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Dispensa parte generale Roberto Calvo, Diritto Civile, Vol. 2 - Il Contratto, 2023/2024, Dispense di Diritto Civile

Dispensa completa della parte generale del prof. Enrico Minervini, "Diritto Civile, volume 2 - Il Contratto", editore: Zanichelli, anno: 2020, seconda edizione (R. Calvo). Da sistemare un po' con la formattazione, si consiglia di trasformarla in file word. I contenuti, tuttavia, sono di livello molto alto, consentendo a tutti di risparmiare tempo e passare l'esame con votazione massima. Si consiglia l'acquisto con la dispensa pure della parte speciale.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 09/03/2023

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Scarica Dispensa parte generale Roberto Calvo, Diritto Civile, Vol. 2 - Il Contratto, 2023/2024 e più Dispense in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! 1 Diritto Civile, Vol. 2 - Il Contratto Disciplina: Il codice prevede la disciplina del contratto al Libro IV chiamato “Delle obbligazioni”. In particolare, esso contiene il libro IV, Titolo II, che disciplina “Dei contratti in generale” (artt. 1321 – 1469 bis) e il libro IV, Titolo III, che disciplina “Dei singoli contratti” (artt. 1470 – 1986) . Per quanto concerne la sistematica del codice, va detto che già il Codice Civile del 1865 conteneva, sullo schema del Code Napoléon, una disciplina del contratto in generale e la conteneva nella parte dedicata a “i modi di acquisto della proprietà e degli altri diritti sulle cose”. Perché questa collocazione? C'era stata la rivoluzione industriale e il contratto era visto dal legislatore come un modo di accesso alla proprietà. Codice del 1942: Col Codice civile del 1942 invece il legislatore cambia la sistematica perché il contratto viene inserito nel Libro II “Delle obbligazioni”. Perché? Perché il contratto non è più soltanto visto come strumento per l'acquisto della proprietà, ma è una vera e propria fonte delle obbligazioni. Inserire il contratto nel Libro delle obbligazioni significa il contratto rappresenta la fonte delle obbligazioni. Come ha sistemato la disciplina del contratto il legislatore? Il legislatore ha previsto un sistema a due livelli: - 1° livello normativo: norme sul contratto in generale (1321 e ss.) applicabile a TUTTI i contratti - 2° livello normativo: norme sui singoli contratti (1470 e ss.): Negozio giuridico Il contratto si inserisce nell’ampia categoria del “negozio giuridico”. NO codice: Il nostro codice NON accoglie la nozione di negozio giuridico, infatti NON la considera una categoria normativa. Dottrina: La categoria del “negozio giuridico” è un istituto di creazione dottrinale: la dottrina italiana ha creato la categoria del negozio giuridico partendo dalla scuola germanica, la quale ha sempre riconosciuto tale categoria. Art. 1324 cc: La dottrina italiana aveva comunque bisogno di un aggancio normativo, cioè di una norma codicistica dalla quale partire per costruire la categoria del negozio giuridico. Tale aggancio normativo è stato trovato nell’art. 1324 cc, che afferma: “Tutte le norme che regolano i contratti si applicano, in quanto compatibili, anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Minervini: Secondo Minervini, in realtà l’art. 1324 cc dimostra proprio l’inutilità di creare la nuova categoria del negozio giuridico. Opinione pacifica: Ad ogni modo, è ormai pacifico che il nostro sistema giuridico accolga ormai la categoria del negozio giuridico, differenziandola dal contratto: - negozio giuridico: il negozio giuridico è quella manifestazione di volontà con cui il soggetto o i soggetti enunciano gli effetti che intendono conseguire che l’ordinamento riconosce e tutela. Quindi, il negozio giuridico richiede due presupposti: la volontà di compiere l’atto e la volontà della produzione degli effetti. La struttura almeno unilaterale: il negozio, a differenza del contratto (che ha una struttura quantomeno bilaterale), può essere compiuto anche da una sola parte. - contratto: per il contratto è sufficiente la SOLA volontà di compiere l’atto, quindi NON è necessaria anche la volontà della produzione degli effetti. Infatti, ad esempio, se una parte non adempie la sua obbligazione, l’altra parte può intimare per iscritto di pagare avvisandolo che in mancanza comincerà un processo. Questa è la cd. costituzione in mora del debitore, la quale produce effetti ex lege automaticamente, a prescindere dal se il creditore intimante non sapesse, e dunque non volesse, gli effetti. 2 NOZIONI INTRODUTTIVE Definizione di contratto L’art. 1321 cc afferma “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” Caratteristiche: Dalla definizione fornita dall’art. 1321 cc ricaviamo le tre caratteristiche del contratto: 1) accordo: rispetto all’elemento dell’accordo, la definizione fornita dell’art. 1321 cc non è una definizione felice in quanto l’accordo: da un lato è considerato un sinonimo di contratto e dall’altro lato è un elemento essenziale del contratto. 2) struttura quantomeno bilaterale: essendo un accordo, il contratto presuppone la presenza di almeno due parti, quindi si parla di struttura quantomeno bilaterale (ma può essere anche plurilaterale). 3) patrimonialità: il contratto è diretto a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. La patrimonialità è un requisito fondamentale del contratto: se NON c’è patrimonialità = NON c’è contratto. Che significa “rapporto giuridico patrimoniale”? Per patrimoniale si intende suscettibile di valutazione economica: suscettibile di valutazione economica può essere sia la prestazione che la controprestazione, e non necessariamente entrambi lo sono. Ad esempio, se assisto ad uno spettacolo sportivo, certamente non sono mosso da un interesse economico (patrimoniale), ma da un mero interesse ricreativo. Eppure, quando compro il biglietto per assistere allo spettacolo sportivo, questo è un contratto in quanto è un accordo che serve per regolare un rapporto giuridico patrimoniale: qui la patrimonialità sta nel fatto che suscettibile di valutazione economica è la controprestazione, NON la prestazione. Gli elementi del contratto Parte della dottrina italiana, sulla falsariga della classificazione germanica del negozio, afferma che gli elementi che compongono il contratto sono idealmente scomponibili in: 1) elementi essenziali: sono quegli elementi richiesti necessariamente per la validità del contratto. Essi sono: accordo, oggetto, causa e forma. Se manca uno di questi elementi, il contratto è invalido. 2) elementi accidentali: sono quegli elementi che le parti possono inserire all’interno del contratto sottoforma di clausole, ma comunque NON incidono sulla validità del contratto: se mancano, il contratto è comunque valido. Essi sono: condizione, termine, modus. 3) elementi naturali: sono quegli elementi previsti dalle norme giuridiche come effetti naturali che scaturiscono naturalmente dal tipo di contratto stipulato, a meno che le parti non stabiliscano diversamente. Ad esempio, se Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita e nulla statuiscono in tema di vizi della cosa venduta, allora si applicheranno naturalmente le norme (artt. 1490 e ss.) che prevedono la garanzia del venditore in presenza di vizi. Minervini avverte: dal punto di vista scientifico questa tripartizione non ha un grosso valere, però è opportuna tenerle a mente perché Calvo la richiama spesso. Ad ogni modo, il codice NON riporta questa tripartizione. Struttura del contratto. La direzione degli effetti Nella prassi è molto diffusa una distinzione - che anche il manuale di Calvo adotta - tra contratti unilaterali, bilaterali o plurilaterali: è una distinzione che utilizza una terminologia piuttosto equivoca. Perché? Partiamo da una premessa perentoria: il contratto ha SEMPRE una struttura quantomeno bilaterale, perché altrimenti non si parlerebbe di “accordo tra due o più soggetti”. Bisogna distinguere tra: - struttura del contratto: può essere bilaterale o plurilaterale - direzione degli effetti contrattuali: può essere unilaterale o plurilaterale. Contratto bilaterale e plurilaterale: Riguardo alla struttura delle parti del contratto, il contratto può essere: bilaterale: il contratto è bilaterale quando ha due parti contrattuali plurilaterale: il contratto plurilaterale è quel contratto che ha più di due parti contrattuali. 5 Dottrina: In dottrina è discusso se contratti a titolo oneroso e contratti a prestazioni corrispettive siano sinonimi. Minervini: Probabilmente NON sono sinonimi perché esistono fattispecie in cui le due definizioni non combaciano. Ad esempio, il mio immobile vale un milione di euro ma lo vendo a 1 euro. In questo caso ho una compravendita mista a donazioni, che è un contratto a prestazioni corrispettive ma, data la clamorosa sproporzione tra prestazione, catalogabile qui come atto a titolo gratuito. Contratti istantanei e di durata: Infine si distingue tra: contratti istantanei: sono quei contratti in cui l’adempimento delle prestazioni si esaurisce nel compimento di un solo fatto in un unico momento, che può essere simultaneo alla conclusione del contratto o anche successivo. Nell’ambito dei contratti istantanei si distingue tra: ad esecuzione immediata: quando l’adempimento delle prestazioni si esaurisce in un unico momento al momento della stipula del contratto. Ad esempio,compravendita. Ad esecuzione differita: quando l’adempimento delle prestazioni si esaurisce in un unico momento ma successivo rispetto alla stipula del contratto. Ad esempio,cessione dei contratti. Contratti di durata: sono quei contratti le cui l’adempimento delle prestazioni si sviluppa nel tempo, essendo destinate ad appagare interessi durevoli delle parti. Ad esempio, i contratti di appalto, di locazione. Nell’ambito dei contratti di durata si distingue tra: . ad esecuzione continuata: qui le prestazioni sono continuate nel tempo. Ad esempio, locazione, assicurazione. . ad esecuzione periodica: qui le prestazioni vengono ripetute nel tempo in maniera non continuata, ma osservando intervalli di tempo regolari. Ad esempio, il contratto di lavoro. Ci sono poi contratti particolari che presentano da un lato una prestazione ad esecuzione continuata e dall’altro una prestazione ad esecuzione periodica. Ad esempio, contratto di somministrazione di energia elettrica: da un lato colui che distribuisce energia elettrica si obbliga a fornire energia elettrica continuativamente all’utente, e dall’altro lato l’utente ha una obbligazione periodica ogni due mesi di pagare la bolletta. L’AUTONOMIA (LIBERTÀ) CONTRATTUALE Calvo descrive il diritto privato come il regno della libertà di autodeterminarsi per i consociati. All’interno del diritto privato, l’autodeterminazione dei singoli domina sovrana in virtù del principio di autonomia contrattuale. Nozione: Il contratto è un atto di autonomia privata. L’autonomia contrattuale privata è intesa come libertà contrattuale, cioè come potere dei privati di operare liberamente le proprie scelte nel mercato, quindi come il potere di ogni consociato di: - poter decidere se stipulare un contratto - poter scegliere la controparte con cui stipulare un contratto - poter scegliere il tipo contrattuale o un modello atipico, e il contenuto del regolamento di interessi Art. 1322 cc: L’art. 1322 cc, rubricato proprio “Autonomia contrattuale”, afferma: - comma 1: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [41 Cost.]”. Il primo profilo dell’autonomia contrattuale è individuato dal comma 1 e attiene al contenuto del contratto: le parti sono libere di scegliere: - SE concludere un contratto - CON CHI concludere un contratto - COME determinare il contenuto di un contratto. Limite: La libertà contrattuale NON è sconfinata, ma deve avvenire comunque nei limiti imposti dalla legge (norme imperative, ordine pubblico e buon costume). - comma 2: Il secondo profilo dell’autonomia contrattuale è individuato dal comma 2 e attiene al tipo di contratto: le parti sono libere di adottare: - uno dei tipi contrattuali disciplinati dalla legge (i cd. contratti tipici) - ma sono anche liberi di creare nuovi contratti (i cd. contratti atipici o innominati), cioè contratti che non appartengono ai tipi disciplinati dal codice, PURCHÉ siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Art 1323 cc: “Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo” La disciplina sul contratto in generale si applica a TUTTI i contratti: 6 - sia ai contratti ATIPICI (o innominati) 7 - sia ai contratti TIPICI: se il contratto è tipico, allora gli si applicherà: - la disciplina generale de “Del contratto in generale” - la disciplina specifica di quel singolo tipo contrattuale prevista ne “Dei singoli contratti” Ad esempio, contratto di compravendita: questo contratto è disciplinato dalle norme sul contratto in generale + dalle norme sul contratto di compravendita. Con una particolarità: dato che le norme sulla compravendita sono speciali rispetto alla disciplina sul contratto che è generale, l’interprete dovrà applicare prima le norme speciali, perché queste prevalgono su quelle generali, e, soltanto ove le norme speciali non dispongano, allora si applicherà la parte generale sul contratto. Art. 1324 cc: “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. L'art. 1324 allude ai negozi giuridici unilaterali, con la sola limitazione che deve trattarsi di atti a contenuto patrimoniale, per un maggiore ravvicinamento al contratto. Tra gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale abbiamo: - la procura - l’autorizzazione - la promessa unilaterale - gli atti che provocano estinzione di rapporti (pagamento, recesso, disdetta). Il valore costituzionale dell’autonomia contrattuale Domanda: il principio di autonomia contrattuale è previsto in Costituzione? NO, in Costituzione NON c’è alcuna norma che tuteli direttamente la libertà (autonomia) contrattuale. TUTTAVIA, la Corte costituzionale con sentenza costituzionale 37/1969 ha affermato: l’autonomia contrattuale: - è vero che NON riceve una tutela diretta dalla Costituzione - ma riceve una tutela indiretta dagli artt. 41 – 42 Cost., quindi l’autonomia contrattuale gode, seppur di riflesso, di una tutela indiretta. Ricordiamo che: - art. 41 Cost.: afferma che l’iniziativa economica privata è libera - art. 42 Cost.: tutela la proprietà privata. Tutelando la proprietà privata, chiaramente si tutela anche la libertà dei privati di acquistare la proprietà stessa. Legislazione antimonopolistica Naturalmente, in un ordinamento in cui gioca un ruolo fondamentale l’autonomia contrattuale, non meraviglia che vi sia una legislazione antimonopolistica (cd. disciplina antitrust) al fine di contrastare il formarsi di monopoli. Perché? Perché i monopoli contrastano (devitalizzano) la libertà contrattuale, dunque è importante che l’ordinamento prevede una disciplina antitrust per arginare la formazione dei monopoli. Proprio a tale scopo, la L. 287/1990 ha previsto una disciplina antitrust: - art. 2 vieta a pena di nullità le intese tra imprese volte a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante - art. 3 vieta l’abuso di posizione dominante che si concreta in una delle seguenti condotte: a) imporre prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni ingiustificatamente gravose b) impedire o limitare la produzione o gli accessi al mercato c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti. 10 tabelloni in cui elenca tutte le sue condizioni generali di trasporto. 2) un onere di diligenza in capo all’aderente: le condizioni generali del contratto sono efficaci SOLO SE l’aderente: - le ha concretamente conosciute - o avrebbe dovuto conoscere usando la diligenza ordinaria perché erano comunque conoscibili. La valutazione della conoscibilità secondo il parametro dell’ordinaria diligenza: Per valutare il requisito della conoscibilità si deve far riferimento al parametro dell’ordinaria ordinaria, cioè si deve far riferimento all’astratto contraente medio di normale diligenza, cioè ciò che è normale attendersi dalla massa degli aderenti. In virtù di ciò, si ESCLUDE che all’aderente si richieda un particolare sforzo di diligenza. NO conoscenza effettiva: Da queste due condizioni di efficacia delle condizioni generali del contratto comprendiamo che: - NON rileva la concreta conoscenza effettiva delle condizioni generali - ma è sufficiente la conoscibilità astratta. Se le condizioni generali del contratto sono state rese conoscibili dal predisponente, allora l’aderente NON potrà dolersi di averle trascurate, dato che la legge impone all’aderente un onere di normale diligenza il cui mancato adempimento è imputabile al solo aderente in virtù del principio di autoresponsabilità. Effetti della mancata conoscibilità: Cosa accade laddove le condizioni generali di contratto non siano state rese conoscibili dal predisponente all’aderente che, pur utilizzando l’ordinaria diligenza per conoscerle, non sia stato in grado di conoscerle? In caso di mancanza di conoscibilità delle condizioni generali del contratto: - dottrina minoritaria: le condizioni generali non rese conoscibili sono NULLE, potendosi applicare l’art. 1419 (nullità parziale) - dottrina maggioritaria: le condizioni generali non rese conoscibili sono INEFFICACI. Perché? La dottrina maggioritaria ritiene che la mancata conoscibilità delle condizioni generali del contratto: - NON comporti la nullità di esse, perché la nullità presupporrebbe che le condizioni generali del contratto non conoscibili comunque siano entrate a far parte del contenuto del contratto. Ma non è così. - ma comporti la INEFFICACIA: le condizioni generali non conoscibili sono inefficaci perché: - NON entrano a far parte del contenuto del contratto - NON producono effetti nei confronti dell’aderente - sono semplicemente espulse dal contenuto del contratto. Inoltre, si ritiene si tratti di inefficacia assoluta, quindi rilevabile sia dalle parti che d’ufficio. Onere probatorio: In caso di processo, è a carico del predisponente che intende avvalersi delle condizioni generali di contratto l’onere di provare la conoscibilità o la concreta conoscenza che aveva l’aderente delle condizioni generali del contratto. Art. 1342 cc: Moduli e formulari Il successivo art. 1342 cc disciplina i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli e formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali. Nella prassi il sistema più diffuso per rendere conoscibili le condizioni generali di contratto è inserirle per iscritto in moduli e formulari. È una possibilità che il predisponente sfrutta spesso nella prassi (NON è una regola comunque). 11 Ad esempio, moduli e fac-simile, in cui il cliente si limita sostanzialmente a riempire i punti del modulo che sono lasciati in bianco: nome, cognome, codice fiscale, ecc. Clausole aggiunte: Se sono state aggiunte delle clausole rispetto al modulo/formulario standard, allora tali clausole aggiunte prevalgono sulle clausole standard del modulo/formulario laddove esse siano incompatibili con esse. Perché? Perché la volontà particolare dei contraenti racchiusa nella clausola aggiunta prevale sulla volontà del predisponente contenuta nel modulo o formulario. Art. 1370 cc: Interpretazione delle condizioni generali del contratto L’ultima norma prevista dal Codice civile del 1942 sulle condizioni generali del contratto nel tentativo di tutelare la parte debole (= l’aderente) è una norma contenuta in sede di interpretazione ed è l’art. 1370 cc: l’interpretazione contro l’autore della clausola. L’art. 1370 cc afferma: se una clausola prevista tra le condizioni generali di contratto è dubbia o ambigua, allora tale clausola va intrepretata nel senso più favorevole all’aderente. LE CLAUSOLE VESSATORIE Fonte: Art. 1341 comma 2 cc Ratio storica: In tema di contrattazione asimmetrica e di contratti di massa (o standard), già il legislatore del 1942 si rese conto che alcune condizioni generali del contratto potevano essere particolarmente gravose per l’aderente (parte debole): si parla delle clausole cd. vessatorie. NO codice: Il Codice civile: - NON utilizza la locuzione “clausola “vessatoria” - NON dà una definizione di clausola vessatoria Quindi ATTENZIONE: è la dottrina ad utilizzare la locuzione “clausole vessatorie”, ma NON è il legislatore che lo utilizza. Definizione in dottrina: Se il codice tace sulla definizione di clausola vessatoria, allora è la dottrina che è intervenute per fornire una definizione di clausola vessatoria: la clausola vessatoria è quella clausola, rientrante tra le condizioni generali del contratto, che prevede un forte squilibrio tra le parti, ponendo delle condizioni particolarmente favorevoli al predisponente ma contemporaneamente particolarmente gravose (onerose) per l’aderente. Requisito della “specifica approvazione per iscritto” Per le clausole vessatorie previste dal comma 2 dell’art. 1341 NON è sufficiente il solo requisito della conoscibilità secondo il parametro della ordinaria diligenza, ma è necessario un ulteriore requisito: la specifica approvazione per iscritto da parte dell’aderente. Quindi le clausole vessatorie sono efficaci SOLO se specificamente approvate per iscritto dall’aderente. Ecco perché si parla del fenomeno della cd. doppia sottoscrizione, cioè l’aderente che accetta condizioni generali del contratto e clausole vessatorie, è chiamato a sottoscrivere due volte il contratto: 1) una 1° sottoscrizione per l’accettazione del contratto nella sua interezza 2) una 2° sottoscrizione per la specifica approvazione della/e singola/e clausola/e vessatoria/e. Se ci sono più clausole vessatorie, ovviamente è sufficiente una sola sottoscrizione con una dichiarazione che le raggruppi (cd. sottoscrizione globale), non essendo necessari sottoscrivere ogni singola clausola vessatoria. Ratio: Perché è previsto questo requisito della specifica approvazione per iscritto? Il legislatore del 1942 ha così ragionato: in presenza di clausole particolarmente sfavorevoli per l’aderente, dobbiamo richiamare la sua attenzione sulle conseguenze che gli possano derivare da queste specifiche clausole vessatorie. Con il requisito della necessaria specifica approvazione per iscritto, l’aderente quantomeno dovrà leggere queste clausole prima di sottoscriverle, e quindi in teoria dovrebbe renderlo più consapevole della portata vessatoria della clausola, sterilizzando così il cd. effetto sorpresa. È un requisito di forma. Tutela inadeguata: Questo requisito della specifica approvazione per iscritto è un requisito di forma che, in quanto tale, offre una tutela che però è meramente formale all’aderente, NON anche sostanziale. Perché? Perché, in quanto mero requisito di forma, la specifica approvazione per iscritto significa accettazione della clausola vessatoria A PRESCINDERE dal se l’aderente abbia piena consapevolezza della portata della clausola vessatoria. 12 Quindi, col requisito della specifica approvazione per iscritto, la “tutela” offerta dal codice all’aderente è in realtà una tutela meramente formale, priva di tutela sostanziale, perché comunque: - NON si evita la vessatorietà perché la clausola vessatoria era e resta vessatoria, - NON si combatte l’iniquità della clausola vessatoria - semplicemente si sterilizza il cd. effetto sorpresa. In realtà, a ben vedere, la specifica approvazione per iscritto non è in grado nemmeno di sterilizzare l’effetto sorpresa, perché l’esperienza pratica ha dimostrato che l’aderente sottoscrive come se fosse una sorta di automatismo stimolato dalla sottoscrizione “principale”: l’aderente che stipula il contratto contenente una clausola vessatoria, approva la clausola vessatoria pur di sottoscrivere l’intero contratto (perché a lui interessa l’intero contratto), quindi alla fine nemmeno si rende conto della portata delle clausole vessatorie in esso contenute. Ecco allora che la tutela codicistica per l’aderente si rivela una tutela meramente formale, inadeguata a garantire davvero l’aderente. Come vedremo, soltanto il Codice del consumo sarà in grado di offrire una tutela sostanziale e forte all’aderente. Effetto della mancanza approvazione per iscritto: L’art. 1341 comma 2 afferma che se la clausola vessatoria non è specificamente approvata per iscritto dall’aderente, allora tale clausola “non ha effetto”. Che significa “non ha effetto”? Su questa locuzione c’è stato molto dibattito: - tesi minoritaria: la clausola vessatoria non approvata specificamente per iscritto dall’aderente è nulla. Perché? Perché verrebbe meno un requisito di forma (l’approvazione per iscritto) rispetto a quella specifica clausola. - tesi maggioritaria: l’opinione preferibile invece ritiene che la clausola vessatoria non approvata specificamente per iscritto dall’aderente è INEFFICACE. Perché? Comprendere se si tratti di nullità o di inefficacia è un problema teorico che può avere delle rilevanti conseguenze pratiche, anche gravi, rispetto al contraente aderente (parte debole), perciò è importante capire le motivazioni che portano a preferire la tesi della inefficacia. Perché? - affermare che si tratti di nullità complica il discorso perché bisognare considerare che nel nostro codice l’art. 1419 comma 1, che disciplina la nullità parziale, prevede che in caso di nullità di una clausola del contratto: - SE risulta che la clausola era essenziale per i contraenti, ALLORA la nullità della singola clausola si propaga all’intero contratto, quindi è nullo TUTTO il contratto - SE risulta che la clausola NON era essenziale per i contraenti, ALLORA è nulla soltanto la singola clausola Ora, il punto è: se si ritiene che alla mancata approvazione per iscritto di una clausola vessatoria si debba applicare la disciplina della nullità parziale ex art. 1419 comma 1, allora si correrebbe un grossissimo rischio: se quella clausola vessatoria era essenziale per i contraenti, allora la nullità di quella clausola si propagherà all’intero contratto, quindi tutto il contratto sarà dichiarato nullo. Ciò avrà una conseguenza grave perché tutto finirà per andare a danno del cliente aderente perché, dato che il contratto sarà dichiarato nullo, lui si troverà privato del bene/servizio di cui aveva bisogno e per il quale aveva stipulato il contratto. Quindi, parlare di nullità della clausola è molto rischioso perché potrebbe rivelarsi una vittoria inutile per l’aderente: l’aderente ha bisogno di quel bene o di quel servizio, ma rischia di venirne privato perché c’è il rischio che la nullità di quella clausola trascini con sé l’intero contratto. - ecco perché è preferibile parlare di inefficacia: la clausola vessatoria non approvata specificamente per iscritto dall’aderente è inefficace, quindi: - il contratto resta valido ed efficace - semplicemente viene espulsa quella singola clausola vessatoria. In questo modo si sta tutelando l’aderente perché il contratto resta valido ed efficace e quindi può continuare a godere del bene/servizio. 15 Ambito SOGGETTIVO di applicazione: La logica del Codice del consumo è diversa da quella del Codice civile. Perché? - il Codice civile NON tiene conto della qualità dei contraenti: abbiamo semplicemente parlato di predisponente (parte forte) e aderente (parte debole). Quindi la disciplina del Codice civile si applica a tutti i contratti in cui ci sono delle condizioni generali del contratto, A PRESCINDERE da quale sia la qualità soggettiva delle parti. - il Codice del consumo tiene conto delle QUALITÀ SOGGETTIVE dei contraenti. Infatti la disciplina del Codice del consumo NON si applica a tutti i rapporti contrattuali, ma si applica SOLO ai rapporti contrattuali tra: - professionista: è quella persona fisica o persona giuridica che agisce nel quadro della sua attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale per la produzione o distribuzione di beni/servizi. ATTENZIONE: Il Codice del consumo parla di professionista e NON di “imprenditore”, come invece sarebbe stato giusto. Perché? Perché la direttiva 13/1993 era scritta in francese e il traduttore italiano ha tradotto il termine “professionel” col termine professionista. Quindi, sono definiti professionisti tutti quelli che noi in Italia definiamo come imprenditori. - consumatore: è quella persona fisica che stipula un contratto NON per scopi che rientrano nella sua attività professionale o di impresa, ma per finalità private di consumo. ATTENZIONE: NON possono essere qualificati come consumatori: - le persone giuridiche - gli enti non personificati (associazione, fondazione, società, consorzio) Domanda: Come si fa a stabilire nel momento in cui si acquista un bene se è stato acquistato in qualità di consumatore oppure no? L’opinione prevalente è: se in astratto un acquisto può essere effettuato sia per scopi privati che per scopi professionali, allora per stabilire le finalità dell’acquisto si applica il criterio della prevalenza, cioè la parte riveste la qualifica di “consumatore” se le finalità private di consumo prevalgono sulle finalità professionali. In alcuni casi è semplice, Ad esempio, se Tizio acquista un romanzo, lo compra per finalità private di consumo, per il piacere di leggerlo. Oppure se l’avvocato Tizio acquista un codice civile, questo acquisto è avvenuto a scopo professionale, quindi in veste di “professionista” Ma in altri casi è complesso: se un avvocato acquista un pc, l’acquisto del pc per il consumo privato oppure per finalità professionali? È complicato qui stabilire se l’acquisto è prevalentemente per scopo privato o per scopi professionali. Alla luce della rilevanza della qualità soggettiva delle parti contraenti, possiamo dire che la disciplina del Codice del consumo è una disciplina settoriale e speciale perché si applica SOLO ai contratti tra professionista e consumatore in cui vi sia una predisposizione unilaterale delle condizioni contrattuali da parte del professionista. Da ciò cosa capiamo che la disciplina del Codice del consumo diventa una sorta di completamento delle regole poste dal Codice civile: se non abbiamo il professionista e il consumatore, allora gli artt. 1341 - 1342 - 1370 cc saranno le uniche norme a disciplinare la fattispecie. 16 Le clausole vessatorie nel Codice del consumo A differenza del Codice civile, il Codice del consumo fornisce una definizione generale di clausola vessatoria, oltre a fornirne un elenco. C’è dunque una diversa impostazione rispetto al Codice civile, perché: - Codice civile: il Codice civile: - NON dà una definizione di clausola vessatoria - si limita a dettare un elenco di clausole vessatorie all’art. 1341 comma 2. - Codice del consumo: il Codice del consumo: 1) dà una definizione di clausola vessatoria 2) + e fornisce un elenco di clausole vessatorie Definizione: L’art. 33 comma 1 Cod. consumo afferma: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Il Codice del consumo dunque fornisce una definizione ampia di clausola vessatoria, ritenendo che una clausola è vessatoria quando ha 3 caratteristiche: 1) predisposizione unilaterale delle clausole da parte del professionista (predisponente) 2) determina un significativo squilibrio tra le parti: una clausola è vessatoria quando determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali a favore del professionista predisponente e a danno del consumatore aderente. Che significa “significativo squilibrio”? - NON tutti gli squilibri comportano che la clausola vessatoria - NON ci si riferisce ad uno squilibrio economico: in un’economia di mercato NON spetta al giudice valutare la convenienza economica del contratto, ma soltanto ai contraenti. Eccezione: C’è un solo caso in cui può essere valutato lo squilibrio economico in sede di valutazione della vessatorietà: quando la clausola relativa al corrispettivo da cui emerge lo squilibrio economico sia poco chiara (opaca). - si riferisce ad un significativo squilibrio normativo: la clausola è vessatoria quando determina un significativo squilibrio di tipo NORMATIVO tra professionista e consumatore, cioè uno squilibrio di diritti e obblighi a favore del professionista. 3) è in contrasto con la buona fede oggettiva: una clausola è vessatoria quando, oltre al significativo squilibrio normativo, contrasti con la cd. buona fede in senso oggettivo (= dovere di correttezza e lealtà). Terminologia: L’art. 33 dice “malgrado la buona fede”. La direttiva, scritta in francese, utilizza il termine malgrè e il traduttore italiano ha tradotto con “malgrado la buona fede”. In realtà, il legislatore europeo non diceva “malgrado” ma diceva “in contrasto”. E infatti è corretto dire “in contrasto” con la buona fede. Le liste di clausole vessatorie del Codice del consumo Il Codice del consumo, all’interno degli artt. 33 comma 2 - 36 comma 2, al fine di agevolare l’accertamento della vessatorietà delle clausole, ha previsto due elenchi NON tassativi: - lista grigia (art. 33 comma 2): l’art. 33 comma 2 Cod. consumo contiene l’elenco di clausole PRESUNTIVAMENTE vessatorie, cioè quelle che si presumono vessatorie fino a prova contraria, cioè si presumono vessatorie A MENO CHE il professionista riesca a dimostrare che la clausola non è vessatoria: - o perché è stata oggetto di trattativa - o perché si limita a ricalcare il diritto positivo. 17 - lista nera (art. 36 comma 2): l’art. 36 comma 2 Cod. consumo invece contiene l’elenco di clausole SEMPRE vessatorie, quand’anche siano state oggetto di trattativa. Quindi, in questo caso, il compito del giudice è piuttosto agevole: se la clausola contrattuale rientra nella lista nera stabilita ex ante dal codice del consumo, allora il giudice ne dichiara immediatamente la nullità. Ad esempio, la clausola che esclude o limita le azioni del consumatore contro il professionista. NO tassatività: Queste due liste contengono un elenco NON tassativo di clausole vessatorie. Di conseguenza, il consumatore potrà comunque provare che una clausola, pur non essendo ex ante prevista come vessatoria dal Codice del consumo, in concreto produca un significativo squilibrio normativo dei diritti e degli obblighi tra le parti. Accertamento della vessatorietà (art. 34 cod. consumo) Il Codice del consumo, oltre a fornire una definizione di clausola vessatoria e a prevedere due elenchi di clausole vessatorie (quelle presuntivamente vessatorie e quelle sempre vessatorie), si preoccupa anche di fornire dei criteri per l’accertamento della vessatorietà di una clausola inserita in un contratto tra professionista e consumatore. Infatti, l’art. 34 Cod. consumo afferma che per accertare la vessatorietà di una clausola inserita in un contratto tra professionista e consumatore bisogna effettuare una valutazione in concreto: per valutare se la clausola contrastante con la buona fede abbia determinato un significativo squilibrio normativo tra le parti occorre valutare: - la natura della prestazione - le circostanze del contratto (cioè le circostanze esistenti nel momento dell’accordo) - NON si deve tener conto dell’adeguatezza economica del corrispettivo dei beni e dei servizi: lo abbiamo già visto quando abbiamo parlato delle caratteristiche delle clausole vessatorie: NON bisogna valutare lo squilibrio economico determinato dalla clausola, ma lo squilibrio di tipo normativo tra le parti Eccezione: Il giudice può estendere la valutazione anche all’equilibrio economico SOLO in un caso: quando le clausole redatte dal professionista siano poco chiare e poco comprensibili. Nullità di protezione (art. 36 cod. consumo) Fonte: Art. 36 Cod. consumo Nozione: Se si accerta la natura vessatoria di una clausola predisposta dal professionista nel contratto col consumatore, allora si verifica la cd. nullità di protezione, la quale colpisce solo la clausola vessatoria. La circostanza che il consumatore abbia approvato specificamente per iscritto la clausola vessatoria non gli impedisce di agire in giudizio per far dichiarare la nullità della clausola vessatoria. Infatti, nel codice del consumo, NON ha alcuna rilevanza la specifica approvazione per iscritto: la clausola vessatoria è comunque nulla. Quindi, al professionista NON basterà dire che aveva reso conoscibile la clausola vessatoria e che il consumatore l’ha anche approvata per iscritto perché se il giudice riterrà vessatoria la clausola, la dichiarerà nulla, a prescindere da tutto. Tutela: Si parla di nullità di protezione perché è a tutela (protezione) NON di interessi generali collettivi, ma del singolo consumatore. Caratteristiche: La nullità di protezione ex art. 36 Cod. consumo presenta caratteristiche peculiari: - è parziale: la nullità di protezione colpisce SOLO la clausola vessatoria, mentre il contratto resta valido per il resto. Quindi la nullità della clausola vessatoria NON si riverbera MAI sull’intero contratto. Ratio: Ciò costituisce una forte tutela a favore del consumatore perché, pur laddove in giudizio si accerti che la clausola è vessatoria e dunque è nulla, comunque il consumatore ha la garanzia che il contratto resta valido per il resto, e dunque non viene privato del bene/servizio per il quale aveva stipulato il contratto. Il legislatore è ben consapevole che se fosse interamente nullo il contratto, non sarebbe una vittoria per il consumatore. - è relativa: seconda caratteristica della nullità di protezione è che è una nullità relativa perché opera solo a vantaggio del consumatore, quindi la nullità della clausola vessatoria: - PUÒ essere eccepita dal consumatore - NON può MAI essere eccepita dal professionista 20 Intervento del legislatore: Proprio perché la debolezza dell’imprenditore debole è diversa dalla debolezza del consumatore, il legislatore, consapevole di ciò, ha ritenuto di NON estendere meccanicamente la tutela prevista per il consumatore anche all’imprenditore debole, perché giustamente si tratta di fattispecie diverse che richiedono discipline diverse. Tutela dell’imprenditore debole: Gli interventi più rilevanti del legislatore italiano a tutela dell’imprenditore debole sono stati in particolare due: - in tema di subfornitura: Con la L. 192/1998 in tema di subfornitura è la prima volta che il legislatore considera quelle ipotesi in cui lo squilibrio contrattuale possa verificarsi anche nei rapporti tra imprenditori Innanzitutto, che cos’è la subfornitura? La subfornitura: - NON è un tipo contrattuale - ma è uno schema contrattuale generale con cui si designa in generale una situazione che può riguardare qualsiasi contratto (appalto, vendita, somministrazione, ecc.). Quindi, per subfornitura si intende quello schema contrattuale generale mediante cui un imprenditore debole (subfornitore) effettua lavorazioni per conto di un altro imprenditore forte (committente). La definizione di subfornitura è ampia perché esistono due diverse tipologie di subfornitura: - la subfornitura di produzione: quando il subfornitore è chiamato a lavorare materiali, materie prime o semilavorati che vengono forniti dal committente - la subfornitura di fornitura di beni e servizi, che poi sono destinati ad essere incorporati nel prodotto finale dell’imprenditore forte. Il filo rosso che lega le due ipotesi di subfornitura sta nel rapporto di dipendenza economica, cioè di subordinazione imprenditoriale del subfornitore (imprenditore debole) rispetto alla posizione superiore del committente (imprenditore forte). Ecco perché il legislatore italiano, consapevole di tale rapporto di dipendenza economica, è intervenuto per VIETARE il fenomeno dell’abuso di dipendenza economica, che si realizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti. Con l’intento di tutelare la posizione del subfornitore (imprenditore debole) e di vietare l’abuso di dipendenza economica, la Legge sulla subfornitura statuisce: - il contratto di subfornitura deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam - sono nulli i patti che riservino la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto, o che attribuisca ad una delle parti la facoltà di recesso senza congruo preavviso - è nullo qualunque patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica. - in tema di franchising: altro intervento del legislatore italiano in tema di contrattazione asimmetrica tra imprenditore è avvenuto in tema di rapporto di affiliazione commerciale, il cd. franchising, Ad esempio, McDonald’s, Rosso pomodoro, Benetton. Fonte: L. 129/2004. Il franchising è di importazione americana. Nozione: La particolarità del contratto di franchising sta nel fatto che l’imprenditore debole, tramite il contratto di affiliazione commerciale con la casa madre (imprenditore forte), realizza l’attività dell’imprenditore principale utilizzando marchi, brevetti e reti commerciali di contatti della casa madre, il che deve avvenire secondo le direttive specifiche del franchisee. Tutela: Questa L. 129/2004 cerca di offrire tutela all’imprenditore debole in tema di franchising, ad esempio l’art. 3 afferma: se il contratto di affiliazione commerciale è a tempo determinato, l’affiliante (imprenditore forte) dovrà comunque garantire all’affiliato (imprenditore debole) una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a 3 anni. 21 LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE La responsabilità precontrattuale è disciplinata nel Codice civile da almeno due norme: gli artt. 1337 – 1338 cc. Nozione: La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo) è quella forma di responsabilità che deriva dalla lesione della libertà contrattuale della controparte derivante dal mancato rispetto degli obblighi imposti alle parti durante le trattative e la formazione del contratto. La violazione dei suddetti obblighi può portare a diverse conseguenze: - la mancata stipula del contratto (in caso di recesso ingiustificato dalle trattative) - la stipulazione di un contratto invalido o inefficace - la stipulazione di un contratto valido ed efficace, ma non conveniente. Ratio: Ma perché assume rilevanza quello che è successo prima della conclusione del contratto? Perché la formazione del contratto assume una prospettiva dinamica: le trattative contrattuali prevedono una formazione progressiva del contratto, quindi una formazione che avviene per tappe. È vero che le parti NON hanno l'obbligo di stipulare il contratto, ma hanno sempre e comunque una serie di obblighi contrattuali durante la fase delle trattative. Tutela: L’interesse che intende tutelare la disciplina della responsabilità precontrattuale: - NON è l’adempimento della prestazione - ma è l’interesse alla libertà contrattuale, cioè l’interesse della parte a: - a non essere coinvolta in trattative inutili - a non concludere contratti invalidi, inefficaci o comunque sconvenienti. Ambito di applicazione: La responsabilità precontrattuale: - riguarda SOLO quei contratti che sono il frutto di trattative tra le parti - NON riguarda i contratti che sono frutto di predisposizione unilaterale da parte di uno dei contraenti. In questo caso il legislatore prevede quella normativa cd. di trasparenza, cioè che il professionista deve redigere le clausole contrattuali in modo chiaro e comprensibile. ART. 1337 cc È la norma generale sulla responsabilità precontrattuale. Art. 1337: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede. La violazione del dovere di buona fede genera responsabilità precontrattuale”. Buona fede: L’art. 1337 cc impone il rispetto dell’obbligo di buona fede. Ma cos’è la buona fede? IN GENERALE, la buona fede è un canone di condotta che può essere inteso in due modi: - in senso soggettivo: la buona fede soggettiva è l’ignoranza incolpevole di ledere una situazione giuridica altrui. È il cd. neminem laedere, cioè il principio secondo cui tutti sono tenuti al dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica. - in senso oggettivo: la buona fede oggettiva coincide con la correttezza e la lealtà. Buona fede in senso oggettivo: In tema di responsabilità precontrattuale ci riferiamo SOLO alla buona fede in senso oggettivo, quindi come obbligo per le parti durante le trattative di comportarsi secondo correttezza e lealtà. In proposito Calvo parla del cd. fairplay negoziale. Ratio: Ma perché si impone alle parti contrattuali il dovere di comportarsi secondo correttezza e lealtà durante lo svolgimento delle trattative? Si vuole tutelare il ragionevole affidamento di una parte a confidare sulla serietà della controparte addivenire alla stipula del contratto, cioè io intanto tratto in quanto sono convinto che la mia controparte sia seria nel suo proposito di voler giungere alla stipula del contratto. Obblighi tipici di buona fede: Gli obblighi precontrattuali che discendono dal rispetto della buona fede in senso oggettivo sono: - obblighi di informazione: l’obbligo di buona fede oggettiva postula il dovere di informare la controparte circa le circostanze rilevanti per l’affare. Un comportamento contrario a tale obbligo è considerato reticente. ATTENZIONE: l’obbligo di informazione NON riguarda la convenienza del contratto poiché questo inerisce alla negoziazione. Gli obblighi di comunicazione/informazione riguardano l’obbligo di comunicare alla controparte: a) le cause che rendono il contratto invalido, inefficace o inutile: il contraente è responsabile se, PRIMA della stipula del contratto, non avverte la controparte delle cause di invalidità o inefficacia (art. 1338 cc). 22 Tuttavia, DOPO la stipula del contratto, l’eventuale reticenza di una parte perde la sua rilevanza, in quanto vigerà poi il principio di autoresponsabilità (la parte che non ha verificato le condizioni di validità ed efficacia non se ne può dolere). b) le cause di inadempimento del contratto c) le condizioni circa la pericolosità della prestazione o del bene. - obbligo di chiarezza: l’obbligo di buona fede oggettiva postula anche il dovere di chiarezza, cioè le parti hanno il dovere di esprimersi in modo comprensibile alla controparte. Le varie ipotesi di responsabilità precontrattuale Dopo aver visto il contenuto dell’obbligo di correttezza precontrattuale, dobbiamo inquadrare tutte quelle condotte delle parti che integrano la violazione del dovere di buona fede e che dunque generano responsabilità precontrattuale. La responsabilità precontrattuale si genera in numerose ipotesi, tra cui: a) La violazione degli obblighi di buona fede oggettiva La prima ipotesi di responsabilità precontrattuale riguarda la violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva. Abbiamo visto che l’obbligo di buona fede oggettiva postula in primis l’obbligo di informazione delle circostanze relative all’affare: un comportamento contrario a tale obbligo è considerato reticente. La reticenza: Calvo si chiede: la reticenza può costituire una scorrettezza precontrattuale e dunque essere fonte di responsabilità precontrattuale? Nozione: Per reticenza si intende l’atteggiamento di chi maliziosamente resta in silenzio, quindi tace maliziosamente circostanze che, se note alla controparte, l’avrebbero indotta a non stipulare oppure a stipulare a condizioni diverse. Ad esempio, Tu credi che l’orologio sia d’oro, io so che in realtà è soltanto placcato, ma mi limito a tacere, cioè non ti avverto che quell’orologio in realtà è soltanto placcato; quindi di fronte alla tua falsa rappresentazione della realtà io non ti do quelle notizie che ti potrebbe aiutare. Fonte di responsabilità precontrattuale: Per Calvo SI, la reticenza durante le trattative può far sorgere responsabilità precontrattuale perché, affinché ci sia una scorrettezza precontrattuale, NON è richiesta necessariamente un comportamento attivo: può valere come scorrettezza precontrattuale anche il mero tacere malizioso. Quindi, se la reticenza maliziosa di una parte ha indotto la controparte a non stipulare il contratto oppure a stipulare il contratto a condizioni diverse da quelle a cui avrebbe stipulato se avesse conosciuto le reali circostanze dell’affare, allora ciò è certamente fonte di responsabilità precontrattuale. Intreccio col dolo omissivo: Chiaramente, il tema della reticenza si intreccia al tema del dolo omissivo. Secondo Calvo, durante la fase precontrattuale, il silenzio malizioso deve essere apprezzato più come reticenza che come dolo. b) Il recesso ingiustificato dalle trattative (affidanti) La prima ipotesi di responsabilità precontrattuale si configura in caso di recesso ingiustificato dalle trattative. Innanzitutto ci soffermiamo sul concetto di trattiva “affidante” e poi parliamo del recesso ingiustificato dalle trattative. Le trattative affidanti: Abbiamo detto che le parti hanno il dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza durante lo svolgimento delle trattative perché si vuole tutelare il ragionevole affidamento suscitato nella parte circa la serietà del proposito di trovare l’accordo. Però attenzione: le trattative hanno una funzione preparatoria e strumentale alla stipula del contratto, TUTTAVIA nel nostro ordinamento NON esiste un obbligo di contrarre: NON ogni trattativa deve per forza addivenire alla stipula del contratto, stante la libertà contrattuale di ognuno di valutare discrezionalmente l’opportunità di stringere o no l’accordo. Infatti, per il solo fatto che due parti siano in trattativa, NON hanno l’obbligo di concludere il contratto: una parte può anche recedere dalle trattive e quindi può non concludere il contratto. 25 - Calvo: Calvo invece propone una soluzione di compromesso che consiste in una sorta di onere di denuntiatio, perché afferma: interrompere bruscamente le trattative a seguito della sopravvenuta offerta più vantaggiosa è sì legittimo, tuttavia la parte che ha ricevuto quest’offerta dal terzo ha l’onere di rendere edotto l’originario offerente di aver ricevuto un’offerta più vantaggiosa. Solo a seguito di questa comunicazione l’eventuale recesso non darà luogo a responsabilità precontrattuale. c) La stipulazione di un contratto valido ed efficace ma non conveniente L’ultima ipotesi di responsabilità precontrattuale che può rientrare nell’art. 1337 cc riguarda il caso in cui il contratto concluso tra le parti sia VALIDO ed EFFICACE, ma NON CONVENIENTE. A questa ulteriore ipotesi di responsabilità precontrattuale ci si è arrivati di recente perché non è stata sempre considerata un’ipotesi di responsabilità precontrattuale. PRIMA: Per molto tempo, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 sorgesse SOLO se: - o il contratto non veniva stipulato (per recesso dalle trattative) - o se il contratto stipulato era invalido/inefficace. Si ragionava così: se ci sono state scorrettezze precontrattuali ma ciononostante il contratto è stato stipulato ed è valido ed efficace, allora non si poteva parlare di responsabilità precontrattuale. OGGI: Oggi invece, giurisprudenza e dottrina (tra cui Calvo) hanno mutato orientamento, arrivando ad affermare ciò: la regola posta dall'art. 1337 cc ha valore di clausola generale applicabile sempre, quindi: - sia in caso di mancata stipula del contratto - sia in caso di stipula di un contratto invalido o inefficace (art. 1338) - sia in caso di stipula di un contratto valido ed efficace, ma non conveniente. Quindi ATTENZIONE: la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso NON può escludere aprioristicamente la responsabilità precontrattuale. E infatti è ravvisabile un illecito precontrattuale anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido ed efficace, ma risulti non conveniente per una parte a causa di comportamenti maliziosi o reticenti della controparte durante le trattative, Ad esempio, se false informazioni o reticenza hanno inficiato il contenuto del contratto, il quale avrebbe avuto un contenuto diverso se la controparte si fosse comportata correttamente. Domanda: come si è arrivati a questa conclusione? La giurisprudenza e la dottrina sono partiti dall’art. 1440 cc che disciplina il cd. dolo incidente o incidentale. Il dolo incidentale è quel tipo di raggiro NON determinante del consenso della controparte, nel senso che ha indotto la parte raggirata a concludere il contratto a condizioni diverse rispetto a quelle a cui lo avrebbe concluso se non fosse stata raggirata. In caso di dolo incidentale, il contratto è VALIDO, ma la parte raggirata può chiedere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale. Ecco, partendo dalla disciplina del dolo incidente, la giurisprudenza e la dottrina hanno affermato: se la parte è stata vittima di una scorrettezza precontrattuale della controparte che l’ha indotta a concludere il contratto (valido ed efficace) a condizioni meno convenienti rispetto a quelle a cui lo avrebbe concluso se la controparte si fosse comportamento correttamente, allora sorge responsabilità precontrattuale in capo alla parte scorretta. ART. 1338 cc L’art. 1337 cc visto sinora è definito norma generale della responsabilità precontrattuale. Il successivo art. 1338 cc è invece definito norma speciale della responsabilità precontrattuale perché costituisce una applicazione dell’art. 1337 cc ma con riferimento SOLTANTO al contratto invalido o inefficace. Art. 1338 cc: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto” L’art. 1338 cc configura un’ipotesi speciale di responsabilità precontrattuale consistente nella dolosa o colposa conclusione di un contratto invalido o inefficace. Ambito di applicazione: La giurisprudenza estende l’ambito applicativo dell’art. 1338 cc perché: - l’art. 1338 cc parla soltanto di “validità” del contratto 26 - invece la giurisprudenza estende l’ambito dell’art. 1338 cc anche al concetto di “efficacia”. Differenza di tutele: L’oggetto della tutela dell’art. 1338 cc è diverso da quello difeso dall’art. 1337 cc: - art. 1337 cc: tutela il ragionevole affidamento intorno alla conclusione del contratto in fieri - art. 1338 cc: tutela il ragionevole affidamento intorno alla validità ed efficacia del contratto. 27 Condizioni: Ai sensi dell’art. 1338, in caso di stipula di un contratto invalido o inefficace, sorge responsabilità precontrattuale quando: 1) una parte: - o conosce l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto ma NON la comunica alla controparte (comportamento doloso) - o NON conosce l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto che però avrebbe dovuto conoscere (comportamento colposo) 2) e la controparte ha fatto ragionevolmente affidamento, senza sua colpa, nella validità del contratto. Giurisprudenza: La giurisprudenza maggioritaria limita l’applicazione dell’art. 1338 cc perché intreccia l’art. 1338 cc col principio di ignorantia legis non excusat (ignoranza colpevole). In che modo? La giurisprudenza, soffermandosi sulla locuzione “per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”, sottolinea che l’art. 1338 cc: - si applica SOLO IN ASSENZA DI COLPA del contraente vittima del comportamento doloso o colposo dell’altra parte - NON si applica se il contraente ha confidato nella validità/efficacia del contratto ma per colpa della sua ignoranza di norme di legge: in questo NON sorge responsabilità precontrattuale a carico della controparte. Infatti, NON merita tutela chi abbia ignorato per propria colpa sulla validità/efficacia del contratto (per ignoranza, negligenza, sufficienza). Perché? Perché tale parte avrebbe dovuto conoscere tale causa in virtù del principio di ignorantia legis non excusat, quindi non rileva che la controparte sia rimasta reticente senza comunicarle la causa di invalidità/ inefficacia. Quindi la parte NON può dire “ma io ho confidato nella validità/efficacia del contratto”, perché in realtà esisteva una norma di legge che avrebbe dovuto conoscere e se non l’ha conosciuta è un problema suo, non può dolersene perché ignorantia legis non excusat. Critica di Calvo: Questo indirizzo della giurisprudenza maggioritaria è criticato da Calvo. Calvo ritiene che interpretare l’art. 1338 cc in questo modo vuol dire porre una limitazione all’applicabilità dell’art. 1338, limitazione che: - è estranea alla lettera del codice (perché non è scritto da nessuna parte del codice) - è estranea alla ratio legis ATTENZIONE: La tesi di Calvo è comunque molto minoritaria. Oggi la giurisprudenza è assolutamente pacifica nel ritenere quanto esposto sopra. Contratto concluso da un soggetto legalmente incapace di contrarre Una questione che Calvo affronta nell’ambito dell’art. 1338 cc è quella relativa all’ipotesi in cui uno dei contraenti sia legalmente incapace di contrarre in quanto minore d’età, inabilitato o interdetto. Se un contraente stipula un contratto confidando, senza sua colpa, nella validità/efficacia del contratto ma poi scopre di aver stipulato un contratto invalido (in quanto annullabile) perché la controparte era legalmente incapace a contrattare, è un caso di responsabilità precontrattuale ex art. 1338 cc perché la controparte ha occultato la sua incapacità a contrarre che rende invalido il contratto? Calvo: Calvo ritiene che NON si configuri la responsabilità precontrattuale a carico del contraente legalmente incapace, e ciò perché l’ordinamento tutela quale valore primario l’interesse del legale incapace a contrarre. Per Calvo NON si configura MAI la responsabilità precontrattuale del legalmente incapace di contrarre perché: a) se il contratto è invalido (annullabile) per l’incapacità legale a contrarre di uno dei contraenti: il contratto è invalido e tale invalidità è prevista proprio per tutelare l’incapace, quindi è ovvio che NON sorge responsabilità precontrattuale a suo carico. b) se il legalmente incapace recede dalle trattative: anche qui NON sorge responsabilità precontrattuale a carico dell’incapace perché il recesso dell’incapace è considerato sempre giustificato. Perché? Perché l’ordinamento tutela il preminente interesse dell’incapace 30 Partendo da questa teoria tedesca, la giurisprudenza italiana dice: durante la fase precontrattuale c’è una singolare obbligazione che è “il dovere di comportarsi correttamente nonostante non ci sia ancora una obbligazione adempiere la prestazione”. Quindi una parte contrattuale: - NON può agire in giudizio per chiedere l’adempimento di una prestazione perché non c’è ancora un contratto, quindi non c’è ancora una prestazione da poter adempiere - MA può agire in giudizio in caso di trasgressione del dovere di comportarsi secondo correttezza perché tale violazione farebbe nascere il diritto di chiedere il risarcimento del danno. Quindi si dice che quest’obbligo senza prestazione sarebbe un’ipotesi di responsabilità contrattuale. - contatto sociale qualificato: altra parte della giurisprudenza invece ricostruisce la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale dicendo: già nel corso delle trattative tra i due soggetti in trattativa si crea una forma di responsabilità cd. da contatto sociale. Perché? Perché tra i due soggetti in trattativa si crea un contatto, cioè un rapporto che produce già obbligazioni tra loro, e cioè il dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza. Fondamento normativo: Questa teoria del contatto sociale fa leva sull’art. 1173 cc che afferma che le obbligazioni nascono non soltanto da un contratto e da un fatto illecito, ma anche da “ogni altro atto/fatto idoneo” In questo caso abbiamo il contatto sociale tra le parti che è un fatto, dunque idoneo a produrre obbligazioni. Caratteristiche: Oggi dunque la giurisprudenza maggioritaria afferma dunque che la responsabilità precontrattuale abbia natura giuridica di responsabilità contrattuale da inadempimento ex art. 1218 cc, perciò le sue caratteristiche sono: - prescrizione dell’azione di risarcimento: 10 anni - onere della prova: dato che si tratta di responsabilità contrattuale, allora il regime dell’onere probatorio in sede di giudizio di risarcimento del danno è più favorevole al soggetto danneggiato rispetto al regime dell’onere probatorio che vige in caso di responsabilità extracontrattuale. Infatti, la differenza è notevole: - se fosse stata un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, allora il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare: 1) sia il danno subito 2) sia il dolo o la colpa del danneggiante - ma dato che è un’ipotesi di responsabilità contrattuale, allora è un regime probatorio molto più favorevole al danneggiato perché: - il danneggiato deve provare solo il danno subito - è il danneggiante (cioè il presunto autore della scorrettezza precontrattuale) a dover provare che durante le trattative ha agito correttamente o che la sua scorrettezza è dipesa da causa a lui non imputabile. 31 L’ACCORDO CONTRATTUALE Nozione: Ai sensi dell’art. 1325 cc, l’accordo contrattuale è un elemento essenziale (costitutivo) del contratto. Per accordo contrattuale si intende l’incontro dei consensi delle parti in ordine al programma contrattuale: con l’accordo le parti esprimono il loro intento in ordine al programma contrattuale (costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale). ATTENZIONE: L’accordo: - NON è accordo tra volontà - ma è accordo tra manifestazioni di volontà. L’accordo deve essere esteriormente riconoscibile sia dalle parti che dai terzi. Ciò che rileva dell’accordo è il significato obiettivo (o socialmente valutabile) dei loro atti. Indefettibilità dell’accordo: L’accordo è un elemento essenziale del contratto, pertanto è indefettibile, quindi NON può MAI mancare, dato che il contratto ha SEMPRE una struttura quantomeno bilaterale. Obiezione: Ci sono dottrine che ritengono che il codice riconosce molte figure di contratto nato senza accordo Queste dottrine infatti ritengono che ci siano situazioni in cui parlare di accordo sia soltanto fittizio, ad esempio nei casi di: - contratto con se stesso - contratto con obbligazioni a carico del solo proponente In queste ipotesi, secondo parte minoritaria della dottrina, si parlerebbe sì di contratti, ma mancherebbe l’accordo. Critica: In realtà la dottrina maggioritaria ritiene che il contratto esiga SEMPRE un accordo. Accordo “contrattuale”: Quando parliamo di accordo contrattuale dobbiamo sottolineare anche il termine “contrattuale”. Perché? Perché non tutti gli accordi sono contrattuali. Ci sono accordi giuridicamente rilevanti che non sono accordi contrattuali: sono chiamate “convenzioni”. Di regola: Accordo = conclusione del contratto: Di regola abbiamo visto che vige il principio consensualistico, e infatti parliamo di contratti consensuali: il contratto si perfeziona (conclude) per effetto del solo consenso delle parti legittimamente manifestato. Eccezioni: casi in cui il solo accordo non è sufficiente: Tuttavia, abbiamo visto che ci sono i contratti reali per i quali l’accordo NON è sufficiente ma è necessaria anche la consegna del bene. Modi di manifestazione della volontà: L’accordo può avere diverse forme perché moltissime sono le forme in cui si può manifestare la volontà. Sono tantissimi i segni con cui manifestare la volontà (Ad esempio, schiocco di dita, alzando la mano, col battito di ciglia, ecc.). I modi di manifestazione della volontà sono classificabili in due categorie: - manifestazioni espresse di volontà: la manifestazione di volontà è espressa quando è esternata mediante segni di linguaggio. I segni di linguaggio sono quelli considerati strumenti comunicativi, quindi parole o gesti. I segni di linguaggio posso anche essere convenzionali (Ad esempio, messaggi in codice, occhiolino, alzata di meno), purché siano stati concordati prima. Ad esempio, le parti possono accordarsi che se Caio vuole accettare la proposta di Tizio, basta che strizzi l’occhio. Qui la strizzata di occhio è una manifestazione di volontà espressa e NON tacita, e perché? Perché noi abbiamo convenuto che la strizzata d’occhio significava sì. Ad esempio, durante l’asta la manifestazione espressa di volontà è l’alzata di mano. Quindi qualunque sia il veicolo manifestativo, la manifestazione è espressa quando quel veicolo manifestativo ha il solo scopo di esteriorizzare la volontà interiore. - manifestazioni tacite di volontà: quando le parti manifestano la loro volontà mediante comportamenti concludenti che non costituiscono mezzi di linguaggio e dai quali tuttavia si desume l’implicito intento negoziale. 32 Accordo e trattative: Il codice, quando parla di formazione del contratto, parla di accordo, ma NON parla mai di trattative. Perché? Perché NON tutti i contratti hanno delle trattative alla loro base. Infatti, NON tutti i contratti sono “contrattati”, NON tutti scaturiscono da previe trattative. Anzi, possiamo proprio dire che per le necessità di tutti i giorni, le trattative risultano grandemente superate. Ad esempio, inserire la moneta in un distributore automatico. Quindi ATTENZIONE: le trattative che precedono l’accordo possono esserci, ma NON sono un elemento imprescindibile dell’accordo e dunque del contratto. Schemi di formazione del contratto Esistono diversi modi di formazione del contratto che il legislatore prevede all’interno del codice. Possiamo fare una bipartizione tra: - schema classico “proposta + accettazione”: si parla di schema “classico” di formazione del contratto perché è quello più utilizzato nella prassi. - schemi particolari: vi sono anche modalità particolari di conclusione del contratto che semplificano oppure aggravano lo schema classico. ATTENZIONE: È corretto parlare di schema classico e schemi particolari. È sbagliato parlare di schema generale e schemi eccezionali (come spesso si sente dire) perché NON si tratta di una questione generale-eccezionali, ma si tratta semplicemente di constatare che gli schemi particolari sono meno utilizzati nella prassi. A) Schema classico: “proposta + accettazione” Lo schema classico di formazione del contratto è quello che si articola nella sequenza “proposta + accettazione”. Schema classico: Lo schema “proposta + accettazione” è uno schema generale di conclusione del contratto che si applica a tutte le fattispecie contrattuali per le quali non sia previsto uno modello diverso di conclusione del contratto. Art. 1326 cc: “Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta viene a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”. Accordo: Nello schema classico di formazione del contratto, l’accordo è il frutto dell’unione armonica tra proposta e accettazione: l’accordo contrattuale si forma nel momento dello scambio di proposta e accettazione conforme. Proposta: La proposta è quella dichiarazione di volontà contrattuale fatta dal cd. proponente con cui questi rende noto ad un altro soggetto (oblato) l’intenzione di stipulare un contratto a determinate condizioni. Accettazione: L’accettazione è quella dichiarazione di volontà contrattuale fatta dal cd. oblato (il destinatario della proposta contrattuale) con cui questi accoglie la proposta del proponente. Il potere di accettare o rifiutare la proposta è un diritto potestativo che ha la sua fonte proprio nella proposta del proponente. Conclusione del contratto: Proposta e accettazione sono due tappe fondamentali della fase della fase precontrattuale delle trattative. Quando si considera concluso il contratto mediante lo schema proposta-accettazione? Il contratto si considera concluso (cioè perfezionato) nel momento e nel luogo in cui il proponente abbia avuto cognizione dell’accettazione dell’altra parte. Ricordiamo che conclusione del contratto = perfezionamento del contratto. Natura giuridica: A livello giudico, proposta e accettazione sono: - atti unilaterali: consistono in dichiarazioni di volontà unilaterali con cui le parti esprimono il loro consenso costitutivo del contratto - recettizi: producono i loro effetti dal momento in cui giungono nella sfera di conoscenza del destinatario. È vero che sono atti recettizi, ma la domanda è: l’ordinamento si accontenta della mera conoscibilità dell’atto o richiede una conoscenza effettiva dell’atto? L’art. 1335, rubricato “presunzione di conoscenza”, a differenza di quanto si dice nella rubrica, pone in realtà una presunzione relativa di conoscibilità: proposta e accettazione: - si presumono conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario 35 Però, comunque Calvo ammette: questo è un espediente che sarebbe ben possibile adottare anche qui da noi, ma il nostro legislatore NON è di questo avviso, per cui Calvo ritiene che in linea di principio non si possa cercare di interpretare il nostro diritto interno alla luce della norma della Convenzione di Vienna. Tra l’altro, lo stesso Calvo dice: pur ammettendo che si possa ragionare come ragiona la Convenzione di Vienna, sarebbe complicatissimo capire cosa si intenda per modifiche non essenziali, Ad esempio, se nell’accettazione l’oblato ha inserito una clausola di tipo impeditivo, questa difformità tra proposta e accettazione è marginale oppure essenziale? Naturalmente sarebbe un problema complesso stabilire se la clausola originaria della proposta o della accettazione sia essenziale o no al fine di capire se il contratto si è comunque concluso. 2) tempestività: L’accettazione, oltre ad essere conforme alla proposta, deve anche essere tempestiva, cioè deve pervenire al proponente: - entro il termine fissato nella proposta - o entro il tempo ordinariamente necessario o secondo la natura dell'affare o secondo gli usi. Ratio: Questo perché il proponente, salvo che per propria libera scelta, non può rimanere vincolato troppo a lungo, anche alla luce del fatto che le condizioni del mercato possono alterarsi. La formazione dell’accordo tra persone presenti e assenti L’accordo normalmente si perfeziona tramite lo scambio di proposta e accettazione tra soggetti presenti o comunque in contatto diretto (si pensi alla comunicazione telefonica o telematica). Tuttavia, ci dobbiamo interrogare anche sul tema della conclusione del contratto tra soggetti assenti. Accordo tra assenti: Si parla di accordo tra assenti quando a scambiarsi proposta ed accettazione sono persone che si trovano in luoghi distanti. Ad esempio, si parla di accordo tra assenti quando due persone in due luoghi diversi dialogavano per lettera o per telegramma. In realtà, oggi questa distinzione tra accordo tra presenti - accordo tra assenti è una distinzione in via di superamento, perché oggi i mezzi di comunicazione diretta (telefono, mail, pc) consentono di dialogare direttamente come se fossero l'uno di fronte all'altro, pur non essendo nello stesso luogo. E quindi oggi ci possono essere forme di accordo tra presenti anche tra soggetti che si trovino in luoghi diversi, Ad esempio, il contratto concluso su internet in diretta Skype. La trattativa frazionata Si dice che il contatto è concluso quando le parti hanno raggiunto l’accordo. Ma la domanda è: l'accordo deve essere formato su tutti gli elementi del contratto oppure è sufficiente che ci sia accordo almeno sugli elementi essenziali per poter dire che il contratto è concluso? Calvo parla di trattativa frazionata, riproponendo la tradizionale classificazione di origine germanica tra gli elementi del contratto tra: a) elementi essenziali del contratto (essentialia negotii): sono quelli espressamente elencati dall’art. 1325 cc: accordo, causa, oggetto, forma. b) elementi accidentali (o accessori) del contratto: sono quegli elementi che le parti possono inserire nel contratto, ma la cui mancanza non fa venir meno la validità del contratto. Sono: condizione, termine, modus. c) elementi naturali del contratto Calvo: La questione della trattativa frazionata, partendo dalla distinzione tra elementi essenziali e accidentali del contratto, è maledettamente ambigua, ma comunque può essere di massima impostata così: A) se le parti NON hanno ancora raggiunto l'accordo su tutti gli elementi essenziali del contratto allora il contratto NON può ritenersi concluso. B) se le parti hanno già raggiunto l’accordo su tutti gli elementi essenziali allora si potrebbe dire che il contratto possa ritenersi concluso (perfezionato), ma Calvo ritiene di dover distinguere ancora due situazioni: a) se le parti, dopo aver trovato l’accordo sugli elementi essenziali, hanno chiuso le trattative senza discutere su eventuali elementi non essenziali, allora il contratto è concluso (perfezionato). 36 Le eventuali lacune nel testo contrattuale sono colmate ricorrendo alla legge, cioè alla cd. integrazione contrattuale. Che significa? Il fatto che su un elemento non essenziale, per Ad esempio, sul termine per il pagamento del prezzo, non ci sia stata discussione tra le parti non impedisce di ritenere concluso il contratto. Laddove sorga una controversia in sede giudiziale, il giudice applicherà le norme del codice che disciplinano il termine e determinerà il momento in cui prezzo deve essere pagato. b) se invece le parti su un elemento non essenziale sono ancora in trattiva perché sono in disaccordo, allora NON è possibile ritenere il contratto concluso. Ad esempio, Tizio e Caio sono d'accordo sul contratto da stipulare ma sono in disaccordo sulle modalità di pagamento perché il venditore vuole il pagamento in un’unica soluzione mentre l'acquirente propone un pagamento dilazionato in varie rate. Questa differenza di posizioni sulle modalità di pagamento, pur essendo un elemento non essenziale che può essere determinato dalla legge, impedisce il perfezionamento dell’accordo perché le parti non sono ancora d’accordo su questo punto. L’invito a proporre (o a offrire) [invitatio ad offerendum] Dalla vera e propria proposta contrattuale (sia essa proposta a un destinatario determinato oppure proposta al pubblico, come nel caso dell’offerta al pubblico) si DISTINGUE l’istituto dell’invito a proporre (noto come invito ad offrire). Sono istituti diversi. Nozione: L’invito a proporre (o a offrire): - NON è una proposta - ma è un invito rivolto a una generalità indeterminata di persone a formulare proposte o comunque ad iniziare trattative. Ad esempio, il tipico esempio di invito ad offrire è il semplice cartello “vendesi” apposto su uno stabile senza nessun’altra indicazione. Il semplice cartello “vendesi” è un invito a offrire perché il significato del cartello è “sarei intenzionato a prendere in considerazione l'ipotesi di venderlo, perciò invito a formularmi una proposta di vendita”. Perché l’invito a proporre NON è una proposta? Perché l’invito a proporre è incompleto, quindi NON è una proposta in senso stretto, infatti è una dichiarazione che non contiene tutti gli elementi essenziali del contratto da concludere. Tanto è vero che NON è sufficiente che un soggetto interessato intervenga con una semplice accettazione. Infatti, ad esempio il semplice cartello “vendesi” non può certo vincolare l’aspirante venditore: vale solo come invito. Trasmissione della proposta dal nunzio È possibile che la trasmissione della proposta contrattuale avvenga per mezzo di un soggetto terzo che assume le vesti di nunzio, una sorta di messaggero. In questo caso, in capo al destinatario della proposta sorge un onere di diligenza di accertare la legittimazione del nunzio perché: - NON può riporre la propria fiducia incondizionata facendo leva sul semplice fatto che la dichiarazione paia a prima vista riconducibile al proponente - ma è tenuto ad accertare che la proposta provenga effettivamente dal proponente. La documentazione della trattativa. La minuta: completa o incompleta Calvo poi tratta il fenomeno della formazione progressiva dell’accordo tramite la formazione di documenti nel corso delle trattative che attestano lo svolgimento delle trattative e l’elaborazione del testo contrattuale. Che significa? Può accadere che l’accordo si raggiunga gradatamente e che le parti si scambino una serie di bozze, scritture, proposte, controproposte, raggiungendo gradualmente l’accordo, quindi per tappe. Nella prassi si parla di minuta o puntuazione, cioè bozze di contratto o stesure provvisorie destinate ad essere sostituite da un documento finale che racchiudono l’accordo definitivo. 37 Nozione: La puntuazione o minuta esprime sempre un accordo provvisorio, quindi NON definitivo, su punti del testo contrattuale o sull’intero testo contrattuale. Si distingue tra: - puntuazione incompleta: la minuta incompleta è quella bozza del contratto che: - NON racchiude l’intero testo contrattuale - ma racchiude singoli punti su cui si è raggiunto l’accordo. Quindi può accadere che le parti, man mano che raggiungano l’accordo su singoli punti, si scambino puntuazioni incomplete - puntuazione completa: la minuta completa è quella bozza del contratto che racchiude l’intero testo contrattuale. Questa puntuazione completa comunque è pur sempre una bozza, quindi è comunque un atto provvisorio perché, pur essendo una bozza completa, le parti si riservano ancora di rifletterci ed eventualmente modificarlo. Quindi la puntuazione completa NON è il testo contrattuale definitivo. Rilevanza giuridica: Che rilevanza giuridica hanno le puntuazioni? Le puntuazioni (complete o incomplete) potrebbero avere rilevanza giuridica in tema di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cc: la parte che propone domanda di risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale potrebbe portare in giudizio la puntuazione per dimostrare l’accordo che le parti avevano raggiunto su alcuni punti o su tutto il testo contrattuale. Parte della giurisprudenza: Parte della giurisprudenza ha ipotizzato che in caso di minuta completa possa operare una presunzione semplice: - la puntuazione completa fa presumere l’accordo - A MENO CHE emerga la prova contraria, cioè risulti evidente che le parti con quella minuta, seppur completa, abbiano voluto soltanto fare una ricognizione dello stato delle intese man mano raggiunte nella elaborazione progressiva del testo del contratto. La lettera d’intenti Un altro possibile fenomeno che può verificarsi nella fase delle trattative è la cd. lettera di intenti. Nozione: È possibile che un soggetto interessato alla stipula di un contratto manifesti in una lettera il suo serio proposito di addivenire alla conclusione del contratto. Ciò può avvenire: - o all’inizio delle trattative: qui la lettera d’intenti costituisce la mossa d’apertura delle trattative - o durante le trattative: quando le trattative sono già in corso, una parte può redigere una lettera d’intenti in cui stabilisce delle linee guida, comprendendo: - i punti su cui c’è già accordo - i punti su cui c’è ancora da discutere - l’impegno a proseguire le trattative in vista della stipula del contratto. - richiesta di lettera d’intenti: la lettera d’intenti può anche essere richiesta da una parte per saggiare la serietà della controparte del proposito di raggiungere l’intesa. Ad esempio, una prestigiosa Galleria d’arte, che ha in vendita un Renoir, qualora sia stata richiesta dal potenziale compratore di portare in visione il dipinto presso la di lui abitazione per sottoporlo all’esame dei suoi esperti, può chiedere una lettera d’intenti a tale soggetto, cioè una preliminare dichiarazione attestante l’impegno a continuare il negoziato una volta constata l’autenticità dell’opera. In tal modo, il venditore mette immediatamente alla prova l’affidabilità della controparte evitando odiose perdite di tempo. Affidamento e responsabilità precontrattuale: L’invio di una lettera d’intenti: - NON vale MAI come conclusione del contratto - però può rafforzare il ragionevole affidamento del destinatario della lettera sulla serietà del proposito di raggiungere l’intesa da parte dell’autore della lettera. Ecco perché si potrebbe ritenere che l’autore della lettera d’intenti, laddove receda ingiustificatamente dalle trattative, potrebbe trovarsi esposto al rischio di responsabilità precontrattuale. Tale accertamento comunque va compiuto caso per caso, quindi NON è possibile dire in generale che l’invio di una lettera d’intenti faccia scattare la responsabilità precontrattuale a carico del suo autore. 40 Accettazione soggetta alla forma volontariamente vincolata Ai sensi dell’art. 1326 comma 4, il proponente nella proposta PUÒ dichiarare di esigere una forma particolare per l’accettazione. In tal caso, se l’oblato intende accettare la proposta, allora la sua accettazione avrà effetto SOLO SE questa rivestirà la forma impostagli dal proponente. Ratio: L’art. 1326 comma 4 serve a tutelare l’ESCLUSIVO interesse del proponente, il quale è arbitro esclusivo delle sorti del patto in discorso. Ma perché il proponente dovrebbe avere interesse ad esigere una forma particolare per l’accettazione? Perché è mosso dall’interesse di assicurare la massima certezza in merito all’accettazione dell’oblato, Ad esempio, per evitare le incertezze legate a dichiarazioni orali o a condotte concludenti. Ambito di applicazione: L’art. 1326 comma 4 si può applicare: - SOLO se si tratta di contratti a forma libera - NON si può applicare ai contratti a forma vincolata (cd. contratti formali). Perché? Perché se si tratta di contratti a forma vincolata (formali) per i quali la legge richiede una determinata forma a pena di nullità, è chiaro che sia la proposta sia l'accettazione devono essere formulate nel rispetto della forma prevista dalla legge, perciò il proponente NON può esigere una forma diversa per l’accettazione ex art. 1326 comma 4, dato che la stipulazione del contratto in forma diversa darebbe luogo ad un contratto invalido. Ipotesi patologia: Cosa accade se l’accettazione dell’oblato avviene in forma diversa rispetto alla forma richiesta dal proponente? Calvo parte da una premessa già esposta: l’art. 1326 comma 4 serve a tutelare esclusivamente l'interesse del proponente, il quale è arbitro esclusivo delle sorti del patto in discorso. - 1° questione: il contratto è valido? Calvo dice: se è vero che l’art. 1326 comma 4 tutela esclusivamente l’interesse del proponente, allora, in presenza di una accettazione in forma diversa da quella richiesta dal proponente, è tutto rimesso alla volontà del proponente: a) se il proponente NON accetta che l’accettazione sia stata resa con una forma diversa da quella da lui prescelta allora l’accettazione fatta in forma diversa NON ha effetto, quindi il contratto NON si è perfezionato b) se il proponente accetta che l’accettazione sia stata resa con una forma diversa da quella da lui prescelte allora il contratto si perfeziona (è concluso) ed è valido ed efficace. Perché? Perché, se è vero che è stato il proponente a richiedere una certa forma per l'accettazione, egli può anche rinunciarvi, ritenendo valida l’accettazione fatta in forma diversa. Alcuni ritengono che se il proponente ritenga efficace l’accettazione resa con forma diversa, allora ne deve dare immediato avviso all’oblato. Perché? Perché l’accettante non può permanere all’infinito circa le sorti del rapporto - 2° questione: limitazioni dell’accettante che abbia accettato in forma diversa L’oblato accettante, se ha formulato l’accettazione con una forma diversa da quella richiesta dal proponente: - NON può eccepire che la sua accettazione sia inefficace - NON può sottrarsi alla stipula del contratto invocando a proprio tornaconto la trasgressione della forma richiesta dal proponente. Dice Calvo: l'accettante NON può nascondersi dietro il fatto che ha espresso l’accettazione adottando una forma diversa da quella richiesta del proponente per sottrarsi all’impegno assunto. 41 Il silenzio e il silenzio circostanziato Abbiamo detto che dinanzi ad una proposta, l’oblato (destinatario della proposta), può accettarla, rifiutarla, formulare una controproposta oppure restare in silenzio (inerzia). Ecco, in caso di silenzio dell’oblato, come si interpreta tale condotta inerte? Il silenzio nel Codice del consumo: Il Codice del consumo, nell’ambito dei contratti tra professionista e consumatore, risolve espressamente il problema del silenzio all’art. 66 quinquies, affermando che il silenzio del consumatore rispetto ad una fornitura non richiesta da lui (Ad esempio, acqua, gas, ecc.), NON vale come accettazione tacita a continuare la fornitura non richiesta ed infatti il consumatore è esonerato dall'obbligo di fornire il corrispettivo. Naturalmente questo art. 66 quinquies NON è un principio generale ma è una norma speciale, che trova applicazione SOLO nei rapporti tra professionista e consumatore. Il silenzio nel Codice civile: Il Codice civile, a differenza del Codice del consumo, NON prevede una norma espressa per disciplinare l’ipotesi del silenzio del destinatario della proposta, perciò è l'interprete a dover studiare il problema del silenzio. Calvo: Secondo Calvo, l’impostazione sul silenzio è: - regola: di regola, il silenzio NON ha alcun significato né rilevanza giuridica, per cui: - NON equivale a comportamento concludente - NON vale come accettazione: è vero che spesso il codice tutela il proponente, ma la tutela del proponente NON può spingersi fino al punto da attribuire valore di accettazione al mero silenzio. - eccezione: silenzio circostanziato Tuttavia, ci sono ipotesi eccezionali in cui si parla di silenzio circostanziato, cioè quando il silenzio vale come accettazione tacita. Calvo infatti ritiene: se le parti si trovano in una relazione d’affari consolidata tra loro (Ad esempio, hanno rapporti da 5 anni continuativi), se una parte vuole interrompere la prassi consolidata, allora deve espressamente dichiararlo alla controparte, perché se invece resta in silenzio, tale silenzio vale come accettazione tacita. Ad esempio, immaginiamo che tra Tizio e Caio è usuale che Tizio, dopo aver trasmesso il catalogo mensile dei propri prodotti, invii a Caio una determinata quantità di prodotti se Caio resta in silenzio. Ora, se Caio intende da ora in avanti paralizzare l’effetto affidante del silenzio avvalorato dalla prassi, allora Caio deve dichiararlo espressamente, perché se resta in silenzio Tizio continuerà ad inviargli i prodotti in osservanza alla prassi consolidata tra loro. Rischio di abuso: Calvo avverte anche che il silenzio circostanziato può tramutarsi in uno strumento di abuso della libertà contrattuale da parte del contraente economicamente forte. Ad esempio, immaginiamo che un piccolo imprenditore riceva ordini da un unico imprenditore forte, il quale, trovandosi in una posizione di dominio, è solito dettare le clausole contrattuali fuori da ogni trattativa. Immaginiamo che questo imprenditore forte faccia una proposta di riduzione del corrispettivo all’imprenditore debole, ponendolo di fronte alla drastica alternativa del prendere o lasciare. Orbene, motivato dal proposito di non abbandonare le future commesse, il piccolo imprenditore dà esecuzione agli ordini senza rispondere espressamente alla proposta di riduzione del corrispettivo; ciò significa forse che il silenzio sia concludente? Calvo a questo non risponde. 42 La revocabilità della proposta e dell’accettazione Proposta e accettazione sono normalmente atti unilaterali liberamente revocabili, salva l’eventuale responsabilità precontrattuale. Art. 1328: L’art. 1328 cc, rubricato “Revoca della proposta e dell’accettazione”, è articolato in due commi: - comma 1: disciplina la revoca della proposta - comma 2: disciplina la revoca dell’accettazione: Revoca della proposta: Il comma 1 dell’art. 1328 disciplina la revoca della proposta. La revoca della proposta da parte del proponente comporta: - si elimina l’efficacia giuridica della proposta - se l’oblato aveva già accettato e aveva anche già intrapreso in buona fede l'esecuzione della sua prestazione prima di avere notizia della revoca della proposta, allora il proponente revocante è tenuto all’indennizzo all’oblato delle spese e delle perdite subite per l'iniziata esecuzione della prestazione contrattuale. È un atto recettizio? Ci si interroga se la revoca della proposta sia un atto recettizio. Perché? Perché il comma 1 dell’art. 1328 tace sul punto, mentre se leggiamo il comma 2 dice che la revoca dell’accettazione è recettizia. E allora la domanda è: la revoca della proposta ha natura recettizia al pari della revoca dell’accettazione? - giurisprudenza: per la giurisprudenza, la revoca della proposta NON ha natura recettizia, quindi: - produce effetti immediatamente, A PRESCINDERE dalla conoscibilità dell’oblato - quindi per produrre effetti NON deve essere portato a conoscenza dell’oblato, ma è sufficiente l’emissione della volontà di revocare la proposta. Con quali argomenti la giurisprudenza sostiene questa tesi? La giurisprudenza utilizza due argomenti per sostenere la tesi della non recettizietà della revoca della proposta: - argomento letterale: il codice tace sulla recettizietà della revoca della proposta, mentre è esplicito in tema di revoca della accettazione. - altro argomento è tratto dal fatto che è previsto l’obbligo per il proponente di indennizzare l’oblato. Secondo la giurisprudenza: il legislatore ha previsto l’indennizzo proprio per allievare gli effetti pregiudizievoli che si producono immediatamente nei confronti del destinatario, proprio perché la revoca della proposta ha effetti immediati. - Calvo: Calvo invece ritiene che i citati argomenti da parte della giurisprudenza siano deboli e facilmente confutabili, perché il legislatore semplicemente “minus dixit quam voluit”, cioè ha detto di meno di quanto ha voluto. Secondo Calvo, non vi sarebbe ragione di differenziare il trattamento della revoca della proposta da quello della revoca della accettazione, perché questo inciderebbe sull’esigenza di pari trattamento del proponente e dell’accettante. Quindi, per Calvo la revoca della proposta ha NATURA RECETTIZIA, proprio come la revoca dell’accettazione, perciò la revoca della proposta: - NON produce effetti immediati - produce effetti SOLO quando giunge nella sfera di conoscibilità dell’oblato. Ovviamente l’effetto è quello di eliminare l’efficacia giuridica della proposta. 45 Art. 1327 cc è rubricato “Esecuzione prima della risposta dell’accettante”. Dopo la formulazione della proposta, se è richiesto dal proponente o lo richiede la natura dell’affare o gli usi, l’oblato: - NON deve rispondere con l’accettazione, quindi SENZA una preventiva risposta - ma deve eseguire la prestazione dovuta (esecuzione concludente). 46 Con l’esecuzione della prestazione (esecuzione concludente) si perfeziona il contatto, il quale si ritiene concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. Quindi, lo schema della conclusione del contratto mediante esecuzione concludente è: 1) proposta del proponente 2) l’oblato inizia l’esecuzione concludente della prestazione dovuta = si conclude il contratto. Conclusione del contratto: In caso di esecuzione concludente, il contratto si ritiene concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. SI accordo: Anche in questo schema di formazione contrattuale vi è l’accordo. È SBAGLIATO pensare che, dato che non c’è accettazione, allora non c’è accordo. L’esecuzione concludente della prestazione rileva come manifestazione tacita del consenso dell’esecutore (accettante), quindi è dimostrativo della volontà di accettare la proposta e concludere il contratto. Ambito di applicazione: Quando è possibile procedere con questo schema? L’art. 1327 afferma che è possibile procedere a questo schema: a) o su richiesta del proponente b) o quando lo richiede la natura dell’affare c) o secondo gli usi. Quando NON è possibile procedere con questo schema? Lo schema dell’esecuzione concludente NON è utilizzabile: a) in caso di contratti formali, cioè quando il legislatore richieda un requisito di forma. Ad esempio, se il legislatore prevede la forma scritta a pena di nullità per un contratto, NON è possibile l’esecuzione concludente. Eccezione: È prevista una eccezione in tema di subfornitura b) quando il contratto ha ad oggetto una obbligazione negativa, cioè una prestazione di non fare / non dare: perché? Perché in queste situazioni il comportamento inerte è sempre equivoco, non potendo da esso essere desunta l’inconfutabile volontà dell’oblato di vincolarsi alla proposta c) in un’ipotesi relativa ai rapporti di durata (vedi sotto). Comunicazione dell’esecuzione: Il comma 2 dell’art. 1327 afferma: “L'accettante deve dare prontamente avviso (art. 1327 comma 2) all'altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno”. Che significa? Significa che colui il quale ha iniziato l’esecuzione concludente ha un onere di pronta comunicazione dell’iniziata esecuzione al proponente. “Accettante”: Il comma 2 parla di accettante, ma qui per accettante si intende “colui il quale ha iniziato l’esecuzione”. Valore: Che valore ha questa pronta comunicazione dell’oblato al proponente? - NON serve a perfezionare il contratto: il contratto si intende già perfezionato e concluso nel momento della esecuzione concludente dell’oblato - serve solo a rendere edotto il proponente che è iniziata l’esecuzione della prestazione dovuta. Quindi la comunicazione serve soltanto a superare l’incertezza circa l’avvenuta conclusione del contratto a seguito dell’avvenuta esecuzione. Ratio: Perché deve essere dato l’avviso al proponente? Perché altrimenti il preponente, ignorando l'avvenuta esecuzione, potrebbe ritenersi non vincolato e Ad esempio, potrebbe cercare altrove la prestazione, ripetendo la proposta ad altri. In caso di mancata comunicazione? In caso di mancata comunicazione dell’oblato al proponente: - la proposta resta in piedi - ma l’oblato è tenuto al risarcimento del danno al proponente. 47 Condotte dell’oblato: Calvo si pone il problema di due possibili situazioni “patologiche”: - se l’oblato esegue una prestazione che è difforme dalla prestazione dovuta prevista dalla proposta allora il contratto NON può ritenersi concluso - se l’oblato NON esegue la prestazione (come richiesto dal proponente), ma risponde dichiarando di accettare l’offerta in questo caso Calvo dice: essendoci una difformità tra proposta e condotta dell’oblato, l’accettazione dell’oblato vale come controproposta (nuova proposta) - se l’oblato esegue la prestazione ma dice “io eseguo contratto, ma la mia condotta non significa accettazione della proposta” (cd. protestatio: una dichiarazione contraria rispetto al comportamento concludente) per Calvo la protestatio NON priva di significato contrattuale l’esecuzione concludente della prestazione effettuata dall’oblato. Ad esempio, entro in un parcheggio a pagamento con la sbarra, premo il pulsante e ritiro il biglietto. Al momento dell’uscita, io oblato posso dire “ma io non intendevo stipulare il contratto di custodia e pagare”? NO, perché questa dichiarazione contraria (protestatio) NON priva di significato contrattuale il precedente comportamento concludente, cioè che sono entrato e ho lasciato la mia auto in custodia, quindi NON viene meno la mia obbligazione corrispettiva di pagare il parcheggio. Ius variandi e rapporti di durata: Calvo ritiene che lo schema dell’esecuzione concludente NON si possa applicare quando, in un rapporto di durata, un contraente formula una proposta di modifica peggiorativa del rapporto a scapito della controparte. Perché? Perché se il proponente (della modifica peggiorativa a scapito della controparte) potesse chiedere l’esecuzione concludente della controparte, la controparte andrebbe incontro alla seguente alternativa: a) o eseguire la prestazione, e allora si tratterà di esecuzione concludente della prestazione, quindi come accettazione tacita della proposta di modifica peggiorativa del contratto di durata b) o non eseguire la prestazione, e allora in questo caso tale contraente diventa inadempiente perché viola il contratto di durata. E allora è evidente che in simili ipotesi il contraente che si vede arrivare una proposta di modifica peggiorativa del contratto di durata dovrebbe rifiutarla espressamente. Subfornitura: Abbiamo detto che lo schema contrattuale dell’esecuzione concludente NON può applicarsi ai contratti Formali che prevedono una determinata forma a pena di nullità del contratto. Tuttavia, c’è un’eccezione all’art. 2 comma 2 della L. 192/1998 in tema di subfornitura, perché prevede: anche se il contratto prevede la forma scritta a pena di nullità, se la proposta è redatta per iscritto, allora l’oblato può perfezionare il contratto tramite l’esecuzione concludente della prestazione. 50 - NON è una promessa al pubblico: le differenze sono notevoli: - promessa al pubblico: - è una promessa unilaterale (dunque NON è un contratto) con cui un soggetto (promittente) assume un’obbligazione gratuita nei confronti di chiunque del pubblico si trovi in una data situazione o compia una determinata azione. - NON è revocabile - offerta al pubblico: - è una proposta di contratto - è revocabile. Forme di offerta al pubblico: A) esposizione della merce al pubblico: è l’offerta al pubblico che si concretizza quando il negoziante espone la merce col relativo prezzo. Il contratto si conclude quando il cliente rende nota al negoziante la sua accettazione. B) la predisposizione di pagine web per gli acquisti C) bando di concorso: secondo la giurisprudenza consolidata, nell’area dell’offerta al pubblico rientra anche il bando di concorso per l’assunzione di lavoratori. Il bando di concorso costituirebbe un'offerta al pubblico che si perfezionerebbe nel momento in cui un concorrente soddisferà i requisiti fissati nel bando. Secondo Calvo, bisogna compiere una distinzione relativamente alle modalità di costituzione del vincolo negoziale: a) se il bando prevede che il rapporto verrà perfezionato con i concorrenti vincitori allora il contratto sarà perfezionato automaticamente con i vincitori, perché la domanda di partecipazione dei candidati integra già tutti gli estremi dell’accettazione. Patologia: Laddove il promotore del bando non intenda stipulare il contratto col vincitore, allora il candidato avente titolo può agire in giudizio al fine di far accertare il perfezionamento dell’intesa. b) se il bando prevede l’impegno ad assumere i vincitori, allora al termine della prova selettiva il promotore del concorso (offerente) ha l’obbligo di stipulare il contratto con i vincitori. Patologia: Laddove l’offerente non intenda rispettare la proposta, allora il candidato vincitore può agire in giudizio ex art. 2932 cc, cioè con l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto. Infatti, è come se si trattasse dell’obbligo di stipulare un contratto definitivo. Il caso del parcheggio custodito: In tema di offerta al pubblico, Calvo riporta un caso pratico: risponde oppure no come custode il gestore di un parcheggio a pagamento qualora il furto dell’automezzo del cliente sia avvenuto nel corso di uno sciopero nazionale cui abbia aderito il personale addetto alla vigilanza? PRIMA: inizialmente la giurisprudenza aveva ritenuto che NON sorgeva responsabilità del custode perché c’erano gli estremi dell’evento non imputabile ex art. 1780 cc, siccome la proclamata astensione degli ausiliari del debitore avrebbe impedito all’obbligato il corretto adempimento degli impegni assunti. OGGI: oggi la giurisprudenza ha cambiato orientamento, e secondo Calvo lo ha fatto giustamente, affermando: - il contratto (atipico) di parcheggio, sorretto dalla disciplina sul deposito, si perfeziona secondo lo schema dell’offerta al pubblico - in capo al depositario (custode del parcheggio) sorge responsabilità contrattuale, la quale deriva: - NON dalla mancata revoca dell’offerta al pubblico - ma dalla violazione del diligente adempimento dell’obbligazione di custodia: infatti, l’evento estraneo alla sfera di controllo del debitore (sciopero dei dipendenti) NON costituisce un caso fortuito idoneo a svincolare il depositario (custode del parcheggio) dalla responsabilità contrattuale per inadempimento. 51 LA FORMA Nozione: La forma del contratto è la veste esteriore della manifestazione di volontà, cioè è il mezzo mediante il quale le parti manifestano all’esterno (esteriorizzano) la loro volontà contrattuale e il loro consenso. È sempre un requisito del contratto: L’art. 1325 cc, quando elenca i requisiti del contratto, prevede che la forma sia un requisito del contratto SOLO quando risulta prescritta dalla legge sotto pena di nullità. In realtà, questa espressione usata dal legislatore è errata, perché la forma è SEMPRE un requisito per l’esistenza del contratto, perché un contratto che sia privo di forma (quand’anche fosse orale o tacita) è assolutamente inconcepibile. È sempre necessario che la manifestazione di volontà sia percepibile all’esterno. Per tale ragione, sarebbe più corretto dire che la forma del contratto è sempre un requisito del contratto, e: - se è richiesta dalla legge la forma scritta a pena di nullità, allora è un requisito essenziale di validità del contratto - mentre in tutti gli altri casi le parti sono libere di scegliere la forma che ritengono preferibile per esternare le loro volontà. Libertà delle forme: In generale vige il principio di libertà della forma contrattuale, nel senso che di regola le parti sono libere di stipulare il contratto in qualsiasi forma, quindi nella forma che essi ritengono più idonea e conforme ai loro interessi, senza rispettare particolari oneri formali. Forme libere e vincolate: I contratti possono essere: - a forma libera: in linea di principio, i contratti sono a forma libera, dato che vige il principio di libertà della forma - a forma vincolata (contratti formali o solenni): tuttavia, ci sono casi eccezionali in cui la legge richiede un determinato requisito di forma per la valida stipula di determinati contratti. Si parla di forma legale. Forme convenzionali (o volontarie): Oltre all’onere di forma imposto dalla legge, il codice prevede anche la possibilità di cd. forme convenzionali, cioè la possibilità che le parti dettino dei requisiti di forma per il loro accordo. Quindi, il principio di libertà della forma contrattuale può essere derogato: - o dalla legge (cd. forme legali) - o anche dalla volontà delle parti (cd. forme convenzionali). Libertà delle forme e neoformalismo contrattuale Questo quadro abbastanza nitido - dove si distingue tra contratti a forma libera e contratti a forma vincolata - si è andato però offuscando nel corso degli anni ‘90, e si è iniziato a parlare di neoformalismo contrattuale. Cosa è successo? Si è avuto un mutamento nel modo di intendere la forma scritta: - fino agli anni Novanta, la forma scritta era prevista dal legislatore quando questo la riteneva indispensabile per tutelare la certezza dei rapporti giuridici, quindi come tutela di un interesse generale. - dagli anni Novanta in poi, il legislatore ha cambiato visione sulla forma: il legislatore ha cominciato a prevedere la forma scritta: - NON sempre per tutelare interessi generali (la certezza dei rapporti giuridici) - ma per tutelare interessi che possiamo definire “seriali”, cioè solo degli interessi dei contraenti deboli. Quindi il legislatore ha elevato la forma scritta a strumento di protezione del contraente debole contro il pericolo di abuso della parte economicamente forte. Tale trend normativo è il risultato dell’opera di adeguamento di molteplici direttive comunitarie in funzione di protezione della parte debole sotto il profilo economico, informativo o organizzativo. Esempi: Facciamo esempi che rientrano nel concetto di neoformalismo contrattuale che si sono sviluppati nel tempo: - art. 117 Testo Unico Bancario: prevede che i contratti devono essere redatti per iscritto e una copia deve 52 essere consegnata al cliente. Qui è evidente che la forma è prevista: - NON per tutelare interessi generali - NON per un problema di dare certezza ai rapporti contrattuali - l’esigenza è soltanto quella di tutelare il cliente (soggetto debole). 55 - la scrittura privata con firma autenticata: si parla di scrittura privata con firma autenticata quando il contratto è formato dalle parti ma è sottoscritto davanti ad un notaio o altro pubblico ufficiale, che ne attesta la paternità previa identificazione degli stessi soggetti sottoscrittori. Efficacia: A differenza della scrittura privata semplice, in caso di scrittura privata con firma autenticata le parti NON hanno la possibilità di effettuare un disconoscimento della propria firma, proprio perché questa è stata apposta alla presenza di un pubblico ufficiale. Qualora una parte volesse contestarne la genuinità, l’unico strumento valido sarebbe la querela di falso. - l’atto pubblico: fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale rogante e di tutti i fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza. Ad esempio, contratti che devono essere stipulati con atto pubblico sono ad esempio: - la donazione - l’atto costitutivo di associazioni riconosciute. Res signata: La sottoscrizione rappresenta l’attività con cui la parte fa proprio il contenuto del documento. Forma scritta ad substantiam. Quali elementi del contratto? Una domanda che si è posta la dottrina è stata: se il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità (ad substantiam), quali elementi del contratto devono essere redatti per iscritto? Soltanto gli elementi essenziali oppure tutti gli elementi del contratto? Tesi tradizionale: L’insegnamento tradizionale vuole che quando sia richiesta la forma scritta a pena di nullità (ad substantiam), la forma scritta: è necessaria SOLO per gli elementi essenziali (costitutivi), NON è necessaria per gli elementi accessori: questi elementi, essendo NON essenziali, possono essere pattuiti anche oralmente. Calvo: Secondo Calvo, la tesi tradizionale NON deve essere presa alla lettera perché altrimenti sorgerebbero grosse difficoltà applicative. Perché? Perché in realtà nell’ordinamento troviamo elementi accessori per i quali: o sembra richiesta la forma scritta ai fini della loro validità o comunque è opportuna la forma scritta perché, se redatti in forma scritta, il contraente avrà dei diritti in sede giudiziale che altrimenti non avrebbe. A sostegno di tale tesi, Calvo porta degli esempi: la condizione risolutiva o sospensiva connessa alla compravendita di un edificio: si tratta sì di un elemento accessorio della fattispecie, però, in virtù della sua capacità di influire sulla vicenda traslativa, sembra che sia richiesta la forma scritta ai fini della sua validità, i patti destinati a regolare l’adempimento delle obbligazioni contrattuali: per questi patti, dato che NON sono elementi essenziali, NON è richiesta la forma scritta. Ad esempio, il patto inerente alla data di consegna dell’edificio compravenduto: questa clausola può essere perfezionata a voce. TUTTAVIA, se tale patto è stato documentato per iscritto, l’eventuale modifica successiva di tale patto può essere dimostrata in giudizio mediante testimoni anche fuori dai limiti previsti dall’art. 2723 cc. Possibile obiezione: Questo è quanto dice Calvo. Tuttavia, lo stesso Calvo ammette che tale tesi non rispetta il tenore letterale dell’art. 2723 cc perché questo articolo si limita a dire: se una parte allega che, dopo la formazione del documento, è stato aggiunto un patto al contenuto del documento stesso, il giudice può consentire la prova per testimoni soltanto se gli appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali. Quindi, dice Calvo: in realtà, stando a quanto dice l’art. 2723 cc, ai fini dell’ammissibilità della prova testimoniale rispetto al patto aggiunto o contrario (comunque modificativo del documento), non è sufficiente il fatto che esso abbia ad oggetto una clausola accessoria redatta per iscritto, dato che il giudice è tenuto a valutare la verosimiglianza dell’assunto. Difetto di forma scritta prevista ad substantiam. Gli atti ricognitivi Ora Calvo analizza il problema del difetto di forma scritta. La domanda da cui parte Calvo è: se un contratto deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità (ad substantiam) ma non è stato stipulato per iscritto (e allora il contratto è nullo), tale difetto di forma può essere surrogato da atti equipollenti o atti di riconoscimento ex post? Ad esempio, una parte può dire: confesso che lo abbiamo redatto in forma scritta? NO. La giurisprudenza e Calvo affermano: se il codice prevede che un determinato contratto deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità, quel contratto DEVE NECESSARIAMENTE essere incorporato in un documento scritto. Perché? Perché l’onere della forma scritta NON è MAI surrogabile da atti equipollenti di riconoscimento ex post: NON sono MAI ammessi sostituti né equipollenti di sorta. Calvo ritiene che la casistica aiuti ad afferrare meglio i termini della questione: - NO applicazione del principio di non contestazione: la prima affermazione di Calvo è che la nullità del contratto per mancanza di forma scritta prevista ad substantiam. NON può essere surrogata applicando il principio di non contestazione. 56 Nozione: Per principio di non contestazione si intende quel principio processual-civilistico in forza del quale la parte ha l’onere di contestare specificamente i fatti allegati dalla controparte, altrimenti tali fatti si ritengono “come ammessi”. Calvo: La giurisprudenza dominante e Calvo affermano: in sede giudiziale dinanzi al giudice, se l’attore ha allegato un contratto che però non è stato stipulato in forma scritta prevista a pena di nullità, quand’anche la controparte (convenuto) non abbia contestato l'avvenuta stipulazione per iscritto, comunque NON si applicherà il principio di non contestazione, con le seguenti conseguenze: il giudice NON potrà procedere come se il contratto fosse stato redatto per Iscritto il giudice sarà tenuto a rigettare la domanda. Perché? Perché la mancata adozione della forma scritta quando prevista a pena di nullità configura una nullità ASSOLUTA e INSANABILE, che NON può essere “sterilizzata” facendo ricorso al principio di non contestazione. - NO atti di riconoscimento ex post: Secondo Calvo, l’interpretazione della giurisprudenza merita totale accoglimento, tanto che può essere anche ampliata fino ad affermare che in mancanza del requisito della forma scritta prevista a pena di nullità, tale difetto di forma NON è rimediabile neppure da atti di riconoscimento ex post, cioè con dichiarazioni posteriori delle parti di aver redatto il contratto per iscritto, quindi l’onere di forma scritta NON può essere sostituito da nessun atto equipollente o di riconoscimento ex post di qualsiasi tipo, quindi nemmeno da: confessione, giuramento, presunzioni semplici, riconoscimento; NO negozio di accertamento: NEMMENO i cd. negozi di accertamento possono surrogare il difetto di forma scritta prevista ad substantiam. Nozione: Il negozio di accertamento è quel negozio con cui le parti accertano un dato rapporto giuridico preesistente. Quindi, con tale negozio le parti: NON dichiarano una nuova volontà dispositiva diretta a costituire un rinnovato rapporto obbligatorio ma enunciano sic et simpliciter una volontà per accertare il reale assetto di interessi come risultante dal contratto inter partes. Quindi serve soltanto a mettere ordine rispetto all’incertezza relativa ad un antecedente vicenda tra le stesse parti. Giurisprudenza: Anche in questo caso, la giurisprudenza dominante afferma che le parti NON possono sostituire al contratto non redatto per iscritto (quando la forma scritta era prevista ad substantiam) un negozio di accertamento in cui le stesse accertano l’avvenuta stipula del contratto per iscritto. Perché? Perché il negozio di accertamento NON documenta una nuova volontà dispositiva, quindi presuppone la validità del contratto inter part. Ad esempio, - NO fatture né quietanze: Del pari, Calvo avverte che il difetto di forma scritta NON può essere in nessun caso sostituito da documenti che logicamente sono posti a valle del negozio, quali ad esempio: fattura: è quel documento fiscale emesso da un soggetto fiscale emessa ai fini del pagamento dell’IVA per comprovare l’avvenuta cessione di beni/prestazione di servizi e il diritto di riscuoterne il prezzo. Quietanza: è una dichiarazione unilaterale scritta con cui il creditore afferma di aver ricevuto il pagamento in essa indicato. Ha dunque un contenuto confessorio. Assegno: si tratta di atti unilaterali che NON possono sostituire la mancanza di forma allorquando il contratto avrebbe dovuto essere redatto per iscritto perché la forma scritta era prevista ad substantiam. Conseguenza: Do conseguenza, in sede giudiziale, la parte NON può dire al giudice: non trovo il documento scritto incorporante il contratto, ma ho qui la quietanza oppure ho qui la copia dell’assegno. LE FORME CONVENZIONALI (o volontarie). IL PATTO SULLA FORMA Finora abbiamo trattato della forma scritta imposta dalla legge, cioè i cd. contratti formali (o solenni). Ma già nella parte iniziale abbiamo detto che il generale principio di libertà delle forme contrattuali può essere derogato: - oltre che dalla legge (forma legale) - anche dalla volontà delle parti (forma convenzionale). Quindi il legislatore ammette l’esistenza di cd. forme convenzionali in virtù del principio di autonomia privata. Quindi l’autonomia privata incide sicuramente sul contenuto del contratto, ma può incidere anche sulla forma del contratto. L’ordinamento giuridico consente alle parti contraenti, nell’esercizio dell’autonomia privata, di regolarizzare il requisito strutturale della fattispecie mediante accordo tra le stesse. Differenza: Quando parliamo delle forme convenzionali, dobbiamo distinguere due ambiti applicativi: art. 1326 comma 4: in tema di formazione del contratto secondo lo schema classico di proposta + accettazione, abbiamo visto che il proponente nella proposta può stabilire la forma dell’accettazione, cioè può stabilire che l’accettazione debba avvenire con una determinata forma. Questo è un caso di forma convenzionale, ma ATTENZIONE: qui la fonte della forma convenzionale: NON è l’accordo tra le parti ma è la determinazione unilaterale del proponente: è il proponente che impone all’accettante una forma determinata ai fini dell'efficacia dell’accettazione. - art. 1352: l’art. 1352, rubricato “Forme convenzionali”, prevede che le parti possono convenire di adottare una determinata forma per la futura conclusione del contratto. In questo caso la fonte della forma convenzionale è l’accordo tra le due parti contrattuali, quindi sono entrambe le parti che convengono sull’adottare una determinata forma per la stipula del futuro contratto. Quindi, le parti sono libere di accordarsi per scegliere di adottare una determina forma: o per la validità del contratto: le parti possono accordarsi di stipulare il contratto in una determinata forma per la validità di esso. O a fini 57 probatori: le parti possono anche accordarsi di stipulare il contratto in una determinata forma NON per la validità di esso, ma soltanto a fini probatori. Tutto ciò è possibile grazie all’istituto del patto sulla forma. Il patto sulla forma Nozione: Il patto sulla forma è quel patto con cui le parti convengono di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto: quindi le parti si vincolano a stipulare il contratto rispettando la forma convenuta. Il patto può essere: - autonomo - o costituire una clausola accessoria di un altro contratto. La presunzione di validità: L’art. 1352 cc introduce una presunzione interpretativa sulla funzione del patto, perché afferma “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”. Quindi, se il patto sulla forma è stato adottato per iscritto, allora il legislatore interpreta ciò nel senso che la forma sia stata pattuita per la validità del futuro contratto. ATTENZIONE: Badate bene: SOLO se il patto sulla forma è fatto PER ISCRITTO vige questa “presunzione” del legislatore. Forma del patto: La domanda è: il patto sulla forma deve essere redatto nella stessa forma prescelta per il futuro contratto oppure no? - alcuni ritengono di sì, per una questione di simmetria - altri ritengono di no, perché il patto sulla forma è autonomo rispetto al futuro contratto. NO forme convenzionali atipiche: Le parti hanno sicuramente il potere di pattuire in un patto di forma una forma tipica. Ma la domanda è: le parti possono pattuire l’adozione di una forma atipica, ad esempio, la scrittura privata con la presenza di testimoni? Secondo Calvo NO, perché la massima libertà riconosciuta ai consociati può essere quella di trasformare un contratto a forma libera in un contratto volontariamente formale, ma NON si può riconoscere anche la libertà di adottare forme atipiche sconosciute al codice. Prassi: Calvo avverte che nella prassi è frequente che il patto sulla forma: - non riguardi l’intero contratto futuro da stipulare - ma riguardi soltanto la forma per l’esercizio di diritti derivanti dal contratto stesso. Ad esempio, stipuliamo un contratto di assicurazione e nel contratto di assicurazione inseriamo un patto sulla forma in cui stabiliamo: se io cliente voglio recedere dal contratto di assicurazione, allora sono obbligato a recedere secondo la forma stabilita nel patto di forma, ad esempio, predisponendo una dichiarazione scritta e inviandola con raccomandata con ricevuta di ritorno. Conseguenze del mancato rispetto del patto sulla forma Quali sono le conseguenze in caso di mancato rispetto del patto sulla forma, cioè cosa accade se le parti stipulano il contratto adottando una forma diversa da quella pattuita nel patto sulla forma? Qui il codice tace, perciò il punto è ancora oggetto di dibattito: - parte della dottrina: parte della dottrina ragiona in questo modo: se interpretiamo letteralmente l’art. 1352 cc e la presunzione che esso pone, si dice “si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”, quindi conseguenza logica dell’eventuale inosservanza del patto di forma è che il contratto stipulato è INVALIDO in quanto NULLO. - giurisprudenza: la giurisprudenza invece, per non adottare la drastica soluzione della nullità del contratto, parte da due premesse: NON si può trattare di nullità perché: - le parti NON possono creare ipotesi atipiche di nullità - la nullità è sempre prevista a tutela di interessi generali, e NON si adatta quindi alla tutela di un interesse particolare, qual è la necessità dell’onere formale voluto dalle parti. Partendo da queste premesse, la giurisprudenza afferma che il contratto stipulato dalle parti in violazione del patto sulla forma: - NON è nullo - NON è invalido - è VALIDO perché si deve considerare come una sorta di comportamento concludente delle parti: è come se le parti avessero tacitamente sciolto quel patto sulla forma, e 60 Si parla di riempimento sine pactis proprio perché il riempimento avviene SENZA che ci sia stato un “ordine di riempimento” perché nulla è stato pattuito. Azione: Il riempimento sine pactis costituisce un’ipotesi di falso materiale, e quindi il documento NON è imputabile a chi lo aveva sottoscritto. Per questo motivo, i sottoscrittori in bianco possono agire in giudizio con l’azione di querela di falso, in modo da far valere la mancanza di volontà a far compilare il documento. - riempimento contra pacta: si verifica quando le parti sottoscrivono in bianco un documento dando incarico ad un terzo di riempire quel documento secondo le istruzioni concordate, ma il terzo arbitratore (autorizzato) compila il documento in modo diverso da quanto concordato. Ad esempio, in banca, i due clienti firmano un foglio in bianco e dicono al dipendente bancario “dopo ti chiamiamo e ti diamo le istruzioni su come compilarlo”, ma il dipendente bancario non aspetta la chiamata e lo compila come vuole. In questo caso, la situazione riveste i caratteri tipici dell’antinomia tra dichiarato e voluto (vizio della volontà), perciò: il documento è annullabile e i sottoscrittori in bianco possono proporre azione di annullamento per errore. La relatio: la determinazione per relationem del contenuto del contratto Altro problema analizzato da Calvo che impatta sul tema della forma del contratto è la cd. relatio. Nozione: La relatio avviene quando i privati, per la determinazione del contenuto del loro contratto, rinviano ad una fonte esterna (Ad esempio,documenti esterni). Condizioni di ammissibilità: La giurisprudenza ritiene che la relatio è ammissibile SOLO SE sussistono le seguenti condizioni: nel contratto tra le parti comunque devono essere presenti gli elementi che costituiscono il nucleo essenziale della fattispecie; la fonte esterna di integrazione (oggetto di relatio); deve essere specificamente allegato nel contratto tra le parti, deve rispettare i requisiti formali del tipo contrattuale utilizzato tra le parti. Planimetria: Il caso di relatio più frequente avviene in caso di compravendita immobiliare quando le parti, per chiarire esattamente l’oggetto del contratto, le parti alleghino al contratto una planimetria, in modo che siano ben chiari i confini del terreno compravenduto. Necessaria sottoscrizione delle parti: In caso di allegazione della planimetria, per rispettare gli oneri di forma anche con riferimento all’atto esterno oggetto di relatio, la giurisprudenza afferma che: NON è sufficiente individuare la planimetria per relatione ma è INDISPENSABILE anche la sottoscrizione dalle parti contraenti in calce alla planimetria allegata. In questo modo le parti manifestano la volontà di appropriazione specifica della planimetria allegata. Di conseguenza, se la planimetria viene sì allegata ma non sottoscritta in calce dalle parti, allora essa NON è ammessa: il contratto non sarebbe valido perché un elemento essenziale dell’oggetto (e cioè il terreno oggetto della compravendita) non sarebbe delimitato con certezza. Calvo: Calvo invece critica questa interpretazione fornita dalla giurisprudenza, ritenendo che essa vada oltre il confine della ragionevolezza. Per Calvo, quello che conta: - NON è tanto stabilire se la planimetria sia stata sottoscritta dalle parti - quanto accertare se sia pacifico che le parti abbiano voluto rimandare a essa per specificare l’oggetto dell’accordo. LA RIPRODUZIONE (RIPETIZIONE) DEL CONTRATTO Un fenomeno molto diffuso nella prassi che impatta col problema della forma del contratto è la cd. riproduzione del contratto. Nozione: Si ha riproduzione (ripetizione) del contratto quando le parti: 1) PRIMA stipulano un primo contratto in una data forma: tale contratto originario è già di per sé perfetto E tendenzialmente efficace. 2) e POI si obbligano, mediante un cd. patto di documentazione, a riprodurre lo stesso contenuto del contratto originario ma in una forma diversa (contratto riproduttivo). Quindi, con il patto di documentazione (ripetizione), le parti si obbligano a ripetere la stipula del contratto originario ma in un’altra forma, dando vita al cd. contratto riproduttivo. Tale patto di documentazione: - NON è un patto sulla forma - ma è un patto di impegno a riprodurre in altra forma il contratto originario di per sé già perfezionato. Esempio: Tipico esempio è quando le parti hanno stipulato un primo accordo in forma di scrittura privata e successivamente, mediante un patto di documentazione, si obbligano a stipularlo nuovamente in forma di atto pubblico. Ad esempio,in caso di compravendita immobiliare, immagiamo che le parti abbiano stipulato il 61 contratto in forma di scrittura privata. A questo punto, le parti si rendono conto che con una scrittura privata non possono procedere alla trascrizione perché per la trascrizione la legge richiede l’intervento del notaio (perché serve l’atto pubblico o quantomeno la scrittura privata autenticata). E perciò, le parti possono accordarsi con un patto di documentazione per obbligarsi a ripetere il contratto originario stavolta in forma di atto pubblico (in modo tale che potranno trascriverlo). Riproduzione: In linea di principio, il contratto riproduttivo riproduce esattamente lo stesso contenuto del contratto originario. Tuttavia, talvolta può accadere che ciò non avvenga. Ecco perché bisogna distinguere tra: - riproduzione pura: si parla di riproduzione pura quando il contratto riproduttivo riproduce esattamente il contenuto del contratto originario senza apportare nessuna modifica. Quindi qui i due contratti (originario e riproduttivo) sono identici, sono a specchio, semplicemente è diversa la forma. In questo caso, il contratto riproduttivo ha una mera funzione ricognitiva del rapporto già perfezionatosi inter-partes, nel senso che: - NON è che c’è un nuovo vincolo obbligatorio che si sovrappone a quello originario - la riproduzione ha una valenza soltanto testuale, determinando una Mutazione SOLO estrinseca ma NON sostanziale della causa venante il vincolo. - riproduzione con modifiche: può però accadere che il contratto riproduttivo presenti delle divergenze di contenuto rispetto al contratto originario. Ad esempio,le parti stipulano il contratto con scrittura privata che non contiene alcune indicazioni che invece il notaio consiglia alle parti da inserire nel contratto riproduttivo fatto per atto pubblico. E allora, in questo caso, ci sarà una divergenza tra il contenuto del primo contratto originario fatto per scrittura privata e il contenuto del contratto riproduttivo. In caso di divergenza tra contenuti del primo contratto e del contratto riproduttivo, si pone il problema legato al significato dell’antinomia, cioè la domanda è: quale contratto regola i rapporti tra le parti? Quello originario oppure quello riproduttivo? In ipotesi di divergenza tra contratto originario e contratto riproduttivo va verificata la volontà delle parti: a) se le parti col contratto riproduttivo hanno voluto esprimere una nuova e diversa volontà, quindi hanno voluto la divergenza tra i due contratti (si parla di volontà di novazione del vincolo): allora qui è il contratto riproduttivo ad essere impegnativo per le parti perché questo secondo contratto assorbe il primo e 62 lo fa venire meno, quindi il rapporto contrattuale (che è unico) sarà disciplinato SOLO dal contratto riproduttivo b) se invece le parti col contratto riproduttivo volevano limitarsi a rinnovare il consenso già espresso (funzione meramente ricognitiva): allora qui il fatto che il contratto riproduttivo abbia un contenuto diverso da quello originario potrebbe far pensare ad un vizio della volontà di uno o ambedue i dichiaranti per errore o per dolo. Chiaramente è in sede processuale che si dovrà accertare la volontà delle parti. Ove le parti non abbiano espressamente chiarito quale delle due alternative ricorre in concreto, allora è il giudice a dover risolvere il dilemma sulla base delle prove raccolte in sede istruttoria. Si ritiene che: - in assenza altri riscontri, è verosimile che il contratto riproduttivo apportante modifiche, essendo più prossimo a livello temporale, implichi la novazione del vincolo; quindi, il contratto riproduttivo assorbe il contratto originario - è onere della parte che è portatrice dell’interesse opposto persuadere il giudice che la modifica contenuto nel contratto riproduttivo è frutto di errore o dolo della controparte, così da poter chiedere l’annullamento del contratto riproduttivo. Invalidità: Calvo si sofferma poi sul tema della invalidità del contratto riproduttivo, ponendo il seguente schema: - regola: se il primo contratto è invalido, allora questa invalidità si trascina sul contratto riproduttivo, quindi sarà invalido anche il contratto riproduttivo. - eccezioni: tuttavia, Calvo rileva che ci sono casi in cui tale regola NON si applica, perché dice: l’invalidità del contratto originario si ripercuote sul contratto riproduttivo, A MENO CHE la causa di invalidità sia nel frattempo svanita. Ad esempio,se il contratto originario è annullabile perché uno dei dichiaranti era privo della capacità di agire in quanto minore d’età, però il contratto riproduttivo sarà valido se medio tempore il soggetto sia diventato maggiorenne. Quindi qui l’invalidità del primo contratto NON si trascina sul secondo, perché il secondo l’ho stipulato da maggiorenne. Differenza col contratto preliminare: Nella prassi, il fenomeno della riproduzione del contratto viene chiamato in maniera assolutamente scorretta “preliminare improprio”, finendo per confondere due fenomeni che invece NON hanno niente in comune. Sono fenomeni DIVERSI perché: - contratto preliminare (proprio): ci si riferisce al vero e unico preliminare, cioè a quel contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un contratto definitivo - contatto preliminare (improprio): terminologia assolutamente da evitare perché in realtà qui ci si riferisce al fenomeno della ripetizione del contratto. È errato chiamarlo preliminare improprio perché in realtà il patto di riprodurre il contratto ha ad oggetto un contratto che è già perfezionato, quindi NON ha nulla di preliminare. 65 - e POSSIAMO avere uno o più contratti a valle: “possiamo” perché abbiamo detto che le parti conservano una assoluta LIBERTÀ di scegliere SE stipulare futuri contratti a valle oppure no. Quindi la stipula di un contratto a valle è MERAMENTE EVENTUALE. Laddove però concretamente scelgano di stipulare un contratto a valle, allora le parti sono OBBLIGATE a dare a questo contratto a valle lo stesso contenuto stabilito nel contratto normativo a monte che avevano stipulato. Natura giuridica: è un contratto: Calvo riporta anche una questione sulla natura giuridica del contratto normativo: - dottrina minoritaria: ritiene che il contratto normativo NON sia un vero e proprio contratto perché la stipula dei contratti a valle è meramente eventuale. - dottrina maggioritaria: è ormai pacifico che il contratto normativo sia un contratto perché comunque nasce in capo ai contraenti l’obbligo di dare agli eventuali futuri contratti un certo determinato assetto. Tipi: Questo contratto normativo può articolarsi in due diverse fattispecie: - il contratto normativo bilaterale: con un contratto normativo bilaterale, le parti del contratto normativo a monte si impegnano reciprocamente (l’una nei confronti dell’altra) a far sì che i futuri contratti tra loro avranno un certo contenuto. Si chiama bilaterale perché è un impegno reciproco: entrambe le parti si obbligano l’una nei confronti dell’altra. Caratteristica: C’è una perfetta corrispondenza tra i contraenti, cioè tra: - le parti del contratto normativo a monte - e le parti degli eventuali futuri contratti a valle. Scopo: Scopi del contratto normativo bilaterale è predisporre un contenuto-tipo a monte per: - semplificare le future stipule tra i due stessi contraenti - ottenere un notevole risparmio di tempo perché si semplice il processo di formazione degli eventuali futuri contratti a valle tra loro. Esempio: il contratto normativo bilaterale è quello che serve tra soggetti che hanno una continua rete di contratti tra loro, ad esempio,due imprenditori commerciali che sono legati da frequentissimo rapporti di affari tra loro, Ad esempio, la Fiat con il suo fornitore di metallo. - il contratto normativo unilaterale: con un contratto normativo unilaterale, due contraenti determinano un tipo contrattuale a monte che serve per regolare eventuali contratti futuri a valle tra uno dei due contraenti e i terzi. Quindi, nel momento in cui uno dei contraenti del contratto normativo unilaterale stipulerà un contratto con un terzo, allora questa parte si obbliga a dare al contratto col terzo il contenuto predeterminato dal contratto normativo unilaterale a monte. Caratteristica: A differenza del contratto normativo bilaterale, nel caso del contratto normativo unilaterale NON c’è corrispondenza tra le parti contrattuali, nel senso che: - il contratto normativo a monte viene stipulato tra Tizio e Caio - gli eventuali futuri contratti a valle sono quelli tra Caio e terzi. Scopo: Se il contatto normativo è unilaterale, l’interesse perseguito da UNO solo dei contraenti è: assicurare il contenuto uniforme dei futuri rapporti contrattuali tra la sua controparte e i terzi. Esempio: Immaginiamo i rapporti cd. di franchising, quale ad esempio il rapporto che lega la casa- madre (Ad esempio,McDonald’s) con tutti i singoli punti vendita McDonald. Tra la società madre e il singolo punto vendita si stipula un contratto normativo unilaterale mediante il quale la società madre ha interesse ad assicurarsi il contenuto uniforme dei futuri rapporti negoziali tra i singoli punti vendita e i clienti (terzi). 66 Quindi, col contratto normativo unilaterale, il singolo punto vendita si impegna, laddove stipuli contratti a valle coi terzi (clienti), a stipulare contratti a valle aventi il contenuto-tipo predeterminato dal contratto normativo unilaterale. Ad esempio,tutti sappiamo che il modello di panini che compriamo da McDonald’s è uguale dappertutto perché il punto vendita si obbliga a preparare il panino nello stesso modo e a venderlo ai clienti (terzi) alle stesse condizioni valide per tutti gli altri punti vendita perché nel contratto normativo unilaterale sono predeterminate a monte le caratteristiche del panino, gli ingredienti del panino, quali panini fare, il prezzo del panino, ecc. Ecco perché il singolo punto vendita NON può vendere un panino diverso o vendere ad un prezzo diverso rispetto a quello fissato nel contratto normativo unilaterale, perché altrimenti sarebbe inadempiente. Inadempimento: In caso di violazione dell’obbligo assunto dal contraente che ha aderito al contratto normativo unilaterale (il punto vendita nel caso dell’esempio): - tale violazione NON incide sul contratto a valle perfezionato col terzo (cliente) - ma comunque sorge la responsabilità contrattuale da inadempimento in capo al contraente infedele. Problema: Quale problema pongono i contatti normativi unilaterali? Il vero problema che pongono i contratti normativi unilaterali è un problema di disciplina antitrust: i contratti normativi unilaterali possono alterare il gioco della concorrenza. Perché? Perché quasi tutti i contratti normativi unilaterali nel loro contenuto prevedono la fissazione di un prezzo uniforme: ciò va a danno dell’interesse dei terzi (clienti consumatori) perché si impedisce il gioco della concorrenza tra i singoli punti vendita. Ad esempio,il cliente NON può scegliere di andare al McDonald di Napoli perché il panino costa meno rispetto al McDonald di Casoria, perché in realtà i prezzi sono uguali. Questo va a danno della clientela perché, obbligando i punti vendita a non poter fissare un prezzo diverso da quello fissato nel contratto normativo a monte, si va a danneggiare il cliente perché non c’è un mercato di libera concorrenza dove il cliente può scegliere un altro punto vendita perché gli offre condizioni economiche migliori. Invalidità: Un problema che tratta Calvo è: l’eventuale nullità del contratto normativo bilaterale a monte si ripercuote sui contratti a valle? - 1° tesi: se si ritiene che non ci sia collegamento genetico tra contratto normativo bilaterale e i contratti a valle, allora la nullità del contratto normativo a monte NON si trasmette sui contratti a valle. - Calvo: per Calvo è preferibile la soluzione opposta: c’è un collegamento genetico necessario tra il contratto normativo a monte e i contratti a valle, in quanto questi recepiscono il contenuto del contratto a monte. Proprio in virtù di tale collegamento, la nullità del contratto normativo a monte è destinata a trasmettersi ai singoli rapporti a valle. 67 LE PRELAZIONI Il diritto di prelazione è una sorta di diritto di preferenza, cioè la legge (prelazione legale) o le parti (prelazione volontaria) stabiliscono che uno di essi, ove decidesse di stipulare un contratto futuro, sarà obbligato a preferire, a parità di condizioni, l’altro contraente rispetto ai terzi. Nozione: Il diritto di prelazione consiste nel diritto di un soggetto di essere preferito ad altri, A PARITÀ DI CONDIZIONI, nella conclusione di un EVENTUALE futuro contratto. I soggetti coinvolti sono: - il promittente (prelazionante o concedente): cioè il soggetto che concede il diritto di prelazione. Il promittente si trova in uno stato di soggezione, perché, SE e QUANDO deciderà di stipulare il contratto a valle, a parità di condizioni dovrà preferire il prelazionario rispetto ad un terzo. Comunque, il promittente mantiene la propria libertà in ordine a: - in ordine al se stipulare quel contratto - in ordine al contenuto del contratto: è libero di scegliere le condizioni a cui contrattare - il prelazionario (o beneficiario): cioè il soggetto titolare del diritto di prelazione, cioè gode del mero diritto di preferenza a parità di condizioni, cioè del diritto di essere preferito come controparte a parità di condizioni. Il prelazionario gode di un diritto potestativo, cioè può incidere sulla situazione giuridica del promittente perché, a parità di condizioni, dovrà essere preferito se e quando il promittente deciderà di stipulare il contratto. Quindi il prelazionario ha il diritto di concludere quel contratto alle stesse condizioni proposte a terzi. ATTENZIONE: Giova ribadire che il diritto di prelazione opera solo SE il promittente deciderà di stipulare il contratto e se ci sarà parità di condizioni tra il prelazionario e un terzo. Diversamente, il promittente NON avrà alcun obbligo nei confronti del prelazionario. Libertà di stipulare: Quindi, in caso di prelazione (volontaria o legale), comunque: - il promittente resta libero di decidere se, quando e come stipulare il contratto - il promissario resta libero di decidere se stipulare il contratto. Quindi, pur essendoci un diritto di prelazione, i due contraenti: - NON sono obbligati a contrattare - ma semplicemente il promittente, SE e QUANDO deciderà di contrattare, si obbliga a preferire, a parità di condizione, il promissario. Fonte: La prelazione può avere due fonti diverse: - prelazione volontaria (o convenzionale): qui la prelazione trova la sua fonte nell’ACCORDO DELLE PARTI - prelazione legale: qui il diritto di prelazione trova la sua fonte nella LEGGE. La prelazione convenzionale (o volontaria) Si parla di prelazione convenzionale (o volontaria) quando il diritto di prelazione trova la sua fonte nell’accordo tra le parti, quindi scaturisce da un contratto. Ratio: Quali interessi animano le parti che decidono di pattuire tra loro un diritto di prelazione? - il promittente (prelazionante) può avere un interesse economico (prelazione a titolo oneroso) o un interesse extraeconomico o addirittura liberale (prelazione a titolo gratuito), magari legati ai rapporti economici sottostanti che lo legano alla controparte - il prelazionario (beneficiario) ha interesse ad impedire che altri soggetti concludano quel determinato contratto e l’interesse di riservarlo per sé, ad esempio,desidera acquistare quella moto perché è un collezionista e si tratta di un pezzo raro. Nozione: La prelazione volontaria è un contratto (o patto) che le parti decidono liberamente di concludere in virtù del principio di autonomia contrattuale, ma non trova espressa disciplina nel codice civile, perciò è atipico. Il patto di prelazione può essere: - o un contratto autonomo - o una clausola che si inserisce in un contratto più ampio. 70 Questi effetti meramente obbligatori li comprendiamo bene in caso di inadempimento contrattuale, cioè in caso di violazione del patto di prelazione convenzionale. Dato che la prelazione convenzionale ha effetti meramente obbligatori SOLO tra prelazionante e prelazionario, allora in caso di violazione del patto di prelazione, ad esempio,il promittente senza aver proceduto alla denuntiatio ha stipulato il contratto con un terzo, allora le conseguenze sono: A) il contratto tra promittente e terzo è VALIDO ed EFFICACE B) il patto di prelazione convenzionale NON è opponibile al terzo, di conseguenza il prelazionario convenzionale pretermesso - NON ha diritto di riscatto del bene dal terzo, quindi NON può agire in giudizio contro il terzo per recuperare il bene - può agire contro il prelazionante scorretto soltanto per chiedere il risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento. Eccezione: Alcuni autori, ma il punto è dibattuto, dicono: se il terzo è complice del promittente, allora è vero che il contratto tra promittente e terzo resta valido, però il prelazionario convenzionale pretermesso può agire anche contro il terzo a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc qualora il terzo fosse consapevole della violazione del patto di prelazione perpetrata dal prelazionante. In questo caso, secondo tali autori, avremmo una di quelle ipotesi di cd. cooperazione del terzo all’inadempimento del debitore, cioè: - il prelazionante inadempiente risponde a titolo di responsabilità contrattuale - il terzo, che coopera col prelazionante scorretto, risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale. NO trascrivibilità: Il patto di prelazione convenzionale, quand’anche inerisca ad un contratto avente ad oggetto diritti immobiliari (Ad esempio,compravendita immobiliare), comunque NON è soggetto a trascrizione. Rinunciabilità: La prelazione convenzionale è un diritto rinunciabile dal prelazionario. La rinuncia può essere: - esplicita: si ha quando il prelazionario espressamente comunica al prelazionante di non volersene avvalere - tacita: si ha quando il prelazionario fa spirare il termine di spatium deliberandi fissato dalla denuntiatio entro cui avrebbe dovuto esercitare il diritto di prelazione. Domanda: è consentita la rinuncia prima della denuntiatio del prelazionante? La dottrina maggioritaria ritiene che sia AMMISSIBILE la rinuncia antecedente alla denuntiatio. La prelazione convenzionale impropria Finora abbiamo parlato della cd. prelazione convenzionale propria: quando viene accordata la preferenza al prelazionario a parità di condizioni. Quindi, la parità di condizioni è elemento caratterizzante l’istituto. TUTTAVIA, la giurisprudenza ritiene ammissibili anche le prelazioni convenzionali cd. improprie, le quali NON hanno come elemento caratterizzante la parità di condizioni. Nozione: La prelazione volontaria impropria è quella prelazione convenzionale che NON ha come elemento caratterizzante la parità di condizioni, nel senso che qui il prelazionario (beneficiario) potrà decidere di perfezionare l’intesa disinteressandosi dell’offerta del terzo. Ratio: Il senso della prelazione volontaria impropria è che le parti garantiscono una tutela del prelazionario a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di un terzo. Esempio: Nel patto di prelazione le parti possono inserire una clausola di prelazione impropria dove si dice: i soci prelazionari hanno un diritto di prelazione impropria, cioè laddove un terzo offra un prezzo eccessivamente oneroso, allora i soci prelazionari possono contestare l’eccessiva onerosità del prezzo offerto dal terzo, chiedendo che il prezzo venga rideterminato al ribasso d’accordo tra le parti oppure, in mancanza di accordo, da un collegio arbitrale. In questo caso, il prelazionante sarà obbligato a vendere al prezzo stabilito (d’accordo oppure dal collegio arbitrarle) e perderà l’offerta più vantaggiosa del terzo. 71 Ipotesi: Quand’è che si ricorre al meccanismo della prelazione convenzionale impropria? a) quando c’è il rischio che il prelazionante possa stringere intese fraudolente con un terzo: perché? Perché magari tra il prelazionante e un terzo potrebbero esserci un’intesa fraudolenta dove il prelazionante si accorda col terzo dicendo: simuliamo che mi offri un prezzo alto, così io non devo preferire il prelazionario. b) quando c’è il rischio che il prelazionante possa donare o fingere di donare il bene a un terzo: se Tizio stringe un patto di prelazione con Caio per un bene ma poi lo dona al proprio figlio Sempronio, ovviamente Caio NON può esercitare la prelazione per far sì che il bene venga donato a lui. Per evitare ciò, si può prevedere un patto di prelazione impropria dove si stabilisce: se il prelazionante intende trasmettere a titolo gratuito il bene, allora il valore del bene verrà stabilito da un collegio arbitrale. Le prelazioni legali Oltre alle prelazioni convenzionali, il codice prevede una serie di ipotesi di prelazione cd. legale: qui la fonte del diritto di prelazione NON è l’accordo tra due soggetti, ma è la legge. In casi tassativi, è la legge a riconoscere il diritto di prelazione a favore di un determina soggetto, senza che le parti stipulino un patto di prelazione ad hoc. Ovviamente anche qui la disciplina della denuntiatio è identica. Efficacia reale: Il meccanismo della prelazione legale è molto DIVERSO da quello della prelazione convenzionale: - la prelazione convenzionale ha: - ha fonte nell’accordo tra le parti (patto di prelazione) - ha efficacia meramente obbligatoria - NON è opponibile ai terzi - la prelazione legale: il discorso è assolutamente rovesciato rispetto alla prelazione convenzionale, perché la prelazione legale ha efficacia reale. La prelazione legale ha efficacia reale, quindi: 1) produce effetti tra prelazionante e prelazionario 2) produce effetti anche erga omnes, quindi nei confronti dei terzi, di conseguenza: - è opponibile ai terzi - il prelazionario ha diritto di riscatto del bene dal terzo. Questa efficacia reale la comprendiamo bene in caso di inadempimento, cioè in caso di violazione della prelazione legale. Se il promittente viola la prelazione legale, ad esempio,stipulando un contratto con un terzo senza aver proceduto alla denuntiatio, quindi pretermettendo il prelazionario legale, allora le conseguenze sono: A) il contratto tra promittente e terzo è VALIDO ed EFFICACE, MA RISCHIA DI DIVENTARE INEFFICACE B) la prelazione legale è opponibile al terzo, quindi il prelazionario legale pretermesso ha diritto al riscatto del bene dal terzo. Diritto di riscatto: Il terzo che compra in violazione di una prelazione legale stipula con il promittente un contratto VALIDO ed EFFICACE, ma rischia che questo contratto diventi inefficace perché il prelazionario legale pretermesso ha il diritto di riscatto. Nozione: Il diritto di riscatto è un diritto potestativo esercitabile dal prelazionario (Caio) nel caso di inadempimento dell’obbligo gravante sul prelazionante. Modalità: Il prelazionario legale pretermesso può esercitare il suo diritto di riscatto: a) o in via stragiudiziale mediante una richiesta di riscatto rivolgendosi direttamente al terzo acquirente, quindi NON si rivolge al prelazionante inadempiente. b) o in via giudiziale mediante apposito atto di citazione. Effetti: Col riscatto il prelazionario legale pretermesso: 1) ottiene il trasferimento del bene nella nel suo patrimonio 2) deve rimborsare il terzo acquirente del prezzo che questi aveva pagato al prelazionante. Effetti retroattivi: Il riscatto ha effetti retroattivi, quindi il prelazionario riscattante è considerato diretto acquirente rispetto all’alienante (promittente che era stato scorretto). 72 Risarcimento del danno: Ovviamente il prelazionario legale pretermesso ha anche la possibilità di agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno dal prelazionante che non ha violato la prelazione legale. Rinunciabilità: Anche il diritto di prelazione legale è rinunciabile da parte del prelazionario. TUTTAVIA, qui è discusso se il prelazionario legale possa rinunciare al diritto di prelazione anche prima della denuntiatio del prelazionante: - parte della dottrina ritiene che sia ammissibile - altra parte della dottrina ritiene che non sia ammissibile. Quali sono le prelazioni legali? La legge disciplina diverse ipotesi di prelazione legale. Calvo ne enumera alcune: A) la prelazione ereditaria (art. 732 cc) Una prima ipotesi di prelazione legale è contenuta nell’art. 732 cc, che si occupa di prevedere un diritto di prelazione legale in tema di successioni ereditarie. L’art. 732 disciplina quello che viene chiamato retratto successorio, cioè il diritto di riscatto in ambito ereditario, nell’ipotesi in cui vi siano più coeredi del de cuius. Ad esempio,il padre che lascia alla sua morte la sua eredità ai suoi 4 figli, ciascuno dei quali partecipa a questa comunione ereditaria con una quota del 25%. Ora, l’art. 732 prevede una disciplina per salvaguardare l’esigenza dei coeredi contro il pericolo che terzi estranei entrino a far parte della comunione ereditaria, prevedendo - se un coerede vuole alienare la sua quota ereditaria o parte di essa ad un terzo estraneo, allora ha un onere di denuntiatio: deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, perché questi hanno diritto di prelazione. - i coeredi interessati devono esercitare il loro diritto di prelazione nel termine di 2 mesi dall’ultima delle notificazioni (spatium deliberandi) Retratto successorio: in caso di mancata denuntiatio da parte del coerede, i coeredi non hanno avuto la possibilità di (diritto di riscatto) esercitare il diritto di prelazione ereditaria. E allora l’art. 732, per tutelare tali soggetti, prevede: in caso di mancata notificazione (denuntiatio) ai coeredi, se il coerede ha alienato la quota ad un terzo, allora i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dal terzo acquirente e da ogni successivo avente causa, finchè dura lo stato di comunione ereditaria. Si parla del cd. retratto successorio perché è un vero e proprio diritto di riscatto. - Risarcimento del danno: Inoltre, i coeredi prelazionari pretermessi possono agire per chiedere il risarcimento del danno nei confronti del coerede che non ha rispettato il loro diritto di prelazione. Ambito di applicazione: L’art. 732 cc parla di “il coerede che vuole alienare ad un terzo”, quindi fa espressamente riferimento all’alienazione, quindi ad un atto a titolo oneroso. Per questo, si ritiene che l’art. 732 cc NON trovi applicazione nel caso di: - donazione (in quanto atto a titolo gratuito) - vendita fallimentare (in quanto trattasi di atto non riconducibile alla libera determinazione del coerede) B) la prelazione urbana (o locatizia) Un altro caso di prelazione legale è la prelazione urbana (o locatizia). La prelazione urbana è quel diritto di prelazione a favore del conduttore (inquilino, affittuario) in caso di compravendita dell’immobile che questo ha in locazione. Dobbiamo distinguere due prelazioni urbane, a seconda dell’uso dell’immobile oggetto del contratto di locazione: - prelazione urbana a favore del conduttore in caso di locazione di immobile ad uso commerciale/artigianale - prelazione urbana a favore del conduttore in caso di locazione di immobile ad uso abitativo. In entrambi i casi il diritto di prelazione a favore del conduttore presuppone: 1) l’esistenza di un contratto di locazione che abbia ad oggetto un immobile 2) l’intenzione del locatore (proprietario dell’immobile) di stipulare un contratto di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile (Ad esempio,compravendita). Ambito di applicazione: ATTENZIONE, ci sono alcuni immobili ai quali, pur essendovi una locazione, 75 giorni, allora: - DEVE stipulare il contratto - DEVE versare il prezzo di acquisto entro 3 mesi decorrenti dal 30esimo giorno successivo alla notificazione della denuntiatio da parte del locatore proprietario. 76 Diritto di riscatto: Se il proprietario del fondo non ha provveduto alla notificazione della denuntiatio al conduttore, (retratto agrario) allora all’affittuario non è stato consentito l’esercizio del diritto di prelazione. Per tale motivo, l’affittuario può esercitare il diritto di riscatto del fondo direttamente dal terzo acquirente e da ogni altro successivo avente causa entro 1 anno dalla trascrizione del contratto di compravendita. Una volta esercitato il diritto di riscatto, l’affittuario deve pagare il prezzo risultante dal contratto di compravendita tra il proprietario dell’immobile e il terzo. La prelazione artistica Calvo in ultimo analizza la prelazione artistica. Fonte: La prelazione artistica è disciplinata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004). Ratio: La prelazione artistica costituisce un privilegio a favore della Pubblica Amministrazione giustificato dall’interesse pubblico a conservare il patrimonio storico-artistico del Paese. Procedura: La procedura è abbastanza complessa: 1) se il proprietario (o detentore) di un bene culturale di interesse storico ed artistico intende alienarlo ad un terzo a qualsiasi titolo (oneroso oppure a titolo di permuta o di dazione in pagamento), può procedere validamente alla stipula del contratto di alienazione tra privati 2) TUTTAVIA, DOPO il contratto di alienazione del bene culturale al terzo, l’alienante è tenuto ad una denuntiatio, cioè a comunicare al Ministero dei beni culturali o ad altro ente pubblico interessato di aver stipulato un contratto di alienazione del bene culturale con un terzo acquirente 3) a questo punto la Pubblica Amministrazione PUÒ intervenire nella vicenda traslativa tra privati con un provvedimento amministrativo con cui esercita il diritto di prelazione per acquistare il bene culturale, CADUCANDO il contratto di alienazione validamente concluso tra i privati. Quindi, perché la prelazione artistica è diversa dalle altre prelazioni viste sinora? Perché qui il Ministero (o altro ente pubblico) ha il potere di intervenire in prelazione su una vicenda traslativa tra privati già perfezionatasi, quindi ha il potere di acquistare un bene culturale che è già stato trasferito ad un terzo, col potere quindi di caducare il contratto di alienazione valido. Denuntiatio: L’alienante, dopo aver concluso il contratto di trasferimento della proprietà del bene culturale con il terzo acquirente, deve procedere alla denuntiatio: ha l’onere di comunicare alla Pubblica Amministrazione (Ministero dei beni culturali o comunque all’ente pubblico interessato) che ha stipulato un contratto di alienazione avente ad oggetto un bene culturale. Esercizio del diritto di prelazione: La Pubblica Amministrazione interessata può esercitare il diritto di prelazione artistica mediante l’emanazione di un provvedimento amministrativo entro 60 giorni dalla data di ricezione della denuntiatio da parte dell’alienante. Ipotesi particolari: La prelazione artistica può essere esercitata anche in caso di: - omessa denuntiatio del contratto di alienazione - denuntiatio tardiva - denuntiatio incompleta in questi casi, la Pubblica amministrazione può esercitare il diritto di prelazione entro 180 giorni dal momento in cui la PA ha ricevuto la denuntiatio tardiva o ha acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa. Procedura: La procedura per l’esercizio della prelazione artistica è: 1) la PA emana un provvedimento amministrativo con cui esercita la prelazione 2) entro i due termini (ordinariamente 60 giorni o eccezionalmente 180 giorni), la PA deve notificare il provvedimento amministrativo: - sia all’alienante - che all’acquirente. A partire dalla data di questa notifica: - la proprietà del bene passa alla Pubblica Amministrazione - il contratto di alienazione tra i privati viene caducato. 3) infine, la PA deve provvedere al pagamento dello stesso prezzo stabilito nell’atto di alienazione. Il prezzo va pagato all’originario alienante. Ratio: Come possiamo vedere, la prelazione artistica si differenzia dalla prelazione legale in quanto è espressione di potestà autoritativa a carattere ablatorio, poiché la Pubblica Amministrazione acquista la 77 proprietà del bene culturale: - NON attraverso un contratto 80 FORMA del contratto preliminare. La disciplina urbanistica L’art. 1351 cc introduce il principio di simmetria delle forme: il contratto preliminare DEVE ESSERE SITPULATO NELLA STESSA FORMA DEL CONTRATTO DEFINITIVO. Ad esempio,dato che per i contratti di vendita immobiliare è necessaria la forma scritta sotto pena di nullità, allora anche il preliminare di vendita immobiliare deve essere redatto in forma scritta. Conseguenza: Se il contratto preliminare viene stipulato in una forma diversa da quella prevista per il contratto definitivo, allora il contratto preliminare è NULLO. ECCEZIONE: Se per il contratto definitivo è stata scelta una forma convenzionale ex art. 1352 cc, allora il contratto preliminare è un ATTO A FORMA LIBERA. Perché? Perché l’art. 1351 cc circoscrive la propria applicabilità: - SOLO al formalismo legale - NON anche al formalismo convenzionale. Testo Unico Edile Un problema relativo alla forma che si è trascinato per decenni è stato quello del rispetto della disciplina urbanistica. Nel Testo Unico edile, sia in tema di trasferimento di edifici che di terreni, si prevedono una serie di norme formali in materia di trasferimento di immobili e terreni: - se il bene da trasferire è un immobile, allora il definitivo deve contenere anche il permesso a costruire. Questo perché il legislatore vuole evitare il commercio di immobili abusivi (senza o in difformità del permesso a costruire), che per legge costituirebbe un contratto nullo. - se il bene da trasferire è un terreno, allora il definitivo deve contenere anche il cd. certificato di destinazione del terreno: colui che compra, deve essere certo che sia un terreno edificabile e non destinato al verde. Ora, in tema di forma del preliminare in questi casi si riscontra una differenza di vedute, perché: - parte della dottrina: parte della dottrina dice: è vero che le norme del Testo Unico Edile si riferiscono al Definitivo, però, in forza del principio di simmetria delle forme ex art. 1351 cc, devono essere applicate anche al preliminare; perciò, anche il preliminare deve indicare il permesso a costruire o il certificato di destinazione del terreno. - giurisprudenza maggioritaria: la giurisprudenza maggioritaria invece è per la posizione opposta. Dice: dato che gli oneri previsti dal Testo Unico Edile riguardano SOLO il contratto definitivo in quanto solo il definitivo è l’atto traslativo destinato a produrre immediati effetti reali, allora le norme del Testo Unico edile NON si applicano al contratto preliminare. Immobile abusivo: Se il preliminare ha ad oggetto un immobile abusivo, la giurisprudenza ritiene che la promessa di vendere un edificio abusivo (insuscettibile di sanatoria) sia NULLA, al pari della compravendita avente ad oggetto il medesimo bene. Art. 15 L. 19/1977: Parte della giurisprudenza ha ritenuto applicare l’art. 15 comma 7 della L. 10/1977 che decreta la nullità degli atti giuridici concernenti unità edilizie costruite in totale difformità o assenza dalla concessione “ove da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancata concessione”: siffatta nullità non sarebbe quindi invocabile se il promissario compratore fosse a conoscenza dell’abuso e se tale conoscenza emergesse dall’atto della cui nullità si dibatte. La TRASCRIZIONE del contratto preliminare (art. 2645 bis) Il legislatore ha poi previsto delle norme in materia di trascrizione del contratto preliminare. Come si è arrivati alla trascrivibilità del preliminare? - IN PASSATO: fino a prima dell’introduzione di questo art. 2645 bis, si diceva che il preliminare NON potesse essere trascritto perché si ragionava così: dato che il contratto preliminare è un contratto ad effetti meramente obbligatori, allora NON può essere trascritto proprio perché col preliminare non vi è un trasferimento di diritti reali. - L. 30/1997: la L. 30/1997 ha previsto per la prima volta la trascrivibilità del preliminare, offrendo una forte tutela al promissario acquirente. Ratio: Qual è stata l’esigenza che ha spinto il legislatore nel 1997 a prevedere la trascrivibilità del preliminare? Cosa accadeva nella prassi commerciale che ha richiesto che si affermasse la trascrivibilità del preliminare? È stato necessario introdurre la normativa della trascrivibilità del preliminare perché nella prassi erano frequenti inconvenienti enormi. 81 Nella prassi del commercio edilizio avveniva spesso: - o che il promittente venditore per lo stesso bene immobile stipulasse più contratti preliminari con diversi promissari, intascando le caparre richieste ma senza firmare poi il definitivo con nessuno - o che il promittente venditore stipulasse un preliminare con un promissario acquirente ma poi vendesse lo stesso bene immobile ad un terzo. In questi casi, l’inconveniente era enorme: dato che non avevano potuto trascrivere il preliminare (perché non era prevista la trascrivibilità), allora i promissari acquirenti non avevano alcuna tutela per poter recuperare il bene, perché NON potevano opporre il contratto preliminare agli eventuali terzi che avevano acquistato il bene. Ecco perché si iniziò ad avvertire l’esigenza di offrire un'adeguata tutela ai promissari acquirenti, ed ecco perché si è arrivati ad affermare la trascrivibilità del preliminare. Art. 2645 bis: Oggi la trascrivibilità del preliminare è assicurata dall’art. 2645 bis cc. Quali sono i contratti preliminari trascrivibili? NON tutti i contratti preliminari devono essere trascritti. Secondo il comma 1 dell’art. 2645 bis cc, DEVONO essere trascritti SOLO i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di uno dei contratti di cui ai nn. 1-2-3-4 dell’art. 2643 cc: - i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili - i contratti che costituiscono/trasferiscono/modificano: - il diritto di usufrutto su beni immobili - il diritto di superficie - il diritto di abitazione. SOLO SE risultano da: - da atto pubblico - o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. EFFETTI: La trascrizione del preliminare ha una efficacia “prenotativa”, nel senso che: - la trascrizione del preliminare PRENOTA gli effetti che deriveranno dalla trascrizione del definitivo o della sentenza di esecuzione giudiziale ex 2932. Ciò significa che gli effetti della trascrizione del futuro contratto definitivo o della futura sentenza di esecuzione giudiziale ex art. 2932 RETROAGISCONO al momento della data della trascrizione del preliminare. Che significa? Significa che se il preliminare è stato trascritto, allora quando si stipulerà il definitivo o si otterrà la sentenza di esecuzione giudiziale ex art. 2932 gli effetti del definitivo/sentenza ex art. 2932 cc retroagiranno alla data della trascrizione del preliminare, quindi gli effetti si produrranno: - NON dalla data del definitivo/sentenza giudiziale ex art. 2932 - ma dalla data di trascrizione del preliminare (che è quindi antecedente). Quindi, il trasferimento della proprietà o la costituzione/trasferimento/ modifica di altro diritto immobiliare retroagisce al momento della data di trascrizione del preliminare. Ad esempio,Tizio e Caio trascrivono il preliminare di vendita dell’immobile di Tizio nel 2020. Nel 2021 stipulano il definitivo di vendita. Gli effetti della vendita, quindi il trasferimento della proprietà del bene da Tizio a Caio, decorrono: - NON dalla stipula del definitivo nel 2021 - ma dalla data di trascrizione del preliminare, quindi gli effetti della vendita retroagiscono al 2020. - conseguenza di ciò è, una volta trascritto il preliminare, poi l’acquisto definitivo del bene immobile oggetto del preliminare PREVALE rispetto a eventuali terzi che abbiano eseguito trascrizioni sul medesimo bene immobile dopo la trascrizione del preliminare. Infatti, tutte le eventuali trascrizioni effettuate medio tempore dalla data di trascrizione del preliminare in poi vengono travolte. Efficacia temporale limitata: TUTTAVIA, la trascrizione del preliminare ha una efficacia LIMITATA NEL TEMPO: (art. 2645 bis comma 3) SE: - entro 1 anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo - e in ogni caso entro 3 anni dalla data di trascrizione del suddetto preliminare non viene trascritto il contratto definitivo o la domanda di esecuzione giudiziale ex 2932 cc, ALLORA la trascrizione NON produce effetti, quindi gli effetti si considerano come mai prodotti. 82 Ratio: Imporre un limite temporale alla trascrizione risponde all’esigenza generale di evitare che sul bene promesso col preliminare venga a crearsi un reale vincolo di destinazione nell’interesse dei beneficiari della prestazione di dare, il quale, ove si estendesse per un periodo eccessivo, finirebbe con lo snaturare la posizione di dominio del dante causa (dato che promettere un bene NON significa perderne la proprietà). Trascrivibilità del preliminare unilaterale? Si registrano diverse opinioni sul tema. Parte della dottrina: ritiene che la trascrizione del preliminare unilaterale è ammissibile SOLO nell’ipotesi in cui la promessa sia stata assunta dal futuro alienante. Calvo: Calvo invece ritiene che la trascrizione del preliminare unilaterale è SEMPRE AMMESSA, senza alcuna limitazione. IL PRIVILEGIO (art. 2775 bis) Quello della trascrizione non è l’unico modo con cui il legislatore tutela il promissario acquirente. Partiamo da questo quadro: se il promissario acquirente di un bene immobile resta insoddisfatto perché non si fa luogo alla stipula del contratto definitivo, allora le sue possibili azioni sono: - o, se è possibile, agire in giudizio per chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 - o agire in giudizio per chiedere la risoluzione per inadempimento (se ha perso interesse all’adempimento del preliminare) - o agire in giudizio con una azione di risarcimento del danno subito - ma a rafforzare la tutela in favore del promissario acquirente che non riceva soddisfazione in altro modo nel 1997 è stato introdotto l’art. 2775 bis, che disciplina il privilegio speciale a favore del promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare. Art. 2775 bis, rubricato “Credito per mancata esecuzione di contratti preliminari” SE è stato stipulato un contratto preliminare che è stato trascritto ex art. 2645 bis, ma poi non si è addivenuti alla stipula del contratto definitivo (quindi si verifica una mancata esecuzione del contratto preliminare), ALLORA i crediti del promissario acquirente che sorgono per effetto di questa mancata esecuzione del contratto preliminare (Ad esempio,la caparra versata alla firma del preliminare) sono muniti di un privilegio speciale sul bene immobile oggetto del preliminare, A CONDIZONE CHE gli effetti della trascrizione non siano già cessati (leggasi l’art. 2645 bis comma 3, cioè a patto che non sia trascorso più di 1 anno dalla data convenuta per la stipula del definitivo e più di 3 anni dalla trascrizione del preliminare) al momento della: - della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa - o della domanda giudiziale: - di risoluzione del contratto - o di condanna al pagamento - o della trascrizione del pignoramento. Quindi, se gli effetti della trascrizione non sono ancora cessati, allora al promissario acquirente rimasto insoddisfatto è attribuito un privilegio speciale, cioè una garanzia sul bene immobile che era stato promesso in vendita. In virtù di questo privilegio speciale ex art. 2775 bis, il promissario acquirente insoddisfatto può promuovere un’azione esecutiva o intervenire in un processo esecutivo già promosso da altri facendo valere il suo privilegio speciale sul bene immobile oggetto del preliminare. Ciò significa che, ove nel processo esecutivo bene immobile oggetto del preliminare venga venduto (vendita forzata in sede di processo esecutivo) e si proceda al riparto delle somme tra i vari creditori, l’originario promissario acquirente, avendo un privilegio speciale: - NON sarà un creditore chirografario (non privilegiato) - ma sarà un creditore privilegiato: in sede di riparto delle somme è titolare del diritto di ottenere il soddisfacimento del proprio credito con preferenza rispetto ai creditori non privilegiati (chirografari) Rapporto tra privilegio speciale e ipoteca Ai sensi dell’art. 2775 bis comma 2, il privilegio speciale del promissario acquirente NON è opponibile a: - ai creditori ipotecari garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l'acquisto del bene immobile - ai creditori ipotecari garantiti da ipoteca ex art. 2825 bis: si tratta dell’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia della quota di debito derivante da 85 Potere di una parte, quando? È possibile che le parti nel contratto preliminare si siano accordate acchè il potere di stabilire il termine di adempimento sia conferito soltanto a una delle parti. Se questa parte ne ritardi ingiustificatamente l’esercizio, la controparte ha la facoltà: a) o di rivolgersi al giudice per la determinazione del termine stesso b) o di proporre la domanda di adempimento in forma specifica (comprendente la richiesta di fissazione del termine mancante). L’omesso esercizio di tali facoltà alternative entro il termine ordinario di prescrizione, decorrente dal momento in cui il diritto alla stipulazione del definitivo poteva essere fatto valere, importa l’estinzione del vincolo giuridico qualora sia nel frattempo maturato un congruo termine. Esecuzione anticipata: È comunque possibile chiedere l’esecuzione anticipata del preliminare qualora la controparte con la propria condotta abbia dimostrato la propria inaffidabilità, come Ad esempio,capita laddove il promittente venditore, dopo essersi obbligato con Caio a vendere il fondo X, intraprenda con terzo Sempronio una trattativa inerente alla vendita della stessa cosa. CONTENUTO del preliminare. Rapporto tra preliminare e definitivo. L’ipotesi della difformità di contenuto Contenuto del preliminare: Il preliminare deve contenere tutti gli elementi essenziali del definitivo; quindi ad esempio, in caso di vendita deve contenere sicuramente l'oggetto e il prezzo, ferma restando la possibilità per le parti di cambiare qualche elemento del contratto al momento della stipula del definitivo purché siano d'accordo tra loro. Secondo la Cassazione NON c’è bisogno invece della puntuale previsione anche degli elementi secondari e accessori. La Cassazione ha affermato: è sufficiente che il preliminare contenga tutte le clausole sufficienti per poter emettere eventualmente la sentenza di esecuzione giudiziale ex art. 2932. Rapporto tra preliminare e definitivo Il rapporto tra preliminare e definitivo richiama alla memoria il già discusso tema della relazione tra contratto originario e contratto riproduttivo. Il punto è che non è detto che il definitivo riproduca meccanicamente il contenuto del preliminare, perché è possibile che esso contenga delle variazioni rispetto al preliminare. Perché? Perché se è vero che il preliminare tra le sue finalità ha il “controllo delle sopravvenienze”, allora dobbiamo ritenere ammissibile che il definitivo possa presentare delle difformità di contenuto rispetto al preliminare. Come si ragiona in caso di difformità di contenuto tra preliminare e definitivo? - teoria dell’assorbimento: La tesi tradizionale per molto tempo partiva da questi due assunti: - il contratto definitivo ha la prevalenza rispetto al preliminare - per ciò, in caso di difformità di contenuto tra preliminare e definitivo, vale il cd. assorbimento da parte del definitivo. Perché si ragionava così? Prima si ragionava in questo modo: il preliminare è un semplice mezzo per addivenire al definitivo, perciò il definitivo è l’unico contratto che regola i rapporti inter partAd esempio, Nel momento in cui viene stipulato il definitivo, tale contratto definitivo è l’unica fonte del rapporto finale tra le parti, perché è solo da questo momento che avviene il trasferimento del diritto o l'assunzione dell'obbligazione. La conseguenza di questa visione è la teoria dell’assorbimento: dopo la stipula del definitivo: - il definitivo assorbe il preliminare - il preliminare NON ha più alcuna rilevanza giuridica - in caso di difformità di contenuto tra il contenuto del preliminare e il contenuto del definitivo prevale SEMPRE il contenuto del definitivo. - Calvo: In realtà Calvo non la pensa così. Vediamo prima perché Calvo critica la teoria dell’assorbimento e poi vediamo cosa si auspica. Critica: Calvo dice: - la teoria dell’assorbimento pone una presunzione che è sicuramente molto semplice da applicare da parte del giudice perché la teoria dice: in ipotesi di difformità contenutistiche tra preliminare e definitivo, il definitivo assorbe sempre il preliminare. Quindi il giudice non deve fare alcuna valutazione discrezionale sulla volontà delle parti. 86 - però la teoria dell’assorbimento nasconde anche possibili insidie. Infatti, dice Calvo: la teoria dell’assorbimento è una teoria che dà per scontato che solo il definitivo racchiuda la volontà delle parti. In ipotesi di divergenza tra le due intese, il giudice - grazie a detta presunzione - NON è tenuto ad appurare se essa sia frutto di una volontà deliberata delle parti o di un errore ostativo o di un’esecuzione parziale del preliminare. Le parti potrebbero aver non incluso nel definitivo alcune clausole che avevano inserito nel preliminare per diverse ragioni: magari per dimenticanza, per trascuratezza o anche perché tra loro è intercorsa una intesa verbale non scritta. Ecco, con la teoria dell’assorbimento si finisce per escludere qualsiasi rilevanza sia alle trattative negoziali sia alla condotta delle parti susseguente al definitivo, dalle quali potrebbero o essere desunti utili indizi capaci di rovesciare l’additata presunzione. Cosa si auspica Calvo? Calvo ritiene che l’impostazione migliore sia quella secondo cui il rapporto tra preliminare e definitivo va ricostruito caso per caso, per verificare se la difformità di contenuto tra preliminare e definitivo sia il frutto di: - di una scelta consapevole delle parti - o di un errore (Ad esempio,le parti si sono dimenticate di portare nel definitivo una certa clausola del preliminare) - o del fatto c’è già stata una parziale esecuzione del preliminare. In conclusione, dice Calvo: è vero che la teoria dell’assorbimento semplifica il lavoro dei giudici, ma rischia di trascurare le peculiarità del caso concreto. Perciò, NON bisogna applicare rigidamente il meccanismo dell’assorbimento. LA TUTELA IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL PRELIMINARE Sappiamo che il contratto preliminare ha effetti meramente obbligatori: obbliga le parti alla stipula del contratto definitivo. E allora cosa accade laddove una delle parti sia inadempiente, cioè si rifiuti di stipulare il definitivo? Qualora vi sia un ripensamento di parte del contratto preliminare, la quale si rifiuta di stipulare il contratto definitivo senza giustificato motivo, allora l’ordinamento riconosce alla parte “non inadempiente” specifici strumenti di “reazione” per la tutela dei propri diritti: a) domanda di risoluzione + risarcimento: se la parte” non inadempiente”, a seguito dell’inadempimento della controparte, ha perduto l’interesse all’adempimento del preliminare (quindi ha perso interesse a “concludere” comunque e in ogni caso quello specifico affare), allora può rivolgersi al giudice per chiedere: 1) la risoluzione del preliminare per inadempimento della controparte ex art. 1453 cc 1) + il risarcimento del danno subito. La parte non inadempiente sceglierà questa strada quando ha perso interesse a “concludere” comunque il definitivo, e quindi preferisce liberarsi dai vincoli quando derivanti da preliminare stipulato, per poter “ritornare sul mercato”. b) domanda di esecuzione in forma aspecifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932: la parte non inadempiente sceglierà questa strada quando ha comunque interesse all’adempimento del preliminare. Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 2932 cc) Abbiamo appena visto che, in caso di inadempimento di una parte dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo (Ad esempio, è decorso il termine di adempimento), la parte non inadempiente, se ha interesse all’adempimento del preliminare, allora, se è possibile e non è escluso dal titolo, può agire in giudizio per chiedere una sentenza di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 cc, cioè per chiedere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso. Peculiarità: Il rimedio ex art. 2932 cc ha una peculiarità rispetto alle altre ipotesi di inadempimento, perché? Perché noi sappiamo che il preliminare è un contratto ad effetti meramente obbligatori che obbliga le parti a stipulare il contratto definitivo, che è una prestazione di fare infungibile. Questo cosa significa? Che il giudice NON è che può costringere il soggetto inadempiente a stipulare il definitivo, cioè il giudice non è che può prendere la mano dell’inadempiente Caio per fargli firmare il definitivo, perché si tratta di una prestazione di fare infungibile. 87 Ecco allora che vediamo la peculiarità della sentenza ex art. 2932 cc: - NON è una condanna del soggetto inadempiente a stipulare il definitivo: perché? Perché se si trattasse di una mera condanna a stipulare il definitivo, allora il soggetto inadempiente potrebbe continuare a paralizzare la situazione semplicemente rifiutandosi di stipulare il definitivo. E allora saremmo di nuovo al punto di partenza. - ma emana una sentenza di esecuzione in forma specifica cioè è una sentenza costitutiva che produce gli STESSI che dell’obbligo di concludere sarebbero discesi dalla conclusione del contratto definitivo, un contratto che invece non è stato concluso. Quindi, la sentenza ex art. 2932 cc sostituisce il consenso della parte inadempiente: è come se il consenso venisse manifestato non dalla parte inadempiente, ma dalla volontà del giudice. Quindi è una sentenza che tiene luogo del consenso non manifestato del contraente inadempiente Natura costitutiva: La sentenza ex art. 2932 cc ha natura costitutiva perché produce gli effetti del contratto non concluso. Possiamo dire che il rapporto finale: - ha il suo titolo immediato nella sentenza ex art. 2932 cc - e il suo titolo mediato nel contratto preliminare. Condizioni: Il comma 1 pone delle condizioni di ammissibilità della domanda ex art. 2932 cc. Infatti, l’esecuzione in forma specifica è ammissibile SOLO SE è ancora possibile produrre gli effetti del preliminare, infatti l’art. 2932 cc dice “qualora sia possibile e le parti non lo hanno escluso dal titolo…”. 1) “qualora sia possibile”: Presupposto imprescindibile per l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cc è che il promittente alienante abbia conservato le proprietà e l’integrità del bene oggetto del contratto preliminare. Ecco perché la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc NON può essere accolta in caso di: a) in caso di impossibilità di fatto: ciò avviene ad esempio in caso di distruzione del bene promesso nel contratto preliminare b) in caso di impossibilità di diritto: l’eventuale alienazione ad un terzo (con contratto valido ed efficace) crea una situazione che impedisce l’accoglimento della domanda ex art. 2932: infatti, sarà concettualmente e giuridicamente impossibile far uscire coattivamente dalla sfera patrimoniale di un soggetto, un bene di cui questi, in forza di un libero atto di disposizione, si sia già spogliato. 2) “qualora non sia escluso dal titolo”: nel contratto preliminare le parti possono concordemente escludere la possibilità di domandare l’esecuzione in forma specifica del definitivo. Se lo hanno concordemente escluso, allora nessuna delle due può agire giudizialmente ex art. 2932 cc, ma potrà optare unicamente per il risarcimento del danno. Contenuto della sentenza: Ma qual è il contenuto della sentenza costitutiva ex art. 2932? In linea generale si afferma che il contenuto della sentenza ex art. 2932 cc è lo specchio del contenuto del preliminare; quindi, gli elementi del preliminare definiscono il contenuto della sentenza. Questa affermazione non va intesa rigidamente, e infatti la giurisprudenza ha avuto una evoluzione sul tema: - PRIMA: per molto tempo la giurisprudenza è rimasta ferma nel suo dogma: il contenuto della sentenza ex art. 2932 cc doveva essere IDENTICO al contenuto del preliminare, perciò: - il giudice NON poteva discostarsi in sentenza da quello che era stato pattuito nel preliminare - il giudice doveva limitarsi a “fotocopiare” il contenuto del preliminare, senza poter modificare il testo del preliminare. 90 Cosa indivisa in regime di comunione legale Diversa è la disciplina quando il bene promesso in vendita col preliminare sia in regime di comunione legale tra coniugi. Qui l’impostazione della giurisprudenza è totalmente OPPOSTA. Perché? Giurisprudenza: La giurisprudenza qui dice: se un contratto preliminare ha ad oggetto la vendita di un bene oggetto di comunione legale che però è stato promesso in vendita da uno solo dei coniugi nomine proprio, allora il promissario acquirente può agire in giudizio con l’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc per ottenere il trasferimento dell’INTERO bene promesso col preliminare (quindi NON solo per la quota del coniuge promittente) ove l’altro coniuge non abbia impugnato il negozio obbligatorio mediante azione di annullamento ex art. 184 cc. Se il promissario acquirente effettivamente agisce in giudizio ex art. 2932 cc contro il coniuge promittente, allora occorrerà integrare il contraddittorio verso l’altro coniuge pretermesso che non ha partecipato al contratto preliminare, dato che l’eventuale accoglimento della domanda si rifletterebbe anche sulla posizione giuridica di quest’ultimo. Domanda: Ma la giurisprudenza come riesce a giustificare la diversità di disciplina del preliminare di cosa indivisa in regime di comunione legale rispetto a quella di cosa indivisa in regime di comunione ordinaria (vista prima)? La giurisprudenza dice: la differente disciplina deriva dal fatto che la comunione legale va considerata senza quote, dato che i coniugi sono titolari in solido di un diritto avente a oggetto i beni che la compongono. Ne discende che, riguardo ai rapporti coi terzi, ciascun coniuge è legittimato a disporre del ben per INTERO. Il preliminare di vendita di cosa altrui Un altro tema molto dibattuto è quello della possibilità che il contratto preliminare abbia ad oggetto: - NON un bene di proprietà del promittente venditore - ma un bene di proprietà di un terzo. La domanda è: se il promittente venditore col preliminare si obbliga a vendere un bene NON suo ma di un terzo, si può applicare analogicamente la disciplina codicistica prevista in tema di vendita di cosa altrui ex art. 1478 e ss. cc? Innanzitutto, vediamo cosa dicono gli artt. 1478 e ss. Art. 1478 e ss: se al momento del contratto la cosa venduta NON è di proprietà del venditore ma di un terzo, allora il venditore è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore. Comunque, l’acquirente in buona fede può chiedere la risoluzione del contratto se, quando ha concluso il contratto di vendita, ignorava che la cosa non fosse di proprietà del venditore e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà (art. 1479). Giurisprudenza e Calvo: La giurisprudenza, e anche Calvo, ritengono che le norme della vendita di cosa altrui ex artt. 1478 e ss. NON si possano applicare al contratto preliminare di cosa altrui. Perché? La giurisprudenza e Calvo argomentano in questo modo: - nel contratto di vendita di cosa altrui è fondamentale il riconoscimento al compratore in buona fede del diritto di domandare l’immediata risoluzione del contratto nel momento in cui viene perfezionato il contratto di vendita - invece, in caso di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, la disciplina radicalmente diversa perché dal preliminare scaturiscono soltanto meri effetti obbligatori. Ne consegue che, secondo la giurisprudenza e Calvo, allora il promissario acquirente NON può chiedere la risoluzione del contratto (né preliminare né definitivo). Il promittente venditore: Abbiamo detto che in caso di preliminare di vendita di cosa altrui il promittente venditore debba procurare al promissario acquirente l’acquisto della proprietà del bene. Siffatta obbligazione di dare può essere adempiuta: - o mediante acquisto del bene del terzo da parte del promittente venditore, cui seguirà il trasferimento del bene al promissario acquirente - o mediante passaggio di proprietà dal terzo al promissario acquirente: in questo caso, il terzo e il promittente venditore pattuiscono che il terzo, una volta divenuto proprietario del bene, dovrà poi alienare il bene al promissario acquirente. 91 Questa ipotesi è legittima perché comunque viene senz’altro completato il risultato programmato dal preliminare (perché alla fine comunque il promissario acquirente ottiene il bene). 92 In questo caso, il promissario acquirente: - NON può rifiutare l’acquisto dal terzo alienante, siccome il trasferimento di proprietà soddisfa pleno iure il suo diritto di credito - NON può intimare al terzo alienante la diffida adempiere, dato che manca qualsiasi vincolo obbligatorio tra questi soggetti. Domanda: cosa accade se il terzo, una volta divenuto proprietario del bene, non onori la parola data e si rifiuti di trasferire il bene al promissario acquirente? In questo caso: - SOLO il promittente venditore ha facoltà di agire contro il terzo - il promissario acquirente NON può agire contro il terzo perché tra il terzo e il promissario acquirente NON c’è alcun rapporto contrattuale. Altra ipotesi: Nulla esclude che, durante il termine intercorrente tra preliminare e definitivo, il proprietario- promittente venditore nel frattempo alieni il bene promesso oggetto del contratto preliminare. Ad esempio, Tizio si obbliga a comprare il bene da Caio e alienarlo a Sempronio, quindi stipula un preliminare con Sempronio di vendita di cosa altrui con cui si impegna a vendergli il bene entro 2 anni. Cosa fa Tizio? Tizio compra il bene da Caio ma poi, invece di venderlo a Sempronio (come si era impegnato a fare col preliminare), lo aliena a Mevio dopo 1 anno (quindi non è ancora scaduto il termine del preliminare con Sempronio perché è passato soltanto 1 anno). Domanda: il rapporto tra Tizio e Sempronio si convertirà ipso iure in una promessa di vendita di res aliena? Dice Calvo: a ben guardare, ci troviamo di fronte ad un inadempimento anticipato: la condotta tenuta dal promittente venditore manifesta inequivocabilmente la sua scarsa affidabilità (ATTENZIONE: NON si può parlare ancora di inadempimento perché non è ancora scaduto il termine fissato nel preliminare, quindi lo stesso Tizio potrebbe ricomprare il bene da Mevio (a cui lo aveva alienato) e adempiere alla sua obbligazione di stipulare il definitivo con Sempronio vendendogli il bene. Ad ogni modo, questa azione “contraddittoria” del promittente legittimerà la domanda di risoluzione anticipata da parte del promissario acquirente Sempronio. Tutela del promissario acquirente: All’inizio abbiamo detto che al preliminare di cosa altrui NON si può applicare la disciplina prevista per la vendita di cosa altrui. E allora la domanda è: qual è la tutela del promissario acquirente? È vero che il promittente venditore deve procurare l’acquisto del bene al compratore, ma se non è riuscito a recuperare la proprietà del bene, la domanda è: il promissario acquirente rimane vincolato al contratto preliminare o può chiedere immediatamente la risoluzione del preliminare? Deve aspettare la scadenza del termine del preliminare e soltanto in quel momento agire in giudizio oppure potrebbe subito sciogliersi dal contratto chiedendone la risoluzione? Calvo: Se è vero che a seguito del preliminare il promittente venditore si è obbligato a trasferire la proprietà del bene al promissario acquirente, è anche vero che fintanto che non sia decorso inutilmente il termine stabilito nel preliminare per la stipula del contratto definitivo, NON è ravvisabile alcun inadempimento contrattuale da parte del promittente venditore. Pertanto, il promissario acquirente NON può chiedere immediatamente la risoluzione del preliminare, dovendo quantomeno attendere almeno il decorso del termine fissato nel contratto preliminare. SOLO DOPO che sia decorso il termine fissato nel preliminare per la stipula del definitivo, il promissario acquirente può chiedere: 1) la risoluzione del preliminare 2) + il risarcimento del danno in quanto il promittente venditore non gli ha procurato la titolarità della cosa, ancorché il promissario stesso fosse sin dall’inizio ben consapevole della sua appartenenza al terzo. 95 IL BENE PROMESSO NEL PRELIMINARE Eventuali vincoli reali sul bene promesso Altra questione è: il promittente venditore potrebbe impegnarsi a vendere un suo bene che però NON è “libero”, ma risulta gravato da un vincolo reale (Ad esempio,ipoteca – pegno). In questo caso, quali sono strumenti di tutela potrebbe invocare il promissario acquirente a fronte del pericolo di evizione? Giurisprudenza e Calvo: Giurisprudenza e Calvo ritengono che si possono applicare analogicamente le norme sulla compravendita ex art. 1482 cc qualora il promissario acquirente fosse all’oscuro del fatto che sul bene promesso gravasse un vincolo reale (Ad esempio,ipoteca). È corretto applicare tali norme perché va considerato che il preliminare di vendita è strumentale a conseguire l’effetto traslativo. Pertanto, i possibili rimedi esperibili dal promissario acquirente - che fosse all’oscuro che sul bene promesso gravasse un vincolo reale - sono: a) o può sospendere il pagamento del prezzo b) o può chiedere al giudice di fissare un termine alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risolto con l’obbligo per il promittente venditore di risarcire i danni c) o può domandare l’immediata risoluzione del preliminare allorché il promittente venditore abbia ingannevolmente dichiarato che il bene era libero da vincoli reali, fatta salva l’impugnazione del contratto per dolo determinante. Azione ex art. 2932 cc e delegazione iussu iudicis: Una altra ipotesi è: Tizio e Caio stipulano un preliminare che ha ad oggetto un bene gravato da un vincolo reale (Ad esempio,ipoteca) e il promissario acquirente Caio è a conoscenza di tale vincolo reale ma confida nel fatto che il promittente venditore Tizio riuscirà a cancellare l’ipoteca (pagando quanto dovuto ai suoi creditori ipotecari) e dunque confida che riuscirà a comprare il bene libero da pesi. Tuttavia, immaginiamo che ciò non accada, cioè immaginiamo che nel momento in cui si deve stipulare il definitivo, il promittente venditore non è riuscito a cancellare quel vincolo reale sul bene. In questo caso cosa può fare il promissario acquirente? La giurisprudenza ha creato uno strumento molto singolare per tutelare il promissario acquirente: si parla della cd. delegazione iussu iudicis: il promissario acquirente può esercitare l’azione ex art. 2932 cc con cui chiede al giudice una sentenza costitutiva del contratto definitivo, e il giudice nel provvedimento finale del giudizio stabilisce le modalità di corresponsione del prezzo dovuto per soddisfare le pretese vantate dai creditori ipotecari/pignoranti, in modo da assicurare la liberazione del bene, il quale pertanto verrà trasferito libero da qualsiasi peso e vincolo. Ad esempio,il promissario acquirente Caio dovrebbe pagare 100.000, però sul bene c’è un’ipoteca di 30.000. Allora cosa succede? Se Caio esercita l’azione esecutiva ex art. 2932 cc, il giudice può stabilire che Caio comprerà il bene gravato da ipoteca pagando 70.000 a Tizio (venditore) e 30.000 al terzo creditore ipotecario. Quindi, come vediamo, questo è un caso in cui si deroga il principio dell’assoluta corrispondenza tra contratto preliminare e sentenza ex art. 2932 cc. Limiti al godimento della cosa promessa: Se il bene oggetto di preliminare è gravato da oneri/diritti che ne limitano il godimento ma il promissario acquirente non è a conoscenza di tale circostanza, allora può: a) o domandare l’immediata risoluzione de preliminare b) o esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc con la riduzione del prezzo secondo quanto disposto dall’art. 1480 cc. c) se tali oneri incidono sulle qualità materiali o giuridiche della cosa, allora il promissario acquirente può chiedere l’annullamento del preliminare per errore essenziale ove sia conosciuto o conoscibile da parte del promittente. 96 Eventuali vizi materiali del bene promesso Un altro problema si pone laddove il bene promesso col preliminare risulti affetto da vizi materiali occulti. Il problema è sempre lo stesso: come si assicura tutela al promissario acquirente? Se il promissario acquirente, dopo la stipula del preliminare ma prima della stipula del definitivo, si accorge che il bene promesso presenta dei vizi materiali, cosa può fare? Giurisprudenza: Sul punto le Corti hanno avuto un percorso evolutivo: - PRIMA si diceva: NON si può proporre domanda di riduzione del prezzo. Perché? Perché la giurisprudenza diceva: al preliminare di vendita si deve applicare analogicamente la disciplina sull’inadempimento di diritto comune, perché la tutela legale al compratore va anticipata già nella fase preparatoria alla vendita. - OGGI: oggi invece la giurisprudenza ha creato uno strumento abbastanza simile alla delegazione iussu iudicis vista prima. Perché? Perché la giurisprudenza ha affermato: se il bene promesso nel preliminare presenta vizi materiali che erano conosciuti dal venditore promittente che ha omesso di comunicarli al promissario acquirente, allora la diversità tra dovuto e dato è imputabile al promittente venditore. Di conseguenza, il promissario acquirente può esercitare azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 chiedendo contestualmente al giudice anche la riduzione del prezzo, quindi il giudice che stabilisce che il promissario acquirente dovrà pagare NON l’intero corrispettivo dovuto (e previsto dal preliminare), ma un corrispettivo ridotto tenendo conto dei vizi materiali del bene. Ad esempio,se il bene promesso era oggetto di un preliminare avente come corrispettivo 500 ma sono presenti dei vizi che per essere eliminati richiedono 50, allora la giurisprudenza immagina che ci possa essere una sentenza ex art. 2932 cc che affermi che il promissario acquirente debba pagare 450. Come vediamo, anche qui assistiamo ad un caso in cui si deroga il principio dell’assoluta corrispondenza tra contratto preliminare e sentenza ex art. 2932 cc. Qui Calvo dice: con questo strumento (sentenza + riduzione del prezzo) si parla di simmetria sostanziale anziché formale. Dice Calvo: quando il giudice accoglie la domanda ex art. 2932 cc riducendo il prezzo, NON si altera la simmetria tra preliminare e sentenza, ma si assicura la sua tenuta evitando che il regolamento di interessi fuoriuscente dal provvedimento giurisdizionale sia gravemente difforme dallo schema previsto e voluto dalle parti. Aliud pro alio: In tema di compravendita, sappiamo che se viene consegnato un bene completamente diverso da quello pattuito (quindi in caso di TOTALE difformità materiale o giuridica del bene consegnato), allora si applica la disciplina dell’aliud pro alio. Ecco, la disciplina dell’aliud pro alio si ritiene applicabile anche in caso di preliminare di compravendita. Pertanto, se il promissario acquirente scopre che il bene promesso nel preliminare in realtà presenta una TOTALE difformità materiale o giuridica, allora, il promissario acquirente: a) può eccepire la difformità b) se è caduto in errore sulle qualità della res negoziata, può chiedere l’annullamento del contratto o ve riesca a dimostrare l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore. Impossibilità giuridica sopravvenuta: Finora abbiamo parlato di vizi materiali del bene che erano conosciuti dal promittente venditore e abbiamo detto che il promissario acquirente può proporre domanda giudiziale ex art. 2932 cc. Ora invece ci poniamo in un’altra ipotesi: dopo la stipula del preliminare sopraggiunge una nuova normativa che rende giuridicamente impossibile l’oggetto promesso: l’impossibilità dipende dal fatto che rebus sic stantibus non è possibile trasferire il bene dotato delle qualità previste. Ad esempio,le parti si sono obbligate al trasferimento di un immobile, ma poi dopo la stipula del preliminare è sopravvenuta una nuova disciplina urbanistica che ha modificato radicalmente la destinazione del bene promesso. In questo caso, la diversità tra dovuto e dato NON è imputabile al promittente venditore perché è determinata dalla legge sopravvenuta. Perciò, in caso di impossibilità sopravvenuta giuridica dell’oggetto promesso a causa di sopravvenienza normativa, il promissario acquirente NON può esercitare azione ex art. 2932 cc: se la esercita, il giudice dovrà rigettarla. Se poi le parti hanno volontariamente stipulato il definitivo, questo potrà essere impugnato ex art. 1429 n. 2 dal contraente per errore essenziale sulle qualità dell’oggetto. 97 RISOLUZIONE per eccesiva onerosità sopravvenuta - RESCISSIONE L’ultimo argomento trattato da Calvo riguarda due ipotesi particolari. Risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: Dopo la stipula del contratto preliminare è possibile che sopravvengano eventi straordinari e imprevedibili tali da alterare in modo significativo l’equilibrio sinallagmatico in rapporto alla situazione che si determinerebbe a seguito del definitivo. In questo caso, la parte svantaggiata dal sopravvenuto evento (sia essa il promittente venditore o il promissario acquirente), se la sua prestazione è divenuta eccessivamente onerosa, può proporre domanda di risoluzione ex art. 1467 cc del preliminare per eccessiva onerosità sopravvenuta. ATTENZIONE: La domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta NON può essere proposta laddove la parte svantaggiata, nonostante tutto, abbia comunque stipulato il contratto definitivo, lasciando quindi ragionevolmente intendere di aver valutato conveniente l’affare. Rescissione per lesione ultra dimidium: È possibile che una parte, a causa delle sue difficoltà economica (stato di bisogno), abbia stipulato un preliminare accettando che vi sia una forte sproporzione tra la sua prestazione e quella della controparte, la quale, consapevole dello stato di bisogno in cui versava l’altra, ne ha approfittato per trarne beneficio. Domanda: dato che la rescissione del contratto concluso in stato di bisogno può essere fatta valere in un termine assai breve – 1 anno dalla stipula del contratto stesso – ci si chiede: bisogna agire contro il preliminare o contro il definitivo o è indifferente? In giurisprudenza sono state proposte tutte e tre le tesi: - 1° tesi: la rescissione deve essere proposta entro 1 anno dalla stipula del preliminare - 2° tesi: la rescissione deve essere proposta entro 1 anno dalla stipula del definitivo - 3° tesi: è indifferente perché la rescissione può essere proposta sia contro il preliminare che contro il definitivo.
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