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Dispensa Islamistica completa, Dispense di Islamistica

Dispensa completa basata sugli appunti presi a lezione + integrazione con il Firolamo (Islam) a.a. 2020/2021

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 29/10/2021

rosita.aratore
rosita.aratore 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dispensa Islamistica completa e più Dispense in PDF di Islamistica solo su Docsity! DISPENSA CORSO : INTRODUZIONE ALL’ISLAM eMul - Islam: masdar di 4*forma del verbo ‘aslama, (altl), radice è J y». È abitudine tradurre “Islam” come “sottomissione”, una sottomissione a Dio da parte del muslim. Come spesso accade, però, nelle traduzioni si perde o si altera il significato originario. Innanzitutto, questo termine deriverebbe da un versetto coranico, il v. 112 della sùra II, che recita “all 48353 ali”; il verbo ‘aslama ha come primo significato della sua radice “consegnare qualcosa a qualcuno”, dunque questa frase si tradurrebbe come “colui che consegna il viso a Dio”. Questa consegna del volto viene interpretata come “consegnarsi”, ma potremmo anche interpretarla come “abbandonarsi”, quindi “farsi guidare” in maniera fiduciosa, poiché chi guida è Dio. Il riferimento al volto, secondo alcuni esegeti ed interpreti, veicola l’idea che il volto racchiuda gli organi preposti a testimoniare l’esistenza di Dio: gli occhi osservano i suoi segni, le orecchie ascoltano la sua parola, la bocca professa la fede. Dunque l’idea è quella di abbandonarsi fiduciosamente a Dio. Quando traduciamo con “sottomissione” veicoliamo un aspetto quasi di passività da parte del credente, anche quasi di forzatura, quando in realtà l’atto di fede è un atto libero. Viene operata una differenza tra essere musulmano (muslim) ed avere fede (mu’min). In questo contesto, l’Islam si configurò agli inizi come un atto di vassallaggio politico: nel disegno politico portato avanti dal profeta vennero stipulati una serie di alleanze e patti. All’inizio, alcune tribù scelsero di stringere alleanze col profeta, ma quando poi egli morì non si sentirono più vincolate da un patto, dal loro punto di vista, semplicemente politico. Dunque, in un primo momento, abbracciare l’Islam si configurò come un puro atto di vassallaggio politico. Questo vuol dire che essere muslim (joJuso) non comportava automaticamente l'avere fede, cioè essere mu’min (4-08). [mu'min > participio presente del verbo amana (4) di 4a forma. Il masdar di questo verbo è ‘iman (vLlas]), “fede”. Se “Islam” implica l’abbandonarsi fiduciosamente a Dio, ‘iman comporta, nel profondo nel cuore, sede della fede, l’aderire alle verità della sua parola. Come detto, è un atto libero, senza costrizione. Esso deve essere integrato dalla purezza di fede (‘ikhlas, che sarà anche il titolo della sura CXII, “La sura del culto sincero”). Ovviamente l’iman comporta anche obbedire ed abbandonarsi a Dio: chi è mu’min non può non essere muslim, perché avere fede implica avere purezza, abbandonarsi a Dio, averne fiducia e lasciarsi guidare da lui. 1. Situazione storico-geografica dell'Arabia pre-islamica 3 L'Islam nasce nella penisola araba che attualmente è occupata dall'attuale regno di Arabia Saudita nel 622 (VII secolo dell'era cristiana). L'epoca pre-islamica (jahiliyya), che letteralmente vuol dire ignoranza, (di natura religiosa o spirituale, poiché gli arabi pre-islamici ignoravano il monoteismo). Il profeta Muhammad è invitato da Dio per il tramite dell'angelo Gabriele a convertire al monoteismo gli arabi, i quali erano pagani e che quindi ignoravano il monoteismo. Gli arabi, musulmani fanno l'esordio nella storia nel VII secolo d.C., anno 622, in concomitanza con l'evento Islamico. Situazione generale Nell’epoca di Muhammad c’era una netta distinzione tra l'Arabia meridionale e il resto della penisola. L'Arabia meridionale era molto popolata e c’era uno sviluppo relativamente elevato. Il resto della penisola era molto diverso. Qui, la vita dell'uomo era incessantemente dura; una vita di pure sussistenza. La bilancia del potere nelle aree desertiche dell'Arabia pendeva dalla parte dei cammellieri i cui animali potevano offrire sostentamento a più persone. I porti marittimi dell'Arabia erano collegati attraverso il commercio con il Mediterraneo, l'Africa e l'Oceano Indiano. I Banu Quraysh - la tribi dominante di Mecca, cui il Profeta apparteneva - dovevano la propria ricchezza al commercio carovaniero. Gli arabi dell'Arabia settentrionale, centrale e orientale non avevano un governo centralizzato. La società beduina rimaneva all’interno di un’organizzazione tribale. La società dei beduini era egalitaria. Gli uomini delle tribù vivevano in una società militarizzata ed erano soliti portare armi. Il coraggio, la resistenza e l’abilità militare erano molto importanti per loro. La parte meridionale (attuale Yemen) era definita come " jazirat al-Arab ", l'isola degli arabi, e procedendo verso nord abbiamo due grandi imperi: a occidente l’impero bizantino e a oriente l'impero dei persiani sasanidi che si contendevano una zona centrale corrispondente alla Mesopotamia, attuale Iraq, nota come crescente fertile, ed era importante perché aveva una posizione strategica fondamentale per gli scambi commerciali che univano l'Oriente (la Cina in particolare) con l'Occidente, quindi il Mediterraneo. In prossimità della penisola araba abbiamo l'impero bizantino, l'impero dei persiani sasanidi e poi lungo la frontiera settentrionale della penisola araba abbiamo due regni vassalli: Ghassan e Lakhm, ossia popolazioni arabe che nel corso del tempo si erano trasferite dal sud della penisola a nord e che avevano dato vita a questi stati. Quello ghassanide era sotto il controllo di Bisanzio, quello lakhmide era sotto il potere Sasanide e svolgevano una funzione di stati cuscinetto in un certo senso. l'impero bizantino, in quanto erede dell'impero romano dominava nell'epoca precedente all'avvento dell'Islam buona parte dell'Asia minore, tutta la Turchia, la regione siro-palestinese e procedendo verso il sud l'allora Abissinia, dove appunto Bisanzio aveva un protettorato, dunque una zona di controllo abbastanza ampia. Dal punto di vista religioso, la religione dominante era imposta dall'impero ed era la quella cristiana, in particolare per conformarsi alle decisioni del concilio di Calcedonia del 451, dove l'imperatore aveva imposto la dottrina cristiana, ma quella che predicava la duplice natura di Gesù Cristo, ossia quella che viene chiamata con il termine di diofisismo. Per quanto riguarda i due stati vassalli citati precedentemente, ossia Ghassan a Occidente quindi sotto l'influenza di Bisanzio, ed a Oriente quello dei Lakhm, si tratta di regni fondati da popolazioni arabe che si erano spostate dalla parte meridionale della penisola araba e avevano costituito questi regni sotto il controllo mediamente diretto da parte dei sasanidi e da parte dei bizantini, convertendosi dopo un certo periodo di tempo al cristianesimo, di tipo monofisita per quanto riguarda i ghassanidi, (cioè i cristiani che non si conformavano al simbolo Calcedonense nella misura in cui sostenevano che la natura divina aveva totalmente assorbito quella umana), e quindi venivano visti con un certo sospetto da Bisanzio che invece aveva adottato la dottrina citata precedentemente. I lakhmidi invece aderivano alla dottrina cristiana nestoriana: due nature, due persone. A seguito delle prime conquiste ed il primo espansionismo arabo islamico, soprattutto con gli arabi musulmani che si spingeranno verso settentrione, i primi regni che verranno assorbiti saranno proprio questi due, dei quali a dire la verità si unirono subito ai musulmani, vedendo queste popolazioni simili, anche dal punto di visto religioso poiché praticavano e credevano nel monoteismo, dunque ci fu un'adesione quasi spontanea. Questa quindi è la situazione che registriamo fuori dalla penisola araba. La penisola araba, pur trovandosi collocata alla periferie di questi due grandi imperi, cominciò a rappresentare col passar del tempo - verso la fine del VI secolo - per una serie di circostanze legate a questioni climatiche ed economiche, un'importanza maggiore dal punto di vista economico per quanto riguarda i transiti fra Oriente e Occidente. Questa situazione farà della penisola araba un punto strategicamente importante dal punto di vista commerciale, soprattutto quando le rotte commerciali del nord che attraversavano il crescente fertile inizierà a diventare particolarmente pericolosa anche a seguito per una serie di tensioni, dunque si cercò di trovare delle alternative a queste vie meno sicure, e tali furono trovate nella penisola araba la regione più importante della penisola araba è quella dove si trovano le città della Mecca e Medina, prospicente al Mar Rosso, che si chiama Hejaz. il regno dei Ghassanidi e quello dei Lakhmidi erano dei regni costituiti da popolazioni arabe, meridionali che si erano spostati verso la parte più meridionale della penisola che un tempo era considerata come Arabia felix coincidente con l'attuale Yemen, i quali si erano spostati lentamente verso il nord a causa di rivolgimenti di natura economica e climatica (:per esempio le cronache ci parlano di una grave crisi economica a causa della rottura di un'importante diga di questa regione (diga di Marib - pron. Mareb - ) che avrebbe poi spinto gli arabi meridionali ed alcune popolazioni stanziate in questa regione a dirigersi verso il Nord e poi a stanziarsi lungo la zona settentrionale della penisola). Un'altra popolazione importante era il regno dei Nabatei nell’attuale Giordania, che a causa di questi rivolgimenti furono stati costretti ad emigrare e fondare il regno a Petra. Fino al sesto secolo si registra una civiltà particolarmente fiorente nella parte più meridionale della penisola, quindi abbiamo una superiorità sul piano culturale da parte degli arabi meridionali rispetto agli arabi settentrionali, tuttavia col volgere del VI secolo a causa di una serie di elementi la situazione comincia lentamente a modificarsi e quindi la civiltà meridionale viene segnata da un lento declino e a segnare il passo a favore degli arabi settentrionali, la cui linea di sviluppo ed evoluzione è un po' difficile da tracciare a causa del loro stile di vita nomade. Per quanto riguarda la situazione linguistica ci troviamo in presenza di popolazioni che parlavano dialetti arabi appartenenti ad una lingua sovratribale che avrebbe potuto costituire, in un certo senso, una prima matrice normativa della lingua araba che verrà poi definito arabo classico. Dal punto di vista sociale la cellula base era costituita dalla tribù a cui si apparteneva per vincolo di sangue e secondo la discendenza maschile; i diritti e i doveri erano determinati da questo criterio, al * 624: Stila il Patto di Medina e cambia la direzione della preghiera (gibla) da Gerusalemme a Mecca e stabilisce che il nono mese (ramadan) sia dedicato al digiuno. * 624-25: Le battaglie di Badr, la prima importante vittoria musulmana contro i meccani, e di Uhud, dove i musulmani sono sconfitti da parte dei meccani. * 626-27: Battaglia di Fossato, dopo di che Muhammad consolida la sua autorità a Medina. * 628: La tregua di Hudaybiyya. * 629: Conquista l’oasi ebraica di Khaybar. Anche guida il suo esercito a Mecca dopo la rottura della tregua di Hudaybiyya da parte dei meccani, vince e ordina la distruzione di tutti gli idoli pagani che circondano la Ka'ba. * 630-32: Consolida la sua politica di espansione della comunità musulmana in tutta l’Arabia. * 632: Effettua il primo pellegrinaggio islamico (hajj) a Mecca. Lo stesso anno è colpito da una violenta febbre e muore, senza lasciare figli maschi viventi. Nella parte centrale della sua vita iniziò ad andare fuori Mecca a meditare, concentrandosi sulla devozione religiosa per lunghi periodi in una grotta, Hira sl >, chiamata Montagna di Luce (jabal an-nur - yg4Jl Ju>). Lì egli ricevette le sue prime rivelazioni da Dio per tramite dell’arcangelo Gabriele. Muhammad divenne sempre più sicuro di essere stato scelto da Dio come Suo messaggero. Intorno al 613 sentì un forte impulso a iniziare la predicazione in pubblico tra i suoi concittadini meccani. Gradualmente raccolse intorno a sé un piccolo gruppo di discepoli entusiasti che “si sottomisero a Dio”. Il monoteismo minacciava il benessere economico dei meccani che ricavavano grandi profitti dalle cerimonie pagane, dalle fiere e dalle attività connesse al pellegrinaggio che si compiva intorno al santuario della Ka'ba. Così i meccani cominciarono a perseguitare i musulmani. Il 619 risultò un anno di grande sofferenza personale per Muhammad: sia Khadija sia Abu Talib morirono (anno dei Lutti). Muhammad doveva trovare qualche altro luogo in cui poter vivere e diffondere il messaggio dell’islam. Dapprima, nel 620, si recò a Ta'if, dove fu preso in giro e lasciò la città. Quando delle persone, giunte da Yathrib per compiere i riti religiosi a Mecca, ascoltarono il suo messaggio aderendo all’islam, lo invitarono di tornare con loro. Muhammad raggiunse Yathrib il 24 settembre 622 (Yathrib fu subito rinominata Medina, la città del Profeta) e quando fu introdotto il calendario musulmano, quel giorno segnò l’inizio della nuova era islamica, commemorando la hijra da Mecca a Medina. A Medina avrebbe fondato la comunità musulmana, la umma. Gli ebrei di Medina rifiutavano fermamente il messaggio predicato da Muhammad, con gravi conseguenze per se stessi e la conseguente evoluzione dell'islam. I dieci anni successivi a Medina offrirono al Profeta l'opportunità di predicare liberamente, di pregare apertamente e di creare una umma, una comunità islamica teocratica. Già l’ethos della umma aveva un carattere chiaramente islamico: la più alta autorità era sovratribale e apparteneva a Dio e al Suo profeta Muhammad. Mentre Muhammad gettava le fondamenta della umma, le rivelazioni coraniche continuarono. Il messaggio coranico rivela un crescente disincanto nei confronti degli ebrei e una sempre maggiore enfasi sull’unicità e originalità della nuova fede, l'islam. Muhammad riteneva che la sua fosse la vera fede di Ibrahim, il quale attraverso suo figlio Ismail, l'antenato degli Arabi, aveva edificato la Ka'ba a Mecca. Egli cambiò la direzione della preghiera musulmana verso la Ka'ba. Stabilì anche il nono mese interamente dedicato al digiuno. Un jihad è definito dai musulmani come lotta difensiva contro un'aggressione esterna. La prima importante vittoria dei musulmani fu la battaglia di Badr (624). Un anno dopo, i meccani, volendo vendicare la sconfitta di Badr, inviarono a Medina un esercito. Finì nella sconfitta dei musulmani su una collina chiamata Uhud. Si diffuse addirittura la voce che lo stessa Profeta era caduto in battaglia. Fu però solo ferito e riuscì a fuggire. I meccani insieme con gli ebrei di Khaybar allestirono un grande esercito e mossero su Medina (626-27) allo scopo di occuparla. La cosiddetta battaglia del Fossato vide emergere vittorioso Muhammad. Fu un importante punto di svolta nell’espansione della nuova comunità musulmana, perché faceva allontanare i tre gruppi ebraici di Medina e così era più vicina l’organizzazione della umma su una base esclusivamente musulmana. Nel 628 Muhammad decise di tentare di inglobare Mecca nella umma. Riuscì a persuadere i meccani, stringendo con loro delle alleanze piuttosto che intraprendere un ulteriore conflitto armato. Nel 628 annunciò l'intenzione di compiere il pellegrinaggio a Mecca. Nel 628-29 Muhammad conquistò l’oasi ebraica di Khaybar. Fu questa la sua prima conquista al di fuori di Medina. Nel gennaio 630 Muhammad entrò a Mecca in trionfo senza colpo ferire e distrusse tutti gli idoli pagani disseminati intorno alla Ka°ba. Il messaggio era inequivocabilmente chiaro: il politeismo era morto e il monoteismo regnava ora incontrastato. Muhammad visse i suoi ultimi anni a Medina, consolidando la sua politica volta ad assicurare il controllo delle rotte settentrionali. Nel 632 il Profeta compi il suo primo pellegrinaggio islamico (hajj), in seguito conosciuto come il Pellegrinaggio dell'Addio. Morì l’8 giugno 632 e fu seppellito a Medina con una semplice cerimonia. Non lasciò figli maschi viventi. Le fonti che ci consentono di conoscere i dettagli della vita del profeta sono due biografie antiche (sira): 1)SIRA NABAWIYYA - duguill sull, la vita profetica. La prima biografia viene redatta da IBN ISHAQ, che muore alla fine del VIII secolo, nel 2° secolo dell’egira. Il successivo biografo è Ibn Hisham che muore nel 835. 2)Mohammad oltre ad essere il profeta dell'Islam è stato anche un capo militare e ci sono dei testi che ci tramandano le sue spedizioni militari: il KITAB AL-MARASI, cioè il libro delle campagne militari, Abu al-Razi che è lo scrittore che muore nel 822. Queste opere si collocano nel IX secolo d.C. Un'altra testimonianza importante per la ricostruzione della vita del profeta sono i RACCONTI, che tramandano gli episodi della vita del profeta, i suoi silenzi, ciò che ha detto e non ha detto. Diventano la seconda fonte teologia e giuridica, dopo il corano. Col passare del tempo, si tentò di organizzare tutta la documentazione che girava all’interno della umma in maniera da poter interpretare continuativamente ogni singolo versetto del testo, avvalendosi di detti del Profeta, di resoconti storici, di citazioni poetiche, di annotazioni grammaticali. Nasceva così, il cosiddetto commento basato su ciò che è riportato, TAFSIIR - _yamug@;, che a lungo rimase l’unica forma esegetica ammessa da molti musulmani. Alla morte del Profeta, la neonata comunità musulmana visse un sentimento di profondo smarrimento e, inoltre, si trovò ad affrontare una serie di problematiche di non facile soluzione. Fondamentale in questo frangente è la figura di Abu Bakr, compagno fedele i Muhammad, il quale raccolse i fedeli, rassicurandoli. Tuttavia, il pericolo più grave che la comunità musulmana dovette affrontare non risiedeva a Medina, quanto piuttosto in altre regioni d'Arabia presso quelle tribù che aderirono al messaggio di Muhammad più per convenienza politica che per profonda convinzione religiosa; per cui alla morte del Profeta molti si ritennero sciolti dai vincoli di quel patto e tesero a riaffermare la propria autonomia. Abu Bakr ordinò una dura politica repressiva nei confronti di ogni politica secessionista, dando inizio così a quelle spedizioni punitive conosciute come guerre della secessione, hurub al-ridda, durante le quali l'islam confermò la sua forza miliare ed accrebbe la fiducia nel proprio spirito combattivo; esso da una parte seppe unificare in suo nome e definitivamente le genti arabe, stroncando sul nascere ogni interesse separatistico, e dall'altra diede avvio ad una naturale espansione compiuta nella coscienza di apportare principi nuovi ed universalmente applicabili. È in questo suo antico periodo che una pluralità di idee spinge l'islam ad elaborare uno dei tratti più caratteristici del proprio atteggiamento, rappresentato dalla sua flessibilità in materia di questioni dottrinali e dalla ricerca costante dell’ armonia nella diversità. 3.Il Corano: forma e contenuti + Il Corano è il testo sacro dei musulmani sia sunniti che sciiti, è riconosciuto da tutti i musulmani di tutte le scuole e le tendenze. La parola Corano è sul calco della parola araba vl y@Jl al-Qur’an; dal punto di vista etimologico vi è un’assonanza con il termine siriaco girianan, che vuol dire “recitare” “proclamare in maniera solenne” perché si tratta di proclamare la parola di Dio e, successivamente ha assunto anche la connotazione di “lettura” èsl,ò - qira’a (all’inizio della rivelazione, il profeta nel corso dei suoi ritiri spirituali che compiva non lontano dalla Mecca sentì una voce e vide l'angelo Gabriele impartirgli un ordine, attraverso l'imperativo Lal - Iqra), ecco perché il Corano è associato all’azione della lettura. Lo stesso Corano in vari versetti si qualifica attraverso una serie di aggettivi, e in particolare al-Qur’an al-Karim “Il Sacro Corano” o “Il Nobile Corano” xl y@JL8, xl 0 anche “Il Libro” - al-kitab. Il Corano è stato la base fondativa di ogni aspetto dell'islam, man mano che si sviluppava in una religione mondiale: fede, rituale, giurisprudenza, teologia e misticismo. Nella prima sura del Corano, la Sura Aprente (al-Fatiha) i musulmani sono invitati a lodare Dio per la sua misericordia e grandezza. La Fatiha è il Corano in miniatura, l'essenza del Credo islamico. Il Corano è il testo sacro dell'Islam, è la manifestazione della parola eterna di Dio, parola inserita in un Libro che rappresenta la copia di un archetipo celeste che esiste da sempre presso Dio e a cui il Corano stesso allude attraverso una serie di espressioni come “Madre del Libro” (’Umm al-Kitàb/ LI eb o anche “Tavola ben custodita” (al-Lawh al-Mahfuz/ lo g@=xoJl 2MI) ovvero la tavola su cui Dio con il Calamo celeste ha scritto il destino dell’umanità. Il Corano è dunque un’opera spirituale contenente le rivelazioni inviate oralmente da Dio attraverso l'angelo Gabriele a Muhammad per un periodo di circa 23 anni, dal 610 circa a poco prima della sua morte, nel 632. Dal punto di vista formale, il Corano è diviso in 30 parti ( fusi ajza’, pl. s ;> juz'), il che ne facilita la recitazione durante il mese di Ramadan, (=stando alla tradizione, il Corano nella sua completezza venne rivelato nella notte del destino alal $a@JI - laylat al-qadr, corrispondente appunto alla notte tra il 26esimo e 27esimo giorno del mese di Ramadan, per cui bisogna intensificare le pratiche devozionali; un’opera meritoria è quella di riuscire a recitare il Corano durante tutto il mese, riflettendo sui suoi versetti, o in assemblea nella moschea fare il taràwih o in casa). Esso presenta un ulteriore suddivisione in 114 capitoli o sure, è_ygw pl. 9, che indica un'unità recitativa di lunghezza variabile e che oggi si riferisce esclusivamente ai capitoli del Corano, ognuno dei quali sono a loro volta suddivisi in versetti che si chiamano “ayat” («Li sing. FAO) che letteralmente significa “segno”, contestualizzando, “segno della presenza divina nonostante la sua trascendenza” (si invitano i musulmani all'osservazione / allo studio di questi segni perché attraverso di essi si testimonia Dio, quindi è un mezzo per poterlo testimoniare). Per ogni capitolo sono stati introdotti, non facendo parte della Rivelazione, dei titoli di vario genere, nel senso che possono ricordare l'argomento, il tema che viene trattato nella sura stessa, può essere una parola chiave, può essere un termine insolito o desueto per essere meglio memorizzata; ricordiamo inoltre che ogni sura si apre con la ‘cosiddetta | *Basmala”, ovvero la formula «In nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso» (<< pa> Hi 9454 Î alli pa >>). In una prima fase il Corano è stato tramandato oralmente e memorizzato, dai cosiddetti “huffaz” (dIi3) da laa> che vuol dire “conservare”. Tutte le sure hanno la basmala, tranne Surat Al-Tawba, la Sura del Pentimento. Lo stesso Corano sottolinea più volte la propria natura di messaggio rivelato alle genti in arabo chiaro: da qui deriva il principio dell'inimitabilità del Corano - igaz -, il cui stile nessun uomo potrebbe eguagliare. Ne consegue che le traduzioni del Libro Sacro sono prive di qualsiasi valore sacrale, poiché considerate solamente una parafrasi del testo originale. I musulmani credono che il susseguirsi delle sure rispondesse ad un criterio già consolidato durante la vita del Profeta; la tradizione ha perciò quasi universalmente accettato l’idea che sia stato proprio Muhammad a far arrangiare la Rivelazione in questo modo, suggerendo un ordinamento dettatogli dall’ispirazione divina (tartiib tawfiigii). Le sure sono state sistemate non in ordine cronologico ma per ordine di lunghezza decrescente, cosicché le sure che troviamo all’inizio del Corano sono quelle numericamente più lunghe (la sura più lunga è la seconda: la sura della vacca 8 _ygw è xiuJl - sura al-baqara), e corrispondono alle sure del periodo Medinese fino alle sure brevissime di pochissimi versetti che troviamo alla fine e che corrispondono alla prima fase di predicazione del Profeta alla Mecca. Si ritiene che la prima rivelazione nel Corano corrisponda ai primi versetti della sura 96. Essi narrano come nella parte centrale della sua vita il Profeta Muhammad iniziasse ad isolarsi per periodi di meditazione nella caverna Hira, situata fuori Mecca e in uno di quei momenti, l'angelo Gabriele gli apparve con la prima rivelazione di Dio. Vi è una logica interna e trascendente con delle precise corrispondenze che in maniera attenta si possono rilevare che legano tutte queste sure. Alcune sure (dopo il titolo e la basmala) in alcuni casi presentano delle lettere isolate «99)> dale - hurufmiqatta'a -, definite lettere misteriose poiché sono state fatte delle ipotesi su queste lettere che di fatto non hanno un significato, sono delle lettere arabe che vengono unite laddove possibile, ma se le si prova a leggere non hanno nessun significato; tuttavia, queste ultime sono presenti in 29 sure, nel momento in cui le si recitano, bisogna leggerle con il nome della lettera (come nell'alfabeto); tra le varie ipotesi fatte, c'è quella che sostiene che indichino l’iniziale del nome dei possessori di quelle singole parti del Corano; altri hanno sottolineato il carattere esoterico di questo enigma che è noto soltanto a Dio, quindi collegato a quella tavoletta ben custodita a quell’archetipo celeste, quindi non abbiamo una risposta, non si sa in maniera certa che cosa indicherebbero queste lettere isolate; un fatto è certo fanno parte della sura, costituiscono il versetto coranico e quindi devono essere contestualmente recitate. Un'altra ipotesi, è che fossero dei suoni indistinti che avrebbero preceduto la rivelazione quando si avvicina al profeta. Il Corano è la diretta e letterale trascrizione della parola di Dio. Il messaggio divino trasmesso da Muhammad venne nei primi tempi affidato soprattutto alla memoria dei credenti, le cui prime raccolte erano tracciate su materiali di scrittura occasionali (scapole di animali, frammenti di coccio, etc...). Il termine ummi todi tradotto impropriamente come “analfabetismo” deve essere interpretato in due modi: o indica il fatto che tra tutti gli altri Profeti che hanno preceduto Muhammad e che costituiscono il cosiddetto “ciclo della profezia” l’unico a non essere di origini ebraiche e a non far parte dei cosiddetti “gentili” era il profeta Mohammad; 2) Testo, che racconta ciò che il Profeta ha detto e fatto, chiamato Matn (vi0) L'isnad viene reso impropriamente con catena dei trasmettitori perché, alla lettera, Isnàd vuol dire sostegno (masdar IV f di jul); l'Isnad è un elenco di tutti i coloro che si sono tramandati il racconto oralmente, che garantivano l’attendibilità della notizia. La Catena dei trasmettitori procede a ritroso: si va dal testimone più recente (colui che ha raccolto queste testimonianze) fino al primo testimone più antico, ovvero il testimone oculare (chi ha visto il profeta agire in un certo modo, chi lo ha sentito dire certe cose). Tra i testimoni oculari vi sono in molti casi anche le donne, in particolare, una testimonianza importante è quella che fornì in varie occasioni una delle mogli del profeta 'Aisha. L'Isnad, a sua volta, fu sottoposto ad un attento studio poiché bisognava verificare l'attendibilità storica, morale e religiosa di questi personaggi: va da sé che è di fondamentale importanza il ruolo che hanno svolto gli informatori, coloro che si sono attivati per raccogliere queste testimonianze, per un'indagine molto accurata svolta sul campo, intervistando le comunità che conservavano quella memoria. Affinché il Matn fosse considerato certo, era indispensabile verificare l’esistenza storica delle persone che venivano citate ed anche la loro attendibilità, ma anche la possibilità che questi testimoni avessero avuto un effettivo contatto. Altro elemento molto importante era dato dalla questione cronologica: era anche importante che non ci fossero dei vuoti temporali tra un testimone e l'altro, infatti maggiore era il divario temporale e maggiore era la possibilità che il racconto avesse perduto parte della sua autenticità. Lo studio preciso degli Isnad ha portato alla nascita di una scienza chiamata Scienza degli uomini cioè ‘Ilm al-Rigial, che ha come scopo quello di verificare l'attendibilità storica e morale dei testimoni, e che non vi siano salti generazionali. Sulla base della completezza e dell’attendibilità dell'isnad, di conseguenza, i racconti sono stati suddivisi in 3 categorie: 1) Racconti indubitabili (sahîh): racconti corretti, esatti; 2) Racconto buono (hasan), laddove si evidenziarono lacune, ma comunque avente valore normativo, e 3) Racconto debole (da’if), incerto, per cui inutilizzabile per l'elaborazione di una norma e utile tutt'al più per l'edificazione morale del lettore. E’ chiaro che quando si vuole portare avanti una certa tesi e proporre una soluzione va da sé che si prendano in considerazione i racconti certi, per rafforzare delle norme e delle decisioni. Esistono di fatto, in contesto sunnita, le Raccolte di racconti canonici che sono noti con il nome dei Sei Libri SI Y, di cui troviamo il nome dei loro autori: al-Bukhari, Muslim b. al-Higgag, Abi Dawud, al- Thirmidi, Ibn Maja, al-Nasa’i. Questi sono i principali autori di raccolte di racconti certi, tanto è vero che sia la raccolta di al-Bukhari che quella di Muslim viene chiamata non a caso Sahih (cioè la raccolta esatta, la raccolta di Hadith veri) e, prima, vi è un’altra opera a cui si sono ispirati e da cui sono derivate queste 6 raccolte, ovvero un testo scritto da Malik b. Anas: la Muwattaà ovvero la prima raccolta più antica e sistematica di racconti. [+ Malik b. Anas sarà anche il fondatore di uno dei 4 riti giuridici ammessi dall’Islam sunnita, che prenderà il nome di Malikiyya. Le scuole giuridiche sono correnti di interpretazione della legge]. Il Hadith, per essere il Hadith nabawi (Racconto del Profeta), è necessario che abbia la struttura appena spiegata, altimetri non ha nessun valore. Il racconto è importante perché tramanda il comportamento del profeta, in molti casi può anche dare delle delucidazioni sul Corano, per renderlo più chiaro e il quale, pur contenendo l’enunciazione di molti precetti, non sempre ne precisa le effettive modalità di applicazione, che solo il Profeta chiarì con il suo esempio: ecco perché il racconto può anche svolgere una funzione esegetica. Anche per quello che riguarda gli aspetti legati agli atti di culto, come compiere l’abluzione, vi erano delle indicazioni precise sul come procedere. Relativamente al pellegrinaggio e all’eventualità del ciclo mestruale, intervengono anche delle scuole di interpretazione della legge e la questione diventa poi particolarmente complessa quando si entra nell'ambito del diritto, però le linee guida sono date dal Corano e da ciò che il Profeta ha detto e raccomandato. Sulla possibilità che anche le donne potessero essere istruite si riferisce che, sebbene in sessioni separate, le donne potevano sicuramente accedere alla scienza. Jihad > sforzo. Nel corso di attacco (il jihad dovrebbe avere un carattere difensivo)devono essere assolutamente tutelati tutti coloro che non partecipano attivamente al jihad, quindi in particolare anziani, donne e bambini. “sussurratore” 3 waswas (1u94wgs): al Shaytan ulbu ovvero colui che cerca in tutti i modi di tentare l’uomo e di allontanarlo dalla retta via. Si sottolinea inoltre quanto sia riprovevole depredare o mutilare un animale o usarlo come bersaglio per ucciderlo, provocandogli delle sofferenze inutili, tant'è vero che la macellazione rituale prevede che l’animale non debba soffrire inutilmente. Vi sono poi anche delle indicazioni per quanto riguarda il comportamento quotidiano in pubblico, norme di buona educazione, di come interagire con gli altri, educazione all’igiene, di fede, di scienza, sull’orario e l'appello alla preghiera, sulle prostrazioni da fare durante la lettura del Corano, sul merito che ha pregare nelle moschee di La Mecca e di Medina, sugli aspetti peculiari del digiuno, la compravendita, addirittura su oggetti smarriti e oggetti trovati, sulle bevande, alla malattia e ai malati, ai giuramenti e ai voti etc. Il concetto di Sunna si oppone così ad ogni innovazione avvertita come contraria all'esempio del Profeta e quindi come particolarmente riprovevole, tanto che nella cultura musulmana il concetto stesso di innovazione (bid’a) è divenuto quasi sinonimo di eresia. Trasmissione dell’Hadith > Queste raccolte di racconti circolavano oralmente e poi venivano sistematizzate, ed infine trasmessi. Questa procedura è particolarmente complessa e prende anche il nome di tahammul al-‘ilm alla lettera “Portare la scienza (conoscenza) di queste raccolte”. Le raccolte si concludevano con una sorta di certificato di trasmissione e di autorizzazione a trasmetterli. Innanzitutto, questo certificato spiegava come si è giunti a raccogliere il materiale, poi vi era bisogno di una autorizzazione perché questo materiale potesse essere trasmesso. La trasmissione di un racconto poteva avvenire oralmente, dunque vi era l'ascolto da parte di colui che ascoltava il maestro che recitava l’hadith, seguito dalla scrittura di chi sentiva il maestro leggere a sua volta o riferire oralmente il racconto, prendendo appunti (o dettati). Una volta scritto il racconto, questo doveva essere sottoposto al maestro perché questo potesse eventualmente correggere degli errori ed autorizzare. Vi era poi una licenza a trasmettere quanto era stato scritto; seguiva poi la consegna del materiale, che poteva essere anche frutto di una corrispondenza (c.d. mukataba) oppure uesto materiale poteva essere lasciato in eredità, attraverso il wasiyya (testamento) oppure poteva essere ritrovato più o meno accidentalmente. (verbi: samia'itu an un ascolto da qualcuno; oppure qara'‘tu ‘ala ho letto a, oppure mi è dato il permesso indicato con il termine licenza in arabo Igiaza, quindi il verbo utilizzato sarebbe agiazaniy; il verbo nawala — mi ha consegnato/ho avuto in consegna; per la corrispondenza è possibile trovare espressioni come kataba ilayyia — mi ha scritto/ho avuto questo per iscritto oppure min kitab ricevo questo da quello che mi ha scritto; wathaniy — mi ha lasciato in eredità, da wasiyya che vuol dire testamento; oppure wagiadtu ho trovato). Ricapitolando, i metodi di trasmissione: ascolto, lettura, licenza, consegna, eredità, ritrovamento, corrispondenza. Questi certificati di trasmissione descrivono la meticolosità con cui si sono confrontate le varie copie dello stesso racconto. Tutte queste discipline, anche nei metodi di trasmissione, rientrano in quelle scienze islamiche che poi verranno poi definite con il termine di ‘ulùm al- nagiyya cioè Scienze trasmesse. (sono una serie di discipline che hanno come origine la trasmissione orale, proprio come il Corano: nagala vuol dire trasmettere, infatti questo verbo in origine veniva utilizzato nei testi classici per rendere ciò che attualmente rendiamo in arabo con il verbo tarjama tradurre. Nei testi classici e antichi quando si vuole intendere che una certa opera è stata tradotta, si usa invece il verbo naqala al passivo — nugila poiché ha un significato di trasferimento da una lingua ad un'altra). Nagqala indica anche il trasferimento per via orale: ecco perché poi tutte queste discipline stimolate dal Corano e dalle altre fonti verranno definite con il termine di ‘ulùm nagliyya (scienze trasmesse) che sostanzialmente sono le scienze islamiche, a cui si affiancheranno le ‘ulùm ‘agliyya (‘agl vuol dire intelletto) perché queste scienze possono essere intese come Scienze intellettivo-razionali (tra cui la filosofia), dopo il processo di ricezione e traduzione di discipline provenienti da altri contesti culturali. CONSENSO: terza fonte teologica e giuridica dell'Islam. In arabo jma”- £lo>] Abbiamo dunque gerarchia delle fonti teologiche e giuridiche: -Dio (Corano) -Il Profeta (i Racconti) - Coloro che detengono l’autorità e che possono esprimere il Consenso. L'Ijma è contemplato nel Corano, che allude ad un obbligo che viene ripetutamente ricordato da Dio. Nello specifico, questa consultazione che avviene tra coloro che hanno autorità prende il nome di Consenso. Il discorso è rivolto alla comunità dei credenti: alle origini, già da subito si avvertì la possibilità che l’intera comunità fosse coinvolta in un dibattito, e quando nel Corano Dio raccomanda di discutere e di sforzarsi di trovare una soluzione (su questioni che non mettessero mai in dubbio l'essenza della religione) è ovvio che non poteva essere coinvolta l’intera comunità. I rappresentanti della comunità sono coloro a cui è stata affidata la cura di prendere decisioni, soprattutto in materia giuridica; in questo caso sia l’Ijma che il Qiyas li possiamo definire “Fonti secondarie” o “Principi di applicazione della legge”. Quindi l’Ijma dev'essere concepito come l’accordo della comunità dei credenti in generale, ma in particolare -essendo impossibile che tutta la comunità potesse essere interrogata per trovare una soluzione -quello di quei componenti a cui è stata affidata l’autorità nel campo della legge. Gerarchia dell’autorevolezza dell’accordo. + Tra le varie generazioni che hanno espresso il consenso la più importante ed autorevole è rappresentata dalla generazione di coloro che erano contemporanei al Profeta, quindi i suoi Compagni- Sahaba, che avevano convissuto con lui. Esaurita questa generazione, seguiva per importanza la generazione “dei seguenti - ygulill” = di coloro che vengono dopo i compagni, (il verbo taba' - iutàbi'u vuol dire venire dopo cronologicamente). Seguono “seguenti dei seguenti - oli & ;i” , estinta la precedente. Per indicare l'elaborazione di questo consenso è usata la parola sforzo: quando si discute e si deve trovare una soluzione che deve produrre una norma o una soluzione per questioni che non devono mettere in dubbio i cardini della religione, si opera uno sforzo. Questo sforzo che viene a determinarsi per produrre una norma e per trovare un accordo in arabo si chiama igtihad - >Lgi>I (lett. sforzo, applicazione : masdar VII f: esercizio estremamente complesso portato avanti da coloro che hanno un'autorità in ambito della giurisprudenza perché di fatto è lo sforzo autonomo della ragione in materia religiosa per trovare una soluzione, che mira a costituire la norma). Colui che esercita questo sforzo viene chiamato utilizzando il participio presente del verbo di VIII F 3 mugtahid - agino, ciò implica che bisogna operare una interpretazione, un’esegesi, per trovare delle soluzioni che non entrino in contrasto con le fonti. (ciò avviene attraverso un parere qualificato del mugtahid, la cui sintonia con analoghi pareri di altri mugtahid indicherà che vi è opinione concorde, che darà particolare forza al suo responso. L'opinione personale permise di rendere flessibile ed elastico un sistema apparentemente rigido. La formazione di un considerevole corpus giuridico ha inizio durante l'epoca omayyade (661-750) e si completa durante l'epoca abbaside (tra IX e X sec.); ad un dato momento (anno 300 dell’egira) si ritenne che tutto quello che era stato tradotto da queste autorità fosse sufficiente e costituisse la base imprescindibile a cui le successive generazioni di mugtahidun dovevano riferirsi per cercare delle soluzioni. Essi, da quel momento in poi non avrebbero più dovuto applicarsi all'esercizio dell’igtihad ma si sarebbero dovuti limitare a rifarsi a quanto precedentemente stabilito. Questo procedimento prende il nome di taglid - dai (masdar II F radice qallada ovvero imitare): per cui all’ igtihad viene, in teoria, a sostituirsi l'imitazione pedissequa di quanto precedentemente le generazioni di mugtahidun avevano prodotto. Abbiamo quindi un rifarsi alla consuetudine e questo sembra mortificare l'esercizio della ragione; in teoria si sarebbe posto un limite all'esercizio dell’Igtihad per le generazioni successive grosso modo intorno al X sec. (IV sec. dell’Egira) usando un'espressione particolare, “Chiusura delle porte dell'Ijtihad”. (Nel momento in cui si opera lo sforzo di interpretazione viene chiamato in causa il ra'i «sl JI - opinione: in questo sforzo rispettoso di interpretazione si esprime anche l'opinione personale). Le quattro fonti affrontate sono riconosciute soprattutto in contesto sunnita; in contesto siiti la presenza dell’Imam e delle funzioni a lui riconosciute rende in un certo senso superfluo l’Igmà che il Qiyas. QUI fonte giuridica dell'Islam > procedimento analogico. Questo prevede che ci si sforzi nel attraverso la ragione umana di trovare una soluzione confrontando delle situazioni nuove (che quindi anche per ragioni cronologiche non potevano determinarsi nel passato) a delle situazioni pregresse, in modo da trovare una soluzione idonea. Anche in questo caso non si tratta di una discrezionalità individuale, in quanto questo processo Qiyas è consentito ma deve sottostare dalle ferree regole della logica, è proprio un vero e proprio procedimento di natura sillogistica. Anche nel Qiyas rientra inoltre lo sforzo, perché bisogna sforzarsi di trovare dei punti di contatto tra situazioni che possono essere messe a confronto e paragonate, quindi rientra anche qui l'opinione personale. La possibilità di rifarsi al proprio giudizio personale, in un certo senso, la troviamo menzionata in un Hadith: vi è un episodio in particolare in cui il Profeta approva la decisione di uno dei suoi compagni, il quale gli riferisce che in una situazione particolare, non potendo rifarsi a nessuna generazione precedente, vi era necessità di ricorrere all’Igtihad. Il dibattito sul giyàs viene considerato come un tentativo di sintesi tra scrittura, naql, e ragione, ‘agl. Alle genti dell’hadith, (ashab al-hadith), studiosi e detentori delle tradizioni profetiche che escludevano ogni principio normativo estraneo alle fonti scritturali, cominciarono ad opporsi le genti dell'opinione (ashab al-ra’i), che al contrario propugnavano un più largo e liberale uso della ragione umana. un capello, lo attraversano senza problemi quelli che saranno destinati al paradiso, gli altri invece precipitano nell’inferno. Tra l’altro durante il viaggio notturno a Muhammad viene mostrato l'inferno dal quinto cielo e riesce a fornire una descrizione abbastanza dettagliata. Il paradiso è chiamato janna che vuol dire giardino, e l'inferno naar, da fuoco; entrambi i luoghi sono descritti in maniera quasi carnale: del paradiso si racconta dei fiumi di miele e di latte, delle delizie che attenderanno i buoni, ragazze vergini che soddisferanno gli uomini; così come anche le immagini dell’inferno sono molto cruente. 6) L'ultimo dei pilastri della fede è noto come al-Kada’ Wa ’l-Kadar , “decreto e predestinazione” divina, ma anche qui ci sono una serie di significati a cui ci porta la radice della parola (ka, dal, ra). Infatti la troviamo anche nella “notte del destino”, cioè la 27 notte di ramadan, quando Muhammad ricevette tutto il Corano: si ritiene che in un primo momento il profeta abbia ricevuto una sintesi di tutto il corano, ma che poi gli si stato fatto dimenticare da Dio, per poi farglielo ricordare e memorizzare, continuando le rivelazioni per tutta la vita. Vocalizzando in maniera diversa e aggiungendo altri elementi, abbiamo i termini “capacità, potenzialità”(“kudra”), questo termine applicato all'uomo e a Dio (“kadir”: ogni cosa/onnipotente”, mentre all'uomo viene riconosciuta la responsabilità morale sugli atti che compie, si riconosce all'uomo una sorta di libero arbitrio. : stesse radicali). Dio: “potente su PILASTRI DELL'ISLAM: arkan al-Islam (pw! vIS,Ì. Gli atti di culto (‘ibadat) sono azioni rituali che i credenti, singolarmente o collettivamente, sono tenuti ad adempiere nel loro rapporto con Dio e che manifestano la servitù degli uomini nei confronti del loro Signore. Anche questi trovano fondamento nel Corano, e negli hadith (racconti o tradizioni che diffondono la sunna del profeta: i suoi silenzi e le sue parole), servono non a completare il Corano che è già completo, ma a fornire agli uomini alcuni chiarimenti: 1. Attestazione della shahada: duplice testimonianza, che attesta: “non c'è dio al di fuori di Iddio”, e riconosce in Muhammad il suo profeta. 2. Esecuzione della salat: preghiera canonica(sono 5), ci sono poi anche altre preghiere non canoniche, volontarie, che possono essere fatte senza particolari criteri. 3. Elargizione della zakat: elemosina rituale, oppure “tassa purificatrice” . Adempimento del saum (digiuno) nel mese di Ramadan 5. Pellegrinaggio alla Casa di Dio. 1. SHAHADA- è. gui (professione di fede), consiste nel pronunciare la formula canonica, è un'espressione di fede intima, ma è anche uno strumento attraverso il quale il credente dà il suo tangibile e materiale riconoscimento (iqràr) a quelle che sono le fondamentali verità della religione islamica, quindi attestare il fatto che Dio è uno e unico (prima parte: conferma di un puro e assoluto monoteismo) e attestare che il Profeta Mohammad è il Suo inviato che ha portato, in forma definitiva, completa e universale, il suo messaggio (seconda parte). L’unicità di Dio, (tawhiid) è d'importanza capitale nell'Islam, che condivide con l'ebraismo questo dogma basilare della fede. Pronunciando questa formula per tre volte con vera intenzione al cospetto di due testimoni musulmani, essa sancisce l'ingresso nella comunità dei credenti del musulmano. Solitamente, quando nasce un bambino da una coppia di musulmani, il padre sussurra nell'orecchio del figlio o della figlia questa formula per attestare la partecipazione e l'appartenenza del nascituro all'Islam. Per quanto concerne l’intenzione sincera, asi niyya, essa sancisce la superiorità dell'adesione intima del credente a compiere un determinato gesto rispetto alla sua esecuzione formale, quindi, l'intenzione nel proprio cuore di compiere un'azione per amore di Dio. La shahada viene costantemente ripetuta dai fedeli in ogni occasione della vita quotidiana. In alcuni paesi si parla anche di doppia testimonianza, e quindi doppia shahada. Essa abbraccia tutti gli altri pilastri dell’Islam. 2.SALAT- é)Lo (preghiera canonica), compiuta secondo modalità specifiche sia per quanto riguarda il contenuto, sia per i movimenti richiesti dal corpo; inoltre, è regolamentata dalla legge; diversa dalla preghiera volontaria e intima, con la quale il credente si rivolge direttamente a Dio che si può fare quando e come si vuole, non regolamentata dalla legge, chiamata du'a' a£ls . Il concetto dell’intenzione, niyya, è fondamentale, non solo per quanto concerne la preghiera, ma anche per tutti gli altri precetti previsti dalla legge, poiché un atto - anche se formalmente impeccabile - compiuto senza la necessaria concentrazione può essere valido agli occhi degli uomini, ma certamente non riceverà da Dio la relativa ricompensa. Le preghiere obbligatorie che ogni musulmano deve compiere quotidianamente sono cinque: * Preghiera dell'alba - salat al-fagr / subh * Preghiera di mezzogiorno - salat al-zuhr * Preghiera del primo pomeriggio - salat al- 'asr * Preghiera della sera - salat al-maghrib * Preghiera della notte - salat al 'ish a ‘ L'inizio della preghiera è fondamentale. Per segnalare l'inizio parliamo di adhan e muezzin (italianizzazione della parola mu’adh-dhin). La parola adhan viene dal verbo adhana, un verbo di prima hamza, ed è l'azione svolta dal muezzin, ovvero il richiamo alla preghiera. È quindi molto importante questa chiamata, che avviene secondo una formula particolare. Anticamente il muezzin saliva sul Minareto, riscontrabile soprattutto nelle grandi moschee, e invitava alla preghiera. Una volta stabilito l’orario di inizio, che varia ovviamente da giorno a giorno in base al percorso del sole, ogni preghiera ha un lasso di tempo (ada) entro il quale può essere eseguita e passato il quale essa è caduta in prescrizione /qada) e deve essere recuperata. Condizioni fondamentali per eseguire la preghiera sono la niyya e la tahara - è ylglo (purità rituale). Si tratta di un requisito essenziale per cancellare le impurità: ovviamente la purezza più importante a cui si fa riferimento è quella spirituale, ma è anche fondamentale nel momento in cui, attraverso la preghiera, il credente invoca Dio trovarsi in uno stato di purità materiale. Secondo le regole stabilite dall’islam, i musulmani devono fare un’abluzione prima di pregare. Il tipo di abluzione da fare dipende dalla tipologia di impurità: minore (hadath asghar, riferite ad alcune situazioni che possono contaminare il corpo della persona, come dopo i bisogni fisiologici o dopo aver abusato di sostanze impure); -maggiore (akbar o gunuub, collegate ai rapporti sessuali, o per quanto riguarda la donna, durante il ciclo mestruale e soprattutto i primi 40 giorni dopo il parto). Trovandosi in situazioni di impurità minore o maggiore è necessario lavare l'impurità materiale con l'acqua (se minore = lavaggio parziale: viso, collo, orecchie, mani fino all'avambraccio, i piedi fino alle caviglie > wudù’ - Sgu09 /se maggiore = lavaggio dell'intero corpo, compresa la bocca e l'interno del naso > ghusl - Juué). Se, dopo la purificazione, il credente che si reca a pregare non avesse una vera intenzione, la preghiera sarebbe solo di tipo formale e non spirituale. Per eseguire la salat, oltre a rispettare la propria igiene personale, sia uomini che donne dovrebbero rispettare quella dei propri abiti. Anche il pavimento su cui si esegue la preghiera dev'essere pulito, da qui l’uso frequente nelle moschee di tappeti puliti regolarmente, e di tappeti da preghiera individuali per l'utilizzo in altri luoghi. In casi eccezionali, ad esempio se si è in viaggio e si è a corto di acqua e avendo una vera intenzione di pregare, in quanto Dio è misericordioso, l'abluzione può avvenire mimandola usando la polvere del deserto e, se la preghiera sarà fatta con cuore sincero, sicuramente verrà accolta. La funzione dell’abluzione è dunque quella di riflettere sulla purificazione del proprio animo e di rimuovere i pensieri impuri, predisponendosi all’adorazione di Dio. La direzione della preghiera, gibla, inizialmente rivolta a Gerusalemme (622-624), poi spostata in direzione della Ka'ba, alla Mecca. Questa direzione, è generalmente indicata nelle moschee da una nicchia chiamata mihrab. Questo perché la preghiera canonica deve svolgersi in momenti precisi ma può svolgersi in qualsiasi luogo, isolata o in comune. Ci si rivolge verso la Mecca e si dà inizio alla preghiera canonica. Durante la preghiera ciascun musulmano è in diretto contatto con Dio; l'islam non ha sacerdoti che fungono da intermediari con Dio. Essa è caratterizzata da una serie di movimenti che accompagnano la preghiera e consiste nella recitazione di versetti o di brevi sure del Corano. Ciascuna serie di movimenti nella sequenza della preghiera è chiamata rak'a y£cè .I movimenti esteriori elencati rappresentano i diversi aspetti della fede che i musulmani nutrono verso Dio. La posizione eretta, per esempio, è una reminiscenza solenne della posizione eretta di fronte a Dio che tutta l'umanità dovrà tenere nell’Ultimo Giorno, quando ascolterà il suo Giudizio; l’inchino che essi faranno dopo è per cercare il suo Perdono; la prostrazione sul pavimento è un atto di adorazione dedicato solo a Dio. Il numero di rak'a differisce a seconda del momento della giornata in cui è eseguita la preghiera: due all’alba, quattro a mezzogiorno e al calar della notte, tre al tramonto. -Fasi della preghiera: 1) Takbir ui Stare in piedi coni palmi delle mani rivolte in avanti in corrispondenza delle orecchie (qiyam dilo), pronunciando Allahu Akbar. Viene recitata (girà’a) la sura aprente, Surat al-Fatiha, seguita da un altro brano del testo sacro di libera scelta). 2) Inchino - rukù’ - &9S} — Piegare la schiena ad angolo retto appoggiando le le mani sulle ginocchia. Questo gesto viene accompagnato pronunciando più volte la formula “Sia glorificato il mio Signore eccelso”. 3) I'tidal - Jul - Tornare alla posizione eretta e inchinarsi totalmente (sujiid -> gv ), con le mani che toccano la fronte, la quale deve toccare a terra e pronunciando più volte a bassa voce la formula “sia glorificato il mio Signore l’Altissimo”. Si tratta del momento più importante in quanto si glorifica Dio. 4) Breve intermezzo in posizione seduta (julus) durante il quale ci si siede sui talloni per qualche istante, poggiando le mani all'altezza delle ginocchia, riprendere la prosternazione e ritornare in posizione eretta. 5) Terminata la preghiera, l’orante o ritorna in piedi oppure compie il saluto finale, volgendo il capo prima a destra e poi a sinistra per augurare la pace (effettuato anche se si prega da soli): “Che la Pace, la Misericordia di Dio e la sua Benedizione siano su di voi” 3 3 “Assalamu alaykum wa rahmatu Llahi wa barakatuhu : all I doe> _J9 pile e Mu lalS 9 | Con queste parole si esce dallo stato di sacralizzazione e la preghiera è definitivamente conclusa. NB: Quando ci si siede l'indice della mano destra viene leggermente sollevato per indicare l'unità e l'unicità di Dio. Quindi anche i gesti che il corpo compie servono ad attestare quelle che sono le verità fondamentali dell'Islam. La preghiera collettiva di mezzogiorno del venerdì in moschea, a cui gli uomini adulti sani fisicamente e mentalmente sono tenuti a partecipare, è generalmente raccomandata, in quanto rafforza lo spirito comunitario e permette di conseguire una ricompensa maggiore. Essa dev'essere diretta da unimaam che per primo esegue i movimenti e le recitazioni prescritte davanti agli altri musulmani, i quali sono disposti in ranghi dietro di lui. L'imam è davanti al mihrab, collocato in direzione della Mecca, e pertanto l'assemblea dei partecipanti alla preghiera può vederlo soltanto di spalle. L’imam non ha alcuna valenza sacerdotale, in quanto non è l'amministratore del culto, ma semplicemente colui che fra gli oranti maggiormente risponde ad alcuni requisiti. Le moschee possiedono in genere un imam stabile, che diviene il punto di riferimento di quelli che frequentano quella particolare moschea. Alla fine della celebrazione fa un sermone, chiamato khutbah, solitamente dal pulpito (mimbar), che può contenere temi politici o sociali in aggiunta ai moniti spirituali. Più solenni sono le preghiere dei due ‘id, cioè delle due vere e proprie festività maggiori del calendario musulmano, la festa dei sacrifici (‘id al-adha - suol 25) o grande festa, celebrata durante il mese del pellegrinaggio, e quella della rottura del digiuno (‘id al-fitr-_,laaJl 45) o piccola festa, che cade al termine del mese di Ramadan. Entrambe le preghiere sono simili a quella del venerdì e come quest’ultima vengono celebrate in comunità, con la differenza che in genere si eseguono all'aperto in grandi campi attrezzati per l'occasione e non all'interno delle moschee. Ma la devozione del musulmano non si esaurisce con l'espletamento degli obblighi formali. Esiste infatti tutta una serie di preghiere suppletive che, pur non essendo tassativamente obbligatorie, vengono di fatto sempre osservate dai fedeli. 3. ELEMOSINA RITUALE o TASSA PURIFFICATRICE, - © LS j - uno degli obblighi islamici, consiste nel taglio dei beni che purifica i credenti (zakat significa lett. qualcosa che purifica) da quelli che sono considerati alcuni dei peggiori peccati, ovvero l'usura (che è una delle azioni più da condannare tanto è vero che anche a livello del sistema bancario islamico sono previsti una serie di dispositivi che non hanno buona e anche al fatto di godere di buona salute; nella misura in cui non si abbia la possibilità finanziaria di sostenere delle spese ovvero ci siano degli impedimenti anche di natura fisica, si è esentati, e quindi si potrà compensare questo mancato espletamento del rito facendo delle opere buone. I giorni dedicati al pellegrinaggio vero e proprio sono l’8 e il 9 e il 10 del mese di dhù l-hijjia. I pellegrini si radunano in alcuni punti in cui indossano l'abito della purezza gl_y>] (Ihràm) questi luoghi vengono detti (miigqat) e circondano l’area sacra del tempio della Mecca. > Una volta entrati nello stato di purità, si compiono i primi riti alla Mecca che sono quello della circumambulazione intorno alla Ka ‘ba, tawaaf, poi la cosiddetta corsa, sa’i, un breve tragitto (tra due promontori tra Safà e Marwa) nelle vicinanze della zona sacra. (Alcuni di questi riti sono legati alla storia di Abramo e Ismaele, in particolare questa corsa ricorderebbe la ricerca affannosa di acqua da parte di Hagar, la madre di Ismaele e la concubina di Abramo, che poi dopo la nascita di Isacco era stata allontanata dalla comunità e quindi i pellegrini compiono per sette volte questo tragitto nel ricordo di questo avvenimento). Dopodiché un’altra località che viene toccata subito dopo la Mecca è Minà e si giunge poi nella giornata centrale del pellegrinaggio, ovvero quella del nono giorno del mese di dhù l-hijjia sulla spianata di ‘Arafat dove dinanzi al monte della misericordia jabal al-rahima avviene quella che viene chiamata talbiyya 4 Î, cioè i pellegrini si radunano -wuqîif- e questo raduno di fatto rappresenta in un certo il raduno che avverrà prima del giudizio universale, in cui tutti si porranno al cospetto di Dio pentiti. Dopo il wuqlîf cioè questo stazionamento fino al tramonto, si raggiunge poi la località di Muzdalifa , con passo sostenuto (ifada, che vuol dire lett. flusso) e, quindi, i pellegrini si avviano come un fiume in piena verso Muzdalifa dove si pernotta la notte del 9 per poi rimettersi in cammino la mattina seguente, raggiungere nuovamente Mina (le località sono Mecca, Mina, ‘Arafat, Muzdalifa, Minà e di nuovo La Mecca). A Minà poi si completa l’ultimo rito che è previsto è quello del lancio dei sassolini, in arabo ramy al-jamaràat dove i pellegrini gettano dei sassolini contro questi tre pilastri di dimensioni più o meno diverse conficcati nel suolo, e anche questa è una rappresentazione dell’obbligo di vincere le tentazioni di Satana; si ricorda anche in questo caso un episodio che riguarda Abramo tentato da Satana, quindi in senso lato questo lancio di pietroline potrebbe essere reso con la lapidazione di Satana, cioè scacciare la tentazione rappresentata da Yui qui simbolicamente rappresentato da questi pilastri. Questo sarebbe il rito conclusivo a seguito del quale di fatto tutti i riti previsti dal pellegrinaggio si sarebbero compiuti, quindi cesserebbe di conseguenza lo stato di 1 ,>], però solitamente i pellegrini sono anche abituati a tornare alla Mecca a compiere nuovamente la cireumambulazione e la corsetta tra Safà e Marwa; si ritorna, quindi, poi a Minà per la cosiddetta grande festa o festa dei sacrifici e si sacrifica un animale (anche questo evoca un avvenimento che vede come protagonista Abramo che sacrificò, questa volta al posto di suo figlio, dopo che Dio ebbe avuto prova della sua grande fede, un montone e quindi anche in ricordo di questo sacrificio, solitamente i pellegrini acquistano o in comune o singolarmente un capo di bestiame di cui si consuma la carne e si lascia per la mensa dei poveri il rimanente). Questa festa dei sacrifici viene celebrata in tutto il mondo islamico e anche chi non fa personalmente il pellegrinaggio quell’anno celebra potremmo dire in comunione con gli altri musulmani che si trovano alla Mecca e festeggiano con questo sacrifico questa grande festa. 1>| D Ihram, purità rituale, rappresentata da vesti particolari che si devono indossare di colore bianco immacolato; in questi tre giorni i pellegrini devono astenersi ad alcune azioni che sono praticamente lecite in altri momenti: gli uomini non possono radere, non ci si può tagliare i capelli e le unghie e bisogna astenersi da rapporti sessuali; «làxo [] migat è un termine plurale che indica i luoghi in cui i pellegrini si incontrano; “i luoghi di incontro”. d lgl [] tawaf: cireumambulazione alla Mecca intorno alla Ka‘ba «au [] say, la corsa tra Marwa e Safa i promontori 99.99 [ wuqîf: lo stazionamento di fronte jabal al-rahma - an> JI Ju “il monte della misericordia”, dove avviene la cosiddetta arl , cioè l'espressione, la formula “eccomi, eccoci a Te” cod D ifada: questo percorso a passo veloce che deve coprire la distanza tra Minà e Muzdalifa al tramonto del nono giorno dopo il wuquf ul yoall «soy ramyal-jamarat : atto conclusivo a Mina. Il pellegrinaggio è un obbligo che almeno una volta nella vita chi ha la possibilità deve rispettare; questo significa soprattutto in passato, delle spese considerevoli, un lungo viaggio e quando si partiva si doveva anche far si che durante i mesi di assenza la famiglia poteva comunque poter andare avanti economicamente, quindi il pellegrinaggio richiedeva disponibilità economica ed essere anche in buona salute perché alcuni riti comportano un pò di sforzo fisico, quindi coloro che non potevano permetterselo sono esentati e potranno sostituirlo con opere di bene. Il pellegrinaggio ha come meta la Mecca e si è soliti, soprattutto per chi vene da lontano, andare a visitare la tomba del Profeta a Medina anche se non è sede di pellegrinaggio perché la meta del pellegrinaggio è andare alla casa di dio. 5. La legge e le scuole giuridiche > shari'a - ans pv , lett, in origine, “la via che porta all'abbeveratoio” quindi ad una fonte di acqua, simbolicamente che porta alla salvezza. È la norma dettata da Dio al suo Profeta e che costituisce la legge cui si deve attenere ogni credente. Il concetto fondamentale che domina la shari'a è quello della libertà o liceità (ibaha), ovvero: all'uomo dev'essere concetta una naturale libertà per poter godere appieno dei frutti legittimi della vita di questo mondo, ma le imperfezioni dell’indole umana richiedono anche che siano stabiliti dei limiti a questa libertà. Dunque, la shari'a salvaguardia i diritti di Dio alll 3.9à> - huquq Allah, regolamentando gli obblighi che gli uomini sono tenuti a rispettare nei confronti del loro creatore, e contemporaneamente tutela la pubblica utilità - a>luao , maslaha, nel senso che impedisce al credente di prevaricare nei confronti dei propri fratelli. In linea di principio, la shari'a definisce tutti gli ambiti della vita umana, sia quelli pertinenti agli atti esteriori che quelli riferiti agli atti interiori. La particolarità della Shari'a è che si tratta della legge immutabile nel tempo e nello spazio, quindi che non può essere assolutamente sottoposta a igtihad, e regolamenta il rapporto tra Dio e gli uomini credenti, atti di culto, chiamato ‘ibadat - «lol; il Fiqh - acid, traducibile con diritto o giurisprudenza, ma che alla lettera vuol dire conoscenza, competenza, scienza è invece suscettibile di modifica, regolamenta i rapporti tra gli uomini, cioè imu‘amalat, «v Me Leo; col tempo si è andato sempre più concentrando sulla definizione degli aspetti formali del comportamento umano. Gli uomini sono tutti considerati come mukallaf, vale a dire soggetti all’imposizione della legge. Nessuno sfugge in alcun momento a questa condizione di servitù e nessuno è dunque mai esentato dal rispettare gli obblighi e i divieti che Dio ha stabilito. Shari'a immutabile nel tempo e nello spazio, il Fiqh è un prodotto suscettibile di mutamento anche perché regolamenta i rapporti tra gli uomini; le sue norme sono confluite col passare del tempo in correnti di interpretazione della legge > ‘madbahib’, scuola giuridica o rito giuridico, e in contesto sunnita viene riconosciuta la piena legittimità a 4 scuole giuridiche, che sono: hanbalita, malikita, shafi’ita e hanafita, dal nome dei rispettivi dotti religiosi delle origini, i quali contribuirono a formulare le specifiche caratteristiche di ciascuna scuola giuridica: Abu Haniifa, Malik ibn Anas, al- Shafi'i, Ahmad ibn Hanbal. Queste scuole si sono formate tra l'XI e il IX secolo d.C, tra il Il e II secolo dell’egira, e la differenza è che alcune scuole consentono, oltre al Corano e Sunna che sono i punti di riferimento essenziali, il ricorso al Qiyas, cioè all’analogia e al Consenso. Di queste 4 scuole quella che ammette ricorso solo alle due fonti primarie, è la scuola Hanbalia. Per esempio l’Hanbalia è predominante in Arabia Saudita e questo spiega perché in Arabia Saudita si procede in un certo modo e in altri paesi in maniera differente rispetto ad alcune questioni. Il consenso assunse il significato di accordo fra i dotti in un dato momento storico, ovvero: un dato giudice rendeva pubblico un parere su una questione giuridica, e se nessun dotto religioso adduceva argomentazioni contrarie convincenti, e tutti gli altri concordavano con quel giudizio, allora il consenso era stato raggiunto. Il principio di analogia comportava l’applicazione di una legge consolidata a una nuova situazione. Tutti gli atti, sia privati sia pubblici, vengono classificati in cinque categorie normative (ahkam): obbligatori (09 ) che possono essere individuali, (quello che spetta ad ogni cliente singolarmente, ad es. le 5 preghiere giornaliere); viceversa l'obbligo del Jihad, inteso come impegno militare è considerato un obbligo collettivo, “di sufficienza”, cioè che è sufficiente venga assolto dalla comunità nel suo complesso; leciti (Tuo), mubah, indifferente dal punto di vista legale, che il credente è libero di compiere o meno, senza che ciò comporti merito o colpa; raccomandate ugiio — mandub, atti che vengono considerati in vario grado meritori, ma la cui omissione non è punibile; riprovevoli - ogyi Lo — makruh, atti da cui è fortemente consigliato astenersi ma la cui esecuzione non comporta punibilità; e illeciti o proibiti gl _y> - haram - ogni azione tassativamente interdetta, punibile da parte della legge. Anche nel caso dells legge, iil sunnismo ha optato per una certa flessibilità nelle scelte e ha consentito una sostanziale elasticità di giudizio. Per quanto concerne la nascita e la morte, ci sono alcuni indicazioni richiamate nel Corano e nella sunna, diversa è la questione del matrimonio, in quel caso sul piano giuridico vi sono delle specifiche norme. NASCITA > si raccomanda che nel momento in cui nasce un bambino il padre sussurri rispettivamente all'orecchio destro e sinistro le due forme dell’appello alla preghiera, adhan e iqama, così dopo aver imposto il nome si procede al rito più importante, l’ ‘aqia, che consiste nel sacrificio di un ovino o di un altro animale, immolato per ringraziare Dio di aver accordato il beneficio di una nuova nascita. Dunque parte della carne va consumata dalla famiglia che ha compiuto il sacrificio ed il restante va donato in beneficenza. Pratica della circoncisione (khitàn): essa concerne i minori maschi e può essere effettuata sin dal momento della nascita, ma la pratica più diffusa è quella di rimandarla all'ingresso del giovane nella pubertà. MORTE > seguendo le direttive e indicazioni che troviamo anche nella sunna del profeta nonché nel Corano, si prevede che il corpo del defunto venga purificato, si procede quindi con il lavaggio completo (l’unico caso in cui il corpo non deve essere lavato è quando la persona muore martire, cioè muore per la causa di Dio, quindi il sangue versato per la causa di Dio è considerato puro, poichè è il sangue che testimonia il martire, shahîd.) cui segue la profumazione e l’avvolgimento in un sudario (o, per chi l’ha fatto, nell’abito immacolato e puro indossato durante il pellegrinaggio). La preghiera funebre viene di solito recitata prima dell’inumazione ed è considerata una vera e propria salat. Infine il defunto viene sepolto con la disposizione del corpo sul lato destro e rivolto verso la Mecca. Prima che avvenga la sepoltura, inoltre, si raccomanda il yaSYL - talqin, il suggerimento, si pronuncia quasi a suggerire al defunto la shahadah che sintetizza l'essenza della fede islamica, affinché nel momento dell'interrogatorio nella tomba da parte degli angeli Munkar e Nakiir possa essere ripetuto; se dovesse farsi trovare impreparato, i due angeli inizieranno a tormentare il cadavere e tali tormenti dureranno sino al giorno del giudizio finale. Si consiglia di vivere il dolore in maniera sobria, qualsiasi esternazione esagerata di dolore non viene raccomandata, perché è come se ci si ribellasse alla volontà di Dio e poi per ricordare la memoria del defunto il quarantesimo giorno viene organizzata una sorta di banchetto funebre da devolvere ai poveri in memoria della persona scomparsa. MATRIMONIO + nella tradizione islamica il matrimonio è un contratto - clG — nikah, che viene stipulato in presenza di un giudice, di due testimoni e dall'uomo e da un rappresentante wali - sJ9 della sposa, che può essere il padre o un parente, il quale ne cura gli interessi e deve vigilare in seguito sul rispetto delle clausole. Per essere pienamente valido, il matrimonio deve rispettare alcuni requisiti fondamentali (i cui termini sono rintracciabili nel corano): innanzitutto il donativo nuziale che il maschio deve versare alla donna, mahr - 3®L — ovvero una somma stabilita al momento della stipula del contratto nuziale e che rimane bene inalienabile della donna, del quale può, assieme ad altre sue eventuali proprietà, disporre liberamente ed in qualsiasi momento; è poi considerato come elemento essenziale il consenso delle parti. Ulteriori requisiti sono infine la consumazione, senza la quale il matrimonio è considerato nullo e viene immediatamente sciolto, la coabitazione dei coniugi ed il fatto che alla donna musulmana è impedito il matrimonio con un uomo che non professi la fede islamica (a meno che il marito non decida di convertirsi, perché i figli di cui il padre ha la tutela, laddove la madre ha la custodia, seguono la religione del padre. Mentre l’uomo può sposare donne di altre fedi riconosciute come ebree o cristiane). Il Corano permette la poliginia, ovvero un uomo può sposare più donne contemporaneamente, ma non è possibile il contrario. Nel Corano è specificato che tecnicamente è ammissibile prendere più di una moglie, per circostanze particolari. Ad esempio se la prima moglie è sterile e l’uomo non vuole ripudiarla, può prendere una seconda moglie e mantenere la prima. E' importante però anche mantenere la donna non solo dal punto di vista economico ma anche affettivo, perché ci sono degli obblighi coniugali. Questo spiega perché, per esempio, secondo alcuni interpretazioni sarebbe sconsigliabile sposare più di una donna, perché è umanamente impossibile essere equi dal punto di vista affettivo. Tipologie di scioglimento del matrimonio: ripudio, riscatto, annullamento, morte del coniuge. * Qadariyya: dalla radice y > . Questo termine è complesso poiché, a seconda di come è vocalizzato, può indicare l’onnipotenza di Dio (gadir), e la parola qadar si lega ad un altro sostantivo che vuol dire ‘giudizio’ (qgada): il sesto dei pilastri della fede,‘ Il giudizio di Dio e la Predestinazione”. È anche vero, però, che la stessa radice serve per esprimere il concetto di capacità che può essere attribuita all'uomo, quella che viene chiamata qudra (potenza). Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la Qadariyya non predicava la predestinazione e l’Onnipotenza di Dio, ma il fatto che l’uomo, creato da Dio, era responsabile delle proprie azioni. Volendo semplificare, essa sosteneva il libero arbitrio dell’uomo. L'uomo, come libero agente, doveva e poteva essere giudicato da Dio in modo giusto. Secondo la Qadariyya, la responsabilità dell’uomo rispetto all’atto che compiva non sminuiva l’onnipotenza di Dio che era subordinata alla sua giustizia. Quello che gli arabi intendevano per predestinazione, secondo questa corrente, doveva essere intesa come pre- scienza di Dio (scienza di Dio precedente). Egli conosce come può agire un uomo ma non è detto che agisca in sua vece poiché gli riconosce una certa responsabilità, a tal punto da porlo come suo vicario sulla terra. * Jabariyya: questa corrente assume una posizione diametralmente opposta alla precedente. Il termine jabr vuol dire ‘costrizione’. Gli aderenti a questa corrente sostenevano che l’uomo fosse creatura di Dio, che Egli è onnipotente e in forza di essa avrebbe pre-determinato il destino degli uomini. Non si poteva dunque riconoscere all’uomo nessuna capacità d’indipendenza e padronanza dei propri atti. Il dibattito evidenzia anche una sorta di competenza dal punto di vista terminologico dove ‘creare’ si dice in arabo khalaga e ‘creatore’ khaliq. Se dico ‘Allah Khaliq' e poi dico che “l’uomo è creatore delle sue azioni”, i casi sono due: o elevo l’uomo al livello di Dio ( creatore - creatore), o abbasso Dio a livello dell’uomo. Non si può riconoscere l’uomo come creatore delle proprie azioni poiché_ l'unico creatore per eccellenza è Dio. La jabariyya riteneva che pensare che l’uomo fosse creatore delle proprie azioni implicava riconoscergli delle qualità di Dio e riconoscere dunque un’altra divinità, quindi scivolare nel politeismo (Shirk). * Murji’a: questa tendenza la potremmo definire trasversale. Deriva dal termine Irja', da raja' (rimettere qualcosa a qualcuno) e sosteneva che il giudizio definitivo, per quanto riguarda quello terreno, doveva essere sospeso (assunsero un atteggiamento agnostico cercando di non esprimersi su alcune questioni) poiché il giudizio finale spettava a Dio, unico giudice, che avrebbe poi somministrato quella che sarebbe stata una ricompensa o un premio. I termini della questione furono oggetto di ulteriori discussioni provenienti dalla recezione del pensiero filosofico greco. La recezione del sapere degli antichi attraverso il processo di traduzione fu estremamente attiva durante il periodo degli Abbasidi. Breve ricapitolazione storica. Alla morte del Profeta (632) segue il periodo dei Califfi Benguidati - y9.w| JI a6Y>fino al 661. Nel 661 sale al potere Mu’awiya, capo della dinastia dei Banu Umayya. La loro dinastia durerà fino all'anno 750, e governeranno da Damasco (Siria). Nel 750 subentra la dinastia degli Banu Abbas (Abbassidi) che si stabilizzeranno in Iraq e fonderanno la capitale del nuovo Califfato, grazie alla coalizione eterogenea anti omayyade. Il Califfato, in realtà già in periodo Omayyade, assumerà le caratteristiche degli imperi Orientali con carica ereditaria. La nuova capitale era Baghdad, il cui nome originario era Madinat al- Salam (Città della Pace), fondata nel 762 con un criterio particolare (la cosiddetta città rotonda); l'autorità del califfo si estende sotto il controllo dell'interpretazione del Corano. All’interno della nuova capitale gli Abbasidi avviarono una politica che utilizzò anche l'aspetto più specificamente culturale, dove i Califfi sponsorizzavano lo studio e la recezione di altre culture (come accentramento dei poteri nelle mani del califfo) che affiancarono le scienze e il sapere islamico e, in questa operazione, ci fu anche la filosofia greca. L'operazione di recezione non avvenne in maniere passiva, infatti nel recepire questo sapere filosofico, ci si appropriava di strumenti di natura dialettica e in particolare un ruolo fondamentale assunse la figura di Aristotele e la Logica Aristotelica, tanto che viene considerato come primo maestro. Questi strumenti dialettici davano la possibilità agli arabi di poter dibattere non solo coni capi di altre religioni, ma anche di dibattere e discutere nella propria comunità. * La dinastia Abbaside venne sconfitta dai Mongoli nel 1258 con la presa di Baghdad. È vero che il califfato Abbaside durò circa cinque secoli, ma già a partire dal X secolo il loro controllo cominciò a dare segni di cedimento poiché la dinastia perse il controllo su regioni fondamentali (es. La Spagna, col ritorno Omayyade sul territorio, e l'Egitto). Il primo periodo del Califfato Abbaside venne anche considerato come ‘Epoca d’oro della civiltà arabo-islamica’, inoltre alcuni Califfi sponsorizzavano un movimento di traduzione di opere. Questo periodo di traduzione va dall'VIII al IX secolo (II e III secolo dell’Egira). Ci fu un lavoro di sinergia tra musulmani e cristiani durante la traduzione di opere dal greco poiché non vi erano traduzioni dirette dal greco all’arabo. Importantissima in questo contesto la Casa della Sapienza (bayt al-hikma).Il nome di questa istituzione, che svolse la funzione di una vera e propria biblioteca, è da collegare al fatto che fu al suo interno ci fu la traduzione di tutte le opere del sapere scientifico e filosofico. Sotto gli Abbasidi, il bayt al-hikma, svolse una funzione diversa e, in particolare, il nome di questa istituzione è legato al Califfo al Ma’mun che, salito al potere nell’813, viene considerato il fondatore del bayt al-hikma e passa alla storia perché ad un certo punto prende una decisione importante riguardo all'elezione della dottrina Mutazilita quale dottrina di stato. Per motivi di natura politica e personale, al-Ma’mun attiva, infatti, una politica filo-sciita/filo-mutazilita e una delle spiegazioni plausibili riguardo questa decisione è l’aiuto da parte degli sciiti durante la contesa del territorio con Harun al-Rashid, dove al- Ma'mun ebbe la meglio. Nell'833 dichiara la Mutazila dottrina di Stato. Mutazila - al jineJl è una vera e propria scuola teologica nata agli inizi dell'VIII secolo, alla fine del periodo Omayyade, in Iraq, a Bassora. È espressione di un tipo di teologia speculativa che fece in modo che i suoi esponenti fossero definiti in maniera spregiativa da parte degli oppositori, che non ritenevano legittimo l'utilizzo della speculazione della ragione, col termine ‘Razionalisti dell'islam’. Il fine di questa scuola era quello di spiegare le questioni teologiche e Dio attraverso degli assiomi razionali, non era portato a screditare il Dogma della fede (come affermavano gli oppositori), ma era portato a rafforzarlo cercando di dare spiegazioni razionali. Di fatto, il ricorso alla ragione aveva uno scopo apologetico e difensivo nei confronti della religione islamica. Etimologia del nome + È complesso identificare l’origine di questa scuola e del suo nome a causa della scarsità delle fonti. Quest'ultimo in particolare non era ‘Mutazila’, ma madhab al-atizal Jjil , scuola della secessione. Per indicare l'Islam maggioritario parliamo di sunnismo, (ortodossia) e per indicare l’Islam minoritario parliamo di sciismo (eterodossia). Secondo l'Islam maggioritario sunnita, i teologi Mutaziliti si erano allontanati e dissociati dalla dottrina pura e ciò giustificherebbe la coniazione del termine madhab al-atizal. Vi è poi un’altra ipotesi che è stata formulata riguardo la nascita di quel termine, e cioè che esso sarebbe legato all’allontanamento da parte di alcuni dei primi mutaziliti dal mondo terreno e dalle passioni per vivere come i primi asceti. Colui che si ritiene essere il fondatore della Mutazila è Wasil Ibn ‘Ata’ - sUne 4 ls. morto due anni prima del crollo della dinastia omayyade, nel 748, discepolo di colui che è ritenuto maestro del sufismo e uno dei primi asceti: Hasan al-Basri. È probabile, dunque, che anche il termine tazala è legato a quel volersi isolare dal mondo. Ancora un’altra ipotesi è invece tramandata come aneddoto: nel corso di una discussione riguardo a come considerare un musulmano che aveva commesso un grave peccato, Wasil Ibn ‘Ata’ espresse un parere diverso da quello degli altri (in particolare da Hasan al-Basri) e subito dopo si allontanò fisicamente dal gruppo. Si racconta che poi, uno degli astanti, probabilmente lo stesso Hasan, avrebbe detto “Wasil oggi si è dissociato da noi” e sarebbe proprio da quel termine, in arabo tazala, che nacque poi la ‘Mutazila’. Quasi sempre le denominazioni di una dottrina vengono attribuite dall'esterno, mentre dalle fonti primarie si evidenzia che i mu'taziliti preferivano definirsi “quelli della giustizia”, in nome di Dio che è suprema giustizia, e rappresenta uno dei principi della scuola mu'tazilita. In origine sarebbe stato in virtù della giustizia divina che avrebbero costruito la loro dottrina. (ahl al-adl). In quanto suprema giustizia, Dio non può giudicare che in modo giusto ed è opportuno che all'uomo venga riconosciuta la responsabilità morale dell’atto che compie. La scuola Mutazilita sorge a Bassora, ma presto fu costruita una nuova scuola anche a Baghdad. Quest'ultima si dedicò soprattutto a questioni di natura pratica mirando ad estendere sempre di più la sua influenza sul califfato, cosa che riuscirà a fare perché attraverso il Califfo al-Ma’mum. La dottrina Mutazilita si declina attraverso 5 principi: 1.Tawhid: unicità di dio. 2.‘Adl: giustizia. 3. Al-Mazila bayna al-manzilatayn: stato intermedio. 4. Al- Wa'd wa'l-wa'id: promessa del Paradiso e minaccia dell'Inferno; 5. Al-Amr bi’l-ma’ruf wa'l-nahy ‘an al-munkar: ordinare il bene e vietare il male. La Mutazila affronta tali questioni con un metodo razionale per rafforzare questi temi. Nell’Islam esistono peccati piccoli e peccati gravi e la Mutazila si interrogava proprio su quest’ultimo. Quindi, i motivi che avrebbero determinato la formazione di questa scuola erano legati alla questione che la comunità islamica aveva vissuto da subito dopo la morte del profeta Muhammad e che aveva manifestato tutto il suo spessore nello scontro di Siffin. La questione che si era posta alla base dello scontro era quella di come considerare un musulmano (tra l’altro, califfo) nel caso in cui questo non avesse rispettato uno degli obblighi essenziali della religione. Questa discussione venne affrontata all’interno del circolo di Al-Basri: come qualificare un musulmano reo di un peccato capitale (Kabir, peccato capitale)? I kharigiti definivano il musulmano gravemente peccatore, un kafiîr -_y9S che veniva o espulso dalla comunità, o combattuto, o messo a morte, anche nel caso di un califfo. Nel momento in cui si espelle un musulmano, egli non ha più una serie di diritti. Quest'ultimo inoltre, oltre ad essere condannato sulla terra, era condannato anche nell’aldilà. D'altro canto Hasan al-Basri e il circolo di Bassora, preoccupati dalle lacerazioni che una situazione simile potesse portare, soprattutto se a commettere un grave peccato fosse stato un Califfo, per cui la comunità avrebbe perso la sua guida, non solo la sua integrità, affermarono che il musulmano colpevole di peccato non poteva essere considerato kafir. Al-Basri sosteneva che poiché solo chi non teme Dio pecca, allora colui che commette un grave peccato è da considerarsi un munafiq - &9Lie (ipocrita). L'accusa di ipocrisia non comportava l'espulsione dalla comunità e si prospettava uno status diverso. Il musulmano era un’ipocrita, restando sempre nella comunità, e nell’aldilà il giudizio sarebbe spettato a Dio. Wasil Ibn ‘Ata’ si dissociò e sostenne che il musulmano reo di peccato viveva una condizione ibrida dove da un lato era musulmano e dall'altro era un peccatore. Il termine che utilizzò fu fasiq - gawlò , peccatore empio. Anche in questo caso, l'accusa di fasiq non estrometteva il musulmano dalla comunità ma, a differenza di quello che sosteneva al-Basri, nell'aldilà avrebbe indubbiamente meritato l’inferno eterno. Tutti questi sforzi erano finalizzati a salvaguardare l’integrità della comunità, soprattutto se il peccatore fosse stato il Califfo, ma bisognava salvaguardare anche la parola di Dio. Si parla di ‘situazione intermedia’ (questo postulato diventerà uno dei 5 perni della Mu'tazila) per il musulmano peccatore, il quale restava sempre nella comunità mentre aspettava il giudizio di Dio nell'aldilà ed era metà musulmano e metà peccatore. 1.Il concetto di tawhid (unità e unicità) era interpretato dai mu'taziliti in maniera totale e assoluta. I mutaziliti erano preoccupati di salvaguardare l’unità e l'unicità divina. Il problema era collegato al fatto che Dio si descrive nel Corano. Anche influenzati da strumenti epistemologici che provenivano da altre culture (come la filosofia greca), alcuni teologi della mu'tazila cominciarono un dibattito sui nomi e sugli attributi del Corano. L'uomo è legittimato a parlare di Dio? La comunità islamica decise che era legittimo parlare di Dio, poiché nel Corano c’erano gli strumenti e i nomi per poterlo fare. I mu'taziliti affrontarono questo discorso utilizzando strumenti dialettici per rafforzare il discorso religioso, gli avversari tradizionalisti (i muhafizuna, quelli che erano legati alla lettera della rivelazione) ritenevano che fosse pericoloso usare la ragione perché si mirava alle fondamenta della religione. Nel Corano, vi sono degli attributi antropomorfi riferiti a Dio: vedente, parlante, sapiente... sulla base di questa considerazione, i mu'taziliti operarono sui versetti antropomorfici un'interpretazione allegorica, anche perché il Corano stesso differenzia dei versetti inequivocabili e dei versetti che necessitano di un'interpretazione (mutashabihat). Dal punto di vista mu'tazilita, era lecito poter interpretare, perché in caso contrario c’era il pericolo che si potesse elevare l’uomo al livello di Dio, o far scendere Dio al livello umano. Questi attributi erano da considerare come modi dell’essenza di Dio che è una e unica. Nelle loro dissertazioni i teologici mu'taziliti utilizzano termini presi in prestito dalla grammatica araba: ahwal (dall'avverbio di stato o modo “hal”) ovvero i modi di essere di Dio, ai quali non bisogna riconoscere indipendenza da Egli perché c'è il rischio di incorrere nel politeismo, visto che si presuppone l’esistenza di nomi ed entità equiparabili a Dio. Solo ciò che eterno è divino, quindi queste presunte entità avrebbero dovuto condividere con Dio la divinità. Da parte loro, imuhafizuna attaccarono i mu'taziliti poiché avevano negato gli attributi di Dio e > Perchè prima nonsi sentiva l'esigenza di tradurre? La traduzione di buona parte del patrimonio greco si registra durante l'epoca abbaside. Durante la dinastia Omayyade , si sente la necessità di tradurre soprattutto opere di carattere burocratico - amministrativo, per il crescente bisogno di dotarsi di strumenti che garantissero una gestione corretta del califfato > Ad esempio, Abd al-Malik avviò un processo di riforma amministrativa attraverso l'introduzione dall'arabo come lingua ufficiale, il conio delle prime monete, la formazione dell'esercito, etc. Esisteva anche una letteratura nota come “lo specchio dei principi”, ovvero trattati che davano indicazioni alla classe regnante. La situazione storica era sicuramente diversa ma alcuni studiosi hanno sottolineato anche il disinteresse verso alcune discipline - come la filosofia che era stata vista con grande sospetto in contesto cristiano, perché poteva minare la base della fede -.Gli omayyadi avevano assorbito quella diffidenza che i bizantini avevano nutrito verso la filosofia. Già prima dell'Islam, l'imperatore Giustiniano aveva decretato la chiusura delle scuole filosofiche di Atene e Alessandria poiché risultavano essere pericolose per il discorso religioso. Questo determinò, in epoca Omayyade, l'interesse per discipline diverse. Durante l'epoca Abbaside, si sposta l'attenzione anche su altre discipline, non coraniche o islamiche. L’assimilazione del pensiero filosofico non avvenne in maniera acritica: dopo la traduzione, il pensiero originale fu sottoposto ad una riflessione islamica, quindi non poteva non essere influenzato dall'aspetto religioso. Sebbene molti problemi filosofici fossero in collegamento con il Corano, l'insufficienza della lingua araba dell'epoca non permetteva di esprimere tali concetti in modo teoricamente corretto. Da qui, la necessità di dotarsi di un linguaggio tecnico, che si sarebbe sviluppato nei secoli successivi, e di strumenti che permettevano una corretta argomentazione, strumenti che saranno ricavati dalla cultura greca. Quindi, era necessario sviluppare una dialettica per comunicare alla pari con gli esponenti delle altre religioni e con i membri della comunità islamica riguardo questioni interne alla religione. Tra i primi testi di filosofia greca tradotti abbiamo "I Topici" di Aristotele , che insegnavano l'arte di argomentare su una base sistematica, in modo da rendere probanti le proprie argomentazioni e impostare in maniera corretta una discussione per dibattere una tesi. La traduzione dell'opera venne richiesta dal califfo al-Mahdi che avrebbe chiesto aiuto al cattolico Timoteo L L'attività di traduzione del periodo registra una sorta di partecipazione attiva tra cristiani e musulmani. I testi dal greco non venivano tradotti direttamente in arabo, ma veniva utilizzata una lingua ponte, in questo caso la lingua siriaca che per motivi liturgici era nota ai cristiani. Nella prima generazioni di traduttori ci furono molti cristiani. Ci furono anche eccezioni, ad esempio alcuni traduttori conoscevano molto bene il greco quindi ci sono testimonianze di traduzioni diretta dalla lingua greca alla lingua araba. Tra inomi più importanti ricordiamo Hunayn Ibn Sahaq , iracheno, era un medico e si dedicò allo studio di opere di medicina. I traduttori quindi a loro volta erano persone erudite in vari ambiti. Egli conosceva bene il greco imparato ad Alessandria, e ne conosceva anche la cultura. Vari aspetti culturali secondo lui dovevano essere tenuti in considerazione per comprendere al meglio la lingua. Le traduzioni avvennero quindi, in un primo momento, parola per parola e questo rese il tutto più complesso; successivamente si cambiò metodo: si leggeva nella lingua di partenza il testo, lo si comprendeva e lo si riportava nella lingua di arrivo. Vi era un problema però di tipo pratico siccome alcune parole presenti nella lingua greca, in arabo non esistevano: un esempio è la parola “filosofia”. IMPORTANTE: Gli arabi quindi rendono il termine in arabo tramite un calco linguistico, e il termine così ottenuto fu falsafa - aguulell, ma con il passare del tempo il termine venne reso con la parola hikma - aoS>JI, dire sapienza. Perciò con il termine falsafa si passò ad indicare un tipo di riflessione rimasta legata alla tradizione greca (filosofia aristotelica), con hikma si indicava invece una riflessione islamica in cui la sapienza era illuminata dalla rivelazione/scrittura coranica, una teosofia. La lingua araba, attraverso il fenomeno delle traduzioni, completa il suo sviluppo linguistico. Quindi inizialmente furono usati dei calchi. Altre volte vi furono anche delle forzature culturali, per esempio parlando della poetica di Aristotele, nel caso di “commedia” e “tragedia” vi sono due termini: -Madîh - x, encomio = tragedia ------------------------- -Hija', sl» satira = commedia Sono termini che caratterizzavano la qasida, un componimento poetico di epoca pre-islamica scritto con una struttura fissa ed il fine era encomiare la propria tribù o screditare il nemico. Quindi questo è un esempio di forzatura culturale, per cui si usano dei termini che nel contesto culturale di arrivo non si adattano precisamente al contesto culturale di partenza. Un altro esempio riguarda il principio di “odio”, “lotta” che in greco è neikos e in arabo lo si ritrova scritto con il termine gahar , che viene però tradotto come vittoria. Appare contraddittorio. Gli studiosi hanno infatti individuato un errore nei dizionari di provenienza bizantina (che venivano usati per realizzare le traduzioni in arabo), e la parola neikos fu trascritta senza la “e” ossia nike. Nike in greco significa infatti vittoria. In alcuni casi quindi si è riusciti a dare una spiegazione alle traduzioni sbagliate. Diversa è la questione delle interpretazioni dei concetti, c'erano delle motivazioni che richiesero una rilettura di alcune dottrine filosofiche. Buona parte di queste traduzioni è dovuta alla “casa della sapienza” (AeSaJI cus). Solitamente questa istituzione è legata al califfo al-Ma’mun seppure è stata ritracciata un’origine di questa struttura già in epoca persiana sasanide. Alcune strutture vennero riutilizzate e divenne prima una sorta di biblioteca privata del califfo e successivamente un’accademia dove si svolgeva buona parte delle traduzioni, in aggiunta si sviluppò un vero e proprio movimento di traduzione con la creazione di circoli. Dal punto di vista sociale nasce una nuova professione, quella del traduttore, che passa anche di padre in figlio. Vari ambiti del sapere vennero analizzati ed approfonditi (non solo l'ambito filosofico), ad esempio si traducono testi greci di matematica (Pitagora), testi di medicina (Galeno ed Ippocrate), di astronomia (Tolomeo). Gli arabi musulmani per molto tempo hanno fatto scuola nell’ambito della medicina. Un contributo fondamentale è quello del filosofo e medico Abù Bakr ibn Zakariyya al-Razi - adxo ySgl sil sb; che scrive due opere voluminose di medicina tradotte in latino da Gerardo da Cremona, come il Kitàb al-Mansari, e il Kitab al-hawi. Egli è stato il medico che ha individuato e differenziato il vaiolo dal morbillo. Il contributo è importante anche nell’ambito dell'astronomia e dell’aritmetica, e non è un caso che i nostri numeri siano numeri arabi .Per la filosofia un ruolo fondamentale è riconosciuto soprattutto ad Aristotele in quanto la sua logica consentiva ai musulmani di poter avere sul piano dialettico un rapporto paritario con le altre religioni monoteistiche e consentiva di poter argomentare su base sistematica le questioni all’interno dello stesso islam. La prima opera aristotelica tradotta fu una di Logica. Al-Ma'mun fu colui che più di ogni altro si attivò per il recupero del sapere scientifico e filosofico; le fonti parlano di lui come una persona colta ed erudita. Per giustificare il recupero delle dottrine filosofiche viene messa in giro la storia secondo la quale il califfo avrebbe preso questa decisione dopo che egli aveva sognato Aristotele. Al-Ma’mun vede seduto vicino al suo letto quest'uomo (descritto come un uomo dall'aspetto dignitoso, stempiato, occhi azzurri e rossiccio di carnagione) e al-Ma'mun gli fa una domanda: Chi sei? Man anta?. Aristotele risponde: Ana Aristotele. Al-Ma'mun lo chiama saggio e gli chiede: “cos'è il bene?” ma al-hasan? Ed Aristotele risponde: “è bene ciò che è bene per l'intelletto, è bene ciò che è bene per la legge (la chiama Shari'a) ed è bene ciò che è bene per il popolo”. L'ultima raccomandazione è quella di custodire il tawhìd. Attraverso questo racconto si riserva al califfo il dominio e l'autorità su questi 3 aspetti ma anche su quello culturale. Queste discipline scientifiche tradotte non provengono solo dalla Grecia ma anche dalla Persia (come la medicina) e l'assimilazione di questo pensiero non avvenne in maniera acritica. Anche i filosofi (cIguulrdl )rimasti ancorati alla tradizione greca come al-Farabi - a sul yU@J. erano di origine persiana: inoltre un tentativo che faranno tutti questi filosofi è quello di cercare di unire il pensiero di Aristotele e Platone. Al Farabi scrive un’opera che ha un titolo lunghissimo, in cui dice che questo libro dimostra la perfetta coincidenza delle opinioni dei due sapienti, che chiama “hakinaini”. Col passare del tempo i discepoli di questi filosofi avrebbero interpretato in maniera diversa le dottrine dei loro maestri ma la ricerca della verità è quello a cui si è interessati. La filosofia come la religione mira alla verità, sono due strade diverse ma la meta è unica, e quindi unico sarebbe stato anche il pensiero. Con Al Farabi ci troviamo nel X secolo, un secolo in i arabi musulmani approntano un propri tema, la propria riflessione autenticamente islamica, e abbiamo dei contributi importantissimi anche nell’ambito delle altre discipline. Un'altra cosa molto importante è che attraverso le traduzioni è come se gli arabi avessero ripreso un discorso iniziato secoli prima dagli antichi sapienti della Grecia, quindi una sorta di dialogo diacronico che si è poi sviluppato nel tempo, una ricerca dell’eredità sul cosmo e sull'uomo. Le discipline che vengono coltivate, accanto a quelle tipicamente coraniche, assumeranno la connotazione di “scienze razionali” (prettamente scientifiche, come la filosofia, verranno definite ‘ulùm agliyya), mentre quelle legate al Corano sono dette “scienze trasmesse” (‘ulùm nagliyya). Queste : scienze non sono in contrapposizione l'una con l'altra, a anzi: Al Farabi tra le varie opere ne scrive allo sviluppo di una riflessione autonoma e quindi all’islamizzazione, si sviluppa anche la riflessione filosofica; ormai gran parte del patrimonio scientifico è stato tradotto ma si comincia anche a sistematizzare tutte queste scienze che approntano una sorta di programma di istruzione teso ad elevare a livello sapienziale l’uomo. Ma contestualmente l'elevazione sapienziale comporta un’elevazione spirituale in un contesto religioso: quanto più si coltiva, si approfondisce, si studia, tanto più ci si avvicina a Dio. Quindi pensiamo ad una scala piena di gradini: tutte le discipline, anche quelle che apparentemente sembrano non avere nulla a che fare con il discorso religioso, per esempio la matematica, l’aritmetica, contribuiscono ad avvicinarci a Dio, come dei gradini che lentamente ci portano verso la Verità. Questo spiega l'esigenza di creare questi percorsi, questi curricula che hanno una struttura particolare che richiama il modello tradizionale greco. Sulla base di questo schema vengono strutturati in questo periodo una serie di curricula, con scienze propedeutiche come la lingua, la grammatica, la logica. quindi una serie di scienze di preparazione; seguivano poi le scienze fisico-naturali e matematiche; poi quelle metafisiche. Alla fine di questa scala un’altra sezione che chiama “la scienza civile”, ovvero la Politica (il buon governo, che deve assicurare anche sulla terra la felicità e il benessere all'uomo, raggiungibile se si segue la retta via). Al Farabi scrive un’opera politica che ricorda in un certo senso la repubblica platonica, solo che lì Platone poneva a capo della comunità il filosofo mentre Al- Farabi vi pone l’imam. Alla fine di questo percorso viene quindi posta una disciplina che si poggia su due basi fondamentali, “fiqh” e “kalam”: si può parlare quindi di un retto governo se ci sono queste due cose. Sono discipline collegate al Corano: Il Figh è il diritto legato alla Shari'a, il kalam è la teologia. Quindi al Farabi, proponendo questo percorso di elevazione, in cui sono inserite anche le cosiddette scienze razionali, al di sopra delle scienze metafisiche parla di quelle che poi sono le scienze islamiche. I dispositivi dialettici che aveva utilizzato la mutazila verranno utilizzati da un altro teologo, che costituirà quella che in seguito verrà definita la teologia ortodossa (con ortodosso intendiamo la dottrina seguita dalla maggioranza dei musulmani, quella sunnita). Ricordiamo che il declino della Mu'tazila si deve alla decisione del califfo Al-Mutawakkil nell’anno 847 con cui intende ristabilire l'insegnamento ufficiale (il corano increato). Un contributo a questo declino lo dobbiamo ad un ex mutazilita, ovvero al teologo ASCIARISMO + Abu Hassan Al Ash’ari Sgr di. Nativo di Bassora, nasce nell’873 e poi muore a Baghdad nel 935, quindi vive a cavallo tra IX e X secolo. Apparteneva alla scuola mu’tazilita, ma, intorno al 912, prende le distanze da questa scuola. Le ipotesi formulate alla base di questo allontanamento sono varie: una di queste ipotesi è legata a questioni dottrinali e si pensa che lui non sarebbe stato più convinto di alcuni soluzioni proposte dal mutazilismo soprattutto in merito a come conciliare il libero arbitrio con la predestinazione (i mutaziliti, prendendo il discorso della qadariyya, credevano nel libero arbitrio, quindi l’uomo se non fosse stato libero di operare una scelta sarebbe stato ingiustamente giudicato). Alcuni invece collegano questa sua conversione al clima in cui vive e opera il teologo: ormai era stata conclusa la Mihna, quindi si era attuata una politica di ripristino della dottrina ufficiale e il mutazilismo era caduto in disgrazia quindi era anche probabile che Al-Ash'ari si fosse convinto che la dottrina non avesse più possibilità di ripresa. Per quanto riguarda i motivi personali, Al Alshari era uno dei migliori allievi del maestro della scuola di Bassora che si chiamava Al-Giubbai, e quando il maestro lasciò la direzione della scuola, lo fece a favore di suo figlio. Per quanto riguarda i motivi dottrinali, si racconta un aneddoto in cui Al Ashari avrebbe interrogato il suo maestro al Giubbai sul destino che era spettato a tre fratelli nell'aldilà: un fratello era stato ricompensato, essendo un bravo musulmano e credente, con il paradiso; un secondo fratello era morto in giovanissima età e posto in una sorte di limbo che non è né paradiso né inferno (perché i bambini sono incapaci di intendere e di volere); un terzo fratello che era stato un peccatore ed era stato destinato all'inferno. La domanda di Al Ashari era appunto come mai Dio non aveva consentito al secondo fratello di vivere più a lungo in modo da poter vivere come il primo fratello, in maniera virtuosa da guadagnarsi il paradiso e Al Giubbai avrebbe risposto che Dio sapeva (qui rientra il discorso dell’onniscienza di Dio) che sarebbe diventato un peccatore, quindi essendo misericordioso e non volendolo mandare all'inferno lo aveva fatto morire prima. Alla replica di Al ashari “ma perché allora ha consentito al terzo fratello che era un peccatore di vivere e di peccare?” Al Giubbai non seppe dare delle risposte. Quindi queste sono state altre motivazioni che hanno portato ad Al ashari ad allontanarsi dalla scuola mutazilita. Ricordiamo che nel portare avanti le sue argomentazioni, Al Ashari era mutazilita, ma la sua operazione mirava a sanare quella conflittualità teologica che aveva diviso la comunità, tra razionalisti e tradizionalisti attraverso una sorta di via media (nel modo in cui pone le basi del suo discorso, si evidenzia anche la sua capacità dialettica). In base alla capacità di impossessarsi dell’azione l’uomo può ritenersi responsabile ( ma questa capacità aveva un inizio e un fine). In questo modo Al-Ash’ari cercava di assicurare l’onnipotenza di Dio, la predestinazione, però doveva anche salvaguardare la giustizia divina. In conclusione > Al-Ash’ari per la questione dei nomi e degli attributi di Dio , afferma che essi non sono né Dio né altro al di fuori di Lui. Gli attributi presenti nei versetti antropomorfici sono reali, perché sono presenti nel Corano, ma non possiamo conoscere la loro modalità, bisogna credere che Dio parla, sente, vede. Come Egli lo fa non è argomento di cui si può discutere perché trascende la capacità umana ed è qui che scatta la forma del ‘bila kaifa'- <àxSYL: credere senza chiedersi come. > Relativamente alla questione della Parola di Dio, che è legata al Corano non diciamo né che è creato e né che è increato. Dobbiamo operare una distinzione: Dio per rendere intelligibile il suo messaggio si è servito di suoni e di parole che sono stati creati, appunto per rendere comprensibile la sua Parola, quindi sotto questo aspetto il Corano potrebbe essere considerato creato; ma è anche vero che questo Corano è il riflesso della madre dell’ Umm al-kîtab, la Parola di Dio è ovviamente Eterna, in questo caso Al-Ash’ari spiega come sia possibile la convivenza di due tendenze totalmente opposte. L'uomo non è considerato creatore del proprio atto, altrimenti ci sarebbe una collisione tra l’atti divina e quella dell’uomo. L'uomo ha una capacità innovata attraverso la quale acquisisce ( lis ) l’azione e quindi egli è responsabile della propria azione. Quindi Dio è l’unico agente, l ‘uomo diventa meritevole del castigo o della ricompensa in qualità di acquisitore (ife muktasib). Cona dottrina del ‘bila kaifa' uh Al-Ash'ari è come se giungesse a un agnosticismo razionale, adottando uno stratagemma che risponde a esigenze spirituali piuttosto che razionali. La portata della sua dottrina consisterebbe proprio nella metodologia attraverso la quale si giunge alla soluzione e alla sua teoria. 7.Sunniti e Sciiti > Differenze tra Sunnismo e Sciismo e caratteristiche fondamentali riconosciute all’imam. SCONTRO DI SIFFIN + ‘Ali venne eletto Califfo e il suo sarà un califfato breve e molto turbolento anche perché, prima della battaglia di Siffin, c'era stata la famosa Battaglia del Cammello dove alcuni compagni del profeta, appoggiati da una delle mogli del Profeta ‘Aisha (che viene spesso nominata negli hadith), cercarono di contrastare la legittimità di Ali. Questa battaglia è chiamata in questo modo poiché le fonti affermano che ‘Aisha assistette alla battaglia sul dorso di un dromedario dentro un baldacchino per poi essere scortata a Medina. Dopo la battaglia ‘Ali si spostò da Medina a Kufa, in Iraq, per motivi strategici. Seguì poi la battaglia di Siffin e lo scontro vide protagonisti ‘Ali e Mu’awiyya. Non furono solo i compagni del Profeta e una delle mogli a contestare la legittimità di ‘Ali ma anche i membri del clan di ‘Othman, tra cui Mu’awiya che a quel tempo era governatore della Siria. L'avversione era nata poiché si ipotizzava che ‘Ali fosse coinvolto in maniera più o meno diretta con l’uccisione del Califfo ‘Othman, che avvenne dopo un periodo di rivolte causate da una sua politica discriminatoria che determinava una differenza tra arabi musulmani e musulmani non arabi che in quanto musulmani dovevano godere degli stessi diritti degli altri. Alcuni addirittura sostennero che ‘Ali ne fosse il mandante. Di conseguenza, Mu’awiya, il governatore della Siria, mosse il suo esercito contro ‘Ali e si incontrano nella piana di Siffin, sulla riva del medio Eufrate, in Mesopotamia (attualmente corrisponde all'Iraq). Resosi conto dell’inferiorità numerica del suo esercito, Mu'awiya riuscì ad ottenere una tregua. Alcuni ritengono che abbia fatto ricorso ad uno stratagemma (ma non lo sappiamo con certezza): mettere le pagine del Corano sulle lance, imponendo la cessazione dei combattimenti. N.B: se ‘Othman non avesse assunto in maniera corretta il ruolo di Califfo, sarebbe stato lui a perdere la legittimità e anche se fosse stato ucciso, il suo assassino sarebbe stato “giustificato” poiché non era più da considerare musulmano, ma un miscredente. A questo punto Mu’awiya ottenne una sorta d’istituzione di tribunale con 2 arbitri (uno eletto da ‘Ali e uno da Mu’awiya) che dovevano esprimersi riguardo la questione. I sostenitori di ‘Ali, nel momento in cui egli prese la decisione di assecondare Mu'awiya, si costituirono come partito di ‘Ali sotto il nome di shi‘at ‘Ali, da cui proviene il nome di Sciiti (il loro movimento si costituirà ufficialmente nel 657 come conseguenza dello scontro di Siffin); coloro che non condividevano la decisione di ‘Ali di accettare l’arbitrato, espressero il loro dissenso dissociandosi da ‘Ali, e diventano Kharijiti. Presero le distanze, fuoriuscirono (uscire: kharaja ; kharaja ‘ala: uscire allo scoperto) e lo stesso ‘Ali prese dei provvedimenti nei loro confronti portando avanti delle battaglie. Fu proprio in una di queste che il Califfo ‘Ali venne ucciso per mano di un Kharijita nel 661. Alla luce dei fatti avvenuti in seguito allo scisma di Siffin, ‘Ali rappresenta il primo imam riconosciuto dagli sciiti di tutte le tendenze. Tendenzialmente i musulmani di confessione sciita rappresentano tra il 10 e il 15% della popolazione musulmana; sono raggruppati prevalentemente, ma non solo, in Iraq, Iran e in Libano. La principale caratteristica di differenziazione tra Sunnismo e Sciismo è il ruolo che viene riconosciuto all’imam. La figura dell’imam è presente anche nel sunnismo, dove però rappresenta soprattutto la persona che guida la preghiera comunitaria del venerdì (una persona preposta a questo compito che si pone davanti ai fedeli per poi fare le preghiere ed infine tenere il sermone). Dunque è una funzione molto limitata che è legata alla sfera spirituale-religiosa. All’interno dello sciismo, invece, la presenza dell’imam e di questa funzione molto importante è scaturita in primo luogo nel Corano. Ovviamente le loro rivendicazioni poggiano sempre sul dato coranico proprio perché possa esserci una legittimazione; per quanto riguarda la figura di ‘Ali che è il primo di una serie di imam (pl. fratto ‘aimma) la rivendicazione degli sciiti subito la morte del Profeta di riconoscere ali quale suo legittimo guida si basava anche sul fatto che ‘Ali fosse cugino e genere del Profeta, dunque vi era un rapporto di consanguineità che rendeva e faceva di ‘Ali uno dei membri della cosiddetta gente della casa (cal dal) sla famiglia del Profeta. [[Nel contesto sciita, questa cul dal coincide con un’altra espressione che ricorre nel Corano (e che in italiano è tradotta con “la gente del mantello” 3 Luudll dal ahl al-qisa, dove rientrano oltre al profeta Muhammad anche il cugino e genero ‘Alli, la figlia Fatima e i loro figli: al-Hasa e al-Husayn. ["Del mantello" perchè il Corano evoca questa immagine in merito ad un evento verificatosi intorno al 9-10imo anno dell'egira ovvero quando il Profeta avrebbe accettato di sottoporre a giudizio divino alcune verità di fede confrontandosi con una delegazione di cristiani. Le verità di fede erano quelle relative alla divinità di Gesù e al dogma della Trinità; quindi, si sarebbe dovuta svolgere una sorta di contesa (mubarahna) a cui alla fine la delegazione cristiana non partecipò, disertando questo incontro/confronto. Il Profeta dunque, insieme alla sua famiglia, in attesa che si presentasse la delegazione cristiana, per proteggersi dal caldo, aveva steso fra due rami di un albero il suo mantello ed avrebbero sottoposto a questa dicitura il gruppo appena citato. (ovvero nucleo della famiglia del Profeta)]]. Fermo restando che ‘Ali sarebbe stato designato dal Profeta una serie di volte, come riferiscono tra l’altro alcuni racconti sunniti, per gli sciiti sarebbe stata una vera e propria designazione nel corso dell'ultimo pellegrinaggio che il Profeta compì alla Mecca prima di morire (non a caso viene anche ricordato come il pellegrinaggio dell’Addio). Di ritorno dal pellegrinaggio, nel corso di una sosta, nei pressi dello stagno ( 45%) di ‘Umm, tra Mecca e Medina, il profeta Muhammad avrebbe, davanti alcuni testimoni, paragonato egli stesso a Mosè e ‘Ali ad Aaronne. Questo evento è ancora presente nel calendario religioso sciita e viene celebrato il aghir al-umm (?) ovvero il giorno in cui il Profeta avrebbe investito ‘Ali come guida e un altro evento che testimonierebbe secondo gli sciiti la volontà precisa del Profeta di designare quale suo successore ‘Ali era stato il fatto che sempre qualche tempo prima di morire il Profeta dovendo lasciare Medina per alcuni giorni aveva lasciato come suo delegato a rappresentarlo, a Medina, proprio ‘Ali. Quindi ci sarebbero state una serie di eventi che avrebbero, secondo i Sunniti, un significato di profonda stima e rispetto che il Profeta nutriva per ‘Ali (del resto quest’ultimo viene nominato ultimo Califfo)_i quali però non interpretano questi avvenimenti come una precisa volontà del Profeta di nominare come successore e guida della comunità. Stabilita e legittimata la funzione dell’imam, dove nel Corano ci sono dei versetti che sembrano alludere ad una diversificazione di funzioni, gli sciiti riconoscono quindi all‘imam (il primo è Ali) questa carica tramandata da padre in figlio, (quindi ‘Ali e i suoi discendenti a partire da al-Hasa e al- Husayn); l’imam svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’interpretazione del vero significato della scrittura. È lui che conosce il senso nascosto della rivelazione perché partecipe di una prerogativa che lo differenzia dagli altri uomini ma che lo accomuna al Profeta. /il Profeta è considerato partecipe dell’ ‘ism, cioè è esente da errore e da colpa > per cui questa peccato in tutto l’islam (dunque la tagia è regolata da precise norme che in alcuni casi la vietano esplicitamente ovverosia quando il ricorso alla tagiyya potrebbe incoraggiare la corruzione della religione o comportare danni a terze persone; in questi casi è assolutamente vietata). Principali correnti dello sciismo. Ovviamente tutte quante riconoscono la centralità della figura dell'imàm, indispensabile non solo per guidare la comunità, e quindi ha anche delle funzioni politiche fondamentali, ma deve assicurare alla comunità la salvezza. Il movimento sciita al suo interno registra una serie di divisioni e fratture determinati nella maggior parte dei casi dalla questione di illegittimità, del riconoscere un imam piuttosto che un altro. Da ricordare che un’altra caratteristica legata alla figura dell’imam è quella che questo non possa essere eletto; se non è eletto, deve essere designato. In contesto più specificamente sunnita, l’imam esiste ed è colui che guida la preghiera, ma non ha nessuna prerogativa di carattere politico, esegetico. L’imam è colui che si pone davanti ai fedeli soprattutto il giorno della preghiera comune che è il venerdì, e poi ha come compito quello di tenere il cosiddetto sermone. Sono delle funzioni totalmente diverse da quelle riconosciute dall’Islam sciita. Appunto perché l’imàam ha delle prerogative non può essere eletto ma deve essere designato; questa pratica è nota con il nome di nass. Il profeta Muhammad, secondo gli sciiti, avrebbe designato ‘Ali. Inoltre gli sciiti rammentano due episodi: uno viene ricordato come celebrazione religiosa, il giorno del Ghadir Khumm (una località fra Mecca e Medina) che viene celebrato il 18 del mese di Dhù l-hijja gò anal - mese del pellegrinaggio); di ritorno dal pellegrinaggio, il profeta avrebbe detto delle cose che vengono considerate dagli sciiti come una designazione pubblica. Per la maggior parte dei musulmani sunniti questo evento viene riconosciuto come un evento storico ma viene interpretato in maniera diversa. Sicuramente il profeta provava molto affetto nei confronti di ‘Ali, cugino e genero, aveva molta stima delle sue capacità ma secondo la maggioranza dei musulmani quelle parole erano soltanto espressione di questi sentimenti ma non di una designazione. Inoltre, riagganciandosi alla questione dell’adulterazione del Corano, secondo gli sciiti quando si giunse a determinare il testo come vulgata di Uthman si sarebbe operata una sorta di cernita e di passi da omettere. Quindi il Corano avrebbe contenuto, oltre ai passi che attualmente contiene, dei passi in cui non c'erano delle allusioni alla designazione della nomina di ‘Ali, era proprio detto in maniera chiara. Passi in cui, in maniera inequivocabile, sarebbe stato designato ‘Ali a guidare la comunità. Ovviamente, il successore dell’imàm deve essere designato dal padre per il figlio; questa discendenza di imam (al plurale, a'min) viene legittimata dal Corano (in quei passi non più presenti nel proprio interno) ma anche da quello che il profeta avrebbe fatto con questa designazione di ‘Ali. Un’altra caratteristica che deve avere l’imam, oltre alla stessa caratteristica che ha il profeta, cioè quella di ‘isma, che denota l’imàm come impeccabile e infallibile, è quella che riguarda la famiglia del profeta, cioè l’imàm deve appartenere alla famiglia del profeta (ahl al-Bayt). Il concetto della famiglia del profeta è un concetto molto elastico, perché molti vi inserivano al proprio interno diversi membri (chiamata anche “gente del mantello” + ahl al qisa' evocando un evento ricordato anche nel Corano in maniera implicita). Di questo nucleo faceva parte la figlia del profeta, Fatima, che sposa ‘Ali e i loro figli, al-Hasan e al-Husayn; a partire da questi, dopodiché, ci sarebbero stati altri discendenti. (ricapitolazione). Dopo la tragica morte di al-Husayn, la maggior parte degli sciiti seguirono i discendenti di questo piuttosto che quelli di al-Hasan. Tanto è vero che poi si parla di discendenza Alide, cioè quelli che discendono da ‘Ali, e del ramo Husaynide, i discendenti di al-Husayn, secondogenito di ‘Ali e Fatima, e nipote del profeta. Anche all’interno dello sciismo si sono verificate delle fratture. La maggior parte dei casi si trattava di questioni legate ai problemi di successione; in altri casi, per esempio, si trattava della strategia da utilizzare per opporsi a dei poteri o dei califfi considerati usurpatori, ove alcuni sostenevano che bisognava opporsi ricorrendo alle armi ma altri sostenevano e optarono, soprattutto agli inizi, una politica di tipo quietista. Preferivano accettare almeno formalmente il califfo in carica però portando avanti una forma di dissenso dottrinale. La questione delle divisioni sarebbe stata preconizzata dallo stesso profeta Muhammad (“setta” in arabo “firqa - Lò 419”; è un sostantivo con cui si intende un gruppo di qualunque tipo. Volutamente tutti questi gruppi che si sarebbero poi formati, vengono nominati come firqa, pl. firaq). Solo uno di questi gruppi si salverà però non viene specificato quale. Dopo l’uccisione di ‘Ali (661) da parte di un Kharijita che voleva vendicare la morte dei suoi familiari nella battaglia di Siffin (i Kharijiti erano in precedenza dei sostenitori di ‘Ali che non avevano sostenuto l’arbitrario con Mu’awiya), gli succede il figlio al-Hasan e viene riconosciuto come legittimo successore però al-Hasan ad un certo punto, a differenza del padre, preferisce adottare un atteggiamento politicamente parlando quietista: preferisce non prendere le armi. Quando Mu'awiya viene riconosciuto come califfo e dà inizio alla dinastia degli Omayyadi, c'è un riconoscimento formale che viene siglato attraverso un patto tra i due. (avendo fatto una serie di valutazioni, al-Hasan preferì riconoscere formalmente la nomina di Mu’awiya a califfo, un riconoscimento formale fino a quando Mu'’awiya morì nel 680. Mu’awiya, nonostante il patto siglato, non sentendosi garantito da quest’ultimo, attraverso cui la comunità sciita comunque lo riconosceva formalmente, diede ordine di uccidere al-Hasan il quale sarebbe morto per avvelenamento). La disegnazione passò al secondo genito di Fatima, al-Husayn, il quale, seguendo l'esempio del fratello, almeno inizialmente decise di non intervenire. Nel frattempo, soprattutto le comunità sciite di Kufa e di Bassora non si sentivano più vincolate al patto siglato; (quel patto era vincolato alla persona di Mu'awiya, che adesso era morto). Nel momento in cui sale al potere il figlio di Mu’awiya, Yazid , una parte consistente degli sciiti iracheni comincia ad attivarsi, anche dal punto di vista militare, per opporsi a questa designazione. Scoppiano delle rivolte; gli sciiti fanno appello ad al-Husayn e chiedono lui di unirsi a questa lotta. In un primo momento al-Husayn non risponde a questi inviti pressanti, fin a quando sente la responsabilità (visto che erano delle battaglie sanguinose) di intervenire militarmente sempre nel 680. Parte alla volta dell'Iraq con un seguito ci circa 70 persone però il tentativo di rivolta degli sciiti era destinato a fallire, perché coloro che in un primo momento avevano chiesto ad al-Husayn di capeggiare la rivolta (la battaglia Kerbela”) all'ultimo momento sottrassero l'appoggio che gli avevano assicurato e quindi al-Husayn si trovò a dover fronteggiare il rivale con un numero limitato di forze. Al-Husayn e tutto il seguito vennero sterminati a Kerbela. La tragica sorte di al-Husayn viene celebrata nel calendario religioso sciita, oltre alla grande festa che condividono coni sunniti; viene quindi ricordata la designazione di ‘Ali e viene celebrato anche il martirio di al-Husayn nel giorno 10 del mese di Muharram p xo. Questa fine tragica avrà delle conseguenze particolari sul piano politico perché da quel momento in poi si accorderà e verrà riconosciuto il ramo husaynide, i discendenti di al-Husayn; questo è un ulteriore elemento che andrà ad irrobustire quel concetto di un imam che entra in occultamento ma che poi ritornerà alla fine dei tempi per far trionfare la giustizia, per riparare ai torti che aveva subito la discendenza Alide. Alla morte di al-Husayn viene riconosciuta e si consolida la cosiddetta pratica della designazione ed è molto probabile che al-Husayn, prima di partire alla volta di Kerbela, avesse designato come suo successore il figlio Zayn al-‘Abidin. Zayn dal punto di vista politico attua quella politica che aveva attuato suo padre all'inizio del suo mandato e che aveva adottato anche lo zio. Quindi, è un imam che, aderendo al principio della dissimulazione a scopo difensivo, si limita a riconoscere formalmente (consapevole alla luce degli avvenimenti tragici di Kerbela) e senza opporsi militarmente; avrebbe preferito dedicarsi allo studio, alla fede e alla religione. Alla morte Zayn al-‘Abidin un gruppo di sciiti minori non riconobbe il figlio Muhammad al-Bagir ma il fratello Zayd. Il motivo alla base di questa divisione era legato alla strategia da utilizzare per opporsi a coloro che erano definiti usurpatori. Muhammad al-Bagir, alla pari del padre Zayn, continua ad attuare una politica quietista. (Muhammad può essere considerato figura centrale dello sciismo soprattutto dal punto di vista dottrinale; alcuni elementi che caratterizzeranno l'istituzione dell’imamato verranno ad essere formulati proprio da loro, erano uomini di dottrina piuttosto che di azione). Quindi, alla morte di Zayn al-‘Abidin un gruppo minore di sciiti volle invece appoggiare la designazione di Zayd che invece portò avanti o riteneva di dover in un dato momento opporsi anche militarmente a coloro che avevano usurpato il potere. Sta di fatto che la maggioranza degli sciiti, alla morte di Zayn al-‘Abidin, riconosce come legittima investitura di Muhammad al-Bagir e alla morte di quest'ultimo l'investitura di Ja‘far al-Sadiq (che scompare nel 665). Investitura che sarebbe avvenuta senza nessun tipo di dissenso. In sintesi, possiamo dire che da ‘Ali a Ja'far (fatta eccezione per il gruppo che darà vita alla corrente Zaydita) tutti gli a'imma vengono riconosciuti dagli sciiti ma la situazione cambia con la morte di Ja'far perché si consuma quella che è la divisione più significativa all'interno dello sciismo anche perché i due gruppi, Settimani e Duodecimani, sono molto diversi dal punto di vista dottrinale. - Settimani — ferma al settimo imam, Ja‘far al-Sadiq, la catena dei legittimi successori di Al. In ragione del fatto che in arabo il numero "sette" è espresso dalla parola sab'a, i Settimani vengono chiamati in arabo "Sab‘iyya". Da questa corrente si formerà una vera e propria dinastia, la dinastia dei Fatimidi, la quale riuscì a fondare un califfato indipendente e antagonista rispetto a quello di Baghdad in Egitto (venivano chiamati anche isma'iliti). - Duodecimani — coloro che alla morte di Ja'far riconobbero un altro imam e continuarono la discendenza imamitica fino al 12esimo imam, (l’imàm Muhammad al-Baqir entrato in occultamento nell’anno 940 d.C. (corrispondente al 329)), di cui si attende ancora il ritorno. Costituiscono poi il gruppo maggioritario, anche attualmente, dello sciismo. Visto che dodici in arabo si dice ithna ‘ashara, questo gruppo viene chiamato anche Ithna ‘ashariyya o, in alternativa Imamiyya. Alla morte di Ja'far, venne designato come suo successore il figlio Isma’il. Però, nello stesso anno Isma'il sarebbe morto qualche mese prima del padre. Quando Ja'far morì, la comunità si divide. - Secondo alcuni, essendo morto l’imaàm designato, la designazione spettava al fratello di Isma'il, Musa al-Kazim; quindi la maggior parte degli sciiti riconobbe il passaggio dell’investitura da Isma'il al fratello Musa. - Un ristretto nucleo di sciiti sostenne che Isma'il di fatto non era morto bensì era entrato in occultamento. - Per un altro gruppo, che non accettava la designazione di Musa al-Kazim (perché credevano che la designazione dovesse passare da padre in figlio e non da fratello a fratello), Isma'il era morto ma poiché questo aveva un figlio, automaticamente la designazione sarebbe passata al figlio Muhammad bin Ismail. Da questo nucleo, quello che quindi riconosceva la morte di Isma'il ma non riconosceva la designazione del fratello bensì del figlio, si sarebbe costituito lo sciismo isma'ilita, da cui poi si sarebbe formata la dinastia Fatimide (che governerà in Egitto fino al 1171). Zaydiyya — si forma dopo la morte di Zayn al-‘Abidin. Formazione minoritaria “moderata” e considerano l’imaàm come figura principale, gli vengono riconosciute tutte quelle prerogative particolari ma non credevano nell’occultazione dell’imam. Sciismo isma’ilita/settimani — Tornando a Ja‘far al-Sadiq e al padre, dal punto di vista dottrinale, elaborano concetti che poi costituiranno l’asse portante della dottrina sciita: la necessità dell’imàm in forza di particolari prerogative e la necessità dell’ereditarietà della successione. Sembra che quel concetto di impeccabilità / di ‘isma fosse stato elaborato prima da Muhammad al-Baqir e poi da Ja‘far al-Sadiq.Ja'far viene considerato anche il fondatore di una scuola di interpretazione della legge, tanto che viene chiamata Ja”farita. Un altro elemento importante degli sciiti è che oltre a riconoscere il Corano, nonostante sostengono la possibilità di adulterazioni, riconoscono anche una seconda fonte: hadith che loro chiamano khabar (“notizia”). Riconoscono l’isnad: la catena di trasmettitori e la parte che precedette gli hadith. In questo isnad gli sciiti ammettono quegli hadith dove è presente, fra coloro che trasmettono il racconto, l’imàm. Comunque un grande contributo dal punto di vista dell’interpretazione delle legge lo dobbiamo a Ja‘far al-Sadiq. Il movimento degli isma’iliti continuò un’azione di propaganda e di attivismo politico-militare, grazie al quale riuscirono a salire al potere al Cairo; ma si parla anche di un contributo dal punto di vista dottrinale. Il contributo effettivamente portato all’interno non solo percorrere le vie che portano alla Verità; secondo il suo punto di vista e per vari motivi nessuno di questi era riuscito effettivamente a raggiungere tale obiettivo; obiettivo che invece, Al-Ghazali dimostra di aver raggiunto in un'altra opera. Dedica alla critica della filosofia tre testi e scrive una trilogia contro i filosofi, che è una di quelle categorie le cui dottrine egli esamina in maniera particolarmente critica e polemica: Magqasid al Falasifah - aguyMall rsolào (Le intenzioni dei filosofi): le dottrine filosofiche neoplatoniche vennero riportate da al-Ghazali con tale obiettività e scientificità al punto da ritenerlo un filosofo neoplatonico, ma non è così. Mi 'yar al-‘ilm - plaJl ylLxo (La misura della conoscenza): contro la logica aristotelica, non in quanto tale, ma perchè i filosofi avevano usato tale argomento per discutere di questioni teologiche, questioni che fanno parte di un ambito della metafisica e questo poi aveva portato i filosofi a conclusioni non solo errate, ma in qualche caso anche a sostenere dottrine considerate eretiche: alcuni filosofi vengono tacciati come miscredenti. Tahafut al-falasifa - a@mMall caslgi (L’autodistruzione dei filosofi, a cui replicherà il grande filosofo Averroè scrivendo un'opera che dal titolo l’autodistruzione dell’autodistruzione “Tahafut al- Tahafut” che richiama e si ricollega a quest’ultima opera di Al-Ghazali): attraverso le loro affermazioni, si sarebbero distrutti, cadendo nelle loro contraddizioni. Elenca una serie di dottrine contestate perché accusate di bida’, ovvero innovazione (meno grave dell’eresia e della miscredenza). Stimolati dall'impatto con la filosofia greca, i filosofi iniziarono ad interrogarsi su come Dio avesse creato il mondo e i filosofi neoplatonici riconoscevano l’azione di Dio come emanazione (in contrasto con il dettato coranico, in quanto si tratta di una dottrina filosofica che asserisce l'origine delle cose e degli esseri da un principio originario da cui tutto si irradia e di cui tutti partecipano, ovvero: paragonata all'immagine del sole che irradia attraverso i suoi raggi e, quindi, come un flusso spontaneo e continuo). Per sovrabbondanza di bene e misericordia, Dio aveva fatto sgorgare da sé un essere e, allontanandosi, aveva fatto sì che si sviluppasse il mondo della corruzione. Secondo i filasafa, questa teoria salvaguardava l’unità e l'unicità di Dio. Il mondo, però, si caratterizza per essere molteplice e com'è ossibile che Dio (uno) crei la molteplicità, in quanto se deriva dall’Uno vuol dire che l’Uno è divisibile. I filosofi lo giustificano attraverso l'emanazione poiché, riprendendo lo schema di Plotino, Dio avrebbe ‘man: na prima entità: l'intelletto. A partir ll’intelletto, si sar vili tal: molteplicità. Dio al di là dell’uno: in arabo c'è la distinzione tra Ahad (uno non numerico per qualificare Dio) e wahad (uno “numerico”). Al Ghazali riteneva che questo impianto non andasse bene in quanto nel Corano l’azione della creazione è volontaria e non spontanea. L’emanazione (fa’ida) è in contrasto con il Corano. Un altro elemento che dimostrava l'infondatezza del concetto è la coincidenza tra l’emanante e l’emanato. Al-Ghazali considera i filosofi miscredenti, colpevoli di 2 YI relativamente a 3 questioni, che sono : 1) i filosofi, proprio attraverso l'emanazione, sarebbero giunti alla conclusione che il mondo è eterno, che Dio eternamente emana questo flusso, ciò dovrebbe comportare che il mondo partecipa anche nell’eternità, perché quest’azione, come i raggi del sole che continuano a fluire, è eterna, e perciò anche l’effetto dovrebbe essere eterno; 2) Dio secondo i filosofi avrebbe avuto una conoscenza parziale, quindi non particolare delle cose, e perciò non avrebbe conosciuto tutto ciò che fa parte del mondo fenomenologico, ma questo andava a ledere un'altra caratteristica fondamentale di Dio, che è quella di essere onnisciente 3) I filosofi avrebbero negato la resurrezione dei corpi. Al-Ghazali, per il processo di conoscenza, ammette, per la prima fase del processo conoscitivo dell’uomo, la percezione sensoriale. Questa, tuttavia, utilizzata in altri ambiti come quello scientifico, può far giungere a conclusioni sbagliate (esempio del sole che quando acceca l’uomo, si copre con il palmo della mano e questo, affidandosi soltanto sulla percezione sensoriale, potrebbe significare che il sole sia più piccolo del palmo della mano). In questo ambito è fondamentale l'utilizzo della ragione. Allo stesso modo, utilizzare l'approccio razionale non può essere applicato all'aspetto metafisico. La filosofia, quindi, non è adatta per spiegare aspetti metafisici. 3APPROCCIO BATINITA (>la gente dell'insegnamento autorevole, gli ismaeliti, chiamati anche batimiti, dal termine baatin, nascosto, che custodisce la vera essenza del messaggio, di cui nel contesto sciita, è custode ed esegeta l'imam): Al Ghazali evidenzia la contraddizione presente nello sciismo, in quanto sostengono che la comunità non può essere priva della guida dell’Imam in qualsiasi periodo storico. Quindi, il concetto non sembra conciliarsi con il concetto dell’occultamento (ghaiba). 3APPROCCIO SUFI (mistici): evidenzia sia l'aspetto positivo dell’ascesi spirituale, ma si concentra anche sul pericolo determinato dal fatto che alcuni mistici sperimentavano uno stato di estasi così intenso da annientarsi e annullarsi (fana’) totalmente in Dio al punto da ritenersi suoi eletti e, quindi, a ritenere superflua la Shari'a in quanto privilegiati. Quindi la critica mostra ai mistici che in alcuni casi si era esagerato interpretare questa condizione privilegiata: antinomismo, alcuni mistici proprio perché avevano raggiunto questo stato privilegiato avevano ritenuto se stessi non più vincolati alla shari'a, quindi si sentivano appunto diversi dagli altri uomini e rappresentavano un élite che poteva anche considerare superflua per loro l'osservanza della shari'a. Al-Ghazali compone la sunna teologico-spirituale della sua dottrina intitolata la rivivificazione delle scienze religiose “Ihya' ‘ulùm al-din”. Quest'opera è suddivisa in 4 sezioni, ricalcando più o meno lo schema utilizzato per i trattati di giurisprudenza, le prima parta riguarda le ‘ibadat (atti di fede), la seconda le muamalat (le relazioni sociali); a queste due sezioni segue una terza parte dedicata alle mublikat, le cause della perdizione, che portano l’uomo a deviare da quel retto cammino che viene evocato varie volte nel Corano. Al-ghazali cerca di individuare, di analizzare, quelle che sono le cause della perdizione, quest'ultime sono individuate dalle passioni, dall’attaccamento al mondo materiale terreno che in un certo senso offuscano la purezza dell’anima e le fanno dimenticare quelle verità di fede che Dio ha iscritto nel cuore degli uomini da sempre; al-Ghazali diceva che le verità di fede si pongono ward al-‘ql - lett. dietro l'intelletto, quindi non si possono cogliere con la ragione e di conseguenza si collega alla percezione sensoriale che dice, non può essere sempre applicata perché potrebbe essere fuorviante, dunque anche la ragione ha i suoi limiti e non può pervenire a queste verità di fede. Il nucleo delle verità di fede consistono nell’attestare il tawhid da interpretare come attestazione dell’esistenza di Dio unico e di Muhammad come suo Inviato, credere nella profezia e nell'ultimo giorno; l’uomo, dice Al-Ghazali, deve riscoprire queste verità che sono dentro di lui da sempre però a causa di questo offuscamento le ha dimenticate. Le riscopre attraverso un’ascesi che serve a recuperare la purezza permettendo così all'uomo in qualità di credente di vedere (sb ra'aa / visione più attenta - basara, basiira - è_yawuu è un'osservazione che non comporta l'utilizzo degli organi sensoriali, non è la visione attraverso gli occhi; l’uomo deve abituarsi ad acquisire questo tipo di visione che è fondamentale per ottenere la salvezza e di fatto la quarta e ultima parte della sunna teologica della rivivificazione delle scienze religiose si concentra proprio su come raggiungere la salvezza). «93 [abbandono fiducioso all’amore di Dio; vicinanza che trascende lo spazio e il tempo, quindi una vicinanza a Dio. Dunque, in questo percorso di elevazione Al-ghazali dice che la ragione ha una funzione, non è sufficiente da sola, e propone un'immagine per spiegare in che cosa consiste il ruolo della ragione: l’immagine che ci fornisce è quella di un padre che conduce per mano suo figlio malato dal medico, una volta giunto a destinazione lascia alle cure del medico il figlio e quindi la ragione lo conduce a tale meta ma deve arrestarsi di fronte ad un tipo di conoscenza che non utilizza mezzi “razionali”, quindi deve arrestarsi davanti alle verità di fede. Per quanto riguarda gli aspetti teologici, Al-ghazali riprende la dottrina di Al-ash’ari, approdato ad una sorta di agnosticismo dettato da esigenze spirituali, principio del 45 \ bilaa kaifa,; Al-ghazali riprende le sue formulazioni e relativamente al discorso relativo all’azione umana si inserisce in un discorso che Al-ghazali fa a proposito delle cosiddette cause seconde; per esempio, quando i mutaziliti sostenevano che l’uomo è autore degli atti che compie considerava come causa prima Dio. Però nel mondo fenomenologico ci sono dei fenomeni naturali e questi producono degli effetti, essi hanno una causa; ad esempio, se si brucia qualcosa la causa dell’incendio è il fuoco (causa seconda); l’uomo compie un’azione che a sua volta produce un effetto quindi, l’uomo è anche una causa.(cause seconde) A questo proposito Al-ghazali nega l’esistenza delle cause seconde e poi dice “non sempre la ragione ci porta a delle conclusioni vere” a questo proposito dice il rapporto che esiste tra ciò che abitualmente crediamo essere una causa e ciò viene ritenuto essere il suo effetto non è un rapporto necessario di per sé ma stabilito da Dio perché egli è colui a cui spetta il decreto e la predestinazione. Ora la negazione delle cause seconde non poteva non chiamare in causa la questione della responsabilità dell’uomo rispetto all’atto che compiva, quindi Al-ghazali riprende la teoria di Al- ash’ari, perché non si può ritenere l’uomo responsabile delle proprie azioni, inserendo solo un paio di elementi che specificano un po' meglio questa teoria. Ash’ari aveva riconosciuto all'uomo un margine di indipendenza di azione relativamente alla sua capacità di acquisire l'atto da compiere iktisab numiS] . Al-ghazali allora riprende il discorso si Al-ash’ari e individua nell'azione umana 3 elementi: 1. L'inclinazione ad agire 2. La decisione di agire 3. L'acquisizione I primi due elementi sono di fatto condizionati e controllati da Dio. (kasb vawS o iktisab) Per agire l’uomo possiede una capacità, potenzialità, la quale non è però assimilabile alla potenza divina; usa il termine è _ya$ Viene ribadito il concetto che l’uomo ha una responsabilità relativamente a questa capacità di acquisire l’atto ma l’inclinazione e la decisione di agire è comunque decretata da Dio, Dio è la causa prima, Dio è il creatore della causa, Dio è colui che viene definito da Al-Ghazali come creatore, l’uomo viene definito come colui che acquisisce, quindi si fa ricorso al participio presente del verbo iktasaba (acquisire); quanto da Dio creato e predeterminato perciò non possiamo qualificarlo come creatore della propria azione. Il vero creatore dell’azione, colui che la determina, che l'ha sempre determinata e decisa è Dio; mentre l’uomo è collegato solo al kasb wuuS o all’iktisab uuSÌ. L'uomo agisce sotto determinazioni divine. L'uomo è faa'il, fa ciò che viene predeterminato. Dunque, la malattia di cui soffre al Ghazali, che è un'idea ricorrente: l'ignoranza come una vera e propria malattia, a cui si guarisce solamente coltivando la conoscenza. Al Ghazali cerca di trovare la strada che lo possa portare a raggiungere quella Verità che riesca ad affrontare qualunque tipo di sfida. Nel fare questo, analizza quali siano i mezzi, i metodi, attraverso i quali l'uomo può coltivare la conoscenza. Base imprescindibile che consente all'uomo di acquisire le conoscenze primarie deriva dalla percezione sensoriale, però, egli sostiene che non sempre la percezione sensoriale può portare alla verità, in quanto potrebbe essere fuorviante e quindi ci sono delle discipline che subentrano nel momento in cui i sensi non sono affidabili, subentrano quindi la ragione, l'intelletto. Quindi al Ghazali non fa una critica a priori né alla logica né agli strumenti di natura dialettico-razionale, sono fondamentali, aiutano l'uomo in questa sua ascesa sia sapienziale che spirituale. La conoscenza, lo attesta il Corano, è quasi un dovere da parte del credente, uomo o donna che sia, coltivando la conoscenza e approfondendola, si testimonia sempre di più dio. Quindi il valore della conoscenza viene statuito sin da subito. È in dubbio però l'importanza della ragione, che deve avvicinare a Dio, ma non si può raggiungere la verità solo attraverso la ragione, deve subentrare un qualcosa che trascende la ragione e che consente all'uomo di riscoprire quelle verità di fede che dio ha scritto nel cuore dell'uomo da sempre. . è L'abbandono a Dio, viene indicato da al-Ghazali con il termine JSsi che sosteneva un concetto che si evolve a livello concettuale, in questo periodo viene approntata una struttura in cui si sviluppano elementi che sono stati già pensati o avviati in epoca precedente. Concetto della genealogia degli asceti, cosiddetti pii asceti, sia per le scuole sia per le confraternite che si formano nel xii secolo con una genealogia di riferimento. Concetto fondamentali Maqama ( aolàe- stazione, luogo in cui si sta)e Hal [ JI> - parola usata per descrivere una questione delicata e spinosa - stato, condizione] che vengono codificati in questo periodo. Nel contesto muta’zita si cerca di giustificare razionalmente la natura dei nomi e degli attributi di Dio che erano dei modi di essere di Dio in quanto unico e interpretarli a livello allegorico. Si rende come hal anche se nel contesto mistico è un po’ differente. Maqama e Haal scandiscono il percorso che deve compiere il mistico, un percorso progressivo, lento e scandito da stazioni e dal corrispettivo stato raggiunto. Indica il percorso che bisogna seguire per avvicinarsi a Dio che richiede una serie di elementi tra cui: il pentimento, lo scrupolo della condotta di vita, vigile e scrupolosa, la rinuncia dei piaceri mondani, la povertà, l'umiltà, l’importanza della pazienza sabr - [}uw]. Storia conflittuale con il sunnismo che ha sempre guardato con disprezzo coloro che interpretano l’islam in chiave esoterica. Certi Sufi sono stati condannati a morte per le loro interpretazioni al limite dell'Islam. Accusa di antinomismo, ritenere di fare a meno della Sharia. Si escludono la fusione unitiva, “unione” ihtihad [arabo], un’altra parola indica “inabitazione (della divinità)” hulul. Si usa invece il concetto di prossimità a Dio, ihtisal (raggiungere, arrivare) per avere un senso di intimità e pace. Le varie confraternite hanno inserito altre stazioni e modi, senza numeri fissi. Tra IX e X secolo si assiste alle costituzioni di centri di spiritualità nel mondo islamico, di cui precursori erano di origini irachene (Bassora, Baghdad o Kufa). Baghdad è la capitale dei centri spirituali sufi. La scuola di Baghdad è importantissima, uno dei principali Shaykh è asàaJ (morto nel 910) il cui maestro è stato a sua volta uno dei primi maestri di Baghdad e lascia in eredità shi'a maggioritaria che riconosce i 12 imam Al-Rida. Al Junayd e Hasan Al-Basri entreranno a far parte delle maglie di quella genealogia di asceti che ogni neofita che entra in una confraternita deve conoscere. Il cento dell’insegnamento di Al Junayd era incentrato sul tahwid (asse importante dell'Islam), basandosi sul Corano e sulla sunna perché opera in un’epoca difficile. Quindi è stato necessario rimarcare il proprio insegnamento sulla sunna e sul corano per evitare fraintendimenti simili al suo. AVERROÈ > Ibn Rushd - ai) gl - questa figura risponde al nome di “ibn arabi” è andaluso, dunque un rappresentante che si colloca in un contesto storico/geografico eculturale nella parte occidentale del mondo islamico. Ibn Arabi nasce in Spagna (Al-Andalus), a Murcia nel 1165 e muore poi a Damasco nel 1240 e viaggiò moltissimo, di ritorno dal pellegrinaggio si ferma a Damasco e lì morì nel 1240. Nel periodo in cui opera e vive, al-Andalus era sotto il controllo della dinastia degli Al- Muhadi, una dinastia berbera e di osservanza sunnita che regnò dal 1147 al 1269, preceduta dalla dinastia degli AI Moradi un'altra dinastia berbera sunnita; queste due dinastie berbere, di fatto riescono a controllare la regione che dopo varie vicende si suddivise in una serie di piccoli regni. Il riferimento ad Averroè è usato anche da coloro che sostenevano che con la morte di Averroè e grazie all'intervento e alla veemente polemica, che tempo prima nei confronti della filosofia era stata portata avanti dal teologo al-Ghazali, appunto, la filosofia islamica non avrebbe più avuto possibilità di ripresa, (le cose non andarono così, la filosofia islamica prese un'altra direzione) e sono soliti parlare di questo incontro tra Averroè e Ibn Arabi: Lo stesso Averroè, amico del padre di Ibn Arabi, colpito dalle notizie che circolavano su questo ragazzo giovanissimo (non sappiamo se il racconto è vero), volle incontrarlo per parlare con lui. Si racconta che Ibn Arabi sarebbe stato in grado, nonostante la giovane età, a mettere in difficoltà lo stesso Averroè. Il racconto si carica di un significato simbolico, una sorta di superiorità della mistica rispetto alla speculazione filosofica soprattutto quella di natura aristotelica. Abbiamo visto come questo percorso di elevazione spirituale introdotto dalla scuola di Baghdad, venne poi reso e interpretato; abbiamo visto quanto sostenuto da Sohravardi, scandire questo percorso di elevazione che poi porterebbe all'espressione “non c’è dio all'infuori di io/me”, alla testimonianza dell'Io divino in cui tutto si dissolve e si annienta; dall'altra parte del mondo islamico, quindi in al-Andalus con Ibn Arabi viene a essere coniata l’espressione che veicola lo stesso concetto. 39>9Jl èa>s - Wahdat al-wujùd > L'Unità dell'essere. (ricorda il termine “unità”, “uno”, “Al- wujùd”, “wujud” deriva da wajada. Wujud è uno dei cosiddetti nomi verbali, per cui indica più propriamente, a livello anche filosofico, l'essere, ovvero ciò che esiste. È uno strato costrutto > l'unità dell'essere, l’unità di ciò che esiste. Significa: la realtà di Dio è la sola che può essere, cioè la realtà di Dio è la cosa che esiste di per sé, che non dipende da altro. La realtà degli altri esseri, diversi da Dio, dipende ovviamente da lui, perché la realtà degli altri esseri è un effetto dell’azione di Dio. A questi esseri, che sono diversi da Dio e che di fatto esistono grazie a Dio, perché in caso contrario non potrebbero esistere, è stata concessa un'esistenza, sempre da Dio, che si articola attraverso il ciclo di nascita, di sviluppo, decadimento e morte. Caratteristiche, tutte queste, che sono tipiche di quello che viene inteso, e di quello che è, il mondo terreno. Dal mondo terreno, è importante di tenersi lontano dai piaceri materiali, rappresenta proprio il mondo materiale, il mondo della generazione e della corruzione, quel mondo in cui l’esistenza di quegli esseri deve seguire questo percorso di nascita, sviluppo, decadenza e morte. Per cui nessuno di questi esseri, riferito e paragonabile a Dio, può dirsi realmente esistente. Il limite e la relatività dell’esistenza di questi esseri, da Ibn Arabi viene spiegata con un'immagine: l’esistenza di questi esseri è come l’immagine che si riflette in uno specchio. Questa immagine serve a dimostrare e a confermare che al di fuori di Dio nulla può realmente esistere: l'essere è uno ed è quello di Dio e l’esistenza è una. Dunque, tutto ciò che esiste, proprio perché la propria esistenza dipende da altro, al di fuori di questo “altro”, non può realmente esistere. Tutto fa capo all’unico essere, all’unica esistenza, che è Dio. Tutto ciò, questa unità evocata nell'espressione Wahdat al- wujud, non deve però essere interpretata come condivisione o partecipazione della stessa esistenza. Questo non vuol dire che la stessa esistenza di Dio, proprio perché tutti gli esseri non possono realmente esistere al di fuori di Dio, partecipino alla stessa esistenza, perché se si ammettesse ciò, come effettivamente è stato interpretato, questo comporterebbe uno scivolamento in una sorta di panteismo, cioè il riconoscere la divinità al mondo, riconoscere divine le cose materiali. Però la possibilità di una lettura in chiave panteistica del concetto di unità dell’essere indusse soprattutto gli ambienti sunniti più intransigenti a censurare le sue opere. Quindi comunque c'è stato un rapporto problematico. La Wahdat al-wujùd non comporta assolutamente la partecipazione della stessa esistenza, che è assolutamente inconcepibile per l'Islam ma anche per lo stesso Ibn Arabi, il quale a questo proposito ricorda un versetto coranico (sura del Culto Sincero, la quale rammenta che Dio è uno, che Dio è unico, che non generò e non fu generato, che nessuno è come lui, nessuno è rapportabile a Dio). Quindi è una soluzione che è inconcepibile anche in contesto mistico, per cui vuol dimostrare come lo stesso concetto che presuppone e che è finalizzato ad elevarsi gradualmente, sia stato espresso con temi e termini diversi, ma il concetto di base è lo stesso. La dimensione esoterico-mistica del pensiero di Ibn Arabi viene espressa in due opere particolari, “Le rivelazioni meccane” (al-Futùhat al-Makkiyya) e “La cornice dei principi sapienziali” (Fusùs al-Rhikam). Questa figura rappresenta come si è sviluppata la spiritualità anche nella parte occidentale del mondo islamico. Intorno a queste figure emblematiche vennero a costituirsi dei veri e propri circoli. Questi circoli diedero vita poi, soprattutto verso il XII d.C., quindi il VI dell’Egira, a delle turuq djlo (plditariga aa , - in contesto specificamente sufi, significa confraternita; a livello letterale, invece, il termine tariga vuol dire “via”, “strada”, “sentiero”, la via che deve percorrere il mistico. Tra l’altro, gli elementi di questo percorso sono scanditi da stazioni. Durante questo percorso si raggiungono delle stazioni e quindi si ottiene una certa condizione, stato, e quindi questi elementi scandiscono questo percorso. Le confraternite sufi si sono sviluppate notevolmente in varie parti del mondo occupando una vasta area geografica e, attualmente, questi circoli comunque minoritari sono riusciti ad adattarsi a diverse realtà religiose, per esempio adattarsi ed integrarsi laddove è maggioritario il sunnismo con un ambiente sunnita, ovvero con un ambiente sciita. Generalmente vi sono rapporti non particolarmente problematici, fatta eccezione, tra gli altri paesi, con il Regno di Arabia Saudita dove nel 1932, il Wahhabismo hanbalita divenne dottrina di stato. La dottrina wahhabita stigmatizza e censura come innovazioni riprovevoli tutta una serie di pratiche e di culti che dal loro punto di vista non sarebbero assolutamente in sintonia e sarebbero addirittura in contrasto con l’insegnamento dell’Islam, ad esempio anche della pratica di visitare le tombe di maestri sufi, così come andare a visitare la tomba di imam e addirittura visitare la stessa tomba del Profeta. Ebbene questa pratica, viene censurata perché viene letta come elevazione, come elevare il Profeta, l’Imam, ad una sorta di stadio di venerazione. E quindi questo atteggiamento spiega perché in Arabia Saudita le confraternite sufi e di fatto i loro insegnamenti, sono censurati. Però con il passare del tempo si è giunti ad una situazione per cui è stata possibile tale integrazione. Elementi che caratterizzano il patto di iniziazione, ovvero quando si entra a far parte di una confraternita, ci sono dei gesti, delle azioni, che hanno un grande valore simbolico. A seconda della confraternita di appartenenza ci può essere una variazione: per esempio, il patto di iniziazione in alcune confraternite si verifica o con una stretta di mano tra neofita e schaik, oppure molto evocativo di quella genealogia di asceti, è il fatto che in un contesto quale quello dell’iniziazione mistica, talvolta venga usata la Misbaha - a&uwe (una specie di rosario con dei grani): un lembo viene tenuto dallo schaik e il lembo opposto è tenuto dal neofita. In questo modo è come se il neofita riconoscesse l'appartenenza a quella confraternita di cui deve conoscere tutta la discendenza dei mistici, che può variare in alcune parti: non nella parte iniziale, però a seconda delle confraternite possiamo trovare delle autorità piuttosto che altre. Poi c'è anche un altro elemento che richiama il monito ad essere poveri, ovvero a sentirsi bisognosi di Dio, che richiama al dovere di vivere una vita austera, ed è rappresentato da una sorta di mantello che viene posto sulle spalle del neofita che viene chiamato con un termine tecnico “murid”, (perché ricorda l’abito di pietà che raccomanda il Corano). Particolarmente interessante è anche l’abbigliamento, poiché evoca un fortissimo carattere simbolico. Culto e pratica > oggetto di riflessione e meditazione è il Corano in primis, poi vengono anche letti e studiati dei testi, dei commentari mistici. (scienza del tasir - “commentare”, abbiamo tasir sunniti, tasir sciiti e anche in un contesto mistico abbiamo opere che aiutano. Per quanto riguarda invece il Corano, la pratiche fondamentale relativamente alla meditazione sulla parola di Dio è l'ascolto attento affinchè si possa riflettere, e il dhikr, che consiste nel ripetere il nome di Dio meccanicamente, ma secondo ritmi e cadenze precise, controllando anche il respiro: sono pratiche dunque che aiuterebbero a far sì che l’uomo possa tornare a Dio. Per esempio la ripetizione può avvenire a voce alta, può avvenire in silenzio, può avvenire collettivamente: è ovvio che quando si verifica all’interno della confraternita è lo Shaykh che dà inizio e che presiede tutta questa cerimonia. Esistono anche delle forme di sostegno esterne per la recitazione che aiutano, come la musica, in alcuni casi il suono del flauto, e questo sarebbe un altro elemento che secondo gli ambienti più intransigenti e rigoristi non viene visto di buon occhio. Chiaramente è un tipo di musica serve quindi a sostenere, a supportare questa pratica di analisi e di riflessione. Oltre alla musica, anche un certo tipo di danza “danza dei dervisci rotanti”, una danza circolare che ricorda, accompagnata dalla musica, il movimento dei cieli, il movimento degli angeli che glorificano, venerano e adorano Dio; dunque un movimento armonico e che ha una sonorità: quindi si ricorda in questo modo l'armonia che pervade, che caratterizza l’intero universo. Tra l’altro il movimento circolare è anche in un contesto specificatamente più filosofico, viene definito come il movimento perfetto per eccellenza, perché ricongiunge l’inizio alla fine. Ritorna su sé stesso, quindi è una rappresentazione anche di questo concetto di unità. Un altro elemento importantissimo è stata anche la poesia in contesto mistico, la poesia che si prestava a suscitare ed esprimere le emozioni di questa umma mistica. Un grandissimo poeta mistico persiano, autore del poema universale mistico, era Jalal al-Din Rùmi, intorno alla cui persona si forma una delle principali senso bisognosi di lui. Quindi soltanto la fedeltà agli insegnamenti basilari che contenuti nel Corano e negli hadith potevano garantire l'integrità del messaggio religioso. Da qui il pressante invito all'osservanza non solo dei principi contenuti ovviamente nel Corano, ma anche l'invito ad imitare la pratica di vita, non solo del profeta che è ovvio, ma anche quella delle prime generazioni che seguirono alla scomparsa del profeta e che rimasero fedeli a questi insegnamenti basilari fondamentali. Queste prime generazioni definite da Ibn Taymiyya come pii o devoti antenati, prendono il nome in arabo di as-Salafal-Salih. (JLoJl colull). Si sostiene che il salafismo e la salafi'a rimandino questo concetto originario che venne appunto introdotto da Ibn Taymiyya, il quale aveva già all'epoca (XIV secolo), portato avanti una critica interna al sistema religioso e quindi era fondamentale riappropriarsi di quei valori, di quella pratica di comportamento e di quei costumi che avevano caratterizzato i primi tre secoli di vita della comunità islamica: bisognava quindi avere come punto di riferimento e come modello quello adottato da queste prime generazioni indicate dall'espressione al-Salaf al-Salih. Ibn Taymiyya dimostra che gli altri dispositivi e in particolare l'utilizzo dello sforzo interpretativo, l’ijtihad, non è rifiutato a priori, ma doveva essere fortemente disciplinato dall'autorità del testo rivelato (Corano), nella misura in cui proprio le prime generazioni di dotti, di giurisperiti, non avendo altre fonti a disposizione dovettero operare questo sforzo di interpretazione. In qualche caso lo stesso Ibn Taymiyya ammette con particolari limiti anche il ricorso al giyas, a cui si poteva legittimamente fare ricorso ovviamente se si fosse determinata con esattezza la causa di una precisa prescrizione. Tra l'altro un’altra scienza coranica che si era venuta a costituire molto importante è l’asbab al- nuzil, JoJl oli - “le cause della rivelazione”, scienza che si occupa di spiegare, di contestualizzare alcune parti della rivelazione per intendere meglio il versetto; si parla di cause seconde perché la causa prima è ovviamente il volere divino di manifestare ciò che dice all'uomo. In questo contesto secondo Ibn Taymiyya, era legittimo ricorrere al giyas solo se si fosse determinata con certezza cosa aveva prodotto quella rivelazione, quindi quella prescrizione in maniera da poterla applicare a casi simili o analoghi. Inoltre Ibn Taymiyya riprende e ripropone la tesi ash’arita per cui per quanto riguarda i nomi e gli attributi di Dio rifiuta il tashdih, l’antropomorfismo, ovvero assimilare Dio ad altro soprattutto per quello che riguarda l'interpretazione dei cosiddetti versetti antropomorfici, rifiuta anche la soluzione mutazilita che negava l’esistenza degli attributi di Dio e si opta per la soluzione del bila kayfa (senza come = astenersi dall’interrogarsi su quella che è la natura di questo attributi antropomorfi perché l'intelletto non riesce a comprenderlo semplicemente perché ha dei limiti. Bisognava quindi credere nell'esistenza degli attributi divini, attraverso un puro atto di fede e tuttavia rimaneva sconosciuto quindi era impossibile discutere parlare del modo in cui Dio possedeva tali attributi). Quindi la soluzione di agnosticismo viene riferita anche per quanto riguarda il Corano, e sosterrà appunto che il Corano non è creato o increato. Anche per quanto riguarda l'azione umana Ibn Taymiyya propone una sorta di collaborazione tra Dio e l'uomo, Dio che crea la volontà e la potenza con cui l'uomo può essere definito artefice o agente, quindi in quanto agente e artefice delle proprie azioni ne è responsabile e soprattutto questa responsabilità era fondamentale riconoscerla per quanto concerne le azioni cattive, perché Dio agisce sempre per il bene e con buoni propositi. Viene quindi ribadita questa posizione che era stata non solo formulata da Ash'ari, ma anche in al-Ghazali. Per quanto riguarda quindi questi principi di natura teologica vengono ribadite alcune posizioni formulate in precedenza. La novità in un certo senso consiste nel fatto che a parte la necessità di riappropriarsi degli originali valori dell'islam, Ibn Taymiyya comincia a portare avanti delle istanze politiche, nella misura in cui egli sostiene che vi è una indissociabilità tra stato e religione, per cui, uno stato senza religione, in questo caso islamica, non può che diventare inesorabilmente uno stato tirannico. Questo perché lo stato ha come compito principale quello di “ordinare il bene e vietare il male”, (un concetto che venne ripreso anche in contesto più specificatamente filosofico). Questo concetto è proprio uno dei precetti coranici che obbliga il musulmano/a ad adottare uno stile di vita consono ai dettami dell’islam, funge da modello, deve dispensare buoni consigli e correggere chi sbaglia, anche l'autorità, dice Ibn Tayimiyya. Questo invito a recuperare la purezza dei primi secoli dell’islam diede vita poi col passare del tempo ad un movimento noto come Salafi’a. Questa necessità di recuperare e quindi di ripristinare la purezza di questi valori, dà vita al movimento noto come salafismo che eserciterà una particolare influenza sulla formazione dei movimenti, tra cui uno dei primi movimenti che si rifà e che recupera la salafia, sarà proprio il wahhabismo, movimento che deve il suo nome al suo fondatore Muhammad ibn 'Abd al- Wahhab. Per quanto riguarda il salafismo c’è difficoltà nel fornire una definizione univoca perché da una parte le istanze politiche, che vengono a profilarsi all’interno del movimento salafita, col passare del tempo le avvicinano ad alcune posizioni e ad alcune istanze che verranno portate avanti dai riformisti, però dall'altra parte il rigore dottrinale che in alcuni casi compare, mettendolo in relazione alla dottrina hanbalita ha fatto in modo che ci fosse in alcuni casi una sorta di affinità, non certo di sovrapposizione, tra salafismo (dal punto di vista dottrinale) e il movimento wahhabita. Il movimento wahhabita prende il nome dal suo eponimo Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhàb, il quale nasce in Arabia nel 1703, quindi il movimento nasce nella metà del XVIII secolo in una regione della penisola araba, la regione del Najd (x) che dal punto di vista geografico è totalmente diversa dalla regione in cui era nata nel VII secolo l'Islam, l’Hegiaz (jla>) , ovvero la costa. Il Najd si trova all’interno di una regione geografica particolare che lo rese quasi impenetrabile al controllo degli Ashraf Makka ( dlo sl pil, “sceriffi della Mecca”, autorità religioso-politiche sunnite che ritenevano di discendere dal profeta attraverso il ramo hasanide, da Hasan figlio di Alî). Questa regione è sempre stata complessa da controllare sia dagli sceriffi della Mecca sia da parte degli ottomani che subentrarono. Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab si forma principalmente a Medina, per poi spostarsi anche in Iraq a Bassora. La riflessione di ‘Abd al-Wahhab parte della necessità di concepire il tawhid in modo assoluto al punto da considerare politeisti (: shirk, Jai e miscredenti, ovvero musrikin Y9S pito e kuffar glàs , pl. di 9 US, termine che rende l’idea della miscredenza) tutti quei musulmani che avevano concepito un tawhid interpretato in maniera diversa ed esternavano questa loro interpretazione con dei culti che, secondo il punto di vista di ‘Abd al-Wahhab, erano da considerare vere e proprie azioni di idolatria. Il rigore della dottrina di ‘Abd al-Wahhab all’inizio incontrò una ferma opposizione addirittura nella sua stessa città, ma col passare del tempo, riesce in un certo senso a convertire alla sua dottrina, non solo il figlio dell’emiro dell’epoca ma anche l’emiro stesso, ovvero Muhammad ibn Sa‘ùd, il capostipite della dinastia reale Saudita. Con questo emiro, ‘Abd al-Wahhab strinse nel 1744 un patto di mutua fedeltà e alleanza anche dal punto di vista politico-militare, tesa a far trionfare l'Islam anche al di là della penisola araba, che fu alla base di quella che poi sarà la nascita dello stato teocratico Saudita-Wahhabita nel 1932. A seguito di questo patto, dal 1745 al 1818 (nel 1792 muore ‘Abd al-Wahhab) il movimento politico-religioso riesce ad estendere il controllo anche al di fuori della penisola araba con delle incursioni nell’Iraq meridionale, tra cui spicca nel 1802 l'attacco a Karbala” con conseguente massacro della popolazione a maggioranza sciita. Gli Ottomani che controllavano gran parte di quei territori si vedono costretti a chiedere all'allora re d'Egitto, Muhammad ‘Ali, di intervenire. Dunque questo primo tentativo di estendere il territorio non ha esito positivo, nel 1818 la situazione viene posta di nuovo sotto controllo con una battuta d'arresto di questo movimento, che però riprende nel 1824, e a partire da questa data, comincia un consolidamento del potere saudita per cui si giunge alla fine del XIX secolo-inizio XX, ad un riscatto della dinastia saudita. Proprio nel 1901, si riesce a prendere il controllo di quella che sarà poi la capitale, Riyad, ad opera di ‘Abd al-‘Aziz ibn ‘Abd al-Rahman ibn Al Sa ‘ud. Si consolida così il potere e sarà fondamentale, perché nasca il regno di Arabia Saudita, anche la presa della città della Mecca nel 1924 e di Medina e Jedda nel 1925. Di conseguenza nel 1932 ci fu la nascita del Regno di Arabia Saudita. ‘Abd al-‘Aziz ibn ‘Abd al-Rahman ibn Al Sa‘tid (discendente di Muhammad ibn Sa‘ùd, che strinse il patto con ‘Abd al-Wahhab) si fa proclamare sovrano e avviene il riconoscimento formale del wahhabismo come dottrina ufficiale di stato. Dottrina che si diffuse anche al di fuori dell'Arabia Saudita, ad esempio in Indonesia, Africa, così come in Occidente in seguito alla diaspora islamica da alcuni anni a questa parte. Dal punto di vista dottrinale, il wahhabismo si richiama alla dottrina hanbalita ed esige un rigoroso rispetto dell’insegnamento del profeta e dei suoi compagni, viene sottolineata la necessità di prendere come modello non solo la condotta di vita del profeta ma quel tipo di comunità che si era venuta a costituire nei primi secoli di vita dell'Islam. Bisognava rimanere fedeli a quel modello e respingere tutto quello che in seguito era stato introdotto, una sorta di autocritica anche interna: se l'Islam aveva perduto potenza e vigore, anche dal punto di vista politico, era perché erano state introdotte, da parte di teologi e giurisperiti, delle innovazioni che in quanto tali dovevano essere respinte e censurate (bid‘a a£ au indica un’innovazione, una pratica assente all’epoca del profeta che doveva essere combattuta). Ad esempio oltre a censurare la visita anche delle tombe dei profeti, considerata non rispettosa dei dettami dell'Islam, anche utilizzare il “rosario musulmano”, la misbahah ( due) era una pratica che veniva considerata un'innovazione che offuscava la purezza e l'integrità degli insegnamenti islamici. Si arrivava ad estremismi come rifiutare tutto quello che era stato introdotto storicamente come ad esempio l’uso delle posate, il consumo di tabacco o la stampa. Il rigore della dottrina wahhabita si evidenzia anche dalla denominazione, in effetti il termine stesso wahhabita, è una denominazione che gli wahhabiti non hanno mai accettato. Infatti molto spesso nel corso della storia è accaduto che alcune denominazioni fossero state attribuite e coniate dall'esterno, gli wahhabiti rifiutano questa denominazione perché richiama al loro fondatore ed è come se questo potesse in un certo senso focalizzare l’attenzione su una persona, laddove sostengono che il fulcro della loro dottrina è sempre e solo Dio, il tawhid, quindi preferiscono definirsi muwahhidun ( U92>gJl, “i monoteisti”) oppure Ahl al-Tawhid (24> gill dal) a conferma del rigore dottrinale. Ad un certo punto è comparsa anche un'altra espressione molto significativa al-da‘wa al-najdiyya che indica l'invito a professare il vero islam dalla regione del Najd, quasi a voler sottolineare che la loro interpretazione sia quella vera e incontaminata; il che equivaleva a considerare le altre fuorvianti e non in linea con la dottrina originale dell'Islam. Dal punto di vista politico, la sfida che gli wahhabiti hanno lanciato agli ottomani, essendo stata condivisa anche da ambienti non wahhabiti come i riformisti, ne determinò la loro difesa sul piano politico e ideologico. Questo spiega la fluidità non solo di una certa situazione ma anche di alcuni concetti, come la salafiyya, che rende particolarmente difficile fornire un’interpretazione uniforme, univoca. Il fatto che la neo-hanbalia sotto forma di wahhabismo si fosse opposta al potere ottomano determina l'appoggio da parte di alcuni ambienti riformisti. È anche vero che all’interno del movimento riformista in molti casi si è fatto un riferimento, pur nella necessità di operare un rinnovamento e una riforma, di evitare atteggiamenti estremisti, un invito alla moderazione che sembrerebbe prendere le distanze dal rigore, dalla rigidità che caratterizza il movimento wahhabita. 12. La nascita del Rashid Rida Muhammad Abduh, La tardiva introduzione della modernità nei paesi islamici e il turbamento dell'ordine culturale di questi paesi a causa delle imprese coloniali hanno modificato le condizioni di esercizio del pensiero nell’islam. L’irruzione di una tale modernità è un fatto traumatico, perché trova le masse impreparate ad essa; e, d'altra parte, le élite musulmane, già in via di occidentalizzazione, si trovano a doversi confrontare con un dilemma ormai classico, quello fra tradizione e modernità. Gli sconvolgimenti storici nel XIX e XX secolo, insieme al ritardo con cui appaiono idee e pratiche della modernità, generano una serie di reazioni: imitazione, eclettismo, rigetto sono altrettanti elementi che hanno plasmato l’islam contemporaneo. Nel corso del XIX secolo le élite urbane individueranno nell’islam delle confraternite un fattore e sintomo della decadenza della civiltà islamica. Quest'ultima, nei suoi momenti salienti, si è sempre identificata con uno stato forte, centralizzato, strutturato in una città capitale e una serie di province periferiche ma non autonome, e con una cultura di matrice urbana che si è sempre irradiata dal centro alla periferia. Una volta iniziato il processo di decadenza, è subentrata soprattutto in un modo più lineare e più semplice tenendo presente che l’uditorio a cui si rivolgeva Muhammad Abduh era sostanzialmente costituito da studenti. Una delle caratteristiche principali di questo trattato consiste proprio nella sua semplicità nel ridurre (contrariamente alla prassi che era stata seguita nei secoli precedenti, soprattutto durante l'epoca della stagnazione e della decadenza) i riferimenti a precedenti trattati di kalam e le loro principali autorità sono ridotte al minimo. (Durante il periodo della decadenza non si registrano opere particolarmente originali, vengono redatti dei voluminosi corpora ma che di fatto non apportano nulla, è semplicemente una riflessione e un commento su quanto precedentemente era stato formulato. Qui invece la tematica viene affrontata in maniera totalmente innovativa. Per esempio, il trattato Al di là dell’intento divulgativo ed educativo, offre nell’introduzione e nella conclusione la prospettiva di quello che doveva essere il giusto approccio per affrontare il rinnovamento). Secondo Muhammad Abduh bisognava recuperare quell’armonica combinazione tra passato ancestrale e riflessione personale prendendo a modello il modo di cooperare dei primo teologi che erano riusciti a trovare un giusto equilibrio nel rispetto della rivelazione (nazar - da nazara - osservare con attenzione, che assume la connotazione di speculazione). Muhammad Abduh oltre ad individuare, tra le varie cause di decadimento, il ricorso all’imitazione della tradizione, ritrova anche nell’incapacità politica di alcuni dirigenti politici che avevano provocato divisioni interne, uno degli elementi che avevano contribuito a creare questa fase di passività. Lo stesso Kalam si era appiattito e piegato su stesso, era divenuto un strumento attraverso cui ci si potevano scambiare accuse reciproche di miscredenza o di altro. La stessa teologia era divenuto uno strumento che aveva provocato divisioni e conflitti. L’islam secondo Muhammad Abduh aveva la capacità e le potenzialità di potersi rinnovare. Non a caso, nel corso di questa lezione dice che l'Islam è l’ultima religione rivelata dopo l'ebraismo e il cristianesimo e c’è un interessante parallelo che Muhammad Abduh fa tra la nascita delle 3 grandi religione monoteiste e lo sviluppo dell'essere umano, suddiviso tra il periodo dell’infanzia, il periodo dell’adolescenza, il periodo della maturità; laddove l'ebraismo aveva provveduto ai bisogni primari e materiali dell’uomo, di fatti è la prima religione monoteista ad essere rivelata e viene ricondotta alla fase dell'infanzia dell’uomo. Con il cristianesimo viene veicolato l'insegnamento morale e rappresenta la fase dell'adolescenza. L'Islam rappresenta la fase della maturità, infatti, la parola e il messaggio di Dio con l’Islam raggiungono la loro piena maturità. Perciò l'Islam possedeva le potenzialità e le capacità. Oltre all’epistola sull’unicità, ‘Abduh elaborò fra il 1900 e il 1905 un commento al Corano che sarà pubblicato nella rivista al-Manar (Il faro). Questo commentario coranico si stacca dalla tradizione classica del tafsiir, e si rivela un mezzo per divulgare le sue idee riformiste. Egli afferma che il piano della fede e della ragione non sono antitetici bensì coincidenti: inoltre, in caso di contraddizione, si può far prevalere la ragione sulla rivelazione, ricorrendo all’interpretazione allegorica (ta’wiil). Le idee riformiste hanno anche un versante politico che sfocerà nel pensiero nazionalista: nell’Egitto di ‘Abdubh l’idea di nazione è in ascesa perché è vista come strumento per l'emancipazione dal dispotismo turco-ottomano, riprendendo il termine di patria - biladi. Per quanto riguarda alcuni temi famosi che avevano vivacizzato il dibattito teologico, Muhammad Abdub riprende la dottrina ash’arita. Al-Ash'ari viene apprezzato perché riesce a trovare l’espressione di quella moderazione, di quella via media tra due estremi, da una parte l'adesione incondizionata agli assiomi razionali rappresentata dalla mu‘tazila (da cui Muhammad Abduh aveva preso le distanze) e la corrente dei tradizionalisti e dei letteralisti. Per quanto riguarda la questione connessa al Corano, da questo punto di vista, pur operando la differenza come avevano fatto Al-Ash’ari e Ibn Tamiyya tra la parola di Dio inserita e custodita nella tavoletta custodita e la parola che deve diventare leggibile perché l’uomo la possa sentire, -partendo da queste premesse-Muhammad Abduh riconosce il Corano come creato. Alcuni evidenziano una vicinanza alla visione mu'tazilita. Per quanto riguarda la responsabilità dell’uomo rispetto all’atto che compiva, qui viene ripresa la dottrina asharita che prospettava la capacità dell’uomo di acquisire l’atto creato di fatto da Dio. Veniva riconosciuta all’uomo una limitata autonomia dell’azione. Accanto all’acquisizione, Muhammad Abduh inserisce una componente rappresentata dalla scelta (scegliere j La volontà e la potenza sono di Dio e l’uomo attraverso queste può agire e diventare l'artefice del proprio atto. Abduh voleva dire che l’uomo acquisiva l’atto che sceglieva di compiere e non l’atto che era costretto a compiere perché volere di Dio. (in relazione ad un versetto coranico che recita “non vi sia costrizione nella fede”). Viene riconosciuta all'uomo una componente che lo rende libero di scegliere. Anche perché Dio è misericordioso e clemente e non costringe. L'attività che Abduh svolge al Cairo fu molto importante per quello che riguarda il dato pratico. Egli ebbe modo, essendo parte del consiglio di amministrazioni, di apportare innovazioni rivoluzionarie per l’epoca. Fu promotore del rinnovamento della lingua araba (all’epoca era complesso parlare di lingua araba). Volle rinnovare i programmi d'insegnamento, introducendo nuove materie come l'insegnamento delle lingue europee. Abduh contribuisce anche all'aspetto giuridico essendo stato nominato giudice della corte d'appello e contrastò in maniera efficace il fenomeno della corruzione. La carica di mufti, la massima autorità islamica che assunse nel 1889 fino alla sua morte (1905) gli diede la possibilità di non solo interpretare la sharii'a e di emettere delle fatwa, ma anche di promulgare una serie di responsi che consentivano: la possibilità di mangiare da parte dei musulmani carne non halal, depositare i risparmi non solo in banche islamiche, poter indossare abiti occidentali. Vennero presi quindi una serie di provvedimenti che aiutarono al processo di emancipazione femminile. Tali provvedimenti gli sfavorirono l'appoggio di alcuni esponenti che operavano all’interno del al- Azhar per cui fu costretto a dare le dimissioni praticamente a poca distanza dall'anno della sua morte. Le idee furono riprese e diffuse da un altro dei suoi più promettenti allievi: Muhammad Rashid Rida. Muhammad Rashid Rida, allievo di ‘Abduh, nasce nell'allora Siria, attuale Libano, alla fine del 1865 e venne influenzato dalle idee del suo maestro e conseguentemente da colui che lo aveva preceduto. Egli si situa su posizioni molto più conservatrici, ma la sua figura è estremamente importante perché Rida concepisce e realizza il pensiero riformista e il movimento della Salafiyya. È importante sottolineare che quest’ultima non è un fenomeno isolato o eccezionale nella storia islamica: storicamente essa partecipa alla convinzione secondo la quale nei periodi di crisi il ritorno al paradigma, al modello medinese, ne permette il superamento. Nel 1898 Rashid Rida fonda la rivista al-Manar, dove elabora la sua dottrina, il cui principio fondamentale è il ritorno ai fondamenti dell’islam: il Corano e la tradizione (Sunna). Anche Rashid Rida lavora su un doppio binario: iil primo è quello di una rinascita dell'islam attraverso la sua purificazione; essa attraverso la critica delle bid’a, vale a dire di tutte le innovazioni che sono contrarie allo spirito autentico dell'islam. E qui, di nuovo, la critica è rivolta essenzialmente a ciò che viene chiamato islam parallelo, la mistica islamica e le confraternite (turug), che, secondo Ridaa, sono all'origine del declino dell'islam, di quell’indebolimento che lo condurrà ad un’accettazione passiva della colonizzazione. Il secondo registro della dottrina di Rida consiste nell'utilizzo del pensiero di Ibn Talmiyya per affrontare i problemi dell'ordine e della giustizia ed introdurre il rifiuto dell’occidentalizzazione: per Rashid Rida l’occidentalizzazione equivale al até@ill taglid (imitazione servile), concetto che egli usa per polemizzare con la corrente secolarizzata e laicista dell’epoca. Al pari dei suoi predecessori e di altri riformisti, riteneva che il ritardo che l'Islam aveva accumulato anche dal punto di vista concreto e materiale del progresso scientifico e tecnologico, confrontato con l'Occidente e con l'Europa, dipendesse non solo dall’ingerenza straniera, ma anche da fattori interni. Erano stati trascurati il ricordo dei valori ancestrali dell'islam. Al fine di realizzare la rinascita del mondo Islamico bisognava apportare delle istanze di natura politica. Nel 1924 Rida assiste alla fine del califfato ottomano, ed afferma che vi era la necessità di unificare e riproporre quell'idea di unità della comunità islamica -umma- sotto la guida di un vero Califfo autorevole, interprete del Corano, capace di governare nel rispetto del testo rivelato ma anche nell’esigenze delle novità dettate dalla società moderna. Egli riteneva la perfetta conciliabilità tra la tradizione ed il progresso scientifico e tecnologico. Ritiene giusto cooperare e proporre una nuova esegesi ed ermeneutica del Corano. A lui dobbiamo la compilazione di un commentario coranico che si intitola Tafsir al-Manar - yLioJl yauuài. Cerca di rimanere quanto più fedele alla lettera della rivelazione, cercando in ossequio del modus operandi dei primi commentatori delle epoche passate, cercando di evitare speculazioni esoteriche ed allegoriche, soprattutto dei versetti ambigui (mutashabihat). Tuttavia questa aderenza alla lettera della rivelazione non voleva dire però il rifiuto della ragione o della scienza o del progresso, anzi, viene ribadito che il nemico da combattere e sconfiggere è l'ignoranza, fonte di arretratezza e di povertà, attraverso il miglioramento dell'istruzione e del sistema educativo. Bisognava ripristinare l’integrità e l’unità della Umma. Il salafismo di Rida è una forma di conservatorismo che si basa sul mito fondatore di un'età d’oro, quella dei primi momenti dell'islam; d’altra parte egli rifiuta in blocco tutto ciò che la storia ha prodotto all’interno della civiltà islamica, poiché si tratta di innovazioni condannabili. Bisognava eliminare tutte quelle correnti e scuole di cui si registra l'assenza nei primi secoli di vita dell'Islam. Anche se dopo la morte di Rashid Rida nel 1935 il salafismo muore, numerosi movimenti si richiameranno alla sua idea: soprattutto il riformismo in Algeria e il prolungamento del salafismo nel fondamentalismo di Hasan al-Banna. Dunque il riformismo come tale avrà degli echi soprattutto nei Paesi del Maghreb e in particolare nell’Algeria coloniale; ciò si spiega anche con la forte tensione politica ce permea la Salafiyya. Infine lo scopo dell’islah - 2)bol è il recupero dell'ordine, dello stato, in opposizione ai regimi corrotti (fasiida): l'ordine corrisponde dunque ad una specie di stato primogenito di purezza fondatrice, e uscire da questo stato significa corrompersi, inscriversi nella disarmonia, essere al confine con la jahilliyya, la condizione anteriore della purezza islamica. RIASSUNTO CAPITOLO IX HILLENBRAND “LE DONNE” > Nel Corano ci sono due principali dimensioni nella visione delle donne. La prima è inerente alla sfera spirituale, cioè alla relazione personale che gli esseri umani hanno con Dio, sia in questo mondo sia nel successivo. La seconda presenta numerose prescrizioni riguardanti il comportamento quotidiano. Per quanto attiene alla sfera spirituale, il Corano pone, in modo inequivocabile, uomini e donne sullo stesso piano. È importante sottolineare che anche alle donne è promesso il Paradiso; questo versetto fu rivelato fu rivelato a Muhammad come risposta alle donne musulmane che chiedevano di sapere cosa l'islam si aspettasse esattamente da loro. Dunque, il Paradiso spetta a tutti coloro che credono e compiono delle opere buone. Inoltre, è importante contestualizzare il Corano storicamente. Il Corano giunse in una società che aveva già norme consolidate riguardo al trattamento, lo status e il ruolo delle donne. Alcune affermazioni del Corano a proposito delle donne sono collegate a un momento storico preciso; esse si rifanno ai costumi della società in cui Muhammad e il messaggio dell'islam arrivarono. Per esempio, il Corano afferma chiaramente che la pratica pre-islamica dell’infanticidio femminile sarà condannata nel Giorno del Giudizio. Matrimonio e divorzio. Le società descritte nel Vecchio Testamento erano da lungo tempo abituate alla poligamia; la società dell'Arabia del VII secolo prima dell’islam presentava una varietà di usanze matrimoniali. Nel matrimonio musulmano gli uomini «sono preposti alle donne» e dovrebbero anche ammonirle e sono loro che decidono quando avere rapporti sessuali. Il Corano evidenzia le qualità auspicabili in un matrimonio ideale, come la pace, l'armonia e la cura reciproca; consente a un uomo di avere fino a quattro mogli, ma ciò è permesso soltanto se egli è in grado di trattarle tutte allo stesso modo. Se un uomo non può trattare diverse mogli allo stesso modo, allora dovrebbe averne soltanto una. Secondo il Corano, il divorzio è permesso ma solo in circostanze eccezionali. Deve essere fatto ogni sforzo per appianare i contrasti. Il Corano menziona la procedura da seguire in caso di divorzio e le responsabilità spettanti all'uomo nei confronti della moglie divorziata e dei suoi figli. Abbigliamento. Nel Corano la modestia nell’abbigliamento in pubblivo è prescritta sia agli uomini sia alle donne, sebbene in quest’ultimo caso le istruzioni siano sicuramente più specifiche riguardo a cosa si intende per modestia: il capo e il petto di una donna dovrebbero essere coperti. Non c’è alcun accenno al viso. Le donne nella legge islamica. Mentre il Corano e gli ahadith costituiscono la base della fede islamica, la legge con cui le società musulmane regolano se stesse deriva da interpretazioni
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