Scarica Dispensa Diritto Processuale Civile -Testo esame: Il Processo di Esecuzione e i Procedimenti Speciali - Vol. III - Gian Franco Ricci e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCESSO DI ESECUZIONE il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri e, se non adempie, il creditore può procedere ad esecuzione forzata sui suoi beni. A fronte del primo momento che dà luogo al processo di cognizione, vi è il secondo momento che integra il processo di esecuzione (o processo esecutivo o esecuzione forzata) anch’esso a carattere giurisdizionale (per il rispetto dei principi del giusto processo, primo fra tutti il contradditorio), che serve ad attuare coattivamente la pretesa del soggetto che ha ragione, qualora la parte condannata non adempi spontanemente: consiste nel tradurre in atto la sentenza del giudice inadempiuta; nei provvedimenti di accertamento (volti ad accertare l'esistenza o l'inesistenza di una certa situazione giuridica) e nei provvedimenti costitutivi (volti a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico), il processo di cognizione è perfettamente autosufficiente a realizzare la tutela dell'istante. nel caso dei provvedimenti condanna, funzione giurisdizionale si risolve essenzialmente in un comando contenuto nella sentenza, indipendentemente da quello che ne possa essere l'oggetto e cioè un obbligo di pagare, dare o fare, è necessario che l'ordinamento appresti i mezzi per la realizzazione coattiva del diritto di costui. Tale tutela si esercita, attraverso l'uso della forza da parte dello Stato, rispettando tutta una serie di garanzie previste dalla legge, nel cui ambito quel potere di imperio deve esercitarsi. Si noti infine che anche l'esecuzione forzata, costituisce essa stessa un processo, differente per struttura e funzione da quello di cognizione, ma come questo avente pieno carattere giurisdizionale, anche per essa debbono valere i principi del giusto processo previsti dall’art. 111 Cost. e il rispetto del principio del contraddittorio. Due forme di processo esecutivo: espropriazione forzata: per ottenere l'attuazione coattiva delle sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro. Non realizza l'obbligazione primaria, ma dà luogo ad un'attività sostitutiva (si assoggettano i beni, si vendono e si consegna all'avente diritto la somma ricavata) che finisce per essere (o almeno dovrebbe finire per essere) equivalente all'obbligazione primaria (esecuzione in forma generica o per equivalente): esecuzione forzata in forma specifica: per la realizzazione coattiva degli obblighi di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile (esecuzione per consegna o rilascio: a seconda se la cosa è mobile o immobile) o di un obbligo di fare o di non fare (esecuzione di obblighi di fare e di non fare). Realizza l’obbligazione primaria (consegna di quella data cosa, mobile o immobile; realizzazione o distruzione di quella determinata opera) al contrario dell'espropriazione che produce una soddisfazione solo per equivalente. Anche il processo esecutivo è subordinato all'istanza di parte (divieto della giurisdizione d'ufficio). L'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto, attività che è posta in essere solo a richiesta dell'esecutante, ponendo come essenziale l'impulso di parte perché gli organi esecutivi possano muoversi; Anche nel processo esecutivo, l'iniziativa giudiziaria dà luogo ad una vera e propria azione cioè ad un diritto soggettivo che non solo è distinto da quello sottostante, ma anche da quello nel quale consisteva l'azione cognitiva. Il processo esecutivo è mosso da un'iniziativa distinta rispetto a quella che ha dato origine al processo di cognizione, cioè è dimostrato: a) dall’esistenza della categoria dei c.d. titoli esecutivi stragiudiziali, scritture private autenticate, titoli di credito e atti pubblici e atti di diritto privato, creati fuori dal processo, ai quali l'ordinamento riconosce, per lo più in questione di un loro rigore formale, l'idoneità a consentire il ricorso al processo esecutivo, senza passare attraverso il processo di cognizione; a1) anche per i titoli esecutivi giudiziali l'azione esecutiva è del tutto distinta dall'azione di cognizione. L’actio iudicati è il diritto nascente da una sentenza di condanna passata in giudicato, ossia il diritto di adire gli organi esecutivi e cioè l'azione esecutiva. L’actio iudicati, cioè l'azione che nasce dal giudicato e che serve ad attuarlo coattivamente, è del tutto autonoma rispetto a quella predisposta per l'accertamento del diritto. L’actio iudicati che origina dalla sentenza di condanna ha la proprietà di trasformare la prescrizione del diritto sostanziale, lunga o breve che sia, in un'unica prescrizione lunga decennale. Ex. il 1 diritto di risarcimento danni derivante da incidente stradale si prescrive in 2 anni dal fatto. Si prescrive cioè l’azione di cognizione, quindi se la parte non si aziona verso il giudice per il suo diritto, questo si estingue. Una volta però che il giudizio è instaurato, e si perviene a una condanna, il diritto del vincitore ad agire in executivis acquista una nuova prescrizine: 10 anni. b) mentre l'azione di cognizione spetta a chiunque voglia iniziare un processo, la corrispondente azione esecutiva presuppone che l'avente diritto sia in possesso di un titolo esecutivo: cioè del documento che attesta l'esistenza di una delle situazioni sostanziali previste dall'art. 474, che sono ritenute dalla legge idonee ad assicurare una sufficiente certezza al diritto, tale da legittimare l'intervento degli organi esecutivi (azione esecutiva si dice titolata). Al processo esecutivo si può ricorrere solo se il diritto dell'agente risulta da un atto che ne attesti l'esistenza, poichè i suoi effetti incideranno direttamente sul patrimonio dell’obbligato. L'efficacia di quest'ultimo potrà essere fatta cadere a posteriori attraverso procedimenti espressamente previsti (opposizione al processo esecutivo, ad esempio perchè l’esecutato lamenti l’inesistenza del titolo esecutivo), ma mai a priori impedendo all'ufficiale giudiziario di agire in executivis, poiché finché l'efficacia del titolo non è fatta venire meno attraverso un procedimento ad hoc, la sua efficacia non può essere impedita da nessun tipo di prova contraria che possa essere presentata all'ufficiale giudiziario. PRESUPPOSTI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE: titolo esecutivo e diritto certo, liquido ed esigibile L’azione esecutiva presuppone che l’accertamento del diritto sia stato fatto in sede di cognizione o anche stragiudizialmente. Tale accertamento deve essere consacrato in un documento che lo rappresenti senza incertezze di modo che l’organo esecutivo possa operare senza preoccupazioni. Art. 474 – titolo esecutivo, dal quale si deduce chi sia il creditore e chi il debitore, è l’atto dal quale risulta un diritto di credito; l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. liquido: cioè preciso nel suo ammontare, riguarda i crediti aventi ad oggetto somme pecuniarie e sta a significare che la somma deve essere esattamente specificata nel quantum, tale mancanza si risolve nell'insussistenza stessa del titolo esecutivo (es. sentenza di condanna generica, la quale determina il credito solo nel’an e cioè nella sua sussistenza, non è titolo esecutivo); certo: la cui esistenza, cioè, non è controversa, equivalente della liquidità per le obbligazioni diverse da quelle pecuniarie e cioè per gli obblighi di consegna o rilascio una determinata cosa (mobile o immobile) o per gli obblighi di fare e di non fare. L'oggetto dell'obbligo deve essere esattamente individuato, l'eventuale incertezza della prestazione, se assoluta impedisce anche qui l'esistenza del titolo esecutivo, mentre se è relativa essa può in certi casi essere superata attraverso attraverso il ricorso al giudice dell'esecuzione; esigibile: titolo esecutivo deve riferirsi a un diritto non sottoposto a termine o condizione, esistono tuttavia titoli esecutivi sottoposti a termine o condizione (es. sottoposto a cauzione, in tal caso, il titolo esecutivo non consente l'inizio dell'esecuzione forzata, finché la cauzione non è versata). L'unico presupposto per iniziare l'esecuzione forzata è la presenza del titolo esecutivo. L'eventuale inesistenza del diritto non è in grado di impedirne l'inizio, ma può solo portare ad una caducazione successiva dell'esecuzione, attraverso le opposizioni. La mancanza di liquidità e di certezza impediscono l'esecuzione, ma solo perché si risolvano nell'inesistenza stessa del titolo esecutivo; la mancanza di esigibilità determina solo un'inefficacia temporanea del titolo esecutivo. TITOLO ESECUTIVO SOSTANZIALE Art. 474 – Sono titoli esecutivi: 1) sentenze (esclusivamente di condanna la quale è oggi, ex lege, provvisoriamente esecutiva), i provvedimenti (qui l’esecutività deve risultare da un’espressa previsione legislativa, essi sono: decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo o dichiarato provvisoriamente esecutivo in corso di opposizione, o divenuto definitivamente esecutivo per mancata opposizione o per rigetto dell’opposizione; ordinanza di convalida di sfratto; lodo arbitrale reso esecutivo da decreto di tribunale; l’ordinanza d condanna a pene pecuniarie ecc) e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, introdotti con la riforma del 2005 (es. verbali di conciliazione). 2 Si Noti: la notifica del titolo esecutivo e del precetto sono atti esecutivi solo in senso lato, in quanto componenti necessari del processo di esecuzione, ma che non ne segnano ancora l'inizio. L'inizio ha luogo, per l'espropriazione forzata con l'atto di pignoramento e per l'esecuzione in forma specifica con altre particolari attività previste dalla legge. Sarà l’ ufficiale giudiziario l’organo deputato ad effettuare il pignoramento (cioè il primo atto esecutivo) nell'espropriazione forzata, nonché ad attuare materialmente l'esecuzione in forma specifica (mentre nel processo di cognizione l'iniziativa processuale è diretta al giudice). GIUDICE DELL'ESECUZIONE: A differenza che nel processo di cognizione, il processo esecutivo non ha una serie di disposizioni generali cui fare riferimento: mutatis mutandis anche in questa sede si fanno valere i principi alla base del processo cognitivo, salvo talune peculiarità oggetto di normative specifiche. Analogie: nell'espropriazione forzata il giudice dell'esecuzione svolge la direzione del processo ed è presente per tutta la sua durata; nell’esecuzione in forma specifica il giudice ha funzioni più ridotte, perché o compare solo in casi eccezionali (come avviene nell'esecuzione per consegna o rilascio, che può svolgersi per intero anche senza la sua presenza), oppure è presente solo nella fase iniziale (nell'esecuzione di obblighi di fare o di non fare). Competenza del giudice dell'esecuzione sempre al tribunale in composizione monocratica (mai al giudice di pace): nominato dal presidente del tribunale, a seguito della presentazione del cancelliere del fascicolo dell'esecuzione. esecuzione forzata avente ad oggetto cose mobili o immobili: competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano; espropriazione presso terzi: competente il tribunale del luogo di residenza del terzo; esecuzione in forma specifica: competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare: competente il tribunale del luogo in cui l'obbligo doveva essere adempiuto. Competenza del giudice delle opposizioni all'esecuzione: opposizioni all'esecuzione: competenza si determina con riferimento al valore del credito per cui si procede. opposizioni di terzo: competenza si determina con riferimento al valore dei beni controversi. È competente il giudice del luogo dell’esecuzione che può essere giudice di pace o tribunale: dunque, se tali valori rientrano nella competenza del giudice di pace, è tale giudice ad essere competente. opposizioni agli atti esecutivi: competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione, che è sempre il tribunale. Salvo che la legge disponga altrimenti (ipotesi in cui il giudice debba pronunziarsi con decreto), il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, che può essere dal giudice stesso modificata o revocata finché non abbia avuto esecuzione. DIFESA NEL PROCESSO ESECUTIVO: principio del contraddittorio è presente anche nel processo esecutivo essendo un requisito essenziale per il «giusto processo»: obbligo di notifica del titolo esecutivo e del precetto all'esecutando: consente all'esecutando di adempire evitando l'esecuzione, e gli permette di tutelarsi fin da questo momento esperendo le opposizioni, prima ancora che l'esecuzione forzata concretamente inizi; audizione delle parti e degli interessati, allorché la legge lo richiede o il giudice lo ritiene necessario, il giudice stesso fissa con decreto l’udienza alla quale debbono comparire davanti a lui; udienza esecutiva: momento fondamentale per l'espletamento del contraddittorio fra le parti, anche nel processo di esecuzione. Estinzione del processo esecutivo per la mancata comparizione delle parti a due udienze successive; garantita la possibilità attribuita all'esecutando, di contestare il processo esecutivo attraverso le opposizioni, oppure di difendersi anche internamente allo stesso attraverso la proposizione al giudice dell'esecuzione di domande o istanze da proporre con ricorso o oralmente all'udienza. Le notificazioni e le comunicazioni non si fanno al procuratore costituito, come nel cognitivo ma: 5 ai creditori, pignoranti o intervenuti, si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nell’atto di precetto; In mancanza di dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio le notificazioni possono farsi presso la cancelleria del giudice competente per l’esecuzione. Quanto all’esecutato, una disposizione analoga vi è solo nell'espropriazione forzata: obbligo per l'ufficiale giudiziario di invitare il predetto al momento del pignoramento, ad indicare la propria residenza o ad eleggere domicilio nel circondario del giudice dell'esecuzione. In caso di inottemperanza a tale obbligo o in caso di irreperibilità nel luogo dichiarato, le notifiche si fanno anche qui presso la cancelleria di tale giudice. Nulla è detto invece per l'esecuzione per consegna o rilascio o per obblighi di fare o di non fare, nel qual caso le notifiche dovranno farsi personalmente all'esecutato. FASCICOLO DELL' ESECUZIONE: i vari atti vanno inseriti in un fascicolo, previsto per la sola espropriazione forzata, ma che sussiste anche per l'esecuzione in forma specifica. Nell' esecuzione c'è solo il fascicolo d'ufficio (non esistono i fascicoli di parte). ESPROPRIAZIONE FORZATA Processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio ed a convertirli in danaro, con cui soddisfare il creditore. Può essere: mobiliare: a) nei confronti del debitore, se i beni mobili sono nella sua disponibilità diretta; b) nei confronti di terzi, se i beni mobili sono nella disponibilità diretta di un terzo o se oggetto della espropriazione è un credito del debitore verso terzi. immobiliare. Al fine di soddisfare il proprio credito sui beni del debitore, il creditore può optare per l’una o per l’altra forma di espropriazione. Per l'espropriazione mobiliare e per quella presso terzi, l'oggetto del pignoramento non deve essere superiore all'importo del credito per cui si procede aumentato della metà, nessun limite è imposto invece per l'espropriazione immobiliare. Il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge (pendenza contemporanea di più processi diversi per la soddisfazione dello stesso credito), ma, su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina, questo per evitare che l’esecuzione diventi mezzo vessatorio. PUBBLICITÀ DEGLI AVVISI: Quando la legge dispone che di un atto esecutivo sia data pubblica notizia, occorre dare corso alle seguenti forme di pubblicità: a) un avviso contenente i dati che possono interessare il pubblico va affisso per 3 giorni continui nell’albo dell’ufficio giudiziario, presso il quale si svolge il processo esecutivo; b) in caso di espropriazione di beni mobili registrati dal valore superiore a € 25.000 o di beni immobili, lo stesso avviso, assieme all'ordinanza di vendita emessa dal giudice e alla relazione di stima dell’esperto relativa al bene, va inserito in appositi siti internet, almeno 45 giorni prima della scadenza del termine per presentare le offerte di acquisto o prima della data dell'incanto. c) il giudice dispone inoltre che l’avviso sia inserito almeno 45 giorni prima della scadenza del termine per presentare le offerte di acquisto o prima della data dell'incanto una o più volte sui quotidiani locali di informazione. Il giudice può disporre anche una pubblicità aggiuntiva quando ciò appare opportuno, su quotidiani nazionali di informazione o anche attraverso le forme della pubblicità commerciale. E previsto in ogni caso, per il rispetto della privacy, che negli avvisi debba essere sempre omessa l’indicazione del debitore. Fasi procedimento di espropriazione: il pignoramento; l’intervento dei creditori la vendita o assegnazione del bene pignorato; la distribuzione del ricavato. 1. PIGNORAMENTO Il P. è l’atto esecutivo con cui si inizia l'espropriazione forzata, fatta salva l'ipotesi che riguarda l'espropriazione delle cose date in pegno in questo caso la legge consente che la parte possa optare per la realizzazione del pegno o dell’ipoteca attraverso la strada civilistica e cioè mediante la vendita coattiva o impiegare il normale processo di espropriazione del codice di procedura. Solo che in questo 6 secondo caso si omette il pignoramento, giacché le sue funzioni sono adempiute dalla presenza del vincolo del pegno, per cui si può immediatamente passare alla fase della vendita forzata, 10 giorni dopo la notifica del precetto. FASI PIGNORAMENTO – art. 492 – è un atto dell’ufficiale giudiziario, che lo pone in essere su istanza del creditore e previa esibizione da parte dello stesso del titolo esecutivo e del precetto ritualmente notificati. Consiste nel descrivere o indicare le cose da pignorare, vincolandole al processo esecutivo. Scopo del pignoramento, è quello di assicurare determinati beni del debitore alla soddisfazione del creditore; tali beni, una volta individuati, vengono perciò sottratti alla libera disponibilità del debitore. 1. ingiunzione: l’ufficiale giudiziario ingiunge al debitore di astenersi dal compimento di ogni atto volto a sottrarre alla garanzia del creditore i beni assoggettati all’espropriazione ed i frutti di essi. 2. elezione di domicilio: il debitore è invitato dall’ufficiale giudiziario ad eleggere domicilio o dichiarare la sua residenza in uno dei comuni del circondario dove ha sede il giudice competente per l’esecuzione, con l’avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice; 3. avvertimento rivolto al debitore: l’ufficiale giudiziario avverte il debitore che può avvalersi del potere di convertire il pignoramento, sostituendo ai beni pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese; ciò mediante una richiesta da presentare prima della vendita forzata o dell’assegnazione, accompagnata dal versamento di una somma non inferiore ad 1/5 dell’importo del credito del procedente e degli intervenuti; Le previdenze sopra esposte sono obbligatorie, le seguenti, introdotte nel 2005, sono facoltative: 4. insufficienza dei beni pignorati o lunga durata della liquidazione: quando per la soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati al pignoramento appaiono insufficienti o per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione, l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista in caso di omessa o falsa dichiarazione (responsabilità penale per reato di falso); la dichiarazione, comporta l’instaurazione automatica del vincolo di pignoramento sui beni indicati. (la norma vale in realtà per il solo pignoramento mobiliare). 5. insufficienza dei beni pignorati e intervento dei creditori: quando a seguito dell'intervento di ulteriori creditori, il valore dei beni pignorati sia divenuto insufficiente, il creditore procedente può chiedere all’ufficiale giudiziario di ottenere dal debitore la dichiarazione circa altri suoi beni utilmente pignorabili; in tal modo il creditore procedente potrà invitare i creditori intervenuti a estendere il pignoramento a questi beni 6. insufficienza dei beni pignorati nonostante le ricerche dell’ufficiale giudiziario: quando il debitore non fornisca la dichiarazione o non indichi altri beni, il potere d’ufficio di indagine dell’ufficiale giudiziario cessa anche se i beni pignorati restano insufficienti a garantire i creditori. Occorre pertanto l’impulso di ulteriori attività di ricerca, sempre svolte dall’ufficiale giudiziario, su richiesta del creditore procedente. L’ufficiale potrà allora rivolgere la richiesta ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. Se l'esecutato è un imprenditore commerciale, può invitare l'esecutato ad indicare il luogo in cui sono tenute le scritture contabili e nominare un professionista (commercialista, avvocato, ecc.), con il potere di accedere a detto luogo e di esaminare le citate scritture onde verificare se è possibile rinvenire ulteriori beni da sottoporre a pignoramento ed anche con il potere di richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo e sul modo di tenuta delle suddette scritture. EFFETTI DEL PIGNORAMENTO effetti processuali: consistono nel diritto di provare i singoli atti di espropriazione, quali la vendita e l’assegnazione, e nel diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata; effetti sostanziali: effetti del vincolo esecutivo: 7 un'ulteriore ordinanza del giudice. Nel caso di inadempimento da parte del debitore e cioè quando egli non versa la somma nel termine indicato o ritarda di oltre 15 giorni il pagamento anche di una sola rata, si ha la decadenza dalla conversione: nel senso, non solo che il debitore non potrà più liberare i beni pignorati, ma anche che quanto egli ha versato fino a quel momento (e cioè il deposito del quinto e le eventuali rate pagate) verrà acquisito all'esecuzione come ulteriore oggetto del pignoramento. Si noti: l'istanza di conversione non può essere proposta più di una volta. chiede la riduzione del pignoramento: su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore (eccessivo) all'importo dei crediti del pignorante e degli intervenuti e alle spese, il giudice dell’esecuzione, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento ad alcuni soli dei beni. Solo quando il valore dei crediti colpiti è manifestamente sproporzionato può essere chiesta la riduzione (il pignoramento si effettua sempre su beni di valore superiore al credito del procedente, ciò perchè oltre a coprire l’importo indicato nel precetto, questo deve anche soddisfare i costi del processo). Il provvedimento di riduzione è revocabile dal giudice che l'ha emesso. CESSAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PIGNORAMENTO Il pignoramento si estingue se entro 90 giorni dal suo compimento non viene proposta l'istanza di vendita o di assegnazione. Esso rimane sospeso nel caso di opposizione agli atti esecutivi; se vi è opposizione all’esecuzione, la sospensione non ha luogo automaticamente, ma deve essere ordinata dal giudice. 2. INTERVENTO DEI CREDITORI. FORMAZIONE DELLA MASSA PASSIVA: A fronte della massa attiva costituita dalla massa dei beni pignorati vi è anche la passiva data dall’importo dei crediti che debbono essere soddisfatti nell’esecuzione. L'espropriazione forzata non è destinata a soddisfare solo il creditore pignorante (creditore procedente), ma consente la soddisfazione anche degli altri creditori dell'esecutato (creditori intervenuti), i quali possono intervenire nel processo attraverso l'atto di intervento, qualora non ne siano divenuti già parte con un pignoramento successivo. Il nostro sistema è uniformato al principio della par condicio creditorum: tutti i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione (privilegi ed ipoteche). E’ un sistema processuale a base di inclusione consente la soddisfazione di tutti i creditori dell'esecutato. CREDITORI ISCRITTI E NON ISCRITTI: i creditori concorrenti nella procedura di espropriazione vanno distinti in tre categorie, a seconda delle modalità e degli effetti dell’intervento: creditori aventi diritto di prelazione risultante dai pubblici registri (creditori iscritti es. creditori ipotecari) devono essere avvisati, dal creditore procedente entro 5 giorni dal pignoramento. In mancanza della prova dell'avviso, il giudice non può provvedere sull’assegnazione o sulla vendita. Tutti gli altri creditori (aventi un diritto di prelazione o meno) non vanno notiziati dell'esecuzione e potranno quindi intervenire solo se vengono a conoscenza in altro modo della procedura esecutiva. La ragione dell'avvertimento ai creditori iscritti deriva dalla necessità di evitare per tali creditori, l'effetto c.d. «purgativo» della vendita forzata, in base al quale essa cancella tutti i diritti di prelazione. Lo stesso avviso va notificato anche al creditore sequestrante il cui sequestro risulti dai pubblici registri. Se il creditore iscritto non viene avvisato dell'esecuzione e rimane tagliato fuori dallo stato di riparto, egli non ha uno strumento analogo à quello del litisconsorte necessario pretermesso nel processo di cognizione volto ad invalidare l'esito del processo, giacché l'ordinanza di distribuzione, una volta divenuta irrevocabile, diviene intangibile da parte dì chiunque. L'unico rimedio quindi che rimane al creditore non avvisato, è quello di agire con l'azione di risarcimento danni nei confronti del creditore procedente. creditori che non hanno un diritto di prelazione iscritto: ad ogni altro effetto, tutti i creditori con diritto di prelazione (ad es. il pegno) sono equiparati a quelli con diritto di prelazione iscritto in pubblici registri, assumendo lo stato di creditori privilegiati che beneficeranno in sede di distribuzione della collocazione in un rango anteriore a quello dei creditori privi di prelazione, che si dicono chirografari, a cui spetta un rango inferiore. creditori chirografari muniti di titolo esecutivo: 10 nel caso di intervento tempestivo (cioè precedente all’udienza per l’autorizzazione della vendita): diventano litisconsorti del creditore pignorante e possono partecipare alla distribuzione della somma ed anche provocare singoli atti esecutivi; nel caso di intervento tardivo: partecipano alla distribuzione di quella parte della somma che sopravanza dopo che sono stati soddisfatti i diritti del creditore pignorante e di coloro che sono intervenuti tempestivamente. creditori chirografari non muniti di titolo esecutivo: possono essere soggetti alle contestazioni del debitore con effetto preclusivo del pagamento, per evitare che si giunga a questa conseguenza è prevista un’apposita udienza dove il debitore dovrà dichiarare se riconosce i crediti di detta categoria di creditori: se avviene il riconoscimento (anche tacito in caso di mancata comparizione del debitore) i creditori parteciperanno alla distribuzione della somma ricavata, in tutto o in parte, a seconda che il riconoscimento del credito sia totale o soltanto parziale; se, all’opposto, il debitore non procede in tutto o in parte al riconoscimento (disconoscimento totale o parziale), i creditori hanno diritto all’accantonamento delle somme che gli spetterebbero, ma solo se ne facciano istanza e sempre che nei successivi 30 giorni, provvedano ad agire per munirsi di titolo esecutivo (attraverso il rito ordinario o con il procedimento ingiuntivo), titolo che dovrà essere formato in termine non superiore a 3 anni se si vuole partecipare utilmente alla distribuzione della somma ricavata. Il riconoscimento rileva ai soli effetti dell’esecuzione, se i creditori il cui credito è stato riconosciuto non vengono soddisfatti nell'esecuzione in corso per insufficienza dell'attivo, essi non potranno avvalersi di tale avvenuto riconoscimento in un'altra esecuzione a carico del debitore per il soddisfacimento del loro credito rimasto in tutto o in parte insoddisfatto, ma dovranno fare ricorso ex novo alla procedura di riconoscimento nella nuova esecuzione, nella quale i loro crediti potranno anche essere disconosciuti. CREDITORI TEMPESTIVI E TARDIVI: i creditori tempestivi intervengono prima dell'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l’intervento dopo tale udienza darà una collocazione più sfavorevole ai creditori tardivi quando questi siano chirografari. Il creditore tardivo (privilegiato o chirografaro), non può promuovere gli atti esecutivi ancorché munito di titolo esecutivo. RIFORMA DEL 2005 ALTERAZIONE DELLA PAR CONDICIO CREDITORUM: riforma 2005 tra i creditori non aventi titolo esecutivo (condicio sine qua non per intervenire) sono ammessi in concorso soltanto (restrizione della legittimazione attiva): creditori che hanno eseguito un sequestro conservativo; altrimenti perderebbero il vincolo cautelare creditori aventi un diritto di prelazione con diritto di seguito (creditori aventi un diritto di pegno e creditori aventi un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri); altrimenti perderebbero il diritto di seguito, che viene meno per l’effetto purgativo della vendita forzata creditori il cui credito risulta da scritture contabili imprenditoriali tenute dal loro debitore imprenditore. Creditori diversi da quelli sopra indicati non potranno mai partecipare al processo di espropriazione, il che fa supporre un’alterazione della par condicio poichè non si spiega perchè non possano intervenire coloro che hanno un diritto di prelazione senza diritto di seguito (lavoratore subordinato assistito da privilegio senza sequela). L’intervento va effettuato con ricorso contenente l’indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Se l’intervento ha luogo per un credito risultante dalle scritture imprenditoriali, ricorso deve essere allegato, a pena di inammissibilità, l’estratto autentico notarile delle medesime scritture rilasciato a norma di legge. I creditori privi di titolo esecutivo, che intervengono nell’esecuzione, debbono notificare al debitore entro 10 giorni successivi a deposito, copia del ricorso, nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito. 11 ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO Ai creditori chirografi, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare (con atto notificato o all'udienza di vendita o di assegnazione), l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati entro il termine di 30 giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Ha la funzione di provvedere ad aumentare la massa attiva, quando essa rischi di divenire insufficiente a causa dell’intervento di nuovi creditori. Prelazione a carattere processuale che sorge nell'ambito del processo. Nel nostro sistema, l'avere posto in essere il pignoramento non è ragione di prelazione alcuna a favore del creditore pignorante, se egli non ha una prelazione sostanziale per conto suo (pegno, ipoteca o privilegio), è considerato alla stregua di un normale chirografario, per cui ad esso sono preferiti in sede di distribuzione i creditori privilegiati (iscritti o meno), ancorché non pignoranti. L'unica prelazione che egli può conquistare è dunque quella processuale che non lo anteporrà tuttavia ai creditori privilegiati, ma solo ai chirografari. EFFETTI DELL'INTERVENTO tre effetti dell'intervento dei creditori: 1) diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata; 2) diritto di provocare gli atti del processo esecutivo (ad es. non basta che il creditore ponga in essere il pignoramento, ma deve rinnovare l’impulso processuale proponendo l’istanza di vendita entro 90 days, altrimenti il procedimento si estingue); 3) diritto a partecipare all’espropriazione del bene pignorato (divenire, attraverso l'intervento, parti del processo esecutivo). Mentre il diritto a partecipare alla distribuzione spetta a tutti i creditori intervenuti, le altre due facoltà (di provocare gli atti esecutivi e di partecipare all'espropriazione) spettano ai creditori solo secondo le disposizioni stabilite per le singole espropriazioni e nei casi ivi previsti (es. per potere promuovere gli atti esecutivi non è sufficiente essere semplicemente intervenuto e possedere il titolo esecutivo, ma occorre anche essere intervenuti tempestivamente). INTERVENTO DEL CREDITORE DEL CREDITORE (O SOSTITUZIONE ESECUTIVA): la legge, oltre ai creditori dell'esecutato, legittima ad intervenire nell’espropriazione forzata anche coloro che sono a loro volta creditori di questi ultimi, i quali possono chiedere al giudice dell'esecuzione di essere ad essi sostituiti nella distribuzione, proponendo domanda con ricorso contenente gli stessi elementi di quello degli altri creditori intervenuti, con un estremo in più dato dalla domanda di partecipazione alla distribuzione in sostituzione dell'avente diritto. Il giudice dell’esecuzione provvede alla distribuzione anche nei loro confronti, ma le contestazioni relative alle loro domande non possono ritardare la distribuzione tra gli altri creditori concorrenti. VENDITA E ASSEGNAZIONE FORZATA: servono a trasformare la massa attiva in denaro liquido da distribuire ai creditori. In prima battuta è consentita solo la richiesta di vendita, non di assegnazione la quale può essere chiesta solo in seguito alla mancata vendita (solo nell’espropriazione mobiliare di titoli di credito o di quelle cose aventi un valore determinato o determinabile da listini di borsa o mercato può essere chiesta subito l’assegnazione). Presupposto perché si possa passare alla fase di vendita o di assegnazione, cioè alla fase di liquidazione dei beni pignorati è che il creditore pignorante o un creditore intervenuto con titolo esecutivo presentino la relativa istanza di vendita o di assegnazione. Questa non può comunque essere presentata prima che siano trascorsi 10 giorni dal pignoramento (tranne nel caso di cose deteriorabili nel quale può essere disposta l'assegnazione o la vendita immediata), ma va proposta in ogni caso entro 90 giorni dal pignoramento, pena l'inefficacia di quest'atto e l'estinzione del processo esecutivo. Se si tratta di beni sottoposti a pegno o ipoteca, qualora vengano espropriati, il termine di 10 giorni per presentare l'istanza di vendita decorre dalla notificazione del precetto. Vendita forzata: comporta il trasferimento della proprietà dei beni pignorati ad un terzo dietro versamento del prezzo, che sarà distribuito ai creditori. Può farsi con incanto o senza, secondo le disposizioni dettate per le varie espropriazioni, può avvenire in un unico lotto comprendente tutti i beni pignorati o in più lotti, in questo secondo caso essa deve cessare quando il ricavato ottenuto 12 confronti del creditore procedente di mala fede, salvo conservare sempre le sue ragioni nei confronti del debitore. g) la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno ricevuto per effetto dell’esecuzione. Principio dell' intangibilità della vendita e dell'assegnazione rispetto le nullità del processo esecutivo che hanno preceduto tali atti. L'unica eccezione è rappresentata dalla collusione dell'aggiudicatario o dell'assegnatario con il creditore procedente. In questo caso la vendita e l'assegnazione potranno essere travolte, ma potrà essere obbligato alla restituzione del denaro solo il creditore procedente, non gli altri creditori. Solo le nullità assolute potrebbero travolgere sempre il trasferimento. Il limite di cui sopra non vale per le nullità che affettano il procedimento di vendita o di assegnazione, perché queste possano sempre caducare il trasferimento del bene. DISTRIBUZIONE DELLA SOMMA RICAVATA: COMPOSIZIONE DELLA SOMMA RICAVATA (massa attiva): l'espropriazione forzata si conclude con la distribuzione del ricavato della vendita forzata o dell'assegnazione. La massa attiva, che deve essere distribuita tra i creditori intervenuti all’espropriazione, è composta: 1) prezzo (o ricavo) delle cose vendute o assegnate; 2) conguaglio delle cose assegnate nel caso di assegnazione mista (ossia la differenza tra il valore attribuito al bene e il credito dell’assegnatario); 3) rendita o provento delle cose pignorate: cioè i frutti naturali o civili dei beni colpiti dal pignoramento; 4) multa e risarcimento del danno a carico dell'aggiudicatario inadempiente; 5) denaro pignorato. Dal momento che la fase di distribuzione ha dei tempi quasi sempre lunghi, la somma ricavata deve nel frattempo essere sottoposta a custodia, nelle forme dei depositi giudiziari. ATTRIBUZIONE E DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO la distribuzione della somma ricavata avviene secondo le seguenti regole: se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice, sentito il debitore, dispone in favore del creditore stesso il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. Non si ha distribuzione, ma semplice attribuzione a lui della somma previa audizione del debitore; nell’hp di più creditori, si avrà distribuzione della somma in base alla nuova disciplina del 2005. Criterio di formazione del progetto di distribuzione fatto dal giudice: prededuzione: somme che vanno assegnate prima e al di fuori dello stato di riparto vero e proprio: spese di giustizia: crediti per spese di giustizia vanno soddisfatti per primi, sono preferiti ad ogni altro credito anche pignoratizio o ipotecario.. Se l'attivo non è sufficiente neppure per pagare tali spese, queste non potranno più essere recuperate in un'altra espropriazione a carico del debitore (ciò a differenza dei normali crediti). prelevamenti a favore di terzi: come nel caso di beni ingiustamente coinvolti nell'esecuzione il cui titolare abbia proposto l'opposizione, ma non abbia ottenuto la sospensione della vendita forzata, oppure, abbia proposto l'opposizione dopo la vendita. In tal caso, se l'opposizione è accolta, i diritti del terzo si fanno valere sulla somma ricavata, dando luogo ad un prelevamento a suo favore che va effettuato prima di procedere alla distribuzione. Altro prelevamento del genere può essere quello a favore dell'aggiudicatario che ha subito l'evizione e che ha diritto di ripetere dalla massa il prezzo pagato, che va soddisfatto anche qui in prededuzione. Secondo l'opinione di qualche autore i diritti dei terzi sul ricavato della vendita o dell'assegnazione dovrebbero essere soddisfatti per primi, con prevalenza anche sulle spese di giustizia, giacché non si tratterebbe di veri e propri crediti, ma di diritti di natura reale sulla cosa 15 (di proprietà del terzo ingiustamente coinvolto nell'esecuzione o dell'aggiudicatario evitto), che si trasformerebbero in diritti reali sul prezzo in virtù di quel fenomeno "surrogazione reale". stato di riparto: sulla massa così depurata si forma lo stato di riparto, cioè l'ordine di collocazione dei creditori. primo rango: vengono soddisfatti i creditori privilegiati, tanto se sono intervenuti tempestivamente che tardivamente, cioè prima dell'udienza di vendita o della presentazione del ricorso per l’intervento. Vengono soddisfatti per intero in ragione del grado di prelazione, cioè il creditore con prelazione di grado anteriore va soddisfatto integralmente e solo dopo si passa a soddisfare quello con prelazione di grado successivo. Per cui può avvenire che se il ricavato non è sufficiente per pagare integralmente il creditore avente la prelazione che va soddisfatta per prima, gli altri restino a mani vuote. secondo rango: è eventuale, va soddisfatto il credito del primo pignorante, quando a suo favore sia maturata la prelazione processuale. Il creditore pignorante, nel nostro sistema non ha di per se una collocazione preferenziale, ma può ottenerla in conseguenza dell'esercizio della facoltà qui detta. Tale prelazione non sopravanza comunque le prelazioni sostanziali, in quanto la norma può operare solo nei confronti dei «creditori chirografari». terzo rango: creditori chirografari tempestivi, questi, a differenza dei privilegiati, vengono soddisfatti proporzionalmente in relazione all'entità del loro credito, non sussistendo fra i chirografari gradi differenti di preferenza. quarto rango: creditori chirografari tardivi, anch'essi da soddisfare in proporzione ai loro crediti. se c'è un residuo spetta al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione. ACCANTONAMENTI E RIPARTI PARZIALI: accantonamenti: somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore: tali accantonamenti sono disposti dal giudice dell'esecuzione per il tempo necessario affinché i predetti creditori possano munirsi del titolo, ma in ogni caso per un periodo non superiore a 3 anni decorrente dalla scadenza dei 30 giorni dall'udienza di verifica, termine entro il quale debbono avere iniziato il procedimento per l'acquisizione del titolo. Nel frattempo il giudice dell'esecuzione può procedere ad un riparto parziale a favore di quei creditori i cui crediti non siano stati oggetto di contestazione. Alla scadenza dei 3 anni (o anche prima, se i creditori contestati si sono già muniti di titolo esecutivo) il giudice dell'esecuzione, dispone la distribuzione delle somme accantonate fissando all'uopo un'udienza di comparizione del debitore e dei creditori con l'eccezione di coloro che siano già stati integralmente soddisfatti. Se riparto parziale vi è stato, a questo seguirà la ripartizione definitiva delle somme accantonate (alla scadenza dei 3 anni o anche prima), di tale ripartizione definitiva beneficeranno i creditori che sono riusciti a procurarsi il titolo esecutivo. Sia che il riparto avvenga in un'unica soluzione, sia che abbiano avuto luogo riparti parziali, il provvedimento di distribuzione è sempre costituito da un’ordinanza, emanata a seguito dell'udienza di comparizione delle parti. L'ordinanza diviene definitiva per le parti con la scadenza del termine per proporre l’opposizione, mentre per il giudice permane il potere di revoca fino a quando essa non abbia avuto esecuzione; l'esecuzione dell'ordinanza di distribuzione si ha, con l'emissione dei mandati di pagamento da parte del cancelliere a favore dei creditori, con i quali costoro potranno prelevare quanto ad essi attribuito dal provvedimento del giudice. CONTROVERSIE IN SEDE DI DISTRIBUZIONE Se in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione. a) il debitore, dopo il riconoscimento, potrà solo contestare: la sussistenza di eventuali diritti di prelazione; l'esistenza o l'ammontare dei crediti da lui non riconosciuti, i cui titolari nel frattempo abbiano conseguito il titolo esecutivo. b) se vi è stato un riparto parziale, deve escludersi che possano nel prosieguo essere contestati crediti inseriti in quel riparto, rispetto al quale l'ordinanza di distribuzione sia divenuta definitiva. c) le contestazioni in tema di riparto sono decise in via abbreviata, sentite le parti, con un sistema 16 probatorio ridotto («compiuti i necessari accertamenti»), e definite con ordinanza, impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617. STABILITÀ DELLO STATO DI RIPARTO: nessuno degli accertamenti che avvengono in sede esecutiva ha un'efficacia superiore a quella processuale (no efficacia di giudicato), decisioni fatte con ordinanza valgono solo per quel dato processo. L'incontestabilità extraprocessuale compete solo a quei soli crediti che, a seguito della contestazione del debitore, siano stati fatti oggetto di un giudizio di cognizione piena (e quindi definito con sentenza), al fine di procurarsi un titolo esecutivo. Concludendo: impatto normativa 2005: si avrà un rallentamento dell’espropriazione forzata: 1) udienza di verifica dei crediti (essendo sotto l’esclusiva del debitore questi potrebbe effettuare contestazioni infondate o a sproposito, bloccando l’espropriazione) 2) se contesta, la procedura si rallenta per 3 anni; è vero che nel frattempo ci sono i riparti parziali ma ciò non toglie che nel frattempo il processo esecutivo sia sospeso 3) passando dalla sentenza all’ordinanza, quale provvedimento decisiorio delle controversie in sede di riparto, non si ha più l’efficacia di giudicato. Quindi un credito riconosciuto in un processo potrebbe non essere tale in un altro procedimento espropriativo a carico del medesimo debitore ESPROPRIAZIONE MOBILIARE Procedura di cui all'art. 513 ss. per il pignoramento mobiliare si applica ai soli beni corporali (no quindi ai brevetti, opere di’ingegno ecc): beni mobili iscritti nel pubblico registro automobilistico; (per navi e aerei cod. della navigazione) proprietà o diritti parziari sul bene, purché si tratti di diritti alienabili, come ad es. l'usufrutto; universalità di mobili aventi per oggetto cose corporali con destinazione unitaria mandria, collezione di quadri ecc o cose incorporali eredità, pignoramento sui singoli beni in base alla procedura prevista, e non unitario . pertinenze, premesso che il pignoramento della cosa principale si estende automaticamente anche ad esse, è possibile anche il pignoramento delle stesse separatamente dalla cosa a cui accedono. titoli di credito (es. azioni delle s.p.a.); quote di srl dal 2006 (la giurisprudenza ammette anche le quote dell società di persone). PIGNORAMENTO MOBILIARE: presenta due particolarità che lo differenziano dalle altre forme di espropriazione: si effettua in loco: l'ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, deve recarsi nel luogo in cui si trovano i beni (mentre, tanto il pignoramento presso terzi, quanto quello immobiliare, si realizzano attraverso una notifica). Possibilità di un pignoramento a distanza, quando l'ufficiale giudiziario, pignorati i beni e constatatane la loro insufficienza ai fini della soddisfazione dei creditori, invita il debitore ad indicare ulteriori beni pignorabili che si trovano in altri luoghi. Se il debitore indica cose mobili, fino da tale indicazione recepita nel verbale di pignoramento, esse sono considerate pignorate, dunque questi ulteriori beni vengono assoggettati senza alcun impatto materiale con gli stessi. è l'unica nella quale, oltre all'attuazione del pignoramento, all'ufficiale giudiziario spetta anche la previa ricerca dei beni da pignorare (che nel pignoramento presso terzi e in quello immobiliare vanno invece indicati dal creditore). L’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti. Tutti i beni che si trovano in detti luoghi sono reputati del debitore, onde potranno essere assoggettati tutti quanti al vincolo esecutivo quand'anche il debitore ne neghi la proprietà (dicendo ad es. che appartengono a terzi). L'ufficiale giudiziario potrà arrestarsi solo se il diritto reale altrui risulti incontestabilmente ex actis (ad es. da atto scritto con data certa), deve trattarsi di un diritto reale del terzo, non di un diritto meramente obbligatorio (se il debitore si definisce semplice comodatario della cosa, ancorchè esibisca il contratto di comodato, questi enuncia la proprietà del terzo ma non la prova: si prova solo il rapporto obbligatorio tra debitore e comodante, quindi si può espropriare). L’ufficiale giudiziario ha il potere di rimuovere direttamente con la forza eventuali ostacoli materiali al pignoramento, provvedendo secondo le circostanze ad aprire porte, ripostigli o 17 intervenuti muniti di titolo esecutivo, con apposita istanza, possono chiedere la vendita dei beni pignorati. In prima battuta è consentita solo la richiesta di vendita, non di assegnazione la quale può essere chiesta solo in seguito alla mancata vendita al primo incanto. Vi sono solo due eccezioni: a) l'assegnazione può essere richiesta immediatamente solo per i titoli di credito o di altre cose il cui valore risulta dai listini di borsa o di mercato, b) nel caso di denaro contante, si saltano la vendita e l'assegnazione e si passa immediatamente alla fase di distribuzione. Sull'istanza di vendita o di assegnazione, da proporre con ricorso al quale va unito il certificato di iscrizione degli eventuali privilegi gravanti sui beni pignorati, il giudice dell'esecuzione provvede fissando l’udienza per la comparizione delle parti, nella quale queste possono fare osservazioni circa il tempo o le modalità della vendita e debbono proporre a pena di decadenza le eventuali opposizioni agli atti esecutivi che siano ancora proponibili. Se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge un accordo, il giudice provvede sull'istanza di vendita o di assegnazione, mentre se nessun accordo si raggiunge, il giudice dovrà decidere le opposizioni con sentenza e solo all'esito di tale decisione potrà disporre la vendita o l'assegnazione. La vendita è disposta con ordinanza, ma nel caso della piccola espropriazione mobiliare, qualora non vi siano interventi tempestivi il giudice provvede direttamente con decreto inaudita altera parte. Nel caso invece di interventi tempestivi, occorrerà anche in questo caso fare luogo alla comparizione delle parti. La vendita può avvenire, a scelta del giudice dell'esecuzione: senza incanto si svolge a trattativa privata, le cose pignorate devono essere affidate all’istituto vendite giudiziarie o, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza. Costoro provvederanno alla vendita in qualità di commissionario (il quale è un mandatario a vendere). Nello stesso provvedimento il giudice dopo aver sentito, se necessario, uno stimatore, fissa il prezzo minimo della vendita e l’importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita deve essere eseguita. Per i preziosi (oggetti di oro o di argento) il prezzo minimo di vendita non può essere inferiore al loro «valore intrinseco»; per le cose il cui prezzo risulta da listini di borsa o di mercato la vendita non può essere fatta a prezzo inferiore al minimo segnato nel listino. Nella vendita senza incanto non si può vendere se non per contanti, qualora la vendita senza incanto non avvenga nel termine di un mese dal provvedimento di autorizzazione, il commissionario, salvo che il termine sia prorogato su istanza di tutti i creditori intervenuti, deve riconsegnare i beni, affinché siano venduti all’incanto. all'incanto si svolge con il sistema dell’asta pubblica (l'enunciazione del prezzo raggiunto durante l'incanto deve essere pubblica), per cui del provvedimento di vendita (che deve indicare il giorno, l'ora e il luogo dell'incanto), deve essere data pubblicità. La vendita all’incanto si svolge, secondo le determinazioni del giudice, sotto la direzione del cancelliere o dell'ufficiale giudiziario o di un istituto apposito. Il giudice col provvedimento di vendita stabilisce il giorno, l’ora e il luogo della vendita, nonché il prezzo di apertura dell’incanto (sentito quando occorre uno stimatore), oppure dispone che la vendita avvenga al miglior offerente senza determinare il prezzo minimo, se le circostanze lo consigliano (tranne che per le cose il cui valore risulta dai listini di borsa o di mercato, per le quali il prezzo base va obbligatoriamente fissato nella misura del minimo del giorno precedente alla vendita; e per i preziosi). L'incanto viene espletato dopo la ricognizione delle cose da vendere confrontandole con la descrizione contenuta nel processo verbale di pignoramento. L’aggiudicazione al maggior offerente segue quando, dopo una duplice pubblica enunciazione del prezzo raggiunto, non è fatta una maggiore offerta. Qualora la cosa messa all’incanto resti invenduta, il soggetto a cui è affidata l’esecuzione fissa un nuovo incanto a un prezzo base inferiore di 1/5 rispetto a quello precedente. Nell'ipotesi che anche il secondo incanto vada deserto, i beni vanno riconsegnati al debitore ed il processo esecutivo si chiude. Gli oggetti d’oro e d’argento se restano invenduti, sono assegnati per tale valore ai creditori (assegnazione sattisfattiva con conguaglio). Non ve invece nessuna possibilità di assegnazione a seguito di una vendita andata deserta dei beni il cui prezzo risulta dai listini di borsa o di mercato, per i quali o si chiede l'assegnazione immediata o se ciò non avviene e la vendita va deserta, non può più avere luogo un'assegnazione successiva. 20 Rivendita forzata o rivendita in danno (solo per vendita con incanto) se il prezzo non è pagato dall'aggiudicatario il giudice provvede immediatamente a disporre un nuovo incanto a spese e sotto la responsabilità dell'aggiudicatario inadempiente. Se la nuova vendita comporta il trasferimento del bene per un prezzo inferiore a quello della precedente, il precedente aggiudicatario sarà tenuto al pagamento della differenza. Delega delle operazioni di vendita: nel solo caso che il pignoramento abbia per oggetto beni mobili registrati, il giudice dell'esecuzione, sentiti gli interessati, anziché sovraintendere personalmente alle operazioni di vendita, può delegarle ad un altro soggetto, un istituto di vendite giudiziarie e solo in subordine (in caso di sua assenza in loco), un notaio, un avvocato o un commercialista. In tal caso il giudice dell'esecuzione si occuperà solo della distribuzione del ricavato (o della restituzione dei beni al debitore nel caso di vendita infruttuosa), potendo nella fase di vendita tutt'al più intervenire, per risolvere eventuali contestazioni. Il professionista delegato alla vendita, nel caso di difficoltà insorte durante le operazioni di vendita, può fare ricorso al giudice dell'esecuzione il quale provvede con decreto. Contro tale decreto e contro gli atti del professionista, le parti possono proporre reclamo allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza. Il ricorso del professionista non ha effetto sospensivo delle operazioni di vendita, salvo che il giudice ne disponga la sospensione concorrendo gravi motivi. DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO: la somma ricavata dalla vendita è immediatamente consegnata al cancelliere per essere depositata con le forme dei depositi giudiziari. distribuzione amichevole se i creditori concorrenti chiedono la distribuzione della somma ricavata secondo un piano concordato, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità dichiarando chiusa la distribuzione e ordinando al cancelliere l'emissione dei mandati di pagamento. distribuzione giudiziale se i creditori non raggiungono l’accordo per la distribuzione amichevole o il giudice dell’esecuzione non approva, ognuno di essi può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata (può proporre istanza di distribuzione). Il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, distribuisce la somma ricavata e ordina il pagamento delle singole quote. INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL PIGNORAMENTO MOBILIARE: riforma del 2009 ha aggiunto la norma che prevede la possibilità di integrazione successiva del pignoramento. Presupposti: cose risultino invendute a seguito del secondo o successivo incanto la somma assegnata, cioè distribuita, non sia sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori. In tal caso, il giudice, ad istanza di uno dei creditori, dispone l’integrazione del pignoramento e l’ufficiale giudiziario riprende senza indugio le operazioni di ricerca dei beni. Se in tal modo sono pignorate nuove cose, il giudice ne dispone la vendita senza che vi sia necessità di nuova istanza. In caso contrario, dichiara l’estinzione del procedimento, salvo che non siano da completare le operazioni di vendita. ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI Art. 543 ss. – nel caso si vogliono assoggettare: crediti del debitore verso terzi (obbligazioni); cose mobili del debitore che sono in possesso di terzi: beni del debitore che si trovano presso un terzo ma dei quali il primo non può direttamente disporre (ad es. denari del debitore depositati in banca). Se infatti il debitore ne potesse disporre, potrebbe effettuarsi nei suoi confronti il pignoramento diretto; ma se tale disponibilità è condizionata alla collaborazione del terzo, il pignoramento diretto è possibile solo se quest'ultimo consente di "esibire" le cose, diversamente bisogna impiegare l'art. 543. All’espropriazione partecipano: il creditore e il debitore come soggetti attivi/passivi processualmente e sostanzialmente; il terzo, come soggetto solo ai fini processuali. FORMA DEL PIGNORAMENTO: a differenza di quello mobiliare, il pignoramento presso terzi non si effettua in loco, ma attraverso un atto notificato al debitore e al terzo; ha il duplice scopo di impedire al terzo di pagare (ovvero di consegnare la cosa) al debitore esecutato e di accertare la sussistenza del credito di quest’ultimo nei confronti del terzo; 21 è un atto complesso (alla cui formazione concorre sia il creditore sia l'ufficiale giudiziario), predisposto e sottoscritto dal creditore, contenente: a) l’ingiunzione al debitore b) l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; c) l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice d) la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice dell’esecuzione; e) la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo, affinché questi faccia la cd. dichiarazione di quantità (dichiarare di quali somme è debitore o di quali cose è in possesso, quando ne deve eseguire la consegna, e se ha subito precedentemente altri sequestri o pignoramenti). Tale dichiarazione può, nei casi previsti, essere inviata dal terzo al creditore procedente anche a mezzo di raccomandata entro 10 giorni dalla notifica della citazione; Se il credito pignorato è garantito da pegno, occorre anche intimare al detentore del pegno di non eseguirne la riconsegna senza ordine del giudice. Se poi il credito pignorato è garantito da ipoteca, l'atto del pignoramento va annotato sui libri fondiari. Si Noti: Il pignoramento consiste essenzialmente nella notifica al debitore, che è opera dell'ufficiale giudiziario, mentre la notifica al terzo è opera del creditore e non può avere alcuna efficacia costitutiva del vincolo esecutivo: non produce cioè l'«arresto» del credito (ovvero la sua indisponibilità), né potrebbe farlo essendo opera di un privato, ma ha solo la conseguenza si escludere la buona fede del terzo, tanto che se costui elude l'intimazione a lui fatta (ad es. pagando il debitore), non vede per ciò stesso caducato l'atto, ma risponde solo dei danni per violazione degli obblighi di custodia. Consistendo l'esistenza del pignoramento nell'ingiunzione fatta al debitore, è dal momento della notifica fatta a costui che il pignoramento presso terzi produce tutti gli effetti, con la conseguenza che è da tale momento che sorge l'indisponibilità del bene pignorato, indipendentemente dal soggetto che ponga in essere l'atto. Se il terzo paga il debito dopo la notifica a lui fatta, ma prima di quella al debitore, il pagamento è efficace, ma il terzo risponderà a titolo di risarcimento danni da omessa custodia. Il pignoramento presso terzi è anche atto a formazione progressiva, in quanto si attua in due tempi: notifica dell'atto per effetto della quale i beni sono già assoggettati al vincolo di custodia. L'atto di pignoramento notificato, va poi depositato dall'ufficiale giudiziario nella cancelleria del giudice dell'esecuzione, nella quale vanno depositati a cura del creditore procedente anche il titolo esecutivo e il precetto. dichiarazione del terzo per iscritto: serve a perfezionare il pignoramento, provvedendo all'esatta individuazione del bene pignorato, ma ciò non toglie che questo sia già in atto fino dalla notifica con pienezza di effetti, si che la mancata dichiarazione ha la conseguenza, di fare estinguere un vincolo già sorto e con esso il processo esecutivo. All’udienza il terzo personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale deve specificare: 1) di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna. 2) i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato. 3) eventuali precedenti pignoramenti che sono stati eseguiti presso di lui. Anche qui, come nell’espropriazione mobiliare i vari pignoramenti andranno riuniuti nello stesso processo, ma qui no udienza di vendita nè istanza di vendita: ma solo udienza di comparizione del debitore e del terzo. Inoltre se nella mobiliare l’onere di inserimento del pignoramento successivo nel fascicolo di quello originario spettava all’ufficiale giudiziario qui la responsabilità è attenuata poichè è il terzo che deve indicare i pignoramenti fatti presso di lui (questi ne è responsabile, almeno che li abbia dichiarati e l’ufficiale non ne abbia tenuto conto). Nell’udienza, ove la dichiarazione scritta sia positiva, il giudice dovrà disporre il provvedimento 22 CUSTODIA DEI BENI PIGNORATI: riforma del 2005 ha modificato il sistema della custodia nel pignoramento immobiliare: sui due fronti della sostituzione del custode e dei suoi obblighi. Con il pignoramento, il debitore è costituito custode dei beni pignorati e degli accessori, comprese le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso (nomina automatica del debitore a custode). Il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, e sentito il debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore (sostituzione ad istanza del creditore). Sono state introdotte tre forme di sostituzione che operano d'ufficio: 1) il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal debitore; 2) il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti; 3) il giudice, se il custode dei beni pignorati è il debitore e salvo che per la particolare natura degli stessi ritenga che la sostituzione non abbia utilità, dispone, al momento in cui pronuncia l’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o disposta la delega delle relative operazioni, che custode dei beni medesimi sia la persona incaricata delle dette operazioni o l’istituto all’uopo autorizzato. Tutti i provvedimenti in oggetto sono pronunziati con ordinanza non impugnabile. Obblighi del custode il custode ha l'obbligo di rendiconto nel caso l'immobile sia fruttifero, è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non è espressamente autorizzato dal giudice dell’esecuzione; il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato; il custode esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per ottenere la disponibilità dell'immobile (ad es. quando questo sia in mano a terzi); allorché è disposta la vendita, il custode deve adoperarsi affinché gli interessati all'acquisto esaminino i beni in vendita, seguendo la modalità stabilita nell'ordinanza di vendita. Ipotesi in cui il debitore abiti l'immobile pignorato: la continuazione della permanenza nell'immobile può avvenire solo con l’autorizzazione del giudice. Il giudice dell’esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato, quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, oppure quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile. Autorizzazione, dunque, che sembra essere necessaria e che potrebbe anche essere negata, qualora ad es. il giudice intendesse preferire locarlo a terzi. La permanenza nell'immobile del debitore e della sua famiglia dipende esclusivamente dal potere discrezionale del giudice, che è assoluto, non essendo neppure subordinato all'esistenza di specifici motivi. In ogni caso, il debitore deve liberare l'immobile al momento dell'aggiudicazione o dell’assegnazione. Se il debitore è custode, abiti o meno l'immobile, egli deve lasciare la custodia al momento dell'ordinanza che dispone la vendita, ma può permanere nell'abitazione dell'immobile fino al momento in cui la vendita o l'assegnazione sono concretamente disposte (e questo lasso di tempo può essere anche di qualche anno). Il provvedimento con cui il giudice dispone la liberazione dell'immobile dal debitore, costituisce titolo esecutivo per il rilascio ed è eseguito a cura del custode anche successivamente al decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, se questi ultimi non lo esentano. L'affidamento ex lege al custode del compito di provvedere alle operazioni di rilascio dell'immobile da parte del debitore, permane anche dopo il decreto di trasferimento (che è successivo alla vendita o all'assegnazione). Questa è un’innovazione del 2005 fatta per evitare che, avvenuto il trasferimento del bene l’aggiudicatario/assegnatario vengano abbandonati con un immobile occupato e con tutti gli aggravi per liberarlo. Il custode può ottenere il rilascio in via breve attraverso l'intervento dell'ufficiale giudiziario che procede sulla base del solo provvedimento del giudice. ESPROPRIAZIONE DELL'IMMOBILE ARREDATO: l'arredo di un immobile non costituisce pertinenza, 25 per cui esso non può essere oggetto dell'estensione automatica del pignoramento. Nel caso in cui si voglia pignorare oltre all'immobile anche l'arredo, o si effettuano due pignoramenti separati l'uno nelle forme dell’espropriazione immobiliare e l'altro nelle forme dell’espropriazione mobiliare, dando vita a due distinte espropriazioni separate; oppure si ricorre alla forma dell'espropriazione congiunta. Espropriazione di mobili insieme con immobili: il creditore può pignorare insieme coll’immobile anche i mobili che lo arredano, quando appare opportuno che l’espropriazione avvenga unitariamente, in tal caso l’ufficiale giudiziario forma atti separati per l’immobile e per i mobili, ma li deposita insieme nella cancelleria del tribunale. Quest'ultima strada può seguirsi quando è «opportuno» che l'espropriazione avvenga unitamente (per l'immobile e per i mobili) al fine di consentire attraverso la vendita unitaria un ricavato superiore a quello che offrirebbero le vendite isolate dei mobili e dell'immobile. I due pignoramenti sono distinti ma all'atto del deposito congiunto danno vita ad un unico procedimento espropriativo che si svolge nelle forme dell'espropriazione immobiliare: unica sarà l'istanza di vendita, unica sarà la vendita, unica la distribuzione del ricavato. Occorre che il vincolo di connessione, sia evidenziato in entrambi gli atti, la riunione può essere solo originaria. Non può avvenire in un momento successivo, allorché per esempio ci si accorga solo in seguito che la vendita unitaria del complesso sarebbe più conveniente. PIGNORAMENTO SUCCESSIVO: conferma che il pignoramento immobiliare si considera completo solo con la trascrizione. È infatti con riferimento a quest'ultimo che si stabilisce l'anteriorità di un pignoramento rispetto ad un altro, giacché il conservatore all'atto della trascrizione annota a margine della nota che restituisce, l'esistenza di un eventuale pignoramento risultante dai pubblici registri e cioè precedentemente trascritto. La disciplina è nella sostanza analoga a quella del pignoramento mobiliare: se il pignoramento successivo è tempestivo, cioè è compiuto prima della «prima udienza» di autorizzazione alla vendita, in tal caso il secondo pignoramento è inserito nel fascicolo del primo e l'esecuzione si svolge in un unico processo (anche se il secondo pignoramento colpisce anche un altro immobile oltre a quello già pignorato). Il pignoramento successivo, se è compiuto dopo l’udienza ha gli effetti di un intervento tardivo rispetto ai beni colpiti dal primo pignoramento. Essendo il pignoramento tardivo equiparato ad un intervento tardivo (e quindi ad un «intervento»), l'esecuzione deve essere unica anche in questo caso (salvo l'eventuale postergazione del creditore secondo pignorante in sede di reparto). Se il secondo pignoramento ha ad oggetto anche beni diversi, per tali diversi beni si avrà un procedimento autonomo (che invece non si avrebbe nel caso in cui il secondo pignoramento fosse stato tempestivo). INTERVENTO DEI CREDITORI: non vi sono particolari deroghe nell'espropriazione immobiliare rispetto ai principi generali, per ciò che riguarda l'intervento dei creditori: a) la tempestività e la tardività dell'intervento si commisurano con riferimento alla «prima udienza» fissata per l'autorizzazione alla vendita. b) solo i creditori tempestivi possono partecipare all'espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provocarne i singoli atti. Per ciò che riguarda la partecipazione all'espropriazione, c'è una deroga per i creditori iscritti, i quali vanno avvertiti non solo dell'udienza di autorizzazione alla vendita, per metterli in condizione di intervenire tempestivamente, ma anche se non intervenuti e quindi divenuti tardivi vanno ugualmente avvertiti del contenuto dell'ordinanza di vendita e la legge prescrive altresì che vadano sentiti ancorché «non intervenuti» all'udienza di deliberazione sulle offerte nella vendita senza incanto. c) non cambia il sistema di collocazione, in quanto i creditori privilegiati sono soddisfatti prioritariamente rispetto ai chirografari sui beni su cui grava il loro diritto di prelazione, anche se tardivi, purché ovviamente non intervengano oltre l'udienza fissata per l'approvazione del progetto di distribuzione. Vengono poi nell'ordine soddisfatti proporzionalmente il creditore pignorante e i chirografari tempestivi. Sulla eventuale somma che «sopravanza» anche dopo la liquidazione di costoro, concorrono i creditori tardivi purché anche questi ultimi non siano intervenuti oltre l'udienza di vendita o assegnazione. VENDITA E ASSEGNAZIONE: fase della vendita e dell'assegnazione si apre con l’istanza di vendita (non è ammessa in prima battuta l'assegnazione), che può essere proposta dal creditore pignorante o 26 da un qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo, trascorsi 10 giorni dal pignoramento. istanza di vendita: il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro 120 giorni ad allegare l’estratto del catasto, nonché i certificati storivi delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei 20 anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificatom notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Il termine suddetto può essere prorogato dal giudice di ulteriori 120 gg., su istanza dei creditori o dell'esecutato, se concorrono giusti motivi. E previsto poi che il giudice, ove ritenga la documentazione incompleta, possa concedere al creditore un ulteriore termine di 120 gg. per completarla. La somma dei termini equivale ad un anno, la sanzione per l'inosservanza dei termini di cui sopra è l'inefficacia del pignoramento relativo al bene per il quale non è stata depositata la documentazione, inefficacia che il giudice deve dichiarare anche d'ufficio con ordinanza, con la quale dispone anche la cancellazione del pignoramento e, se non vi sono altri beni pignorati, anche l'estinzione del processo esecutivo. determinazione del valore dell’immobile: agli effetti dell’espropriazione il valore dell’immobile viene determinato da un esperto nominato dal giudice entro 30 giorni dal completo deposito della documentazione prevista, fissando altresì la data per la successiva prima udienza di vendita. La relazione dell'esperto va inviata almeno 45 gg. prima dell'udienza fissata per la vendita ai creditori e al debitore, i quali possono depositare all'udienza fissata per la vendita eventuali note, purché le abbiano comunicate all'esperto almeno 15 gg. prima, sulle quali quest'ultimo è obbligato all'udienza a fornire i necessari chiarimenti. determinato il valore del bene, segue l'udienza per l'autorizzazione alla vendita: tale udienza è designata come prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita (proprio perché la vendita può anche non seguire) ed è con riferimento ad essa che viene stabilita la tempestività e la tardività degli interventi. In tale udienza, che si svolge nel contraddittorio delle parti, le parti possono fare osservazioni sul tempo e sulle modalità della vendita e debbono proporre (anche qui come nell'espropriazione mobiliare) a pena di decadenza le eventuali opposizioni ancora proponibili. Dopodiché, decise con sentenza le eventuali opposizioni, se vi sono, il giudice dispone con ordinanza la vendita, che in prima battuta è quella senza incanto. Dell'ordinanza di vendita è data notizia a cura del creditore che ha chiesto la vendita ai creditori non intervenuti ed è data la pubblicità prevista. TIPI DI VENDITA IMMOBILIARE vendita senza incanto: riforma del 2005 ha eliminato il potere discrezionale del giudice di scegliere fra la vendita all'incanto e quella senza incanto, stabilendo l'obbligatorietà della seconda (in prima battuta, non è consentito qui chiedere l'assegnazione). Si svolge attraverso la presentazione di offerte di acquisto in cancelleria che vanno depositate nel termine fissato nell'ordinanza di vendita, accompagnate dal versamento della cauzione che non deve essere inferiore al 1/10 del prezzo proposto dall'offerente. Le offerte (che possono essere presentate da chiunque, tranne che dal debitore), sono formulate dalla parte personalmente o a mezzo di un procuratore legale (che però deve avere una procura di diritto sostanziale e non semplicemente quella ad litem prevista dall'art. 83 e che può presentare l'offerta tanto per il rappresentato, quanto per persona da nominare). Esse vanno depositate in busta chiusa in cancelleria. Le offerte non sono efficaci: a) se fatte fuori termine; b) se sono inferiori al prezzo stabilito dal giudice; d) se non sono accompagnate dalla cauzione nella misura prevista dalla legge. Le offerte sono irrevocabili. La scelta dell'offerta che determina l'aggiudicazione del bene avviene in un'udienza successiva a quella di autorizzazione alla vendita, che si tiene nel contraddittorio delle parti e della quale vanno nuovamente notiziati i creditori che non siano intervenuti. a) se l'offerta è superiore al valore dell'immobile determinato dal giudice (cioè, in pratica, al prezzo di vendita), aumentato di un quinto, allora va senz'altro accolta. b) se l'offerta è inferiore, è sufficiente il dissenso del creditore procedente o la convinzione del 27 dal giudice ed eventuali contestazioni in proposito, sono risolte dal giudice con ordinanza. E ammesso che durante il suo svolgimento ogni creditore possa chiedere al giudice di procedere ad un nuovo incanto o all'assegnazione. Non quindi alla vendita senza incanto, che peraltro può essere provocata direttamente da chiunque, mediante presentazione di offerte di acquisto. L’amministrazione cessa, e deve essere ordinato un nuovo incanto, quando viene a scadere il termine previsto, tranne che il giudice, su richiesta di tutte le parti, non ritenga di poter concedere una o più proroghe che non prolunghino complessivamente l’amministrazione oltre i tre anni. DELEGA DELLE OPERAZIONI DI VENDITA: possibilità di concedere la delega alle operazioni di vendita oltre che ai notai anche agli avvocati e ai dottori commercialisti. Dal punto di vista oggettivo, anche qui come nell'espropriazione mobiliare, la delega non riguarda più solo le operazioni della vendita con incanto, ma anche di quella senza incanto. Alla «prima» udienza di vendita, affidato l'incarico all'esperto per la determinazione del valore del bene il giudice dell'esecuzione se decide di disporre la delega, la dispone con ordinanza con la quale provvede sull'istanza di vendita.. Tale ordinanza avrà però un contenuto più ristretto rispetto la normale ordinanza di vendita, giacché si limiterà di disporre la vendita senza incanto, individuando il professionista delegato e precisando che le offerte non vanno depositate in cancelleria, ma in altro luogo espressamente indicato (che presumibilmente sarà lo studio del professionista). L'ordinanza stabilirà anche la durata della delega. Tutte le altre prescrizioni previste (determinazione del valore del bene, modalità con cui deve essere prestata la cauzione, data in cui avrà luogo la delibera delle offerte, ecc.) saranno disposte successivamente dal professionista delegato. Incombenze che possono essere svolte dal professionista delegato o di fronte ad esso: determinazione del valore del bene; redazione dell'avviso di vendita con le relative indicazioni (valore del bene, modalità del deposito delle offerte, data in cui si provvederà a deliberare sulle stesse) e conferimento allo stesso della pubblicità, secondo le modalità fissate dal giudice; formulazione del progetto di distribuzione da trasmettere anch'esso al giudice dell'esecuzione ecc. Professionista delegato non può fare e per il che deve investire il giudice dell'esecuzione sono le seguenti attività: fissazione del primo incanto (può invece disporre autonomamente quelli successivi) disposizione dell'amministrazione giudiziaria. provvedimento di decadenza dell'aggiudicatario (can only fissare la data della rivendita forzata) disporre i provvedimenti nel caso di cessazione dell'amministrazione giudiziaria (nuovo incanto o assegnazione), emanazione del decreto di trasferimento (il professionista può solo predisporne la bozza). Ricorso al giudice dell’esecuzione Se nel corso delle operazioni delegate sorgono «difficoltà», il professionista può rivolgersi al giudice dell'esecuzione il quale provvede con decreto. Le parti possono proporre reclamo contro tale decreto allo stesso giudice che lo ha pronunziato. Identico reclamo possono proporre le parti allo stesso giudice contro gli atti del professionista. DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO: a differenza dell'espropriazione mobiliare nella quale la distribuzione della somma può aversi secondo un riparto concordato o secondo un riparto giudiziale, nell'espropriazione immobiliare il riparto (allorché i creditori siano più di uno) è sempre giudiziale Formazione del progetto di distribuzione Il giudice dell'esecuzione, entro 30 giorni dal versamento del prezzo forma un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria fissando anche l'udienza per l'audizione delle parti (la quale va comunicata a queste ultime almeno 10 giorni prima, per consentire loro di disporre di un tempo utile per consultare il progetto). Il progetto può essere formato anche dal professionista delegato, ma deve comunque essere sempre inviato al giudice per il controllo e per la fissazione dell'udienza. La mancata comparizione all'udienza senza giustificato motivo, comporta approvazione del progetto (approvazione da parte delle parti non comparse). All'udienza se il progetto è approvato o si raggiunge un accordo di modifica tra tutte le parti, se ne dà atto nel verbale ed il giudice ordina il 30 pagamento delle singole quote. Se invece v'è il dissenso di qualcuna di esse, il giudice dell'esecuzione provvede su tutte le contestazioni con ordinanza impugnabile. ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI Quando si pignora il bene indiviso procedendo solo contro uno o più comproprietari, ma non contro tutti. In sostanza con siffatto tipo di espropriazione si espropria la quota ideale di comproprietà sul bene degli esecutati. Il pignoramento si svolge secondo le normali regole previste a seconda della natura del bene. Ma colpendo solo la quota, esso presenta una prima particolarità: e cioè che se dal punto di vista giuridico esso non può che concernere esclusivamente la quota, dal punto di vista materiale il vincolo produce effetti che si estendono all'intero bene, giacché la custodia non può che riguardare il bene nella sua integralità. PIGNORAMENTO: possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore. In tal caso del pignoramento è notificato avviso, a cura del creditore pignorante, anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice. La funzione dell’avviso è solo quella di informare i comproprietari dell'avvenuto pignoramento, onde escluderne la buona fede nell'ipotesi che consentissero alla divisione stragiudiziale del bene, rendendoli così esposti ad un'azione di risarcimento danni. L’avviso ai comproprietari dei beni indivisi deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del bene pignorato, della data dell’atto di pignoramento e della trascrizione di esso. L’avviso è sottoscritto dal creditore pignorante. Con lo stesso avviso o con atto separato gli interessati debbono essere invitati a comparire davanti al giudice dell’esecuzione per sentire dare i provvedimenti indicati dall’art. 600. Il concetto di «interessati» a cui quest'ultima norma si riferisce è più ampio di quello di comproprietari, andando a ricomprendere tutti coloro che possono risentire effetti della procedura, come ad es. i creditori o gli aventi causa di un comproprietario, per cui l'invito a comparire va diretto anche ad essi. UDIENZA DI CUI ALL'ART. 600 C.P.C. ED I RELATIVI PROVVEDIMENTI: nell'espropriazione in oggetto non vi sarà un'udienza di vendita, ma l'udienza di convocazione di cui all'art. 600 che dovrà però essere richiesta dal creditore procedente (o da altro creditore munito di titolo esecutivo) negli stessi termini previsti per l'istanza di vendita (entro 90 giorni e trascorsi 10 giorni). All'udienza, l'espropriazione proseguirà secondo tre strade alternative. a) giudice può separare la quota spettante al debitore: i creditori potranno chiedere la separazione in natura della parte dei beni corrispondente alla quota assoggettata (questo provvedimento prevede la richiesta di parte, per cui se questa manca il giudice non può concederlo d'ufficio, ma deve passare a quelli di cui ai punti b) e c)). La separazione può avere luogo solo se è possibile, il che avviene esclusivamente nel caso dei beni fungibili (ad es. comproprietà di denaro, frutta, grano ecc) dei quali è agevole isolare materialmente eventuali parti. La separazione è disposta ed attuata direttamente dal giudice dell' esecuzione. b) giudice può chiedere la divisione del bene secondo le regole generali (nel qual caso l’espropriazione è sospesa fino a quando non si sia proceduto alla divisione): se la separazione in natura non viene richiesta o non appare possibile, il giudice dispone la divisione del bene, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa. La divisione non potrà essere attuata dal giudice dell'esecuzione, ma si svolgerà di fronte al giudice di pace o al tribunale, secondo le normali regole di competenza. Sulla parte materiale dei beni attribuita al condividente si concentrerà, il pignoramento. La vendita dovrebbe essere disposta automaticamente dal giudice dell'esecuzione. c) vendita della quota è l'alternativa più rara, perché è difficile che un terzo sia disposto a subentrare nella comproprietà del bene al posto dell'esecutato. Ad ogni modo ad essa può ricorrersi, solo quando il giudice dell'esecuzione ritenga probabile che la vendita possa farsi ad un prezzo almeno pari al valore della quota (per il che ci vorrà sempre la nomina di un esperto da parte del giudice). Venduta la quota, si può passare direttamente alla fase di distribuzione del denaro secondo le regole delle singole espropriazioni. ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO 31 L'espropriazione contro il terzo proprietario (che nulla ha a che vedere con l'espropriazione presso terzi, perché qui non si procede «presso» il terzo, ma «contro» il terzo) si attua in tre ipotesi distinte che vedono la scissione fra debito e responsabilità per cui viene assoggettato al processo esecutivo un soggetto diverso dal debitore (terzo ha una posizione processuale analoga a quella del debitore): a) quando il terzo è proprietario di un bene gravato da ipoteca (datore di ipoteca) o di cosa soggetta a pegno (datore di pegno). In questo caso il terzo garantisce il pagamento del debito di un altro soggetto. Nel caso di inadempimento del debitore gli effetti sono gli stessi, per cui anche qui il titolo esecutivo contro quest'ultimo può legittimare l'espropriazione prevista dall'art. 602, direttamente nei confronti del terzo datore. b) quando il terzo ha acquistato beni gravati da ipoteca o cose date in pegno. L'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare i beni su cui essa grava anche in confronto del terzo acquirente. Sulla base del titolo esecutivo contro il debitore, l'esecuzione potrà farsi direttamente nei confronti del terzo acquirente. c) quando l’alienazione del bene da parte del debitore è stata revocata per frode: avvenuto impiego con successo dell'azione revocatoria che abbia portato alla dichiarazione dell'inefficacia rispetto ai creditori dell'atto di vendita. Anche in tal caso sulla base del titolo esecutivo, costituito dalla sentenza di revoca, l'azione esecutiva può essere condotta direttamente nei confronti del terzo acquirente, senza bisogno di fare prima rientrare il bene nel patrimonio del debitore. Ottenuta la dichiarazione dell'inefficacia della cessione, il creditore può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive. PROCEDURA ESECUTIVA: l'esecutato non è il debitore bensì il terzo, il quale è il soggetto colpito dalla sanzione esecutiva. Il titolo esecutivo, contro l'originario debitore (non occorre procurarsene uno contro il terzo), per coinvolgere nell'esecuzione il terzo deve sempre avere carattere composito, dovendo essere accoppiato all'atto che consente di assoggettare alla responsabilità quest'ultimo: e cioè all'atto di costituzione del pegno o dell'ipoteca da parte del terzo (nel caso a ) , all'atto di cessione al terzo del bene gravato da ipoteca, (nel caso b ) , alla sentenza di revoca (nel caso c). poiché il terzo non risponde con tutti i suoi beni, ma solo con quelli oggetto della garanzia reale o la cui cessione è stata revocata, occorre che nel precetto siano indicati i beni del terzo che si intendono espropriare. il titolo esecutivo ed il precetto vanno notificati oltre cha al debitore, anche al terzo, giacché quest'ultimo è il soggetto contro il quale si compie l'espropriazione. Il pignoramento e in generale gli atti d'espropriazione si compiono nei confronti del terzo al quale si applicano tutte le disposizioni relative al debitore, tranne il divieto, per il quale il debitore non può fare offerte all'incanto, che non si applica al terzo. Ogni volta in cui secondo le norme generali dell'espropriazione deve essere sentito il debitore, è sentito anche il terzo (giacché è quest'ultimo ad essere l'esecutato). Debitore è comunque solo parte formale, giacché la parte sostanziale è solo il terzo. PARTICOLARITÀ IN TEMA DI INTERVENTO DEI CREDITORI: i creditori del debitore diversi dal creditore procedente non possono intervenire, in quanto il diritto di seguito connesso alla garanzia reale o la dichiarazione di inefficacia della cessione che si ha con l'azione revocatoria sono strumenti esclusivamente processuali, che giovano soltanto a chi li utilizza, cioè al creditore a favore del quale è stata costituita la garanzia reale o che ha esperito l'azione revocatoria. In sostanza, è solo a favore di questo creditore che opera l'inefficacia della vendita del bene gravato dal diritto di seguito, si tratta cioè di un'inefficacia «relativa» al solo creditore a favore del quale era stata costituita la garanzia o che ha esperito la revoca. Per tutti gli altri creditori del debitore il bene è come se fosse ancora nel patrimonio del terzo. Fanno ovviamente eccezione eventuali creditori del debitore che avessero anch'essi garanzie reali sul bene o che avessero anch'essi esperito l'azione revocatoria. possono intervenire i creditori del terzo e ciò in quanto l'esecuzione si compie nei confronti di costui. Tuttavia costoro dovranno in questo caso essere sempre postergati al creditore 32 esecuzione forzata degli obblighi di non fare Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo (dovrebbe parlarsi di esecuzione di obblighi di disfare il titolo esecutivo recherà la condanna al «disfare» ed è appunto essa che va eseguita). Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale. Per le obbligazioni di non fare occorre, in realtà, che sia stato fatto qualcosa in contrasto con l’obbligo, e che questo qualcosa sia passibile di distruzione. PROCEDURA è unica tanto nel caso di esecuzione di obblighi di fare che di non fare, giacché in entrambi i casi essa si sostanzia in un facere. La legge prevede che il titolo esecutivo debba essere costituito da una sentenza di condanna (o di un verbale di conciliazione), esclude la possibilità di impiego dei titoli esecutivi stragiudiziali. L'atto di precetto dovrà indicare l'obbligo che non è stato rispettato ed il conseguente fare o disfare che dovrà essere realizzato attraverso l'esecuzione. Provvedimento: la procedura ha inizio con la presentazione del ricorso al giudice, con cui la parte istante chiede che siano determinate le modalità dell’esecuzione. Il giudice provvede, con ordinanza, a determinare tempo e modalità della esecuzione (dovrà in stabilire, il quomodo dell'esecuzione, mentre l’an è già stato stabilito nel titolo esecutivo), sentita la parte obbligata. Tale previa audizione è sempre obbligatoria, anche nel caso in cui abilitato ad eseguire le opere sia lo stesso creditore. Per la determinazione della modalità di esecuzione, il giudice potrà servirsi di un consulente tecnico. Con la sua ordinanza il giudice designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione, nonché le persone che devono materialmente provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta. Chi effettua le operazioni materiali del fare e del disfare non può essere l'ufficiale giudiziario, essendo necessario l'intervento di persone esperte e organizzate. La sua presenza non serve pertanto a dirigere tali attività, ma a renderle «giurisdizionali» e cioè espressione del potere dello Stato che attua coattivamente la pretesa esecutiva. L’ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica se sorgono ostacoli da rimuovere nel corso dell'esecuzione e. l’opera da distuggere incide sulla proprietà di un terzo estraneo e deve chiedere al giudice dell’esecuzione le opportune disposizioni per eliminare le difficoltà che sorgono nel corso dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede con decreto. Rimborso delle spese: l'anticipazione delle spese per l'esecuzione delle opere (che possono essere anche elevate se l'opera è di particolare consistenza: ad es. demolizione di un edificio) è a carico della parte istante la quale le recupererà alla fine dell'esecuzione, presentando al giudice una nota delle stesse allegata ad un ricorso per ingiunzione (la nota deve essere vistata dall'ufficiale giudiziario giacché il giudice può non sapere se tutte le spese siano o meno attinenti all'esecuzione). Il giudice dell’esecuzione, quando riconosce giustificate le spese denunciate, provvede con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Esecuzione dei provvedimenti di consegna dei minori: l. 74 del 1987: all'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, l'esecuzione dell'obbligo di consegna dei minori deve attuarsi in via breve attraverso disposizioni date dal giudice del divorzio (o della separazione), sollecitato dal genitore che intende ottenere l'esecuzione dell'obbligo. Dopo l'emanazione della sentenza di separazione o di divorzio il giudice del merito ha esaurito ormai ogni funzione e più non esiste. Per cui, se il provvedimento è ormai divenuto definitivo, si ripiega, sulle forme del processo esecutivo, che dovrebbero essere quelle dell’ esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare se si segue l'interpretazione della Cassazione o dell'esecuzione per consegna o rilascio se si seguono gli ultimi sviluppi della dottrina. In ogni caso la tutela dell'avente diritto dovrebbe essere rinforzata, quantomeno nel divorzio, dalla misura coercitiva della l. div., che prevede la sanzione penale nel caso di inadempimento dell'obbligo di consegna del minore. Misure coercitive disposte dalla riforma del 2009, volte all'attuazione di un obbligo di fare infungibile o di non fare, in alternativa all'esecuzione forzata non si prevede che il debitore sia costretto con la forza ad adempiere l’obbligazione infungibile, ma consente al giudice,su richiesta di parte, di condannare chi si è reso inadempiente di obbligo di non fare o di fare infungibile il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva, oppure per ogni ritardo nell’esecuzione 35 del provvedimento. Introduce l'impiego di misure coercitive per la rapida attuazione di un fare infungibile o di un obbligo di non fare, prescindendo dall'esecuzione forzata. I problemi più gravi nascono comunque dal testo stesso della norma: che senso abbia una condanna ad un «fare infungibile» (ad es. il facere dell'artista), se il fare è infungibile, non pare avere alcun senso chiederne esecuzione, essendo ovvio che bisognerebbe optare per il risarcimento del danno. La norma pertanto sotto tale profilo praticamente non serve. anche ammesso che la suddetta misura possa adempiere allo scopo con riferimento al fare infungibile o agli obblighi di non fare, non si comprende a che cosa debba commisurarsi l'eventuale «violazione o inosservanza» successiva o il «ritardo» nell'esecuzione del provvedimento, non essendovi in proposito alcun riferimento cronologico (giorni, mesi) al quale ricollegare l'inadempienza. disposizione in ogni caso non lascia alcun margine discrezionale al giudice di decidere se applicare o meno la sanzione, ma gli impone l'obbligo di farlo («... il giudice ...fissa»), salvo che ciò sia «manifestamente iniquo». Quale siano i criteri che consentano di determinare quando si sia di fronte alla «manifesta iniquità», non è però dato sapere Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. > molti vaghi parametri, tutti quanti concorrenti e di difficile specificazione. ammesso che la misura possa servire a qualche scopo, si deve rilevare che essa non è applicabile ai rapporti di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione «coordinata e continuativa» OPPOSIZIONI AL PROCESSO ESECUTIVO L’opposizione è il rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui questi si duole di aver subito la lesione di un suo diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritiene ingiusto. L’opposizione, una volta proposta, dà luogo ad un accertamento e quindi ad un ordinario processo di cognizione, che si inerisce nell’ambito di un processo di esecuzione.Esso è autonomo rispetto al processo esecutivo in cui si inserisce, in quanto esige un autonomo atto introduttivo del giudizio, e si svolge in modo autonomo rispetto a questo. Sono i mezzi di difesa che il legislatore appronta per l'ipotesi dell'esecuzione ingiusta o irregolare, cioè gli strumenti attraverso i quali si esplica nel processo esecutivo il dettato dell'art. 24 Cost (difesa ex post dopo il compimento dell'atto esecutivo, attraverso veri e propri procedimenti di cognizione che se pure inerenti al processo esecutivo, si svolgono al di fuori di esso approdando ad una sentenza che stabilirà le sorti di quest'ultimo). Opposizioni al processo esecutivo si distinguono in opposizioni proponibili dall’esecutato (debitore o terzo assoggettato all’esecuzione): opposizione all'esecuzione e opposizioni agli atti esecutivi opposizioni di terzo, estranei all’esecuzione, ma che vantano diritti sui beni esecutati Riforma del 2006 ha innovato stabilendo tre nuovi principi: a) le opposizioni, di cui sopra, danno sempre vita a procedimenti autonomi e distinti da quello esecutivo; b) i giudizi sulle tre opposizioni si svolgono secondo il rito camerale c) la decisione in tutte tre le ipotesi è effettuata con sentenza non impugnabile: cioè non appellabile, ma sempre ricorribile ex art. 111 Cost. Opposizioni atipiche: nonostante che la legge attribuisca la legittimazione a proporre le opposizioni esclusivamente al debitore ed ai terzi ingiustamente assoggettati all'esecuzione, la giurisprudenza e la dottrina attribuiscono eccezionalmente il diritto di opporsi anche ad altri soggetti che ne abbiano interesse (ad es. gli «interessati»). OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE (detta anche opposizione di merito) serve a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Con essa si deduce l’ingiustizia dell'esecuzione e cioè l'insussistenza della pretesa esecutiva. L'oggetto dell'opposizione è dunque solo il diritto che sorge dal titolo esecutivo e quindi solo l'azione esecutiva. L'azione esecutiva è insussistente quando mancano i due presupposti previsti dall'art. 474, e cioè il «diritto certo, liquido ed esigibile» e il «titolo esecutivo». Le contestazioni possono riguardare: 36 a) titolo esecutivo: inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo esecutivo: opposizione è data quando l'esecuzione è iniziata senza che sussistesse alcuno dei provvedimenti o degli atti previsti dall'art. 474. Salvi i casi eccezionali, deve trattarsi della mancanza materiale del titolo, non di una sola eventuale invalidità. Eccezione: nullità della sentenza per mancata sottoscrizione del giudice, che può essere sempre rilevata in ogni tempo, anche al di fuori dei mezzi di gravame, consentito che esso possa essere rilevato anche con l'opposizione. Al di fuori di tale ipotesi, la possibilità di impiego dell'opposizione è legata alla mancanza del titolo esecutivo (es. caso in cui volesse procedersi ad esecuzione forzata sulla base di una sentenza di accertamento o costitutiva, che non costituisce titolo esecutivo). inidoneità del titolo esecutivo a fondare quel tipo di esecuzione (mancanza oggettiva): quando si impieghi uno dei titoli previsti dall'art. 474 per un tipo di esecuzione per la quale esso non è abilitato (es. qualora si volesse procedere all'esecuzione di obblighi di fare o di non fare sulla base di un atto notarile). inidoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione ad opera di quel soggetto o contro quel soggetto (mancanza soggettiva): caso dell'esecuzione sulla base del solo dispositivo della sentenza di condanna nel processo di lavoro, che è consentita al solo lavoratore (per cui, se il datore di lavoro intendesse utilizzare il dispositivo per l'esecuzione forzata con riferimento ad un capo della sentenza a lui favorevole, andrebbe sicuramente incontro all'opposizione). In tutti i casi siamo in presenza di una mancanza originaria del titolo esecutivo, tale mancanza può anche essere sopravvenuta, come nel caso in cui l'esecutività della sentenza di primo grado sia stata sospesa. b) presenza di un diritto certo, liquido ed esigibile: con l'opposizione all'esecuzione si potrà contestare l'inesistenza del diritto sopravvenuta alla formazione del titolo esecutivo (debitore che paghi il debito dopo sentenza e si fosse ugualmente proceduto contro di lui), la mancanza di liquidità esigibilità o certezza. c) per i titoli stragiudiziali, soprattutto per quelli cambiari: può parlarsi di inesistenza originaria o successiva del titolo esecutivo, il carattere di titolo esecutivo di tali titoli cartolari, viene meno dopo lo spirare del termine di prescrizione. d) attraverso l'opposizione all'esecuzione, si può dedurre anche l'impignorabilità dei beni: nel caso di un'esecuzione che cada sui beni impignorabili, si può effettivamente parlare di mancanza dell'azione esecutiva sui beni colpiti. Competenza a decidere sull'opposizione spetta al giudice competente per materia o valore e per territorio: verticale: nel caso di espropriazione forzata, la competenza potrà spettare al giudice di pace o al tribunale a seconda del valore del credito per cui si è proceduto ad espropriazione; se si tratta invece di opposizione all'esecuzione in forma specifica, la causa dovrà considerarsi di valore indeterminabile per cui l'opposizione andrà sempre proposta di fronteal tribunale. orizzontale: è territorialmente competente il giudice del luogo dell'esecuzione (del luogo cioè in cui si effettua l'esecuzione). Tale competenza ha però per presupposto che nell'atto di precetto il creditore istante abbia eletto domicilio nel luogo in cui intende promuovere l'esecuzione. Se manca l'elezione di domicilio, l'opposizione «a precetto» (e solo questa) si propone di fronte al giudice del luogo in cui tale atto è stato notificato. L’opposizione si può proporre prima dell’esecuzione o durante: prima dell’inizio dell'esecuzione e cioè nell’ipotesi di opposizione al precetto, l’atto introduttivo del giudizio sarà costituito da un atto di citazione se l'esecuzione è iniziata (e cioè si è avuto il pignoramento o è stato posto in essere l'atto introduttivo delle esecuzioni) o se si tratta di esecuzione con cui si contesta la pignorabilità 37 di cui agli artt. 414 ss. (cioè il ricorso del punto a) visto sopra) da proporre al tribunale del luogo dell'esecuzione, che nel nostro caso sarà quello della sezione lavoro. b) se l'esecuzione è iniziata, l'opposizione si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione, che anche qui disporrà la comparizione delle parti e all'udienza darà i provvedimenti opportuni, ivi compreso quello dell'instaurazione del giudizio di opposizione in un termine perentorio. Tale giudizio sarà introdotto nelle forme dell'art. 414 e si svolgerà anche qui di fronte alla sezione lavoro del tribunale. L'art. 618bis, secondo comma, adotta anche per l'opposizione agli atti esecutivi posta in essere dopo l'inizio dell'esecuzione la stessa soluzione dell'opposizione all'esecuzione, statuendo che in entrambi i casi, la competenza del giudice dell'esecuzione resta ferma «nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza», cioè solo per la fase preliminare. Per cui in materia di lavoro e previdenza sembrerebbe aversi una deroga alla regola generale, nel senso che anche le opposizioni agli atti esecutivi sono decise sempre dalla sezione lavoro. In questa materia il giudizio conseguente a dette opposizioni (all'esecuzione e agli atti esecutivi), appartiene sempre alla competenza del giudice del lavoro. Le norme sulle controversie di lavoro verranno impiegate OPPOSIZIONE DI TERZO quelle opposizioni che possono essere proposte dal terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati (es. diritto reale di godimento su cosa altrui) al fine di sottrarre il proprio diritto all'esecuzione. Tale tipo di tutela è stato inserito nel nostro sistema processuale in conseguenza del fatto che il pignoramento non sempre può colpire i beni del debitore, ma in certi casi può fortuitamente coinvolgere anche beni del terzo (es. nell'espropriazione mobiliare, nella quale l'ufficiale giudiziario recatosi nella residenza effettua il pignoramento sulla base del semplice requisito esteriore dell'appartenenza del bene all'esecutato, a meno che costui non fornisca una prova inequivoca che il bene è di proprietà del terzo, ad es. una scrittura privata con data certa, che dimostri che il bene è del terzo). L'ufficiale giudiziario non può esimersi dal pignorare i beni che trova, potendo quindi coinvolgere anche beni che appartengano a potenziali terzi.L'opposizione di terzo è possibile solo da chi rivendichi sui beni la proprietà o altro diritto reale: nel caso in cui venga rivendicata la proprietà, il terzo intenderà sottrarre integralmente il bene all'esecuzione; nel caso di diritto reale parziario (come ad es. l'usufrutto), il terzo, accertata l'esistenza del suo diritto, otterrà che il processo esecutivo prosegua solo sulla nuda proprietà, salvaguardando il proprio diritto di usufrutto che continuerà a sussistere. Escluso è che con l'opposizione di terzo possano essere tutelati rapporti obbligatori, come ad es. la locazione Competenza territoriale spetta sempre al giudice del luogo dell'esecuzione; quella per valore è determinata con riferimento al valore dei beni controversi, per cui può spettare anche al giudice di pace.In sostanza a differenza dell'opposizione ex art. 615, che prevede uno spostamento della competenza tanto orizzontale che verticale e dell'opposizione ex art. 617, che prevede uno spostamento della competenza solo orizzontale (spettando quest'ultima sempre al tribunale), l'opposizione di terzo ha solo una competenza verticale, che può spettare al giudice di pace o al tribunale (a seconda del valore dei beni contestati) del luogo in cui è stata incardinata l'esecuzione. L’opposizione si introduce con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione, il quale convoca le parti davanti a sé, disponendo la notifica del ricorso e del decreto alla controparte. se all’udienza le parti raggiungono un accordo (definizione consensuale della vertenza) il processo si chiude con un ordinanza emanata dal giudice dell'esecuzione, con la quale saranno dati anche i consequenziali provvedimenti, che potranno essere inerenti alla prosecuzione del processo esecutivo se questo era stato sospeso (nel caso ad es. in cui le parti abbiano riconosciuto che il bene era stato giustamente assoggettato ad esecuzione) o ad estinguere il processo (nel caso opposto, in cui il bene risulti effettivamente essere del terzo). se l'accordo non viene raggiunto, occorrerà decidere la questione con sentenza, ma ciò non potrà essere fatto dal giudice dell'esecuzione, bensì dal giudice competente per valore. A tal uopo il giudice dell'esecuzione dovrà disporre la riassunzione della causa di fronte al giudice di pace 40 oppure, se la competenza spettava al tribunale adito, dovrà disporre un termine perentorio entro il quale il terzo dovrà iniziare il giudizio di fronte al tribunale con atto di citazione. Qualora l’opposizione venga accolta, deve distinguersi il caso se si conclude prima della vendita o assegnazione, il terzo potrà recuperare il bene se l’opposizione si conclude dopo vendita, vi è un limite per le cose mobili, poichè il diritto dell’acquirente è intangibile: non esiste garanzia per evizione. Il terzo opponente vincitore potrà rifarsi sulla somma ricavata dell’esecuzione, purchè non sia stata già distribuita tra i creditori. Limiti della prova testimoniale: il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore; per tali tipi di beni, la prova della proprietà o del diritto reale del terzo non può essere data per testimoni, può essere pertanto solo scritta, fornita con atto pubblico o con scrittura privata. Tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore: se esproprio C, e nella sua abitazione rinvengo stoffe, sarà verosimile appartengano al marito, se fa il sarto. Quindi può, il marito, provare con testimoni che le stoffe sono sue. OPPOSIZIONE DI TERZO NELL'ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA: l'opposizione di terzo di cui all'art. 619 è prevista essenzialmente per l'espropriazione forzata, non riguarda pertanto l'esecuzione in forma specifica. Per tentare di risolvere il problema occorre vedere quale tipo di pregiudizio può ricevere il terzo dal processo esecutivo. Nel caso di diritti incompatibili con quello tutelato nell'esecuzione > bisogna verificare se tali diritti incompatibili siano: dipendenti dalla posizione dell'esecutato: es. il diritto del subconduttore rispetto l'esecuzione dello sfratto nei confronti del conduttore: il titolo esecutivo di rilascio vale anche nei confronti del terzo, che qui soggiace dell'efficacia riflessa del giudicato. Ne consegue che il terzo non ha tutela rispetto l'esecuzione, salva la possibilità dell'opposizione contro la sentenza, dimostrando però la collusione fra l'attore e il convenuto. Se l'opposizione è accolta, di riflesso cadrà anche l'esecuzione. autonomi rispetto la posizione dell'esecutato: es. Tizio che ha agito con successo in rivendica contro Caio, esegue la consegna o il rilascio della cosa nei confronti di costui, ma questa risulta di proprietà di Sempronio. E’ fondamentale una distinzione volta a verificare se il pregiudizio al terzo deriva dall’esecuzione o dalla sentenza. Allorché l'ufficiale giudiziario trova nell'immobile un terzo che lo possiede in virtù di un titolo validamente opponibile all'esecuzione, dovrebbe astenersi dal procedere. Se procede, l'esecuzione è illegittima in quanto diretta contro un soggetto non menzionato nel titolo esecutivo. In questo caso al terzo spetta l'opposizione ex art. 615, giacché l'esecutante era privo di azione esecutiva nei suoi confronti. Ciò vale ovviamente anche nell'ipotesi che il titolo esecutivo sia di natura stragiudiziale (ad es. atto pubblico). Può avvenire che il pregiudizio al terzo possa derivare direttamente dalla sentenza. Ciò si verifica ad esempio nel caso in cui la sentenza abbia disposto l'esecuzione di opere che incidano sulla proprietà di un terzo. Di conseguenza è la sentenza che va rimossa, utilizzando l'opposizione di cui all'art. 404 (la quale consente, anche la sospensione dell'esecuzione). Vi può essere l’ipotesi in cui la posizione del terzo incisa dall'esecuzione, è solo una posizione di mero fatta posta in essere molto spesso di comune accordo con l'esecutato, per aggirare il risultato dell'esecuzione: es. l'ufficiale giudiziario si reca a casa di Caio per ottenere la cosa, la quale è invece detenuta da Sempronio senza alcun titolo. Qui l'ufficiale giudiziario può procedere direttamente all'apprensione della cosa. Il titolo di rilascio avrebbe efficacia erga omnes, valendo nei confronti di ogni detentore, ancorché non menzionato nel titolo stesso: può valere nel caso del possessore senza titolo o del terzo soggetto all'efficacia riflessa del giudicato; ma non può certo valere nei confronti del terzo titolare di un diritto incompatibile a carattere autonomo, giacché non avrebbe senso dire in questi casi che il titolo di rilascio vale anche contro i terzi, quando poi questi possono farlo cadere ai sensi dell'art. 615 o 404 SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO Accanto alle tre tradizionali ipotesi previste dall'art. 623 della sospensione «disposta dalla legge», o 41 dal giudice davanti al quale «è impugnato il titolo esecutivo» o dal «giudice dell'esecuzione» va aggiunta la facoltà di sospensione attribuita anche al giudice dell’opposizione a precetto nel caso dell'art. 615, nonché quella di sospendere il processo esecutivo anche nel caso dell'opposizione agli atti esecutivi nel caso dell'art. 617. Possibilità di sospensione nel nuovo sistema: 1) sospensione disposta dal giudice di fronte al quale «è impugnato il titolo esecutivo» è la sospensione disposta dal giudice dell'impugnazione della sentenza nei casi degli artt. 283: il giudice dell’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. Concerne tanto l’efficacia esecutiva quanto l’esecuzione della sentenza. Non si tratta dunque propriamente di una sospensione del processo esecutivo, ma di una sospensione degli effetti del provvedimento del giudice della cognizione, dalla quale le conseguenze sul processo esecutivo arrivano solo in via riflessa. La sospensione dell'efficacia esecutiva viene disposta a processo esecutivo non ancora iniziato e priva la sentenza del carattere di titolo esecutivo. Per cui l'esecuzione non può porsi in essere e se posta in essere, l'esecutato ha diritto di proporre l'opposizione di cui all'art. 615 per mancanza dell'azione esecutiva, con conseguente possibilità di fare cadere integralmente l'esecuzione. La sospensione dell'esecuzione della sentenza viene invece disposta dopo l'inizio dell'esecuzione e non può determinare la caducazione dell’'esecuzione, giacché questa è stata legittimamente iniziata quando la parte aveva il titolo esecutivo. Ne consegue che può aversi solo l'arresto dell'esecuzione e non possono compiersi atti ulteriori. Restano però in piedi gli atti esecutivi già posti in essere. L'effetto non è dunque tanto quello di sospendere l'esecuzione, ma di determinarne una sorta di improcedibilità, che verrà automaticamente meno allorché l'impugnazione sia stata respinta senza bisogno di porre in essere la riassunzione. In sostanza l'esecuzione si blocca al punto in cui è arrivata e viene automaticamente rimessa in moto dal giudice d'ufficio, allorché l'impugnazione è respinta. 373: il ricorso in cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza, tuttavia, il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione. 401 e 407: il giudice della revocazione o dell’opposizione può pronunciare, su istanza di parte, con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione. 2) sospensione «disposta dalla legge»: ipotesi in cui il processo esecutivo si sospende ex lege: accertamento dell'obbligo del terzo effettuato ai sensi dell'art. 548, che determina l'automatica sospensione del processo esecutivo, il quale va «proseguito» nel termine perentorio fissato nella sentenza che definisce il giudizio. art. 601 prevede la sospensione automatica del processo esecutivo nell'espropriazione di beni indivisi, allorché il giudice dell'esecuzione abbia stabilito di dare corso alla divisione. In tal caso il processo esecutivo deve essere riassunto entro 6 mesi decorrenti dall'accordo delle parti sulla divisione o, in mancanza di accordo, dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello. art. 512 sospensione che può essere disposta dal giudice dell'esecuzione nel caso di controversie che sorgono in sede di distribuzione del ricavato. Trattasi di una sospensione sottoposta alla discrezionalità del giudice, ma ciò non toglie che essa sia pur sempre prevista in modo espresso dalla legge. 3) sospensione disposta dal giudice dell'esecuzione a) ipotesi dell'opposizione all'esecuzione e all'opposizione di terzo di cui agli artt. 615 e 619: Se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli artt. 615 e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi ictu oculi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. 42 perentorio stabilito dalla legge o dal giudice. L’estinzione opera di diritto, ma mentre prima, per essere efficace, doveva essere eccepita dalla parte interessata primo di ogni altra difesa, nei giudizi instaurati successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della l. 69/2009, essa è dichiarata anche d’ufficio con ordinanza del giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della causa che l’ha determinata (quindi l’inattività delle parti); se è pronunciata fuori udienza, l’ordinanza è comunicata dal cancelliere. L'estinzione va dichiarata dal giudice con ordinanza, che ha effetto retroattivo. L'ordinanza che decide sull'estinzione (sia positiva, che negativa), può essere impugnata dai creditori o dal debitore nel termine di 20 giorni dall'udienza in cui è emanata o dalla sua comunicazione, con reclamo al collegio, che provvede con sentenza, che può essere appellata. d) per mancata comparizione all’udienza: se nel corso del processo esecutivo nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice dell’esecuzione fissa una udienza successiva. Se nessuna delle parti si presenta alla nuova udienza, il giudice dichiara con ordinanza l’estinzione del processo esecutivo (ipotesi della duplice deserzione dall'udienza esecutiva di tutte le parti). A differenza che nel processo di cognizione se la seconda udienza deserta > estinzione automatica e) per l’esecuzione per consegna e rilascio: estinzione per rinuncia, purché fatta «prima della consegna o del rilascio», con atto notificato all'esecutato e da consegnarsi all'ufficiale giudiziario. Non è contemplata l'estinzione per inattività di parti, che è inconcepibile in questo tipo di esecuzione dato che essa una volta posto in essere si svolge integralmente per impulso d'ufficio. Nulla dice la legge per l'esecuzione di obblighi di fare e di non fare, ma riteniamo che si possa applicare per analogia la stessa normativa, con la conseguenza che potrà aversi anche qui una rinuncia unilaterale del procedente. Anche per tale tipo di esecuzione non è prospettabile un'estinzione dell'esecuzione per inattività di parti. EFFETTI DELL'ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO L'ordinanza di estinzione dispone sempre la cancellazione del pignoramento e pronuncia (ma solo nel caso di richiesta) sulle spese sostenute dalle parti (che pertanto non restano a carico di chi le ha anticipate), mentre provvede sempre d'ufficio alla liquidazione delle spese sostenute dal professionista delegato. se l'estinzione avviene prima della vendita o dell'assegnazione, essa travolge tutti gli atti del processo esecutivo (rende inefficaci gli atti compiuti), ivi compresa, anche l'efficacia del precetto. L'esecuzione può essere ripresa ex novo, (giacché l'estinzione del processo non estingue l'azione) ma dovrà quindi essere rinnovato anche il precetto. se l'estinzione avviene dopo la vendita o l'assegnazione, gli atti esecutivi effettuati mantengono efficacia e soprattutto mantengono efficacia la vendita e l'assegnazione stesse. Sono impediti solo gli atti futuri per cui il ricavato della vendita viene consegnato al debitore. Nell'espropriazione contro il terzo proprietario, il ricavato andrà consegnato al terzo. PROCEDIMENTI SPECIALI Procedimento che presenta una struttura diversa da quella dell'ordinario processo di cognizione. Possiamo distinguerli in: 1) Procedimenti alternativi alla tutela ordinaria (procedimento sommario, quello ingiuntivo e quello per convalida di sfratto) 2) Procedimenti integrativi (cautelari e quelli possessori) 3) Procedimenti sostitutivi (singole materie specifiche) 4) Procedimenti amministrati da privati (arbitrato) PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE introdotto dalla riforma del 2009 [cognizione superficiale che a certe particolari condizioni può diventare pieno] Impiegabile per le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica che non presentino particolare complessità. 45 Fasi: introduttiva del giudizio della trattazione e istruttoria dell’appello Caratteristiche: sommarietà: il giudice decide in base a una istruzione sommaria, ma nel rispetto del contraddittorio; forma della domanda: il giudizio non si introduce con ricorso, per assicurare un più rapido svolgimento della procedura; decisione: in primo grado è presa con ordinanza e non con sentenza; appello: si pone come una continuazione eventuale del giudizio, più che un riesame del grado di giudizio precedente. Lo schema è un ibrido fra il processo del lavoro (al quale lo assimila la parte introduttiva, inizia con ricorso) e quello cautelare (al quale il rito assomiglia nel suo svolgimento). Trattasi di un rito alternativo, per cui la parte può sempre optare per il procedimento ordinario di cui all'art. 163 c.p.c., anche di fronte al tribunale in composizione monocratica. FASE INTRODUTTIVA DEL GIUDIZIO Forma della domanda e costituzione delle parti: la domanda si propone con ricorso, che deve contenere tutti gli elementi della citazione ex. art. 163, esclusa la fissazione della data dell’udienza, ma con l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di 10 giorni prima dell’udienza, con l'avvertimento delle decadenze conseguenti all'eventuale costituzione tardiva, che sono le stesse del rito ordinario (decadenza dalle domande riconvenzionali, dalle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e dalla possibilità di effettuare la chiamata in causa di eventuali terzi). A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta al presidente del tribunale, il quale designa il giudice che si occuperà del procedimento (stesso procedimento del rito del lavoro, differenza: l'onere di indicare le prove nel ricorso, non è imposto a pena di decadenza né per l’attore né per in convenuto). Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Costituzione convenuto: il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta (depositata in cancelleria almeno 10 giorni prima della data dell’udienza), nella quale (similmente a quanto disposto dall'art. 167) deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo (diversamente dal rito ordinario e da quello del lavoro, nel nuovo procedimento c'è il rischio della decadenza dalla chiamata, non solo ove non preannunziata nella comparsa di risposta depositata nei termini, ma anche ove la chiamata non venga effettuata nel termine assegnato dal giudice). La chiamata si fa con citazione ed è appunto alla notifica della citazione che si deve avere riguardo per il rispetto del termine fissato dal giudice, l'unico obbligo per il ricorrente è quello di notificare l'atto di chiamata in causa nel termine fissato dal giudice. Il terzo dovrà costituirsi negli stessi modi e termini del convenuto (con comparsa di risposta). FASE DELLA TRATTAZIONE E DELLA ISTRUTTORIA fase preliminare: il giudice se ritiene di essere incompetente lo dichiara con ordinanza; se rileva che la domanda principale e/o la riconvenzionale non rientrano fra quelle la cui 46 trattazione spetta al tribunale in composizione monocratica, con ordinanza non impugnabile dichiara inammissibile la domanda seconda fase: superata la barriera delle questioni pregiudiziali, alle quali deve prendere provvedimenti immediati, il giudice prende le determinazioni di merito se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria: il giudice con ordinanza non impugnabile, dispone la prosecuzione del giudizio secondo le normali regole del processo ordinario di cognizione, fissando la data dell’udienza ex. art. 183. se ritiene che solo la domanda riconvenzionale richieda un’istruzione non sommaria: dispone solo per questa il rito ordinario, provvedendo prima alla separazione delle cause e alla formazione di un autonomo fascicolo. Eccezione riconvenzionale se è di lunga indagine, il giudice deve disporre la trasformazione del rito e fissare l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. (non può separarla). se ritiene che la causa possa essere trattata con il rito sommario (cioè non si sia di fronte ad un caso che richiede un'istruzione non sommaria): il giudice alla prima udienza, sentite le parti ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede alla istruzione nel modo che ritiene più opportuno e provvederà con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande, statuendo anche in relazione alle spese del giudizio (procedura simile a prevista per i cautelari). L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione. Passa in giudicato sostanziale se non è impugnata in appello entro 30 giorni dalla sua notificazione o comunicazione. Trattasi di un'ordinanza che è una sentenza in senso sostanziale. Riassumendo: Il giudice investito della domanda attraversa 3 momenti concettualmente distinti: 1) quello della decisione sulle eventuali questioni pregiudiziali (incompetenza o inammissibilità della domanda); 2) quello della decisione se il giudizio può procedere o meno nelle forme del rito speciale a seguito della valutazione della sommarietà dell'istruzione disponendo in caso contrario la trasformazione nel rito ordinario; 3) quello infine di procedere con rito speciale, se ne ricorrono i presupposti quanto all'istruzione. Tanto la decisione sulle questioni pregiudiziali, quanto la valutazione del carattere non sommario o meno dell'istruzione e quindi la decisione del rito di scegliere, vanno disposti inaudita altera parte anteriormente alla prima udienza, alla quale si dovrebbe arrivare solo dopo avere superato le questioni pregiudiziali e deciso di procedere con il rito sommario. Il mancato richiamo al giudizio ordinario per ciò che non è espressamente disposto in questa sede, determina l'impossibilità di utilizzare le memorie ex art. 183 c.p.c., nonché l'inapplicabilità dei provvedimenti della rimessione anticipata in decisione ai sensi dell'art. 187, 2° e 3° comma. Per lo stesso motivo è inapplicabile l'istituto della condanna generica. Risulterà possibile l'impiego delle norme sulla contumacia, sulla sospensione, sull'interruzione e sull'estinzione del processo. FASE DELLA IMPUGNAZIONE L’appello si propone contro l’ordinanza di primo grado entro 30 giorni dalla sua notificazione o comunicazione alla Corte di appello. L'appello segue il normale rito ordinario, sarà introdotto con citazione e la pronunzia avverrà con sentenza (a nulla rilevando che in primo grado il processo si sia chiuso con ordinanza). Qualche parziale modifica riguarda l'istruttoria, che non è necessariamente collegiale, potendo essere delegata ad uno dei membri del collegio. Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Inseguito al d.l. del 2012 si è ristretta tale possibilità poichè è richiesto anche il requisito dell’indispensabilità per ammettere nuovi mezzi di prova e non più la sola rilevanza. PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE Al pari del procedimento per convalida di sfratto è uno strumento alternativo al rito ordinario di cui all'art. 163 ss., che consente di ottenere un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, su 47 a) quando l'opposizione non è fondata su prova scritta o non è di pronta soluzione; b) quando la parte che l'ha chiesta offre cauzione; c) con riferimento ad eventuali somme non contestate, salvo che l'opposizione non sia stata proposta per vizi procedurali. Sospensione dell’esecuzione provvisoria: il giudice istruttore, su istanza dell’opponente, quando ricorrono gravi motivi, può sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo. Trattasi di sospensione non di revoca del decreto, per cui restano fermi gli atti esecutivi eventualmente compiuti. Esito del giudizio di opposizione: conciliazione: se nel giudizio di opposizione le parti si conciliano, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dichiara o conferma (se v'è rinuncia all'opposizione) l’esecutorietà del decreto, oppure riduce la somma o la quantità a quella stabilita dalle parti. rigetto o accoglimento parziale dell’opposizione: se non v'è conciliazione, l'opposizione è decisa con sentenza, che è provvisoriamente esecutiva come tutte le sentenze di primo grado ed è impugnabile con l'appello. a) se l'opposizione è respinta con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva per motivi di rito o per motivi di merito, oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione del giudizio di opposizione, il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva. Il titolo esecutivo è costituito solo dal decreto ingiuntivo. b) se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta. Nel caso di accoglimento dell'opposizione, il decreto ingiuntivo viene sempre tolto di mezzo e ciò anche se l'accoglimento dell'opposizione è solo parziale. Per cui, se il decreto non fosse stato dichiarato esecutivo o comunque sulla base di esso il ricorrente non avesse iniziato l'esecuzione, l'esecuzione sarà possibile adesso solo sulla base della sentenza, che si è sostituita al decreto. Se l’opposizione viene accolta in toto, tale hp non è disciplinata ex lege ma dato che la sentenza si sostituisce al decreto, se v'è stata esecuzione questa cadrà e se essa non v'è stata, nessuna esecuzione potrà ormai essere posta in essere sulla base di un decreto che più non esiste. In sostanza: la sentenza è titolo che si sostituisce al decreto quando l'opposizione è accolta (anche se soloparzialmente), ma non se l'opposizione è respinta. ESECUTIVITÀ DEFINITIVA DEL DECRETO: nel caso in cui il decreto non venga opposto nei termini o l'opponente non si sia costituito o il giudizio di opposizione si estingua o infine l'opposizione venga rigettata, il decreto diviene esecutivo. Il decreto diviene esecutivo, tale esecutività non consegue automaticamente al verificarsi dell'evento (ad es. allo scadere del termine per l'opposizione), ma presuppone un'espressa declaratoria di esecutività che potrà essere concessa da parte del giudice che ha emesso l'ingiunzione con un ulteriore decreto; oppure dal giudice dell'opposizione con la sentenza con cui l'opposizione è rigettata o con l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo. Quando il decreto è stato dichiarato esecutivo in tutti i quattro casi che precedono, ai fini dell'esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo, ma è sufficiente che nel precetto venga fatta menzione del provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e dell'apposizione della relativa formula. Conseguenza dell'esecutività concessa in via definitiva al decreto è che l'opposizione non può essere più proposta né proseguita. Il decreto diviene immutabile, salvo ovviamente (come per le sentenze) la possibilità di rimedi straordinari: 1) opposizione tardiva L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto (dopo che il decreto è stato dichiarato esecutivo), se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. In questo caso l’esecutorietà può essere sospesa e l’opposizione non è più ammessa decorsi 10 giorni dal primo atto di esecuzione. 2) il decreto d’ingiunzione, divenuto esecutivo, può impugnarsi per revocazione per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 5 e 6 dell'art. 395 e con l’opposizione di terzo di cui all'art. 404, 2° co. (ammissibilità della sola opposizione di terzo revocatoria). 50 DECRETO INGIUNTIVO E COSA GIUDICATA: equiparazione degli effetti della sentenza e quelli del decreto ingiuntivo divenuto definitivo. Consentita la revocazione del decreto ingiuntivo per il n. 5 dell'art. 395 e cioè per contrarietà a precedente sentenza avente fra le parti autorità di cosa giudicata. Dal che risulta che l'equiparazione degli effetti del decreto con quelli dell'art. 2909 c.c. dovrebbe ritenersi piena. Ciò anche in considerazione del fatto che se contro il decreto non è proposta revocazione nei termini, esso prevarrebbe sulla sentenza antecedente. Dal che emerge che la forza di accertamento dei due provvedimenti è identica. PROCEDIMENTO INGIUNTIVO EUROPEO (IPE) REG. C.E. N. 1896 DEL 2006: processo speciale per il recupero dei crediti relativamente a controversie «transfrontaliere», tali essendo quelle in cui una delle parti abbia domicilio o residenza in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito. oggetto dell'IPE può essere solo il pagamento di una somma di denaro liquida ed esigibile; mezzo di prova utilizzabile a fondamento della domanda non deve essere necessariamente scritto, ma dipenderà dalla disciplina interna dello Stato membro; competenza, salvo casi specifici, è determinata secondo le norme del diritto comunitario applicabili in materia. L'ingiunzione è notificata al convenuto, che può proporre opposizione entro 30 giorni dinanzi al giudice d'origine. L'opposizione apre un processo a cognizione piena, disciplinato dalla legge dello Stato d'origine. Nel caso di mancata opposizione, il giudice che ha emesso l'IPE, lo dichiara esecutivo, tale efficacia esecutiva opera automaticamente negli altri Stati membri, senza bisogno di alcuna procedura di riconoscimento o di dichiarazione di esecutività. Per quanto riguarda l'autorità dell'ingiunzione non opposta, occorrerà fare un rinvio alle norme nazionali. L'efficacia del decreto ingiuntivo non opposto, pari a quella della cosa giudicata. PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO Presenta una stretta affinità con il procedimento di ingiunzione in quanto permette la formazione di un titolo esecutivo (provvedimento di risoluzione di un contratto di locazione di un immobile), mediante un accertamento sommario condizionato anche qui alla mancata opposizione dell'ingiunto. Offre al locatore o al concedente la possibilità di ottenere in tempi brevi un titolo giudiziale idoneo ad ottenere il rilascio dell’immobile. Il locatore, però, potrebbe anche agire nelle forme ordinarie per far accertare il suo diritto ed ottenere una sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell’immobile. Anche in tema di locazioni abbiamo un: procedimento a cognizione piena: che permette di tutelare ogni controversia in proposito (non solo di risoluzione del contratto, quindi, ma anche di annullamento, rescissione, ecc.), che però non si svolge secondo le regole del processo ordinario di cognizione di cui all'art. 163 ss., ma secondo lo schema del rito del lavoro. Tale procedimento è il normale processo in materia locatizia, che potremmo chiamare «ordinario», pur svolgendosi secondo le forme del rito speciale del lavoro. procedimento a cognizione sommaria: che si svolge secondo le forme dell'art. 657 ss., che serve esclusivamente ad ottenere la risoluzione del rapporto locatizio per le specifiche causali di cui agli artt. 657, 658 e 659 (non quindi per il normale inadempimento). IPOTESI IN CUI PUÒ UTILIZZARSI IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO: convalida (intimazione) di licenza o sfratto per finita locazione (art. 657): consente la risoluzione del contratto di locazione per effetto della sua scadenza. Le situazioni previste sono due: licenza per finita locazione prima della scadenza del contratto di locazione: consente di potere agire in giudizio prima della scadenza del contratto, al fine di poter ottenere il titolo di rilascio anticipatamente ad essa, per poterlo immediatamente impiegare non appena si verifica quest'ultima. Trattasi di un esempio di condanna in futuro, occorre che la parte che agisce, abbia evitato il rinnovo tacito del contratto alla scadenza, inviando una comunicazione di diniego di rinnovo, che può essere surrogata dalla stessa intimazione di licenza purché notificata rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali. 51 sfratto per finita locazione, dopo la scadenza del contratto: consente di agire solo dopo la scadenza del contratto, qualora il conduttore continui a permanere nel possesso dell'immobile. Occorre anche in questo caso che la tacita riconduzione sia impedita dal contratto oppure dall'invio del diniego di rinnovo. La licenza, consente una tutela più rapida, poiché se l'intimato non rilascia l'immobile alla scadenza, il locatore potrà immediatamente utilizzare il titolo esecutivo in via esecutiva onde ottenere il rilascio forzato, mentre invece se si attende la scadenza del contratto e si utilizza lo sfratto, il titolo esecutivo verrà a formarsi molto dopo la scadenza contrattuale (dato che il processo di cognizione, pur svolgendosi in modo sommario, ha pur sempre i suoi tempi). Pertanto il rilascio coattivo, nel caso di inottemperanza al provvedimento del giudice, potrà essere posto in essere solo molto più tardi. Il procedimento di cui all'art. 657, può essere sostituito dal procedimento generale in materia di locazioni di cui all'art. 447 bis, ma solo per ciò che riguarda lo sfratto per finita locazione, non invece per quel che riguarda la licenza (la condanna in futuro può essere impiegata solo in casi ex lege previsti). convalida (intimazione) di sfratto per morosità (art. 658): Consente la risoluzione del contratto di locazione durante il corso del rapporto, per intervenuta morosità del conduttore cioè mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze. La procedura in oggetto presuppone il raccordo con la legge dell'equo canone: per le locazioni abitative, permette di agire, oltreché per il mancato pagamento di una rata del canone (l'azione non può comunque essere proposta prima del decorso di 20 giorni della scadenza), anche per il mancato pagamento degli oneri accessori (purché in questo caso il loro importo superi quello di 2 mensilità del canone). Possibilità anche di una sanatoria in favore del conduttore, consentendo a quest'ultimo la possibilità di sanare la morosità (compreso il pagamento delle spese legali) all'udienza; o nel caso di sue «comprovate condizioni di difficoltà» anche in un termine di «grazia» concessogli dal giudice. La sanatoria esclude la risoluzione del contratto, il procedimento giudiziario si chiude. La possibilità di sanatoria non può essere esperita più di 3 volte nel corso del contratto. convalida di licenza o sfratto per cessazione di prestazione d'opera (art. 659): Diritto di chi ha concesso in godimento un immobile come corrispettivo, anche parziale, di una prestazione d’opera (abitazione concessa al portiere, al domestico). Si riferisce a quei casi ove la retribuzione per il lavoro compiuto consiste nel godimento di un immobile. In tal caso allorché il rapporto di prestazione d'opera cessa, il concedente può esperire procedimento di convalida di licenza o sfratto, a seconda se la cessazione del rapporto locativo è solo preannunciata o è stata tradotta in atto. INTRODUZIONE DEL PROCEDIMENTO: la domanda, che va diretta al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui si trova la cosa locata (competenza per materia inderogabile), consiste in una intimazione, rivolta dal locatore, di lasciar libero l’immobile, con contestuale citazione per la convalida a comparire in un termine non inferiore a 20 giorni (che può anche essere ridotto a metà dal giudice). L'intimazione serve ad impedire la tacita riconduzione del contratto, mentre la citazione è una sorta di provocatio ad opponendum, diretta cioè a spingere l'intimato, ove lo crede, a fare opposizione alla convalida all'udienza fissata. Opposizione senza la quale, il giudice deve convalidare la licenza o lo sfratto attribuendo esecutività e definitività al provvedimento. L'atto di intimazionecitazione, va notificato ai sensi dell'art. 137 ss. (esclusa ogni notificazione nel domicilio eletto) ed ove la notificazione non sia effettuata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. E’ richiesto rigore minimo per ciò che riguarda la costituzione delle parti, potendo avvenire in ogni momento in cancelleria o anche alla stessa udienza. La difesa dell'intimato nell'eventuale fase di opposizione può avvenire personalmente, tale deroga vale comunque solo per la prima udienza fissata nell'atto introduttivo e per proporvi l'eventuale opposizione, divenendo invece obbligatorio il patrocinio legale, sia nell'eventuale giudizio di merito che si sviluppa a seguito dell'opposizione, sia per la proposizione dell'opposizione tardiva. PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE 52 della tutela, quanto il pericolo che la tutela giungendo troppo tardi sia praticamente inefficace. In questi casi è possibile ottenere anticipatamente l'inibitoria in via cautelare attraverso il provvedimento d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., il quale dispone che «... chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito». Mentre il cautelare conservativo assicura il risultato dell'intera tutela giurisdizionale (cognizione ed esecuzione), il cautelare anticipatorio assicura solo l'efficienza della decisione di merito. Ex concorrenza sleale di un imprenditore vs altro imprenditore a causa di imitazione servile di un suo prodotto, causando confusione nel mercato. Poichè i tempi di un’inibitoria possono arrivare anche fino a 3 anni, poichè i prodotti imitati continueranno per tale periodo a circolare nel mercato, aumentando confusione e danno, si potrà ottenere un cautelare anticipatorio Condizioni di ammissibilità che debbono sussistere per l'emissione di un provvedimento cautelare: periculum in mora (o pericolo nel ritardo): pregiudizio che potrebbe subire la situazione giuridica e di fatto del richiedente nell’attesa di una decisione di carattere definitivo. È l'aspetto dell'urgenza a provvedere; se tale urgenza non c'è il cautelare è inammissibile (es. sequestro conservativo nei confronti debitore che è perfettamente solvente e con ingente patrimonio). fumus boni iuris (parvenza del buon diritto): probabile esistenza del diritto del quale si chiede la tutela. Il giudice del cautelare non deve limitarsi a valutare la sussistenza o meno dell'urgenza a provvedere, ma deve anche valutare se la domanda attrice ha almeno una parvenza di fondatezza. Tale controllo non può che essere fatto sulla base di quello che risulta ex actis (cioè dalla domanda cautelare e se il cautelare non è disposto inaudita altera parte anche dalla difesa avversaria), per cui non può trattarsi di una valutazione approfondita. corrispondenza fra la tutela cautelare e la tutela di merito (essenziale almeno per i cautelari anticipatori): occorre che la tutela cautelare di merito costituisca un'effettiva anticipazione dell'integrale tutela definitiva, non un tipo di tutela diversa. Vi deve essere una perfetta corrispondenza fra l'oggetto della tutela cautelare e l'oggetto del merito, nel senso che il cautelare anticipatorio deve fornire un'effettiva anticipazione della tutela finale. Domanda cautelare si propone con ricorso (art. 669bis), che dovrà avere il contenuto degli atti di parte ( indicazione del giudice, generalità, indicazione udienza), e che va depositato in cancelleria, tanto se il cautelare è richiesto anteriormente alla causa quanto in corso di causa. Competenza spetta sempre al tribunale in composizione monocratica, essendo inibito al giudice di pace di concedere cautelari, così come ciò è inibito anche agli arbitri. 1) competenza anteriore alla causa (art. 669ter): nel caso che il giudizio di merito non sia ancora iniziato, la domanda cautelare si propone al tribunale competente a conoscere del merito, secondo le ordinarie regole di competenza territoriale. se competente a conoscere del merito è il giudice di pace, la domanda si propone inderogabilmente di fronte al tribunale. se competente a conoscere della causa è il giudice straniero, la domanda va proposta al tribunale del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare. se la causa è compromessa in arbitri, la competenza a concedere la cautela spetta al tribunale che sarebbe stato competente a conoscere del merito secondo le regole della competenza territoriale. 2) competenza in corso di causa (art. 669quater): se la causa è in corso, la competenza spetta al giudice della stessa. Se la causa pende in tribunale la competenza spetta all’istruttore a meno che questo non sia stato ancora designato o il processo sia sospeso o interrotto: nel qual caso la domanda si propone al presidente del tribunale. Se la causa pende di fronte al giudice superiore, ad es., alla corte d'appello, la domanda si proporrà alla corte che deciderà in sede collegiale. Per la Cassazione, se l'impugnazione non è ancora proposta e sono in corso i termini per impugnare, la domanda si propone al giudice che ha pronunziato la sentenza. Consuete deroghe viste supra: 55 se la causa pende di fronte al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale. se la causa pende di fronte agli arbitri, la competenza spetta al tribunale che sarebbe competente a conoscere del merito. se la causa pende di fronte al giudice straniero ed il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito la domanda si propone di fronte al tribunale del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare. Se, nonostante la pendenza della lite straniera, questa avrebbe potuto essere proposta anche di fronte al giudice italiano, la domanda cautelare va proposta secondo le regole generali al giudice che sarebbe competente a decidere del merito. Procedimento art. 669sexies due possibili strade: 1° co.: contraddittorio anticipato: è la regola, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda. Si tratta dunque dei normali atti istruttori, depennati di ogni formalità prevista dalla legge purché non ne risulti pregiudicato il contraddittorio (è richiesta la comparizione delle parti). 2° co.: contraddittorio posticipato: riservata ai casi di eccezionale urgenza, cioè quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il giudice, provvede immediatamente sul cautelare inaudita altera parte con decreto motivato, salva la successiva conferma, modifica o revoca del provvedimento, che avviene con ordinanza in un'udienza successiva fissata nello stesso decreto, ad una distanza non superiore a 15 giorni. Qui l'istruttoria che il giudice affronta ai fini di provvedere con decreto avviene in assenza delle parti e quindi al di fuori delle garanzie del contraddittorio, essa si esplica sulla base di eventuali «sommarie informazioni», che il giudice può raccogliere. Tali sommarie informazioni, a differenza degli atti istruttori di cui al 1° co. della norma che, pur essendo deformalizzati, richiamano le normali figure probatorie del codice (ad es. testimonianza, ecc.), sono invece essenzialmente atipiche e possono espletarsi in attività neppure previste dalla legge es. informazioni dalla polizia giudiziaria. Oltreché atipico, il potere di chiedere sommarie informazioni è anche un potere officioso svincolato da ogni richiesta di parte. Provvedimento: procedimento cautelare termina con ordinanza, sia che essa disponga sulla domanda in prima battuta in sede di comparizione delle parti, sia che essa confermi, modifichi o revochi, il cautelare emesso inaudita altera parte. È pertanto all'ordinanza che bisogna fare riferimento per tutti gli effetti che seguono: nel caso di accoglimento del provvedimento cautelare prima dell’inizio della causa di merito, l’ordinanza di accoglimento deve deve fissare un termine perentorio, non superiore a 60 giorni, per l’inizio del giudizio di merito. Il mancato inizio della causa di merito nel termine fissato dal giudice o, comunque, nei 60 giorni dalla pronuncia dell’ordinanza o dalla sua comunicazione, se avvenuta fuori udienza, porta all’inefficacia del provvedimento cautelare. Per le controversie sul pubblico impiego devolute al giudice ordinario (escluse quindi quelle che continuano a spettare alla giurisdizione amministrativa), bisogna tenere conto del tentativo di conciliazione: il termine decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in caso di mancata formulazione della richiesta del tentativo di conciliazione, decorsi 30 giorni. Se dopo la pronunzia dell'ordinanza cautelare è proposto il tentativo di conciliazione, il termine per l'inizio del giudizio di merito decorre dalla scadenza dall'espletamento del tentativo di conciliazione e comunque non oltre la scadenza di 60 giorni dalla formulazione della richiesta di conciliazione senza che questo abbia avuto luogo; se invece il tentativo di conciliazione non è proposto, il termine per l'inizio del giudizio di merito, comincia a decorrere 30 giorni dopo l'emanazione del cautelare. In sostanza> Pronunciato che sia il cautelare, la parte interessata ha 30 giorni ditempo per proporre il tentativo di conciliazione: se non lo propone, alla scadenza dei 30 giorni inizia a decorrere il termine per l'inizio del giudizio di merito. 56 Al cautelare deve necessariamente seguire l'instaurazione del giudizio di merito, ove ovviamente esso non fosse già in corso. Per alcuni tipi di provvedimenti non è necessario che il ricorrente che il provvedimento ha ottenuto, inizi il giudizio di merito: provvedimenti d'urgenza ex art. 700; altri provvedimenti «cautelari» idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito; provvedimenti di denunzia di nuova opera e di danno tenuto Provvedimenti cautelari che conservano la loro efficacia anche senza il giudizio di merito, mantengono la loro efficacia anche se il giudizio di merito non è iniziato nel termine perentorio fissato e anche se si è verificata l’estinzione del giudizio di merito. Tuttavia, poiché il cautelare resta pur sempre un provvedimento emesso a cognizione non piena, in coerenza con il principio della difesa e del contraddittorio è previsto che ove il ricorrente non inizi il giudizio di merito, questo può essere iniziato da ciascuna altra parte del processo. In sostanza le 3 categoria supra, sono provvedimenti urgenti non cautelari, mantenendo efficacia anche in caso di estinzione del processo. L'unico modo per toglierli di mezzo, resta pertanto quello di dimostrare con un giudizio a cognizione piena che può essere iniziato dall'avversario (o da qualsiasi altra parte del processo), che il diritto cautelato non sussiste. Ne consegue che pur potendo essere il cautelare dotato di vita autonoma, esso non assume mai il carattere di provvedimento definitivo (l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo). nel caso di provvedimento negativo (art. 669septies): il rigetto della richiesta del provvedimento cautelare può essere determinato da: incompetenza territoriale del giudice adito: competenza territoriale in materia di provvedimenti cautelari è inderogabile. mancanza dei presupposti necessari per ottenere il provvedimento: il rigetto può essere causato dalla insussistenza del fumus o del periculum in mora. L'ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda mentre quella di rigetto la preclude, a meno che la nuova istanza non sia giustificata da mutamenti delle circostanze o non sia fondata su nuove ragioni dì fatto o di diritto (ad es. la sopravvenuta incostituzionalità di una norma). Il provvedimento cautelare negativo prima dell’inizio della causa di merito, comporta la pronuncia sulle spese del procedimento cautelare (mentre quelle del cautelare in corso di causa, sono liquidate con la sentenza finale). La condanna alle spese è immediatamente esecutiva e per effetto della riforma del 2009. Reclamo contro i provvedimenti cautelari art. 669terdecies Contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. È una sorta d’impugnazione del provvedimento cautelare, proponibile sia contro l'ordinanza (non già contro l'eventuale decreto emesso inaudita altera parte) di accoglimento, che contro quella di rigetto per errori di diritto, di fatto e per circostanze e motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo, purché siano trattati nel rispetto del principio del contraddittorio: ciò significa che le circostanze e i motivi sopravvenuti dopo la proposizione del reclamo, da un lato debbono essere fatti valere in quella sede, perché altrimenti cessano di essere proponibili; dall'altro, vanno inseriti nel giudizio di reclamo con un atto successivo a quello introduttivo, ma su tale atto deve essere consentito alla controparte di replicare e controdedurre. Il reclamo si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato). Quando il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d’appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d’appello più vicina. Il procedimento è disciplinato dalle norme del rito camerale (del quale artt. 737 e 738). Il collegio deve provvedere, sentite le parti, non oltre 20 giorni dal deposito del ricorso, con ordinanza con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Nel caso in cui sono state dedotte nuove circostanze o motivi posteriori alla proposizione del reclamo, è consentito al collegio di assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Fuori da tale caso, il reclamo va deciso sulla base delle prove già dedotte nel procedimento cautelare, con esclusione quindi di ogni 57 immobiliari. Conversione del sequestro conservativo in pignoramento: il sequestro conservativo si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva. Ottenuto il sequestro, al momento in cui si forma il titolo esecutivo (cioè la sentenza di condanna esecutiva), il creditore non occorre che ponga in essere il conseguente atto di pignoramento per dare avvio alla procedura esecutiva, ma è il sequestro stesso che si trasforma automaticamente in pignoramento, aprendo così le porte direttamente all'istanza di vendita. La conversione non è automatica, ma suppone che il sequestrante depositi la copia della sentenza di condanna entro 60 giorni (termine perentorio) nella cancelleria del giudice dell'esecuzione e, se si tratta di sequestro immobiliare, nello stesso termine deve richiedere anche «l'annotazione» della sentenza di condanna «in margine alla trascrizione» del sequestro. L'interessato deve proporre «domanda di esecutorietà» della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro 60 giorni decorrenti dal momento in cui la domanda di esecutorietà è possibile (cioè dalla pubblicazione della sentenza straniera o dal deposito del lodo). La «dichiarazione di esecutorietà» pronunziata dalla corte d'appello o dal tribunale, produce la conversione del sequestro in pignoramento. Garanzia che il sequestro conservativo offre al creditore prima della conversione in pignoramento consiste nel rendere inefficaci «in pregiudizio del creditore sequestrante» gli atti di disposizione dei beni sottoposti a sequestro. Trattasi anche qui dunque di un inefficacia relativa degli atti di disposizione dei beni, che però a differenza di quella che ha luogo nel pignoramento, non opera a favore di tutti i creditori, ma solo a favore del creditore sequestrante. Ciò significa che di tale inefficacia, gli eventuali creditori intervenuti nel processo esecutivo dopo la conversione in pignoramento, non possono profittare. Per cui il bene resta definitivamente escluso dall'esecuzione e gli altri creditori rimarranno a mani vuote. A differenza del pignoramento, che è un vincolo a porta aperta (che permette a tutti i creditori la possibilità di profittarne), il sequestro è un vincolo a porta chiusa (in quanto di esso può avvalersi solo il creditore sequestrante). Casi particolari di sequestro: sequestro convenzionale contratto col quale due o più persone affidano a un terzo una cosa o una pluralità di cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia, perché la custodisca e la restituisca a quella a cui spetterà quando la controversia sarà definita. Adempie ad una funzione analoga a quella del sequestro giudiziario e cioè l'affidamento ad un terzo della custodia e dell'amministrazione di una singola cosa o di una pluralità di cose, la cui appartenenza a Tizio o a Caio è oggetto di controversia, con l'impegno di restituirla a chi risulterà esserne il vincitore. La differenza sta nel fatto che il sequestro convenzionale non è frutto di un provvedimento autoritativo del giudice, ma esclusivamente di un accordo concluso fra le parti stesse. sequestro speciale o sequestro liberatorio Il giudice può ordinare il sequestro delle somme o delle cose che il debitore ha offerto o messo comunque a disposizione del creditore per la sua liberazione, quando è controverso l’obbligo o il modo del pagamento o della consegna, o l’idoneità della cosa offerta. Tale tipo di sequestro presuppone l'esistenza di una controversia avente per oggetto il pagamento di una somma di denaro o la consegna di una o più cose. Trattasi quindi di un sequestro che è chiesto dallo stesso debitore e che ha l'effetto di liberarlo dalle conseguenze della mora debendi, ove egli sia soccombente nella controversia. DENUNCE DI NUOVA OPERA E DI DANNO TEMUTO: tipici strumenti di tutela anticipata del diritto, tendenti a tutelare la proprietà (o il possesso) da una situazione di pericolo attuale o futuro e da un eventuale danno. La procedura è quella prevista per i procedimenti cautelari in generale Denuncia di nuove opera – art. 1171 c.c – azione concessa a chi abbia ragione di temere che da una nuova opera da altri intrapresa sul proprio o sul fondo vicino stia per derivare una danno al bene oggetto del suo diritto o possesso, per ottenere dal giudice un provvedimento che sospenda l’esecuzione dell’opera, stabilendo le opportune cautele. Non può essere esperita se l’opera è 60 terminata o se è trascorso un anno dal suo inizio. L'autorità giudiziaria sulla base della denuncia, non può assumere provvedimenti definitivi (quali ad es. l'abbattimento dell'opera), che saranno riservati all'eventuale giudice del merito, ma solo provvedimenti provvisori (cautelari appunto), consistenti: a) o nell'ordine di sospensione dell'opera; b) o nell'autorizzazione alla sua continuazione. In ogni caso il giudice deve però disporre sempre le opportune cautele a carico del richiedente nel primo caso, per il risarcimento del danno nell'ipotesi che la costruzione dell'opera risulti legittima; a carico del costruttore nel secondo caso, per la demolizione della stessa qualora nel giudizio di merito si accerti l'illegittimità dell'opera. Ex costruzione altrui edificata senza rispettare le distanze legali Denuncia di danno temuto art. 1172 c.c. – azione concessa a chi abbia ragione di temere che da un edificio, albero o altra cosa inanimata già esistente sul fondo vicino derivi il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del suo diritto o possesso, per ottenere dal giudice un provvedimento immediato che consenta di ovviare al pericolo. Il giudice può imporre una cauzione come garanzia per i danni eventuali. Qui a differenza del caso precedente, il pericolo di danno non deriva dall'opera dell'uomo, ma da un evento naturale, che può essere dei più diversi tipi (ad es. un albero che rischia di cadere nel fondo del vicino); al giudice vengono chieste le misure idonee secondo le circostanze ad ovviare al pericolo. La denuncia di nuova opera e di danno temuto si propone con ricorso al giudice competente per il merito se proposta in corso di causa (invece, tribunale del luogo in cui si trova l'opera o la cosa se il rimedio è chiesto ante causam). Per le denunce non è più obbligatoria la proposizione della causa di merito (che però può essere sempre iniziata dalla controparte). Contravvenzione al divieto del giudice > Se la parte alla quale è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto contravviene all’ordine, il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del contravventore. PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA: servono ad assicurare l’efficacia dell’istruzione probatoria di un processo di cognizione, allorché particolari circostanze rendano dubbia l’acquisizione di un mezzo di prova in tempo utile per il processo. Mezzi di istruzione preventiva: si differenziano da tutti gli altri cautelari in quanto non hanno una funzione conservativa o anticipatoria dell'oggetto «sostanziale» della tutela giudiziaria, ma hanno una funzione esclusivamente «processuale», che è quella di assicurare al processo l'acquisizione immediata di mezzi di prova. Trattasi pur sempre comunque di provvedimenti cautelari (anche se ad essi non si applica la disciplina generale dei cautelari ma solo l’articolo riguardante il provvedimento negativo) e cioè di provvedimenti che suppongono un intervento urgente del magistrato che non sarebbe possibile disporre a tempo debito nel corso del giudizio di merito, perché la prova rischierebbe di scomparire. 2: audizione preventiva di testimoni: concessa a chi ha fondato motivo di temere che vengano a mancare dei testimoni necessari ad una causa (per malattia, trasferimento, ecc.), per ottenerne l’audizione a futura memoria. Può essere richiesta sia prima che in corso di causa. L’istanza si propone con ricorso al giudice che sarebbe compente per la causa di merito, in caso d’eccezionale urgenza, l’istanza può anche proporsi al tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta. Poiché trattasi di uno strumento cautelare, il ricorso deve indicare i motivi dell'urgenza, nonché i fatti su cui i testi debbono essere interrogati e l'esposizione sommaria delle domande o eccezione alle quali la prova è preordinata. Si tratta di motivi la cui mancanza (soprattutto quella del requisito dell'urgenza) rende la domanda inammissibile. accertamento tecnico e ispezione giudiziale preventivi: chiesti quando si ha urgenza di far verificare lo stato dei luoghi (accertamento tecnico) o le condizioni di cose (ispezione giudiziale); oltre la semplice verifica, l’accertamento può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica. L'ispezione può essere oggi condotta non più solo su cose, ma anche sulla persona dell'istante ed anche sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta, purché vi consenta. 61 L'iter processuale delle due misure è analogo, il giudice può provvedere sull'ammissione delle prove in contraddittorio, convocando cioè prima le parti e poi disponendo con ordinanza sull'ammissione della prova. Oppure, nei casi di «eccezionale urgenza», il giudice può provvedere ad ammettere immediatamente con decreto la prova inaudita altera parte, disponendo tuttavia che «non oltre il giorno successivo» all'ammissione della prova sia effettuata la notificazione del decreto a cura del cancelliere alle parti non presenti all'assunzione della prova. L'istruzione preventiva può essere anche disposta in corso di causa (quando il momento ufficiale della raccolta della prove è ancora lontano) o durante l'interruzione o la sospensione del giudizio. In tali casi, poiché il contraddittorio è già in atto (essendo le parti in causa tramite i loro difensori), la pronunzia sarà fatta con ordinanza. I mezzi di istruzione preventiva mirano ad assicurare l'acquisizione in via d'urgenza di prove che dovranno essere utilizzate in un successivo giudizio di merito. L'ammissione dei mezzi di istruzione preventiva «non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza» nel giudizio di merito > il giudizio di ammissibilità e rilevanza è posticipato al momento in cui tali prove saranno prodotte nel giudizio di merito. consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite: nulla ha in comune con la disciplina cautelare, giacché difetta del carattere fondamentale di tale disciplina, che è quello dell'«urgenza» a provvedere. Introdotto dalla riforma del 2005 non si tratta di un cautelare ma di un modo di tentare di comporre in via stragiudiziale e preventivamente con l’intervento di un consulente tecnico, liti che hanno ad oggetto determinazioni di crediti derivanti da fatto illecito o da inesatta esecuzione di una obbligazione contrattuale. Il consulente tecnico prima di provvedere alla relazione tenta la conciliazione che, se riesce, acquista con decreto l’efficacia di titolo esecutivo. L'effettuazione della consulenza preventiva, va sempre autorizzata dal giudice al quale va richiesta nelle forme dell'accertamento tecnico e dell'ispezione giudiziale preventivi. Il giudice dovrà sempre disporre la comparizione delle parti, essendo esclusa ogni possibilità di provvedere inaudita altera parte. L’esecutività è idonea a consentire ogni tipo di esecuzione in forma specifica, oltreché a consentire anche «l'iscrizione di ipoteca giudiziale». Se la conciliazione non riesce, il consulente redigerà la propria relazione tecnica, che potrà essere acquisita agli atti del futuro giudizio di merito, senza bisogno del formale controllo. La natura non cautelare del provvedimento che ha solo lo scopo di deflazionare il contenzioso giudiziario esclude la proponibilità del reclamo PROVVEDIMENTI D'URGENZA: cautelare a carattere sussidiario, utilizzabile tutte le volte che la situazione cautelanda non trovi protezione in nessuno dei cautelari tipici visti fino a questo momento. Altra caratteristiche è la loro atipicità: il loro contenuto non è determinato in modo fisso dalla legge, come per gli altri cautelari ma viene modellato caso per caso. Condizioni per la concessione art. 700 > fuori dai casi regolati nelle precedenti sezioni, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Tecnicamente, il pregiudizio è irreparabile quando «non si può riparare» con il tradizionale rimedio del risarcimento del danno, campo di impiego dei provvedimenti d'urgenza, con riferimento: ai diritti personali, quelli cioè che non hanno ad oggetto un contenuto prettamente economico, ma fanno riferimento ai beni essenziali della persona umana, come ad es. il diritto all'integrità fisica, il diritto al nome, il diritto all'immagine, ecc. nel settore dei diritti derivanti dai beni immateriali (es. tutela del marchio, che è in sostanza la fondamentale manifestazione esterna dell'imprenditore. Appare legittimo anticipare con l'art. 700 gli effetti finali della sentenza e cioè l'inibitoria ed il sequestro, onde evitare il prodursi di un pregiudizio che potrebbe essere non più riparabile). Quanto al procedimento, si seguono per filo e per segno le regole generali dell'art. 669bis ss. senza alcuna particolare deroga, evidenziando che ai provvedimenti ex art. 700. 62 DISCIPLINA COMUNE DEI PROCEDIMENTI CAMERALI Il procedimento di primo grado è disciplinato da due sole norme: forma della domanda e del provvedimento art. 737 – I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti. procedimento art. 738 – Il presidente nomina tra i componenti del collegio (nei procedimenti camerali il tribunale giudica sempre in composizione collegiale) un relatore, che riferisce in camera di consiglio. Se deve essere sentito il pubblico ministero, gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente. Il giudice può assumere informazioni (istruttoria). Vari sono i problemi posti da queste norme: non è assolutamente previsto un atto con il quale possa costituirsi in giudizio il possibile convenuto, nei casi in cui il procedimento è bilaterale e cioè in cui il provvedimento finale è dato in confronto di più parti. Si ammette pertanto nella pratica che costui possa costituirsi con un atto scritto che può essere indifferentemente chiamato memoria difensiva o comparsa di risposta. non è previsto altresì neppure il modo in cui il potenziale convenuto debba essere avvertito della pendenza del procedimento. Il problema dovrebbe potere essere risolto nella pratica disponendo la notifica a costui dell'atto introduttivo da parte del ricorrente. non è prevista, sempre nell'ipotesi di procedimento a carattere bilaterale, neppure la presenza di un'udienza nella quale le parti debbono comparire. E necessario pertanto che questa venga fissata dal collegio e ciò in ossequio al disposto dell'art. 1 1 1 , 2° co., Cost., che impone il rispetto del principio del contraddittorio. istruttoria per informazioni essenzialmente atipica sia per le prove (testimoni senza formulazione dei capitoli) sia per i canali di assunzione (info dalla polizia giudiziaria): si ritiene comunemente che il potere di disporre tali informazioni possa essere esercitato dal giudice d'ufficio, venendosi così a derogare alla regola del principio dispositivo nell'acquisizione probatoria nel processo civile, previsto dall'art. 115. Nell'istruttoria camerale, pur svolgendosi per informazioni, si deve rispettare il principio del contraddittorio che impone che, sia l'ammissione della prova, sia la sua acquisizione, avvengano alla presenza delle parti o dei loro difensori. la presenza del decreto come provvedimento conclusivo pone alcuni problemi: a) tale provvedimento è il mezzo tipico con il quale si chiudono i procedimenti camerali, ma non è il solo, in quanto alcuni di essi prevedono come atto finale la sentenza (ad es. il procedimento di dichiarazione di morte presunta, che si chiude con la sentenza). b) con riferimento alla pronunzia con decreto, si tratta di vedere qual è la sua natura giuridica. La sua revocabilità prevista, esclude il suo passaggio in giudicato e quindi virtualmente anche una sua eventuale natura di sentenza in senso sostanziale, il che dovrebbe comportare l'inapplicabilità del ricorso in cassazione di cui all'art. 111 Cost. a tali tipi di provvedimenti. E questa è infatti l'opinione corrente della giurisprudenza, la quale tuttavia non ha mancato di rilevare che, quando il procedimento camerale è utilizzato per questioni inerenti alla tutela dei diritti soggettivi, il provvedimento (dopo il reclamo ex art. 739) è sempre assoggettabile al ricorso in cassazione ex art. 111 Cost. ESECUTIVITÀ DEI PROVVEDIMENTI ED IL RECLAMO Efficacia dei provvedimenti art. 741 – i provvedimenti camerali non sono esecutivi ex lege, ma lo divengono solo dopo scaduti i termini per proporre reclamo (a meno che in seguito a ragioni di urgenza non venga ad essi conferita esecutività immediata, nonostante il reclamo). Reclamo delle parti – art. 739 Competente a giudicare del reclamo contro i provvedimenti del giudice tutelare è il tribunale (in sede collegiale), mentre se il decreto è del tribunale, la competenza spetta alla corte d'appello. Il reclamo va proposto dalla parte interessata e può concernere tanto motivi di legittimità, quanto motivi di merito del provvedimento. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del decreto se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti. 65 Reclami del pubblico ministero art. 740 – Il pubblico ministero, entro 10 giorni dalla comunicazione, può proporre reclamo in tutti i casi in cui è necessario il suo parere. Quindi, non solo nei casi in cui egli aveva azione, ma anche in tutti quelli in cui egli deve essere semplicemente sentito. Salvo che la legge non disponga altrimenti, non è dato ulteriore reclamo contro i provvedimenti emessi in sede di reclamo. La giurisprudenza ritiene inammissibile il ricorso in cassazione ex art. 111 Cost. avverso i decreti emessi in sede di reclamo, quando si tratta di materie di giurisdizione volontaria, mentre lo ritiene ammissibile quando l'oggetto della controversia riguarda diritti soggettivi. Revocabilità dei provvedimenti – art. 742 – I decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca. Tale ipotesi non dovrebbe potere ricorrere ove vengano in gioco questioni di diritti soggettivi. Se il reclamo è proponibile per ogni motivo di legittimità e di merito sussistente al momento dell'emissione del provvedimento, la revoca dovrebbe essere circoscritta a 2hp a) quando si verifichi un mutamento delle circostanze, tale da non rendere più conforme all'interesse delle parti il provvedimento originario; b) dedurre con la revoca anche circostanze preesistenti, di cui il giudice non abbia avuto cognizione o sulle quali sia stato indotto in errore al tempo del primo provvedimento (si ritiene pertanto che non possa proporsi la revoca, chiedendo semplicemente che il giudice apprezzi in modo diverso circostanze già dedotte in causa). La revoca del provvedimento non incide però sui «diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca. Deve trattarsi pertanto di diritti acquistati in forza di negozi bilaterali ed il terzo non doveva essere in mala fede al momento dell'atto (cioè non doveva essere a conoscenza degli eventuali vizi dello stesso). PROCEDIMENTO IN MATERIA DI LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA E PROCEDIMENTI ASSIMILATI CONTROVERSIE DI LAVORO Il processo del lavoro (artt. 409447) costituisce il prototipo del processo da ricorso, rappresenta l'alternativa al processo ordinario che si introduce con atto di citazione secondo lo schema dell'art. 163 ss. La domanda non è diretta verso l'avversario, ma si propone al giudice al quale spetta pure di fissare l'udienza di comparizione, che sarà resa nota all'altra parte, assieme al contenuto del ricorso, ad opera dell'attore (ricorrente). Editto actionis e vocatio in ius che nel processo ordinario da citazione provengono entrambe dalla parte, sono qui frazionate, spettando a quest'ultima di provvedere solo alla prima attività, mentre la seconda è effettuata dal giudice. Rito del lavoro è stato introdotto con la 1. 533/1973, il nuovo tipo di procedimento, nell'ottica del legislatore, avrebbe dovuto garantire una tutela più rapida, determinata in primo luogo dal fatto che l'udienza di comparizione, anziché lasciata alla discrezionalità dell'attore, veniva fissata dal giudice nei tempi brevi dell'art. 415, ed in secondo luogo da ulteriori espedienti, quali il divieto di udienze di mero rinvio e la provvisoria esecutività ex lege delle sentenze di condanna a favore del lavoratore. Tuttavia, il processo in oggetto non ha di molto accorciato i tempi della giustizia in materia di lavoro. CONTROVERSIE ASSOGGETTATE AL RITO DEL LAVORO 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa (es. lavoro domestico o a domicilio); 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie:legge del 1990 ha compiuto un'attribuzione generale alle sezioni agrarie di tutte le controversie in materia di contratti agrari e di conseguenza non c’è più spazio oggi per l'applicazione del rito del lavoro in materia agraria. Dinanzi alle sezioni specializzare agrarie, si applica il rito del lavoro, anche se l'impiego di tale rito ad opera di un giudice collegiale (quali sono appunto le sezioni specializzate: art. 50bis, n. 66 3) dà luogo a problemi di adattamento. 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Nella prassi per indicare i rapporti di cui 3) si parla di > Parasubordinazione, che sta ad indicare che non si tratta di lavoro subordinato, ma che sussiste un vincolo continuativo e coordinato con un soggetto che funge pur sempre da datore di lavoro (es. lavoro svolto con continuità dai membri di un'impresa familiare). 4) rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica; 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempre che non siano devoluti dalla legge ad altro giudice: vi rientrano i rapporti di pubblico impiego con la pubblica amministrazione, sia che essi facciano capo ad enti pubblici non territoriali o territoriali o all’amministrazione statuale. TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE – art. 410 La possibilità di proporre davanti al giudice di lavoro una delle controversie previste dall'art. 409, era subordinata, al previo esperimento del tentativo di conciliazione stragiudiziale, pena l’improcedibilità della domanda. Questo sistema è stato radicalmente modificato dalla l. 183/2010 sconvolgendo una struttura ormai consolidata. La prima novità consiste nel fatto che il tentativo di conciliazione non è più obbligatorio, ma divine scelta dell’attore che può dunque anche azionare immediatamente l’autorità giudiziaria. Permangono invece le 2 forme di conciliazione a scelta di chi intende proporre la domanda: quella sindacale quella amministrativa: si effettua di fronte alla commissione di conciliazione che si trova presso l'ufficio della direzione provinciale del lavoro Occupiamoci del secondo (essendo quello maggiormente regolato dalla legge e poichè il primo si innesta su di esso). Il tentativo di conciliazione inizia con una richiesta delle parti molto dettagliata che va consegnata con raccomandata con ricevuta di ritorno alla direzione generale del lavoro e alla controparte. Il tentativo può essere però evitato dal convenuto, che non depositi entro 20 gg dalla comunicazione della richiesta una memoria difensiva presso l’ufficio: in tal caso entrambi le parti potranno azione l’autorità giudiziaria. Iniziato il tentativo dinanzi all’ufficio generale del lavoro, le parti si presentano alla commissione a ciò deputata presieduta dal direttore d’ufficio e 2 rappresentanti sindacali, uno per parte (sarebbero 8 rappresentanti ma la commisione in realtà funziona con 2). Se le parti si conciliano, il verbale sarà deposto dalla parte interessata presso il giudice del lavoro, che lo dichiara esecutivo. In caso contrario, la commissione fa una proposta per la bonaria definizione della controversia. Inoltre oggi è possibile deferire alla commisione il potere di risolvere la vertenza in via arbitrale: in ogni momento le parti hanno tale facoltà> se se ne avvalgono i giudici divengono arbitri ed emettono, entro 60 gg dall’incarico, un lodo vincolante. E’ un arbitrato ibrido: ha tutte le caratteristiche di quello irrituale ( ad es. l’efficacia contrattuale e non di sentenza), tuttavia presenta una caratteristiche in comune a quello rituale rendendolo un tertium genus: in caso di mancata impugnativa o di reiezione della stessa o di acquiescenza bilaterale al lodo, questo va depositato in Tribunale, che, controllata la regolarità formale, lo rende esecutivo con decreto. ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO: regolamentazione mutata con l. 183/2010: che introduce 2 arbitrati, irrituali. Uno è quello detto supra riguardante le commisioni di conciliazione, destinato a una conciliazione stragiudiziale; l’altro è l’arbitrato vero e proprio. La vecchia dizione stabiliva che le controversie di lavoro potessero essere decise anche mediante arbitrato, solo se tale procedimento era previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro: tale vincolo è rimasto solo per l’arbitrato da clausola compromissoria. COMPETENZA La competenza per le controversie individuali di lavoro spetta esclusivamente al tribunale. Sono nulle tutte le clausole derogative della competenza per territorio. La competenza territoriale è fissata dall'art. 413 in modo inderogabile. Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto di lavoro o si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale il lavoratore prestava la sua opera alla fine del rapporto. La competenza rimane anche nel caso di 67 comparizione, come nel rito ordinario, ma una sola prima udienza, l’udienza di discussione ex. art. 420. Normalmente all'udienza fissata ne faranno seguito altre ulteriori, necessarie se non altro per l'assunzione delle prove prima che la causa giunga all'epilogo. Vietate le udienze di «mero rinvio». Protagonista assoluto dell’udienza di discussione è il giudice; le parti, invece, svolgono un ruolo quasi di secondo piano poiché con il ricorso e la memoria difensiva hanno, in pratica, esaurito le loro attività di allegazione dei fatti e dei mezzi di prova. Nella udienza fissata per la discussione della causa: a) obbligatorio procedere all' interrogatorio libero delle parti e al tentativo di conciliazione. Nel processo di lavoro si hanno due tentativi di conciliazione quello stragiudiziale e quello giudiziale (obbligatorio). La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento «valutabile ai fini della decisione» (come argomento di prova). Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa (la mancata conoscenza, senza gravi ragioni, è valutata dal giudice ai fini della decisione). La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se le parti si conciliano, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo. b) effettuato l'interrogatorio libero ed il tentativo di conciliazione, ove quest'ultimo abbia esito negativo, il giudice è obbligato a formulare una proprosta transattiva (l.183/2010) che oggi con il d.l. 69/2013 può essere anche semplicemente conciliativa. Se non si raggiungono accordi o transizioni, le parti hanno la facoltà di modificare o precisare le domande, le eccezioni e le conclusioni, ma solo per gravi motivi e previa autorizzazione del giudice (in ciò una differenza con il processo ordinario, ove l’emendatio libelli non è soggetta ad alcuna autorizzazione). c) ove vi sia stata un'eventuale chiamata in causa di terzi, il giudice dovrà differire l'udienza di discussione, disponendo che entro 5 giorni a cura del chiamante vengano notificati al terzo il provvedimento, il ricorso introduttivo e la memoria di costituzione, osservati i termini inerenti alla notifica del ricorso introduttivo. Il terzo deve costituirsi almeno 10 giorni prima della nuova udienza, con la memoria difensiva di cui all'art. 416. d) effettuato l'interrogatorio libero ed il tentativo di conciliazione, se l'esito è negativo, si dà corso all'attività istruttoria. A questo proposito il giudice ammette le prove indicate negli atti introduttivi e quelle eventualmente dedotte in udienza che le parti non abbiano potuto proporre prima. Queste ultime sono essenzialmente le prove rese necessarie (e solo queste) in conseguenza delle deduzioni di merito o istruttorie di controparte. Le parti non possono dedurre ab origine anche prove su eventuali fatti nuovi ancora non emersi dagli atti e che potranno essere palesati solo dalla difesa avversaria, in questo caso la parte potrà dedurre le prove su tali fatti direttamente in udienza ed alla controparte spetterà il diritto di proporre eventuali prove contrarie nel termine ulteriore di 5 giorni. se la controparte si avvale di tale diritto di replica, il giudice differisce l'udienza di un termine non superiore a 10 giorni e all'udienza successiva provvede all'ammissione di tutte le prove (se ammissibili e rilevanti); se la controparte non si avvale del diritto di replica, l'ammissione delle prove può avvenire direttamente in prima udienza. Ammesse le prove alla prima udienza o in quella successiva, dovrà seguire la loro assunzione che potrà avvenire all'udienza in cui le prove sono state ammesse o in una ulteriore, da tenersi anch'essa in un termine non superiore a 10 giorni dalla precedente (che nel caso di necessità del rinvio dell'assunzione, è concesso alle parti di presentare note difensive, almeno cinque giorni prima dell'udienza). PROVE NEL PROCESSO DEL LAVORO a) per il principio di eventualità, tutte le prove debbono essere dedotte a pena di decadenza negli atti introduttivi (salvo quelle che la parte non ha potuto produrre prima). Il giudice può ammettere le prove proposte dalle parti e procedere alla loro immediata assunzione, se non è possibile assumere le prove in udienza, ne è prevista un’altra, da tenersi entro 10 giorni dalla prima per l’assunzione della prova, eventualmente concedendo alle parti un termine per il deposito di note difensive 5 giorni prima dell’udienza. 70 Il potere di ammettere prove d'ufficio in qualsiasi momento (con esclusione del solo giuramento decisorio) non può essere inteso come mezzo per sopperire all'inerzia delle parti, ma solo per integrare il materiale istruttorio già acquisito da queste ultime al fine di una più completa cognizione del giudice. Tale potere consente di ammettere le prove anche «fuori dei limiti stabiliti dal codice civile», possono superarsi i limiti imposti dalla norma sostanziale, ma non quelli disposti dalla legge processuale, le persone incapaci a testimoniare non possono neanche qui essere assunte come testi, anche se v'è nel rito del lavoro la facoltà per il giudice (esercitabile sempre ex officio) di «interrogarle liberamente» sui fatti della causa. Nel caso di ammissione di nuove prove, sia d’ufficio, sia proposte dalla parte che si era trovata nell’impossibilità di indicarle in precedenza, sarà necessario rinviare ad altra udienza concedendo, ove ricorrano giusti motivi, termine di 5 giorni prima per il deposito di note difensive. b) Al giudice compete anche la: possibilità di richiedere d'ufficio informazioni alle associazioni sindacali indicate dalle parti, sia scritte che orali. A tali associazioni sindacali il giudice può anche richiedere il testo dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, possibilità di disporre l'accesso sul luogo del lavoro, se necessario per l'accertamento dei fatti, che rientra nei poteri ispettivi del giudice: solo che a differenza della normale ispezione, qui è richiesta l'istanza di parte. In tale sede, può essere espletata anche la prova testimoniale (se il giudice ritiene che se effettuata in questo luogo essa possa offrire maggiore contributo all'accertamento della verità, dato che il teste vede il luogo in cui si sono svolti i fatti). c) allorché il giudice ammette prove d'ufficio, il che può essere effettuato «in qualsiasi momento» del processo, deve essere sempre concesso alle parti un termine per controdedurre non superiore a 5 giorni. PROVVEDIMENTI INTERINALI DI CONDANNA: art. 423 possibilità che il giudice del lavoro concorrendo specifiche circostanze, possa emanare provvedimenti provvisori di condanna nella forma dell'ordinanza, prima ancora della pronunzia della sentenza: a) ordinanza di pagamento di somme non contestate (art. 423, primo comma): simile a quella prevista dall'art. 186bis per il processo ordinario, che consente al giudice del lavoro in ogni stato del giudizio, su istanza di parte, di disporre il pagamento delle somme richieste da una parte, che siano «non contestate» dall'altra parte (il giudice, su istanza di parte, in ogni stato e grado del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate). La «contestazione» in senso tecnico, tale da impedire la pronuncia dell'ordinanza in oggetto, è quella che indica in modo preciso e specifico le ragioni della contestazione e dunque si risolve, nella specifica allegazione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto altrui. L'ordinanza in oggetto è titolo esecutivo e resta fissata agli effetti del merito, tanto da non potere essere revocata dalla sentenza. b) ordinanza provvisionale (art. 423, secondo comma): simile a quella prevista dall'art. 186 quater, per il processo ordinario, anch'essa emanabile in ogni stato del giudizio ma solo su istanza del lavoratore, con la quale l'altra parte può essere condannata al pagamento di somme a titolo provvisorio, quanto il giudice ritenga «il diritto accertato e nei limiti della quantità» su cui ritenga raggiunta la prova Tale accertamento può raggiungersi anche in presenza della contestazione avversaria, quando sia per esempio basato su prove acquisite che facciano ritenere probabile l'esistenza in tutto o in parte del diritto azionato. Anche tale ordinanza è titolo esecutivo, ma a differenza della precedente, è «revocabile» con la sentenza che decide la causa. La legge non dice quale sia la sorte di tali provvedimenti nel caso di estinzione del processo, per analogia con l'art. 186bis ss., le ordinanze ex art. 423, sopravvivono nel caso di estinzione del processo. È da ritenere che le ordinanze provvisorie in materia di lavoro mantengano effetto, fino a quando non sono caducate dalla sentenza emessa in un nuovo procedimento che dimostri l'inesistenza del diritto su cui l'ordinanza si è fondata. DECISIONE: dopo aver fatto precisare le conclusioni, il giudice: a) la sentenza viene emanata direttamente in udienza, anziché nel termine di 60 giorni dal deposito 71 degli scritti difensivi finali come nel processo ordinario. Avviene cioè che all'udienza finale del processo le parti, precisate le conclusioni, discutono oralmente la causa: dopodiché il giudice pronuncia immediatamente la sentenza, dando lettura del dispositivo. Al massimo può avvenire che se nell'udienza finale, ad es. per la complessità della controversia, sorga la necessità per le parti di dovere illustrare per iscritto le loro tesi, il giudice può autorizzarle (ma non è tenuto a farlo) a presentare delle note difensive entro un termine non superiore a 10 giorni, rinviando l'udienza per la discussione e la pronuncia della sentenza. Pronunziato il dispositivo in udienza, dovrà poi essere redatta la motivazione, che va depositata in cancelleria entro 15 giorni dalla decisione. Il cancelliere ne dà comunicazione alle parti. b) ove la sentenza sia di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro a favore del lavoratore, il giudice deve disporre anche il pagamento degli interessi e del maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. Tale «maggior danno» è costituito dalla rivalutazione monetaria. c) Altra peculiarità del processo di lavoro è il meccanismo di esecutività della sentenza: l'esecutività della sentenza di primo grado, compete tanto al lavoratore, quanto al datore di lavoro. Solo che mentre il lavoratore può iniziare l'esecuzione sulla base del solo dispositivo, tale facoltà non spetta al datore di lavoro il quale potrà beneficiare anch'egli della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, ma dovrà attendere il deposito della motivazione ed iniziare il processo esecutivo sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza completa. Diversi sono anche i presupposti per la sospensione dell'esecutività della sentenza, che in entrambi i casi va disposta dal giudice d'appello e può essere totale o parziale, ma che richiede l'esistenza di un «gravissimo danno» nel caso che la sentenza sia a favore del lavoratore; mentre nell'ipotesi di condanna a favore del datore di lavoro, per la sospensione sono sufficienti «gravi e fondati motivi». ACCERTAMENTO PREGIUDIZIALE SULL'EFFICACIA, VALIDITÀ ED INTERPRETAZIONE DEI CONTRATTI E ACCORDI COLLETTIVI Art. 420bis Allorché la decisione dipende dalla risoluzione di una questione pregiudiziale concernente «l'efficacia, la validità o l'interpretazione» delle clausole di un contratto o di un accordo collettivo nazionale, tale questione va decisa con efficacia di giudicato e con sentenza parziale da pronunziarsi immediatamente. Risolta la questione con sentenza, la causa riprenderà il suo corso ad un'udienza che deve essere tenuta in un termine non anteriore a 90 giorni. La citata sentenza può essere impugnata solo con ricorso immediato per cassazione nel termine breve di 60 giorni decorrenti dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. La proposizione del ricorso ha l'effetto di determinare la sospensione del processo (obbligatoria), che però inizia solo dalla data del deposito presso il giudice di lavoro della copia del ricorso per cassazione notificato, deposito che deve avvenire a pena di inammissibilità del ricorso, nel termine perentorio di venti giorni dalla notifica. APPELLO L'appello che può essere diretto contro tutte le sentenze pronunciate nelle controversie di cui all'art. 409, tranne quelle che hanno deciso una controversia di valore non superiore ad € 25,82, si propone alla corte d'appello in funzione di giudice del lavoro «territorialmente» competente. La competenza territoriale si determina secondo il criterio generale, spettando il gravame alla corte nel cui distretto ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza impugnata. In caso di incompetenza territoriale della corte, l'eventuale riassunzione avverrà nel termine generale dell'art. 50. Procedimento: Modificato dalla legge 134/2012. L’atto di appello oltre a prevedere i requisiti del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado di cui all’art 414 ( cioè indicazione delle parti del giudice ecc) deve essere anche motivato (cioè indicare le parti del provvedimento che si vogliono appellare, le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, le circostanze da cui 72 e) difesa in giudizio le pubbliche amministrazioni, limitatamente al primo grado, possono stare in giudizio, anche attraverso i propri dipendenti. V'è solo un'eccezione per ciò che riguarda «le amministrazioni statali o ad esse equiparate», per le quali è consentito che l'avvocatura dello Stato competente possa assumere direttamente la difesa, ma solo ove vengano in rilievo «questioni di massima» o aventi «notevoli riflessi economici». Infine gli enti locali, oltreché attraverso i pubblici dipendenti, possono stare in giudizio utilizzando le strutture dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno. f) l’«accertamento pregiudiziale» sull'efficacia, validità ed interpretazione delle clausole dei contratti collettivi, è stato introdotto come norma generale per ogni tipo di controversia di lavoro. Nel procedimento che riguarda i pubblici dipendenti tale accertamento non viene effettuato subito in prima battuta dal giudice con sentenza, ma nell'ipotesi che il contratto o accordo collettivo nazionale sia stato sottoscritto dall'ARAN (Agenzia per la rappresentanza delle pubbliche amministrazioni) è prevista una fase amministrativa volta a tentare di raggiungere un accordo «sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa». L’ ARAN può anche intervenire nel processo in corso, può proprre ricorso in cassazione contro la sentenz sdel giudice, e anche se non interviene può sempre presentare memorie. PROCESSI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO processi di separazione artt. 706711 c.p.c processi di divorzio 1. n. 898 del 1970. Divorzio costituisce una sequela del giudizio di separazione (consente lo scioglimento del vincolo matrimoniale allorché l'eventuale separazione preventivamente intervenuta fra i coniugi, si sia protratta per il periodo di 3 anni a far data dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale). Sotto il profilo processuale, pur essendo i due riti originariamente diversi in quanto la disciplina del processo di separazione era molto più rudimentale di quella del divorzio, la 1. n. 74 del 1987 ha esteso al procedimento di separazione praticamente l'intera procedura del divorzio. Entrambi i procedimenti per lo meno se si considera il loro svolgimento contenzioso, si attuano in due fasi, la prima delle quali di fronte al presidente del tribunale (che tenta di conciliare le parti ed adotta gli eventuali provvedimenti urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole) e la seconda di fronte al giudice istruttore, nelle forme del rito ordinario di cui agli artt. 163 ss. c.p.c. e che si chiude con sentenza. SEPARAZIONE separazione giudiziale (art. 706 ss.) – art. 151 c.c. Per esperire la separazione giudiziale, è sufficiente che si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi. Non è richiesta alcuna imputabilità di tali fatti ad uno o ad entrambi i coniugi, ma ognuno dei coniugi può inserire nel procedimento anche una richiesta di addebito della separazione all'altro coniuge, quando il comportamento di quest'ultimo sia contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. L'«addebitabilità» della separazione all'un coniuge, comporta che costui, anche se non ha adeguati redditi propri, non debba percepire alcun assegno di «mantenimento», ma solo quello «alimentare». Forma della domanda competenza: la domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza, anagrafica, comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’attore, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. forma: la domanda si propone con ricorso, che deve contenere l'esposizione dei fatti su cui la 75 domanda si fonda nonché l'indicazione dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio ed al quale il ricorrente deve allegare le ultime dichiarazioni dei redditi presentate degli ultimi tre anni. Il presidente, nei 5 giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé (che deve essere tenuta entro 90 giorni dal deposito del ricorso), nonché il termine per la notifica del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti (anche per il convenuto esiste l'obbligo, analogo a quello dell'attore, di depositare le ultime dichiarazioni dei redditi). Comparizione personale delle parti All'udienza presidenziale, i coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l'assistenza del difensore (comparizione alla quale dovrà essere accompagnata oggi anche quella dei figli minori): se il ricorrente non compare o rinuncia, la domanda non ha effetto, per cui il presidente chiuderà la vertenza con una pronunzia di improcedibilità, che non impedirà tuttavia la riproposizione ex novo della richiesta di separazione, anche se basata sugli stessi fatti; se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. Questo potere discrezionale non è però senza limiti, in quanto può essere esercitato solo se il giudice ritiene che la comparizione possa non essere avvenuta per qualche ostacolo particolare. Nel caso in cui il coniuge convenuto non compare il giudice fissa udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore. La mancata comparizione del coniuge convenuto è equiparata alla mancata conciliazione, tanto da comportare il passaggio alla successiva fase contenziosa. Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente tentandone la conciliazione: se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione; se la conciliazione non riesce, v'è il passaggio alla seconda fase del procedimento, a carattere contenzioso e svolgentesi di fronte al giudice istruttore. Il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore. Prima dell'emanazione di tali provvedimenti (e cioè dopo l'audizione dei coniugi), il giudice può assumere anche d'ufficio mezzi di prova e deve comunque sentire obbligatoriamente il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore ove capace di discernimento. Notificazione dell’ordinanza e fissazione dell’udienza (passaggio alla fase istruttoria) L’ordinanza con la quale il presidente fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore è notificata a cura dell’attore al convenuto non comparso, nel termine perentorio stabilito nell’ordinanza stessa, ed è comunicata al pubblico ministero. Con l'ordinanza del presidente viene assegnato un termine al ricorrente per il deposito di una memoria integrativa avente i requisiti di cui ai nn. 2, 3, 4, 5 e 6 dell'art. 163, nonché termine al convenuto per la propria costituzione in giudizio nelle forme degli artt. 166 e 167. Quest'ultimo si costituisce dunque con una comparsa di risposta, che deposita 20 giorni prima dell'udienza di fronte al giudice istruttore, termine preclusivo per la presentazione da parte del convenuto di successive eventuali eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio. Con tale comparsa può essere per la prima volta proposta l'eventuale domanda di addebito da parte del convenuto. L'ordinanza del presidente del tribunale, oltre a segnare il passaggio alla fase istruttoria, può contenere anche gli eventuali provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi. In seguito alla legge n. 54 del 2006, si è resa necessaria una nuova procedura per 76 risolvere i conflitti tra coniugi che abbiano l’affidamento condiviso dei figli. La nuova normativa non esclude che un solo coniuge possa ottenere l’affidamento del figlio (affidamento esclusivo), ciò sarà possibile quando il giudice ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. Segue l'assegnazione della casa coniugale ad uno dei due coniugi, va effettuata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Vengono disposti gli eventuali provvedimenti economici a favore dei figli (anche maggiorenni non indipendenti economicamente) e dell'altro coniuge. I provvedimenti presidenziali sono soggetti a reclamo, da proporre con ricorso alla Corte d'Appello (che si pronuncia in camera di consiglio) entro 10 giorni dalla notifica del provvedimento. Inoltre, tali provvedimenti possono essere modificati e revocati dal giudice istruttore. reclamo è consentito anche per il riesame (anche sulla base di eventuali nuove acquisizioni) delle circostanze poste a fondamento dei provvedimenti presidenziali. potere di revoca del giudice istruttore, affinché non si sovrapponga al reclamo e ne vanifichi il termine di proponibilità, dovrà essere circoscritto esclusivamente a due ipotesi: 1) eventuale mutamento delle circostanze, che faccia ritenere non più adeguato il provvedimento; 2) eventuale valutazione anche di circostanze preesistenti, che erano ignote al momento dell'emanazione del provvedimento presidenziale. Udienza davanti al giudice istruttore Il prosieguo del procedimento di separazione davanti al giudice istruttore, si articolerà secondo il modello del procedimento ordinario di cognizione, con l'applicazione degli artt. 183 e 184. È stato attribuito al giudice istruttore della causa di separazione il potere di disporre misure strumentali atte a garantire il rispetto dei provvedimenti presidenziali (es. potere di sequestrare parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento nel corso della separazione). Per il resto, il procedimento si chiuderà con sentenza. Qualora il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il giudice deve emettere sentenza non definitiva relativa alla separazione. La sentenza definitiva di separazione, (allorchè ciò non sia avvenuto con sentenza non definitva) oltreché statuire sulla separazione medesima, deciderà anche sull'eventuale pronunzia di addebito, nonché sui provvedimenti a favore del coniuge e della prole. All'impugnazione della sentenza definitiva si applica il rito camerale. Risoluzione delle controversie in caso di inadempienze o violazioni Se l'art. 709ter pare limitato a controversie concernenti la prole,l'art. 710 è riferibile ad ogni tipo di controversie (e quindi anche a quelle di ordine patrimoniale fra i coniugi). Tipi di contese che possono insorgere nell'ambito di un procedimento di separazione: a) controversie di ordine economico riguardanti i rapporti fra i coniugi: ad esempio per mancato versamento dell’assegno di mntenimento. Il creditore può invocare l'efficacia di titolo esecutivo dei provvedimenti o del provvedimento finale di separazione. Il coniuge creditore, potrebbe avere anche una tutela rinforzata sotto il profilo penale. b) controversie di ordine economico riguardanti i figli: es. nel caso del mancato versamento o del versamento parziale o comunque irregolare dell'assegno nei confronti dei figli, accanto agli strumenti dati dalla forza del titolo esecutivo che dispone l'assegno e dalla indiscussa applicazione della tutela penale, può prospettarsi anche l'applicabilità di una delle sanzioni di cui all'art. 709ter 2° co., e cioè: 1. ammonizione del genitore inadempiente; 2. risarcimento danni da parte del genitore inadempiente a favore del minore; 3. risarcimento danni da parte del genitore inadempiente a favore dell'altro; 4. condanna del genitore inadempiente ad una sanzione da € 75 a 5.000 a favore della cassa delle ammende. c) controversie nascenti dal disaccordo circa le decisioni sull'istruzione e la salute dei figli: in tali casi la decisione è rimessa al giudice. Tecnicamente queste controversie dovrebbero rientrare fra quelle previste nell'art. 709ter, 1° co., come controversie insorte in ordine «all'esercizio della potestà genitoriale». d) controversie inerenti all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento: 77 residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’attore, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica. forma: la domanda si propone con ricorso, che deve, anche in questo, contenere l'esposizione dei fatti su cui la domanda si fonda nonché l'indicazione dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio ed al quale il ricorrente deve allegare le ultime dichiarazioni dei redditi presentate degli ultimi tre anni. Una particolarità specifica che non si riscontra nel procedimento di separazione, è che dell'atto di ricorso per lo scioglimento del vincolo il cancelliere dà comunicazione all' ufficiale dello stato civile del luogo in cui il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all'atto. b) L'udienza di comparizione dinanzi al presidente si svolge allo stesso modo di quella di separazione con l'assistenza di un difensore: i coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore: se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto; se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentando di conciliarli: se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione; se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e dalla prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. c) Simile è anche il passaggio dalla fase presidenziale a quella istruttoria, che avviene per l'attore attraverso il deposito della memoria integrativa contenente i requisiti di cui ai nn. 2, 3, 4, 5 e 6 dell'art. 163 c.p.c. e per il convenuto attraverso la comparsa di risposta, atti entrambi che debbono essere depositati in cancelleria. Questi atti servono anche qui alla costituzione in giudizio delle parti ed anche qui valgono per il convenuto le relative preclusioni, per cui le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio vanno proposte con la comparsa di risposta, pena la decadenza dalle stesse. Analogamente, lo svolgimento del rito è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 183 e 184. È sempre prevista la presenza del pubblico ministero. La decisione avviene con sentenza, la quale può essere anche non definitiva, stabilendo sulla sola cessazione del vincolo, allorché il processo debba continuare «per la determinazione dell'assegno». Vi è qui una diversità con l'art. 709bis, in materia di separazione, il quale consente l'emanazione della sentenza non definitiva anche nel caso in cui il processo debba continuare per le questioni inerenti all'«affidamento dei figli». L'appello contro la sentenza è deciso in camera di consiglio ed è proponibile dalle parti e dal pubblico ministero limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci. d) Un punto particolare concerne i provvedimenti presidenziali disposti nell'interesse del coniuge e della prole: il loro ambito è più ampio di quelli previsti dalla 1. div. la tutela nei confronti di tali provvedimenti è più ristretta di quella stabilita per la separazione, essendo prevista solo la loro revocabilità da parte del giudice istruttore, e non essendo contemplato il reclamo e) Effetti della sentenza di divorzio: essa, oltre a pronunziare sullo scioglimento del vincolo e sui provvedimenti conseguenti, deve anche recare l’ordine all'ufficiale di stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere all'annotazione della sentenza. Tale prescrizione è operativa solo con il passaggio in giudicato della stessa, non essendo consentita la provvisoria esecuzione della sentenza di accertamento (la sentenza è provvisoriamente esecutiva solo per i 80 provvedimenti di natura economica). A tale incombenza l'ufficiale di stato civile adempie in seguito alla comunicazione della sentenza definitiva effettuata dal cancelliere. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale «a tutti gli effetti civili» ha effetto solo con la suddetta annotazione. Per ciò che riguarda i provvedimenti di affidamento dei figli, di assegnazione della casa familiare, e quelli di ordine patrimoniale rispetto al coniuge e ai figli, si applicano gli artt. 155 ss. c.c., va aggiunto solo: 1) che l'assegno a favore del coniuge può anche essere dato in unica soluzione, purché vi sia l’accordo delle parti e questa sia ritenuta equa dal tribunale; 2) che l'obbligo di pagamento dell'eventuale assegno periodico, cessa se il coniuge al quale deve essere corrisposto «passa a nuove nozze» Effetti relativi alla cessazione del vincolo: 1) donna «perde il cognome» che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio. 2) nel caso di morte del coniuge, il coniuge divorziato, se il primo non ha un coniuge superstite ha diritto alla pensione di reversibilità se concorre il seguente triplice ordine di condizioni: a) che non sia passato a nuove nozze; b) che sia titolare dell'assegno di mantenimento; c) che il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. Se invece il defunto lascia un coniuge superstite, al coniuge divorziato che sia titolare dell'assegno di mantenimento va comunque attribuita «una quota della pensione» tenuto conto della «durata del rapporto». 3) al coniuge divorziato, se non passato a nuove nozze e sempre in quanto sia titolare dell'assegno di mantenimento, spetta anche «un a percentuale dell'indennità di fine rapporto» percepita dall'altro coniuge. 4) erogazione della pensione di reversibilità a favore dei genitori divorziati nel caso di morte del figlio. f) All'«attuazione» dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito. g) Meccanismo di revisione delle condizioni del divorzio, relativamente all'affidamento dei figli e al contributo di mantenimento di costoro e della moglie (se la controversia riguarda l'affidamento dei figli è obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero). Il procedimento si svolge secondo il rito in camera di consiglio. Cocludendo: oltre alla ovvia diversità di presupposti e delle specifiche conseguenze del divorzio proprie solo di quest'ultimo la procedura di divorzio si diversifica da quella della separazione per: 1) manca nel procedimento di divorzio la possibilità del reclamo alla corte d'appello ex art. 708, stabilita per la separazione. 2) la sentenza non definitiva di divorzio è ammissibile solo in quanto il procedimento debba continuare per la determinazione dell'assegno di mantenimento, non anche per i provvedimenti riguardo ai figli come invece nel caso dell'art. 709bis c.p.c. per la separazione. 3) solo nel divorzio è ammessa la possibilità di corrispondere l'assegno una tantum. Domanda congiunta di divorzio: non va considerata come una forma di «divorzio consensuale» analoga cioè alla separazione consensuale, poiché a differenza di quest'ultima: il consenso di entrambi i coniugi non è sufficiente per ottenere lo scioglimento del vincolo, dovendo il giudice pur sempre accertare l'esistenza dei presupposti di cui agli artt. 1, 2 e 3 1. div., mancando i quali la domanda può essere respinta. Il che non esime pertanto il giudice, ove sia necessario, dall'effettuare l'istruttoria che si reputi opportuna per la verifica delle suddette condizioni (decisione è disposta «verificata l'esistenza dei presupposti di legge»). il giudice deve valutare la rispondenza all'interesse dei figli delle condizioni indicate dai coniugi: nel caso che il tribunale ritenga che tale rispondenza non vi sia, non respinge la domanda (come invece avviene nella separazione consensuale, nella quale può essere rifiutata l'omologazione), ma provvede a disporre i provvedimenti come nel caso della non riuscita della conciliazione. non si pone il problema della revoca del consenso prima dell'udienza, poiché anche se tale revoca interviene, essa resta irrilevante, spettando esclusivamente al giudice di valutare 81 l'esistenza delle condizioni per disporre lo scioglimento del vincolo. Il vantaggio specifico della domanda congiunta sta, oltre che nell'eliminazione della conflittualità, nella circostanza dell'uso del procedimento camerale ex art. 737 ss. c.p.c., molto più breve di quello ordinario. La domanda si propone con ricorso al tribunale competente e deve indicare compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Anche se si opta per la necessità del tentativo di conciliazione, la mancata comparizione dei coniugi non è di ostacolo al proseguimento della procedura sulla domanda congiunta (in ciò un'altra differenza con la separazione consensuale). La decisione è disposta con sentenza, la quale è appellabile e successivamente per cassazione, come nella normale procedura di divorzio. Nel caso di rigetto, la sentenza é appellabile su tutti i capi da ciascuno dei coniugi, mentre nel caso di accoglimento, l'appello dei coniugi potrà proporsi solo per ciò che riguarda le statuizioni accessorie relative alla prole e all'assegno di mantenimento. EFFICACIA DELLE SENTENZE E DEGLI ATTI STRANIERI Sistema introdotto dalla l. n. 218/ 1995 La 1. n. 218 del 1995 ispirandosi al principio della libera circolazione del prodotto giudiziario, ha optato per il sistema del riconoscimento automatico nello Stato della sentenza straniera (ed anche dei provvedimenti di volontaria giurisdizione) che abbia i requisiti previsti dall'art. 64 della legge, che peraltro sono supposti esistenti: nel senso che la sentenza straniera ha diretta efficacia nello Stato senza necessità di porre in essere alcun procedimento per accertarli. Tale effetto automatico avviene tuttavia solo ai fini del riconoscimento nel territorio della Repubblica della sentenza straniera come atto giuridico produttivo di ogni effetto che le è proprio (ivi compreso quello dell'autorità di cosa giudicata), esclusion fatta per l'efficacia esecutiva. Il limite al riconoscimento automatico è dato dall'impiego della sentenza ai fini dell'esecuzione forzata, in tal caso chiunque vi abbia interesse deve promuovere davanti alla corte d'appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento (in pratica si tratta di un meccanismo analogo a quello della vecchia delibazione). Analogo accertamento può essere promosso anche da parte di chi voglia contestare l'efficacia automatica della sentenza, anche semplicemente a fini non esecutivi, sul presupposto che non sussista taluno dei requisiti previsti dall'art. 64. In tali due casi (contestazione esecutività e/o contestazione efficacia automatica ex aer 64) l'interessato deve provocare la procedura di riconoscimento al fine di dimostrare che taluno di quei requisiti non sussiste. I requisiti che occorre accertare in tali casi e che debbono essere tutti presenti affinché la sentenza abbia efficacia nello Stato sono previsti dall'art. 64 e sono i seguenti: 1. verificare che il giudice che l'ha pronunziata (nello Stato estero) poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano. Bisogna verificare se lo straniero nei cui confronti è stata emessa la sentenza, avrebbe potuto essere citato nello Stato italiano. 2. verificare se l'atto introduttivo del processo è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo in cui si è svolto il processo e che non sono stati violati i diritti essenziali della difesa. 3. verificare che le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo e che sempre secondo tale legge è stata dichiarata l'eventuale contumacia. 4. la sentenza deve essere passata in giudicato, secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata e non deve essere contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato. 5. non deve poi pendere di fronte al giudice italiano un processo per il medesimo oggetto e fra le stesse parti che abbia avuto inizio prima del processo straniero. 6. sentenza straniera non deve produrre effetti contrari all'ordine pubblico. (si intende: il complesso dei principi, sostanziali e processuali, fondamentali caratterizzanti l’atteggiamento eticogiuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico; in particolare tra i processauli spiccano quelli di assunzione delle prove: sarà contraria all’ordine pubblico una sentenza emessa sulla base di prove illecite benchè ammesse nello stato pronunciante ad es. la narcoanalisi interrogatorio reso sotto farmaci capaci di produrre nel paziente uno stato simile a quello ipnotico). L'art. 65 della 1. n. 218 del 1995, consente un'attenuazione del complesso dei requisiti, allorché il 82 disposti da un giudice straniero, l'assunzione avviene previa dichiarazione di esecutività nello Stato del provvedimento straniero che ammette la prova, da richiedersi con ricorso dell'interessato alla corte d'appello del luogo in cui si deve procedere a tali atti, la quale provvede con decreto in seguito a procedimento in camera di consiglio. L'assunzione avviene secondo la legge italiana ed eventuali «forme» richieste espressamente dall'autorità giudiziaria straniera, si osservano solo se «compatibili» con i principi dell'ordinamento italiano. Se si tratta di mezzi di prova atipici (cioè non previsti dall'ordinamento italiano), il visto di esecutività al provvedimento straniero può essere dato solo se essi non contrastino con «i principi dell'ordinamento italiano». Se si tratta di prove ammesse d'ufficio nello Stato straniero, la richiesta è trasmessa in via diplomatica da giudice a giudice. d) Per quanto riguarda infine le notificazioni da effettuarsi nello Stato, relative a citazioni a comparire davanti ad un giudice straniero o ad atti provenienti da uno Stato estero, esse sono autorizzate dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui circoscrizione la notificazione si deve eseguire. Anche qui la notificazione segue la legge italiana, osservandosi le «modalità» richieste dall'autorità straniera solo se compatibili con i principi dell'ordinamento italiano. ARBITRATO Principale mezzo di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione ordinaria, consiste nel deferimento del giudizio in materia di diritti disponibili (art. 806 c.p.c.) ad uno o più privati cittadini (purché in numero dispari: art. 809), affinché decidano con un provvedimento detto lodo, idoneo alla definizione della controversia con effetti analoghi a quelli della sentenza (per lo meno per ciò che concerne l'arbitrato rituale). La proposizione di fronte al giudice ordinario di una controversia compromessa in arbitri (cioè decisa da questi), determina l'incompetenza del primo (art. 819ter) il quale deve declinare dal decidere il merito. Difettano agli arbitri i poteri coercitivi propri del giudice. Arbitrato è giudizio (carattere che non compete, né alla conciliazione, né alla transazione, dove non si ha una risoluzione della controversia nel senso di un soggetto vincente vs. uno soccombente ma una eliminazione della stessa mediante reciproche concessioni) ed è anche processo giacché consente la risoluzione della controversia ad opera di un soggetto che si trova in posizione di terzietà rispetto le parti (equivalente giurisdizionale). PRESUPPOSTI DELL'ARBITRATO: può attuarsi, solo se (disciplina modificata radicalmente nel 2006): 1) la controversia ha per oggetto diritti disponibili (disponibilità del diritto): viene a ricomprendere tutti i diritti di ordine patrimoniale. L'arbitrabilità, anche se in materia di diritti disponibili, può essere esclusa in virtù di un espresso divieto di legge; le controversie di lavoro possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro. 2) c’è il consenso di entrambe le parti e previa attribuzione del potere di giudicare agli arbitri fatta dalle parti attraverso la convenzione di arbitrato, atto con cui le parti conferiscono agli arbitri la potestas decidendi della controversia, deve essere in ogni caso scritto a pena di nullità. Le parti possono convenire di ricorrere ad arbitri attraverso tre tipi di negozi: compromesso (art. 807): contratto con il quale le parti conferiscono agli arbitri il potere di decidere «controversie tra di loro insorte», cioè controversie attuali; clausola compromissoria (art. 808): clausola apposta ad un contratto o in un atto separato con il quale le parti firmatarie attribuiscono agli arbitri il potere di decidere eventuali future controversie nascenti dal contratto medesimo. Qui la controversia non è già insorta come nel caso del compromesso e non si sa neppure se insorgerà, ma per l'ipotesi che ciò avvenga, il potere decisorio è riservato agli arbitri. La clausola compromissoria ha un ambito più ristretto di quello del compromesso, potendo riguardare solo controversie nascenti dal contratto cioè controversie di natura «contrattuale», mentre il compromesso può concernere anche materia extracontrattuale (purché ovviamente di carattere disponibile); convenzione di arbitrato in materia non contrattuale (art. 808bis): introdotta dalla riforma del 2006, le parti possono decidere con la convenzione che siano decise da arbitri le 85 controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati. Ha carattere preventivo (come la clausola compromissoria), ma non è limitato alla sola materia contrattuale bensì può concernere anche controversie sorgenti da atti o comportamenti unilaterali (come il compromesso). È un tertium genus, deve essere specifica, cioè riferirsi ad uno o più rapporti non contrattuali «determinati» e non meramente generica. ARBITRATO E FIGURE AFFINI: ARBITRAMENTO E PERIZIA CONTRATTUALE arbitrato rituale: consente che gli arbitri possano decidere la controversia con un provvedimento che ha effetti analoghi a quelli della sentenza. Della sentenza il lodo, ha: sia l'autorità (e cioè l'efficacia di cui all'art. 2909 c.c.); sia l'esecutività (che può conseguire solo all'exequatur giudiziale, la parte che intende portare ad esecuzione il lodo dovrà depositarlo nella cancelleria del tribunale dove è la sede dell’arbitrato); arbitrato irrituale (o libero): disciplinato per la prima volta nel codice all'art. 808ter con la riforma del 2006, simile al primo per ciò che riguarda i presupposti (necessità del compromesso o della clausola compromissoria, possibilità di impiego per i soli diritti disponibili, ecc.), ma diverso per gli effetti. Non può definirsi un sostitutivo della giurisdizione civile, avendo il suo lodo solo efficacia negoziale (le parti possono stabilire che gli arbitri possano decidere la controversia «mediante determinazione contrattuale»). L'efficacia del lodo non è dunque quella della sentenza, ma è un'efficacia meramente «contrattuale» («lodo contrattuale»). Il tipo di negozio che gli arbitri possono porre in essere per eseguire l’incarico può essere, a seconda dei casi, una transazione, una rinuncia, ecc. Ad esso, non solo non compete l'efficacia di cui all'art. 2909 c.c., ma neppure l'efficacia esecutiva prevista dall'art. 825. Se la controparte non lo ottempera, la parte vincitrice non può ricorrere all'esecuzione forzata (come per il rituale), si trova nella stessa posizione di colui che intende ottenere l'esecuzione di un contratto di diritto privato inadempiuto, per cui, deve iniziare un giudizio di cognizione rivolgendosi al giudice ordinario competente per materia, valore e territorio, per ottenere una sentenza di condanna all'adempimento del lodo rimasto inattuato. Il tenore contrattuale del lodo fa poi si che anche l'eventuale sua impugnazione non sia regolata dalle disposizioni sulle impugnazioni del lodo rituale, ma va proposta anch'essa di fronte al giudice di primo grado competente secondo le ordinarie regole di competenza per materia, valore e territorio, per i cinque motivi di doglianza di cui all'art. 808ter, 2° co., ai quali debbono però intendersi aggiunti, anche i motivi di impugnazione contrattuale per vizi del consenso (errore, violenza e dolo). Anche il compromesso in arbitrato irrituale, esclude la possibilità di adire l'autorità giudiziaria ordinaria, anche se l’exceptio compromissi si configura qui non come un'eccezione di incompetenza, ma come un'eccezione di merito. arbitraggio (o arbitramento) istituto esclusivamente civilistico, art. 1349 c.c. situato nella parte del codice civile dedicata al contratto: le parti di un negozio possono deferire ad un terzo (arbitratore) la «determinazione della prestazione» che ne costituisce l'oggetto. L'arbitratore è chiamato dalle parti ad integrare un contratto, determinandone un elemento mancante (ad es. prezzo). La differenza con l'arbitrato risiede nel fatto che mentre questo (tanto se rituale, che irrituale) serve a dirimere una controversia giuridica (lesione di un diritto soggettivo), l'arbitramento risolve solo una controversia di ordine economico. Non vi è qui alcuna lesione di diritti soggettivi da riparare, ma solo da integrare la deficitaria volontà delle parti. Non si applicano i principi generali dell’arbitrato. determinazione con equo apprezzamento: se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita ad un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice. determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo. Esso non si pone in alcun rapporto di esclusione con la giustizia ordinaria, che anzi in certi casi 86 può intervenire per sostituire la determinazione del terzo mancante o viziata. perizia contrattuale (o arbitrale): allorché le parti attribuiscono ad uno o più terzi il potere di effettuare una valutazione tecnica in merito ad un contrasto fra esse incorso (es. clausola inserita nelle assicurazioni sugli infortuni, che prevede che allorché insorga fra l'assicurato e l'assicuratore una controversia sull'entità del danno, tale determinazione è rimessa ad un medico). Normalmente questo istituto è apparentato all'arbitramento, le cui regole secondo la giurisprudenza dovrebbero applicarsi anche per ciò che riguarda le relative impugnative. Ma vi è qualche autore che ritiene che esso configuri un vero e proprio arbitrato rituale, sia pure con effetto limitato alla sola determinazione del quantum, pertanto è alla disciplina dell’arbitrato che bisognerebbe rifarsi, sia per il procedimento, sia per ciò che concerne l’impugnazione del provvedimento dei periti. A differenza dall'arbitramento, nella perizia contrattuale il terzo risolve una controversia giuridica insorta tra le parti, sia pure con riferimento al solo quantum debeatur. La proposizione dell'azione giudiziaria, sarebbe in proposito da considerarsi inammissibile, potendo questa essere limitata al solo accertamento dell'an (non a quello del quantum, giacché su questo punto l'incarico peritale la preclude). INTERPRETAZIONE ED EFFETTI DELLA CONVENZIONE ARBITRALE: nel dubbio, la convenzione arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto a cui essa si riferisce (così se ad esempio se nella convenzione arbitrale è detto che spetterà agli arbitri decidere tutte le controversie circa la nullità, si intenderà che vadano ricomprese anche quelle afferenti all’annullabilità) . Dopo la riforma del 2006, l'art. 808ter dispone che la scelta dell'arbitrato irrituale va fatta con disposizione «espressa» per iscritto, pertanto ove vi siano dubbi o anche se le parti hanno fatto riferimento all'arbitrato senza ulteriori specificazioni, la normativa da applicare sarà sempre quella dell'arbitrato rituale. Gli effetti della convenzione arbitrale rimangono in piedi fino alla pronunzia del lodo e cadono con esso (naturalmente per ciò che riguarda la controversia decisa). Se l'annullamento del lodo avviene tout court, senza che la corte d'appello possa giudicare la controversia nel merito, se si vuole pervenire alla decisione nel merito, bisogna iniziare ex novo il procedimento di fronte agli arbitri. La conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito non toglie efficacia alla convenzione d'arbitrato, essa dunque in questi casi sopravvive alla pronunzia del lodo, consentendo la riproposizione della domanda arbitrale sulla medesima controversia. ARBITRI (art. 809815): il numero degli arbitri può variare, purché in numero dispari. Se vengono nominati arbitri in numero pari, un arbitro ulteriore è nominato dal presidente del tribunale e se non ne è indicato il numero, essi, in mancanza di accordo delle parti, sono tre. La situazione che emerge dalla convenzione di arbitrato può essere triplice: 1) che gli arbitri siano già stati nominati nella stessa convenzione: l'attore deve notificare la domanda arbitrale al convenuto, avvertendo contestualmente gli arbitri che il processo è iniziato, affinché fissino la loro prima udienza; 2) che nella convenzione ne sia stato determinato solo il numero e la nomina sia stata rimessa alle parti: le parti devono provvedere alla nomina ex. art. 810. La parte che prende l'iniziativa dovrà notificare l'atto di nomina del proprio arbitro alla controparte, la quale dovrà a sua volta provvedere alla nomina del proprio con atto notificato entro 20 giorni. Nell'ipotesi che il convenuto non ottemperi, l'attore può richiedere la nomina dell'arbitro di controparte al presidente del tribunale del luogo della sede dell'arbitrato, il quale non può rifiutarsi. Va a questo punto nominato il terzo arbitro, la cui nomina viene spesso rimessa all'autorità giudiziaria o ad un organo diverso (ad es. presidente della camera di commercio); nel caso in cui la nomina del terzo arbitro sia rimessa alla volontà delle parti e costoro non si accordino in proposito, provvede anche qui il presidente del tribunale. 3) che la nomina di tutti gli arbitri sia stata rimessa ad un terzo: se costui non provvede si applica anche qui l'art. 810, che permette di ricorrere all'autorità giudiziaria. Nota: Non può essere arbitro chi è privo in tutto o in parte della capacità legale di agire (es. interdetti, minori). La nomina dell'arbitro non lo investe automaticamente del potere di decidere, perché ciò presuppone la sua accettazione, che deve essere sempre fatta «per iscritto» e può risultare dalla 87 sono ammissibili solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri. Sono sempre ammessi l’intervento ad adiuvandum e l’intervento del litisconsorte necessario. d) incidenti nel processo arbitrale: morte, estinzione, se persona giuridica, o perdita di capacità della parte: se una parte viene meno per morte o altra causa, ovvero perde la capacità legale, si continua il processo con l'adozione da parte degli arbitri delle misure idonee a garantire l'applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio. Se ciò richiede tempo, gli arbitri possono sospendere il procedimento. Se nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri possono rinunciare all’incarico. Ciò dimostra non solo l'esclusione nell'arbitrato del meccanismo dell'interruzione, ma anche di quello della successione universale nel processo. Il successore a titolo particolare potrà intervenire anche senza il consenso della parte o degli arbitri, e l'alienante può esserne estromesso con il consenso delle parti, che possono non volere che il processo prosegua solo nei confronti del successore, come nel caso in cui questo non dia garanzia di solvibilità. anticipazione delle spese: gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili, es. di segreteria o per consulenze. Salvo diverso accordo delle parti, gli arbitri determinano la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte (norma di per sè pericolosa proprio per la difficoltà del calcolo, che potrebbe far incorrere in responsabilità gli arbitri). Se una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese. Se le parti non provvedono all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate alla convezione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale. Gli effetti della convenzione di arbitrato vengono meno per tale controversia, che potrà a questo punto essere decisa solo dall'autorità giudiziaria. In pratica, avviene che gli arbitri nominati restano automaticamente esonerati dall'incarico e possono quindi rifiutarsi dal decidere, senza incorrere nella responsabilità. Non si tratta di una rinunzia ma di una cessazione automatica della loro potestas decidendi, della quale gli arbitri si limiteranno a dare atto a verbale. concessione dei provvedimenti cautelari: possibilità di richiedere provvedimenti cautelari si ha anche nel caso di arbitrato irrituale. Gli arbitri però non possono pronunciare provvedimenti cautelari e, di conseguenza, la domanda andrà proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge (ad es. come avviene per la sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari, che compete agli arbitri). questioni pregiudiziali di merito nell'arbitrato: gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie non arbitrabili,diritti indisponibili per es., salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge, e quindi non per volo partis. Quindi se nel corso di un giudizio di merito sorge una questione pregiudiziale spettante alla competenza degli arbitri, non si effettua la sospensione del processo per rinviare la decisione della pregiudiziale in sede arbitrale, ma questa viene direttamente decisa incidenter tantum dal giudice ordinario. sospensione: necessaria: l’arbitro deve sospendere il processo arbitrale quando: 1) vi è controversia innanzi ad un giudice penale; 2) sorge una questione pregiudiziale che non può essere decisa da arbitri perché deve essere decisa per legge con efficacia di giudicato; 3) nel corso del giudizio arbitrale insorga una questione di legittimità costituzionale a cui segua la remissione alla Corte costituzionale. Una volta cessata la causa di sospensione, il processo arbitrale si estingue se la parte non deposita istanza di prosecuzione nel termine fissato dagli arbitri o in mancanza entro un anno dalla cessazione della causa di sospensione. facoltativa: l’arbitro può sospendere il processo arbitrale: 1) per morte, estinzione o perdita della capacità della parte; in tal caso la sospensione è 90 facoltativa perché gli arbitri possono prendere misure idonee a garantire comunque il contraddittorio; 2) quando è invocata l’autorità di una sentenza nel giudizio arbitrale e questa è impugnata. ISTRUZIONE PROBATORIA: l’istruttoria o singoli atti di istruzione può essere svolta da tutti gli arbitri, ovvero da uno solo su delega degli altri. Gli arbitri: non possono derogare al principio dispositivo, il potere concesso agli arbitri di regolare lo svolgimento del giudizio riguarda solo il modus procedendi, cioè l’iter processuale dell'arbitrato, non può arrivare ad incidere sulle norme sulle prove che non sono vere e proprie norme di procedura e che stanno su un piano diverso dei vari atti di impulso. sono astretti dalle regole di valutazione della prova: non si può ritenere che il potere degli arbitri di regolare l'assetto processuale dell'arbitrato possa spingersi a modificare le regole sulla valutazione delle prove; la normativa generale stabilita in materia del codice, è direttamente applicabile anche all'arbitrato, mancando anche qui controindicazioni in proposito. il potere delle parti di incidere sulla struttura del procedimento è sicuramente più ampio di quello riservato agli arbitri, consistendo nella possibilità di emanare vere e proprie «norme», mentre agli arbitri spetta solo la possibilità di «regolare lo svolgimento» del giudizio. Tali norme potrebbero arrivare ad incidere anche sulla disciplina delle prove (il che non possono fare gli arbitri), che tendenzialmente potrebbe essere modificata dalle parti, salvo che non si tratti di norme che rispondano ad inderogabili principi di legge o che risultino inapplicabili all'arbitrato. Ex. dare all’arbitrato un assetto inquisitorio. Gli arbitri possono: assumere testimonianze e chiedere al presidente del tribunale di ordinare al testimone che si rifiuti di comparire di presentarsi davanti a loro (non sono previste sanzioni in caso di inottemperanza) chiedere informazioni alla pubblica amministrazione in merito ai documenti dell’amministrazione stessa (analogamente a quello che può fare il giudice ordinario). disporre un ispezione o chiedere l’esibizione nei confronti delle parti e dei terzi e possono valutare il rifiuto delle parti come argomento di prova; interrogare liberalmente o formalmente; nominare consulenti tecnici (qualora in una causa attinente un incidente aereo il collegio fosse costituito da 3 ingegneri aeronautici, essi non potrebbero decidere basandosi su propria scienza privata: sarebbe violazione del contradditorio > ci vogliono i consulenti delle parti); giuramento è inammissibile (tanto nella forma del decisorio che del suppletorio) a causa della sua intrinseca connessione con la sanzione penale inapplicabile nell'arbitrato; non possono pronunciare sulla querela di falso, data la necessaria presenza del pubblico ministero nel giudizio; in tale caso gli arbitri dovranno sospendere il giudizio e la querela dovrà essere proposta di fronte all'autorità giudiziaria. Situazione analoga sembrerebbe doversi adottare anche per la verificazione della scrittura privata, anche se potrebbe essere trattata anche dagli arbitri. Fermo restando l'obbligo della decisione collegiale per l'ammissione delle prove, la loro assunzione può esser delegata (in tutto o in parte) anche ad uno solo degli arbitri. RAPPORTI FRA GIUDIZIO ARBITRALE E GIUDIZIO ORDINARIO: a) rapporti di competenza: il difetto di potere degli arbitri, ancorché qualificato come «eccezione d'incompetenza», si risolve in realtà in una mancanza di potestas iudicandi dei primi, che può avere luogo anche al di fuori dei rapporti con l'autorità giudiziaria, come nel caso in cui il difetto dei poteri non riguardi i limiti della convenzione di arbitrato, ma altre cause. La mancanza della potestas iudicandi può avere luogo in quattro casi: 1) invalidità (inesistenza o nullità) o inefficacia della convenzione di arbitrato: si sana se non eccepito nella prima difesa successiva all'accettazione degli arbitri; 2) contenuto o ampiezza della stessa: è sempre rilevabile d'ufficio; 3) arbitrato su materie non compromettibili («controversia non arbitrabile»): è sempre rilevabile 91 d'ufficio 4) irregolare costituzione degli arbitri: è soggetto all'eccezione di parte, rilevabile durante tutto il corso del giudizio se concerne la nomina degli arbitri; Se l'eccezione viene sollevata o il vizio viene rilevato d'ufficio ove ciò è possibile, gli arbitri decideranno la questione con un lodo, che sarà definitivo e chiuderà il processo in rito ove essi riconoscano l'effettiva mancanza della loro potestas iudicandi, mentre sarà parziale in caso contrario. Resta sempre salva l'impugnazione per nullità in entrambe le ipotesi. Il difetto di potestas iudicandi degli arbitri, è questione che spetta all'esclusiva valutazione di questi ultimi, gli arbitri sono gli unici a giudicare dei loro poteri. Si tenga presente che il difetto di potestas iudicandi degli arbitri è questione che spetta all’esclusiva valutazione di quest’ultimi: non è possibile adire l’autorità giudiziaria per dichiarare ciò e far proseguire la controversia innanzi ad essa. La proposizione di fronte al giudice ordinario di una controversia compromessa in arbitri, determina una vera e propria incompetenza del primo, da rilevare nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale (cioè determina la competenza del giudice ordinario) limitatamente alla controversia dedotta in giudizio: cioè la preclusione alla competenza degli arbitri, opera solo per il giudizio di fronte al giudice ordinario attualmente in corso. La decisione del giudice, confermativa o negativa della propria competenza, può essere impugnata con il regolamento di competenza. Effetti della declaratoria di incompenteza del giudice a favore dell'arbitro e viceversa: non v'è translatio iudicii, in entrambi i casi il processo non continua di fronte all'arbitro o al giudice, ma riprende ex novo. A seguito della pronuncia di incompetenza del giudice, l'arbitro potrebbe essere vincolato solo se tale pronuncia fosse emessa dalla Cassazione, data l'efficacia panprocessuale delle decisioni della Suprema Corte, ma non se essa è emessa dal giudice di merito. In quest'ultimo caso qualora l'arbitro di fronte al quale il giudizio è successivamente instaurato declini anch'esso la propria competenza, non resterà che impugnare il lodo onde giungere anche qui ad una sentenza della Cassazione che stabilisca a chi spetta la competenza se al giudice o all'arbitro il quale resterà vincolato. Un ragionamento analogo si avrà nel caso inverso, qualora cioè l'arbitro declini la propria potestas iudicandi a favore del giudice e quest'ultimo declini a sua volta. Qui dovrà proporsi il regolamento di competenza contro la decisione del giudice, onde ottenere anche in questo caso una statuizione vincolante della Cassazione. b) litispendenza: fra il giudizio ordinario ed il giudizio arbitrale non esistono rapporti di litispendenza per cui se una stessa controversia viene proposta di fronte al giudice e all'arbitro, i due processi proseguono indisturbati fino alla pronuncia finale. c) connessione: nei rapporti fra procedimento arbitrale e procedimento ordinario, non valgono le regole sulla connessione. Se vi è connessione tra giudizio arbitrale e giudizio davanti al giudice, la competenza a decidere rimane in capo agli arbitri. LODO lodo è definitivo quando chiude integralmente il giudizio arbitrale; è possibile la pronuncia di un lodo non definitivo in due casi lodo che decide parzialmente il merito della controversia; è immediatamente impugnabile. Lodo parziale, è un lodo che non si ha su «questioni», ma su «domande»: e cioè nel caso in cui il giudizio arbitrale presenti più domande cumulate, alcune sole delle quali vengono decise (è il caso previsto per le sentenze dal n. 5 dell'art. 279). lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale; è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. Ricorre questa ipotesi quando nel corso del processo arbitrale insorge una «questione» (di rito o di merito) che se accolta, potrebbe definire il giudizio. La decisione avverrà sempre con lodo che sarà definitivo se la questione è accolta (analogamente a quanto avviene per la sentenza nei casi 1 e 2 dell'art. 279), mentre sarà non definitivo se essa è respinta (analogamente al caso di cui al n. 4 dell'art. 279). 92 passata in giudicato tra le parti, purché tale lodo o tale sentenza siano stati prodotti nel procedimento; 9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio; 10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; 11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie; 12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato. L'impugnazione per i motivi di cui sopra non è ammissibile se la parte ha dato causa al motivo di nullità o vi ha rinunziato o non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola del procedimento. impugnazione per motivi di diritti (errores in iudicando): l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è ammessa solo se è espressamente disposta dalle parti o dalla legge. Quindi non solo le parti possono preventivamente rinunziarvi, ma per poterla utilizzare, debbono prevederla espressamente. A meno che essa non sia espressamente disposta dalla legge. Casi di una previsione espressa ex lege dell'impugnazione per nullità per violazione delle regole di diritto: 1) allorché la decisione arbitrale è contraria all'ordine pubblico; 2) nelle controversie relative a rapporti di lavoro ex. art. 409, nelle quali l'impugnabilità può aversi anche per violazione di contratti e accordi collettivi; 3) allorché la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato; 4) quando l'oggetto del giudizio è costituito dall' impugnazione delle delibere assembleari. Decisione sull’impugnazione per nullità: la corte d’appello decide sull’impugnazione per nullità e, se l’accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo. Mentre in precedenza la corte, disposta la nullità del lodo pronunziava sempre anche sul merito salva la «volontà contraria di tutte le parti», oggi dopo la riforma del 2006 vi sono dei casi in cui la decisione sul merito è espressamente esclusa e sono quelli dei nn. 1 ,2 , 3, 4 e 10 dell'art. 829. Negli altri casi, la decisione sul merito si ha sempre, salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente (nella convenzione di arbitrato o con atto successivo). Nei casi in cui la corte si limita ad annullare il lodo senza decidere sul merito, quest'ultimo potrà essere deciso solo in sede arbitrale attraverso la riproposizione della domanda. La corte d'appello dovrà decidere il merito esclusivamente sulla base del materiale acquisito nel corso del procedimento arbitrale, senza la possibilità di potere assumere nuove prove. Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell’impugnazione per nullità, la corte d’appello può sospendere con ordinanza l’efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi (principio diametralmente opposto a quello espresso dall'art. 283 per la sospensione dell'esecutività della sentenza, che deve essere richiesta insieme all'impugnazione principale o incidentale). b) REVOCAZIONE OPPOSIZIONE DI TERZO: revocazione: il lodo può essere impugnato, nonostante qualsiasi rinuncia (sia preventiva che successiva), per i soli casi di revocazione straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395). Se le ipotesi di revocazione si verificano durante il corso del processo di impugnazione per nullità il termine per la proposizione della revocazione (30 giorni dalla conoscenza del vizio) è sospeso sino alla comunicazione della sentenza che abbia deciso sulla nullità. opposizione di terzo: si può proporre in tutti i casi indicati nell’art 404. Caratteristiche comuni alle due impugnazioni sopra indicate, sono le seguenti. 1) entrambe le impugnazioni si propongono (come del resto l'impugnazione per nullità) di fronte alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato; 95 2) il procedimento delle stesse si svolge secondo i termini e le forme stabilite nel libro secondo del codice. I termini sono 30 giorni, mentre il giudizio si svolgerà secondo le regole dell'appello, in quanto non derogate dalle norme specifiche previste per i giudizi di revocazione e opposizione di terzo; 3) la corte d'appello può riunire le impugnazioni per nullità, revocazione e opposizione di terzo nello stesso processo se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente trattazione e decisione delle altre cause. ARBITRATO AMMINISTRATO (art. 832): quando le parti nella convenzione di arbitrato rinviano per le regole del procedimento arbitrale, anziché alla libera determinazione degli arbitri, a regolamenti precostituiti da specifici enti (normalmente le camere di commercio). L'arbitrato amministrato che funziona sulla base di un regolamento precostituito, si contrappone all'arbitrato ad hoc, che è quello basato sulla libera volontà delle parti e degli arbitri, previsto dall'art. 806. Il vantaggio dell'arbitrato amministrato è quello di potere usufruire della struttura dell'ente al cui regolamento le parti dichiarano di aderire nonchè di rifarsi ad una procedura esattamente definita e studiata a priori. Normalmente, ove le parti decidano di avvalersi dell'arbitrato amministrato, la convenzione arbitrale rinvia integralmente al regolamento, per cui l'arbitrato si svolgerà secondo le regole che quest'ultimo prevede. Ma può avvenire che la convenzione di arbitrato, pur rinviando ad un dato regolamento, disponga anche specifiche disposizioni incompatibili con lo stesso 8ad es. le parti decidono di rinviare al regolamento della camera arbitrale di Milano, ma convengono che il compenso degli arbitri venga pagato secondo i paremetri del tariffario professionale anzichè secondo quelli della camera arbitrale): nel caso di contrasto tra quanto stabilito nella convenzione di arbitrato e quanto previsto dal regolamento, prevale la convezione di arbitrato, ne consegue che dovrà applicarsi il regolamento con le modifiche apportate dalla convenzione; Regolamento arbitrale può derogare alle disposizioni del codice (es. termine diverso per il deposito del lo), vi sono solo dei limiti a tali possibilità di deroghe: a) il regolamento può solo aggiungere ulteriori casi di sostituzione o di ricusazione, ma non può eliminare o modificare i casi esistenti nel codice. b) inibita ogni disposizione del regolamento che possa costituire violazione dei principi dell'ordine pubblico processuale o del giusto processo. Inoltre si fa divieto alle istituzioni a carattere associativo e a quelle dirette alla rappresentanza di interessi professionali , es. associazioni industriali, commercianti ecc, di poter nominare arbitri nelle controversie in cui sia coinvolto un associato/aderente. Norma a presidio dell’imparzialità arbitrale, estendibile all’arbitrato in genere. ARBITRATO INTERNAZIONALE: riforma del 2006 ha soppresso la figura dell’arbitrato internazionale, che altro non era se non un arbitrato interno caratterizzato dal fatto che alla data di sottoscrizione della convenzione di arbitrato, una delle parti avesse la propria residenza o la propria sede effettiva all'estero, oppure dovesse essere eseguita all'estero una parte rilevante delle prestazioni inerenti al rapporto controverso. L’arbitrato dal punto di vista processuale è solo nazionale o estero, pur potendo in entrambi i casi riempirsi di contenuti che possono trascendere il paese a cui si riferisce (es. la lingua) ARBITRATO ESTERO: reso all’estero secondo le leggi del luogo. Ciò che conta per potere qualificare un arbitrato come nazionale è che esso sia regolato per volere delle parti dalla legge processuale nazionale, cioè dagli artt. 806 ss. L'applicazione della legge processuale nazionale deve avvenire in toto e così per la nomina degli arbitri, lo svolgimento della procedura, il deposito del lodo, le impugnazioni, ecc. Ne consegue che non sembra esservi alcuna possibilità di un arbitrato nazionale in cui la sede non è nello Stato. La sede all'estero, determina il carattere non nazionale dell'arbitrato. In sostanza la sede dell'arbitrato, non è il luogo di svolgimento dell'arbitrato ma un requisito formale che serve a determinare il collegamento fra gli arbitri e l'autorità giudiziaria, ogni qualvolta la legge tale collegamento richiede. L'efficacia o l'esecuzione nello Stato di un lodo estero, è subordinata a un procedimento di riconoscimento, cioè di controllo di certi requisiti (preventivo controllo richiesto dalla parte interessata al fine di ottenere la dichiarazione di efficacia o di esecutività del provvedimento nello Stato, al 96 presidente della corte d'appello nella cui circoscrizione risiede l'altra parte). Tale controllo è limitato all'accertamento dell'esistenza di tre condizioni: a) che sia accertata la «regolarità formale» del lodo b) che la controversia poteva formare oggetto di convenzione di arbitrato secondo la legge italiana; c) che il lodo non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico. L'accertamento di tali tre soli requisiti è ritenuto sufficiente per ritenere il lodo straniero efficace o esecutivo nello Stato. Tutti gli altri possibili impedimenti che esso possa eventualmente presentare vengono ritenuti insussistenti, a meno che la parte interessata non li deduca in sede di opposizione. Opposizione Contro il decreto che accorda o nega l’efficacia del lodo straniero è ammessa opposizione da proporsi con citazione dinanzi alla corte d’appello entro 30 giorni dalla comunicazione, nel caso di decreto che nega l’efficacia nello Stato al lodo straniero o dalla notificazione del decreto che l'abbia accordata. Il giudizio si svolge nelle forme dell'opposizione a decreto ingiuntivo e termina con una sentenza impugnabile per cassazione. Contestazioni che possono essere mosse contro il decreto di riconoscimento e di esecuzione del lodo straniero possono essere di due tipi: A) i punti a) e b) di cui sopra: la parte chiederà un riesame delle valutazioni, ritenute erronee, fatte dal presidente in sede di emanazione di decreto quando approvò la compatibilità del lodo alla lex italiana. B) nuove doglianze tassativamente indicate: 1) Incapacità delle parti firmatarie della convenzione secondo la legge straniera o altro tipo di invalidità della convenzione secondo detta legge. 2) la parte nei cui confronti il lodo è invocato non è stata informata della designazione dell’arbitro o del procedimento arbitrale o comunque è stata nell’impossibilità di far valere la propria difesa nel procedimento stesso; 3) il lodo ha pronunciato su una materia non contemplata nella convenzione di arbitrato, oppure fuori dai limiti della stessa; tuttavia, se le statuizioni del lodo che concernono questioni sottoposte ad arbitrato possono essere separate da quelle che riguardano questioni non sottoposte ad arbitrato, le prime possono essere riconosciute e dichiarate esecutive. 4) la costituzione del collegio arbitrale o il procedimento arbitrale non sono stati conformi all’accordo delle parti o, in mancanza di tale accordo, alla legge del luogo di svolgimento dell’arbitrato; 5) il lodo non è ancora divenuto vincolante per le parti o è stato annullato o sospeso dall’autorità competente dello Stato nel quale è stato reso (nell'ipotesi che il giudizio di annullamento o di sospensione siano in corso di fronte all'autorità estera, la corte d'appello può sospendere il procedimento per il riconoscimento o l'esecuzione del lodo). ARBITRATO IRRITUALE art. 808ter introdotto dalla riforma del 2006. Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. In tale tipo di arbitrato la determinazione degli arbitri ha valore solo contrattuale. Il lodo irrituale: non è suscettibile di divenire esecutivo: il lodo irrituale avrà fra le parti il semplice valore del contratto, se la parte soccombente non lo rispetta, il vincitore non potrà avvalersi dell'esecuzione forzata, non potendo fare altro che instaurare un normale processo di cognizione onde fare accertare l'inadempimento del lodo (come se si trattasse dell'inadempimento di un contratto) ed ottenere una sentenza di condanna della controparte. non avrà alcun effetto di sentenza, e quand'anche divenga definitivo, sarà sempre privo dell'efficacia di cosa giudicata di cui all'art. 2909 c.c.: il vincolo che deriva dal lodo irrituale opererà tra le parti alla stregua di quanto dispone l'art. 1372 c.c. per il contratto, ma non potrà mai aspirare ad avere alcun effetto diretto o riflesso nei confronti dei terzi, perché ciò è tipico solo del giudicato. Così ad es. per tornare al caso già enunciato in precedenza della nullità, risoluzione, ecc. del contratto di locazione, ove il provvedimento venga preso con il lodo irrituale, non potrà aversi l'efficacia riflessa nei confronti del subconduttore, che invece 97