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Dispensa Diritto Processuale Civile -Testo esame: Il Processo di Esecuzione e i Procedimenti Speciali - Vol. III - Gian Franco Ricci , Dispense di Diritto Processuale Civile

Riassunto completo per l'esame di Diritto Processuale Civile; il testo utilizzato durante il corso è il Vol. II di Gian Franco Ricci "Il Processo di Esecuzione e i Procedimenti Speciali"

Tipologia: Dispense

2014/2015

Caricato il 26/02/2015

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Scarica Dispensa Diritto Processuale Civile -Testo esame: Il Processo di Esecuzione e i Procedimenti Speciali - Vol. III - Gian Franco Ricci e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCESSO DI ESECUZIONE  il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri e, se non  adempie, il creditore può procedere ad esecuzione forzata sui suoi beni.  A fronte del primo momento che dà luogo al processo di cognizione, vi è il secondo momento che  integra il processo di esecuzione (o processo esecutivo o esecuzione forzata) anch’esso a carattere  giurisdizionale (per il rispetto dei principi del giusto processo, primo fra tutti il contradditorio), che serve ad  attuare coattivamente la pretesa del soggetto che ha ragione, qualora la parte condannata non adempi  spontanemente: consiste nel tradurre in atto la sentenza del giudice inadempiuta;  ­ nei provvedimenti di accertamento (volti ad accertare l'esistenza o l'inesistenza di una certa  situazione giuridica) e nei provvedimenti costitutivi (volti a costituire, modificare o estinguere un  rapporto giuridico), il processo di cognizione è perfettamente autosufficiente a realizzare la tutela  dell'istante.  ­ nel caso dei provvedimenti condanna, funzione giurisdizionale si risolve essenzialmente in un  comando contenuto nella sentenza, indipendentemente da quello che ne possa essere l'oggetto e  cioè un obbligo di pagare, dare o fare, è necessario che l'ordinamento appresti i mezzi per la realizzazione  coattiva del diritto di costui. Tale tutela si esercita, attraverso l'uso della forza da parte  dello Stato, rispettando tutta una serie di garanzie previste dalla legge, nel cui ambito quel potere  di imperio deve esercitarsi. Si noti infine che anche l'esecuzione forzata, costituisce essa stessa un  processo, differente per struttura e funzione da quello di cognizione, ma come questo avente pieno  carattere giurisdizionale, anche per essa debbono valere i principi del giusto processo previsti dall’art.  111 Cost. e il rispetto del principio del contraddittorio. Due forme di processo esecutivo:  espropriazione forzata: per ottenere l'attuazione coattiva delle sentenze di condanna al pagamento  di una somma di denaro. Non realizza l'obbligazione primaria, ma dà luogo ad un'attività  sostitutiva (si assoggettano i beni, si vendono e si consegna all'avente diritto la somma ricavata)  che finisce per essere (o almeno dovrebbe finire per essere) equivalente all'obbligazione primaria  (esecuzione in forma generica o per equivalente):  esecuzione forzata in forma specifica: per la realizzazione coattiva degli obblighi di  consegnare una cosa determinata, mobile o immobile (esecuzione per consegna o rilascio: a  seconda se la cosa è mobile o immobile) o di un obbligo di fare o di non fare (esecuzione di  obblighi di fare e di non fare). Realizza l’obbligazione primaria (consegna di quella data cosa, mobile o  immobile; realizzazione o distruzione di quella determinata opera) al contrario dell'espropriazione che  produce una soddisfazione solo per equivalente.  Anche il processo esecutivo è subordinato all'istanza di parte (divieto della giurisdizione  d'ufficio). L'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notifica del titolo esecutivo e del  precetto, attività che è posta in essere solo a richiesta dell'esecutante, ponendo come essenziale  l'impulso di parte perché gli organi esecutivi possano muoversi; Anche nel processo esecutivo, l'iniziativa  giudiziaria dà luogo ad una vera e propria azione cioè ad un diritto soggettivo che non solo è distinto da  quello sottostante, ma anche da quello nel quale consisteva l'azione cognitiva. Il processo esecutivo è  mosso da un'iniziativa distinta rispetto a quella che ha dato origine al processo di cognizione, cioè è  dimostrato:  a) dall’esistenza della categoria dei c.d. titoli esecutivi stragiudiziali, scritture private  autenticate, titoli di credito e atti pubblici e atti di diritto privato, creati fuori dal processo, ai quali  l'ordinamento riconosce, per lo più in questione di un loro rigore formale, l'idoneità a consentire il ricorso al  processo esecutivo, senza passare attraverso il processo di cognizione;  a1) anche per i titoli esecutivi giudiziali l'azione esecutiva è del tutto distinta dall'azione di cognizione.  L’actio iudicati è il diritto nascente da una sentenza di condanna passata in giudicato, ossia il diritto di adire  gli organi esecutivi e cioè l'azione esecutiva. L’actio iudicati, cioè l'azione che nasce dal giudicato e che  serve ad attuarlo coattivamente, è del tutto autonoma rispetto a quella predisposta per l'accertamento del  diritto. L’actio iudicati che origina dalla sentenza di condanna ha la proprietà di trasformare la  prescrizione del diritto sostanziale, lunga o breve che sia, in un'unica prescrizione lunga decennale. Ex. il  1  diritto di risarcimento danni derivante da incidente stradale si prescrive in 2 anni dal fatto. Si prescrive cioè  l’azione di cognizione, quindi se la parte non si aziona verso il giudice per il suo diritto, questo si estingue.  Una volta però che il giudizio è instaurato, e si perviene a una condanna, il diritto del vincitore ad agire in  executivis acquista una nuova prescrizine: 10 anni.  ­b) mentre l'azione di cognizione spetta a chiunque voglia iniziare un processo, la corrispondente  azione esecutiva presuppone che l'avente diritto sia in possesso di un titolo esecutivo: cioè del  documento che attesta l'esistenza di una delle situazioni sostanziali previste dall'art. 474, che  sono ritenute dalla legge idonee ad assicurare una sufficiente certezza al diritto, tale da  legittimare l'intervento degli organi esecutivi (azione esecutiva si dice titolata). Al processo esecutivo si  può ricorrere solo se il diritto dell'agente risulta da un atto che ne attesti l'esistenza, poichè i suoi effetti  incideranno direttamente sul patrimonio dell’obbligato. L'efficacia di quest'ultimo potrà essere fatta cadere  a posteriori attraverso procedimenti espressamente previsti (opposizione al processo esecutivo, ad  esempio perchè l’esecutato lamenti l’inesistenza del titolo esecutivo), ma mai a priori impedendo  all'ufficiale giudiziario di agire in executivis, poiché finché l'efficacia del titolo non è fatta venire meno  attraverso un procedimento ad hoc, la sua efficacia non può essere impedita da nessun tipo di prova  contraria che possa essere presentata all'ufficiale giudiziario.  PRESUPPOSTI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE: titolo esecutivo e diritto certo, liquido ed  esigibile L’azione esecutiva presuppone che l’accertamento del diritto sia stato fatto in sede di cognizione  o anche stragiudizialmente. Tale accertamento deve essere consacrato in un documento che lo rappresenti  senza incertezze di modo che l’organo esecutivo possa operare senza preoccupazioni. Art. 474 – titolo  esecutivo, dal quale si deduce chi sia il creditore e chi il debitore, è l’atto dal quale risulta un diritto di  credito; l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo,  liquido ed esigibile.  ­ liquido: cioè preciso nel suo ammontare, riguarda i crediti aventi ad oggetto somme pecuniarie e  sta a significare che la somma deve essere esattamente specificata nel quantum, tale mancanza si  risolve nell'insussistenza stessa del titolo esecutivo (es. sentenza di condanna generica, la quale  determina il credito solo nel’an e cioè nella sua sussistenza, non è titolo esecutivo);  ­ certo: la cui esistenza, cioè, non è controversa, equivalente della liquidità per le obbligazioni  diverse da quelle pecuniarie e cioè per gli obblighi di consegna o rilascio una determinata cosa  (mobile o immobile) o per gli obblighi di fare e di non fare. L'oggetto dell'obbligo deve essere  esattamente individuato, l'eventuale incertezza della prestazione, se assoluta impedisce anche qui  l'esistenza del titolo esecutivo, mentre se è relativa essa può in certi casi essere superata  attraverso attraverso il ricorso al giudice dell'esecuzione;  ­ esigibile: titolo esecutivo deve riferirsi a un diritto non sottoposto a termine o condizione,  esistono tuttavia titoli esecutivi sottoposti a termine o condizione (es. sottoposto a cauzione, in  tal caso, il titolo esecutivo non consente l'inizio dell'esecuzione forzata, finché la cauzione non è  versata).  L'unico presupposto per iniziare l'esecuzione forzata è la presenza del titolo esecutivo. L'eventuale  inesistenza del diritto non è in grado di impedirne l'inizio, ma può solo portare ad una caducazione  successiva dell'esecuzione, attraverso le opposizioni. La mancanza di liquidità e di certezza  impediscono l'esecuzione, ma solo perché si risolvano nell'inesistenza stessa del titolo esecutivo; la  mancanza di esigibilità determina solo un'inefficacia temporanea del titolo esecutivo.  TITOLO ESECUTIVO SOSTANZIALE Art. 474 – Sono titoli esecutivi:  1) sentenze (esclusivamente di condanna la quale è oggi, ex lege, provvisoriamente esecutiva), i  provvedimenti (qui l’esecutività deve risultare da un’espressa previsione legislativa, essi sono: decreto  ingiuntivo provvisoriamente esecutivo o dichiarato provvisoriamente esecutivo in corso di opposizione, o  divenuto definitivamente esecutivo per mancata opposizione o per rigetto dell’opposizione; ordinanza di  convalida di sfratto; lodo arbitrale reso esecutivo da decreto di tribunale; l’ordinanza d condanna a pene  pecuniarie ecc) e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, introdotti con  la riforma del 2005 (es. verbali di conciliazione).  2  Si Noti: la notifica del titolo esecutivo e del precetto sono atti esecutivi solo in senso lato, in quanto  componenti necessari del processo di esecuzione, ma che non ne segnano ancora l'inizio. L'inizio  ha luogo, per l'espropriazione forzata con l'atto di pignoramento e per l'esecuzione in forma  specifica con altre particolari attività previste dalla legge. Sarà l’ ufficiale giudiziario l’organo deputato ad  effettuare il pignoramento (cioè il primo atto esecutivo) nell'espropriazione forzata, nonché ad attuare  materialmente l'esecuzione in forma specifica (mentre nel processo di cognizione l'iniziativa processuale è  diretta al giudice).  GIUDICE DELL'ESECUZIONE: A differenza che nel processo di cognizione, il processo esecutivo non ha una  serie di disposizioni generali cui fare riferimento: mutatis mutandis anche in questa sede si fanno valere i  principi alla base del processo cognitivo, salvo talune peculiarità oggetto di normative specifiche. Analogie:    ­ nell'espropriazione forzata il giudice dell'esecuzione svolge la direzione del processo ed è  presente per tutta la sua durata;  ­ nell’esecuzione in forma specifica il giudice ha funzioni più ridotte, perché o compare solo in  casi eccezionali (come avviene nell'esecuzione per consegna o rilascio, che può svolgersi per  intero anche senza la sua presenza), oppure è presente solo nella fase iniziale (nell'esecuzione di  obblighi di fare o di non fare).  Competenza del giudice dell'esecuzione sempre al tribunale in composizione monocratica (mai  al giudice di pace): nominato dal presidente del tribunale, a seguito della presentazione del cancelliere del  fascicolo dell'esecuzione.  ­ esecuzione forzata avente ad oggetto cose mobili o immobili: competente il giudice del luogo  in cui le cose si trovano;  ­ espropriazione presso terzi: competente il tribunale del luogo di residenza del terzo;  ­ esecuzione in forma specifica: competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano.  ­ esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare: competente il tribunale del luogo in cui  l'obbligo doveva essere adempiuto.  Competenza del giudice delle opposizioni all'esecuzione:  ­ opposizioni all'esecuzione: competenza si determina con riferimento al valore del credito per cui si  procede.  ­ opposizioni di terzo: competenza si determina con riferimento al valore dei beni controversi.  È competente il giudice del luogo dell’esecuzione che può essere giudice di pace o tribunale: dunque, se tali  valori rientrano nella competenza del giudice di pace, è tale giudice ad essere competente.  ­ opposizioni agli atti esecutivi: competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione, che è sempre il  tribunale.   Salvo che la legge disponga altrimenti (ipotesi in cui il giudice debba pronunziarsi con decreto), il giudice  dell'esecuzione provvede con ordinanza, che può essere dal giudice stesso modificata o revocata finché  non abbia avuto esecuzione.  DIFESA NEL PROCESSO ESECUTIVO: principio del contraddittorio è presente anche nel processo  esecutivo essendo un requisito essenziale per il «giusto processo»:  ­ obbligo di notifica del titolo esecutivo e del precetto all'esecutando: consente all'esecutando di adempire  evitando l'esecuzione, e gli permette di tutelarsi fin da questo momento esperendo le opposizioni, prima  ancora che l'esecuzione forzata concretamente inizi;  ­ audizione delle parti e degli interessati, allorché la legge lo richiede o il giudice lo ritiene necessario, il  giudice stesso fissa con decreto l’udienza alla quale debbono comparire davanti a lui;  ­ udienza esecutiva: momento fondamentale per l'espletamento del contraddittorio fra le parti,  anche nel processo di esecuzione. Estinzione del processo esecutivo per la mancata comparizione  delle parti a due udienze successive;  ­ garantita la possibilità attribuita all'esecutando, di contestare il processo esecutivo attraverso le  opposizioni, oppure di difendersi anche internamente allo stesso attraverso la proposizione al giudice  dell'esecuzione di domande o istanze da proporre con ricorso o oralmente all'udienza.   Le notificazioni e le comunicazioni non si fanno al procuratore costituito, come nel cognitivo ma:   5  ­ ai creditori, pignoranti o intervenuti,  si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nell’atto di  precetto;  In mancanza di dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio le notificazioni possono farsi  presso la cancelleria del giudice competente per l’esecuzione. Quanto all’esecutato, una disposizione  analoga vi è solo nell'espropriazione forzata: obbligo per l'ufficiale giudiziario di invitare il predetto al  momento del pignoramento, ad indicare la propria residenza o ad eleggere domicilio nel circondario del  giudice dell'esecuzione. In caso di inottemperanza a tale obbligo o in caso di irreperibilità nel luogo  dichiarato, le notifiche si fanno anche qui presso la cancelleria di tale giudice. Nulla è detto invece per  l'esecuzione per consegna o rilascio o per obblighi di fare o di non fare, nel qual caso le notifiche dovranno  farsi personalmente all'esecutato.  FASCICOLO DELL' ESECUZIONE: i vari atti vanno inseriti in un fascicolo, previsto per la sola  espropriazione forzata, ma che sussiste anche per l'esecuzione in forma specifica. Nell' esecuzione c'è solo  il fascicolo d'ufficio (non esistono i fascicoli di parte).  ESPROPRIAZIONE FORZATA  Processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore  determinati beni facenti parte del suo patrimonio ed a convertirli in danaro, con cui soddisfare il  creditore. Può essere: ­ mobiliare: a) nei confronti del debitore, se i beni mobili sono nella sua disponibilità  diretta; b) nei confronti di terzi, se i beni mobili sono nella disponibilità diretta di un terzo o se oggetto della  espropriazione è un credito del debitore verso terzi. ­ immobiliare.  Al fine di soddisfare il proprio credito sui beni del debitore, il creditore può optare per l’una o per  l’altra forma di espropriazione. Per l'espropriazione mobiliare e per quella presso terzi, l'oggetto del  pignoramento non deve essere superiore all'importo del credito per cui si procede aumentato della metà,  nessun limite è imposto invece per l'espropriazione immobiliare. Il creditore può valersi cumulativamente  dei diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge (pendenza contemporanea di più processi diversi per  la soddisfazione dello stesso credito), ma, su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione, con  ordinanza non impugnabile, può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a  quello che il giudice stesso determina, questo per evitare che l’esecuzione diventi mezzo vessatorio.  PUBBLICITÀ DEGLI AVVISI: Quando la legge dispone che di un atto esecutivo sia data pubblica notizia,  occorre dare corso alle seguenti forme di pubblicità:  a) un avviso contenente i dati che possono interessare il pubblico va affisso per 3 giorni continui  nell’albo dell’ufficio giudiziario, presso il quale si svolge il processo esecutivo;  b) in caso di espropriazione di beni mobili registrati dal valore superiore a € 25.000 o di beni  immobili, lo stesso avviso, assieme all'ordinanza di vendita emessa dal giudice e alla relazione di  stima dell’esperto relativa al bene, va inserito in appositi siti internet, almeno 45 giorni prima  della scadenza del termine per presentare le offerte di acquisto o prima della data dell'incanto.  c) il giudice dispone inoltre che l’avviso sia inserito almeno 45 giorni prima della scadenza del  termine per presentare le offerte di acquisto o prima della data dell'incanto una o più volte sui  quotidiani locali di informazione. Il giudice può disporre anche una pubblicità aggiuntiva  quando ciò appare opportuno, su quotidiani nazionali di informazione o anche attraverso le  forme della pubblicità commerciale. E previsto in ogni caso, per il rispetto della privacy, che negli avvisi  debba essere sempre omessa l’indicazione del debitore.  Fasi procedimento di espropriazione:  ­ il pignoramento;  ­ l’intervento dei creditori  ­ la vendita o assegnazione del bene pignorato;  ­ la distribuzione del ricavato.  1. PIGNORAMENTO Il P. è l’atto esecutivo con cui si inizia l'espropriazione forzata, fatta salva l'ipotesi che  riguarda l'espropriazione delle cose date in pegno in questo caso la legge consente che la parte possa  optare per la realizzazione del pegno o dell’ipoteca attraverso la strada civilistica e cioè mediante la vendita  coattiva o impiegare il normale processo di espropriazione del codice di procedura. Solo che in questo  6  secondo caso si omette il pignoramento, giacché le sue funzioni sono adempiute dalla presenza del vincolo  del pegno, per cui si può immediatamente passare alla fase della vendita forzata, 10 giorni dopo la notifica  del precetto.   FASI PIGNORAMENTO – art. 492 – è un atto dell’ufficiale giudiziario, che lo pone in essere su  istanza del creditore e previa esibizione da parte dello stesso del titolo esecutivo e del precetto  ritualmente notificati. Consiste nel descrivere o indicare le cose da pignorare, vincolandole al processo  esecutivo. Scopo del pignoramento, è quello di assicurare determinati beni del debitore alla soddisfazione  del creditore; tali beni, una volta individuati, vengono perciò sottratti alla libera disponibilità del debitore.  1. ingiunzione: l’ufficiale giudiziario ingiunge al debitore di astenersi dal compimento di ogni atto  volto a sottrarre alla garanzia del creditore i beni assoggettati all’espropriazione ed i frutti di essi.  2. elezione di domicilio: il debitore è invitato dall’ufficiale giudiziario ad eleggere domicilio o  dichiarare la sua residenza in uno dei comuni del circondario dove ha sede il giudice competente  per l’esecuzione, con l’avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilità presso la  residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette  saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice;  3. avvertimento rivolto al debitore: l’ufficiale giudiziario avverte il debitore che può avvalersi del  potere di convertire il pignoramento, sostituendo ai beni pignorati una somma di denaro pari,  oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori  intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese; ciò mediante una richiesta da  presentare prima della vendita forzata o dell’assegnazione, accompagnata dal versamento di una  somma non inferiore ad 1/5 dell’importo del credito del procedente e degli intervenuti;  Le previdenze sopra esposte sono obbligatorie, le seguenti, introdotte nel 2005, sono facoltative:  4. insufficienza dei beni pignorati o lunga durata della liquidazione: quando per la  soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati al pignoramento appaiono insufficienti  o per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione, l’ufficiale giudiziario invita il  debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero le  generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista in caso di omessa o falsa  dichiarazione (responsabilità penale per reato di falso); la dichiarazione, comporta  l’instaurazione automatica del vincolo di pignoramento sui beni indicati. (la norma vale in realtà per il solo  pignoramento mobiliare).   5. insufficienza dei beni pignorati e intervento dei creditori: quando a seguito dell'intervento di  ulteriori creditori, il valore dei beni pignorati sia divenuto insufficiente, il creditore procedente  può chiedere all’ufficiale giudiziario di ottenere dal debitore la dichiarazione circa altri suoi beni  utilmente pignorabili; in tal modo il creditore procedente potrà invitare i creditori intervenuti a  estendere il pignoramento a questi beni  6. insufficienza dei beni pignorati nonostante le ricerche dell’ufficiale giudiziario: quando il debitore  non fornisca la dichiarazione o non indichi altri beni, il potere d’ufficio di indagine dell’ufficiale giudiziario  cessa anche se i beni pignorati restano insufficienti a garantire i creditori. Occorre pertanto l’impulso di  ulteriori attività di ricerca, sempre svolte dall’ufficiale giudiziario,  su richiesta del creditore procedente.  L’ufficiale potrà allora rivolgere la richiesta ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati  pubbliche. Se l'esecutato è un imprenditore commerciale, può invitare l'esecutato ad indicare il luogo in cui  sono tenute le scritture contabili e nominare un professionista (commercialista, avvocato, ecc.), con il  potere di accedere a detto luogo e di esaminare le citate scritture onde verificare se è possibile rinvenire  ulteriori beni da sottoporre a pignoramento ed  anche con il potere di richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo e sul modo di tenuta  delle suddette scritture.    EFFETTI DEL PIGNORAMENTO effetti processuali: consistono nel diritto di provare i singoli atti di  espropriazione, quali la vendita e l’assegnazione, e nel diritto di partecipare alla distribuzione della somma  ricavata; effetti sostanziali: effetti del vincolo esecutivo:  7  un'ulteriore ordinanza del giudice. Nel caso di inadempimento da parte del debitore e cioè quando egli non  versa la somma nel termine indicato o ritarda di oltre 15 giorni il pagamento anche di una sola rata, si ha la  decadenza dalla conversione: nel senso, non solo che il debitore non potrà più liberare i beni pignorati,  ma anche che quanto egli ha versato fino a quel momento (e cioè il deposito del  quinto e le eventuali rate pagate) verrà acquisito all'esecuzione come ulteriore oggetto del  pignoramento. Si noti: l'istanza di conversione non può essere proposta più di una volta.  ­ chiede la riduzione del pignoramento: su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il  valore dei beni pignorati è superiore (eccessivo) all'importo dei crediti del pignorante e degli  intervenuti e alle spese, il giudice dell’esecuzione, sentiti il creditore pignorante e i creditori  intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento ad alcuni soli dei beni. Solo quando il valore dei  crediti colpiti è manifestamente sproporzionato può essere chiesta la riduzione (il pignoramento si effettua  sempre su beni di valore superiore al credito del procedente, ciò perchè oltre a coprire l’importo indicato  nel precetto, questo deve anche soddisfare i costi del processo). Il provvedimento di riduzione è revocabile  dal giudice che l'ha emesso.  CESSAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PIGNORAMENTO Il pignoramento si estingue se  entro 90 giorni dal suo compimento non viene proposta l'istanza di vendita o di assegnazione.  Esso rimane sospeso nel caso di opposizione agli atti esecutivi; se vi è opposizione all’esecuzione,  la sospensione non ha luogo automaticamente, ma deve essere ordinata dal giudice.  2. INTERVENTO DEI CREDITORI. FORMAZIONE DELLA MASSA PASSIVA: A fronte della massa attiva  costituita dalla massa dei beni pignorati vi è anche la passiva data dall’importo dei crediti che debbono  essere soddisfatti nell’esecuzione. L'espropriazione forzata non è destinata a soddisfare solo il creditore  pignorante (creditore procedente), ma consente la soddisfazione anche degli altri creditori dell'esecutato  (creditori intervenuti), i quali possono intervenire nel processo attraverso l'atto di intervento, qualora non  ne siano divenuti già parte con un pignoramento successivo. Il nostro sistema è uniformato al principio della  par condicio creditorum: tutti i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore,  salve le cause legittime di prelazione (privilegi ed ipoteche). E’ un sistema processuale a base di inclusione  consente la soddisfazione di tutti i creditori dell'esecutato.  CREDITORI ISCRITTI E NON ISCRITTI: i creditori concorrenti nella procedura di espropriazione  vanno distinti in tre categorie, a seconda delle modalità e degli effetti dell’intervento:  ­ creditori aventi diritto di prelazione risultante dai pubblici registri (creditori iscritti es.  creditori ipotecari) devono essere avvisati, dal creditore procedente entro 5 giorni dal  pignoramento. In mancanza della prova dell'avviso, il giudice non può provvedere sull’assegnazione o sulla  vendita. Tutti gli altri creditori (aventi un diritto di prelazione o meno) non vanno notiziati  dell'esecuzione e potranno quindi intervenire solo se vengono a conoscenza in altro modo  della procedura esecutiva. La ragione dell'avvertimento ai creditori iscritti deriva dalla necessità di evitare  per tali creditori, l'effetto c.d. «purgativo» della vendita forzata, in base al quale essa cancella tutti i diritti di  prelazione. Lo stesso avviso va notificato anche al creditore sequestrante il cui  sequestro risulti dai pubblici registri.  Se il creditore iscritto non viene avvisato dell'esecuzione e rimane tagliato fuori dallo stato di  riparto, egli non ha uno strumento analogo à quello del litisconsorte necessario pretermesso  nel processo di cognizione volto ad invalidare l'esito del processo, giacché l'ordinanza di  distribuzione, una volta divenuta irrevocabile, diviene intangibile da parte dì chiunque.  L'unico rimedio quindi che rimane al creditore non avvisato, è quello di agire con l'azione di  risarcimento danni nei confronti del creditore procedente.  ­ creditori che non hanno un diritto di prelazione iscritto: ad ogni altro effetto, tutti i  creditori con diritto di prelazione (ad es. il pegno) sono equiparati a quelli con diritto di  prelazione iscritto in pubblici registri, assumendo lo stato di creditori privilegiati che  beneficeranno in sede di distribuzione della collocazione in un rango anteriore a quello dei  creditori privi di prelazione, che si dicono chirografari, a cui spetta un rango inferiore.  creditori chirografari muniti di titolo esecutivo:  10  ­ nel caso di intervento tempestivo (cioè precedente all’udienza per l’autorizzazione della  vendita): diventano litisconsorti del creditore pignorante e possono partecipare alla  distribuzione della somma ed anche provocare singoli atti esecutivi;  ­ nel caso di intervento tardivo: partecipano alla distribuzione di quella parte della somma che  sopravanza dopo che sono stati soddisfatti i diritti del creditore pignorante e di coloro che  sono intervenuti tempestivamente.  creditori chirografari non muniti di titolo esecutivo: possono essere soggetti alle contestazioni  del debitore con effetto preclusivo del pagamento, per evitare che si giunga a questa conseguenza  è prevista un’apposita udienza dove il debitore dovrà dichiarare se riconosce i crediti di detta  categoria di creditori:  ­ se avviene il riconoscimento (anche tacito in caso di mancata comparizione del debitore) i  creditori parteciperanno alla distribuzione della somma ricavata, in tutto o in parte, a seconda  che il riconoscimento del credito sia totale o soltanto parziale;  ­ se, all’opposto, il debitore non procede in tutto o in parte al riconoscimento (disconoscimento  totale o parziale), i creditori hanno diritto all’accantonamento delle somme che gli  spetterebbero, ma solo se ne facciano istanza e sempre che nei successivi 30 giorni,  provvedano ad agire per munirsi di titolo esecutivo (attraverso il rito ordinario o con il procedimento  ingiuntivo), titolo che dovrà essere formato in termine non superiore a 3 anni se si vuole partecipare  utilmente alla distribuzione della somma ricavata.  Il riconoscimento rileva ai soli effetti dell’esecuzione, se i creditori il cui credito è stato  riconosciuto non vengono soddisfatti nell'esecuzione in corso per insufficienza dell'attivo, essi  non potranno avvalersi di tale avvenuto riconoscimento in un'altra esecuzione a carico del  debitore per il soddisfacimento del loro credito rimasto in tutto o in parte insoddisfatto, ma  dovranno fare ricorso ex novo alla procedura di riconoscimento nella nuova esecuzione, nella  quale i loro crediti potranno anche essere disconosciuti.  CREDITORI TEMPESTIVI E TARDIVI: i creditori tempestivi intervengono prima dell'udienza in cui è  disposta la vendita o l'assegnazione, l’intervento dopo tale udienza darà una collocazione più  sfavorevole ai creditori tardivi quando questi siano chirografari. Il creditore tardivo (privilegiato o  chirografaro), non può promuovere gli atti esecutivi ancorché munito di titolo esecutivo.  RIFORMA DEL 2005 ALTERAZIONE DELLA PAR CONDICIO CREDITORUM: riforma 2005 tra i  creditori non aventi titolo esecutivo (condicio sine qua non per intervenire) sono ammessi in concorso  soltanto (restrizione della legittimazione attiva):  ­ creditori che hanno eseguito un sequestro conservativo; altrimenti perderebbero il vincolo cautelare  ­ creditori aventi un diritto di prelazione con diritto di seguito (creditori aventi un diritto di pegno  e creditori aventi un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri); altrimenti perderebbero il diritto di  seguito, che viene meno per l’effetto purgativo della vendita forzata  ­ creditori il cui credito risulta da scritture contabili imprenditoriali  tenute dal loro debitore  imprenditore.  Creditori diversi da quelli sopra indicati non potranno mai partecipare al processo di espropriazione, il che  fa supporre un’alterazione della par condicio poichè non si spiega perchè non possano intervenire coloro  che hanno un diritto di prelazione senza diritto di seguito (lavoratore subordinato assistito da privilegio  senza sequela).  L’intervento va effettuato con ricorso contenente l’indicazione del credito e quella del titolo di esso, la  domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la  elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Se l’intervento ha  luogo per un credito risultante dalle scritture imprenditoriali, ricorso deve essere allegato, a pena di  inammissibilità, l’estratto autentico notarile delle medesime scritture rilasciato a norma di legge. I creditori  privi di titolo esecutivo, che intervengono nell’esecuzione, debbono notificare al debitore entro 10 giorni  successivi a deposito, copia del ricorso, nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito.  11  ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO Ai creditori chirografi, intervenuti tempestivamente, il creditore  pignorante ha facoltà di indicare (con atto notificato o all'udienza di vendita o di assegnazione), l’esistenza  di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di  titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Se i creditori intervenuti,  senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati entro il termine di 30 giorni, il creditore  pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione.  Ha la funzione di provvedere ad aumentare la massa attiva, quando essa rischi di divenire insufficiente a  causa dell’intervento di nuovi creditori.  Prelazione a carattere processuale che sorge nell'ambito del  processo. Nel nostro sistema, l'avere posto in essere il pignoramento non è ragione di prelazione alcuna a  favore del creditore pignorante, se egli non ha una prelazione sostanziale per conto suo (pegno, ipoteca o  privilegio), è considerato alla stregua di un normale chirografario, per cui ad esso sono preferiti in sede di  distribuzione i creditori privilegiati (iscritti o meno), ancorché non pignoranti. L'unica prelazione che egli può  conquistare è dunque quella processuale che non lo anteporrà tuttavia ai creditori privilegiati, ma solo ai  chirografari.  EFFETTI DELL'INTERVENTO tre effetti dell'intervento dei creditori:  1) diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata;  2) diritto di provocare gli atti del processo esecutivo (ad es. non basta che il creditore ponga in essere il  pignoramento, ma deve rinnovare l’impulso processuale proponendo l’istanza di vendita entro 90 days,  altrimenti il procedimento si estingue);  3) diritto a partecipare all’espropriazione del bene pignorato (divenire, attraverso l'intervento, parti  del processo esecutivo).  Mentre il diritto a partecipare alla distribuzione spetta a tutti i creditori intervenuti, le altre due  facoltà (di provocare gli atti esecutivi e di partecipare all'espropriazione) spettano ai creditori solo  secondo le disposizioni stabilite per le singole espropriazioni e nei casi ivi previsti (es. per potere  promuovere gli atti esecutivi non è sufficiente essere semplicemente intervenuto e possedere il  titolo esecutivo, ma occorre anche essere intervenuti tempestivamente).  INTERVENTO DEL CREDITORE DEL CREDITORE (O SOSTITUZIONE ESECUTIVA): la legge, oltre ai  creditori dell'esecutato, legittima ad intervenire nell’espropriazione forzata anche coloro che sono a  loro volta creditori di questi ultimi, i quali possono chiedere al giudice dell'esecuzione di essere ad  essi sostituiti nella distribuzione, proponendo domanda con ricorso contenente gli stessi elementi di  quello degli altri creditori intervenuti, con un estremo in più dato dalla domanda di partecipazione  alla distribuzione in sostituzione dell'avente diritto. Il giudice dell’esecuzione provvede alla distribuzione  anche nei loro confronti, ma le contestazioni relative alle loro domande non possono ritardare la  distribuzione tra gli altri creditori concorrenti.  VENDITA E ASSEGNAZIONE FORZATA: servono a trasformare la massa attiva in denaro liquido da  distribuire ai creditori. In prima battuta è consentita solo la richiesta di vendita, non di assegnazione la quale  può essere chiesta solo in seguito alla mancata vendita (solo nell’espropriazione mobiliare di titoli di credito  o di quelle cose aventi un valore determinato o determinabile da listini di borsa o mercato può essere  chiesta subito l’assegnazione). Presupposto perché si possa passare alla fase di vendita o di assegnazione,  cioè alla fase di liquidazione dei beni pignorati è che il creditore pignorante o un creditore intervenuto con  titolo esecutivo presentino la relativa istanza di vendita o di assegnazione. Questa non può comunque  essere presentata prima che siano trascorsi 10 giorni dal pignoramento (tranne nel caso di cose  deteriorabili nel quale può essere disposta l'assegnazione o la vendita immediata), ma va proposta in ogni  caso entro 90 giorni dal pignoramento, pena l'inefficacia di quest'atto e l'estinzione del processo esecutivo.  Se si tratta di beni sottoposti a pegno o ipoteca, qualora vengano espropriati, il termine di 10 giorni per  presentare l'istanza di vendita decorre dalla  notificazione del precetto. Vendita forzata: comporta il trasferimento della proprietà dei beni pignorati ad  un terzo dietro versamento del prezzo, che sarà distribuito ai creditori. Può farsi con incanto o senza,  secondo le disposizioni dettate per le varie espropriazioni, può avvenire in un unico lotto comprendente  tutti i beni pignorati o in più lotti, in questo secondo caso essa deve cessare quando il ricavato ottenuto  12  confronti del creditore procedente di mala fede, salvo conservare sempre le sue ragioni nei confronti del  debitore.  g) la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno  effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore  procedente. Gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno  ricevuto per effetto dell’esecuzione.  Principio dell' intangibilità della vendita e dell'assegnazione rispetto le nullità del processo  esecutivo che hanno preceduto tali atti. L'unica eccezione è rappresentata dalla collusione  dell'aggiudicatario o dell'assegnatario con il creditore procedente. In questo caso la vendita e  l'assegnazione potranno essere travolte, ma potrà essere obbligato alla restituzione del denaro  solo il creditore procedente, non gli altri creditori. Solo le nullità assolute potrebbero travolgere  sempre il trasferimento.  Il limite di cui sopra non vale per le nullità che affettano il procedimento di vendita  o di assegnazione, perché queste possano sempre caducare il trasferimento del bene.  DISTRIBUZIONE DELLA SOMMA RICAVATA: COMPOSIZIONE DELLA SOMMA RICAVATA (massa attiva):  l'espropriazione forzata si conclude con la distribuzione del ricavato della vendita forzata o  dell'assegnazione. La massa attiva, che deve essere distribuita tra i creditori intervenuti all’espropriazione, è  composta:  1) prezzo (o ricavo) delle cose vendute o assegnate;  2) conguaglio delle cose assegnate nel caso di assegnazione mista (ossia la differenza tra il valore  attribuito al bene e il credito dell’assegnatario);  3) rendita o provento delle cose pignorate: cioè i frutti naturali o civili dei beni colpiti dal  pignoramento;  4) multa e risarcimento del danno a carico dell'aggiudicatario inadempiente;  5) denaro pignorato.  Dal momento che la fase di distribuzione ha dei tempi quasi sempre lunghi, la somma ricavata deve  nel frattempo essere sottoposta a custodia, nelle forme dei depositi giudiziari.  ATTRIBUZIONE E DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO la distribuzione della somma ricavata avviene secondo le  seguenti regole:  ­ se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice, sentito il debitore,  dispone in favore del creditore stesso il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese.  Non si ha distribuzione, ma semplice attribuzione a lui della somma previa audizione del debitore;  ­ nell’hp di più creditori, si avrà distribuzione della somma in base alla nuova disciplina del 2005.  Criterio di formazione del progetto di distribuzione fatto dal giudice:  prededuzione: somme che vanno assegnate prima e al di fuori dello stato di riparto vero e  proprio:  ­ spese di giustizia: crediti per spese di giustizia vanno soddisfatti per primi, sono preferiti ad  ogni altro credito anche pignoratizio o ipotecario.. Se l'attivo non è sufficiente neppure per pagare tali  spese, queste non potranno più essere recuperate in un'altra espropriazione a carico del debitore (ciò  a differenza dei normali crediti).  ­ prelevamenti a favore di terzi: come nel caso di beni ingiustamente coinvolti nell'esecuzione il cui  titolare abbia proposto l'opposizione, ma non abbia ottenuto la sospensione della vendita forzata, oppure,  abbia proposto l'opposizione dopo la vendita. In tal caso, se l'opposizione è accolta, i diritti del terzo si  fanno valere sulla somma ricavata, dando luogo ad un prelevamento a suo favore che va effettuato prima di  procedere alla distribuzione. Altro prelevamento del genere può essere quello a favore dell'aggiudicatario  che ha subito l'evizione e che ha diritto di ripetere dalla massa il prezzo pagato, che va soddisfatto anche  qui in prededuzione.  Secondo l'opinione di qualche autore i diritti dei terzi sul ricavato della vendita o  dell'assegnazione dovrebbero essere soddisfatti per primi, con prevalenza anche sulle spese di  giustizia, giacché non si tratterebbe di veri e propri crediti, ma di diritti di natura reale sulla cosa  15  (di proprietà del terzo ingiustamente coinvolto nell'esecuzione o dell'aggiudicatario evitto), che si  trasformerebbero in diritti reali sul prezzo in virtù di quel fenomeno "surrogazione reale".  stato di riparto: sulla massa così depurata si forma lo stato di riparto, cioè l'ordine di  collocazione dei creditori.  ­ primo rango: vengono soddisfatti i creditori privilegiati, tanto se sono intervenuti tempestivamente che  tardivamente, cioè prima dell'udienza di vendita o della presentazione del ricorso per l’intervento. Vengono  soddisfatti per intero in ragione del grado di prelazione, cioè il creditore con prelazione di grado  anteriore va soddisfatto integralmente e solo dopo si passa a soddisfare quello con prelazione di grado  successivo. Per cui può avvenire che se il ricavato non è sufficiente per pagare integralmente il creditore  avente la prelazione che va soddisfatta per prima, gli altri restino a mani vuote.  ­ secondo rango: è eventuale, va soddisfatto il credito del primo pignorante, quando a suo  favore sia maturata la prelazione processuale. Il creditore pignorante, nel nostro sistema non ha di per se  una collocazione preferenziale, ma può ottenerla in conseguenza dell'esercizio della facoltà qui detta. Tale  prelazione non sopravanza comunque le prelazioni sostanziali, in quanto la norma può operare solo nei  confronti dei «creditori chirografari».  ­ terzo rango: creditori chirografari tempestivi, questi, a differenza dei privilegiati, vengono soddisfatti  proporzionalmente in relazione all'entità del loro credito, non sussistendo fra i chirografari gradi differenti  di preferenza.  ­ quarto rango: creditori chirografari tardivi, anch'essi da soddisfare in proporzione ai loro crediti.  ­ se c'è un residuo spetta al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione.  ACCANTONAMENTI E RIPARTI PARZIALI: accantonamenti: somme che spetterebbero ai creditori  intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal  debitore: tali accantonamenti sono disposti dal giudice dell'esecuzione per il tempo necessario  affinché i predetti creditori possano munirsi del titolo, ma in ogni caso per un periodo non superiore  a 3 anni decorrente dalla scadenza dei 30 giorni dall'udienza di verifica, termine entro il quale debbono  avere iniziato il procedimento per l'acquisizione del titolo. Nel frattempo il giudice dell'esecuzione può  procedere ad un riparto parziale a favore di quei creditori i cui crediti non siano stati oggetto di  contestazione. Alla scadenza dei 3 anni (o anche prima, se i creditori contestati si sono già muniti di titolo  esecutivo) il giudice dell'esecuzione, dispone la distribuzione delle somme accantonate fissando all'uopo  un'udienza di comparizione del debitore e dei creditori con l'eccezione di coloro che siano già stati  integralmente soddisfatti. Se riparto parziale vi è stato, a questo seguirà la ripartizione definitiva delle  somme accantonate (alla scadenza dei 3 anni o anche prima), di tale ripartizione definitiva beneficeranno i  creditori che sono riusciti a procurarsi il titolo esecutivo.  Sia che il riparto avvenga in un'unica soluzione, sia che abbiano avuto luogo riparti parziali, il  provvedimento di distribuzione è sempre costituito da un’ordinanza, emanata a seguito dell'udienza  di comparizione delle parti. L'ordinanza diviene definitiva per le parti con la scadenza del termine per  proporre l’opposizione, mentre per il giudice permane il potere di revoca fino a quando essa non abbia  avuto esecuzione; l'esecuzione dell'ordinanza di distribuzione si ha, con l'emissione dei mandati di  pagamento da parte del cancelliere a favore dei creditori, con i quali costoro potranno prelevare  quanto ad essi attribuito dal provvedimento del giudice.  CONTROVERSIE IN SEDE DI DISTRIBUZIONE Se in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori  concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o  l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione.  a) il debitore, dopo il riconoscimento, potrà solo contestare:  ­ la sussistenza di eventuali diritti di prelazione;  ­ l'esistenza o l'ammontare dei crediti da lui non riconosciuti, i cui titolari nel frattempo abbiano  conseguito il titolo esecutivo.  b) se vi è stato un riparto parziale, deve escludersi che possano nel prosieguo essere contestati  crediti inseriti in quel riparto, rispetto al quale l'ordinanza di distribuzione sia divenuta definitiva.  c) le contestazioni in tema di riparto sono decise in via abbreviata, sentite le parti, con un sistema  16  probatorio ridotto («compiuti i necessari accertamenti»), e definite con ordinanza, impugnabile  con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617.  STABILITÀ DELLO STATO DI RIPARTO: nessuno degli accertamenti che avvengono in sede esecutiva ha  un'efficacia superiore a quella processuale (no efficacia di giudicato), decisioni fatte con ordinanza valgono  solo per quel dato processo. L'incontestabilità extra­processuale compete solo a quei soli crediti che, a  seguito della contestazione del debitore, siano stati fatti oggetto di un giudizio di cognizione piena (e quindi  definito con sentenza), al fine di procurarsi un titolo esecutivo.  Concludendo: impatto normativa 2005: si avrà un rallentamento dell’espropriazione forzata:  1) udienza di verifica dei crediti (essendo sotto l’esclusiva del debitore questi potrebbe effettuare  contestazioni infondate o a sproposito, bloccando l’espropriazione) 2) se contesta, la procedura si rallenta  per 3 anni; è vero che nel frattempo ci sono i riparti parziali ma ciò non toglie che nel frattempo il processo  esecutivo sia sospeso 3) passando dalla sentenza all’ordinanza, quale provvedimento decisiorio delle  controversie in sede di riparto, non si ha più l’efficacia di giudicato. Quindi un credito riconosciuto in un  processo potrebbe non essere tale in un altro procedimento espropriativo a carico del medesimo debitore  ESPROPRIAZIONE MOBILIARE  Procedura di cui all'art. 513 ss. per il pignoramento mobiliare si applica ai soli beni corporali (no quindi ai  brevetti, opere di’ingegno ecc):  ­ beni mobili iscritti nel pubblico registro automobilistico; (per navi e aerei cod. della navigazione)  ­ proprietà o diritti parziari sul bene, purché si tratti di diritti alienabili, come ad es. l'usufrutto;  ­ universalità di mobili aventi per oggetto cose corporali con destinazione unitaria ­mandria, collezione di  quadri ecc­ o cose incorporali ­ eredità, pignoramento sui singoli beni in base alla procedura prevista, e  non unitario ­.  ­ pertinenze, premesso che il pignoramento della cosa principale si estende automaticamente  anche ad esse, è possibile anche il pignoramento delle stesse separatamente dalla cosa a cui  accedono.  ­ titoli di credito (es. azioni delle s.p.a.);  ­ quote di srl  dal 2006 (la giurisprudenza ammette anche le quote dell società di persone).  PIGNORAMENTO MOBILIARE: presenta due particolarità che lo differenziano dalle altre forme di  espropriazione:  ­ si effettua in loco: l'ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, deve recarsi  nel luogo in cui si trovano i beni (mentre, tanto il pignoramento presso terzi, quanto quello  immobiliare, si realizzano attraverso una notifica). Possibilità di un pignoramento a distanza,  quando l'ufficiale giudiziario, pignorati i beni e constatatane la loro insufficienza ai fini della  soddisfazione dei creditori, invita il debitore ad indicare ulteriori beni pignorabili che si trovano  in altri luoghi. Se il debitore indica cose mobili, fino da tale indicazione recepita nel verbale di  pignoramento, esse sono considerate pignorate, dunque questi ulteriori beni vengono assoggettati  senza alcun impatto materiale con gli stessi.  ­ è l'unica nella quale, oltre all'attuazione del pignoramento, all'ufficiale giudiziario spetta anche la  previa ricerca dei beni da pignorare (che nel pignoramento presso terzi e in quello immobiliare  vanno invece indicati dal creditore). L’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può  ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti. Tutti i beni che si  trovano in detti luoghi sono reputati del debitore, onde potranno essere assoggettati tutti quanti al vincolo  esecutivo quand'anche il debitore ne neghi la proprietà (dicendo ad es. che appartengono a terzi).  L'ufficiale giudiziario potrà arrestarsi solo se il diritto reale altrui risulti incontestabilmente ex actis (ad es.  da atto scritto con data certa), deve trattarsi di un diritto reale del terzo, non di un diritto meramente  obbligatorio (se il debitore si definisce semplice comodatario della cosa, ancorchè esibisca il contratto di  comodato, questi enuncia la proprietà del terzo ma non la prova: si prova solo il rapporto obbligatorio tra  debitore e comodante, quindi si può espropriare).  L’ufficiale giudiziario ha il potere di rimuovere direttamente con la forza eventuali ostacoli  materiali al pignoramento, provvedendo secondo le circostanze ad aprire porte, ripostigli o  17  intervenuti muniti di titolo esecutivo, con apposita istanza, possono chiedere la vendita dei beni pignorati.  In prima battuta è consentita solo la richiesta di vendita, non di assegnazione la quale può essere chiesta  solo in seguito alla mancata vendita al primo incanto. Vi sono solo due eccezioni:  a) l'assegnazione può essere richiesta immediatamente solo per i titoli di credito o di altre cose il  cui valore risulta dai listini di borsa o di mercato,  b) nel caso di denaro contante, si saltano la vendita e l'assegnazione e si passa immediatamente alla  fase di distribuzione.  Sull'istanza di vendita o di assegnazione, da proporre con ricorso al quale va unito il certificato di  iscrizione degli eventuali privilegi gravanti sui beni pignorati, il giudice dell'esecuzione provvede  fissando l’udienza per la comparizione delle parti, nella quale queste possono fare osservazioni  circa il tempo o le modalità della vendita e debbono proporre a pena di decadenza le eventuali  opposizioni agli atti esecutivi che siano ancora proponibili. Se non vi sono opposizioni o se su di esse si  raggiunge un accordo, il giudice provvede sull'istanza di vendita o di assegnazione, mentre se nessun  accordo si raggiunge, il giudice dovrà decidere le opposizioni con sentenza e solo all'esito di tale decisione  potrà disporre la vendita o l'assegnazione. La vendita è disposta con ordinanza, ma nel caso della piccola  espropriazione mobiliare, qualora non vi siano interventi tempestivi il giudice provvede direttamente con  decreto inaudita altera parte. Nel caso invece di interventi tempestivi, occorrerà anche in questo caso  fare luogo alla comparizione delle parti. La vendita può avvenire, a scelta del giudice dell'esecuzione:  ­ senza incanto si svolge a trattativa privata, le cose pignorate devono essere affidate all’istituto vendite  giudiziarie o, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza.  Costoro provvederanno alla vendita in qualità di commissionario (il quale è un mandatario a vendere).  Nello stesso provvedimento il giudice dopo aver sentito, se necessario, uno stimatore, fissa il prezzo  minimo della vendita e l’importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita deve essere eseguita.  Per i preziosi (oggetti di oro o di argento) il prezzo minimo di vendita non può essere inferiore al loro  «valore intrinseco»; per le cose il cui prezzo risulta da listini di borsa o di mercato la vendita non può essere  fatta a prezzo inferiore al minimo segnato nel listino. Nella vendita senza incanto non si può vendere se non  per contanti, qualora la vendita senza incanto non avvenga nel termine di un mese dal provvedimento di  autorizzazione, il commissionario, salvo che il termine sia prorogato su istanza di tutti i creditori intervenuti,  deve riconsegnare i beni, affinché siano venduti all’incanto.  ­ all'incanto si svolge con il sistema dell’asta pubblica (l'enunciazione del prezzo raggiunto durante l'incanto  deve essere pubblica), per cui del provvedimento di vendita (che deve indicare il giorno, l'ora e il luogo  dell'incanto), deve essere data pubblicità. La vendita all’incanto si svolge, secondo le determinazioni del  giudice, sotto la direzione del cancelliere o dell'ufficiale giudiziario o di un istituto apposito. Il giudice col  provvedimento di vendita stabilisce il giorno, l’ora e il luogo della vendita, nonché il prezzo di apertura  dell’incanto (sentito quando occorre uno stimatore), oppure dispone che la vendita avvenga al miglior  offerente senza determinare il prezzo minimo, se le circostanze lo  consigliano (tranne che per le cose il cui valore risulta dai listini di borsa o di mercato, per le  quali il prezzo base va obbligatoriamente fissato nella misura del minimo del giorno precedente  alla vendita; e per i preziosi). L'incanto viene espletato dopo la ricognizione delle cose da vendere  confrontandole con la descrizione contenuta nel processo verbale di pignoramento. L’aggiudicazione al  maggior offerente segue quando, dopo una duplice pubblica enunciazione del prezzo raggiunto, non è fatta  una maggiore offerta. Qualora la cosa messa all’incanto resti invenduta, il soggetto a cui è affidata  l’esecuzione fissa un nuovo incanto a un prezzo base inferiore di 1/5 rispetto a quello precedente.  Nell'ipotesi che anche il secondo incanto vada deserto, i beni vanno riconsegnati al debitore ed il processo  esecutivo si chiude. Gli oggetti d’oro e d’argento se restano invenduti, sono assegnati per tale valore ai  creditori (assegnazione sattisfattiva con conguaglio). Non ve invece nessuna possibilità di assegnazione a  seguito di una vendita andata deserta dei beni il cui prezzo risulta dai listini di borsa o di mercato, per i quali  o si chiede l'assegnazione immediata o se ciò non avviene e la vendita va deserta, non può più avere luogo  un'assegnazione successiva.  20  Rivendita forzata o rivendita in danno (solo per vendita con incanto) se il prezzo non è pagato  dall'aggiudicatario il giudice provvede immediatamente a disporre un nuovo incanto a spese e sotto la  responsabilità dell'aggiudicatario inadempiente. Se la nuova vendita comporta il trasferimento del bene per  un prezzo inferiore a quello della precedente, il precedente aggiudicatario sarà tenuto al pagamento della  differenza. Delega delle operazioni di vendita: nel solo caso che il pignoramento abbia per oggetto beni  mobili registrati, il giudice dell'esecuzione, sentiti gli interessati, anziché sovraintendere personalmente alle  operazioni di vendita, può delegarle ad un altro soggetto, un istituto di vendite giudiziarie e solo in  subordine (in caso di sua assenza in loco), un notaio, un avvocato o  un commercialista. In tal caso il giudice dell'esecuzione si occuperà solo della distribuzione del  ricavato (o della restituzione dei beni al debitore nel caso di vendita infruttuosa), potendo nella  fase di vendita tutt'al più intervenire, per risolvere eventuali contestazioni. Il professionista delegato alla  vendita, nel caso di difficoltà insorte durante le operazioni di vendita, può fare ricorso al giudice  dell'esecuzione il quale provvede con decreto. Contro tale decreto e contro gli atti del professionista, le  parti possono proporre reclamo allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza. Il ricorso del  professionista non ha effetto sospensivo delle operazioni di vendita, salvo che il giudice ne disponga la  sospensione concorrendo gravi motivi.  DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO: la somma ricavata dalla vendita è immediatamente consegnata al  cancelliere per essere depositata con le forme dei depositi giudiziari.  ­ distribuzione amichevole se i creditori concorrenti chiedono la distribuzione della somma ricavata  secondo un piano concordato, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità  dichiarando chiusa la distribuzione e ordinando al cancelliere l'emissione dei mandati di pagamento.   ­ distribuzione giudiziale  se i creditori non raggiungono l’accordo per la distribuzione amichevole o il  giudice dell’esecuzione non approva, ognuno di essi può chiedere che si proceda alla distribuzione della  somma ricavata (può proporre istanza di distribuzione). Il giudice dell’esecuzione, sentite le parti,  distribuisce la somma ricavata e ordina il pagamento delle singole quote.  INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL PIGNORAMENTO MOBILIARE: riforma del 2009 ha aggiunto la norma  che prevede la possibilità di integrazione successiva del pignoramento. Presupposti:  ­ cose risultino invendute a seguito del secondo o successivo incanto  ­ la somma assegnata, cioè distribuita, non sia sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori.  In tal caso, il giudice, ad istanza di uno dei creditori, dispone l’integrazione del pignoramento e  l’ufficiale giudiziario riprende senza indugio le operazioni di ricerca dei beni. Se in tal modo sono  pignorate nuove cose, il giudice ne dispone la vendita senza che vi sia necessità di nuova istanza. In  caso contrario, dichiara l’estinzione del procedimento, salvo che non siano da completare le  operazioni di vendita.  ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI  Art. 543 ss. – nel caso si vogliono assoggettare:  ­ crediti del debitore verso terzi (obbligazioni);  ­ cose mobili del debitore che sono in possesso di terzi: beni del debitore che si trovano presso un  terzo ma dei quali il primo non può direttamente disporre (ad es. denari del debitore depositati in  banca). Se infatti il debitore ne potesse disporre, potrebbe effettuarsi nei suoi confronti il  pignoramento diretto; ma se tale disponibilità è condizionata alla collaborazione del terzo, il  pignoramento diretto è possibile solo se quest'ultimo consente di "esibire" le cose, diversamente  bisogna impiegare l'art. 543. All’espropriazione partecipano:  ­ il creditore e il debitore come soggetti attivi/passivi processualmente e sostanzialmente;  ­ il terzo, come soggetto solo ai fini processuali.  FORMA DEL PIGNORAMENTO:  ­ a differenza di quello mobiliare, il pignoramento presso terzi non si effettua in loco, ma  attraverso un atto notificato al debitore e al terzo;  ­ ha il duplice scopo di impedire al terzo di pagare (ovvero di consegnare la cosa) al debitore  esecutato e di accertare la sussistenza del credito di quest’ultimo nei confronti del terzo;  21  ­ è un atto complesso (alla cui formazione concorre sia il creditore sia l'ufficiale giudiziario),  predisposto e sottoscritto dal creditore, contenente:  a) l’ingiunzione al debitore  b) l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;  c) l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al terzo di  non disporne senza ordine del giudice  d) la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice  dell’esecuzione;  e) la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del  terzo, affinché questi faccia la cd. dichiarazione di quantità (dichiarare di quali  somme è debitore o di quali cose è in possesso, quando ne deve eseguire la consegna, e se ha  subito precedentemente altri sequestri o pignoramenti). Tale dichiarazione può, nei casi  previsti, essere inviata dal terzo al creditore procedente anche a mezzo di raccomandata entro  10 giorni dalla notifica della citazione;  Se il credito pignorato è garantito da pegno, occorre anche intimare al detentore del pegno di non  eseguirne la riconsegna senza ordine del giudice. Se poi il credito pignorato è garantito da ipoteca,  l'atto del pignoramento va annotato sui libri fondiari.  Si Noti: Il pignoramento consiste essenzialmente nella notifica al debitore, che è opera dell'ufficiale  giudiziario, mentre la notifica al terzo è opera del creditore e non può avere alcuna efficacia  costitutiva del vincolo esecutivo: non produce cioè l'«arresto» del credito (ovvero la sua  indisponibilità), né potrebbe farlo essendo opera di un privato, ma ha solo la conseguenza si  escludere la buona fede del terzo, tanto che se costui elude l'intimazione a lui fatta (ad es. pagando  il debitore), non vede per ciò stesso caducato l'atto, ma risponde solo dei danni per violazione degli  obblighi di custodia. Consistendo l'esistenza del pignoramento nell'ingiunzione fatta al debitore, è dal  momento della notifica fatta a costui che il pignoramento presso terzi produce tutti gli effetti, con la  conseguenza che è da tale momento che sorge l'indisponibilità del bene pignorato, indipendentemente dal  soggetto che ponga in essere l'atto. Se il terzo paga il debito dopo la notifica a lui fatta, ma prima di quella  al debitore, il pagamento è efficace, ma il terzo risponderà a titolo di risarcimento danni da omessa  custodia.  Il pignoramento presso terzi è anche atto a formazione progressiva, in quanto si attua in due tempi:  ­ notifica dell'atto per effetto della quale i beni sono già assoggettati al vincolo di custodia. L'atto  di pignoramento notificato, va poi depositato dall'ufficiale giudiziario nella cancelleria del  giudice dell'esecuzione, nella quale vanno depositati a cura del creditore procedente anche il  titolo esecutivo e il precetto.  ­ dichiarazione del terzo per iscritto: serve a perfezionare il pignoramento, provvedendo  all'esatta individuazione del bene pignorato, ma ciò non toglie che questo sia già in atto fino  dalla notifica con pienezza di effetti, si che la mancata dichiarazione ha la conseguenza, di fare  estinguere un vincolo già sorto e con esso il processo esecutivo. All’udienza il terzo personalmente o a  mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale deve specificare:  1) di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il  pagamento o la consegna.  2) i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o  che ha accettato.  3) eventuali precedenti pignoramenti che sono stati eseguiti presso di lui. Anche qui, come  nell’espropriazione mobiliare i vari pignoramenti andranno riuniuti nello stesso processo, ma qui no udienza  di vendita nè istanza di vendita: ma solo udienza di comparizione del debitore e del terzo. Inoltre se nella  mobiliare l’onere di inserimento del pignoramento successivo nel fascicolo di quello originario spettava  all’ufficiale giudiziario qui la responsabilità è attenuata poichè è il terzo che deve indicare i pignoramenti fatti  presso di lui (questi ne è responsabile, almeno che li abbia dichiarati e l’ufficiale non ne abbia tenuto conto).   Nell’udienza, ove la dichiarazione scritta sia positiva, il giudice dovrà disporre il provvedimento  22  CUSTODIA DEI BENI PIGNORATI: riforma del 2005 ha modificato il sistema della custodia nel  pignoramento immobiliare: sui due fronti della sostituzione del custode e dei suoi obblighi.  Con il pignoramento, il debitore è costituito custode dei beni pignorati e degli accessori, comprese  le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso (nomina automatica del debitore a custode). Il  giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, e sentito il  debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore (sostituzione ad istanza  del creditore). Sono state introdotte tre forme di sostituzione che operano d'ufficio:  1) il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal  debitore;  2) il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui  incombenti;  3) il giudice, se il custode dei beni pignorati è il debitore e salvo che per la particolare natura degli  stessi ritenga che la sostituzione non abbia utilità, dispone, al momento in cui pronuncia  l’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o disposta la delega delle relative operazioni, che  custode dei beni medesimi sia la persona incaricata delle dette operazioni o l’istituto all’uopo  autorizzato.  Tutti i provvedimenti in oggetto sono pronunziati con ordinanza non impugnabile.  Obblighi del custode  ­ il custode ha l'obbligo di rendiconto nel caso l'immobile sia fruttifero, è fatto divieto di dare in  locazione l’immobile pignorato se non è espressamente autorizzato dal giudice dell’esecuzione;  ­ il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione,  all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato;  ­ il custode esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per ottenere la disponibilità  dell'immobile (ad es. quando questo sia in mano a terzi);  ­ allorché è disposta la vendita, il custode deve adoperarsi affinché gli interessati all'acquisto  esaminino i beni in vendita, seguendo la modalità stabilita nell'ordinanza di vendita.  Ipotesi in cui il debitore abiti l'immobile pignorato: la continuazione della permanenza  nell'immobile può avvenire solo con l’autorizzazione del giudice. Il giudice dell’esecuzione  dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato, quando non  ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, oppure  quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede  all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile. Autorizzazione, dunque, che sembra essere  necessaria e che potrebbe anche essere negata, qualora ad es. il giudice intendesse preferire locarlo  a terzi. La permanenza nell'immobile del debitore e della sua famiglia dipende esclusivamente dal  potere discrezionale del giudice, che è assoluto, non essendo neppure subordinato all'esistenza di  specifici motivi. In ogni caso, il debitore deve liberare l'immobile al momento dell'aggiudicazione o  dell’assegnazione. Se il debitore è custode, abiti o meno l'immobile, egli deve lasciare la custodia al  momento dell'ordinanza che dispone la vendita, ma può permanere nell'abitazione dell'immobile  fino al momento in cui la vendita o l'assegnazione sono concretamente disposte (e questo lasso di  tempo può essere anche di qualche anno). Il provvedimento con cui il giudice dispone la liberazione  dell'immobile dal debitore, costituisce titolo esecutivo per il rilascio ed è eseguito a cura del custode  anche successivamente al decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, se  questi ultimi non lo esentano. L'affidamento ex lege al custode del compito di provvedere alle operazioni di  rilascio dell'immobile da parte del debitore, permane anche dopo il decreto di trasferimento (che è  successivo alla vendita o all'assegnazione). Questa è un’innovazione del 2005 fatta per evitare che,  avvenuto il trasferimento del bene l’aggiudicatario/assegnatario vengano abbandonati con un immobile  occupato e con tutti gli aggravi per liberarlo.  Il custode può ottenere il rilascio in via breve attraverso l'intervento dell'ufficiale giudiziario che  procede sulla base del solo provvedimento del giudice.  ESPROPRIAZIONE DELL'IMMOBILE ARREDATO: l'arredo di un immobile non costituisce pertinenza,  25  per cui esso non può essere oggetto dell'estensione automatica del pignoramento. Nel caso in cui si voglia  pignorare oltre all'immobile anche l'arredo, o si effettuano due pignoramenti separati l'uno nelle forme  dell’espropriazione immobiliare e l'altro nelle forme dell’espropriazione mobiliare, dando vita a due distinte  espropriazioni separate; oppure si ricorre alla forma dell'espropriazione congiunta.  Espropriazione di mobili insieme con immobili: il creditore può pignorare insieme coll’immobile  anche i mobili che lo arredano, quando appare opportuno che l’espropriazione avvenga  unitariamente, in tal caso l’ufficiale giudiziario forma atti separati per l’immobile e per i mobili, ma  li deposita insieme nella cancelleria del tribunale. Quest'ultima strada può seguirsi quando è «opportuno»  che l'espropriazione avvenga unitamente (per l'immobile e per i mobili) al fine di consentire attraverso la  vendita unitaria un ricavato superiore a quello che offrirebbero le vendite isolate dei mobili e dell'immobile.  I due pignoramenti sono distinti ma all'atto del deposito  congiunto danno vita ad un unico procedimento espropriativo che si svolge nelle forme dell'espropriazione  immobiliare: unica sarà l'istanza di vendita, unica sarà la vendita, unica la distribuzione del ricavato. Occorre  che il vincolo di connessione, sia evidenziato in entrambi gli atti, la riunione può essere solo originaria. Non  può avvenire in un momento successivo, allorché per esempio ci si accorga solo in seguito che la vendita  unitaria del complesso sarebbe più conveniente.  PIGNORAMENTO SUCCESSIVO: conferma che il pignoramento immobiliare si considera completo solo  con la trascrizione. È infatti con riferimento a quest'ultimo che si stabilisce l'anteriorità di un  pignoramento rispetto ad un altro, giacché il conservatore all'atto della trascrizione annota a  margine della nota che restituisce, l'esistenza di un eventuale pignoramento risultante dai pubblici  registri e cioè precedentemente trascritto. La disciplina è nella sostanza analoga a quella del pignoramento  mobiliare: se il pignoramento successivo è tempestivo, cioè è compiuto prima della «prima udienza» di  autorizzazione alla vendita, in tal caso il secondo pignoramento è inserito nel fascicolo del primo e  l'esecuzione si svolge in un unico processo (anche se il secondo pignoramento colpisce anche un altro  immobile oltre a quello già pignorato). Il pignoramento successivo, se è compiuto dopo l’udienza ha gli  effetti di un intervento tardivo rispetto ai beni colpiti dal primo pignoramento. Essendo il pignoramento  tardivo equiparato ad un intervento tardivo (e quindi ad un «intervento»), l'esecuzione deve essere unica  anche in questo caso (salvo l'eventuale postergazione del creditore secondo pignorante in sede di reparto).  Se il secondo pignoramento ha ad oggetto anche beni diversi, per tali diversi beni si avrà un procedimento  autonomo (che invece non si avrebbe nel caso in cui il secondo pignoramento fosse stato tempestivo).  INTERVENTO DEI CREDITORI: non vi sono particolari deroghe nell'espropriazione immobiliare  rispetto ai principi generali, per ciò che riguarda l'intervento dei creditori:  a) la tempestività e la tardività dell'intervento si commisurano con riferimento alla «prima udienza»  fissata per l'autorizzazione alla vendita.  b) solo i creditori tempestivi possono partecipare all'espropriazione e se muniti di titolo esecutivo  possono provocarne i singoli atti.  Per ciò che riguarda la partecipazione all'espropriazione, c'è una deroga per i creditori iscritti, i quali vanno  avvertiti non solo dell'udienza di autorizzazione alla vendita, per metterli in condizione di intervenire  tempestivamente, ma anche se non intervenuti ­ e quindi divenuti tardivi ­ vanno ugualmente avvertiti del  contenuto dell'ordinanza di vendita e la legge prescrive altresì che vadano sentiti ancorché «non intervenuti»  all'udienza di deliberazione sulle offerte nella vendita senza incanto.  c) non cambia il sistema di collocazione, in quanto i creditori privilegiati sono soddisfatti  prioritariamente rispetto ai chirografari sui beni su cui grava il loro diritto di prelazione, anche se  tardivi, purché ovviamente non intervengano oltre l'udienza fissata per l'approvazione del  progetto di distribuzione. Vengono poi nell'ordine soddisfatti proporzionalmente il creditore  pignorante e i chirografari tempestivi. Sulla eventuale somma che «sopravanza» anche dopo la  liquidazione di costoro, concorrono i creditori tardivi purché anche questi ultimi non siano  intervenuti oltre l'udienza di vendita o assegnazione.  VENDITA E ASSEGNAZIONE: fase della vendita e dell'assegnazione si apre con l’istanza di vendita  (non è ammessa in prima battuta l'assegnazione), che può essere proposta dal creditore pignorante o  26  da un qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo, trascorsi 10 giorni dal pignoramento.  ­ istanza di vendita: il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro 120 giorni  ad allegare  l’estratto del catasto, nonché i certificati storivi delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato  effettuate nei 20 anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita  da un certificatom notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Il termine  suddetto può essere prorogato dal giudice di ulteriori 120 gg., su istanza dei creditori o dell'esecutato, se  concorrono giusti motivi. E previsto poi che il giudice, ove ritenga la  documentazione incompleta, possa concedere al creditore un ulteriore termine di 120 gg. per  completarla. La somma dei termini equivale ad un anno, la sanzione per l'inosservanza dei termini di cui  sopra è l'inefficacia del pignoramento relativo al bene per il quale non è stata depositata la documentazione,  inefficacia che il giudice deve dichiarare anche d'ufficio con ordinanza, con la quale dispone anche la  cancellazione del pignoramento e, se non vi sono altri beni pignorati, anche l'estinzione del processo  esecutivo.  ­ determinazione del valore dell’immobile: agli effetti dell’espropriazione il valore  dell’immobile viene determinato da un esperto nominato dal giudice entro 30 giorni dal  completo deposito della documentazione prevista, fissando altresì la data per la successiva prima  udienza di vendita. La relazione dell'esperto va inviata almeno 45 gg. prima dell'udienza fissata  per la vendita ai creditori e al debitore, i quali possono depositare all'udienza fissata per la vendita eventuali  note, purché le abbiano comunicate all'esperto almeno 15 gg. prima, sulle quali quest'ultimo è obbligato  all'udienza a fornire i necessari chiarimenti.  ­ determinato il valore del bene, segue l'udienza per l'autorizzazione alla vendita: tale udienza è  designata come prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita (proprio perché la  vendita può anche non seguire) ed è con riferimento ad essa che viene stabilita la tempestività e  la tardività degli interventi. In tale udienza, che si svolge nel contraddittorio delle parti, le parti possono fare  osservazioni sul tempo e sulle modalità della vendita e debbono proporre (anche qui come  nell'espropriazione mobiliare) a pena di decadenza le eventuali opposizioni ancora proponibili.  Dopodiché, decise con sentenza le eventuali opposizioni, se vi sono, il giudice dispone con ordinanza la  vendita, che in prima battuta è quella senza incanto. Dell'ordinanza di vendita è data notizia a cura del  creditore che ha chiesto la vendita ai creditori non intervenuti ed è data la pubblicità prevista.  TIPI DI VENDITA IMMOBILIARE  vendita senza incanto: riforma del 2005 ha eliminato il potere discrezionale del giudice di  scegliere fra la vendita all'incanto e quella senza incanto, stabilendo l'obbligatorietà della  seconda (in prima battuta, non è consentito qui chiedere l'assegnazione). Si svolge attraverso la  presentazione di offerte di acquisto in cancelleria che vanno depositate nel termine fissato nell'ordinanza di  vendita, accompagnate dal versamento della cauzione che non deve essere inferiore al 1/10 del prezzo  proposto dall'offerente. Le offerte (che possono essere presentate da chiunque, tranne che dal debitore),  sono formulate dalla parte personalmente o a mezzo di un procuratore legale (che però deve avere una  procura di diritto sostanziale e non semplicemente quella ad litem prevista dall'art. 83 e che può presentare  l'offerta tanto per il rappresentato, quanto per persona da nominare). Esse vanno depositate in busta chiusa  in cancelleria. Le offerte non sono efficaci:  a) se fatte fuori termine;  b) se sono inferiori al prezzo stabilito dal giudice;  d) se non sono accompagnate dalla cauzione nella misura prevista dalla legge.  Le offerte sono irrevocabili. La scelta dell'offerta che determina l'aggiudicazione del bene avviene in  un'udienza successiva a quella di autorizzazione alla vendita, che si tiene nel  contraddittorio delle parti e della quale vanno nuovamente notiziati i creditori che non  siano intervenuti.  a) se l'offerta è superiore al valore dell'immobile determinato dal giudice (cioè, in pratica, al  prezzo di vendita), aumentato di un quinto, allora va senz'altro accolta.  b) se l'offerta è inferiore, è sufficiente il dissenso del creditore procedente o la convinzione del  27  dal giudice ed eventuali contestazioni in proposito, sono risolte dal giudice con ordinanza. E ammesso che  durante il suo svolgimento ogni creditore possa chiedere al giudice di procedere ad un nuovo incanto o  all'assegnazione. Non quindi alla vendita senza incanto, che peraltro può essere provocata direttamente  da chiunque, mediante presentazione di offerte di acquisto.  L’amministrazione cessa, e deve essere ordinato un nuovo incanto, quando viene a scadere il  termine previsto, tranne che il giudice, su richiesta di tutte le parti, non ritenga di poter concedere  una o più proroghe che non prolunghino complessivamente l’amministrazione oltre i tre anni.  DELEGA DELLE OPERAZIONI DI VENDITA: possibilità di concedere la delega alle operazioni di  vendita oltre che ai notai anche agli avvocati e ai dottori commercialisti. Dal punto di vista  oggettivo, anche qui come nell'espropriazione mobiliare, la delega non riguarda più solo le  operazioni della vendita con incanto, ma anche di quella senza incanto.  Alla «prima» udienza di vendita, affidato l'incarico all'esperto per la determinazione del valore del bene il  giudice dell'esecuzione se decide di disporre la delega, la dispone con ordinanza con la quale provvede  sull'istanza di vendita.. Tale ordinanza avrà però un contenuto più ristretto rispetto la normale ordinanza  di vendita, giacché si limiterà di disporre la vendita senza incanto, individuando il professionista delegato e  precisando che le offerte non vanno depositate in cancelleria, ma in altro luogo espressamente indicato (che  presumibilmente sarà lo studio del professionista). L'ordinanza stabilirà anche la durata della delega. Tutte  le altre prescrizioni previste (determinazione del valore del bene, modalità con cui deve essere prestata la  cauzione, data in cui avrà luogo la delibera delle offerte,  ecc.) saranno disposte successivamente dal professionista delegato.  Incombenze che possono essere svolte dal professionista delegato o di fronte ad esso:  determinazione del valore del bene; redazione dell'avviso di vendita con le relative indicazioni  (valore del bene, modalità del deposito delle offerte, data in cui si provvederà a deliberare sulle  stesse) e conferimento allo stesso della pubblicità, secondo le modalità fissate dal giudice; formulazione del  progetto di distribuzione da trasmettere anch'esso al giudice dell'esecuzione ecc.  Professionista delegato non può fare e per il che deve investire il giudice dell'esecuzione sono le  seguenti attività:  ­ fissazione del primo incanto (può invece disporre autonomamente quelli successivi)  ­ disposizione dell'amministrazione giudiziaria.  ­ provvedimento di decadenza dell'aggiudicatario (can only fissare la data della rivendita forzata)  ­ disporre i provvedimenti nel caso di cessazione dell'amministrazione giudiziaria (nuovo incanto o  assegnazione),  ­ emanazione del decreto di trasferimento (il professionista può solo predisporne la bozza).  Ricorso al giudice dell’esecuzione Se nel corso delle operazioni delegate sorgono «difficoltà», il  professionista può rivolgersi al giudice dell'esecuzione il quale provvede con decreto. Le parti possono  proporre reclamo contro tale decreto allo stesso giudice che lo ha pronunziato.  Identico reclamo possono proporre le parti allo stesso giudice contro gli atti del professionista.  DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO: a differenza dell'espropriazione mobiliare nella quale la  distribuzione della somma può aversi secondo un riparto concordato o secondo un riparto giudiziale,  nell'espropriazione immobiliare il riparto (allorché i creditori siano più di uno) è sempre giudiziale  Formazione del progetto di distribuzione Il giudice dell'esecuzione, entro 30 giorni dal  versamento del prezzo forma un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori  che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria fissando anche l'udienza per l'audizione delle parti  (la quale va comunicata a queste ultime almeno 10 giorni prima, per consentire loro di disporre di  un tempo utile per consultare il progetto). Il progetto può essere formato anche dal professionista  delegato, ma deve comunque essere sempre inviato al giudice per il controllo e per la fissazione  dell'udienza. La mancata comparizione all'udienza senza giustificato motivo, comporta approvazione del  progetto (approvazione da parte delle parti non comparse). All'udienza se il progetto è approvato o si  raggiunge un accordo di modifica tra tutte le parti, se ne dà atto nel verbale ed il giudice ordina il  30  pagamento delle singole quote. Se invece v'è il dissenso di qualcuna di esse, il giudice dell'esecuzione  provvede su tutte le contestazioni con ordinanza impugnabile.  ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI  Quando si pignora il bene indiviso procedendo solo contro uno o più comproprietari, ma non  contro tutti. In sostanza con siffatto tipo di espropriazione si espropria la quota ideale di comproprietà sul  bene degli esecutati. Il pignoramento si svolge secondo le normali regole previste a seconda della natura  del bene. Ma colpendo solo la quota, esso presenta una prima particolarità: e cioè che se dal punto di vista  giuridico esso non può che concernere esclusivamente la quota, dal punto di vista materiale il vincolo  produce effetti che si estendono all'intero bene, giacché la custodia non può che riguardare il bene nella sua  integralità.  PIGNORAMENTO: possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari  sono obbligati verso il creditore. In tal caso del pignoramento è notificato avviso, a cura del  creditore pignorante, anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciare separare dal  debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice. La funzione dell’avviso è solo quella di  informare i comproprietari dell'avvenuto pignoramento, onde escluderne la buona fede nell'ipotesi che  consentissero alla divisione stragiudiziale del bene, rendendoli così esposti ad un'azione di risarcimento  danni. L’avviso ai comproprietari dei beni indivisi deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del  bene pignorato, della data dell’atto di pignoramento e della trascrizione di esso. L’avviso è sottoscritto dal  creditore pignorante. Con lo stesso avviso o con atto separato gli interessati debbono essere invitati a  comparire davanti al giudice dell’esecuzione per sentire dare i provvedimenti indicati dall’art. 600. Il  concetto di «interessati» a cui quest'ultima norma si riferisce è più ampio di quello di comproprietari,  andando a ricomprendere tutti coloro che possono risentire effetti della procedura, come ad es. i creditori  o gli aventi causa di un comproprietario, per cui l'invito a comparire va diretto anche ad essi.  UDIENZA DI CUI ALL'ART. 600 C.P.C. ED I RELATIVI PROVVEDIMENTI: nell'espropriazione in oggetto  non vi sarà un'udienza di vendita, ma l'udienza di convocazione di cui all'art. 600 che dovrà però  essere richiesta dal creditore procedente (o da altro creditore munito di titolo esecutivo) negli stessi  termini previsti per l'istanza di vendita (entro 90 giorni e trascorsi 10 giorni). All'udienza, l'espropriazione  proseguirà secondo tre strade alternative.  a) giudice può separare la quota spettante al debitore: i creditori potranno chiedere la  separazione in natura della parte dei beni corrispondente alla quota assoggettata (questo  provvedimento prevede la richiesta di parte, per cui se questa manca il giudice non può concederlo  d'ufficio, ma deve passare a quelli di cui ai punti b) e c)). La separazione può avere luogo solo se è  possibile, il che avviene esclusivamente nel caso dei beni fungibili (ad es. comproprietà di denaro, frutta,  grano ecc) dei quali è agevole isolare materialmente eventuali parti. La separazione è disposta ed attuata  direttamente dal giudice dell' esecuzione.  b) giudice può chiedere la divisione del bene secondo le regole generali (nel qual caso  l’espropriazione è sospesa fino a quando non si sia proceduto alla divisione): se la separazione in  natura non viene richiesta o non appare possibile, il giudice dispone la divisione del bene, salvo  che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della  stessa. La divisione non potrà essere attuata dal giudice dell'esecuzione, ma si svolgerà di fronte  al giudice di pace o al tribunale, secondo le normali regole di competenza. Sulla parte materiale dei beni  attribuita al condividente si concentrerà, il pignoramento. La vendita dovrebbe  essere disposta automaticamente dal giudice dell'esecuzione.  c) vendita della quota è l'alternativa più rara, perché è difficile che un terzo sia disposto a  subentrare nella comproprietà del bene al posto dell'esecutato. Ad ogni modo ad essa può ricorrersi, solo  quando il giudice dell'esecuzione ritenga probabile che la vendita possa farsi ad un prezzo almeno pari al  valore della quota (per il che ci vorrà sempre la nomina di un esperto da  parte del giudice). Venduta la quota, si può passare direttamente alla fase di distribuzione del denaro   secondo le regole delle singole espropriazioni.  ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO  31  L'espropriazione contro il terzo proprietario (che nulla ha a che vedere con l'espropriazione presso terzi,  perché qui non si procede «presso» il terzo, ma «contro» il terzo) si attua in tre ipotesi distinte che vedono  la scissione fra debito e responsabilità per cui viene assoggettato al processo esecutivo un soggetto  diverso dal debitore (terzo ha una posizione processuale analoga a quella del debitore):  a) quando il terzo è proprietario di un bene gravato da ipoteca (datore di ipoteca) o di cosa soggetta  a pegno (datore di pegno). In questo caso il terzo garantisce il pagamento del debito di un altro  soggetto. Nel caso di inadempimento del debitore gli effetti sono gli stessi, per cui anche qui il  titolo esecutivo contro quest'ultimo può legittimare l'espropriazione prevista dall'art. 602, direttamente  nei confronti del terzo datore.  b) quando il terzo ha acquistato beni gravati da ipoteca o cose date in pegno. L'ipoteca attribuisce al  creditore il diritto di espropriare i beni su cui essa grava anche in confronto del terzo acquirente. Sulla  base del titolo esecutivo contro il debitore, l'esecuzione potrà farsi direttamente nei confronti del terzo  acquirente.  c) quando l’alienazione del bene da parte del debitore è stata revocata per frode: avvenuto impiego  con successo dell'azione revocatoria che abbia portato alla dichiarazione dell'inefficacia rispetto  ai creditori dell'atto di vendita. Anche in tal caso sulla base del titolo esecutivo, costituito dalla  sentenza di revoca, l'azione esecutiva può essere condotta direttamente nei confronti del terzo  acquirente, senza bisogno di fare prima rientrare il bene nel patrimonio del debitore. Ottenuta la  dichiarazione dell'inefficacia della cessione, il creditore può promuovere nei confronti dei terzi  acquirenti le azioni esecutive.  PROCEDURA ESECUTIVA: l'esecutato non è il debitore bensì il terzo, il quale è il soggetto colpito dalla  sanzione esecutiva. Il titolo esecutivo, contro l'originario debitore (non occorre procurarsene uno contro il  terzo), per coinvolgere nell'esecuzione il terzo deve sempre avere carattere composito, dovendo essere  accoppiato all'atto che consente di assoggettare alla responsabilità quest'ultimo: e cioè all'atto di  costituzione del pegno o dell'ipoteca da parte del terzo (nel caso a ) , all'atto di cessione al terzo del bene  gravato da ipoteca, (nel caso b ) , alla sentenza di revoca (nel caso c).  ­ poiché il terzo non risponde con tutti i suoi beni, ma solo con quelli oggetto della garanzia reale  o la cui cessione è stata revocata, occorre che nel precetto siano indicati i beni del terzo che si  intendono espropriare.  ­ il titolo esecutivo ed il precetto vanno notificati oltre cha al debitore, anche al terzo, giacché  quest'ultimo è il soggetto contro il quale si compie l'espropriazione. Il pignoramento e in  generale gli atti d'espropriazione si compiono nei confronti del terzo al quale si applicano tutte le  disposizioni relative al debitore, tranne il divieto, per il quale il debitore non può fare offerte  all'incanto, che non si applica al terzo.  Ogni volta in cui secondo le norme generali dell'espropriazione deve essere sentito il debitore, è  sentito anche il terzo (giacché è quest'ultimo ad essere l'esecutato). Debitore è comunque solo parte  formale, giacché la parte sostanziale è solo il terzo.  PARTICOLARITÀ IN TEMA DI INTERVENTO DEI CREDITORI:  ­ i creditori del debitore diversi dal creditore procedente non possono intervenire, in quanto il  diritto di seguito connesso alla garanzia reale o la dichiarazione di inefficacia della cessione che  si ha con l'azione revocatoria sono strumenti esclusivamente processuali, che giovano soltanto a  chi li utilizza, cioè al creditore a favore del quale è stata costituita la garanzia reale o che ha  esperito l'azione revocatoria. In sostanza, è solo a favore di questo creditore che opera  l'inefficacia della vendita del bene gravato dal diritto di seguito, si tratta cioè di un'inefficacia  «relativa» al solo creditore a favore del quale era stata costituita la garanzia o che ha esperito la  revoca. Per tutti gli altri creditori del debitore il bene è come se fosse ancora nel patrimonio del  terzo. Fanno ovviamente eccezione eventuali creditori del debitore che avessero anch'essi  garanzie reali sul bene o che avessero anch'essi esperito l'azione revocatoria.  ­ possono intervenire i creditori del terzo e ciò in quanto l'esecuzione si compie nei confronti di  costui. Tuttavia costoro dovranno in questo caso essere sempre postergati al creditore  32  ­ esecuzione forzata degli obblighi di non fare  Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente  diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo  (dovrebbe parlarsi di esecuzione di obblighi di disfare il titolo esecutivo recherà la condanna al «disfare»  ed è appunto essa che va eseguita). Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può  conseguire solo il risarcimento dei danni se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale.  Per le obbligazioni di non fare occorre, in realtà, che sia stato fatto qualcosa in contrasto con l’obbligo, e  che questo qualcosa sia passibile di distruzione.  PROCEDURA è unica tanto nel caso di esecuzione di obblighi di fare che di non fare, giacché in  entrambi i casi essa si sostanzia in un facere. La legge prevede che il titolo esecutivo debba essere  costituito da una sentenza di condanna (o di un verbale di conciliazione), esclude la possibilità di impiego  dei titoli esecutivi stragiudiziali. L'atto di precetto dovrà indicare l'obbligo che non è stato rispettato ed il  conseguente fare o disfare che dovrà essere realizzato attraverso l'esecuzione.  Provvedimento: la procedura ha inizio con la presentazione del ricorso al giudice, con cui la parte  istante chiede che siano determinate le modalità dell’esecuzione. Il giudice provvede, con ordinanza, a  determinare tempo e modalità della esecuzione (dovrà in stabilire, il quomodo dell'esecuzione, mentre l’an  è già stato stabilito nel titolo esecutivo), sentita la parte obbligata. Tale previa audizione è sempre  obbligatoria, anche nel caso in cui abilitato ad eseguire le opere sia lo stesso creditore. Per la  determinazione della modalità di esecuzione, il giudice potrà servirsi di un consulente tecnico. Con la sua  ordinanza il giudice designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione, nonché le persone che  devono materialmente provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella  compiuta. Chi effettua le operazioni materiali del fare e del disfare non può essere l'ufficiale giudiziario,  essendo necessario l'intervento di persone esperte e organizzate. La sua presenza non serve pertanto a  dirigere tali attività, ma a renderle «giurisdizionali» e cioè espressione del potere dello Stato che attua  coattivamente la pretesa esecutiva. L’ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica se sorgono  ostacoli da rimuovere nel corso dell'esecuzione ­ e. l’opera da distuggere incide sulla proprietà di un terzo  estraneo ­ e deve chiedere al giudice dell’esecuzione le opportune disposizioni per eliminare le difficoltà  che sorgono nel corso dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede con decreto. Rimborso delle  spese: l'anticipazione delle spese per l'esecuzione delle opere (che possono essere anche elevate se l'opera  è di particolare consistenza: ad es. demolizione di un edificio) è a carico della parte istante la quale le  recupererà alla fine dell'esecuzione, presentando al giudice una nota delle stesse allegata ad un ricorso per  ingiunzione (la nota deve essere vistata dall'ufficiale giudiziario giacché il giudice può non sapere se tutte le  spese siano o meno attinenti all'esecuzione). Il giudice dell’esecuzione, quando riconosce giustificate le  spese denunciate, provvede con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.   Esecuzione dei provvedimenti di consegna dei minori: l. 74 del 1987: all'attuazione dei  provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, l'esecuzione  dell'obbligo di consegna dei minori deve attuarsi in via breve attraverso disposizioni date dal giudice  del divorzio (o della separazione), sollecitato dal genitore che intende ottenere l'esecuzione dell'obbligo.  Dopo l'emanazione della sentenza di separazione o di divorzio il giudice del merito ha  esaurito ormai ogni funzione e più non esiste. Per cui, se il provvedimento è ormai divenuto  definitivo, si ripiega, sulle forme del processo esecutivo, che dovrebbero essere quelle dell’ esecuzione  forzata degli obblighi di fare e non fare se si segue l'interpretazione della Cassazione o  dell'esecuzione per consegna o rilascio se si seguono gli ultimi sviluppi della dottrina. In  ogni caso la tutela dell'avente diritto dovrebbe essere rinforzata, quantomeno nel divorzio, dalla  misura coercitiva della l. div., che prevede la sanzione penale nel caso di inadempimento  dell'obbligo di consegna del minore.  Misure coercitive disposte dalla riforma del 2009, volte all'attuazione di un obbligo di fare  infungibile o di non fare, in alternativa all'esecuzione forzata non si prevede che il debitore sia  costretto con la forza ad adempiere l’obbligazione infungibile, ma consente al giudice,su richiesta di parte,  di condannare chi si è reso inadempiente di obbligo di non fare o di fare infungibile il pagamento di una  somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva, oppure per ogni ritardo nell’esecuzione  35  del provvedimento. Introduce l'impiego di misure coercitive per la rapida attuazione di un fare infungibile o  di un obbligo di non fare, prescindendo dall'esecuzione forzata.  I problemi più gravi nascono comunque dal testo stesso della norma:  ­ che senso abbia una condanna ad un «fare infungibile» (ad es. il facere dell'artista), se il fare è  infungibile, non pare avere alcun senso chiederne esecuzione, essendo ovvio che bisognerebbe  optare per il risarcimento del danno. La norma pertanto sotto tale profilo praticamente non serve.  ­ anche ammesso che la suddetta misura possa adempiere allo scopo con riferimento al fare  infungibile o agli obblighi di non fare, non si comprende a che cosa debba commisurarsi l'eventuale  «violazione o inosservanza» successiva o il «ritardo» nell'esecuzione del provvedimento, non  essendovi in proposito alcun riferimento cronologico (giorni, mesi) al quale ricollegare  l'inadempienza.  ­ disposizione in ogni caso non lascia alcun margine discrezionale al giudice di decidere se  applicare o meno la sanzione, ma gli impone l'obbligo di farlo («... il giudice ...fissa»), salvo che  ciò sia «manifestamente iniquo». Quale siano i criteri che consentano di determinare quando si  sia di fronte alla «manifesta iniquità», non è però dato sapere   ­ Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della  natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.  > molti vaghi parametri, tutti quanti concorrenti e di difficile specificazione.  ­ ammesso che la misura possa servire a qualche scopo, si deve rilevare che essa non è applicabile ai  rapporti di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione «coordinata e continuativa»   OPPOSIZIONI AL PROCESSO ESECUTIVO  L’opposizione è il rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui questi si duole di aver  subito la lesione di un suo diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritiene ingiusto.  L’opposizione, una volta proposta, dà luogo ad un accertamento e quindi ad un ordinario processo di  cognizione, che si inerisce nell’ambito di un processo di esecuzione.Esso è autonomo rispetto al processo  esecutivo in cui si inserisce, in quanto esige un autonomo atto introduttivo del giudizio, e si svolge in modo  autonomo rispetto a questo. Sono i mezzi di difesa che il legislatore appronta per l'ipotesi dell'esecuzione  ingiusta o irregolare, cioè gli strumenti attraverso i quali si esplica nel processo esecutivo il dettato dell'art.  24 Cost (difesa ex post dopo il compimento dell'atto esecutivo, attraverso veri e propri procedimenti di  cognizione che se pure inerenti al processo esecutivo, si svolgono al di fuori di esso approdando ad una  sentenza che stabilirà le sorti di quest'ultimo). Opposizioni al processo esecutivo si distinguono in  ­ opposizioni proponibili dall’esecutato (debitore o terzo assoggettato all’esecuzione): opposizione  all'esecuzione e opposizioni agli atti esecutivi   ­ opposizioni di terzo, estranei all’esecuzione, ma che vantano diritti sui beni esecutati  Riforma del 2006 ha innovato stabilendo tre nuovi principi:  a) le opposizioni, di cui sopra,  danno sempre vita a procedimenti autonomi e distinti da quello  esecutivo;  b) i giudizi sulle tre opposizioni si svolgono secondo il rito camerale  c) la decisione in tutte tre le ipotesi è effettuata con sentenza non impugnabile: cioè non appellabile,  ma sempre ricorribile ex art. 111 Cost.  Opposizioni atipiche: nonostante che la legge attribuisca la legittimazione a proporre le opposizioni  esclusivamente al debitore ed ai terzi ingiustamente assoggettati all'esecuzione, la giurisprudenza e  la dottrina attribuiscono eccezionalmente il diritto di opporsi anche ad altri soggetti che ne abbiano  interesse (ad es. gli «interessati»).  OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE (detta anche opposizione di merito) serve a contestare il  diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Con essa si deduce l’ingiustizia  dell'esecuzione e cioè l'insussistenza della pretesa esecutiva. L'oggetto dell'opposizione  è  dunque solo il diritto che sorge dal titolo esecutivo e quindi solo l'azione esecutiva.  L'azione esecutiva è insussistente quando mancano i due presupposti previsti dall'art. 474, e cioè il  «diritto certo, liquido ed esigibile» e il «titolo esecutivo». Le contestazioni possono riguardare:  36  a) titolo esecutivo:  ­ inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo esecutivo: opposizione è data quando l'esecuzione è  iniziata senza che sussistesse alcuno dei provvedimenti o degli atti previsti dall'art. 474.  Salvi i casi eccezionali, deve trattarsi della mancanza materiale del titolo, non di una sola  eventuale invalidità. Eccezione: nullità della sentenza per mancata sottoscrizione del giudice, che può essere  sempre rilevata in ogni tempo, anche al di fuori dei mezzi di gravame, consentito che esso  possa essere rilevato anche con l'opposizione. Al di fuori di tale ipotesi, la possibilità di impiego  dell'opposizione è legata alla mancanza del titolo esecutivo (es. caso in cui volesse procedersi ad  esecuzione forzata sulla base di una sentenza di accertamento o costitutiva, che non costituisce titolo  esecutivo).  ­ inidoneità del titolo esecutivo a fondare quel tipo di esecuzione (mancanza oggettiva):  quando si impieghi uno dei titoli previsti dall'art. 474 per un tipo di esecuzione per la quale  esso non è abilitato (es. qualora si volesse procedere all'esecuzione di obblighi di fare o di non  fare sulla base di un atto notarile).  ­ inidoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione ad opera di quel soggetto o contro  quel soggetto (mancanza soggettiva): caso dell'esecuzione sulla base del solo dispositivo  della sentenza di condanna nel processo di lavoro, che è consentita al solo lavoratore (per cui,  se il datore di lavoro intendesse utilizzare il dispositivo per l'esecuzione forzata con  riferimento ad un capo della sentenza a lui favorevole, andrebbe sicuramente incontro  all'opposizione).  In tutti i casi siamo in presenza di una mancanza originaria del titolo esecutivo, tale mancanza  può anche essere sopravvenuta, come nel caso in cui l'esecutività della sentenza di primo grado  sia stata sospesa.  b) presenza di un diritto certo, liquido ed esigibile: con l'opposizione all'esecuzione si potrà contestare  l'inesistenza del diritto sopravvenuta alla formazione del titolo esecutivo (debitore che paghi il debito dopo  sentenza e si fosse ugualmente proceduto contro di lui), la mancanza di  liquidità esigibilità o certezza.  c) per i titoli stragiudiziali, soprattutto per quelli cambiari: può parlarsi di inesistenza originaria o  successiva del titolo esecutivo, il carattere di titolo esecutivo di tali titoli cartolari, viene meno  dopo lo spirare del termine di prescrizione.  d) attraverso l'opposizione all'esecuzione, si può dedurre anche l'impignorabilità dei beni: nel caso  di un'esecuzione che cada sui beni impignorabili, si può effettivamente parlare di mancanza  dell'azione esecutiva sui beni colpiti.  Competenza a decidere sull'opposizione spetta al giudice competente per materia o  valore e per territorio:  verticale:  ­ nel caso di espropriazione forzata, la competenza potrà spettare al giudice di pace o al tribunale a  seconda del valore del credito per cui si è proceduto ad espropriazione;  ­ se si tratta invece di opposizione all'esecuzione in forma specifica, la causa dovrà considerarsi di valore  indeterminabile per cui l'opposizione andrà sempre proposta di fronteal tribunale.  orizzontale: è territorialmente competente il giudice del luogo dell'esecuzione (del luogo cioè in  cui si effettua l'esecuzione). Tale competenza ha però per presupposto che nell'atto di precetto il  creditore istante abbia eletto domicilio nel luogo in cui intende promuovere l'esecuzione. Se  manca l'elezione di domicilio, l'opposizione «a precetto» (e solo questa) si propone di fronte al  giudice del luogo in cui tale atto è stato notificato.  L’opposizione si può proporre prima dell’esecuzione o durante:  ­ prima dell’inizio dell'esecuzione e cioè nell’ipotesi di opposizione al precetto, l’atto introduttivo del  giudizio sarà costituito da un atto di citazione  ­ se l'esecuzione è iniziata (e cioè si è avuto il pignoramento o è stato posto in essere l'atto  introduttivo delle esecuzioni) o se si tratta di esecuzione con cui si contesta la pignorabilità  37  di cui agli artt. 414 ss. (cioè il ricorso del punto a) visto sopra) da proporre al tribunale del luogo  dell'esecuzione, che nel nostro caso sarà quello della sezione lavoro.  b) se l'esecuzione è iniziata, l'opposizione si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione, che anche qui  disporrà la comparizione delle parti e all'udienza darà i provvedimenti opportuni, ivi compreso quello  dell'instaurazione del giudizio di opposizione in un termine perentorio. Tale giudizio sarà introdotto nelle  forme dell'art. 414 e si svolgerà anche qui di fronte alla sezione lavoro del tribunale. L'art. 618­bis,  secondo comma, adotta anche per l'opposizione agli atti esecutivi posta in essere dopo l'inizio  dell'esecuzione la stessa soluzione dell'opposizione all'esecuzione, statuendo che in entrambi i casi, la  competenza del giudice dell'esecuzione resta ferma «nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza»,  cioè solo per la fase preliminare. Per cui in materia di lavoro e previdenza sembrerebbe aversi una deroga  alla regola generale, nel senso che anche le opposizioni agli atti esecutivi sono decise sempre dalla  sezione lavoro. In questa materia il giudizio conseguente a dette opposizioni (all'esecuzione e agli atti  esecutivi), appartiene sempre alla competenza del giudice del lavoro.  Le norme sulle controversie di lavoro verranno impiegate   OPPOSIZIONE DI TERZO quelle opposizioni che possono essere proposte dal terzo che  pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati (es. diritto reale di godimento su  cosa altrui) al fine di sottrarre il proprio diritto all'esecuzione. Tale tipo di tutela è stato inserito nel nostro  sistema processuale in conseguenza del fatto che il pignoramento non sempre può colpire i beni del  debitore, ma in certi casi può fortuitamente coinvolgere anche beni del terzo (es. nell'espropriazione  mobiliare, nella quale l'ufficiale giudiziario recatosi nella residenza effettua il pignoramento sulla base del  semplice requisito esteriore dell'appartenenza del bene all'esecutato, a meno che costui non fornisca una  prova inequivoca che il bene è di proprietà del terzo, ad es. una scrittura privata con data certa, che  dimostri che il bene è del terzo). L'ufficiale giudiziario non può esimersi dal pignorare i beni che trova,  potendo quindi coinvolgere anche beni che appartengano a potenziali terzi.L'opposizione di terzo è  possibile solo da chi rivendichi sui beni la proprietà o altro diritto reale:  ­ nel caso in cui venga rivendicata la proprietà, il terzo intenderà sottrarre integralmente il bene  all'esecuzione;  ­ nel caso di diritto reale parziario (come ad es. l'usufrutto), il terzo, accertata l'esistenza del suo  diritto, otterrà che il processo esecutivo prosegua solo sulla nuda proprietà, salvaguardando il  proprio diritto di usufrutto che continuerà a sussistere.  Escluso è che con l'opposizione di terzo possano essere tutelati rapporti obbligatori, come ad es.  la locazione  Competenza territoriale spetta sempre al giudice del luogo dell'esecuzione; quella per valore è  determinata con riferimento al valore dei beni controversi, per cui può spettare anche al giudice di  pace.In sostanza a differenza dell'opposizione ex art. 615, che prevede uno spostamento della competenza  tanto orizzontale che verticale e dell'opposizione ex art. 617, che prevede uno spostamento della  competenza solo orizzontale (spettando quest'ultima sempre al tribunale), l'opposizione di terzo ha solo  una competenza verticale, che può spettare al giudice di pace o al tribunale (a seconda del valore dei  beni contestati) del luogo in cui è stata incardinata l'esecuzione.  L’opposizione si introduce con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione, il quale convoca le parti  davanti a sé, disponendo la notifica del ricorso e del decreto alla controparte.  ­ se all’udienza le parti raggiungono un accordo (definizione consensuale della vertenza) il  processo si chiude con un ordinanza emanata dal giudice dell'esecuzione, con la quale saranno  dati anche i consequenziali provvedimenti, che potranno essere inerenti alla prosecuzione del  processo esecutivo se questo era stato sospeso (nel caso ad es. in cui le parti abbiano riconosciuto  che il bene era stato giustamente assoggettato ad esecuzione) o ad estinguere il processo (nel  caso opposto, in cui il bene risulti effettivamente essere del terzo).  ­ se l'accordo non viene raggiunto, occorrerà decidere la questione con sentenza, ma ciò non potrà  essere fatto dal giudice dell'esecuzione, bensì dal giudice competente per valore. A tal uopo il  giudice dell'esecuzione dovrà disporre la riassunzione della causa di fronte al giudice di pace  40  oppure, se la competenza spettava al tribunale adito, dovrà disporre un termine perentorio entro  il quale il terzo dovrà iniziare il giudizio di fronte al tribunale con atto di citazione.  Qualora l’opposizione venga accolta, deve distinguersi il caso  ­ se si conclude prima della vendita o assegnazione, il terzo potrà recuperare il bene  ­ se l’opposizione si conclude dopo vendita, vi è un limite per le cose mobili, poichè il diritto dell’acquirente  è intangibile: non esiste garanzia per evizione. Il terzo opponente vincitore potrà rifarsi sulla somma ricavata  dell’esecuzione, purchè non sia stata già distribuita tra i creditori.  Limiti della prova testimoniale: il terzo opponente non può provare con testimoni il suo  diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore; per tali tipi di beni, la prova  della proprietà o del diritto reale del terzo non può essere data per testimoni, può essere pertanto  solo scritta, fornita con atto pubblico o con scrittura privata. Tranne che l’esistenza del diritto stesso  sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore: se esproprio C, e  nella sua abitazione rinvengo stoffe, sarà verosimile appartengano al marito, se fa il sarto. Quindi può, il  marito, provare con testimoni che le stoffe sono sue.  OPPOSIZIONE DI TERZO NELL'ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA: l'opposizione di terzo di cui  all'art. 619 è prevista essenzialmente per l'espropriazione forzata, non riguarda pertanto l'esecuzione  in forma specifica. Per tentare di risolvere il problema occorre vedere quale tipo di pregiudizio può  ricevere il terzo dal processo esecutivo. Nel caso di diritti incompatibili con quello tutelato  nell'esecuzione > bisogna verificare se tali diritti incompatibili siano:  ­ dipendenti dalla posizione dell'esecutato: es. il diritto del subconduttore rispetto  l'esecuzione dello sfratto nei confronti del conduttore: il titolo esecutivo di rilascio vale anche  nei confronti del terzo, che qui soggiace dell'efficacia riflessa del giudicato. Ne consegue che  il terzo non ha tutela rispetto l'esecuzione, salva la possibilità dell'opposizione contro la sentenza,  dimostrando però la collusione fra l'attore e il convenuto. Se l'opposizione è accolta, di riflesso cadrà anche  l'esecuzione.  ­ autonomi rispetto la posizione dell'esecutato: es. Tizio che ha agito con successo in rivendica  contro Caio, esegue la consegna o il rilascio della cosa nei confronti di costui, ma questa risulta di proprietà  di Sempronio. E’ fondamentale una distinzione volta a verificare se il pregiudizio al terzo deriva  dall’esecuzione o dalla sentenza. Allorché l'ufficiale giudiziario trova nell'immobile un terzo  che lo possiede in virtù di un titolo validamente opponibile all'esecuzione, dovrebbe astenersi  dal procedere. Se procede, l'esecuzione è illegittima in quanto diretta contro un soggetto non  menzionato nel titolo esecutivo. In questo caso al terzo spetta l'opposizione ex art. 615, giacché  l'esecutante era privo di azione esecutiva nei suoi confronti. Ciò vale ovviamente anche nell'ipotesi che il  titolo esecutivo sia di natura stragiudiziale (ad es. atto pubblico). Può avvenire che il pregiudizio al terzo  possa derivare direttamente dalla sentenza. Ciò si verifica ad esempio nel caso in cui la sentenza abbia  disposto l'esecuzione di opere che incidano sulla proprietà di un terzo. Di conseguenza è la sentenza che va  rimossa, utilizzando l'opposizione di cui all'art. 404 (la quale consente, anche la sospensione  dell'esecuzione).  Vi può essere l’ipotesi in cui la posizione del terzo incisa dall'esecuzione, è solo una posizione di  mero fatta posta in essere molto spesso di comune accordo con l'esecutato, per aggirare il risultato  dell'esecuzione: es. l'ufficiale giudiziario si reca a casa di Caio per ottenere la cosa, la quale è invece  detenuta da Sempronio senza alcun titolo. Qui l'ufficiale giudiziario può procedere direttamente  all'apprensione della cosa.  Il titolo di rilascio avrebbe efficacia erga omnes, valendo nei confronti di ogni detentore, ancorché  non menzionato nel titolo stesso: può valere nel caso del possessore senza titolo o del terzo soggetto  all'efficacia riflessa del giudicato; ma non può certo valere nei confronti del terzo titolare di un  diritto incompatibile a carattere autonomo, giacché non avrebbe senso dire in questi casi che il titolo  di rilascio vale anche contro i terzi, quando poi questi possono farlo cadere ai sensi dell'art. 615 o 404  SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO  Accanto alle tre tradizionali ipotesi previste dall'art. 623 della sospensione «disposta dalla legge», o  41  dal giudice davanti al quale «è impugnato il titolo esecutivo» o dal «giudice dell'esecuzione» va  aggiunta la facoltà di sospensione attribuita anche al giudice dell’opposizione a precetto nel caso  dell'art. 615, nonché quella di sospendere il processo esecutivo anche nel caso dell'opposizione agli  atti esecutivi nel caso dell'art. 617. Possibilità di sospensione nel nuovo sistema:  1) sospensione disposta dal giudice di fronte al quale «è impugnato il titolo esecutivo» è la  sospensione disposta dal giudice dell'impugnazione della sentenza nei casi degli artt.  ­ 283: il giudice dell’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con  quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità  di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o  l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. Concerne tanto l’efficacia  esecutiva quanto l’esecuzione della sentenza. Non si tratta dunque propriamente di una  sospensione del processo esecutivo, ma di una sospensione degli effetti del provvedimento del  giudice della cognizione, dalla quale le conseguenze sul processo esecutivo arrivano solo in  via riflessa. La sospensione dell'efficacia esecutiva viene disposta a processo esecutivo non  ancora  iniziato e priva la sentenza del carattere di titolo esecutivo. Per cui l'esecuzione non può porsi  in essere e se posta in essere, l'esecutato ha diritto di proporre l'opposizione di cui all'art. 615  per mancanza dell'azione esecutiva, con conseguente possibilità di fare cadere integralmente  l'esecuzione. La sospensione dell'esecuzione della sentenza viene invece disposta dopo l'inizio  dell'esecuzione e non può determinare la caducazione dell’'esecuzione, giacché questa è stata  legittimamente iniziata quando la parte aveva il titolo esecutivo. Ne consegue che può aversi  solo l'arresto dell'esecuzione e non possono compiersi atti ulteriori. Restano però in piedi gli  atti esecutivi già posti in essere. L'effetto non è dunque tanto quello di sospendere  l'esecuzione, ma di determinarne una sorta di improcedibilità, che verrà automaticamente  meno allorché l'impugnazione sia stata respinta senza bisogno di porre in essere la  riassunzione. In sostanza l'esecuzione si blocca al punto in cui è arrivata e viene automaticamente  rimessa in moto dal giudice d'ufficio, allorché l'impugnazione è respinta.  ­ 373: il ricorso in cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza, tuttavia, il giudice che  ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa  derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione  sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione.  ­ 401 e 407: il giudice della revocazione o dell’opposizione può pronunciare, su istanza di  parte, con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua  cauzione.  2) sospensione «disposta dalla legge»: ipotesi in cui il processo esecutivo si sospende ex lege:  ­ accertamento dell'obbligo del terzo effettuato ai sensi dell'art. 548, che determina l'automatica  sospensione del processo esecutivo, il quale va «proseguito» nel termine perentorio fissato  nella sentenza che definisce il giudizio.  ­ art. 601 prevede la sospensione automatica del processo esecutivo nell'espropriazione di beni  indivisi, allorché il giudice dell'esecuzione abbia stabilito di dare corso alla divisione. In tal  caso il processo esecutivo deve essere riassunto entro 6 mesi decorrenti dall'accordo delle  parti sulla divisione o, in mancanza di accordo, dal passaggio in giudicato della sentenza di  primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello.  ­ art. 512 sospensione che può essere disposta dal giudice dell'esecuzione nel caso di  controversie che sorgono in sede di distribuzione del ricavato. Trattasi di una sospensione  sottoposta alla discrezionalità del giudice, ma ciò non toglie che essa sia pur sempre prevista  in modo espresso dalla legge.  3) sospensione disposta dal giudice dell'esecuzione  a) ipotesi dell'opposizione all'esecuzione e all'opposizione di terzo di cui agli artt. 615 e 619: Se è proposta  opposizione all’esecuzione a norma degli artt. 615 e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi  motivi ictu oculi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza.  42  perentorio stabilito dalla legge o dal giudice. L’estinzione opera di diritto, ma mentre prima, per essere  efficace, doveva essere eccepita dalla parte interessata primo di ogni altra difesa, nei giudizi instaurati  successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della l. 69/2009, essa è dichiarata  anche d’ufficio con ordinanza del giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva  al verificarsi della causa che l’ha determinata (quindi l’inattività delle parti); se è pronunciata  fuori udienza, l’ordinanza è comunicata dal cancelliere. L'estinzione va dichiarata dal giudice con ordinanza,  che ha effetto retroattivo. L'ordinanza che decide sull'estinzione (sia positiva, che negativa), può essere  impugnata dai creditori o dal debitore nel termine di 20 giorni dall'udienza in cui è emanata o dalla sua  comunicazione, con reclamo al collegio, che provvede con sentenza, che può essere appellata.  d) per mancata comparizione all’udienza: se nel corso del processo esecutivo nessuna delle parti  si presenta all’udienza, il giudice dell’esecuzione fissa una udienza successiva. Se nessuna delle parti si  presenta alla nuova udienza, il giudice dichiara con ordinanza l’estinzione del processo esecutivo (ipotesi  della duplice deserzione dall'udienza esecutiva di tutte le parti). A differenza che nel processo di  cognizione se la seconda udienza deserta > estinzione automatica  e) per l’esecuzione per consegna e rilascio: estinzione per rinuncia, purché fatta «prima della  consegna o del rilascio», con atto notificato all'esecutato e da consegnarsi all'ufficiale giudiziario. Non è  contemplata l'estinzione per inattività di parti, che è inconcepibile in questo tipo di esecuzione dato che essa  una volta posto in essere si svolge integralmente per impulso d'ufficio.  Nulla dice la legge per l'esecuzione di obblighi di fare e di non fare, ma riteniamo che si possa  applicare per analogia la stessa normativa, con la conseguenza che potrà aversi anche qui una  rinuncia unilaterale del procedente. Anche per tale tipo di esecuzione non è prospettabile  un'estinzione dell'esecuzione per inattività di parti.  EFFETTI DELL'ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO  L'ordinanza di estinzione  dispone sempre la cancellazione del pignoramento e pronuncia (ma solo nel caso di richiesta) sulle  spese sostenute dalle parti (che pertanto non restano a carico di chi le ha anticipate), mentre  provvede sempre d'ufficio alla liquidazione delle spese sostenute dal professionista delegato.  ­ se l'estinzione avviene prima della vendita o dell'assegnazione, essa travolge tutti gli atti del  processo esecutivo (rende inefficaci gli atti compiuti), ivi compresa, anche l'efficacia del  precetto. L'esecuzione può essere ripresa ex novo, (giacché l'estinzione del processo non estingue  l'azione) ma dovrà quindi essere rinnovato anche il precetto.  ­ se l'estinzione avviene dopo la vendita o l'assegnazione, gli atti esecutivi effettuati mantengono  efficacia e soprattutto mantengono efficacia la vendita e l'assegnazione stesse. Sono impediti  solo gli atti futuri per cui il ricavato della vendita viene consegnato al debitore.  Nell'espropriazione contro il terzo proprietario, il ricavato andrà consegnato al terzo.    PROCEDIMENTI SPECIALI    Procedimento che presenta una struttura diversa da quella dell'ordinario processo di cognizione.  Possiamo distinguerli in:   1) Procedimenti alternativi alla tutela ordinaria (procedimento sommario, quello ingiuntivo e quello  per convalida di sfratto)  2) Procedimenti integrativi (cautelari e quelli possessori)  3) Procedimenti sostitutivi (singole materie specifiche)  4) Procedimenti amministrati da privati (arbitrato)    PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE  introdotto dalla riforma del 2009 [cognizione superficiale che a certe particolari condizioni può diventare  pieno] Impiegabile per le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica che non  presentino particolare complessità.  45  Fasi:  ­ introduttiva del giudizio  ­ della trattazione e istruttoria   ­ dell’appello   Caratteristiche:  ­ sommarietà: il giudice decide in base a una istruzione sommaria, ma nel rispetto del  contraddittorio;  ­ forma della domanda: il giudizio non si introduce con ricorso, per assicurare un più rapido svolgimento  della procedura;  ­ decisione: in primo grado è presa con ordinanza e non con sentenza;  ­ appello: si pone come una continuazione eventuale del giudizio, più che un riesame del grado di  giudizio precedente.  Lo schema è un ibrido fra il processo del lavoro (al quale lo assimila la parte introduttiva, inizia con  ricorso) e quello cautelare (al quale il rito assomiglia nel suo svolgimento).  Trattasi di un rito alternativo, per cui la parte può sempre optare per il procedimento ordinario di cui  all'art. 163 c.p.c., anche di fronte al tribunale in composizione monocratica.  FASE INTRODUTTIVA DEL GIUDIZIO  Forma della domanda e costituzione delle parti: la domanda si propone con ricorso, che deve  contenere tutti gli elementi della citazione ex. art. 163, esclusa la fissazione della data dell’udienza,  ma con l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di 10 giorni prima dell’udienza, con l'avvertimento delle  decadenze conseguenti all'eventuale costituzione tardiva, che sono le stesse del rito ordinario (decadenza  dalle domande riconvenzionali, dalle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e dalla  possibilità di effettuare la chiamata in causa di eventuali terzi). A seguito della presentazione del ricorso il  cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta al presidente del tribunale, il quale designa il giudice che  si occuperà del procedimento (stesso procedimento del rito del lavoro, differenza: l'onere di indicare le  prove nel ricorso, non è imposto a pena di decadenza né per l’attore né per in convenuto). Il giudice  designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione  del convenuto;  il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al  convenuto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione.  Costituzione convenuto: il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della  comparsa di risposta (depositata in cancelleria almeno 10 giorni prima della data dell’udienza),  nella quale (similmente a quanto disposto dall'art. 167) deve proporre le sue difese e prendere  posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui  intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A  pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e  di merito che non sono rilevabili d’ufficio.  Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella  comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, provvede  a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo  (diversamente dal rito ordinario e da quello del lavoro, nel nuovo procedimento c'è il rischio della  decadenza dalla chiamata, non solo ove non preannunziata nella comparsa di risposta depositata nei  termini, ma anche ove la chiamata non venga effettuata nel termine assegnato dal giudice). La chiamata si fa  con citazione ed è appunto alla notifica della citazione che si deve avere riguardo per il rispetto del termine  fissato dal giudice, l'unico obbligo per il ricorrente è quello di notificare l'atto di chiamata in causa nel  termine fissato dal giudice. Il terzo dovrà costituirsi negli stessi modi e termini del convenuto (con comparsa  di risposta).  FASE DELLA TRATTAZIONE E DELLA ISTRUTTORIA  fase preliminare: il giudice  ­ se ritiene di essere incompetente lo dichiara con ordinanza;  ­ se rileva che la domanda principale e/o la riconvenzionale non rientrano fra quelle la cui  46  trattazione spetta al tribunale in composizione monocratica, con ordinanza non impugnabile  dichiara inammissibile la domanda  seconda fase: superata la barriera delle questioni pregiudiziali, alle quali deve prendere provvedimenti  immediati, il giudice prende le determinazioni di merito  ­ se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria: il  giudice con ordinanza non impugnabile, dispone la prosecuzione del giudizio secondo le  normali regole del processo ordinario di cognizione, fissando la data dell’udienza ex. art. 183.  ­ se ritiene che solo la domanda riconvenzionale richieda un’istruzione non sommaria:  dispone solo per questa il rito ordinario, provvedendo prima alla separazione delle cause e alla  formazione di un autonomo fascicolo.  Eccezione riconvenzionale se è di lunga indagine, il giudice deve disporre la trasformazione  del rito e fissare l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. (non può separarla).  ­ se ritiene che la causa possa essere trattata con il rito sommario (cioè non si sia di fronte  ad un caso che richiede un'istruzione non sommaria): il giudice alla prima udienza, sentite le  parti ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede alla istruzione nel  modo che ritiene più opportuno e provvederà con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle  domande, statuendo anche in relazione alle spese del giudizio (procedura simile a prevista per  i cautelari). L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di  ipoteca giudiziale e per la trascrizione. Passa in giudicato sostanziale se non è impugnata in appello entro 30  giorni dalla sua notificazione o comunicazione. Trattasi di un'ordinanza che è una sentenza in senso  sostanziale.  Riassumendo: Il giudice investito della domanda attraversa 3  momenti concettualmente distinti:  1) quello della decisione sulle eventuali questioni pregiudiziali (incompetenza o inammissibilità  della domanda);  2) quello della decisione se il giudizio può procedere o meno nelle forme del rito speciale a seguito  della valutazione della sommarietà dell'istruzione disponendo in caso contrario la trasformazione  nel rito ordinario;  3) quello infine di procedere con rito speciale, se ne ricorrono i presupposti quanto all'istruzione.  Tanto la decisione sulle questioni pregiudiziali, quanto la valutazione del carattere non sommario o  meno dell'istruzione e quindi la decisione del rito di scegliere, vanno disposti inaudita altera parte  anteriormente alla prima udienza, alla quale si dovrebbe arrivare solo dopo avere superato le  questioni pregiudiziali e deciso di procedere con il rito sommario.  Il mancato richiamo al giudizio ordinario per ciò che non è espressamente disposto in questa sede,  determina l'impossibilità di utilizzare le memorie ex art. 183 c.p.c., nonché l'inapplicabilità dei  provvedimenti della rimessione anticipata in decisione ai sensi dell'art. 187, 2° e 3° comma. Per lo  stesso motivo è inapplicabile l'istituto della condanna generica.  Risulterà possibile l'impiego delle norme sulla contumacia, sulla sospensione, sull'interruzione e  sull'estinzione del processo.  FASE DELLA IMPUGNAZIONE L’appello si propone contro l’ordinanza di primo grado entro 30 giorni dalla  sua notificazione o comunicazione alla Corte di appello. L'appello segue il normale rito ordinario, sarà  introdotto con citazione e la pronunzia avverrà con sentenza (a nulla rilevando che in primo grado il  processo si sia chiuso con ordinanza). Qualche parziale modifica riguarda l'istruttoria, che non è  necessariamente collegiale, potendo essere delegata ad uno dei membri del collegio.  Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando la parte dimostra di non aver potuto  proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Inseguito al d.l. del 2012  si è ristretta tale possibilità poichè è richiesto anche il requisito dell’indispensabilità per ammettere nuovi  mezzi di prova e non più la sola rilevanza.  PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE  Al pari del procedimento per convalida di sfratto è uno strumento alternativo al rito ordinario di cui  all'art. 163 ss., che consente di ottenere un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, su  47  a) quando l'opposizione non è fondata su prova scritta o non è di pronta soluzione;  b) quando la parte che l'ha chiesta offre cauzione;  c) con riferimento ad eventuali somme non contestate, salvo che l'opposizione non sia stata  proposta per vizi procedurali.  Sospensione dell’esecuzione provvisoria: il giudice istruttore, su istanza dell’opponente, quando  ricorrono gravi motivi, può sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo dichiarato  provvisoriamente esecutivo. Trattasi di sospensione non di revoca del decreto, per cui restano fermi gli atti  esecutivi eventualmente compiuti. Esito del giudizio di opposizione:  ­ conciliazione: se nel giudizio di opposizione le parti si conciliano, il giudice, con ordinanza non  impugnabile, dichiara o conferma (se v'è rinuncia all'opposizione) l’esecutorietà del decreto,  oppure riduce la somma o la quantità a quella stabilita dalle parti.  ­ rigetto o accoglimento parziale dell’opposizione: se non v'è conciliazione, l'opposizione è  decisa con sentenza, che è provvisoriamente esecutiva come tutte le sentenze di primo grado ed è  impugnabile con l'appello.  a) se l'opposizione è respinta con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva  per motivi di rito o per motivi di merito, oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione del  giudizio di opposizione, il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva. Il  titolo esecutivo è costituito solo dal decreto ingiuntivo.  b) se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla  sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei  limiti della somma o della quantità ridotta. Nel caso di accoglimento dell'opposizione, il  decreto ingiuntivo viene sempre tolto di mezzo e ciò anche se l'accoglimento dell'opposizione  è solo parziale. Per cui, se il decreto non fosse stato dichiarato esecutivo o comunque sulla  base di esso il ricorrente non avesse iniziato l'esecuzione, l'esecuzione sarà possibile adesso  solo sulla base della sentenza, che si è sostituita al decreto.  Se l’opposizione viene accolta in toto, tale hp non è disciplinata ex lege ma dato che la sentenza si  sostituisce al decreto, se v'è stata esecuzione questa cadrà e se essa non v'è stata, nessuna esecuzione  potrà ormai essere posta in essere sulla base di un decreto che più non esiste.  In sostanza: la sentenza è titolo che si sostituisce al decreto quando l'opposizione è accolta (anche se  soloparzialmente), ma non se l'opposizione è respinta.  ESECUTIVITÀ DEFINITIVA DEL DECRETO: nel caso in cui il decreto non venga opposto nei termini o  l'opponente non si sia costituito o il giudizio di opposizione si estingua o infine l'opposizione venga  rigettata, il decreto diviene esecutivo. Il decreto diviene esecutivo, tale esecutività non consegue  automaticamente al verificarsi dell'evento (ad es. allo scadere del termine per l'opposizione), ma  presuppone un'espressa declaratoria di esecutività che potrà essere concessa da parte del giudice che  ha emesso l'ingiunzione con un ulteriore decreto; oppure dal giudice dell'opposizione con la sentenza con  cui l'opposizione è rigettata o con l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo. Quando il decreto è  stato dichiarato esecutivo in tutti i quattro casi che precedono, ai fini dell'esecuzione non occorre una  nuova notificazione del decreto esecutivo, ma è sufficiente che nel precetto venga fatta menzione del  provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e dell'apposizione della relativa formula.  Conseguenza dell'esecutività concessa in via definitiva al decreto è che l'opposizione non  può essere più proposta né proseguita. Il decreto diviene immutabile, salvo ovviamente (come per le  sentenze) la possibilità di rimedi straordinari:  1) opposizione tardiva L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto  (dopo che il decreto è stato dichiarato esecutivo), se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per  irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. In questo caso l’esecutorietà può  essere sospesa e l’opposizione non è più ammessa decorsi 10 giorni dal primo atto di esecuzione.  2) il decreto d’ingiunzione, divenuto esecutivo, può impugnarsi per revocazione per i motivi di cui  ai nn. 1, 2, 5 e 6 dell'art. 395 e con l’opposizione di terzo di cui all'art. 404, 2° co. (ammissibilità  della sola opposizione di terzo revocatoria).  50  DECRETO INGIUNTIVO E COSA GIUDICATA: equiparazione degli effetti della sentenza e quelli del  decreto ingiuntivo divenuto definitivo. Consentita la revocazione del decreto ingiuntivo per il n. 5  dell'art. 395 e cioè per contrarietà a precedente sentenza avente fra le parti autorità di cosa giudicata.  Dal che risulta che l'equiparazione degli effetti del decreto con quelli dell'art. 2909 c.c. dovrebbe ritenersi  piena. Ciò anche in considerazione del fatto che se contro il decreto non è proposta revocazione nei  termini, esso prevarrebbe sulla sentenza antecedente. Dal che emerge che la forza di accertamento dei due  provvedimenti è identica.  PROCEDIMENTO INGIUNTIVO EUROPEO (IPE) REG. C.E. N. 1896 DEL 2006: processo speciale per il  recupero dei crediti relativamente a controversie «transfrontaliere», tali essendo quelle in cui una  delle parti abbia domicilio o residenza in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito.  ­ oggetto dell'IPE può essere solo il pagamento di una somma di denaro liquida ed esigibile;  ­ mezzo di prova utilizzabile a fondamento della domanda non deve essere necessariamente  scritto, ma dipenderà dalla disciplina interna dello Stato membro;  ­ competenza, salvo casi specifici, è determinata secondo le norme del diritto comunitario  applicabili in materia.  L'ingiunzione è notificata al convenuto, che può proporre opposizione entro 30 giorni dinanzi al  giudice d'origine. L'opposizione apre un processo a cognizione piena, disciplinato dalla legge dello  Stato d'origine.  Nel caso di mancata opposizione, il giudice che ha emesso l'IPE, lo dichiara esecutivo, tale efficacia  esecutiva opera automaticamente negli altri Stati membri, senza bisogno di alcuna procedura di  riconoscimento o di dichiarazione di esecutività.  Per quanto riguarda l'autorità dell'ingiunzione non opposta, occorrerà fare un rinvio alle norme  nazionali. L'efficacia del decreto ingiuntivo non opposto, pari a quella della cosa giudicata.  PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO  Presenta una stretta affinità con il procedimento di ingiunzione in quanto permette la formazione di  un titolo esecutivo (provvedimento di risoluzione di un contratto di locazione di un immobile),  mediante un accertamento sommario condizionato anche qui alla mancata opposizione dell'ingiunto.  Offre al locatore o al concedente la possibilità di ottenere in tempi brevi un titolo giudiziale idoneo  ad ottenere il rilascio dell’immobile. Il locatore, però, potrebbe anche agire nelle forme ordinarie per far  accertare il suo diritto ed ottenere una sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell’immobile. Anche  in tema di locazioni abbiamo un:  ­ procedimento a cognizione piena: che permette di tutelare ogni controversia in proposito (non  solo di risoluzione del contratto, quindi, ma anche di annullamento, rescissione, ecc.), che però  non si svolge secondo le regole del processo ordinario di cognizione di cui all'art. 163 ss., ma  secondo lo schema del rito del lavoro. Tale procedimento è il normale processo in materia  locatizia, che potremmo chiamare «ordinario», pur svolgendosi secondo le forme del rito  speciale del lavoro.  ­ procedimento a cognizione sommaria: che si svolge secondo le forme dell'art. 657 ss., che  serve esclusivamente ad ottenere la risoluzione del rapporto locatizio per le specifiche causali di  cui agli artt. 657, 658 e 659 (non quindi per il normale inadempimento).  IPOTESI IN CUI PUÒ UTILIZZARSI IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO:  convalida (intimazione) di licenza o sfratto per finita locazione (art. 657): consente la  risoluzione del contratto di locazione per effetto della sua scadenza. Le situazioni previste sono due:  ­ licenza per finita locazione prima della scadenza del contratto di locazione: consente di  potere agire in giudizio prima della scadenza del contratto, al fine di poter ottenere il titolo di  rilascio anticipatamente ad essa, per poterlo immediatamente impiegare non appena si verifica  quest'ultima. Trattasi di un esempio di condanna in futuro, occorre che la parte che agisce,  abbia evitato il rinnovo tacito del contratto alla scadenza, inviando una comunicazione di  diniego di rinnovo, che può essere surrogata dalla stessa intimazione di licenza purché  notificata rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali.  51  ­ sfratto per finita locazione, dopo la scadenza del contratto: consente di agire solo dopo la  scadenza del contratto, qualora il conduttore continui a permanere nel possesso dell'immobile.  Occorre anche in questo caso che la tacita riconduzione sia impedita dal contratto oppure  dall'invio del diniego di rinnovo.   La licenza, consente una tutela più rapida, poiché se l'intimato non rilascia l'immobile alla  scadenza, il locatore potrà immediatamente utilizzare il titolo esecutivo in via esecutiva onde  ottenere il rilascio forzato, mentre invece se si attende la scadenza del contratto e si utilizza lo  sfratto, il titolo esecutivo verrà a formarsi molto dopo la scadenza contrattuale (dato che il  processo di cognizione, pur svolgendosi in modo sommario, ha pur sempre i suoi tempi).  Pertanto il rilascio coattivo, nel caso di inottemperanza al provvedimento del giudice, potrà  essere posto in essere solo molto più tardi.  Il procedimento di cui all'art. 657, può essere sostituito dal procedimento generale in materia di  locazioni di cui all'art. 447­ bis, ma solo per ciò che riguarda lo sfratto per finita locazione, non  invece per quel che riguarda la licenza (la condanna in futuro può essere impiegata solo in casi ex lege  previsti).  convalida (intimazione) di sfratto per morosità (art. 658): Consente la risoluzione del contratto di  locazione durante il corso del rapporto, per intervenuta morosità del conduttore cioè mancato pagamento  del canone di affitto alle scadenze. La procedura in oggetto presuppone il raccordo con la legge dell'equo  canone: per le locazioni abitative, permette di agire, oltreché per il mancato pagamento di una rata del  canone (l'azione non può comunque essere proposta prima del decorso di 20 giorni della scadenza), anche  per il mancato pagamento degli oneri accessori (purché in questo caso il loro importo superi quello di 2  mensilità del canone). Possibilità anche di una sanatoria in favore del conduttore, consentendo a  quest'ultimo la possibilità di sanare la morosità (compreso il pagamento delle spese legali) all'udienza; o nel  caso di sue «comprovate condizioni di difficoltà» anche in un termine di «grazia» concessogli dal giudice.  La sanatoria esclude la risoluzione del contratto, il procedimento giudiziario si chiude. La possibilità di  sanatoria non può essere esperita più di 3 volte nel corso del contratto.  convalida di licenza o sfratto per cessazione di prestazione d'opera (art. 659): Diritto di chi ha  concesso in godimento un immobile come corrispettivo, anche parziale, di una prestazione d’opera  (abitazione concessa al portiere, al domestico). Si riferisce a quei casi ove la retribuzione per il lavoro  compiuto consiste nel godimento di un immobile. In tal caso allorché il rapporto di prestazione d'opera  cessa, il concedente può esperire procedimento di convalida di licenza o sfratto, a seconda se la  cessazione del rapporto locativo è solo preannunciata o è stata tradotta in atto.  INTRODUZIONE DEL PROCEDIMENTO: la domanda, che va diretta al tribunale in composizione  monocratica del luogo in cui si trova la cosa locata (competenza per materia inderogabile),  consiste in una intimazione, rivolta dal locatore, di lasciar libero l’immobile, con contestuale  citazione per la convalida a comparire in un termine non inferiore a 20 giorni (che può anche essere  ridotto a metà dal giudice). L'intimazione serve ad impedire la tacita riconduzione del contratto,  mentre la citazione è una sorta di provocatio ad opponendum, diretta cioè a spingere l'intimato, ove  lo crede, a fare opposizione alla convalida all'udienza fissata. Opposizione senza la quale, il giudice deve  convalidare la licenza o lo sfratto attribuendo esecutività e definitività al provvedimento. L'atto di  intimazione­citazione, va notificato ai sensi dell'art. 137 ss. (esclusa ogni notificazione nel  domicilio eletto) ed ove la notificazione non sia effettuata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario  deve spedire avviso all'intimato con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. E’ richiesto rigore  minimo per ciò che riguarda la costituzione delle parti, potendo avvenire in ogni momento in cancelleria o  anche alla stessa udienza. La difesa dell'intimato nell'eventuale fase di opposizione può avvenire  personalmente, tale deroga vale comunque solo per la prima udienza fissata nell'atto introduttivo e per  proporvi l'eventuale opposizione, divenendo invece obbligatorio il patrocinio legale, sia nell'eventuale  giudizio di merito che si sviluppa a seguito dell'opposizione, sia per la proposizione dell'opposizione  tardiva.  PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE  52  della tutela, quanto il pericolo che la tutela giungendo troppo tardi sia praticamente inefficace. In  questi casi è possibile ottenere anticipatamente l'inibitoria in via cautelare attraverso il  provvedimento d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., il quale dispone che «... chi ha fondato motivo  di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia  minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i  provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare  provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito».  Mentre il cautelare conservativo assicura il risultato  dell'intera tutela giurisdizionale (cognizione ed esecuzione), il cautelare anticipatorio assicura solo l'efficienza  della decisione di merito. Ex concorrenza sleale di un imprenditore vs altro imprenditore a causa di  imitazione servile di un suo prodotto, causando confusione nel mercato.  Poichè i tempi di un’inibitoria  possono arrivare anche fino a 3 anni, poichè i prodotti imitati continueranno per tale periodo a circolare nel  mercato, aumentando confusione e danno, si potrà ottenere un cautelare anticipatorio  Condizioni di ammissibilità che debbono sussistere per l'emissione di un provvedimento cautelare:  periculum in mora (o pericolo nel ritardo): pregiudizio che potrebbe subire la situazione  giuridica e di fatto del richiedente nell’attesa di una decisione di carattere definitivo. È l'aspetto  dell'urgenza a provvedere; se tale urgenza non c'è il cautelare è inammissibile (es. sequestro conservativo  nei confronti debitore che è perfettamente solvente e con ingente patrimonio).  fumus boni iuris (parvenza del buon diritto): probabile esistenza del diritto del quale si chiede  la tutela. Il giudice del cautelare non deve limitarsi a valutare la sussistenza o meno dell'urgenza  a provvedere, ma deve anche valutare se la domanda attrice ha almeno una parvenza di  fondatezza. Tale controllo non può che essere fatto sulla base di quello che risulta ex actis (cioè  dalla domanda cautelare e ­ se il cautelare non è disposto inaudita altera parte ­ anche dalla  difesa avversaria), per cui non può trattarsi di una valutazione approfondita.  corrispondenza fra la tutela cautelare e la tutela di merito (essenziale almeno per i cautelari  anticipatori): occorre che la tutela cautelare di merito costituisca un'effettiva anticipazione  dell'integrale tutela definitiva, non un tipo di tutela diversa. Vi deve essere una perfetta corrispondenza  fra l'oggetto della tutela cautelare e l'oggetto del merito, nel senso che il cautelare  anticipatorio deve fornire un'effettiva anticipazione della tutela finale.  Domanda cautelare si propone con ricorso (art. 669­bis), che dovrà avere il contenuto degli atti di  parte ( indicazione del giudice, generalità, indicazione udienza), e che va depositato in cancelleria, tanto se il  cautelare è richiesto anteriormente alla causa quanto in corso di causa.  Competenza spetta sempre al tribunale in composizione monocratica, essendo inibito al giudice di  pace di concedere cautelari, così come ciò è inibito anche agli arbitri.  1) competenza anteriore alla causa (art. 669­ter): nel caso che il giudizio di merito non sia ancora  iniziato, la domanda cautelare si propone al tribunale competente a conoscere del merito, secondo le  ordinarie regole di competenza territoriale.  ­ se competente a conoscere del merito è il giudice di pace, la domanda si propone inderogabilmente di  fronte al tribunale.  ­ se competente a conoscere della causa è il giudice straniero, la domanda va proposta al tribunale del  luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.  ­ se la causa è compromessa in arbitri, la competenza a concedere la cautela spetta al tribunale che  sarebbe stato competente a conoscere del merito secondo le regole della competenza  territoriale.  2) competenza in corso di causa (art. 669­quater): se la causa è in corso, la competenza spetta al  giudice della stessa. Se la causa pende in tribunale la competenza spetta all’istruttore a meno che questo  non sia stato ancora designato o il processo sia sospeso o interrotto: nel qual caso la domanda si propone  al presidente del tribunale. Se la causa pende di fronte al giudice superiore, ad es., alla corte d'appello, la  domanda si proporrà alla corte che deciderà in sede collegiale. Per la Cassazione, se  l'impugnazione non è ancora proposta e sono in corso i termini per impugnare, la domanda si  propone al giudice che ha pronunziato la sentenza. Consuete deroghe viste supra:   55  ­ se la causa pende di fronte al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale.  ­ se la causa pende di fronte agli arbitri, la competenza spetta al tribunale che sarebbe competente a  conoscere del merito.  ­ se la causa pende di fronte al giudice straniero ed il giudice italiano non è competente a  conoscere la causa di merito la domanda si propone di fronte al tribunale del luogo in cui deve  essere eseguito il provvedimento cautelare. Se, nonostante la pendenza della lite straniera,  questa avrebbe potuto essere proposta anche di fronte al giudice italiano, la domanda  cautelare va proposta secondo le regole generali al giudice che sarebbe competente a decidere  del merito.  Procedimento ­ art. 669­sexies ­ due possibili strade:  ­ 1° co.: contraddittorio anticipato: è la regola, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità  non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione  indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza  all’accoglimento o al rigetto della domanda. Si tratta dunque dei normali atti istruttori, depennati di ogni  formalità prevista dalla legge purché non ne risulti pregiudicato il contraddittorio (è richiesta la  comparizione delle parti).  ­ 2° co.: contraddittorio posticipato: riservata ai casi di eccezionale urgenza, cioè quando la  convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il giudice,  provvede immediatamente sul cautelare inaudita altera parte con decreto motivato, salva la  successiva conferma, modifica o revoca del provvedimento, che avviene con ordinanza in  un'udienza successiva fissata nello stesso decreto, ad una distanza non superiore a 15 giorni.  Qui l'istruttoria che il giudice affronta ai fini di provvedere con decreto avviene in assenza delle  parti e quindi al di fuori delle garanzie del contraddittorio, essa si esplica sulla base di eventuali  «sommarie informazioni», che il giudice può raccogliere. Tali sommarie informazioni, a differenza  degli atti istruttori di cui al 1° co. della norma che, pur essendo deformalizzati, richiamano  le normali figure probatorie del codice (ad es. testimonianza, ecc.), sono invece essenzialmente  atipiche e possono espletarsi in attività neppure previste dalla legge es. informazioni dalla polizia  giudiziaria. Oltreché atipico, il potere di chiedere sommarie informazioni è anche un potere officioso  svincolato da ogni richiesta di parte.  Provvedimento: procedimento cautelare termina con ordinanza, sia che essa disponga sulla  domanda in prima battuta in sede di comparizione delle parti, sia che essa confermi, modifichi o  revochi, il cautelare emesso inaudita altera parte. È pertanto all'ordinanza che bisogna fare  riferimento per tutti gli effetti che seguono:  nel caso di accoglimento del provvedimento cautelare prima dell’inizio della causa di  merito, l’ordinanza di accoglimento deve deve fissare un termine perentorio, non superiore a 60  giorni, per l’inizio del giudizio di merito. Il mancato inizio della causa di merito nel termine  fissato dal giudice o, comunque, nei 60 giorni dalla pronuncia dell’ordinanza o dalla sua  comunicazione, se avvenuta fuori udienza, porta all’inefficacia del provvedimento cautelare.  Per le controversie sul pubblico impiego devolute al giudice ordinario (escluse quindi quelle che  continuano a spettare alla giurisdizione amministrativa), bisogna tenere conto del tentativo di  conciliazione: il termine decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in  caso di mancata formulazione della richiesta del tentativo di conciliazione, decorsi 30 giorni.  Se dopo la pronunzia dell'ordinanza cautelare è proposto il tentativo di conciliazione, il termine  per l'inizio del giudizio di merito decorre dalla scadenza dall'espletamento del tentativo di  conciliazione e comunque non oltre la scadenza di 60 giorni dalla formulazione della richiesta di  conciliazione senza che questo abbia avuto luogo; se invece il tentativo di conciliazione non è  proposto, il termine per l'inizio del giudizio di merito, comincia a decorrere 30 giorni dopo  l'emanazione del cautelare. In sostanza>  Pronunciato che sia il cautelare, la parte interessata ha 30 giorni  ditempo per proporre il tentativo di conciliazione: se non lo propone, alla scadenza dei 30 giorni inizia a  decorrere il termine per l'inizio del giudizio di merito.  56  Al cautelare deve necessariamente seguire l'instaurazione del giudizio di merito, ove ovviamente  esso non fosse già in corso. Per alcuni tipi di provvedimenti non è necessario che il ricorrente che il  provvedimento ha ottenuto, inizi il giudizio di merito:  ­ provvedimenti d'urgenza ex art. 700;  ­ altri provvedimenti «cautelari» idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito;  ­ provvedimenti di denunzia di nuova opera e di danno tenuto  Provvedimenti cautelari che conservano la loro efficacia anche senza il giudizio di merito,  mantengono la loro efficacia anche se il giudizio di merito non è iniziato nel termine perentorio  fissato e anche se si è verificata l’estinzione del giudizio di merito.  Tuttavia, poiché il cautelare resta pur sempre un provvedimento emesso a cognizione non piena,  in coerenza con il principio della difesa e del contraddittorio è previsto che ove il ricorrente non  inizi il giudizio di merito, questo può essere iniziato da ciascuna altra parte del processo. In sostanza le 3  categoria supra, sono provvedimenti urgenti non cautelari, mantenendo efficacia anche in caso di estinzione  del processo. L'unico modo per toglierli di mezzo, resta pertanto quello di dimostrare con un giudizio a  cognizione piena che può essere iniziato dall'avversario (o da qualsiasi altra parte del processo), che il  diritto cautelato non sussiste. Ne consegue che pur potendo essere il cautelare dotato di vita autonoma,  esso non assume mai il carattere di provvedimento definitivo (l’autorità del provvedimento cautelare non è  invocabile in un diverso processo).  nel caso di provvedimento negativo (art. 669­septies): il rigetto della richiesta del provvedimento  cautelare può essere determinato da:  ­ incompetenza territoriale del giudice adito: competenza territoriale in materia di provvedimenti cautelari è  inderogabile.  ­ mancanza dei presupposti necessari per ottenere il provvedimento: il rigetto può essere causato dalla  insussistenza del fumus o del periculum in mora.  L'ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda mentre quella di  rigetto la preclude, a meno che la nuova istanza non sia giustificata da mutamenti delle circostanze o non  sia fondata su nuove ragioni dì fatto o di diritto (ad es. la sopravvenuta incostituzionalità di una norma). Il  provvedimento cautelare negativo prima dell’inizio della causa di merito, comporta la pronuncia sulle spese  del procedimento cautelare (mentre quelle del cautelare in corso di causa, sono liquidate con la sentenza  finale). La condanna alle spese è immediatamente esecutiva e per effetto della riforma del 2009.  Reclamo contro i provvedimenti cautelari ­ art. 669­terdecies ­ Contro l’ordinanza con la quale è  stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di 15  giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore.  È una sorta d’impugnazione del provvedimento cautelare, proponibile sia contro l'ordinanza (non  già contro l'eventuale decreto emesso inaudita altera parte) di accoglimento, che contro quella di  rigetto per errori di diritto, di fatto e per circostanze e motivi sopravvenuti al momento della  proposizione del reclamo, purché siano trattati nel rispetto del principio del contraddittorio: ciò  significa che le circostanze e i motivi sopravvenuti dopo la proposizione del reclamo, da un lato  debbono essere fatti valere in quella sede, perché altrimenti cessano di essere proponibili; dall'altro,  vanno inseriti nel giudizio di reclamo con un atto successivo a quello introduttivo, ma su tale atto  deve essere consentito alla controparte di replicare e controdedurre.  Il reclamo si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha emanato il  provvedimento reclamato). Quando il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d’appello,  il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d’appello più  vicina. Il procedimento è disciplinato dalle norme del rito camerale (del quale artt. 737 e 738).  Il collegio deve provvedere, sentite le parti, non oltre 20 giorni dal deposito del ricorso, con  ordinanza con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Nel caso in cui  sono state dedotte nuove circostanze o motivi posteriori alla proposizione del reclamo, è consentito  al collegio di assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Fuori da tale caso, il reclamo va  deciso sulla base delle prove già dedotte nel procedimento cautelare, con esclusione quindi di ogni  57  immobiliari.  Conversione del sequestro conservativo in pignoramento: il sequestro conservativo si  converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di  condanna esecutiva. Ottenuto il sequestro, al momento in cui si forma il titolo esecutivo (cioè la  sentenza di condanna esecutiva), il creditore non occorre che ponga in essere il conseguente atto  di pignoramento per dare avvio alla procedura esecutiva, ma è il sequestro stesso che si  trasforma automaticamente in pignoramento, aprendo così le porte direttamente all'istanza di  vendita. La conversione non è automatica, ma suppone che il sequestrante depositi la copia della  sentenza di condanna entro 60 giorni (termine perentorio) nella cancelleria del giudice  dell'esecuzione e, se si tratta di sequestro immobiliare, nello stesso termine deve richiedere anche  «l'annotazione» della sentenza di condanna «in margine alla trascrizione» del sequestro.  L'interessato deve proporre «domanda di esecutorietà» della sentenza straniera o del lodo  arbitrale entro 60 giorni decorrenti dal momento in cui la domanda di esecutorietà è possibile  (cioè dalla pubblicazione della sentenza straniera o dal deposito del lodo). La «dichiarazione di  esecutorietà» pronunziata dalla corte d'appello o dal tribunale, produce la conversione del sequestro  in pignoramento.  Garanzia che il sequestro conservativo offre al creditore prima della conversione in  pignoramento consiste nel rendere inefficaci «in pregiudizio del creditore sequestrante» gli atti di  disposizione dei beni sottoposti a sequestro. Trattasi anche qui dunque di un inefficacia relativa  degli atti di disposizione dei beni, che però a differenza di quella che ha luogo nel pignoramento,  non opera a favore di tutti i creditori, ma solo a favore del creditore sequestrante. Ciò significa che di tale  inefficacia, gli eventuali creditori intervenuti nel processo esecutivo dopo la conversione in pignoramento,  non possono profittare. Per cui il bene resta definitivamente escluso dall'esecuzione e gli altri creditori  rimarranno a mani vuote. A differenza del pignoramento, che è un vincolo a porta aperta (che permette a  tutti i creditori la possibilità di profittarne), il sequestro è un vincolo a porta chiusa (in quanto di esso può  avvalersi solo il creditore sequestrante).  Casi particolari di sequestro:  ­ sequestro convenzionale contratto col quale due o più persone affidano a un terzo una cosa o una  pluralità di cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia, perché la custodisca e la restituisca a  quella a cui spetterà quando la controversia sarà definita. Adempie ad una funzione analoga a quella del  sequestro giudiziario e cioè l'affidamento ad un terzo della custodia e dell'amministrazione di una singola  cosa o di una pluralità di cose, la cui appartenenza a Tizio o a Caio è oggetto di controversia, con  l'impegno di restituirla a chi risulterà esserne il vincitore. La differenza sta nel fatto che il sequestro  convenzionale non è frutto di un provvedimento autoritativo del giudice, ma esclusivamente di un accordo  concluso fra le parti stesse.  ­ sequestro speciale o sequestro liberatorio Il giudice può ordinare il sequestro delle somme o delle  cose che il debitore ha offerto o messo comunque a disposizione del creditore per la sua liberazione,  quando è controverso l’obbligo o il modo del pagamento o della consegna, o l’idoneità della cosa offerta.  Tale tipo di sequestro presuppone l'esistenza di una controversia avente per oggetto il pagamento di una  somma di denaro o la consegna di una o più cose. Trattasi quindi di un sequestro che è chiesto dallo stesso  debitore e che ha l'effetto di liberarlo dalle conseguenze della mora debendi, ove egli sia soccombente  nella controversia.  DENUNCE DI NUOVA OPERA E DI DANNO TEMUTO: tipici strumenti di tutela anticipata del diritto,  tendenti a tutelare la proprietà (o il possesso) da una situazione di pericolo attuale o futuro e da un  eventuale danno. La procedura è quella prevista per i procedimenti cautelari in generale  Denuncia di nuove opera – art. 1171 c.c – azione concessa a chi abbia ragione di temere che da  una nuova opera da altri intrapresa sul proprio o sul fondo vicino stia per derivare una danno al bene  oggetto del suo diritto o possesso, per ottenere dal giudice un provvedimento che sospenda  l’esecuzione dell’opera, stabilendo le opportune cautele. Non può essere esperita se l’opera è  60  terminata o se è trascorso un anno dal suo inizio. L'autorità giudiziaria sulla base della denuncia, non può  assumere provvedimenti definitivi (quali ad es. l'abbattimento dell'opera), che saranno riservati all'eventuale  giudice del merito, ma solo provvedimenti provvisori (cautelari appunto), consistenti:  a) o nell'ordine di sospensione dell'opera;  b) o nell'autorizzazione alla sua continuazione.  In ogni caso il giudice deve però disporre sempre le opportune cautele a carico del richiedente nel  primo caso, per il risarcimento del danno nell'ipotesi che la costruzione dell'opera risulti legittima; a  carico del costruttore nel secondo caso, per la demolizione della stessa qualora nel giudizio di merito si  accerti l'illegittimità dell'opera. Ex costruzione altrui edificata senza rispettare le distanze legali  Denuncia di danno temuto ­ art. 1172 c.c. – azione concessa a chi abbia ragione di temere che da  un edificio, albero o altra cosa inanimata già esistente sul fondo vicino derivi il pericolo di un danno  grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del suo diritto o possesso, per ottenere dal giudice un  provvedimento immediato che consenta di ovviare al pericolo. Il giudice può imporre una cauzione  come garanzia per i danni eventuali. Qui a differenza del caso precedente, il pericolo di danno non deriva  dall'opera dell'uomo, ma da un evento naturale, che può essere dei più diversi tipi (ad es. un albero che  rischia di cadere nel fondo del vicino); al giudice vengono chieste le misure idonee secondo le circostanze  ad ovviare al pericolo.  La denuncia di nuova opera e di danno temuto si propone con ricorso al giudice competente per il  merito se proposta in corso di causa (invece, tribunale del luogo in cui si trova l'opera o la cosa se il  rimedio è chiesto ante causam).  Per le denunce non è più obbligatoria la proposizione della causa di merito (che però può essere  sempre iniziata dalla controparte). Contravvenzione al divieto del giudice > Se la parte alla quale è fatto  divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto contravviene all’ordine, il giudice, su ricorso  della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del  contravventore.  PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA: servono ad assicurare l’efficacia dell’istruzione  probatoria di un processo di cognizione, allorché particolari circostanze rendano dubbia  l’acquisizione di un mezzo di prova in tempo utile per il processo. Mezzi di istruzione preventiva: si  differenziano da tutti gli altri cautelari in quanto non hanno una funzione conservativa o anticipatoria  dell'oggetto «sostanziale» della tutela giudiziaria, ma hanno una funzione esclusivamente «processuale», che  è quella di assicurare al processo l'acquisizione immediata di mezzi di prova.  Trattasi pur sempre comunque di provvedimenti cautelari (anche se ad essi non si applica la disciplina  generale dei cautelari ma solo l’articolo riguardante il provvedimento negativo) e cioè di provvedimenti che  suppongono un intervento urgente del magistrato che non sarebbe possibile disporre a tempo debito nel  corso del giudizio di merito, perché la prova rischierebbe di scomparire. 2:  audizione preventiva di testimoni: concessa a chi ha fondato motivo di temere che  vengano a mancare dei testimoni necessari ad una causa (per malattia, trasferimento, ecc.), per  ottenerne l’audizione a futura memoria. Può essere richiesta sia prima che in corso di causa.  L’istanza si propone con ricorso al giudice che sarebbe compente per la causa di merito, in caso  d’eccezionale urgenza, l’istanza può anche proporsi al tribunale del luogo in cui la prova deve  essere assunta. Poiché trattasi di uno strumento cautelare, il ricorso deve indicare i motivi dell'urgenza,  nonché i fatti su cui i testi debbono essere interrogati e l'esposizione sommaria delle domande o eccezione  alle quali la prova è preordinata. Si tratta di motivi la cui mancanza (soprattutto quella del requisito  dell'urgenza) rende la domanda inammissibile.  accertamento tecnico e ispezione giudiziale preventivi: chiesti quando si ha urgenza di far verificare lo  stato dei luoghi (accertamento tecnico) o le condizioni di cose (ispezione giudiziale); oltre la semplice  verifica, l’accertamento può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi  all’oggetto della verifica. L'ispezione può essere oggi condotta non più solo su cose, ma anche sulla  persona dell'istante ed anche sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta, purché vi consenta.  61  L'iter processuale delle due misure è analogo, il giudice può provvedere sull'ammissione delle prove in  contraddittorio, convocando cioè prima le parti e poi disponendo con ordinanza  sull'ammissione della prova. Oppure, nei casi di «eccezionale urgenza», il giudice può provvedere ad  ammettere immediatamente con decreto la prova inaudita altera parte, disponendo tuttavia che «non  oltre il giorno successivo» all'ammissione della prova sia effettuata la notificazione del decreto a cura del  cancelliere alle parti non presenti all'assunzione della prova. L'istruzione preventiva può essere anche  disposta in corso di causa (quando il momento ufficiale della raccolta della prove è ancora lontano) o  durante l'interruzione o la sospensione del giudizio. In tali casi, poiché il contraddittorio è già in atto  (essendo le parti in causa tramite i loro difensori), la pronunzia sarà fatta con ordinanza.  I mezzi di istruzione preventiva mirano ad assicurare l'acquisizione in via d'urgenza di prove che  dovranno essere utilizzate in un successivo giudizio di merito. L'ammissione dei mezzi di  istruzione preventiva «non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza» nel  giudizio di merito > il giudizio di ammissibilità e rilevanza è posticipato al momento in cui tali  prove saranno prodotte nel giudizio di merito.  consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite: nulla ha in comune con la  disciplina cautelare, giacché difetta del carattere fondamentale di tale disciplina, che è quello dell'«urgenza»  a provvedere. Introdotto dalla riforma del 2005 non si tratta di un cautelare ma di un modo di tentare di  comporre in via stragiudiziale e preventivamente con l’intervento di un consulente tecnico, liti che hanno ad  oggetto determinazioni di crediti derivanti da fatto illecito o da inesatta esecuzione di una obbligazione  contrattuale. Il consulente tecnico prima di provvedere alla relazione tenta la conciliazione che, se riesce,  acquista con decreto l’efficacia di titolo esecutivo. L'effettuazione della consulenza preventiva, va sempre  autorizzata dal giudice al quale va richiesta nelle forme dell'accertamento tecnico e dell'ispezione giudiziale  preventivi. Il giudice dovrà sempre disporre la comparizione delle parti, essendo esclusa ogni possibilità di  provvedere inaudita altera parte. L’esecutività è idonea a consentire ogni tipo di esecuzione in forma  specifica, oltreché a consentire anche «l'iscrizione di ipoteca giudiziale». Se la conciliazione non riesce, il  consulente redigerà la propria relazione tecnica, che potrà essere acquisita agli atti del futuro giudizio di  merito, senza bisogno del formale controllo. La natura non cautelare del provvedimento che ha solo lo  scopo di deflazionare il contenzioso giudiziario esclude la proponibilità del reclamo  PROVVEDIMENTI D'URGENZA: cautelare a carattere sussidiario, utilizzabile tutte le volte che la  situazione cautelanda non trovi protezione in nessuno dei cautelari tipici visti fino a questo  momento. Altra caratteristiche è la loro atipicità: il loro contenuto non è determinato in modo fisso dalla  legge, come per gli altri cautelari ma viene modellato caso per caso.  Condizioni per la concessione ­ art. 700 ­ > fuori dai casi regolati nelle precedenti sezioni, chi ha  fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via  ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con  ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad  assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Tecnicamente, il pregiudizio è irreparabile  quando «non si può riparare» con il tradizionale rimedio del risarcimento del danno, campo di impiego dei  provvedimenti d'urgenza, con riferimento:  ­ ai diritti personali, quelli cioè che non hanno ad oggetto un contenuto prettamente economico,  ma fanno riferimento ai beni essenziali della persona umana, come ad es. il diritto all'integrità  fisica, il diritto al nome, il diritto all'immagine, ecc.  ­ nel settore dei diritti derivanti dai beni immateriali (es. tutela del marchio, che è in sostanza la  fondamentale manifestazione esterna dell'imprenditore. Appare legittimo anticipare con l'art. 700  gli effetti finali della sentenza e cioè l'inibitoria ed il sequestro, onde evitare il prodursi di un  pregiudizio che potrebbe essere non più riparabile).  Quanto al procedimento, si seguono per filo e per segno le regole generali dell'art. 669­bis ss. senza  alcuna particolare deroga, evidenziando che ai provvedimenti ex art. 700.  62  DISCIPLINA COMUNE DEI PROCEDIMENTI CAMERALI  Il procedimento di primo grado è disciplinato da due sole norme:  ­ forma della domanda e del provvedimento ­ art. 737 – I provvedimenti, che debbono essere  pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma  di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti.  ­ procedimento ­ art. 738 – Il presidente nomina tra i componenti del collegio (nei procedimenti camerali  il tribunale giudica sempre in composizione collegiale) un relatore, che riferisce in camera di consiglio. Se  deve essere sentito il pubblico ministero, gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue  conclusioni in calce al provvedimento del presidente. Il giudice può assumere  informazioni (istruttoria). Vari sono i problemi posti da queste norme:  ­ non è assolutamente previsto un atto con il quale possa costituirsi in giudizio il possibile  convenuto, nei casi in cui il procedimento è bilaterale e cioè in cui il provvedimento finale è dato  in confronto di più parti. Si ammette pertanto nella pratica che costui possa costituirsi con un atto  scritto che può essere indifferentemente chiamato memoria difensiva o comparsa di risposta.  ­ non è previsto altresì neppure il modo in cui il potenziale convenuto debba essere avvertito della  pendenza del procedimento. Il problema dovrebbe potere essere risolto nella pratica disponendo  la notifica a costui dell'atto introduttivo da parte del ricorrente.  ­ non è prevista, sempre nell'ipotesi di procedimento a carattere bilaterale, neppure la presenza di  un'udienza nella quale le parti debbono comparire. E necessario pertanto che questa venga fissata  dal collegio e ciò in ossequio al disposto dell'art. 1 1 1 , 2° co., Cost., che impone il rispetto del  principio del contraddittorio.  ­ istruttoria per informazioni essenzialmente atipica sia per le prove (testimoni senza formulazione dei  capitoli) sia per i canali di assunzione (info dalla polizia giudiziaria): si ritiene comunemente che il potere di  disporre tali informazioni possa essere esercitato dal giudice d'ufficio, venendosi così a derogare alla regola  del principio dispositivo nell'acquisizione probatoria nel processo civile, previsto  dall'art. 115. Nell'istruttoria camerale, pur svolgendosi per informazioni, si deve rispettare il  principio del contraddittorio che impone che, sia l'ammissione della prova, sia la sua  acquisizione, avvengano alla presenza delle parti o dei loro difensori.  ­ la presenza del decreto come provvedimento conclusivo pone alcuni problemi:  a) tale provvedimento è il mezzo tipico con il quale si chiudono i procedimenti camerali, ma non  è il solo, in quanto alcuni di essi prevedono come atto finale la sentenza (ad es. il  procedimento di dichiarazione di morte presunta, che si chiude con la sentenza).  b) con riferimento alla pronunzia con decreto, si tratta di vedere qual è la sua natura giuridica. La  sua revocabilità prevista, esclude il suo passaggio in giudicato e quindi virtualmente anche una sua eventuale  natura di sentenza in senso sostanziale, il che dovrebbe comportare l'inapplicabilità del ricorso in  cassazione di cui all'art. 111 Cost. a tali tipi di provvedimenti. E questa è infatti l'opinione corrente della  giurisprudenza, la quale tuttavia non ha mancato di rilevare che, quando il procedimento camerale è  utilizzato per questioni inerenti alla tutela dei diritti soggettivi, il provvedimento (dopo il reclamo ex art.  739) è sempre assoggettabile al ricorso in cassazione ex art. 111 Cost.  ESECUTIVITÀ DEI PROVVEDIMENTI ED IL RECLAMO  Efficacia dei provvedimenti ­ art. 741 – i provvedimenti camerali non sono esecutivi ex lege, ma  lo divengono solo dopo scaduti i termini per proporre reclamo (a meno che in seguito a ragioni di  urgenza non venga ad essi conferita esecutività immediata, nonostante il reclamo).  Reclamo delle parti – art. 739 ­ Competente a giudicare del reclamo contro i provvedimenti del  giudice tutelare è il tribunale (in sede collegiale), mentre se il decreto è del tribunale, la competenza  spetta alla corte d'appello. Il reclamo va proposto dalla parte interessata e può concernere tanto motivi di  legittimità, quanto motivi di merito del provvedimento. Il reclamo deve essere proposto nel termine  perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del decreto se è dato in confronto di una sola parte, o dalla  notificazione se è dato in confronto di più parti.  65  Reclami del pubblico ministero ­ art. 740 – Il pubblico ministero, entro 10 giorni dalla comunicazione,  può proporre reclamo in tutti i casi in cui è necessario il suo parere. Quindi, non  solo nei casi in cui egli aveva azione, ma anche in tutti quelli in cui egli deve essere semplicemente  sentito.  Salvo che la legge non disponga altrimenti, non è dato ulteriore reclamo contro i provvedimenti emessi in  sede di reclamo.  La giurisprudenza ritiene inammissibile il ricorso in cassazione ex art. 111 Cost. avverso i decreti  emessi in sede di reclamo, quando si tratta di materie di giurisdizione volontaria, mentre lo ritiene  ammissibile quando l'oggetto della controversia riguarda diritti soggettivi.  Revocabilità dei provvedimenti – art. 742 – I decreti possono essere in ogni tempo modificati o  revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori  alla modificazione o alla revoca. Tale ipotesi non dovrebbe potere ricorrere ove vengano in gioco questioni  di diritti soggettivi. Se il reclamo è proponibile per ogni motivo di legittimità e di merito sussistente al  momento dell'emissione del provvedimento, la revoca dovrebbe essere circoscritta a 2hp  a) quando si verifichi un mutamento delle circostanze, tale da non rendere più conforme all'interesse  delle parti il provvedimento originario;  b) dedurre con la revoca anche circostanze preesistenti, di cui il giudice non abbia avuto cognizione  o sulle quali sia stato indotto in errore al tempo del primo provvedimento (si ritiene pertanto che  non possa proporsi la revoca, chiedendo semplicemente che il giudice apprezzi in modo diverso  circostanze già dedotte in causa).  La revoca del provvedimento non incide però sui «diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza  di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca. Deve trattarsi pertanto di diritti acquistati  in forza di negozi bilaterali ed il terzo non doveva essere in mala fede al momento dell'atto (cioè  non doveva essere a conoscenza degli eventuali vizi dello stesso).  PROCEDIMENTO IN MATERIA DI LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA E  PROCEDIMENTI ASSIMILATI  CONTROVERSIE DI LAVORO  Il processo del lavoro (artt. 409­447) costituisce il prototipo del processo da ricorso, rappresenta  l'alternativa al processo ordinario che si introduce con atto di citazione secondo lo schema dell'art.  163 ss. La domanda non è diretta verso l'avversario, ma si propone al giudice al quale spetta pure di  fissare l'udienza di comparizione, che sarà resa nota all'altra parte, assieme al contenuto del ricorso, ad  opera dell'attore (ricorrente). Editto actionis e vocatio in ius che nel processo ordinario da citazione  provengono entrambe dalla parte, sono qui frazionate, spettando a quest'ultima di provvedere solo  alla prima attività, mentre la seconda è effettuata dal giudice. Rito del lavoro è stato introdotto con la 1.  533/1973, il nuovo tipo di procedimento, nell'ottica del legislatore, avrebbe dovuto garantire una tutela più  rapida, determinata in primo luogo dal fatto che l'udienza di comparizione, anziché lasciata alla  discrezionalità dell'attore, veniva fissata dal giudice nei tempi brevi dell'art. 415, ed in secondo luogo da  ulteriori espedienti, quali il divieto di udienze di mero rinvio e la provvisoria esecutività ex lege delle  sentenze di condanna a favore del lavoratore. Tuttavia, il processo in oggetto non ha di molto accorciato i  tempi della giustizia in materia di lavoro.  CONTROVERSIE ASSOGGETTATE AL RITO DEL LAVORO  1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa (es.  lavoro domestico o a domicilio);  2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a  coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza  delle sezioni specializzate agrarie:legge del 1990 ha compiuto un'attribuzione generale alle  sezioni agrarie di tutte le controversie in materia di contratti agrari e di conseguenza non c’è più  spazio oggi per l'applicazione del rito del lavoro in materia agraria.  Dinanzi alle sezioni specializzare agrarie, si applica il rito del lavoro, anche se l'impiego di tale  rito ad opera di un giudice collegiale (quali sono appunto le sezioni specializzate: art. 50­bis, n.  66  3) dà luogo a problemi di adattamento.  3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che  si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale,  anche se non a carattere subordinato.   Nella prassi per indicare i rapporti di cui 3) si parla di > Parasubordinazione, che sta ad indicare che non  si tratta di lavoro subordinato, ma che sussiste un vincolo continuativo e coordinato con un soggetto che  funge pur sempre da datore di lavoro (es. lavoro svolto con continuità dai membri di un'impresa familiare).  4) rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici che svolgono esclusivamente o  prevalentemente attività economica;  5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico,  sempre che non siano devoluti dalla legge ad altro giudice: vi rientrano i rapporti di pubblico  impiego con la pubblica amministrazione, sia che essi facciano capo ad enti pubblici non  territoriali o territoriali o all’amministrazione statuale.  TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE – art. 410 ­ La possibilità di  proporre davanti al giudice di lavoro una delle controversie previste dall'art. 409, era subordinata, al  previo esperimento del tentativo di conciliazione stragiudiziale, pena l’improcedibilità della  domanda. Questo sistema è stato radicalmente modificato dalla l. 183/2010 sconvolgendo una struttura  ormai consolidata. La prima novità consiste nel fatto che il tentativo di conciliazione non è più obbligatorio,  ma divine scelta dell’attore che può dunque anche azionare immediatamente l’autorità giudiziaria.  Permangono invece le 2 forme di conciliazione a scelta di chi intende proporre la domanda:  ­ quella sindacale  ­ quella amministrativa: si effettua di fronte alla commissione di conciliazione che si trova presso  l'ufficio della direzione provinciale del lavoro  Occupiamoci del secondo (essendo quello maggiormente regolato dalla legge e poichè il primo si innesta su  di esso). Il tentativo di conciliazione inizia con una richiesta delle parti molto dettagliata che va consegnata  con raccomandata con ricevuta di ritorno alla direzione generale del lavoro e alla controparte. Il tentativo  può essere però evitato dal convenuto, che non depositi entro 20 gg dalla comunicazione della richiesta una  memoria difensiva presso l’ufficio: in tal caso entrambi le parti potranno azione l’autorità giudiziaria. Iniziato  il tentativo dinanzi all’ufficio generale del lavoro, le parti si presentano alla commissione a ciò deputata  presieduta dal direttore d’ufficio e 2 rappresentanti sindacali, uno per parte (sarebbero 8 rappresentanti ma  la commisione in realtà funziona con 2). Se le parti si conciliano, il verbale sarà deposto dalla parte  interessata presso il giudice del lavoro, che lo dichiara esecutivo. In caso contrario, la commissione fa una  proposta per la bonaria definizione della controversia. Inoltre oggi è possibile deferire alla commisione il  potere di risolvere la vertenza in via arbitrale: in ogni momento le parti hanno tale facoltà> se se ne  avvalgono i giudici divengono arbitri ed emettono, entro 60 gg dall’incarico, un lodo vincolante. E’ un  arbitrato ibrido: ha tutte le caratteristiche di quello irrituale ( ad es. l’efficacia contrattuale e non di  sentenza), tuttavia presenta una caratteristiche in comune a quello rituale rendendolo un tertium genus: in  caso di mancata impugnativa o di reiezione della stessa o di acquiescenza bilaterale al lodo, questo va  depositato in Tribunale, che, controllata la regolarità formale, lo rende esecutivo con decreto.  ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO: regolamentazione mutata  con l. 183/2010: che introduce 2 arbitrati,  irrituali. Uno è quello detto supra riguardante le commisioni di conciliazione, destinato a una conciliazione  stragiudiziale; l’altro è l’arbitrato vero e proprio. La vecchia dizione stabiliva che le controversie di lavoro  potessero essere decise anche mediante arbitrato, solo se tale procedimento era previsto dalla legge o  nei contratti o accordi collettivi di lavoro: tale vincolo è rimasto solo per l’arbitrato da clausola  compromissoria.  COMPETENZA La competenza per le controversie individuali di lavoro spetta esclusivamente al tribunale.  Sono nulle tutte le clausole derogative della competenza per territorio. La competenza territoriale è fissata  dall'art. 413 in modo inderogabile. Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il  rapporto di lavoro o si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la  quale il lavoratore prestava la sua opera alla fine del rapporto. La competenza rimane anche nel caso di  67  comparizione, come nel rito ordinario, ma una sola prima udienza, l’udienza di discussione ex. art.  420. Normalmente all'udienza fissata ne faranno seguito altre ulteriori, necessarie se non altro per  l'assunzione delle prove prima che la causa giunga all'epilogo. Vietate le udienze di «mero rinvio».  Protagonista assoluto dell’udienza di discussione è il giudice; le parti, invece, svolgono un ruolo  quasi di secondo piano poiché con il ricorso e la memoria difensiva hanno, in pratica, esaurito le  loro attività di allegazione dei fatti e dei mezzi di prova. Nella udienza fissata per la discussione della causa:  a) obbligatorio procedere all' interrogatorio libero delle parti e al tentativo di conciliazione. Nel  processo di lavoro si hanno due tentativi di conciliazione quello stragiudiziale e  quello giudiziale (obbligatorio). La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce  comportamento «valutabile ai fini della decisione» (come argomento di prova).  Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale  deve essere a conoscenza dei fatti della causa (la mancata conoscenza, senza gravi ragioni, è  valutata dal giudice ai fini della decisione). La procura deve essere conferita con atto pubblico o  scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la  controversia. Se le parti si conciliano, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo.  b) effettuato l'interrogatorio libero ed il tentativo di conciliazione, ove quest'ultimo abbia esito  negativo, il giudice è obbligato a formulare una proprosta transattiva (l.183/2010) che oggi con il d.l.  69/2013 può essere anche semplicemente conciliativa. Se non si raggiungono accordi o transizioni, le parti  hanno la facoltà di modificare o precisare le domande, le eccezioni e le  conclusioni, ma solo per gravi motivi e previa autorizzazione del giudice (in ciò una differenza  con il processo ordinario, ove l’emendatio libelli non è soggetta ad alcuna autorizzazione).  c) ove vi sia stata un'eventuale chiamata in causa di terzi, il giudice dovrà differire l'udienza di  discussione, disponendo che entro 5 giorni a cura del chiamante vengano notificati al terzo il  provvedimento, il ricorso introduttivo e la memoria di costituzione, osservati i termini inerenti  alla notifica del ricorso introduttivo. Il terzo deve costituirsi almeno 10 giorni prima della nuova  udienza, con la memoria difensiva di cui all'art. 416.  d) effettuato l'interrogatorio libero ed il tentativo di conciliazione, se l'esito è negativo, si dà corso  all'attività istruttoria. A questo proposito il giudice ammette le prove indicate negli atti  introduttivi e quelle eventualmente dedotte in udienza che le parti non abbiano potuto proporre  prima. Queste ultime sono essenzialmente le prove rese necessarie (e solo queste) in conseguenza delle  deduzioni di merito o istruttorie di controparte. Le parti non possono dedurre ab origine anche prove su  eventuali fatti nuovi ancora non emersi dagli atti e che potranno essere palesati solo dalla difesa avversaria,  in questo caso la parte potrà dedurre le prove su tali fatti direttamente in udienza ed alla controparte  spetterà il diritto di proporre eventuali prove contrarie nel termine ulteriore di 5 giorni.  ­ se la controparte si avvale di tale diritto di replica, il giudice differisce l'udienza di un termine  non superiore a 10 giorni e all'udienza successiva provvede all'ammissione di tutte le prove  (se ammissibili e rilevanti);  ­ se la controparte non si avvale del diritto di replica, l'ammissione delle prove può avvenire  direttamente in prima udienza.  Ammesse le prove alla prima udienza o in quella successiva, dovrà seguire la loro assunzione  che potrà avvenire all'udienza in cui le prove sono state ammesse o in una ulteriore, da tenersi  anch'essa in un termine non superiore a 10 giorni dalla precedente (che nel caso di necessità del  rinvio dell'assunzione, è concesso alle parti di presentare note difensive, almeno cinque giorni  prima dell'udienza).  PROVE NEL PROCESSO DEL LAVORO  a) per il principio di eventualità, tutte le prove debbono essere dedotte a pena di decadenza negli  atti introduttivi (salvo quelle che la parte non ha potuto produrre prima). Il giudice può ammettere le  prove proposte dalle parti e procedere alla loro immediata assunzione, se non è possibile assumere le  prove in udienza, ne è prevista un’altra, da tenersi entro 10 giorni dalla prima per l’assunzione della prova,  eventualmente concedendo alle parti un termine per il deposito di note difensive 5 giorni prima dell’udienza.  70  Il potere di ammettere prove d'ufficio in qualsiasi momento (con esclusione del solo giuramento decisorio)  non può essere inteso come mezzo per sopperire all'inerzia delle parti, ma solo per integrare il materiale  istruttorio già acquisito da queste ultime al fine di una più completa cognizione del giudice. Tale potere  consente di ammettere le prove anche «fuori dei limiti stabiliti dal codice civile», possono superarsi i limiti  imposti dalla norma sostanziale, ma non quelli disposti dalla legge processuale, le persone incapaci a  testimoniare non possono neanche qui essere assunte come  testi, anche se v'è nel rito del lavoro la facoltà per il giudice (esercitabile sempre ex officio) di «interrogarle  liberamente» sui fatti della causa. Nel caso di ammissione di nuove prove, sia d’ufficio, sia proposte dalla  parte che si era trovata nell’impossibilità di indicarle in precedenza, sarà necessario rinviare ad altra udienza  concedendo, ove ricorrano giusti motivi, termine di 5 giorni prima per il deposito di note difensive.  b) Al giudice compete anche la:  ­ possibilità di richiedere d'ufficio informazioni alle associazioni sindacali indicate dalle parti,  sia scritte che orali. A tali associazioni sindacali il giudice può anche richiedere il testo dei  contratti e degli accordi collettivi di lavoro,  ­ possibilità di disporre l'accesso sul luogo del lavoro, se necessario per l'accertamento dei fatti,  che rientra nei poteri ispettivi del giudice: solo che a differenza della normale ispezione, qui è  richiesta l'istanza di parte. In tale sede, può essere espletata anche la prova testimoniale (se il  giudice ritiene che se effettuata in questo luogo essa possa offrire maggiore contributo  all'accertamento della verità, dato che il teste vede il luogo in cui si sono svolti i fatti).  c) allorché il giudice ammette prove d'ufficio, il che può essere effettuato «in qualsiasi momento»  del processo, deve essere sempre concesso alle parti un termine per controdedurre non superiore  a 5 giorni.  PROVVEDIMENTI INTERINALI DI CONDANNA: art. 423 possibilità che il giudice del lavoro  concorrendo specifiche circostanze, possa emanare provvedimenti provvisori di condanna nella  forma dell'ordinanza, prima ancora della pronunzia della sentenza:  a) ordinanza di pagamento di somme non contestate (art. 423, primo comma): simile a quella  prevista dall'art. 186­bis per il processo ordinario, che consente al giudice del lavoro in ogni stato  del giudizio, su istanza di parte, di disporre il pagamento delle somme richieste da una parte, che  siano «non contestate» dall'altra parte (il giudice, su istanza di parte, in ogni stato e grado del  giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate). La «contestazione»  in senso tecnico, tale da impedire la pronuncia dell'ordinanza in oggetto, è quella che indica in  modo preciso e specifico le ragioni della contestazione e dunque si risolve, nella specifica  allegazione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto altrui. L'ordinanza in oggetto è titolo  esecutivo e resta fissata agli effetti del merito, tanto da non potere essere revocata dalla sentenza.  b) ordinanza provvisionale (art. 423, secondo comma): simile a quella prevista dall'art. 186­  quater, per il processo ordinario, anch'essa emanabile in ogni stato del giudizio ma solo su  istanza del lavoratore, con la quale l'altra parte può essere condannata al pagamento di somme a  titolo provvisorio, quanto il giudice ritenga «il diritto accertato e nei limiti della quantità» su cui  ritenga raggiunta la prova Tale accertamento può raggiungersi anche in presenza della contestazione  avversaria, quando sia per esempio basato su prove acquisite che facciano ritenere probabile l'esistenza in  tutto o in parte del diritto azionato. Anche tale ordinanza è titolo esecutivo, ma a differenza della  precedente, è «revocabile» con la sentenza che decide la causa.  La legge non dice quale sia la sorte di tali provvedimenti nel caso di estinzione del processo, per  analogia con l'art. 186­bis ss., le ordinanze ex art. 423, sopravvivono nel caso di estinzione del  processo. È da ritenere che le ordinanze provvisorie in materia di lavoro mantengano effetto, fino a  quando non sono caducate dalla sentenza emessa in un nuovo procedimento che dimostri  l'inesistenza del diritto su cui l'ordinanza si è fondata.  DECISIONE: dopo aver fatto precisare le conclusioni, il giudice:  a) la sentenza viene emanata direttamente in udienza, anziché nel termine di 60 giorni dal deposito  71  degli scritti difensivi finali come nel processo ordinario. Avviene cioè che all'udienza finale del processo le  parti, precisate le conclusioni, discutono oralmente la causa: dopodiché il giudice pronuncia  immediatamente la sentenza, dando lettura del dispositivo. Al massimo può avvenire che se nell'udienza  finale, ad es. per la complessità della controversia, sorga la necessità per le parti di dovere illustrare per  iscritto le loro tesi, il giudice può autorizzarle (ma non è tenuto a farlo) a presentare delle note difensive  entro un termine non superiore a 10 giorni, rinviando l'udienza per la discussione e la pronuncia della  sentenza. Pronunziato il dispositivo in udienza, dovrà poi essere redatta la motivazione, che va depositata  in cancelleria entro 15 giorni dalla decisione. Il cancelliere ne dà comunicazione alle parti.  b) ove la sentenza sia di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro a favore  del lavoratore, il giudice deve disporre anche il pagamento degli interessi e del maggior danno  eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito con decorrenza  dal giorno della maturazione del diritto. Tale «maggior danno» è costituito dalla rivalutazione  monetaria.  c) Altra peculiarità del processo di lavoro è il meccanismo di esecutività della sentenza:  l'esecutività della sentenza di primo grado, compete tanto al lavoratore, quanto al datore di  lavoro. Solo che mentre il lavoratore può iniziare l'esecuzione sulla base del solo dispositivo, tale facoltà  non spetta al datore di lavoro il quale potrà beneficiare anch'egli della provvisoria esecutività  della sentenza di primo grado, ma dovrà attendere il deposito della motivazione ed iniziare il  processo esecutivo sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza completa.  Diversi sono anche i presupposti per la sospensione dell'esecutività della sentenza, che in  entrambi i casi va disposta dal giudice d'appello e può essere totale o parziale, ma che richiede  l'esistenza di un «gravissimo danno» nel caso che la sentenza sia a favore del lavoratore; mentre  nell'ipotesi di condanna a favore del datore di lavoro, per la sospensione sono sufficienti «gravi e  fondati motivi».  ACCERTAMENTO PREGIUDIZIALE SULL'EFFICACIA, VALIDITÀ ED INTERPRETAZIONE DEI  CONTRATTI E ACCORDI COLLETTIVI  Art. 420­bis ­ Allorché la decisione dipende dalla risoluzione di una questione pregiudiziale  concernente «l'efficacia, la validità o l'interpretazione» delle clausole di un contratto o di un accordo  collettivo nazionale, tale questione va decisa con efficacia di giudicato e con sentenza parziale da  pronunziarsi immediatamente. Risolta la questione con sentenza, la causa riprenderà il suo corso ad  un'udienza che deve essere tenuta in un termine non anteriore a 90 giorni.  La citata sentenza può essere impugnata solo con ricorso immediato per cassazione nel termine  breve di 60 giorni decorrenti dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. La  proposizione del ricorso ha l'effetto di determinare la sospensione del processo (obbligatoria), che  però inizia solo dalla data del deposito presso il giudice di lavoro della copia del ricorso per  cassazione notificato, deposito che deve avvenire a pena di inammissibilità del ricorso, nel termine  perentorio di venti giorni dalla notifica.  APPELLO  L'appello che può essere diretto contro tutte le sentenze pronunciate nelle controversie di cui all'art.  409, tranne quelle che hanno deciso una controversia di valore non superiore ad € 25,82, si propone  alla corte d'appello in funzione di giudice del lavoro «territorialmente» competente. La competenza  territoriale si determina secondo il criterio generale, spettando il gravame alla corte nel cui distretto  ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza impugnata.  In caso di incompetenza territoriale della corte, l'eventuale riassunzione avverrà nel termine  generale dell'art. 50.  Procedimento: Modificato dalla legge 134/2012. L’atto di appello oltre a prevedere i requisiti del ricorso  introduttivo del giudizio di primo grado di cui all’art 414 ( cioè indicazione delle parti del giudice ecc) deve  essere anche motivato (cioè indicare le parti del provvedimento che si vogliono appellare, le modifiche che  vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, le circostanze da cui  72  e) difesa in giudizio le pubbliche amministrazioni, limitatamente al primo grado, possono stare in  giudizio, anche attraverso i propri dipendenti.  V'è solo un'eccezione per ciò che riguarda «le amministrazioni statali o ad esse equiparate», per  le quali è consentito che l'avvocatura dello Stato competente possa assumere direttamente la  difesa, ma solo ove vengano in rilievo «questioni di massima» o aventi «notevoli riflessi  economici».  Infine gli enti locali, oltreché attraverso i pubblici dipendenti, possono stare in giudizio  utilizzando le strutture dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno.  f) l’«accertamento pregiudiziale» sull'efficacia, validità ed interpretazione delle clausole dei  contratti collettivi, è stato introdotto come norma generale per ogni tipo di controversia di  lavoro.  Nel procedimento che riguarda i pubblici dipendenti tale accertamento non viene effettuato  subito in prima battuta dal giudice con sentenza, ma nell'ipotesi che il contratto o accordo  collettivo nazionale sia stato sottoscritto dall'ARAN (Agenzia per la rappresentanza delle  pubbliche amministrazioni) è prevista una fase amministrativa volta a tentare di raggiungere un  accordo «sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica  della clausola controversa». L’ ARAN può anche intervenire nel processo in corso, può proprre ricorso in  cassazione contro la sentenz sdel giudice, e anche se non interviene può sempre presentare memorie.  PROCESSI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO  ­ processi di separazione artt. 706­711 c.p.c  ­ processi di divorzio 1. n. 898 del 1970.  Divorzio costituisce una sequela del giudizio di separazione (consente lo scioglimento del vincolo  matrimoniale allorché l'eventuale separazione preventivamente intervenuta fra i coniugi, si sia  protratta per il periodo di 3 anni a far data dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del  tribunale).  Sotto il profilo processuale, pur essendo i due riti originariamente diversi in quanto la disciplina del  processo di separazione era molto più rudimentale di quella del divorzio, la 1. n. 74 del 1987 ha  esteso al procedimento di separazione praticamente l'intera procedura del divorzio.  Entrambi i procedimenti per lo meno se si considera il loro svolgimento contenzioso, si attuano in  due fasi, la prima delle quali di fronte al presidente del tribunale (che tenta di conciliare le parti ed  adotta gli eventuali provvedimenti urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole) e la seconda di  fronte al giudice istruttore, nelle forme del rito ordinario di cui agli artt. 163 ss. c.p.c. e che si  chiude con sentenza.  SEPARAZIONE  separazione giudiziale (art. 706 ss.) – art. 151 c.c. ­ Per esperire la separazione giudiziale, è  sufficiente che si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o  da recare grave pregiudizio alla educazione della prole, anche indipendentemente dalla volontà  di uno o di entrambi i coniugi. Non è richiesta alcuna imputabilità di tali fatti ad uno o ad  entrambi i coniugi, ma ognuno dei coniugi può inserire nel procedimento anche una richiesta di  addebito della separazione all'altro coniuge, quando il comportamento di quest'ultimo sia  contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. L'«addebitabilità» della separazione all'un  coniuge, comporta che costui, anche se non ha adeguati redditi propri, non debba percepire alcun  assegno di «mantenimento», ma solo quello «alimentare».  Forma della domanda   ­ competenza: la domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo  dell’ultima residenza, anagrafica, comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge  convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti  irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’attore, e, se anche  questi è residente all’estero, a qualunque tribunale della Repubblica.  ­ forma: la domanda si propone con ricorso, che deve contenere l'esposizione dei fatti su cui la  75  domanda si fonda nonché l'indicazione dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i  coniugi durante il matrimonio ed al quale il ricorrente deve allegare le ultime dichiarazioni dei  redditi presentate degli ultimi tre anni.  Il presidente, nei 5 giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data  dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé (che deve essere tenuta entro 90 giorni dal  deposito del ricorso), nonché il termine per la notifica del ricorso e del decreto, ed il termine  entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti (anche per il  convenuto esiste l'obbligo, analogo a quello dell'attore, di depositare le ultime dichiarazioni dei  redditi).  Comparizione personale delle parti All'udienza presidenziale, i coniugi debbono comparire  personalmente davanti al presidente con l'assistenza del difensore (comparizione alla quale dovrà essere  accompagnata oggi anche quella dei figli minori):  ­ se il ricorrente non compare o rinuncia, la domanda non ha effetto, per cui il presidente  chiuderà la vertenza con una pronunzia di improcedibilità, che non impedirà tuttavia la  riproposizione ex novo della richiesta di separazione, anche se basata sugli stessi fatti;  ­ se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la  comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata.  Questo potere discrezionale non è però senza limiti, in quanto può essere esercitato solo se il  giudice ritiene che la comparizione possa non essere avvenuta per qualche ostacolo particolare.  Nel caso in cui il coniuge convenuto non compare il giudice fissa udienza di comparizione e  trattazione davanti al giudice istruttore. La mancata comparizione del coniuge convenuto è  equiparata alla mancata conciliazione, tanto da comportare il passaggio alla successiva fase  contenziosa.   Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente All’udienza di comparizione il presidente  deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente tentandone la conciliazione:  ­ se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione;  ­ se la conciliazione non riesce, v'è il passaggio alla seconda fase del procedimento, a carattere  contenzioso e svolgentesi di fronte al giudice istruttore.  Il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i  provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei  coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a  questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti  il ricorrente ed il suo difensore.  Prima dell'emanazione di tali provvedimenti (e cioè dopo l'audizione dei coniugi), il giudice può  assumere anche d'ufficio mezzi di prova e deve comunque sentire obbligatoriamente il figlio  minore che abbia compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore ove capace di discernimento.  Notificazione dell’ordinanza e fissazione dell’udienza (passaggio alla fase istruttoria) L’ordinanza  con la quale il presidente fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore è notificata a cura  dell’attore al convenuto non comparso, nel termine perentorio stabilito nell’ordinanza stessa, ed è  comunicata al pubblico ministero. Con l'ordinanza del presidente viene assegnato un termine al ricorrente  per il deposito di una memoria integrativa avente i requisiti di cui ai nn. 2, 3, 4, 5 e 6 dell'art. 163,  nonché termine al convenuto per la propria costituzione in giudizio nelle forme degli artt. 166 e 167.  Quest'ultimo si costituisce dunque con una comparsa di risposta, che deposita 20 giorni prima  dell'udienza di fronte al giudice istruttore, termine preclusivo per la presentazione da parte del convenuto di  successive eventuali eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio.   Con tale comparsa può essere per la prima volta proposta l'eventuale domanda di addebito da  parte del convenuto. L'ordinanza del presidente del tribunale, oltre a segnare il passaggio alla fase  istruttoria, può contenere anche gli eventuali provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse della  prole e dei coniugi. In seguito alla legge n. 54 del 2006, si è resa necessaria una nuova procedura per  76  risolvere i conflitti tra coniugi che abbiano l’affidamento condiviso dei figli. La nuova normativa non esclude  che un solo coniuge possa ottenere l’affidamento del figlio (affidamento esclusivo), ciò sarà possibile  quando il giudice ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse  del minore. Segue l'assegnazione della casa coniugale ad uno dei due coniugi, va effettuata tenendo  prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Vengono disposti gli eventuali provvedimenti economici a  favore dei figli (anche maggiorenni non indipendenti economicamente) e dell'altro coniuge.  I provvedimenti presidenziali sono soggetti a reclamo, da proporre con ricorso alla Corte  d'Appello (che si pronuncia in camera di consiglio) entro 10 giorni dalla notifica del provvedimento.  Inoltre, tali provvedimenti possono essere modificati e revocati dal giudice istruttore.  ­ reclamo è consentito anche per il riesame (anche sulla base di eventuali nuove acquisizioni)  delle circostanze poste a fondamento dei provvedimenti presidenziali.  ­ potere di revoca del giudice istruttore, affinché non si sovrapponga al reclamo e ne vanifichi il  termine di proponibilità, dovrà essere circoscritto esclusivamente a due ipotesi:  1) eventuale mutamento delle circostanze, che faccia ritenere non più adeguato il provvedimento;  2) eventuale valutazione anche di circostanze preesistenti, che erano ignote al momento dell'emanazione del  provvedimento presidenziale.  Udienza davanti al giudice istruttore Il prosieguo del procedimento di separazione davanti al giudice  istruttore, si articolerà secondo il modello del procedimento ordinario di cognizione, con l'applicazione  degli artt. 183 e 184. È stato attribuito al giudice istruttore della causa di separazione il potere di disporre  misure strumentali atte a garantire il rispetto dei provvedimenti presidenziali (es. potere di sequestrare  parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento nel corso della separazione). Per il resto, il  procedimento si chiuderà con sentenza. Qualora il processo debba continuare per la richiesta di addebito,  per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il giudice deve emettere sentenza non  definitiva relativa alla separazione. La sentenza definitiva di separazione, (allorchè ciò non sia avvenuto  con sentenza non definitva) oltreché statuire sulla separazione medesima, deciderà anche sull'eventuale  pronunzia di addebito, nonché sui provvedimenti a favore del coniuge e della prole. All'impugnazione della  sentenza definitiva si applica il rito camerale.  Risoluzione delle controversie in caso di inadempienze o violazioni  Se l'art. 709­ter pare limitato a controversie concernenti la prole,l'art. 710 è riferibile ad ogni tipo di  controversie (e quindi anche a quelle di ordine patrimoniale fra i coniugi). Tipi di contese che possono  insorgere nell'ambito di un procedimento di separazione:  a) controversie di ordine economico riguardanti i rapporti fra i coniugi: ad esempio per mancato  versamento dell’assegno di mntenimento. Il creditore può invocare l'efficacia di titolo esecutivo dei  provvedimenti o del provvedimento finale di separazione. Il coniuge creditore, potrebbe avere anche una  tutela rinforzata sotto il profilo penale.  b) controversie di ordine economico riguardanti i figli: es. nel caso del mancato versamento o  del versamento parziale o comunque irregolare dell'assegno nei confronti dei figli, accanto  agli strumenti dati dalla forza del titolo esecutivo che dispone l'assegno e dalla indiscussa  applicazione della tutela penale, può prospettarsi anche l'applicabilità di una delle sanzioni di  cui all'art. 709­ter 2° co., e cioè:  1. ammonizione del genitore inadempiente;  2. risarcimento danni da parte del genitore inadempiente a favore del minore;  3. risarcimento danni da parte del genitore inadempiente a favore dell'altro;  4. condanna del genitore inadempiente ad una sanzione da € 75 a 5.000 a favore della cassa  delle ammende.  c) controversie nascenti dal disaccordo circa le decisioni sull'istruzione e la salute dei figli: in  tali casi la decisione è rimessa al giudice. Tecnicamente queste controversie dovrebbero rientrare  fra quelle previste nell'art. 709­ter, 1° co., come controversie insorte in ordine «all'esercizio della potestà  genitoriale».  d) controversie inerenti all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento:  77  residente all’estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di  residenza o di domicilio dell’attore, e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque  tribunale della Repubblica.  ­ forma: la domanda si propone con ricorso, che deve, anche in questo, contenere l'esposizione  dei fatti su cui la domanda si fonda nonché l'indicazione dei figli legittimi, legittimati o  adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio ed al quale il ricorrente deve allegare le  ultime dichiarazioni dei redditi presentate degli ultimi tre anni.  Una particolarità specifica che non si riscontra nel procedimento di separazione, è che  dell'atto di ricorso per lo scioglimento del vincolo il cancelliere dà comunicazione all' ufficiale  dello stato civile del luogo in cui il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all'atto.  b) L'udienza di comparizione dinanzi al presidente si svolge allo stesso modo di quella di  separazione con l'assistenza di un difensore: i coniugi devono comparire davanti al presidente del  tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l’assistenza di un difensore:  ­ se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto;  ­ se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la  comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata.  All’udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi  congiuntamente, tentando di conciliarli:  ­ se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione;  ­ se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché,  qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori,  dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni  nell’interesse dei coniugi e dalla prole, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di  comparizione e trattazione dinanzi a questo. L’ordinanza del presidente può essere revocata o modificata  dal giudice istruttore.  c) Simile è anche il passaggio dalla fase presidenziale a quella istruttoria, che avviene per l'attore  attraverso il deposito della memoria integrativa contenente i requisiti di cui ai nn. 2, 3, 4, 5 e 6  dell'art. 163 c.p.c. e per il convenuto attraverso la comparsa di risposta, atti entrambi che  debbono essere depositati in cancelleria. Questi atti servono anche qui alla costituzione in giudizio delle  parti ed anche qui valgono per il convenuto le relative preclusioni, per cui le eccezioni processuali e di  merito non rilevabili d'ufficio vanno proposte con la comparsa di risposta, pena la decadenza dalle stesse.  Analogamente, lo svolgimento del rito è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 183 e 184. È sempre  prevista la presenza del pubblico ministero. La decisione avviene con sentenza, la quale può essere anche  non definitiva, stabilendo sulla sola cessazione del vincolo, allorché il processo debba continuare «per la  determinazione dell'assegno». Vi è qui una diversità con l'art. 709­bis, in materia di separazione, il quale  consente l'emanazione della sentenza non definitiva anche nel caso in cui il processo debba continuare per  le questioni inerenti al­l'«affidamento dei figli».  L'appello contro la sentenza è deciso in camera di consiglio ed è proponibile dalle parti e dal  pubblico ministero limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci.  d) Un punto particolare concerne i provvedimenti presidenziali disposti nell'interesse del coniuge e  della prole:  ­ il loro ambito è più ampio di quelli previsti dalla 1. div.  ­ la tutela nei confronti di tali provvedimenti è più ristretta di quella stabilita per la separazione,  essendo prevista solo la loro revocabilità da parte del giudice istruttore, e non essendo  contemplato il reclamo   e) Effetti della sentenza di divorzio: essa, oltre a pronunziare sullo scioglimento del vincolo e sui  provvedimenti conseguenti, deve anche recare l’ordine all'ufficiale di stato civile del luogo ove  venne trascritto il matrimonio di procedere all'annotazione della sentenza. Tale prescrizione è  operativa solo con il passaggio in giudicato della stessa, non essendo consentita la provvisoria  esecuzione della sentenza di accertamento (la sentenza è provvisoriamente esecutiva solo per i  80  provvedimenti di natura economica). A tale incombenza l'ufficiale di stato civile adempie in  seguito alla comunicazione della sentenza definitiva effettuata dal cancelliere. Lo scioglimento del vincolo  matrimoniale «a tutti gli effetti civili» ha effetto solo con la suddetta annotazione.  Per ciò che riguarda i provvedimenti di affidamento dei figli, di assegnazione della casa  familiare, e quelli di ordine patrimoniale rispetto al coniuge e ai figli, si applicano gli artt. 155  ss. c.c., va aggiunto solo: 1) che l'assegno a favore del coniuge può anche essere dato in unica  soluzione, purché vi sia l’accordo delle parti e questa sia ritenuta equa dal tribunale; 2) che  l'obbligo di pagamento dell'eventuale assegno periodico, cessa se il coniuge al quale deve essere  corrisposto «passa a nuove nozze»  Effetti relativi alla cessazione del vincolo:  1) donna «perde il cognome» che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio.  2) nel caso di morte del coniuge, il coniuge divorziato, se il primo non ha un coniuge superstite  ha diritto alla pensione di reversibilità se concorre il seguente triplice ordine di condizioni:  a) che non sia passato a nuove nozze;  b) che sia titolare dell'assegno di mantenimento;  c) che il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. Se invece il defunto lascia un  coniuge superstite, al coniuge divorziato che sia titolare dell'assegno di mantenimento va  comunque attribuita «una quota della pensione» tenuto conto della «durata del rapporto».  3) al coniuge divorziato, se non passato a nuove nozze e sempre in quanto sia titolare  dell'assegno di mantenimento, spetta anche «un a percentuale dell'indennità di fine rapporto»  percepita dall'altro coniuge.  4) erogazione della pensione di reversibilità a favore dei genitori divorziati nel caso di morte del  figlio.  f) All'«attuazione» dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del  merito.  g) Meccanismo di revisione delle condizioni del divorzio, relativamente all'affidamento dei figli e  al contributo di mantenimento di costoro e della moglie (se la controversia riguarda l'affidamento  dei figli è obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero). Il procedimento si svolge  secondo il rito in camera di consiglio.  Cocludendo:  oltre alla ovvia diversità di presupposti e delle specifiche conseguenze del divorzio proprie  solo di quest'ultimo la procedura di divorzio si diversifica da quella della separazione per:  1) manca nel procedimento di divorzio la possibilità del reclamo alla corte d'appello ex art. 708,  stabilita per la separazione.  2) la sentenza non definitiva di divorzio è ammissibile solo in quanto il procedimento debba  continuare per la determinazione dell'assegno di mantenimento, non anche per i  provvedimenti riguardo ai figli come invece nel caso dell'art. 709­bis c.p.c. per la separazione.  3) solo nel divorzio è ammessa la possibilità di corrispondere l'assegno una tantum.  Domanda congiunta di divorzio: non va considerata come una forma di «divorzio consensuale»  analoga cioè alla separazione consensuale, poiché a differenza di quest'ultima:  ­ il consenso di entrambi i coniugi non è sufficiente per ottenere lo scioglimento del vincolo,  dovendo il giudice pur sempre accertare l'esistenza dei presupposti di cui agli artt. 1, 2 e 3 1. div.,  mancando i quali la domanda può essere respinta. Il che non esime pertanto il giudice, ove sia  necessario, dall'effettuare l'istruttoria che si reputi opportuna per la verifica delle suddette  condizioni (decisione è disposta «verificata l'esistenza dei presupposti di legge»).  ­ il giudice deve valutare la rispondenza all'interesse dei figli delle condizioni indicate dai coniugi:  nel caso che il tribunale ritenga che tale rispondenza non vi sia, non respinge la domanda (come  invece avviene nella separazione consensuale, nella quale può essere rifiutata l'omologazione),  ma provvede a disporre i provvedimenti come nel caso della non riuscita della conciliazione.  ­ non si pone il problema della revoca del consenso prima dell'udienza, poiché anche se tale  revoca interviene, essa resta irrilevante, spettando esclusivamente al giudice di valutare  81  l'esistenza delle condizioni per disporre lo scioglimento del vincolo. Il vantaggio specifico della  domanda congiunta sta, oltre che nell'eliminazione della conflittualità, nella circostanza dell'uso  del procedimento camerale ex art. 737 ss. c.p.c., molto più breve di quello ordinario.  La domanda si propone con ricorso al tribunale competente e deve indicare compiutamente le  condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Anche se si opta per la necessità del tentativo  di conciliazione, la mancata comparizione dei coniugi non è di ostacolo al proseguimento della  procedura sulla domanda congiunta (in ciò un'altra differenza con la separazione consensuale). La  decisione è disposta con sentenza, la quale è appellabile e successivamente per cassazione, come  nella normale procedura di divorzio. Nel caso di rigetto, la sentenza é appellabile su tutti i capi da ciascuno  dei coniugi, mentre nel caso di accoglimento, l'appello dei coniugi potrà proporsi solo per ciò che riguarda  le statuizioni accessorie relative alla prole e all'assegno di mantenimento.  EFFICACIA DELLE SENTENZE E DEGLI ATTI STRANIERI  Sistema introdotto dalla l. n. 218/ 1995  La 1. n. 218 del 1995 ispirandosi al principio della libera circolazione del prodotto giudiziario, ha  optato per il sistema del riconoscimento automatico nello Stato della sentenza straniera (ed anche dei  provvedimenti di volontaria giurisdizione) che abbia i requisiti previsti dall'art. 64 della legge, che peraltro  sono supposti esistenti: nel senso che la sentenza straniera ha diretta efficacia nello Stato senza necessità  di porre in essere alcun procedimento per accertarli. Tale effetto automatico avviene tuttavia solo ai fini del  riconoscimento nel territorio della Repubblica della sentenza straniera come atto giuridico produttivo di  ogni effetto che le è proprio (ivi compreso quello dell'autorità di cosa giudicata), esclusion fatta per  l'efficacia esecutiva. Il limite al riconoscimento automatico è dato dall'impiego della sentenza ai fini  dell'esecuzione forzata, in tal caso chiunque vi abbia interesse deve promuovere davanti alla corte d'appello  del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento (in pratica si tratta di un  meccanismo analogo a quello della vecchia delibazione).  Analogo accertamento può essere promosso anche da parte di chi voglia contestare l'efficacia  automatica della sentenza, anche semplicemente a fini non esecutivi, sul presupposto che non  sussista taluno dei requisiti previsti dall'art. 64. In tali due casi (contestazione esecutività e/o contestazione  efficacia automatica ex aer 64) l'interessato deve provocare la procedura di riconoscimento al fine di  dimostrare che taluno di quei requisiti non sussiste. I requisiti che occorre accertare in tali casi e che  debbono essere tutti presenti affinché la sentenza abbia efficacia nello Stato sono previsti dall'art. 64 e sono  i seguenti:  1. verificare che il giudice che l'ha pronunziata (nello Stato estero) poteva conoscere della causa  secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano. Bisogna verificare se  lo straniero nei cui confronti è stata emessa la sentenza, avrebbe potuto essere citato nello Stato italiano.  2. verificare se l'atto introduttivo del processo è stato portato a conoscenza del convenuto in  conformità a quanto previsto dalla legge del luogo in cui si è svolto il processo e che non sono  stati violati i diritti essenziali della difesa.  3. verificare che le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo e che sempre  secondo tale legge è stata dichiarata l'eventuale contumacia.  4. la sentenza deve essere passata in giudicato, secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata  e non deve essere contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato.  5. non deve poi pendere di fronte al giudice italiano un processo per il medesimo oggetto e fra le  stesse parti che abbia avuto inizio prima del processo straniero.  6. sentenza straniera non deve produrre effetti contrari all'ordine pubblico. (si intende: il complesso dei  principi, sostanziali e processuali, fondamentali caratterizzanti l’atteggiamento etico­giuridico  dell’ordinamento in un determinato periodo storico; in particolare tra i processauli spiccano quelli di  assunzione delle prove: sarà contraria all’ordine pubblico una sentenza emessa sulla base di prove illecite ­  benchè ammesse nello stato pronunciante ­  ad es. la narcoanalisi ­  interrogatorio reso sotto farmaci capaci di  produrre nel paziente uno stato simile a quello ipnotico).   L'art. 65 della 1. n. 218 del 1995, consente un'attenuazione del complesso dei requisiti, allorché il  82  disposti da un giudice straniero, l'assunzione avviene previa dichiarazione di esecutività nello  Stato del provvedimento straniero che ammette la prova, da richiedersi con ricorso  dell'interessato alla corte d'appello del luogo in cui si deve procedere a tali atti, la quale provvede  con decreto in seguito a procedimento in camera di consiglio. L'assunzione avviene secondo la  legge italiana ed eventuali «forme» richieste espressamente dall'autorità giudiziaria straniera, si  osservano solo se «compatibili» con i principi dell'ordinamento italiano. Se si tratta di mezzi di  prova atipici (cioè non previsti dall'ordinamento italiano), il visto di esecutività al provvedimento  straniero può essere dato solo se essi non contrastino con «i principi dell'ordinamento  italiano». Se si tratta di prove ammesse d'ufficio nello Stato straniero, la richiesta è trasmessa in  via diplomatica da giudice a giudice.  d) Per quanto riguarda infine le notificazioni da effettuarsi nello Stato, relative a citazioni a  comparire davanti ad un giudice straniero o ad atti provenienti da uno Stato estero, esse sono  autorizzate dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui circoscrizione la notificazione si  deve eseguire. Anche qui la notificazione segue la legge italiana, osservandosi le «modalità»  richieste dall'autorità straniera solo se compatibili con i principi dell'ordinamento italiano.  ARBITRATO  Principale mezzo di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione ordinaria, consiste  nel deferimento del giudizio in materia di diritti disponibili (art. 806 c.p.c.) ad uno o più privati  cittadini (purché in numero dispari: art. 809), affinché decidano con un provvedimento detto lodo,  idoneo alla definizione della controversia con effetti analoghi a quelli della sentenza (per lo meno  per ciò che concerne l'arbitrato rituale). La proposizione di fronte al giudice ordinario di una controversia  compromessa in arbitri (cioè decisa da questi), determina l'incompetenza del primo (art. 819­ter) il quale  deve declinare dal decidere il merito. Difettano agli arbitri i poteri coercitivi propri del giudice. Arbitrato è  giudizio (carattere che non compete, né alla conciliazione, né alla transazione, dove non si ha una  risoluzione della controversia nel senso di un soggetto vincente vs. uno soccombente ma una eliminazione  della stessa mediante reciproche concessioni) ed è anche processo giacché consente la risoluzione della  controversia ad opera di un soggetto che si trova in posizione di terzietà rispetto le parti (equivalente  giurisdizionale).  PRESUPPOSTI DELL'ARBITRATO: può attuarsi, solo se (disciplina modificata radicalmente nel 2006):  1) la controversia ha per oggetto diritti disponibili (disponibilità del diritto): viene a ricomprendere  tutti i diritti di ordine patrimoniale. L'arbitrabilità, anche se in materia di diritti disponibili, può essere esclusa  in virtù di un espresso divieto di legge; le controversie di lavoro possono essere decise da arbitri solo se  previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro.  2) c’è il consenso di entrambe le parti e previa attribuzione del potere di giudicare agli arbitri  fatta dalle parti attraverso la convenzione di arbitrato, atto con cui le parti conferiscono agli  arbitri la potestas decidendi della controversia, deve essere in ogni caso scritto a pena di nullità.  Le parti possono convenire di ricorrere ad arbitri attraverso tre tipi di negozi:  compromesso (art. 807): contratto con il quale le parti conferiscono agli arbitri il potere di  decidere «controversie tra di loro insorte», cioè controversie attuali;  clausola compromissoria (art. 808): clausola apposta ad un contratto o in un atto separato con  il quale le parti firmatarie attribuiscono agli arbitri il potere di decidere eventuali future  controversie nascenti dal contratto medesimo. Qui la controversia non è già insorta  come nel caso del compromesso e non si sa neppure se insorgerà, ma per l'ipotesi che ciò  avvenga, il potere decisorio è riservato agli arbitri. La clausola compromissoria ha un ambito  più ristretto di quello del compromesso, potendo riguardare solo controversie nascenti dal  contratto cioè controversie di natura «contrattuale», mentre il compromesso può concernere  anche materia extracontrattuale (purché ovviamente di carattere disponibile);  convenzione di arbitrato in materia non contrattuale (art. 808­bis): introdotta dalla riforma  del 2006, le parti possono decidere con la convenzione che siano decise da arbitri le  85  controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati. Ha carattere preventivo (come  la clausola compromissoria), ma non è limitato alla sola materia contrattuale bensì può concernere anche  controversie sorgenti da atti o comportamenti unilaterali (come il compromesso).  È un tertium genus, deve essere specifica, cioè riferirsi ad uno o più rapporti non contrattuali  «determinati» e non meramente generica.  ARBITRATO E FIGURE AFFINI: ARBITRAMENTO E PERIZIA CONTRATTUALE  arbitrato rituale: consente che gli arbitri possano decidere la controversia con un  provvedimento che ha effetti analoghi a quelli della sentenza. Della sentenza il lodo, ha:  ­ sia l'autorità (e cioè l'efficacia di cui all'art. 2909 c.c.);  ­ sia l'esecutività (che può conseguire solo all'exequatur giudiziale, la parte che intende  portare ad esecuzione il lodo dovrà depositarlo nella cancelleria del tribunale dove è la sede  dell’arbitrato);  arbitrato irrituale (o libero): disciplinato per la prima volta nel codice all'art. 808­ter con la  riforma del 2006, simile al primo per ciò che riguarda i presupposti (necessità del compromesso  o della clausola compromissoria, possibilità di impiego per i soli diritti disponibili, ecc.), ma  diverso per gli effetti. Non può definirsi un sostitutivo della giurisdizione civile, avendo il suo  lodo solo efficacia negoziale (le parti possono stabilire che gli arbitri possano decidere la  controversia «mediante determinazione contrattuale»). L'efficacia del lodo non è dunque quella  della sentenza, ma è un'efficacia meramente «contrattuale» («lodo contrattuale»). Il tipo di  negozio che gli arbitri possono porre in essere per eseguire l’incarico può essere, a seconda dei  casi, una transazione, una rinuncia, ecc. Ad esso, non solo non compete l'efficacia di cui all'art. 2909 c.c.,  ma neppure l'efficacia esecutiva prevista dall'art. 825. Se la controparte non lo ottempera, la parte  vincitrice non può ricorrere all'esecuzione forzata (come per il rituale), si trova nella stessa posizione di  colui che intende ottenere l'esecuzione di un contratto di diritto privato inadempiuto, per cui, deve iniziare  un giudizio di cognizione rivolgendosi al giudice ordinario competente per materia, valore e territorio, per  ottenere una sentenza di condanna all'adempimento del lodo rimasto inattuato.  Il tenore contrattuale del lodo fa poi si che anche l'eventuale sua impugnazione non sia regolata  dalle disposizioni sulle impugnazioni del lodo rituale, ma va proposta anch'essa di fronte al giudice  di primo grado competente secondo le ordinarie regole di competenza per materia, valore e  territorio, per i cinque motivi di doglianza di cui all'art. 808­ter, 2° co., ai quali debbono però  intendersi aggiunti, anche i motivi di impugnazione contrattuale per vizi del consenso (errore,  violenza e dolo). Anche il compromesso in arbitrato irrituale, esclude la possibilità di adire l'autorità  giudiziaria ordinaria, anche se l’exceptio compromissi si configura qui non come un'eccezione di  incompetenza, ma come un'eccezione di merito.  arbitraggio (o arbitramento) istituto esclusivamente civilistico, art. 1349 c.c. situato nella parte  del codice civile dedicata al contratto: le parti di un negozio possono deferire ad un terzo  (arbitratore) la «determinazione della prestazione» che ne costituisce l'oggetto. L'arbitratore è  chiamato dalle parti ad integrare un contratto, determinandone un elemento mancante (ad es.  prezzo). La differenza con l'arbitrato risiede nel fatto che mentre questo (tanto se rituale, che  irrituale) serve a dirimere una controversia giuridica (lesione di un diritto soggettivo), l'arbitramento risolve  solo una controversia di ordine economico. Non vi è qui alcuna lesione di diritti soggettivi da riparare, ma  solo da integrare la deficitaria volontà delle parti. Non si applicano i principi generali dell’arbitrato.  ­ determinazione con equo apprezzamento: se la determinazione della prestazione dedotta in  contratto è deferita ad un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio,  il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o  questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice.  ­ determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la  sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo,  il contratto è nullo.  Esso non si pone in alcun rapporto di esclusione con la giustizia ordinaria, che anzi in certi casi  86  può intervenire per sostituire la determinazione del terzo mancante o viziata.  perizia contrattuale (o arbitrale): allorché le parti attribuiscono ad uno o più terzi il potere di  effettuare una valutazione tecnica in merito ad un contrasto fra esse incorso (es. clausola inserita  nelle assicurazioni sugli infortuni, che prevede che allorché insorga fra l'assicurato e  l'assicuratore una controversia sull'entità del danno, tale determinazione è rimessa ad un medico).  Normalmente questo istituto è apparentato all'arbitramento, le cui regole secondo la  giurisprudenza dovrebbero applicarsi anche per ciò che riguarda le relative impugnative. Ma vi è  qualche autore che ritiene che esso configuri un vero e proprio arbitrato rituale, sia pure con  effetto limitato alla sola determinazione del quantum, pertanto è alla disciplina dell’arbitrato che  bisognerebbe rifarsi, sia per il procedimento, sia per ciò che concerne l’impugnazione del  provvedimento dei periti. A differenza dall'arbitramento, nella perizia contrattuale il terzo risolve una  controversia giuridica insorta tra le parti, sia pure con riferimento al solo quantum debeatur. La  proposizione dell'azione giudiziaria, sarebbe in proposito da considerarsi inammissibile, potendo questa  essere limitata al solo accertamento dell'an (non a quello del quantum, giacché su questo punto  l'incarico peritale la preclude).  INTERPRETAZIONE ED EFFETTI DELLA CONVENZIONE ARBITRALE: nel dubbio, la convenzione  arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto a cui essa si  riferisce (così se ad esempio se nella convenzione arbitrale è detto che spetterà agli arbitri decidere tutte le  controversie circa la nullità, si intenderà che vadano ricomprese anche quelle afferenti all’annullabilità) .  Dopo la riforma del 2006, l'art. 808­ter dispone che la scelta dell'arbitrato irrituale va fatta con  disposizione «espressa» per iscritto, pertanto ove vi siano dubbi o anche se le parti hanno fatto riferimento  all'arbitrato senza ulteriori specificazioni, la normativa da applicare sarà sempre quella dell'arbitrato rituale.  Gli effetti della convenzione arbitrale rimangono in piedi fino alla pronunzia del lodo e cadono con esso  (naturalmente per ciò che riguarda la controversia decisa). Se l'annullamento del lodo avviene tout court,  senza che la corte d'appello possa giudicare la controversia nel merito, se si vuole pervenire alla decisione  nel merito, bisogna iniziare ex novo il procedimento di fronte agli arbitri. La conclusione del procedimento  arbitrale senza pronuncia sul merito non toglie efficacia alla convenzione d'arbitrato, essa dunque in questi  casi sopravvive alla pronunzia del lodo, consentendo la riproposizione della domanda arbitrale sulla  medesima controversia.  ARBITRI (art. 809­815): il numero degli arbitri può variare, purché in numero dispari. Se vengono  nominati arbitri in numero pari, un arbitro ulteriore è nominato dal presidente del tribunale e se non  ne è indicato il numero, essi, in mancanza di accordo delle parti, sono tre. La situazione che emerge dalla  convenzione di arbitrato può essere triplice:  1) che gli arbitri siano già stati nominati nella stessa convenzione: l'attore deve notificare la  domanda arbitrale al convenuto, avvertendo contestualmente gli arbitri che il processo è iniziato,  affinché fissino la loro prima udienza;  2) che nella convenzione ne sia stato determinato solo il numero e la nomina sia stata rimessa  alle parti: le parti devono provvedere alla nomina ex. art. 810. La parte che prende l'iniziativa  dovrà notificare l'atto di nomina del proprio arbitro alla controparte, la quale dovrà a sua volta  provvedere alla nomina del proprio con atto notificato entro 20 giorni. Nell'ipotesi che il  convenuto non ottemperi, l'attore può richiedere la nomina dell'arbitro di controparte al  presidente del tribunale del luogo della sede dell'arbitrato, il quale non può rifiutarsi. Va a questo punto  nominato il terzo arbitro, la cui nomina viene spesso rimessa all'autorità giudiziaria o ad un organo diverso  (ad es. presidente della camera di commercio); nel caso in cui la nomina del terzo arbitro sia rimessa alla  volontà delle parti e costoro non si accordino in proposito, provvede anche qui il presidente del tribunale.  3) che la nomina di tutti gli arbitri sia stata rimessa ad un terzo: se costui non provvede si  applica anche qui l'art. 810, che permette di ricorrere all'autorità giudiziaria.  Nota: Non può essere arbitro chi è privo in tutto o in parte della capacità legale di agire (es. interdetti,  minori). La nomina dell'arbitro non lo investe automaticamente del potere di decidere, perché ciò  presuppone la sua accettazione, che deve essere sempre fatta «per iscritto» e può risultare dalla  87  sono ammissibili solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri. Sono sempre  ammessi l’intervento ad adiuvandum e l’intervento del litisconsorte necessario.  d) incidenti nel processo arbitrale:  ­ morte, estinzione, se persona giuridica, o perdita di capacità della parte: se una parte viene meno  per morte o altra causa, ovvero perde la capacità legale, si continua il processo con l'adozione da parte  degli arbitri delle misure idonee a garantire l'applicazione del contraddittorio ai fini della  prosecuzione del giudizio. Se ciò richiede tempo, gli arbitri possono sospendere il procedimento. Se  nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio, gli arbitri  possono rinunciare all’incarico. Ciò dimostra non solo l'esclusione nell'arbitrato del meccanismo  dell'interruzione, ma anche di quello della successione universale nel processo. Il successore a titolo  particolare potrà intervenire anche senza il consenso della parte o degli arbitri, e l'alienante può esserne  estromesso con il consenso delle parti, che possono non volere che il processo prosegua solo  nei confronti del successore, come nel caso in cui questo non dia garanzia di solvibilità.  ­ anticipazione delle spese: gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento  al versamento anticipato delle spese prevedibili, es. di segreteria o per consulenze. Salvo diverso accordo  delle parti, gli arbitri determinano la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte (norma di per sè  pericolosa proprio per la difficoltà del calcolo, che potrebbe far incorrere in responsabilità gli arbitri). Se  una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese. Se le parti  non provvedono all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate alla convezione di  arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale. Gli effetti della  convenzione di arbitrato vengono meno per tale controversia, che potrà a questo punto essere decisa solo  dall'autorità giudiziaria. In pratica, avviene che gli arbitri nominati restano automaticamente esonerati  dall'incarico e possono quindi rifiutarsi dal  decidere, senza incorrere nella responsabilità. Non si tratta di una rinunzia ma di una cessazione automatica  della loro potestas decidendi, della quale gli arbitri si limiteranno a dare atto a verbale.  ­ concessione dei provvedimenti cautelari: possibilità di richiedere provvedimenti cautelari si  ha anche nel caso di arbitrato irrituale. Gli arbitri però non possono pronunciare  provvedimenti cautelari e, di conseguenza, la domanda andrà proposta al giudice che sarebbe  stato competente a conoscere del merito. Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri  provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge (ad es. come avviene per la sospensione  dell'efficacia delle delibere assembleari, che compete agli arbitri).  ­ questioni pregiudiziali di merito nell'arbitrato: gli arbitri risolvono senza autorità di  giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su  materie non arbitrabili,diritti indisponibili per es., salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato  per legge, e quindi non per volo partis. Quindi se nel corso di un giudizio di merito sorge una questione  pregiudiziale spettante alla competenza degli arbitri, non si effettua la sospensione del processo per rinviare  la decisione della pregiudiziale in sede arbitrale, ma questa viene direttamente decisa incidenter tantum  dal giudice ordinario.  ­ sospensione:  necessaria: l’arbitro deve sospendere il processo arbitrale quando:  1) vi è controversia innanzi ad un giudice penale;  2) sorge una questione pregiudiziale che non può essere decisa da arbitri perché deve essere  decisa per legge con efficacia di giudicato;  3) nel corso del giudizio arbitrale insorga una questione di legittimità costituzionale a cui  segua la remissione alla Corte costituzionale.  Una volta cessata la causa di sospensione, il processo arbitrale si estingue se la parte non  deposita istanza di prosecuzione nel termine fissato dagli arbitri o in mancanza entro un anno  dalla cessazione della causa di sospensione.  facoltativa: l’arbitro può sospendere il processo arbitrale:  1) per morte, estinzione o perdita della capacità della parte; in tal caso la sospensione è  90  facoltativa perché gli arbitri possono prendere misure idonee a garantire comunque il  contraddittorio;  2) quando è invocata l’autorità di una sentenza nel giudizio arbitrale e questa è impugnata.  ISTRUZIONE PROBATORIA: l’istruttoria o singoli atti di istruzione può essere svolta da tutti gli  arbitri, ovvero da uno solo su delega degli altri. Gli arbitri:  ­ non possono derogare al principio dispositivo, il potere concesso agli arbitri di regolare lo  svolgimento del giudizio riguarda solo il modus procedendi, cioè l’iter processuale dell'arbitrato,  non può arrivare ad incidere sulle norme sulle prove che non sono vere e proprie norme di  procedura e che stanno su un piano diverso dei vari atti di impulso.  ­ sono astretti dalle regole di valutazione della prova: non si può ritenere che il potere degli arbitri di  regolare l'assetto processuale dell'arbitrato possa spingersi a modificare le regole sulla valutazione delle  prove; la normativa generale stabilita in materia del codice, è direttamente applicabile anche all'arbitrato,  mancando anche qui controindicazioni in proposito.  ­ il potere delle parti di incidere sulla struttura del procedimento è sicuramente più ampio di quello  riservato agli arbitri, consistendo nella possibilità di emanare vere e proprie «norme», mentre agli  arbitri spetta solo la possibilità di «regolare lo svolgimento» del giudizio. Tali norme potrebbero  arrivare ad incidere anche sulla disciplina delle prove (il che non possono fare gli arbitri), che  tendenzialmente potrebbe essere modificata dalle parti, salvo che non si tratti di norme che  rispondano ad inderogabili principi di legge o che risultino inapplicabili all'arbitrato. Ex. dare all’arbitrato un  assetto inquisitorio.  Gli arbitri possono:  ­ assumere testimonianze e chiedere al presidente del tribunale di ordinare al testimone che si  rifiuti di comparire di presentarsi davanti a loro (non sono previste sanzioni in caso di inottemperanza)  ­ chiedere informazioni alla pubblica amministrazione in merito ai documenti  dell’amministrazione stessa (analogamente a quello che può fare il giudice ordinario).  ­ disporre un ispezione o chiedere l’esibizione nei confronti delle parti e dei terzi e possono valutare il rifiuto  delle parti come argomento di prova;  ­ interrogare liberalmente o formalmente;  ­ nominare consulenti tecnici (qualora in una causa attinente un incidente aereo il collegio fosse costituito da  3 ingegneri aeronautici, essi non potrebbero decidere basandosi su propria scienza privata: sarebbe  violazione del contradditorio > ci vogliono i consulenti delle parti);  ­ giuramento è inammissibile (tanto nella forma del decisorio che del suppletorio) a causa della  sua intrinseca connessione con la sanzione penale inapplicabile nell'arbitrato;  ­ non possono pronunciare sulla querela di falso, data la necessaria presenza del pubblico  ministero nel giudizio; in tale caso gli arbitri dovranno sospendere il giudizio e la querela dovrà  essere proposta di fronte all'autorità giudiziaria. Situazione analoga sembrerebbe doversi adottare  anche per la verificazione della scrittura privata, anche se potrebbe essere trattata anche dagli  arbitri.  Fermo restando l'obbligo della decisione collegiale per l'ammissione delle prove, la loro assunzione  può esser delegata (in tutto o in parte) anche ad uno solo degli arbitri.  RAPPORTI FRA GIUDIZIO ARBITRALE E GIUDIZIO ORDINARIO:  a) rapporti di competenza: il difetto di potere degli arbitri, ancorché qualificato come «eccezione  d'incompetenza», si risolve in realtà in una mancanza di potestas iudicandi dei primi, che può  avere luogo anche al di fuori dei rapporti con l'autorità giudiziaria, come nel caso in cui il difetto  dei poteri non riguardi i limiti della convenzione di arbitrato, ma altre cause. La mancanza della potestas  iudicandi può avere luogo in quattro casi:  1) invalidità (inesistenza o nullità) o inefficacia della convenzione di arbitrato: si sana se non  eccepito nella prima difesa successiva all'accettazione degli arbitri;  2) contenuto o ampiezza della stessa: è sempre rilevabile d'ufficio;  3) arbitrato su materie non compromettibili («controversia non arbitrabile»): è sempre rilevabile  91  d'ufficio  4) irregolare costituzione degli arbitri: è soggetto all'eccezione di parte, rilevabile durante tutto il  corso del giudizio se concerne la nomina degli arbitri;  Se l'eccezione viene sollevata o il vizio viene rilevato d'ufficio ove ciò è possibile, gli arbitri  decideranno la questione con un lodo, che sarà definitivo e chiuderà il processo in rito ove essi  riconoscano l'effettiva mancanza della loro potestas iudicandi, mentre sarà parziale in caso  contrario. Resta sempre salva l'impugnazione per nullità in entrambe le ipotesi.  Il difetto di potestas iudicandi degli arbitri, è questione che spetta all'esclusiva valutazione di  questi ultimi, gli arbitri sono gli unici a giudicare dei loro poteri.  Si tenga presente che il difetto di potestas iudicandi degli arbitri è questione che spetta all’esclusiva  valutazione di quest’ultimi: non è possibile adire l’autorità giudiziaria per dichiarare ciò e far proseguire la  controversia innanzi ad essa.  La proposizione di fronte al giudice ordinario di una controversia compromessa in arbitri,  determina una vera e propria incompetenza del primo, da rilevare nella comparsa di risposta. La  mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale (cioè determina la  competenza del giudice ordinario) limitatamente alla controversia dedotta in giudizio: cioè la  preclusione alla competenza degli arbitri, opera solo per il giudizio di fronte al giudice ordinario  attualmente in corso. La decisione del giudice, confermativa o negativa della propria competenza, può  essere impugnata con il regolamento di competenza. Effetti della declaratoria di incompenteza del giudice a  favore dell'arbitro e viceversa: non v'è translatio iudicii, in entrambi i casi il processo non continua di  fronte all'arbitro o al giudice, ma riprende ex novo.  A seguito della pronuncia di incompetenza del giudice, l'arbitro potrebbe essere vincolato solo se  tale pronuncia fosse emessa dalla Cassazione, data l'efficacia panprocessuale delle decisioni  della Suprema Corte, ma non se essa è emessa dal giudice di merito. In quest'ultimo caso qualora  l'arbitro di fronte al quale il giudizio è successivamente instaurato declini anch'esso la propria  competenza, non resterà che impugnare il lodo onde giungere anche qui ad una sentenza della  Cassazione che stabilisca a chi spetta la competenza ­ se al giudice o all'arbitro ­ il quale resterà  vincolato. Un ragionamento analogo si avrà nel caso inverso, qualora cioè l'arbitro declini la  propria potestas iudicandi a favore del giudice e quest'ultimo declini a sua volta. Qui dovrà  proporsi il regolamento di competenza contro la decisione del giudice, onde ottenere anche in  questo caso una statuizione vincolante della Cassazione.  b) litispendenza: fra il giudizio ordinario ed il giudizio arbitrale non esistono rapporti di  litispendenza per cui se una stessa controversia viene proposta di fronte al giudice e all'arbitro, i due  processi proseguono indisturbati fino alla pronuncia finale.  c) connessione: nei rapporti fra procedimento arbitrale e procedimento ordinario, non valgono le  regole sulla connessione. Se vi è connessione tra giudizio arbitrale e giudizio davanti al giudice, la  competenza a decidere rimane in capo agli arbitri.  LODO  lodo è definitivo quando chiude integralmente il giudizio arbitrale; è possibile la pronuncia di un lodo  non definitivo in due casi  ­ lodo che decide parzialmente il merito della controversia; è immediatamente impugnabile.  Lodo parziale, è un lodo che non si ha su «questioni», ma su «domande»: e cioè nel caso in  cui il giudizio arbitrale presenti più domande cumulate, alcune sole delle quali vengono decise  (è il caso previsto per le sentenze dal n. 5 dell'art. 279).  ­ lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale; è impugnabile solo  unitamente al lodo definitivo. Ricorre questa ipotesi quando nel corso del processo arbitrale insorge una  «questione» (di rito o di merito) che se accolta, potrebbe definire il giudizio. La decisione avverrà sempre  con lodo che sarà definitivo se la questione è accolta (analogamente a quanto avviene per la sentenza nei  casi 1 e 2 dell'art. 279), mentre sarà non definitivo se essa è respinta (analogamente al caso di cui al n. 4  dell'art. 279).  92  passata in giudicato tra le parti, purché tale lodo o tale sentenza siano stati prodotti nel  procedimento;  9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio;  10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito  della controversia doveva essere deciso dagli arbitri;  11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie;  12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in  conformità alla convenzione di arbitrato.  L'impugnazione per i motivi di cui sopra non è ammissibile se la parte ha dato causa al  motivo di nullità o vi ha rinunziato o non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva  la violazione di una regola del procedimento.  ­ impugnazione per motivi di diritti (errores in iudicando): l’impugnazione per violazione  delle regole di diritto relative al merito della controversia, è ammessa solo se è espressamente  disposta dalle parti o dalla legge. Quindi non solo le parti possono preventivamente  rinunziarvi, ma per poterla utilizzare, debbono prevederla espressamente. A meno che essa  non sia espressamente disposta dalla legge. Casi di una previsione espressa ex lege dell'impugnazione per  nullità per violazione delle regole di diritto:  1) allorché la decisione arbitrale è contraria all'ordine pubblico;  2) nelle controversie relative a rapporti di lavoro ex. art. 409, nelle quali l'impugnabilità può  aversi anche per violazione di contratti e accordi collettivi;  3) allorché la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione  pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato;  4) quando l'oggetto del giudizio è costituito dall' impugnazione delle delibere assembleari.  Decisione sull’impugnazione per nullità: la corte d’appello decide sull’impugnazione per  nullità e, se l’accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide su una parte del  lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo.  Mentre in precedenza la corte, disposta la nullità del lodo pronunziava sempre anche sul merito  salva la «volontà contraria di tutte le parti», oggi dopo la riforma del 2006 vi sono dei casi in cui  la decisione sul merito è espressamente esclusa e sono quelli dei nn. 1 ,2 , 3, 4 e 10 dell'art. 829.  Negli altri casi, la decisione sul merito si ha sempre, salvo che le parti non abbiano stabilito  diversamente (nella convenzione di arbitrato o con atto successivo).  Nei casi in cui la corte si limita ad annullare il lodo senza decidere sul merito, quest'ultimo potrà  essere deciso solo in sede arbitrale attraverso la riproposizione della domanda. La corte d'appello  dovrà decidere il merito esclusivamente sulla base del materiale acquisito nel corso del  procedimento arbitrale, senza la possibilità di potere assumere nuove prove.  Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell’impugnazione per nullità, la corte  d’appello può sospendere con ordinanza l’efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi  (principio diametralmente opposto a quello espresso dall'art. 283 per la sospensione  dell'esecutività della sentenza, che deve essere richiesta insieme all'impugnazione principale o  incidentale).  b) REVOCAZIONE OPPOSIZIONE DI TERZO:  ­ revocazione: il lodo può essere impugnato, nonostante qualsiasi rinuncia (sia preventiva che  successiva), per i soli casi di revocazione straordinaria (nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395).  Se le ipotesi di revocazione si verificano durante il corso del processo di impugnazione per  nullità il termine per la proposizione della revocazione (30 giorni dalla conoscenza del vizio)  è sospeso sino alla comunicazione della sentenza che abbia deciso sulla nullità.  ­ opposizione di terzo: si può proporre in tutti i casi indicati nell’art 404.  Caratteristiche comuni alle due impugnazioni sopra indicate, sono le seguenti.  1) entrambe le impugnazioni si propongono (come del resto l'impugnazione per nullità) di fronte  alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato;  95  2) il procedimento delle stesse si svolge secondo i termini e le forme stabilite nel libro secondo  del codice. I termini sono 30 giorni, mentre il giudizio si svolgerà secondo le regole dell'appello, in quanto  non derogate dalle norme specifiche previste per i giudizi di revocazione e opposizione di terzo;  3) la corte d'appello può riunire le impugnazioni per nullità, revocazione e opposizione di terzo  nello stesso processo se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente  trattazione e decisione delle altre cause.  ARBITRATO AMMINISTRATO (art. 832): quando le parti nella convenzione di arbitrato rinviano per  le regole del procedimento arbitrale, anziché alla libera determinazione degli arbitri, a regolamenti  precostituiti da specifici enti (normalmente le camere di commercio). L'arbitrato amministrato che  funziona sulla base di un regolamento precostituito, si contrappone all'arbitrato ad hoc, che è quello  basato sulla libera volontà delle parti e degli arbitri, previsto dall'art. 806. Il vantaggio dell'arbitrato  amministrato è quello di potere usufruire della struttura dell'ente al cui regolamento le parti dichiarano di  aderire nonchè di rifarsi ad una procedura esattamente definita e studiata a priori. Normalmente, ove le  parti decidano di avvalersi dell'arbitrato amministrato, la convenzione arbitrale rinvia integralmente al  regolamento, per cui l'arbitrato si svolgerà secondo le regole che quest'ultimo prevede. Ma può avvenire  che la convenzione di arbitrato, pur rinviando ad un dato  regolamento, disponga anche specifiche disposizioni incompatibili con lo stesso 8ad es. le parti decidono  di rinviare al regolamento della camera arbitrale di Milano, ma convengono che il compenso degli arbitri  venga pagato secondo i paremetri del tariffario professionale anzichè secondo quelli della camera arbitrale):  nel caso di contrasto tra quanto stabilito nella convenzione di arbitrato e quanto previsto dal regolamento,  prevale la convezione di arbitrato, ne consegue che dovrà applicarsi il regolamento con le modifiche  apportate dalla convenzione; Regolamento arbitrale può derogare alle disposizioni del codice (es. termine  diverso per il deposito del lo), vi sono solo dei limiti a tali possibilità di deroghe:  a) il regolamento può solo aggiungere ulteriori casi di sostituzione o di ricusazione, ma non può  eliminare o modificare i casi esistenti nel codice.  b) inibita ogni disposizione del regolamento che possa costituire violazione dei principi dell'ordine  pubblico processuale o del giusto processo.  Inoltre si fa divieto alle istituzioni a carattere associativo e a quelle dirette alla rappresentanza di interessi  professionali , es. associazioni industriali, commercianti ecc, di poter nominare arbitri nelle controversie in  cui sia coinvolto un associato/aderente. Norma a presidio dell’imparzialità arbitrale, estendibile all’arbitrato  in genere.  ARBITRATO INTERNAZIONALE: riforma del 2006 ha soppresso la figura dell’arbitrato  internazionale, che altro non era se non un arbitrato interno caratterizzato dal fatto che alla data di  sottoscrizione della convenzione di arbitrato, una delle parti avesse la propria residenza o la propria  sede effettiva all'estero, oppure dovesse essere eseguita all'estero una parte rilevante delle  prestazioni inerenti al rapporto controverso.  L’arbitrato dal punto di vista processuale è solo nazionale o estero, pur potendo in entrambi i casi  riempirsi di contenuti che possono trascendere il paese a cui si riferisce (es. la lingua)  ARBITRATO ESTERO: reso all’estero secondo le leggi del luogo. Ciò che conta per potere  qualificare un arbitrato come nazionale è che esso sia regolato per volere delle parti dalla legge  processuale nazionale, cioè dagli artt. 806 ss. L'applicazione della legge processuale nazionale deve  avvenire in toto e così per la nomina degli arbitri, lo svolgimento della procedura, il deposito del  lodo, le impugnazioni, ecc. Ne consegue che non sembra esservi alcuna possibilità di un arbitrato  nazionale in cui la sede non è nello Stato. La sede all'estero, determina il carattere non nazionale  dell'arbitrato. In sostanza la sede dell'arbitrato, non è il luogo di svolgimento dell'arbitrato ma un requisito  formale che serve a determinare il collegamento fra gli arbitri e l'autorità giudiziaria, ogni qualvolta la legge  tale collegamento richiede.  L'efficacia o l'esecuzione nello Stato di un lodo estero, è subordinata a un procedimento di riconoscimento,  cioè di controllo di certi requisiti (preventivo controllo richiesto dalla parte interessata al fine di ottenere la  dichiarazione di efficacia o di esecutività del provvedimento nello Stato, al  96  presidente della corte d'appello nella cui circoscrizione risiede l'altra parte). Tale controllo è limitato  all'accertamento dell'esistenza di tre condizioni:  a) che sia accertata la «regolarità formale» del lodo  b) che la controversia poteva formare oggetto di convenzione di arbitrato secondo la legge italiana;  c) che il lodo non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico.  L'accertamento di tali tre soli requisiti è ritenuto sufficiente per ritenere il lodo straniero efficace o  esecutivo nello Stato. Tutti gli altri possibili impedimenti che esso possa eventualmente presentare  vengono ritenuti insussistenti, a meno che la parte interessata non li deduca in sede di opposizione.  Opposizione Contro il decreto che accorda o nega l’efficacia del lodo straniero è ammessa opposizione  da proporsi con citazione dinanzi alla corte d’appello entro 30 giorni dalla comunicazione, nel caso di  decreto che nega l’efficacia nello Stato al lodo straniero o dalla  notificazione del decreto che l'abbia accordata. Il giudizio si svolge nelle forme dell'opposizione a  decreto ingiuntivo e termina con una sentenza impugnabile per cassazione.  Contestazioni che possono essere mosse contro il decreto di riconoscimento e di esecuzione del  lodo straniero possono essere di due tipi:  A) i punti a) e b) di cui sopra: la parte chiederà un riesame delle valutazioni, ritenute erronee, fatte dal  presidente in sede di emanazione di decreto quando approvò la compatibilità del lodo alla lex italiana.  B) nuove doglianze tassativamente indicate:   1) Incapacità delle parti firmatarie della convenzione secondo la legge straniera o altro tipo di invalidità  della convenzione secondo detta legge.  2) la parte nei cui confronti il lodo è invocato non è stata informata della designazione dell’arbitro o  del procedimento arbitrale o comunque è stata nell’impossibilità di far valere la propria difesa  nel procedimento stesso;  3) il lodo ha pronunciato su una materia non contemplata nella convenzione di arbitrato, oppure  fuori dai limiti della stessa; tuttavia, se le statuizioni del lodo che concernono questioni  sottoposte ad arbitrato possono essere separate da quelle che riguardano questioni non sottoposte  ad arbitrato, le prime possono essere riconosciute e dichiarate esecutive.  4) la costituzione del collegio arbitrale o il procedimento arbitrale non sono stati conformi  all’accordo delle parti o, in mancanza di tale accordo, alla legge del luogo di svolgimento  dell’arbitrato;  5) il lodo non è ancora divenuto vincolante per le parti o è stato annullato o sospeso dall’autorità  competente dello Stato nel quale è stato reso (nell'ipotesi che il  giudizio di annullamento o di sospensione siano in corso di fronte all'autorità estera, la corte  d'appello può sospendere il procedimento per il riconoscimento o l'esecuzione del lodo).  ARBITRATO IRRITUALE ­ art. 808­ter ­ introdotto dalla riforma del 2006. Le parti possono, con  disposizione espressa per iscritto, stabilire che, la controversia sia definita dagli arbitri mediante  determinazione contrattuale. In tale tipo di arbitrato la determinazione degli arbitri ha valore solo  contrattuale. Il lodo irrituale:  ­ non è suscettibile di divenire esecutivo: il lodo irrituale avrà fra le parti il semplice valore del  contratto, se la parte soccombente non lo rispetta, il vincitore non potrà avvalersi dell'esecuzione  forzata, non potendo fare altro che instaurare un normale processo di cognizione onde fare  accertare l'inadempimento del lodo (come se si trattasse dell'inadempimento di un contratto) ed  ottenere una sentenza di condanna della controparte.  ­ non avrà alcun effetto di sentenza, e quand'anche divenga definitivo, sarà sempre privo  dell'efficacia di cosa giudicata di cui all'art. 2909 c.c.: il vincolo che deriva dal lodo irrituale  opererà tra le parti alla stregua di quanto dispone l'art. 1372 c.c. per il contratto, ma non potrà  mai aspirare ad avere alcun effetto diretto o riflesso nei confronti dei terzi, perché ciò è tipico  solo del giudicato. Così ad es. per tornare al caso già enunciato in precedenza della nullità,  risoluzione, ecc. del contratto di locazione, ove il provvedimento venga preso con il lodo  irrituale, non potrà aversi l'efficacia riflessa nei confronti del subconduttore, che invece  97 
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