreto, e quindi solo per il futuro. Un caso particolare si è verificato con la sentenza 10/2015, in cui la corte ha dichiarato che per alcune situazioni, al fine di evitare che una pronuncia di incostituzionalità provocasse effetti ancora meno conformi alla costituzione, in alcuni casi si sarebbe potuto far decorrere l’efficacia della decisione per il solo periodo successivo alla sua pubblicazione. Nel caso in questione, a seguito della modifica dell’articolo 81, che richiede il rispetto dell’equilibrio di bilancio, venne dichiarata l’illegittimità solo pro futuro della cosiddetta Robin Hood Tax (che imponeva particolari oneri tributari agli operatori del settore petrolifero); la conseguenza fu che gli operatori si trovarono a dover pagare comunque tutti i tributi accertati in precedenza. Un altro caso particolare è quello della sentenza 41/2021, in cui la corte ha dichiarato illegittima la previsione che attribuisce ai giudici onorari la funzione di giudice collegiale nelle corti d’appello, affermando però che la previsione è soggetta a una tollerabilità costituzionale temporanea (fino al 31/10/2025). La corte può pronunciarsi esclusivamente sulla legittimità delle norme oggetto indicate nell’ordinanza di rimessione (articolo 27 della legge 87/1953), ma si ha una deroga nel caso di illegittimità consequenziale: in questo caso la corte ha il potere di dichiarare l’illegittimità costituzionale anche di quelle ulteriori disposizioni la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata. Le decisioni di accoglimento possono essere: - Di accoglimento secco → La norma viene dichiarata incostituzionale nella sua interezza - Di accoglimento manipolativo - Interpretative di accoglimento e di rigetto Inoltre con il tempo la corte ha “creato” delle forme di decisione intermedie, in modo da temperare gli effetti delle decisioni di rigetto e accoglimento: ● Decisioni interpretative → Poiché le decisioni possono essere interpretate in modo diverso dai vari giudici, la corte propone una sua interpretazione: ○ Interpretativa di rigetto → La corte non condivide l’interpretazione del giudice a quo, trovando una propria interpretazione conforme a costituzione. Di conseguenza viene dichiarata infondata la questione di legittimità sollevata, con effetti inter partes ○ Interpretativa di accoglimento → La corte condivide l’interpretazione del giudice a quo e dichiara fondata la questione di legittimità, e, di conseguenza, l’incostituzionalità della norma. Questo accade anche quando, nonostante una prima decisione interpretativa di rigetto, i giudici non si conformano all’interpretazione proposta dalla corte, portando dunque alla dichiarazione di incostituzionalità. Un caso peculiare sono state le sentenze 11 e 52 del 1965, la prima interpretativa di rigetto, la seconda di accoglimento sollevate a 1 mese di distanza, sullo stesso tema. Il caso riguardava l’applicabilità delle garanzie di difesa previste per l’istruttoria formale alla disciplina del codice penale; la corte inizialmente dichiarò infondata la questione, per poi tornare sui suoi passi e dichiarare l’incostituzionalità dell’articolo 392 del codice penale. 45 ● Decisioni manipolative → La corte dichiara la norma incostituzionale solamente per una parte del suo contenuto. La decisione ha effetti erga omnes e retroattivi, ma solamente con riguardo alla parte della norma colpita dall’incostituzionalità. Si verificano soprattutto in quelle materie la cui disciplina risulta ancora essere quella del periodo in cui sono stati scritti i principali codici (ad esempio il diritto di famiglia), in periodo pre-costituzionale, ed è proprio la corte con le sue decisioni manipolative a riformare la materia. Si dice che in questo tipo di decisioni la corte abbia una discrezionalità “a rime obbligate”, che si differenzia dalla piena discrezionalità garantita al legislatore dal fatto che, per le modifiche apportate, abbia come limite il rispetto delle norme costituzionali (il legislatore non sempre rispetta le norme costituzionali, motivo per cui poi si svolge il giudizio di legittimità). Questo tipo di decisione ha alla base la differenza tra disposizioni (testo linguistico scritto) e norma (ciò che si ricava dall’interpretazione delle disposizioni), e in particolare la corte introduce nuove norme dichiarando incostituzionali alcune parti della disposizione. Possono essere: - Decisioni di accoglimento parziale → La corte elimina una parte della disposizione, rendendo di fatto la norma conforme a costituzione (“Nella parte in cui prevede che…”). Un esempio con la sentenza 151/2009 riguardante la legge 140/2004 in materia di fecondazione assistita, nello specifico la norma disciplinava la creazione di embrioni. Dichiarando incostituzionale la parte in cui veniva previsto che il numero massimo di embrioni creabile fosse tre, la regola di risulta è “Le tecniche di produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario.” Questo tipo di decisioni permette alla corte, con un semplice taglio nella disposizione, di cambiare anche radicalmente il significato di alcune norme. - Decisioni additive → La disposizione viene dichiarata incostituzionale “nella parte che non prevede” qualcosa, quindi manca di un contenuto costituzionalmente necessario. La corte nel dichiarare l’incostituzionalità aggiunge una parte alla norma, rendendola di fatto costituzionale. Alcuni esempi sono: - La sentenza 404/1988, in merito al problema legato alla successione del contratto di locazione a seguito della morte del conduttore: la corte riconosce la legge 392/1978 incostituzionale nella parte in cui non prevede il convivente more uxorio nella successione al conduttore. Questa fu una sentenza particolarmente importante perché fu una delle prime volte che venne riconosciuto il diritto alla casa come fondamentale, e che venne riconosciuta una certa forma di tutela alla cosiddetta famiglia illegittima. - La sentenza 170/1970 ha dichiarato incostituzionale l’articolo 304-bis del codice di procedura penale nella parte in cui escludeva la possibilità del difensore di assistere all’interrogatorio dell’imputato. Nel 1970, più in generale, la corte ha iniziato, con le sue sentenze, una serie di riforme volte 46 a modificare il codice di procedura penale per rendere nei processi una posizione di sempre maggiore parità tra l’accusa e la difesa. - Le sentenze 44/1990 e 303/1996 hanno dichiarato incostituzionali alcune leggi riguardanti l’adozione nelle parti in cui esse non prevedessero che il giudice assumesse le proprie decisioni nell’esclusivo interesse del minore adottato. - Decisioni sostitutive → La norma viene dichiarata incostituzionale nella parte in cui la disposizione prevede una cosa invece che un’altra (“dove è previsto X invece che Y”). In questi casi la corte sostituisce alcune previsioni con altre, rendendo anche in questo caso la nuova norma costituzionale. Degli esempi sono: - Sentenza 145/1995 → Sostituzione della formula del giuramento del testimone nel codice di procedura civile con la formula introdotta nel nuovo codice di procedura penale, escludendo la previsione del giuramento “davanti a Dio”, ritenuto incostituzionale in base al principio di laicità dello stato. - Sentenza 236/2016 → Modifica in merito alla misura temporale di alcune pene previste per determinati reati Le decisioni manipolative hanno suscitato moltissime critiche in dottrina, per il fatto che siano ritenute lesive dello spazio riservato alla discrezionalità del legislatore. molto forte era la posizione di chi ritenesse che: - Se la norma era già nell’ordinamento, spetterebbe solamente ai giudici ricavarla - Se la norma non è già presente nell’ordinamento, soltanto il legislatore potrebbe introdurla La soluzione a questo problema è proprio il principio secondo cui la corte manipoli le disposizioni “a rime obbligate”, non creando da 0 la norma, ma ricavandola dal sistema costituzionale. A partire dal 2018 sono state introdotte (ad oggi se ne contano 3) le Decisioni additive di principio → La corte dichiara incostituzionale una norma nella parte in cui non rispetta un determinato principio costituzionale, senza però aggiungere una parte di disposizione per rendere tale norma conforme. In questi casi fissa un principio generale che deve essere attuato attraverso l’intervento del legislatore, lasciando un termine di un anno entro il quale agire; se, dopo questo periodo il legislatore non è intervenuto, la corte, in un’udienza pubblica, dichiara l’incostituzionalità della norma. Fino all’intervento del legislatore la norma risulta essere incostituzionale, e, nel caso in cui sia necessario un suo utilizzo si apre un problema, che la dottrina risolve con 3 possibili alternative: - Sospensione del giudizio (e di tutti i giudizi pendenti inerenti alla stessa legge) finché non arrivi l’intervento del legislatore - Applicazione della norma originaria - Applicazione diretta del principio enunciato dalla corte Tutte queste soluzioni presentano comunque delle caratteristiche problematiche. Un esempio di questo tipo di decisione è stata la sentenza 170/2014, riguardo al “divorzio imposto” nel caso di cambio di sesso di uno dei due coniugi, questione sollevata dalla corte di cassazione. La corte ha rimandato al legislatore il compito di apportare le 47 Ogni potere dello stato può ricorrere alla corte costituzionale per difendere l’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali, compromesse da un altro potere dello stato (si parla anche di giudizio per conflitto interorganico). La legge 87/1953, all’articolo 37, prevede che: - Il conflitto deve coinvolgere organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, e che quindi devono essere capaci di compiere atti in posizione di indipendenza. → Elemento soggettivo. Qui bisogna riscontrare la differenza tra poteri-organi, quindi quei poteri che si esauriscono in un solo organo (ad esempio il presidente della repubblica), e gli organi-poteri, quindi quei poteri che si estrinsecano in più organi (ad esempio il potere giudiziario) - Il conflitto deve essere per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, e quindi è necessario un “tono costituzionale” del conflitto. → Elemento oggettivo Legittimati ad agire sono: ● Gli organi dello stato che detengono i tre poteri “tradizionali” (l’articolo 134 stabilisce che la competenza appartenga ai “poteri dello stato”): ○ Parlamento → Sono legittimati la camera, il senato e le commissioni parlamentari d’inchiesta; ultimamente si verifica anche una lieve apertura al ricorso da parte dei parlamentari. ○ Governo → Legittimazione del Consiglio dei ministri e del ministro della giustizia, unico con specifiche competenze costituzionali. In tutti i casi di questioni sollevate da altri membri del governo, gli organi non rappresentano il potere esecutivo in quanto tale, ma difendono le loro specifiche attribuzioni costituzionalmente garantite ○ Magistrati → Competenza affidata a tutti i giudici (poiché si tratta di un potere diffuso). ● Tutti gli altri organi a cui la costituzione attribuisce delle competenze (legge 87/1953): ○ Presidente della repubblica ○ Consiglio superiore della magistratura ○ Corte costituzionale ○ Corte dei conti ○ CNEL Il conflitto di attribuzioni può essere: ➢ Conflitto da usurpazione → Il potere ricorrente ritiene che un altro potere abbia esercitato una competenza esclusivamente riservata al ricorrente stesso. ➢ Conflitto da menomazione o interferenza → Il potere ricorrente critica le modalità con cui un altro potere ha esercitato in concreto una funzione a quest’ultimo spettante, tali da determinare una menomazione o un’interferenza indebita nella sfera di attribuzioni costituzionali del ricorrente. Oggetto del conflitto possono essere: - Atti → In questo caso è possibile sollevare la questione solo nel caso in non esista un giudizio in cui la legge o l’atto, motivo del conflitto, non possa essere impugnato. 50 - Comportamenti → Ad esempio un’omissione, come potrebbe essere la mancata controfirma di un provvedimento Il parametro è la norma costituzionale attributiva della specifica competenza Una caratteristica peculiare è che non ci sono termini di decadenza entro i quali instaurare il ricorso: la corte ritiene necessario l’interesse a ricorrere da parte del ricorrente. Anche questo è un giudizio di parti, che dunque può terminare con la rinuncia del ricorrente, accettata dal resistente. Il giudizio si compone di due fasi: 1. Ammissibilità → La corte valuta solamente la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, valutando quindi se realmente il conflitto riguarda attribuzioni costituzionali dei poteri dello stato. a. In caso di esito negativo viene dichiarata l’inammissibilità del conflitto b. In caso di esito positivo si apre la seconda fase del giudizio 2. Se il ricorso viene dichiarato ammissibile la corte pronuncia una sentenza di merito, a seguito di un contraddittorio tra le parti. → Con una decisione presa in camera di consiglio, la corte dichiara il potere a cui spetta l’attribuzione in contestazione, eventualmente annullando l’atto oggetto del conflitto, l’inammissibilità della questione o, se non vengono rispettati i limiti temporali di notifica e deposizione degli atti, l’improcedibilità. I soggetti terzi possono partecipare al giudizio solo nell’unico caso in cui l’esito di esso possa pregiudicare la posizione di un privato estraneo, che vedrebbe irrimediabilmente compromessa la sua posizione. Il conflitto di attribuzione può avvenire anche tra stato e regioni e tra le regioni; si parla di conflitti tra enti o “conflitti intersoggettivi”. Atti che possono provocare questo tipo di conflitto sono: - Provvedimenti amministrativi - Regolamenti - Decreti - Atti giudiziari Non è previsto per atti legislativi, in quanto già giudicati in via principale e non è possibile far valere un vizio di costituzionalità dell’atto se questo non lede una competenza costituzionale del ricorrente. Legittimati a procedere sono lo stato (tramite il presidente del consiglio, rappresentato e difeso dall’avvocatura di stato) e le regioni o province autonome (tramite i presidenti delle giunte regionali o provinciali). I conflitti che possono sorgere sono: - Da menomazione - Da interferenza Il parametro di questi tipi di conflitti, oltre a essere la costituzione, sono anche quelle leggi ordinarie che integrano le norme costituzionali (come ad esempio i decreti di attuazione degli statuti speciali, o i decreti delegati di trasferimento delle funzioni tra stato e regioni). Dopo la riforma del titolo V è anche spesso richiamato, tra i parametri, il principio di leale collaborazione tra stato e regioni, che si esplica nella necessità di dar luogo a un reciproco coinvolgimento istituzionale e di coordinare i livelli di governo statale e regionale. In ogni caso è sempre richiesto il tono costituzionale della questione: non è ammissibile il ricorso in forza di funzioni attribuite da leggi non costituzionali o costituzionalmente rilevanti. 51 Il giudizio va promosso entro 60 giorni e ricalca in grandi linee quello per il conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato, anche a livello di decisioni finali. Può anche essere chiesta, nel frattempo, la sospensione dell’atto per alcune “gravi ragioni”. GIUDIZIO DI ACCUSA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Secondo quanto previsto dall’articolo 90, il Presidente della repubblica risulta responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni solamente per alto tradimento e attentato alla costituzione; in entrambi i casi viene messo in stato di accusa dal parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Il procedimento consta di 2 fasi, ed è disciplinato dalla legge costituzionale 1/1953 e dalla legge 20/1962: 1. Un comitato costituito dai membri delle giunte per le immunità parlamentari effettua un’istruttoria, al termine della quale decide se procedere con: a. Archiviazione, in caso di manifesta infondatezza b. Dichiarazione di incompetenza a valutare, perchè il reato non rientra in quelli previsti dall’articolo c. Presentazione di una relazione sulla messa in stato di accusa → In questo caso il parlamento in seduta comune sarà tenuto a deliberare, a maggioranza assoluta, la messa in stato di accusa. In questo caso vengono anche eletti uno o più commissari incaricati di sostenere l’accusa davanti alla corte con le funzioni di pubblico ministero. 2. Giudizio davanti alla corte costituzionale in composizione integrata da 16 membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, che godranno dello stesso status dei componenti togati. Il giudizio è suddiviso in 3 fasi: fase istruttoria, dibattimento e decisione, e si svolge secondo le norme di procedura penale vigenti. La pronuncia di condanna determina l’inflizione delle sanzioni penali nei limiti del massimo di pena previsto per le leggi vigenti, nonché delle sanzioni costituzionali, amministrative e civili adeguate al fatto. La decisione viene adottata con sentenza non soggetta a impugnazione, ad eccezione del caso in cui non emergano nuovi fatti tali da rendere evidente la non sussistenza del fatto, o che il condannato non l’abbia commesso. Nell’attesa del giudizio, la corte può disporre con ordinanza la sospensione dalla carica del presidente della repubblica. RAPPORTI TRA LA CORTE COSTITUZIONALE E LE CORTI SOVRANAZIONALI A seguito della sentenza 170/1984, la corte costituzionale ha dichiarato definitivamente il primato del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, sottraendo al giudice costituzionale il compito di accertare e risolvere i contrasti tra le due diverse fonti; infatti: - Nel caso di contrasto tra una norma nazionale e una norma del diritto comunitario direttamente applicabile o con effetti diretti, il giudice è tenuto a disapplicare la norma nazionale - Nel caso di antinomia tra una norma italiana e una norma dell’Unione Europea non direttamente applicabile, il giudice è tenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale. 52 Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, l’articolo 116.3 prevede che esse possano richiedere particolari forme di autonomia concernenti alcune materie specificamente indicate. Il procedimento è però particolarmente complesso: 1. Iniziativa regionale 2. Consultazione degli enti locali, comunque nel rispetto dell’equilibrio di bilancio 3. Intesa stato-regioni 4. Iniziativa legislativa 5. Approvazione delle camere a maggioranza assoluta Questa previsione è quella su cui si fa riferimento quando si parla di “autonomia differenziata” come previsto dal “ddl Calderoli” approvato in consiglio dei ministri nel febbraio 2023. Questa proposta di riforma è stata particolarmente osteggiata soprattutto dalle regioni del sud, perché potrebbe comportare anche una maggiore autonomia finanziaria che provocherebbe un maggiore squilibrio tra le regioni più ricche e quelle più povere. Inizialmente l’articolo 123 disciplinava gli statuti di queste regioni, che prevedevano per la regione una forma di governo assembleare (parlamentare), mentre il sistema elettorale proporzionale era previsto da una specifica legge statale. Gli statuti avevano competenza a definire solamente le norme relative all’organizzazione interna, e la disciplina dell'iniziativa legislativa e sul referendum regionale, con l’imposizione dell’obbligo di porsi in armonia con la costituzione e le leggi della repubblica. Inoltre, sempre prima della riforma dell’articolo V, l’articolo 117 prevedeva per le regioni un ristrettissimo ambito di competenza a livello legislativo e, per le stesse materie, potevano esercitare funzioni amministrative. Molto scarsa era invece l’autonomia finanziaria. Ora, le regioni a statuto ordinario godono delle forme di autonomia previste dalla costituzione, in particolare dal titolo V. In particolare la costituzione garantisce alle regioni: - Autonomia statutaria in ambito organizzativo e istituzionale - Potestà normativa (legislativa e regolamentare) necessaria a determinare il proprio indirizzo politico - Funzione amministrativa, con cui poter dare concreta esecuzione delle scelte normative - Autonomia finanziaria, funzionale a consentire alla regione di dotarsi di mezzi necessari per perseguire i propri fini Con la riforma dell’articolo 123 la regione ha ora la possibilità di scegliere la forma di governo prevista dallo statuto. Lo statuto viene approvato e modificato dal consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta, con due deliberazioni successive adottate a non meno di 2 mesi; eventualmente il governo può promuovere la questione di legittimità costituzionale dello statuto davanti alla corte. E’ sottoposto a referendum popolare nel caso in cui, entro 3 mesi dalla sua approvazione, ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori o un quinto dei componenti del consiglio regionale. Lo statuto è una legge regionale rafforzata nel procedimento, atipica rispetto alle altre leggi regionali, su cui prevalgono. Sono disciplinati dallo statuto: - La forma di governo della regione - I principi fondamentali di organizzazione e funzionamento 55 - L’esercizio del diritto di iniziativa legislativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi - La pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali - Norme di principio → Qui la questione è particolarmente complessa, perché con il tempo alcune regioni hanno inserito alcune “bandiere ideologiche” all’interno degli statuti come principi generali (Umbria e Toscana hanno inserito riferimenti a diritti delle coppie omosessuali, mentre la Lombardia ha inserito dei riferimenti alla religione cattolica). La corte costituzionale si è espressa in materia sottolineando come questi non fossero principi cogenti ma semplicemente enunciazioni ammissibili ma prive di efficacia giuridica. L’articolo 121 prevede che gli organi necessari della regione siano: ● Consiglio regionale → Esercita il potere legislativo conferitogli dalla costituzione e dalle leggi; può fare proposte di leggi alle camere. Ad esso spettano anche le funzioni di indirizzo e di controllo nei confronti della giunta; ha inoltre la facoltà di sfiduciare il presidente della giunta. E’ l’organo rappresentativo dei cittadini e resta in carica 5 anni; nonostante abbia delle prerogative simili a quelle del parlamento, la corte ha specificato che non possa essere in alcun modo equiparato alle camere, in quanto il parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale (sentenza 106/2002). Il numero massimo dei consiglieri è stabilito dal decreto legislativo 138/2011, che prevede il criterio del necessario rapporto tra consiglieri e abitanti della regione (la lombardia, regione molto popolata, ha massimo 80 consiglieri, il molise, regione poco popolata, ne ha al massimo 20). ● Giunta regionale → Esercita il potere esecutivo; è composta dal presidente della giunta e da un numero di assessori fissato dagli statuti nel rispetto di un tetto massimo imposto dallo stato. L’accesso alla carica di assessore è disciplinato dalle leggi regionali nei limiti dei principi sanciti dalle leggi statali, e nel caso di un presidente eletto a suffragio universale e diretto, sarà suo il potere di nominare e revocare i vari componenti. ● Presidente della giunta regionale → Rappresenta la regione, dirige la politica della giunta e ne è responsabile; promulga le leggi e i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo. Nelle regioni in cui sono eletti a suffragio universale e diretto, i presidenti assumono un ruolo fondamentale e particolarmente importante, potendo incidere in modo determinante sulla determinazione dell’indirizzo politico della regione: ha il potere di nomina e revoca degli assessori e il consiglio regionale segue la sorte del presidente in caso di dimissioni o termine dell’incarico (per qualsiasi causa). ● Consiglio delle autonomie locali (articolo 123) → Organo di consultazione tra le regioni e gli enti locali, rappresentativo delle autonomie locali esistenti nella regione. La sua disciplina è rimessa agli statuti. La disciplina specifica sui loro rapporti è disciplinata dagli statuti. L’unico limite insuperabile è quanto sancito dall’articolo 126 in merito alla sfiducia nei confronti del presidente della giunta da parte del consiglio regionale. Nel caso di atti contrari alla costituzione, gravi violazioni di leggi e per ragioni di sicurezza pubblica, il presidente della repubblica può sciogliere il consiglio regionale e rimuovere il presidente della giunta. 56 L’organo della giunta e, in particolare, la figura del presidente, hanno subito una serie di spinte volte a rafforzare sempre di più il loro potere: fin dagli anni ‘90, per una questione di maggiore efficienza delle regioni, si iniziarono a modificare le regole relative all’elezione del presidente e alla forma di governo della regione. Inizialmente era prevista per le regioni una forma di governo parlamentare, in cui il consiglio regionale, unico organo elettivo, aveva il controllo della funzione legislativa e regolamentare, e i membri della giunta venivano eletti dal consiglio tra i suoi membri. Questo tipo di governo portò però a ritrovarsi, a causa di un sistema elettorale proporzionale, a situazioni frammentate e con la formazione di giunte deboli e di facile caduta. Si pensò allora di optare per un sistema corretto, prevedendo una soglia di sbarramento e un premio di maggioranza per permettere la formazione di giunte più solide. Dopo la riforma 1/1999, la costituzione, lasciando libertà di azione alle regioni (che nel caso specificheranno forma di governo e modalità di elezione del presidente negli statuti), propone con l’articolo 122 una forma di governo neoparlamentare, con elezione diretta da parte dei cittadini del presidente della giunta, che nominerà e revocherà i componenti della stessa. Il potere del presidente, nel caso di una sua diretta elezione da parte dei cittadini, è anche rafforzato rispetto al consiglio regionale: infatti nel caso di approvazione di una mozione di sfiducia, il consiglio regionale è obbligato a dimettersi contestualmente alla giunta (e al presidente), secondo il principio “simul stabunt simul cadent”. In generale questo principio vale ogni volta che cessi, per qualsiasi causa di impedimento, la carica del presidente. L’unica altra alternativa che le regioni hanno nella scelta della forma di governo è quella prevista da prima della riforma costituzionale; la regione Calabria tentò un tipo di sistema in cui il presidente era eletto dal corpo elettorale e successivamente anche designato dal consiglio regionale, al fine di escludere l’operatività del “simul stabunt simul cadent”, ma la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di questa previsione. Oltre a quelli costituzionalmente necessari, le regioni possono avere alcuni organi ulteriori: - Organi di garanzia statutaria → Diverse funzioni, tra cui quella di verificare la conformità dei disegni di legge regionali rispetto allo statuto prima dell’approvazione da parte del consiglio (possono essere paragonate a delle piccole corti costituzionali regionali). - Organi volti a garantire le pari opportunità tra uomini e donne Per quanto riguarda il sistema elettorale e in generale tutto quanto concerne l’elezione del presidente, del consiglio regionale e dei componenti della giunta, l’articolo 122 stabilisce che sia una legge regionale a disciplinare il sistema di elezione, le cause di ineleggibilità e incompatibilità, nel rispetto dei principi fondamentali della legge della repubblica 165/2004, che prevede: - Individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale, e che assicuri la rappresentanza delle minoranze - Contestualità dell'elezione del presidente della giunta e del consiglio regionale, se il presidente è eletto a suffragio universale diretto - Divieto di mandato imperativo - Promozione delle pari opportunità tra uomini e donne. Le fonti normative della regione sono: 1. Statuto 2. Leggi regionali → Le regioni hanno competenza nelle materie stabilite nell’articolo 117.4, oltre che in quelle per cui è prevista la competenza concorrente con lo stato dal 117.3. 57 provocherà lo scioglimento del consiglio secondo il principio “simul stabunt simul cadent” ○ Giunta comunale → Organo esecutivo presieduto dal sindaco, che ne nomina i vari assessori. ● Province → Inizialmente erano enti molto simili a livello istituzionale ai comuni, poi si è provato a modificarne profondamente l’assetto attraverso un decreto legge, che però la corte ha dichiarato illegittimo per introdurre una riforma istituzionale così ampia (sarebbe dovuta essere utilizzata una legge). Attualmente la legge 56/2014 ha trasformato le province in enti di secondo livello, infatti i rispettivi organi di indirizzo non sono eletti a suffragio universale diretto, ma da sindaci e consiglieri comunali. ● Città metropolitane → Ente territoriale che ha sostituito le province delle città più popolose: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia. Queste si affiancano alle altre province esistenti sul territorio. Gli organi dell’ente sono eletti indirettamente, anche se la legge prescrive che gli statuti possano prevedere una loro diretta elezione da parte dei cittadini. Gli organi sono: ○ Sindaco metropolitano → E’ il sindaco del comune capoluogo di provincia ○ Consiglio metropolitano In realtà, nella sentenza 240/2021, la corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la previsione secondo cui il sindaco sia designato indirettamente, infatti violerebbe il principio di sovranità e della rappresentanza popolare. La previsione è comunque ancora in vigore perché la corte ha richiesto in questo campo un intervento da parte del legislatore. DIRITTI E DOVERI COSTITUZIONALI PERCORSO VERSO LA TUTELA DEI DIRITTI La disciplina dei diritti del cittadino è in stretta correlazione con la forma di stato esistente in un dato ordinamento. Anche nella storia italiana si è verificata, con il passaggio tra le varie forme di stato, un’evoluzione nella tutela dei diritti fondamentali. Nell’esperienza dello stato liberale (‘800), i diritti di libertà si affermano come sfere individuali di autonomia, riconosciute al cittadino e garantite nei confronti delle interferenze dei pubblici poteri: si parla appunto di libertà negative, o libertà dallo stato. Queste sono fondate sul principio di uguaglianza formale: sono riconosciute a tutti i cittadini, ma lo stato non agisce per garantirne il godimento effettivo. I diritti vengono inseriti all’interno di costituzioni scritte (come lo Statuto Albertino), o nelle leggi del parlamento. A seguito della crisi dello stato liberale, e con l’avvento dello stato sociale, i diritti non necessitano solamente un’astensione da parte dei pubblici poteri, ma anche un loro effettivo intervento perché possa esserne garantito a tutti il godimento. Si parla in questo periodo di libertà positive, che richiedono l’intervento dello stato in nome del principio di uguaglianza sostanziale (sancito, nella nostra costituzione, dall’articolo 3.2). Con lo sviluppo dello stato sociale si sviluppano anche altri diritti, definiti come diritti sociali o diritti di prestazione (diritto alla salute, diritto all’istruzione,...): questi rappresentano delle pretese azionabili dal singolo nei confronti dello stato, affinché adotti strumenti idonei a garantire l’eguaglianza e a ovviare alle diseguaglianze insite nel tessuto sociale. 60 Il maggior strumento di tutela dei diritti è il principio di rigidità su cui si fondano le costituzioni del secondo dopoguerra, accompagnato dagli strumenti della riserva di legge, che vincola il legislatore nel rispetto dei principi costituzionali durante l’esercizio discrezionale delle sue funzioni, e della riserva di giurisdizione, che viene “migliorata” con la previsione di principi costituzionali in materia processuale. L’evoluzione della forma di stato ha anche inciso sul rapporto tra legislatore e giudici, entrambi chiamati ad avere un ruolo nella tutela dei diritti fondamentali. Nel periodo pre-costituzionale il giudice si trovava ad applicare rigidamente le leggi (venivano nominati “bocche della legge”), e dunque il legislatore era l’unico vero e proprio garante delle libertà, attraverso l’approvazione di leggi specifiche. Con la rigidità della costituzione l’intervento discrezionale del legislatore è ormai parecchio limitato, e quindi sempre maggiore è il ruolo dei giudici, talvolta anche attraverso interpretazioni creative fondate su principi costituzionali, nel garantire i diritti. Il problema che sorge è che le decisioni non hanno portata generale, ma solamente tra le parti: il rischio è quello di minare il principio democratico, “creando” diritti in determinate situazioni e non in altre. Allo stesso modo sarebbe impossibile demandare l’intera determinazione della garanzia dei diritti al potere legislativo, poiché spesso le decisioni politiche risultano incapaci di assicurare un reale bilanciamento tra diritti fondamentali in contrasto tra loro. Un ruolo sempre più importante è svolto anche dagli ordinamenti sovranazionali, che provocano un ampliamento quantitativo e qualitativo dei diritti già codificati nelle costituzioni dei vari stati. Dal punto di vista processuale la tutela dei diritti è anche rafforzata dai trattati internazionali istitutivi di meccanismi di tutela giurisdizionale ovvero paragiurisdizionale. Esistono poi, per quanto riguarda il diritto sostanziale, alcuni atti che si limitano a sancire alcuni diritti senza prevederne un sistema di tutela processuale, come: - Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino (1948) - Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966) - Patto internazionale sui diritti politici e civili (1966) Il rilievo che ciascuno di questi atti è suscettibile di avere sul piano dell’ordinamento interno dipende dalle regole costituzionali di ciascuno stato: essendo fonti di diritto internazionale pattizio in Italia vengono recepiti dall’articolo 117, che impone il rispetto degli obblighi internazionali come limite all’attività legislativa. Anche la Convenzione Europea dei per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) riveste una posizione di centralità assoluta. A tutela del rispetto di questa convenzione è stata istituita la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La CEDU garantisce la tutela dei diritti umani di tradizione liberale, senza uno specifico riferimento ai diritti sociali, caratteristici della forma di stato dell’ordinamento italiano. Tra i diritti codificati si trovano: diritto alla vita, diritto alla libertà e alla sicurezza, proibizione della schiavitù, proibizione della tortura, e molti altri. Discusso è il valore dell’articolo 14, che prevede il divieto di discriminazione nell’applicazione della disciplina della CEDU, e non il divieto di discriminazione in generale. Per sopperire a questa mancanza è entrato in vigore, nel 2000, il Protocollo Addizionale numero 12 alla CEDU (che però l’Italia non ha ancora ratificato), con cui è stato introdotto un principio generale di non discriminazione, speculare a quello presente all’articolo 3 della costituzione. La particolarità introdotta dalla CEDU è la previsione di un organo che ne garantisca l’effettivo rispetto da parte degli stati che l’hanno sottoscritta. La corte di Strasburgo è composta da un numero di giudici pari al numero di stati firmatari, e possono farvi ricorso gli stati rispetto ad altri stati che ritengono abbiano violato la CEDU, oppure i privati che ritengano essere stati lesi nei diritti fondamentali da parte di uno degli stati aderenti. 61 La sentenza della corte europea, specie se di condanna, ha spesso sollecitato l’intervento del legislatore per disciplinare settori caratterizzati da lacune o limiti che abbiano causato la violazione di uno o più principi della convenzione. Importante è anche la Carta Sociale Europea, posta a presidio della tutela dei diritti sociali, alla cui salvaguardia è stato istituito il Comitato europeo dei diritti sociali. Altro organo fondamentale è la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), posta a difesa dei diritti sanciti dai trattati europei e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’unione (Carta di Nizza). Essa ha il potere di annullare un atto dell’Unione che si ponga in violazione di uno o più principi sanciti dai trattati, e può decidere anche sulle richieste avanzate dai cittadini o dalle imprese che si ritengano lesi da atti imputabili all’Unione stessa; infine valuta, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, seppur in modo indiretto, la compatibilità del diritto degli stati membri rispetto al diritto comunitario. La corte è, negli anni, intervenuta in alcuni importanti settori, come ad esempio, tra gli altri, la parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, in tema di azioni positive e in tema di libertà religiosa e del diritto di iniziativa economica. In merito alla tutela dei diritti ha creato non poche criticità il modo in cui è stata gestita l’emergenza sanitaria causata dall’epidemia del virus Covid-19, in cui si è assistito alla sospensione di numerosi diritti sanciti dalla costituzione. ● La limitazione delle libertà personali è avvenuta principalmente con lo strumento del DPCM (fonte secondaria), e dunque non sono state rispettate le riserve di legge assolute previste dalla costituzione ● Nonostante, come più volte specificato dalla corte (soprattutto nella sentenza 85/2013 - “non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia prevalenza sugli altri”), non esistano diritti che possono prevalere sugli altri (i cosiddetti “diritti tiranni”), ma deve esserci un necessario bilanciamento tra di loro, si è assistito a una completa prevalenza della tutela del diritto alla salute, a scapito di tutti gli altri diritti fondamentali. ● Le limitazioni straordinarie dei diritti fondamentali si sono protratte per un tempo eccessivamente lungo, cosa, secondo quanto previsto dalla sentenza 15/1982, illegittima (“misure insolite…perdono legittimità, se ingiustamente protratte nel tempo”). Inoltre, il congelamento dei diritti fondamentali ha avuto ripercussioni particolarmente pesanti su alcune categorie di persone, già vulnerabili o vittime di discriminazioni, come le donne, le persone con disabilità, le persone straniere e le persone private della libertà personale. In merito a queste vicende, a partire dalla fine del 2020, la corte ha iniziato ad esprimersi sulle varie questioni di legittimità che sono state sollevate. Un rallentamento nell’intervento della corte è stato causato anche dal fatto che nel nostro ordinamento non sia presente una disciplina ad hoc per far fronte alle emergenze. ➔ Sentenza 37/2021 → Ripartizione delle competenze tra stato e regione nella gestione della pandemia ➔ Sentenza 196/2021 → Giustificazione della scelta di ricorrere al DPCM per adottare le misure che hanno inciso su diritti costituzionali ➔ Sentenza 127/2020 → Dichiarata non fondata (quindi non incostituzionale) la previsione che consentiva alle autorità sanitarie di imporre, senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, la quarantena nei confronti di coloro che fossero risultati positivi al contagio. La corte riteneva che la quarantena avrebbe inciso sulla libertà di circolazione (articolo 16) e non sulla libertà personale (articolo 13), e, di conseguenza, non sarebbe stata necessaria la riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13. 62 L’Unione Europea ha aggiunto tra le manifestazioni della discriminazione anche la molestia, l’ordine di discriminare e le cosiddette discriminazioni multiple, quindi quelle basate su più fattori, che pongono la vittima su un piano ancora maggiore di svantaggio. I fattori di discriminazione citati dall’articolo sono: ★ Sesso → Il divieto si ritrova poi in ulteriori disposizioni costituzionali, come gli articoli 29, 37 e 51. A partire dalla rimozione del divieto di accesso delle donne agli impieghi pubblici tramite la sentenza 33/1960, la parità femminile si è fatta sempre più strada in diversi settori dell’ordinamento. ★ Razza → Non ci sono ulteriori disposizioni che specificano questo fattore, ma è comunque da intendersi come un divieto di carattere assoluto, in piena contrapposizione con il precedente regime fascista. ★ Lingua → In questo caso si deve integrare con l’articolo 6 in tema di tutela delle minoranze linguistiche. ★ Religione → Anche in questo caso bisogna considerare congiuntamente altre disposizioni, quali l’articolo 7 in merito ai rapporti tra lo stato e la chiesa cattolica, l’articolo 8 in tema di uguaglianza tra le confessioni religiose e l’articolo 19 in tema di libertà di fede religiosa. ★ Opinione politica → Da considerare congiuntamente al divieto di privazione della capacità giuridica, del nome e della cittadinanza, alla libertà di manifestazione del pensiero, alla libertà e segretezza del voto e alla libertà di associazione politica. ★ Condizioni personali → Tra frequenti sono le discriminazioni contro le persone con disabilità e della comunità LGBT. Recentemente ci sono state pronunce a tutela di queste categorie da parte della corte. Il concetto secondo cui situazioni eguali siano trattate in modo eguale e situazioni differenti in modo differente apre la porta al principio di ragionevolezza. Il legislatore è tenuto infatti, nel disciplinare le fattispecie, ad operare scelte ragionevoli, evitando di diversificare fattispecie analoghe e ad assimilare fattispecie diverse. Nell’esaminare le situazioni la corte confronta la ratio legis della disciplina applicata per la fattispecie, stabilendo se il principio di ragionevolezza sia o meno stato rispettato. Il principio di ragionevolezza si esplica anche nella richiesta che i mezzi approntati dal legislatore per conseguire un determinato scopo siano idonei al raggiungimento e proporzionati allo stesso. 2. Uguaglianza sostanziale (secondo comma) → Obbligo rivolto alla repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’eguale godimento degli stessi diritti da parte di tutti i cittadini. A questo fine il legislatore utilizza lo strumento delle cosiddette azioni positive: interventi legislativi che operano volutamente quali strumento di diritto diseguale. Tuttavia la possibilità di utilizzare azioni positive deve essere limitata perchè non si verifichi la cosiddetta “discriminazione alla rovescia”. A tal proposito la corte le considera legittime solo se utilizzate per modificare la posizione di partenza, e quindi per eliminare le condizioni che rendono la posizione di un soggetto arretrata rispetto ad altri, ma non possono attribuire direttamente al soggetto il risultato finale (riferendosi ai diritti politici nella sentenza 422/1995). Ci sono state comunque occasioni in cui questo tipo di azione 65 sia stata particolarmente forte, come nel caso dell’obbligo di assunzione delle persone con disabilità. Il principio di uguaglianza sostanziale sta alla base di tutti i diritti sociali, e va collegato a tutte le norme che fanno riferimento a specifici diritti che richiedono un intervento statale per la loro effettiva concretizzazione. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Mentre l’articolo 2 si riferisce alla persona, senza distinzione tra cittadino e straniero, altre previsioni costituzionali si indirizzano ai soli cittadini (articoli 3,16,17,18,38,48,49,51,52,54). La cittadinanza è la condizione che determina l’appartenenza di uomini e donne ad uno stato nazionale; nel caso italiano si acquista per ius sanguinis, quindi quando si è discendenti di padre o madre a loro volta titolari di cittadinanza italiana. In rari casi viene ammessa la cittadinanza per nascita sul territorio italiano (ius soli), e in altre situazioni la cittadinanza si acquisisce in presenza di alcuni requisiti stabiliti dalla legge. Tramite l’intervento della corte costituzionale, però, si può affermare che le previsioni che fanno riferimento ai cittadini possono essere interpretate come rivolte a tutti gli individui. In particolare parla della condizione dello straniero l’articolo 10 della costituzione: Articolo 10 L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici Le norme internazionali a cui si riferisce nel comma secondo assicurano ampiamente la tutela e la protezione dei diritti, basti pensare alla CEDU. Importante è che comunque al legislatore non sia preclusa la possibilità di prevedere trattamenti differenziati tra stranieri e cittadini, con il solo limite, non tollerato dalla costituzione, che per lo straniero non venga previsto un trattamento peggiore rispetto alla generalità dei consociati senza idonea giustificazione. L’estensione agli stranieri si applica anche per i doveri costituzionali. Per poter entrare e permanere legalmente in Italia bisogna seguire un complesso iter burocratico previsto dal decreto legislativo 286/1998, ma l’articolo 10.3 prevede modalità alternative di accesso e soggiorno, riservate a tutti coloro che nel paese di origine non possono godere dei fondamentali diritti civili e politici: si tratta del diritto di asilo. Con la domanda di asilo si richiede il diritto ad ottenere un titolo di soggiorno che consentirà allo straniero di risiedere stabilmente nel territorio italiano; se la domanda venisse rigettata saranno avviate le procedure di rimpatrio. La disciplina in materia di accoglienza ai richiedenti asilo è contenuta nel decreto legislativo 142/2015 e consta di diverse fasi: 1. Soccorso, prima assistenza e operazioni di identificazione 2. Completamento delle operazioni di identificazione del richiedente e presentazione della domanda di asilo. Questo avviene all’interno di “centri governativi di prima accoglienza”, in cui sono garantiti adeguati standard igienico-sanitari ed abitativi, prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e servizi di orientamento legate al territorio. 66 3. Fase di seconda accoglienza e di integrazione, assicurata a livello locale dagli enti locali. Qui vengono garantiti non solo gli interventi materiali fondamentali, ma anche una serie di attività funzionali all’inserimento e integrazione del richiedente asilo nella società. I DIRITTI DI LIBERTA’ Articolo 13 La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. Con libertà personale si intende la libertà fisica dell’individuo, intesa come libera disponibilità del proprio corpo. Si tratta della garanzia del cosiddetto habeas corpus, interpretato come l’impossibilità per le autorità pubbliche di porre una persona in stato di arresto senza le garanzie previste dall’articolo 13 stesso (si parla infatti di “libertà dall’arresto”). Le stesse garanzie valgono per le detenzioni, le ispezioni e le perquisizioni, e per qualsiasi altra restrizione della libertà personale, incluse le limitazioni della libertà personale non incidenti sulla libertà fisica, ma su quella morale. A tal proposito la corte, nella sentenza 30/1962, si riferisce a una “menomazione della libertà morale, quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all’altrui potere”. La libertà personale è assoggettata a un sistema di garanzie che prevedono: ● Riserva di legge → Da intendersi come assoluta: non sono ammesse limitazioni della libertà personale previste da fonti subordinate alla legge. Il legislatore, in particolare, deve prevedere le ipotesi per cui le limitazioni sono giustificate e i modi in cui esse si esplicano. ● Riserva di giurisdizione → E’ solo il giudice a poter disporre la limitazione della libertà personale, attraverso un provvedimento che deve necessariamente essere motivato al fine di consentire di verificare il rispetto della riserva di legge e il fondamento del provvedimento stesso. Il terzo comma apre alla possibilità di provvedimenti restrittivi provvisori, presi dall’autorità di pubblica sicurezza (e quindi in deroga alla riserva di giurisdizione), limitatamente a casi eccezionali di necessità e urgenza tassativamente indicati dalla legge, come ad esempio l’arresto in flagranza di reato o il fermo di indiziato di delitto. Questi provvedimenti devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria, che entro successive 48 ore dovrà provvedere alla convalida, a pena della revoca e della successiva perdita di effetto delle misure. I commi quarto e quinto, che prevedono l’obbligo di punizione per ogni violenza fisica e morale commessa nei confronti di persone private della libertà personale, e la previsione di limiti massimi della carcerazione preventiva, vanno letti congiuntamente agli articoli 24, 25 e 27. Una particolare posizione assumono le misure di prevenzione, ossia dei provvedimenti incidenti su alcune libertà e diritti, che vengono presi non in conseguenza di un reato, ma sul fondamento di indizi e sospetti di pericolosità sociale del prevenuto. Chiamata a questionare sulla compatibilità di queste misure con il dettato 67 Togliendo la riserva di giurisdizione, l’unico strumento a tutela di queste libertà è rappresentato dalla riserva di legge rinforzata per contenuto, secondo cui la limitazione di questi diritti possa essere imposta solamente in via generale, per motivi di: - Sanità → Attraverso i cosiddetti cordoni sanitari: provvedimenti che mirano a prevenire o a impedire il pericolo di contagio o di propagazione di malattie infettive o epidemie. - Sicurezza → Preoccupazione volta a prevenire situazioni che possano direttamente turbare l’ordine pubblico. Non possono essere giustificate restrizioni da ragioni politiche; in realtà era in vigore, fino al 2002, una disposizione transitoria e finale (la XIII), che prevedeva il divieto, anche per motivi politici, di ingresso e soggiorno nel territorio agli ex re Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti. La libertà di circolazione e soggiorno è estesa, attraverso l’articolo 21 del TFUE, all’interno dell’Unione Europea: ogni cittadino ha diritto a circolare nel territorio di uno stato membro e di soggiornarvi per un periodo non superiore a 3 mesi (oltre i quali servono ulteriori condizioni), senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o un passaporto in corso di validità. Il comma secondo tutela il diritto alla cosiddetta libertà di espatrio, limitata solamente attraverso la riserva di legge. Questa libertà va letta congiuntamente alla libertà di emigrazione sancita dall’articolo 35, grazie alla quale viene permesso l’espatrio per motivi economici o lavorativi, con stabilimento in uno stato estero; in questo caso le limitazioni vengono sempre imposte dalla legge ma attraverso una riserva rafforzata (si parla infatti di “obblighi nell’interesse generale”). ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 19 Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. La libertà di religione si esplica nel diritto di credere, ma anche nel diritto di non credere affatto. Questa libertà si compone di tre facoltà: - Libertà di professare la propria fede - Libertà di farne propaganda - Libertà di esercitarne il culto, con il solo limite di culti contrari al buon costume. Il diritto viene esteso a tutti, senza distinzione tra cittadini e stranieri, e viene riconosciuto anche nella sua dimensione collettiva, riferendosi anche alle associazioni o gruppi che svolgono attività con finalità religiosa. Questo diritto è rafforzato dal divieto, imposto al legislatore, di imporre limitazioni o speciali gravami fiscali in ragione del carattere ecclesiastico o del fine religioso di culto di un’associazione o istituzione, in base a quanto previsto dall’articolo 20, che da concretezza al diritto riconosciuto dall’articolo 8 di tutte le confessioni religiose ad essere egualmente libere davanti alla legge. Nonostante questo gli strumenti preposti a regolare i rapporti con la religione cattolica regolati con il cosiddetto principio concordatario ex articolo 7, sono diversi dalle intese volte a regolare i rapporti con le altre confessioni, come previsto dall’articolo 8. La corte ha però sottolineato che non esiste un diritto di ogni confessione religiosa ad ottenere un’intesa dallo stato, o anche solo ad avviare trattative finalizzate a ottenerla (sentenza 52/2016). In realtà i rapporti intercorrenti tra stato e religione cattolica sono decisamente cambiati con il tempo: lo Statuto Albertino prevedeva il cattolicesimo come religione di stato, mentre la Costituzione del ‘48 si ispira all’opposto principio di laicità. 70 Il principio di laicità non è espressamente sancito dalla costituzione, ma viene interpretato dalla corte da una lettura combinata degli articoli 2,3,7,8,19 e 20, e rientra nei principi supremi su cui si fonda l’intero ordinamento (sentenza 203/1989). Il principio di laicità, come dice la corte “implica non indifferenza dello stato davanti alle religioni, ma garanzia dello stato per la salvaguardia delle libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”, e da esso discendono alcuni importanti corollari: il principio di separazione degli ordini (articolo 7), il principio di uguaglianza tra confessioni religiose (articolo 8 e 20) d principio di libertà religiosa (articolo 19). Con la sentenza 467/1991 la corte ha ricavato, in via interpretativa, la libertà di coscienza, intesa quale libertà del singolo di formarsi le proprie convinzioni e di determinarsi conformemente ad essa. Le convinzioni possono essere, ad esempio, di natura religiosa, etica, filosofica e ideologica. A tutela della libertà di coscienza è stato previsto il diritto all’obiezione di coscienza, in forza del quale il singolo può, in alcune ipotesi specificamente previste, osservare il proprio “imperativo morale” in luogo di obblighi giuridicamente imposti. Un classico esempio è la possibilità dell’obiezione di coscienza in materia di interruzione volontaria di gravidanza (articolo 9 legge 194/1978), anche se questa situazione in particolare ha aperto le porte a due pronunce di condanna da parte del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, a tutela della Carta sociale europea. In particolare il comitato si è espresso su due questioni, riguardanti: - La violazione dei diritti delle donne in ragione della difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza - La violazione dei diritti dei medici non obiettori, costretti a praticare un numero particolarmente alto di interruzioni di gravidanza per effetto dell’obiezione esercitata dalla maggioranza del personale medico-sanitario. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 21 Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. Come previsto dalla corte costituzionale con la sentenza 126/1985, la libertà di manifestazione del pensiero è riconosciuta a tutti i cittadini, ma anche agli stranieri, agli apolidi e alle formazioni sociali. Sempre la corte, nelle sentenze 84/1969 e 9/1965 definisce questa libertà come “pietra angolare dell’ordine democratico”, e “condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del paese in ogni suo aspetto culturale, politico e sociale”. 71 L’indeterminatezza del destinatario della libertà la differenzia da quella di corrispondenza e comunicazione prevista dall’articolo 15: l’articolo 21 tutela espressamente la possibilità di far conoscere a chiunque la propria idea su qualsiasi argomento. Viene tutelata da questo articolo ogni forma di manifestazione del proprio pensiero, quale che sia il suo contenuto, ma restano fermi i divieti legati alla fede pubblica e al diritto d’autore. Unico limite espressamente contemplato è il buon costume, concetto particolarmente elastico che varia in base all’evoluzione e alle caratteristiche della società, ma che comunque fa riferimento alla sfera del pudore sessuale. In sintesi una manifestazione non può dirsi contraria al buon costume se non quando, in relazione alle circostanze di tempo e luogo, essa offenda altri diritti costituzionalmente rilevanti. Il buon costume non costituisce, invece, limite, per le particolari forme di manifestazione del pensiero riconducibili all’articolo 33 (arte e scienza). Altri limiti, impliciti, della libertà in esame derivano dal necessario bilanciamento di essa con altri diritti tutelati dalla costituzione, come il diritto all’onore, per cui entrano in gioco i reati di ingiuria e diffamazione specificamente sanzionati dal codice penale. Lo strumento di manifestazione del pensiero per eccellenza è la stampa, a cui il comma secondo dell’articolo 21 garantisce delle tutele rispetto ad autorizzazioni e censure, tipiche limitazioni da regime totalitario. Il sequestro è permesso solamente in base alle garanzie previste dall’articolo 13, quindi solamente tramite atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti previsti dalla legge di stampa o nei casi di violazione di norme di legge. Solo nel caso di assoluta urgenza è possibile il sequestro ad opera di funzionari di polizia giudiziaria, che entro 24 ore dovranno avvisare l’autorità giudiziaria perché si adoperi per la convalida, entro ulteriori 24 ore, dell’atto. Le garanzie costituzionali previste valgono per qualsiasi mezzo di diffusione, come possono essere internet e le comunicazioni radiotelevisive. Per quanto riguarda queste ultime, come tutti i mezzi di diffusione del pensiero, il comma quinto prevede la possibilità di rendere noti i mezzi di finanziamento, affinché il pubblico che li riceve possa essere consapevole degli interessi che animano ed eventualmente alterano la genuinità del messaggio ricevuto. Infatti la costituzione tende a prediligere un sistema di pluralità di mezzi e di opinione interne a ciascun mezzo, al fine di evitare la diffusione di messaggi troppo influenzati. Dall’articolo 21 discende il diritto all’informazione, sia attiva, inteso come diritto di informare in modo obiettivo e imparziale, sia passiva, inteso come diritto ad essere informati in modo obiettivo e imparziale. I DIRITTI AD ESERCIZIO COLLETTIVO Oltre alle libertà individuali, la costituzione riconosce e tutela le libertà collettive, quindi quei diritti di libertà il cui godimento comporta necessariamente l’esercizio congiunto del diritto da parte di una collettività di individui. Articolo 17 I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. L’articolo in questione tutela la libertà di riunione, che può essere riferita a tutti quei fenomeni di incontro volontario di più soggetti, nel medesimo luogo, per il perseguimento di uno scopo comune. La riunione si distingue dall’ipotesi di assembramento, inteso come occasionale ritrovo di più persone nel medesimo luogo. 72 dell’uomo, come nella sentenza 14 del 2017, in cui alcune coppie omosessuali lamentavano l’impossibilità di vedere riconosciuto, all’interno dell’ordinamento italiano, il vincolo matrimoniale contratto all’estero. Il legislatore è intervenuto solamente nel 2016, con l’approvazione della Legge Cirinnà (legge 76/2016), in cui viene introdotto l’istituto dell’unione civile, per cui sono previste regole simili a quelle del matrimonio, sotto il profilo dei diritti e dei doveri e sotto l’aspetto patrimoniale. La legge però non interviene in merito alla regolamentazione dei figli minori, che le coppie omosessuali, secondo la normativa vigente, non possono avere né tramite adozione ordinaria nè nella forma dell’adozione del figlio del partner (la cosiddetta stepchild adoption), e nemmeno sono state previste modifiche alla disciplina di accesso alla fecondazione medicalmente assistita. Con la stessa legge si regola anche la disciplina relativa alle convivenze. Il secondo comma dell’articolo sancisce il principio di parità tra uomo e donna all’interno della famiglia. In realtà ci volle molto tempo perché questo principio venne effettivamente messo in atto: le prime mosse arrivarono dalla corte, con alcune importanti sentenze in tema di adulterio femminile e di obbligo di mantenimento del coniuge, fino a giungere alla riforma del diritto di famiglia del 1975 (legge 151/1975), preceduto dalla legge 898/1970, che introdusse l’istituto del divorzio. Vennero poi introdotti altri istituti come quello dell’affido condiviso e del divorzio breve, con cui si sono fortemente ridotti i termini necessari per la formalizzazione della cessazione del vincolo coniugale. Articolo 30 E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. Anche qui vengono presentati alcuni principi molto innovativi per la società del tempo: figli legittimi e figli naturali, pur non essendo pienamente equiparati, avrebbero goduto di uno status simile. Solo con la legge 219/2012 venne configurato un nuovo assetto giuridico dei rapporti familiari, con l’intento di equiparare totalmente figli legittimi e naturali. In questa disciplina sono state fornite delle nozioni univoche sia di filiazione che di parentela, consentendo anche al figlio adottivo o nato fuori dal matrimonio, di far riferimento a tutti i membri della famiglia del genitore naturale o adottante. Di conseguenza, con questa riforma, tutti i figli acquistano lo stesso status giuridico. Articolo 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. L’articolo 31 affida allo stato il compito di agevolare la formazione e l’adempimento dei compiti della famiglia con misure economiche, tutelando con appositi istituti anche la maternità, l’infanzia e la gioventù. Da un’interpretazione evolutiva bisogna ritenere applicabile questa norma anche all’adozione e alla procreazione medicalmente assistita (sentenza 151/2009). I DIRITTI POLITICI 75 I diritti politici sono espressione dell’appartenenza del cittadino alla comunità politica, e danno forma concreta al principio democratico e della sovranità popolare enunciato dall’articolo 1. Articolo 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. In particolare sono disciplinati nel Titolo IV dell Prima parte della costituzione e sono: - Diritto di voto (48) - Diritto di associazione politica (49) - Diritto di petizione (50) - Diritto di accesso alle cariche elettive (51) A questi si aggiungono il diritto di iniziativa legislativa popolare e il diritto di iniziativa referendaria. Inoltre, dall’appartenenza all’attività politica, discendono anche corrispondenti doveri politici, come il dovere di difesa della patria (articolo 52), il dovere di concorrere alle spese pubbliche (articolo 53) e il dovere di fedeltà (articolo 54). Articolo 48 Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Il diritto di voto è riconosciuto a tutti i cittadini, uomini o donne, che abbiano raggiunto la maggiore età (attualmente 18 anni), e non può essere limitato se non per incapacità civile, o per effetto di sentenza penale irrevocabile, o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Il voto deve essere: - Segreto → Ciò garantisce all’elettore il libero esercizio del proprio diritto - Libero - Personale → Ciascun voto deve essere espresso personalmente, e non può essere delegato - Eguale→ Il voto di ciascuno vale quanto il voto di qualcun altro Oltre che un diritto, il voto è definito anche come dovere civico, anche se è consentita la facoltà di astenersi dalla partecipazione alla consultazione elettorale, e non sono previste sanzioni nei confronti di coloro che non votano. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 49 Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. L’articolo 49 afferma la libertà di associazione in partiti politici. Secondo quanto previsto dalla costituzione, i partiti costituiscono lo strumento di raccordo tra le istituzioni e i cittadini. La norma presuppone 76 la competizione e quindi il pluralismo di partiti, per distaccarsi più possibile dall’esperienza pre-costituzionale, in cui il Partito Unico Fascista aveva eliminato la concorrenza e le opposizioni con la violenza. Ai partiti viene riconosciuta la più ampia discrezionalità quanto agli obiettivi da perseguire, con unico limite alla libertà ideologica dato da quanto previsto dalla XII Disposizione transitoria e finale, secondo la quale “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. A partire dagli anni ‘90 il partito tradizionalmente inteso entra in crisi a causa della sempre minor fiducia che i cittadini ripongono in essi; la situazione non è recentemente cambiata, poiché, anche a fronte di alcuni cambiamenti (come la personalizzazione dei partiti, in base alla quale si associa al partito la figura del suo leader), sempre meno cittadini si presentano alle urne a votare. Nonostante questo scarso interesse la costituzione richiede comunque degli enti intermedi tra tra le istituzioni e il popolo, delle cui istanze si facciano portatori. La costituzione attribuisce ai partiti il compito di concorrere alla determinazione della politica nazionale; nell’ambito di questa funzione rientra come centrale la selezione dei candidati da presentare alle elezioni. Inoltre è richiesto, nella determinazione della politica nazionale, l’utilizzo del metodo democratico, escludendo l’uso di modalità violente o poco trasparenti nella competizione elettorale. Non è invece esplicitamente richiesto un metodo democratico per gestire l’organizzazione interna dei vari partiti, anche se spesso viene invocata una legge in tal senso. Questo diritto trova un’eccezione in quanto previsto dall’articolo 98, che consente alla legge di limitare l’iscrizione a partiti politici per determinate categorie di cittadini, come magistrati, funzionari e agenti di polizia, rappresentanti consolari e diplomatici all’estero e militari di carriera in servizio attivo. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 50 Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. Il diritto di petizione garantisce un istituto che viene collocato, insieme al referendum, nel novero dei cosiddetti istituti di democrazia diretta. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 51 Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro. L’articolo 51 disciplina il diritto di accesso alle cariche elettive. La parità tra sessi qui sancita rappresenta una novità introdotta attraverso una riforma costituzionale (legge costituzionale 1/2003) volta a promuovere un riequilibrio di genere all’interno delle assemblee elettive, introducendo il principio di uguaglianza sostanziale anche in questo settore. La decisione è avvenuta a seguito di alcune sentenze della corte costituzionale in cui venivano censurate norme approvate per favorire l’elezione di più donne attraverso la previsione di un riserva di posti nelle liste dei candidati (sentenza 445/1995): il giudice costituzionale aveva negato la possibilità, in materia elettorale, di fare applicazione del principio di uguaglianza sostanziale. Nel frattempo, poco prima della riforma del 2003, la corte, con una vera e propria decisione di overruling (sentenza 49/2003), ha distinto tra misure incidenti solo sulla formazione delle liste elettorali e misure dirette 77 contratto si riferisce (e non solo gli appartenenti al sindacato). In realtà questa disciplina è tendenzialmente inattuata perché, a causa dei vincoli imposti alle associazioni riconosciute, i sindacati preferiscono rimanere ad operare come associazioni non riconosciute. Di conseguenza gli accordi conclusi con i datori di lavoro saranno vincolanti e applicabili a favore dei soli iscritti al sindacato. Articolo 40 Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. Lo sciopero rappresenta lo strumento più importante delle associazioni sindacali per raggiungere i propri scopi; si tratta di un’astensione collettiva dal lavoro, attraverso la quale i lavoratori esercitano pressione sul datore di lavoro al fine di ottenere migliori condizioni contrattuali. In questa materia un ruolo centrale è stato svolto dalla corte costituzionale, che ha, nel tempo, dichiarato l’incostituzionalità di molte norme di stampo fascista che vietavano lo sciopero, trattandolo come illecito (anche penale). Un problema che pone il diritto in questione è legato allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quindi facendo venire meno gli interessi di rilievo costituzionale che vengono soddisfatti attraverso l’erogazione di determinati servizi (trasporti pubblici, scuole, sanità, informazione,...). A questo riguardo è intervenuta la legge 146/1990, che ha imposto alcune regole al diritto di sciopero in questi ambiti, volte a garantire, seppur in minore misura, l’erogazione del servizio anche durante uno sciopero. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il diritto alla salute viene proclamato in una duplice dimensione: come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse della collettività. Dal punto di vista individuale si può dire che spetta a chiunque (cittadino o straniero) la pretesa alla propria integrità psico-fisica, con il conseguente diritto al risarcimento per i cosiddetti danni biologici, intesi come danni al bene salute. Il diritto alla salute si declina: - In attivo come diritto ad essere curato presso le pubbliche strutture, nelle quali il personale sanitario è tenuto a informare i pazienti delle modalità di cura proposte e dei possibili effetti dei trattamenti, acquisendo il cosiddetto “consenso informato” per procedere. Il diritto alle cure è garantito dal Servizio Sanitario Nazionale, istituito dalla legge 833/1978, che costituisce una struttura, organizzata e disciplinata a livello regionale, volta ad assicurare la cura a chiunque ne abbia bisogno. Il fatto che cure vengono garantite agli indigenti va considerato rispetto al costo che le prestazioni mediche hanno; il legislatore, in realtà, dal 1978 ha esteso la gratuità della cura (previo eventualmente pagamento di un ticket) a tutti. La corte ha sottolineato come, salvo per quegli interventi che costituiscono il nucleo irriducibile del diritto alla salute, la garanzia del diritto stesso può essere condizionata alla disponibilità di risorse finanziarie di cui lo stato dispone (sentenza 455/1990). 80 - In passivo come il diritto a non essere curato. Spesso la pienezza di questo diritto viene in conflitto con altri interessi costituzionalmente rilevanti, rendendo necessari complessi bilanciamenti che, almeno fino al 2017, in assenza di una chiara disciplina legislativa, sono stati rimessi alla discrezionalità del giudice; si ricordano i famosi casi di: - Piergiorgio Welby → Le cure sono state rifiutate da un soggetto, capace di intendere e volere, che chiedeva la rimozione di un presidio sanitario necessario alla sua sopravvivenza. Questo diritto viene in conflitto con il dovere del medico di evitare condotte certamente suscettibili di determinare la morte. - Eluana Englaro → In questo caso l’individuo non era in grado di esprimere la propria volontà, in quanto versante in stato vegetativo; si è reso necessario, attraverso la forte pressione dei genitori della ragazza, la ricostruzione della volontà dell’interessato ex post - Fabiano Antoniani → Fu l’ultimo caso importante prima di un vero e proprio intervento del legislatore. In questo caso l’interessato andò in Svizzera per mettere fine alle sue sofferenze attraverso l’eutanasia. Il legislatore intervenne con la legge 219/2017: “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che portò disciplina in importanti settori: ● Prevista la possibilità del rifiuto di ricevere un trattamento sanitario e di revocare in ogni momento il consenso precedentemente dato. Si inseriscono tra i trattamenti sanitari anche l’idratazione e la nutrizione artificiale, che possono essere rifiutati in qualsiasi momento. ● Divieto di ostinazione irragionevole delle cure, accompagnato dall’obbligo per i medici, nella fase finale della vita, di assicurare condizioni dignitose attraverso la somministrazione di sedativi palliativi ● Importante funzione affidata alle dichiarazioni anticipate di trattamento che ciascuna persona può esprimere in merito ad accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti ● Possibilità di indicare una persona che potrà rappresentare l’interessato dinanzi al medico e nelle sue relazioni con le strutture sanitarie. Il profilo collettivo si sostanzia in diverse esigenze, come, ad esempio, l’interesse che non si diffondano tra la popolazione malattie infettive. In questa prospettiva è garantita la possibilità di imporre trattamenti sanitari obbligatori per disposizioni di legge, previsti per la tutela della collettività nel suo complesso. In ogni caso questi trattamenti non devono in alcun modo violare il rispetto della persona umana e della sua dignità. Un esempio, che spesso è stato motivo di dibattito pubblico, è la previsione di vaccinazioni obbligatorie, attualmente introdotte anche come requisito di ammissione ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia. La corte, chiamata a decidere sulla costituzionalità della questione, ha riconosciuto che vengano sicuramente coinvolti diversi principi (libertà di autodeterminazione nella scelta inerenti le cure sanitarie, tutela della salute individuale e collettiva, interesse del minore), ma ha stabilito che sia compito del legislatore contemperare queste esigenze, che esercita una discrezionalità vincolata alle condizioni sanitarie ed epidemiologiche accertate dalle autorità preposte e alle acquisizioni della ricerca medica. Quindi la previsione è stata ritenuta legittima dal giudice costituzionale. Va inoltre ricordato, in tema, che lo stato ha previsto un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze derivanti dalla somministrazione di vaccini obbligatori, diritto che la corte ha spesso ritenuto da estendere anche per i vaccini non obbligatori. 81 Diversa è stata la gestione della campagna vaccinale per far fronte all’epidemia da Covid-19: in una prima fase l’obbligo è stato imposto solamente al personale medico e sanitario, pena la sospensione dell’attività lavorativa. Successivamente è stata incentivata la popolazione attraverso l’introduzione di regole volte a consentire solamente a chi fosse vaccinato la possibilità di entrare in determinati luoghi o di svolgere determinate attività (il cosiddetto green pass). Infine è stato esteso l’obbligo vaccinale a tutte le persone over 50 e a determinate categorie di lavoratori, prevedendo una sanzione amministrativa per quanti non avessero rispettato l’obbligo. Legato all’interesse collettivo e al diritto alla salute è sicuramente anche il diritto all’ambiente salubre (sentenza 641/1978), principalmente garantito dalla costituzione negli articoli 9 e 41. In particolare, dopo la riforma costituzionale 1/2022, il nuovo articolo 9 prevede la tutela del diritto all’ambiente al pari degli altri principi fondamentali della costituzione, da preservare anche per le generazioni future. Articolo 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Articolo 34 La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Il diritto all’istruzione si sostanzia all’interno della costituzione attraverso la previsione di diversi principi: - Principio della libertà di accesso al sistema scolastico, riconosciuto a tutti - Principio dell’obbligatorietà e della gratuità dell’istruzione inferiore, che la repubblica si impegna a garantire per almeno 8 anni - Diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi garantito ai capaci e meritevoli anche se privi di mezzi adeguati, attraverso l’intervento della repubblica nell’erogazione di borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, attribuite per concorso. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Sul tema dei diritti delle persone con disabilità interviene in modo specifico l’articolo 38.3, quando si occupa del diritto alla formazione e all’avviamento lavorativo delle persone con disabilità, ma sul tema rilevano implicitamente anche altre norme della costituzione: - Articolo 2 → Principio solidaristico - Articolo 3 → Principio di uguaglianza sostanziale - Articolo 32 → Diritto alla salute - Articolo 34 → Accesso all’istruzione Il tema va analizzato oggi in base a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite approvata nel 2006, e ratificata dall’Italia con legge 18/2009, in base alla quale la disabilità è affrontata con un approccio bio-psico-sociale: questa non coincide con la menomazione fisica, psichica o mentale del singolo, ma si è in presenza di disabilità nel momento in cui questa menomazione, interagendo con barriere materiali, culturali e 82
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