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Calcolo dei Costi per Attività: Introduzione all'Activity Based Costing, Dispense di Programmazione e controllo

L'activity based costing (abc) è una metodologia per determinare il costo di produzione basato sulla catena del valore di porter. Spiega come vengono consumate le risorse nelle attività e nei processi aziendali, rispetto ai sistemi contabili tradizionali. Abc prevede l'individuazione degli aggregati intermedi di costo, la definizione dei criteri di attribuzione dei costi e la distinzione tra budget dei costi diretti e indiretti. Per determinare il costo standard, si seguono cinque step: individuazione dei centri di costo, stimazione delle condizioni operative, identificazione degli standard fisici e monetari, calcolo del volume di produzione e calcolo del costo standard. Abc si usa per operazioni di finanza straordinarie o interventi strutturali sui costi indiretti.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 18/03/2019

giulia_sotgia
giulia_sotgia 🇮🇹

4.5

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14 documenti

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Scarica Calcolo dei Costi per Attività: Introduzione all'Activity Based Costing e più Dispense in PDF di Programmazione e controllo solo su Docsity! CAPITOLO 3 SLIDE 6 ACTIVITY BASED COSTING Nel recente passato sono profondamente mutati il ruolo ed i fabbisogni del consumatore finale, le strategie competitive delle aziende, le logiche gestionali, le tecnologie di produzione, e la struttura dei costi aziendali. Quindi sono emersi i diversi limiti legati ai sistemi contabili tradizionali, così sintetizzabili: •Mercato non più guidato dall’offerta -aumenta la differenziazione di prodotto -diminuisce il ciclo di vita -crescono i costi indiretti -si riducono i lotti medi di produzione •Innovazione tecnologica -si riduce la rilevanza della manodopera -crescono i costi generati dalla tecnologia •Riduzione dei margini in molti settori -la non distorsione dei costi diventa problema di sopravvivenza. L’activity based costing, il calcolo dei costi per attività, si presenta come una metodologia per la determinazione del costo di prodotto basata sulla catena del valore di Porter che ha l’obiettivo di spiegare meglio, rispetto ai sistemi di accounting tradizionali, le reali modalità di consumo delle risorse nelle attività e nei processi aziendali. Assume quindi che siano le attività a consumare risorse e quindi a causare costi; i prodotti incorrono nei costi per effetto delle attività che essi richiedono per la loro progettazione,fabbricazione, vendita, spedizione... (T.H. Johnson, 1987). L’obiettivo è mettere a fuoco le reali modalità di assorbimento delle risorse da parte delle diverse attività aziendali. È come se fosse un full costing, ma che cerca di essere il più possibile specifico nel tracciare i costi nei diversi oggetti di calcolo. La determinazione del costo di prodotto secondo una logica ABC prevede tre fasi essenziali: 1) L’individuazione delle attività in cui si articola il processo; 2) L’individuazione delle quantità di risorse assorbite da ciascuna attività del processo: 3) L’individuazione del contributo fornito da ciascuna attività all’oggetto finale di calcolo. I costi relativi alle risorse, sostenuti o da sostenere, vengono attribuiti prima di tutto alle attività al cui svolgimento è connesso il relativo sostenimento sulla base di parametri di assorbimento detti resource driver. La misura del contributo di ciascuna attività all’oggetto finale di calcolo è poi espressa dai cost driver o activity driver. Quindi non sussistono differenze abissali rispetto alle altre metodologie di tipo full costing, in quanto anche nel caso del calcolo dei costi per attività si dovrà procedere: •all’individuazione degli aggregati intermedi di costo (le attività) e alla definizione della loro struttura; •alla definizione dei criteri di attribuzione (resource driver) dei costi negli aggregati intermedi di costo; •alla definizione dei criteri di imputazione agli oggetti di calcolo finali (activity driver) dei costi localizzati negli aggregati intermedi.  Attività: si tratta delle operazioni elementari e dei compiti svolti quotidianamente all’interno delle diverse unità organizzative aziendali al fine di trasformare fattori produttivi fisici o informativi (input) in output specifici di natura fisica.  Resource Drivers: descrivono le relazioni di causa-effetto prevalenti fra le consuete classi di costo per natura dei fattori produttivi e le attività, consentendo di aggregare negli activity-cost pools i costi sostenuti per lo svolgimento di specifiche attività.  Activity Drivers: (cause delle attività) sono le variabili quantitative che permettono di descrivere in termini causali il consumo (la richiesta di svolgimento) delle diverse attività da parte dei diversi oggetti di calcolo. Gli step della metodologia di calcolo: 1. Rilevo dal Sistema di Contabilità Analitica dati di costo per centro di costo; 2. Attribuisco i costi alle attività sulla base di parametri di allocazione (Resource driver); 3. Determino il costo totale delle attività; 4. Definisco l’output dell’attività; 5. Determino il costo unitario dell’attività. L’evoluzione rispetto ai sistemi contabili tradizionali: I sistemi di cost accounting tradizionali vengono utilizzati quando abbiamo un cost driver (una base di allocazione) e tutte le attività indirette sono allocate su ogni singolo prodotto. L’ABC viene utilizzato quando abbiamo molti cost driver (diverse basi di allocazione) e l’attribuzione avviene solo per le attività indirette effettivamente consumate. Esempio:potizziamo la presenza di diversi prodotti, e per realizzarli svolgo diverse attività (non coincidenti con i centri di costo). Queste attività a loro volta consumano risorse (costi). Io assumo che per generare i miei prodotti ho necessità di svolgere attività, e per ciascuna di queste attività vengono utilizzate delle risorse. Quindi l’aggregazione dei costi avviene mediante le attività. Questo mi permette di avere una attribuzione più precisa. Il driver ci dice come le attività contribuiscono ai prodotti. Questo modello fornisce una ripartizione più precisa soprattuto se i prodotti hanno caratteristiche diverse, perché ad esempio se produciamo biciclette con tre linee di prodotto (mountain bike, city bike, bambino) + una linea di bici personalizzate (su misura), quale sarà il costo che costa di più? Quello personalizzato perché ha molte più attività dietro (progettazione, personalizzazione, setting degli impianti, ecc), quindi riceve più costi. Vantaggi/svantaggi: L’attività based costing serve per tracciare i costi in modo più accurato e per la valutazione costo/beneficio di prodotto/servizio. È presente nelle aziende, ma è usato poco, è di nicchia, top di gamma, perché è complesso e costoso. CAPITOLO 4 (SLIDE 7) IL BUDGET BUDGET: strumento di direzione (di marcia), supporta le imprese nel raggiungimento degli obiettivi e verso un futuro desiderato (arrivare dove si vuole andare), consente di programmare un uso efficiente delle risorse disponibili, consente di verificare ex ante (prima che la gestione avvenga) la fattibilità dei programmi di azione. Il budget è dunque un programma di azioni espresso in termini quantitativo-monetari riferito ad un periodo temporale preciso, solitamente l’anno. È quindi uno strumento economico per il perseguimento dell’efficienza/efficacia nelle operazioni di trasformazione, è uno strumento organizzativo in quanto consente il raggiungimento dell’efficacia dei comportamenti organizzativi, ed è uno strumento di guida e di orientamento, non di previsione. Il budget è uno strumento di programmazione e controllo a supporto dell’attività di direzione, ed è rappresentato da un documento formale. Si colloca in un “sistema di budget” e costituisce l’output del processo di budgeting, definito come il processo formale con cui periodicamente i diversi organi d’impresa raggiungono un accordo sull’impiego e sull’allocazione delle risorse disponibili, definiscono gli obiettivi che ciascuno di essi deve perseguire e analizzano le differenze tra obiettivi e risultati, al fine di valutare sia le prestazioni di ogni organo, sia di migliorare il processo decisionale. Considerazioni sulla definizione di budget:  Orientamento al futuro: il budget permette di affrontare in modo anticipato il futuro, e tale esigenza diventa sempre più sentita (QUANDO SI UTILIZZA IL BUDGET) nella misura in cui l’ambiente esterno è caratterizzato da una sempre maggiore discontinuità/instabilità —> adattamento (cioè non è prevedibile nelle sue evoluzioni), la complessità strutturale tende a crescere generando fabbisogni di integrazione e coordinamento —> integrazione, e le risorse necessarie si presentano scarse e costose e la loro economica allocazione diventa un bisogno primario da soddisfare —> economicità. NB: il concetto di complessità strutturale è individuata a due livelli: -la numerosità e la connessione delle aree di risultato, identificando con esse le combinazioni prodotto/mercato/tecnologia, e al crescere della numerosità, ma soprattutto delle connessioni, vi è un incremento della complessità strutturale; -la struttura organizzativa e la connessa definizione delle aree di responsabilità: la crescita della numerosità e delle interconnessioni influisce direttamente sul grado di complessità. La costruzione del budget richiederà pertanto un insieme di decisioni finalizzate al raggiungimento di un obiettivo generale di sintesi articolato in molteplici obiettivi parziali, attraverso la delineazione di un futuro “desiderato” laddove i gradi di incertezza siano minimi ma pur sempre esistenti. IL PROCESSO DI BUDGETING Ha il compito di definire gli obiettivi e i programmi di azione, svolgere la gestione secondo i programmi da attuare, la rilevazione dei risultati (attraverso la contabilità analitica) e l’attuazione di azioni correttive (se ad esempio abbiamo svolto male la gestione o abbiamo deciso male gli obiettivi, il che significa che non abbiamo una giusta sensibilità economica per definire una determinata direzione/rotta aziendale). Le fasi in cui si articola tale processo sono: • formulazione delle linee-guida; • predisposizione delle proposte; • consolidamento delle proposte; • approvazione del budget. IL CALENDARIO DI BUDGET Poiché il budget è un meccanismo operativo formalizzato, la sua predisposizione richiede l’esistenza di una tempistica che regoli il susseguirsi delle singole fasi. Tale documento è definito calendario di budget. In esso sono indicate: -lo sviluppo dei singoli budget, quindi le fasi in cui è scomponibile il globale processo; -la tempistica del processo, in quanto ogni fase ha un suo momento di inizio e di fine; -gli attori coinvolti, quindi per ogni fase sono indicati sia i soggetti che devono fornire informazioni sia i destinatari delle medesime; -le modalità di composizione del budget; -le date degli incontri dei gruppi di lavoro; -gli obiettivi prefissati. Due risultano quindi i momenti rilevanti: 1) la data di inizio del processo, la quale deve essere stabilita a distanza congrua ma non eccessiva rispetto alla fine del periodo precedente; 2) la data di fine del processo, stabilita in modo tale da rendere possibili eventuali modificazioni ai programmi d’azione, laddove la situazione economica attesa si presente non soddisfacente. Quanto scritto fa riferimento al processo principale di predisposizione del budget, privilegiando un’ipotesi a periodo fisso. Tuttavia, laddove la scelta fosse verso un budget scorrevole, il processo è da considerarsi continuo. Infine, anche con un budget a periodo fisso, la predisposizione non può considerarsi terminata alla data conclusiva stabilita dal calendario: a)la valutazione periodica dei risultati raggiunti può richiedere dei cambiamenti negli obiettivi; b)l’articolazione in periodi infrannuali può essere affinata, cioè resa più analitica, durante il periodo di budget. Quanto scritto, pur valendo per tutti i budget, risulta fondamentale e necessario per quello di tesoreria. L’ARTICOLAZIONE DEL SISTEMA DI BUDGET Il sistema di budget è l’insieme dei budget elementari, avvinti da relazioni di interdipendenza e complementarietà, che compongono il master budget. È necessario completare la definizione traendo spunto dalla considerazione che ciascun budget è espressivo di un programma d’azione finalizzato a raggiungere un obiettivo. Pertanto, il sistema di budget rappresenta l’insieme degli obiettivi, espressi in termini quantitativo-monetari, da perseguire in un dato orizzonte temporale, opportunamente suddiviso in periodi più brevi. Diverse tipologie di budget: Esistono diversi criteri: • fattibilità, ci sono tre diverse fattibilità, ossia: -economico reddituale (budget operativi); -tecnica (budget degli investimenti); -finanziaria-monetaria (budget finanziari). Tale primo criterio rispecchia l’articolazione del master budget, in cui i tre budget elencati sopra rappresentano i budget elementari. • frequenza di aggiornamento, esistono: -budget scorrevoli, costruito per garantire sempre la medesima copertura temporale; -budget fissi, dove il budget del periodo successivo (es. 2019) si costruisce alla fine dell’anno precedente (es. 2018). • livello di partecipazione, esistono: -budget imposti, fatti dal vertice, scarsa partecipazione, bassa motivazione, meno impegnativo da fare in quanto fatto da una sola persona; - budget partecipativi, quindi team di budget, alta partecipazione, alta motivazione, più impegnativo da fare. • ipotesi gestionali: a riguardo abbiamo: -budget rigidi: budget poco utilizzati perché non si modificano mai anche a fronte di grandi cambiamenti interni o esterni; -budget flessibili: aggiornano i valori variabili a fronte di cambiamenti, quindi ogni volta che succede qualcosa di importante va a modificarsi nelle componenti variabili; -budget a scenari multipli: esiste un budget per ogni scenario di riferimento, richiede competenze di programmazione e controllo molto complesse. BUDGET OPERATIVI: iniziamo dal budget operativo perché innanzitutto la parola operativo sta ad indicare qualcosa di breve termine e indica la gestione caratterista/operativa, cioè il core business dell’impresa. Attraverso la predisposizione di tali budget si definiscono i componenti positivi e negativi di reddito relativi a predefiniti programmi d’azione ed a prescelte politiche gestionali correnti. Dalla loro sintesi emerge il reddito operativo atteso, ottenibile sia sulla contrapposizione tra il totale dei componenti positivi e negativi sia dalla aggregazione di risultati economici parziali. Si inizia a programmare dal reddito operativo che vorrei ottenere. I budget operativi misurano la fattibilità economico-reddituale dei programmi d’azione, quindi consideriamo i budget dell’area operativa (del core business), scomponibili in: -budget area commerciale -budget area produttiva -budget area amministrativa -budget area ricerca e sviluppo. I budget operativi contribuiscono a definire un budget di sintesi parziale (budget del costo del venduto) e il budget di sintesi (ossia un budget di conto economico —> budget della situazione patrimoniale preventiva). Il processo di programmazione e controllo prende avvio proprio dai budget operativi, che definiscono i programmi di azione del core business. Per quanto riguarda i budget dell’area commerciale, questi costituiscono il punto di partenza dell’iter di programmazione; traduce in termini economici le azioni commerciali da svolgere per contribuire a raggiungere gli obiettivi di impresa. Tale budget si divide in:  BUDGET DEI RICAVI DI VENDITA (BUDGET DELLE VENDITE): traduce gli obiettivi generali di impresa in obiettivi di fatturato e in quote di mercato. I fattori critici di tali obiettivi sono la definizione dei prezzi- ricavo, della quantità/volumi e soprattutto la definizione del mix di vendita. Scegliere il mix ha impatto sulla percezione del brand e quindi sulla dimensione competitiva dell’impresa. La definizione di questi singoli elementi non deve essere intesa come una previsione, ma devono essere espressi quantitativamente traguardi da raggiungere. Anche se il master budget si riferisce all’anno, risulta di ben scarsa utilità la conoscenza del fatturato solamente su tale periodo, in quanto non sarebbe possibile né definire programmi di produzione e di approvvigionamento né valutare l’impatto finanziario e monetario delle politiche commerciali. Per tale ragione il globale fatturato deve essere disaggregato su periodi infrannuali variamente definiti in base alla durata del ciclo economico-tecnico dell’impresa. Per scegliere il mix vengono svolte delle analisi sia interne che esterne, e l’insieme di queste analisi porta alla definizione della matrice SWOT. Con le analisi interne andiamo a studiare l’andamento nel tempo delle vendite (analisi storica delle vendite), ossia la sua capacità di crescita, quindi permette inoltre di evitare errori compiuti nel passato. Tale analisi permette di mettere in evidenza punti di forza e debolezza. L’analisi storica delle vendite richiede il ricorso a tecniche statistiche come ad esempio la regressione multipla. Con le analisi esterne andiamo ad effettuare delle analisi della domanda (buyer personas), che permette di determinare la capacità ricettiva dei singoli mercati nel periodo di budget e l’analisi della concorrenza (diretta e indiretta) che permette di mettere in evidenza le minacce e le opportunità. Il mercato è qui interpretato come un’area economica caratterizzata da specifiche dinamiche competitive le quali dipendono dalla combinazione di molteplici elementi come i prodotti, aree geografiche, tipologie di consumatore e funzioni d’uso del prodotto. Queste analisi (interne ed esterne) concorrono a definire la strategia competitiva di impresa, e quindi la matrice prodotto-mercato: Mercato (a destra) Prodotto (sotto) Attuale Nuovo Attuale As is Innovazioni Nuovo Il budget dei ricavi è un vincolo per tutte le altre funzioni/aree aziendali: a) Area produttiva: l’articolazione infrannuale dei volumi di vendita rappresenta un vincolo forte, in parte contemperato dalla politica delle scorte, per la predisposizione del programma di produzione e la correlata programmazione operativa; b) Area approvvigionamenti: si tratta di un vincolo “mediato”, in quanto derivante più dal programma di produzione che dalla politica di vendita. Anche in questo caso la politica delle scorte svolge funzione di “ammortizzatore” tra esigenze contrastanti; c) Area finanziaria: dalla suddivisione temporale delle vendite deriva la distribuzione temporale delle entrate connesse alla gestione caratteristica corrente e, data l’elevata incidenza che di norma esse rivestono, risultano momento qualificante per la verifica della fattibilità finanziaria e monetaria; d) Area investimenti: in tale contesto diventa rilevante non solamente la distribuzione temporale delle vendite ma anche il volume totale di budget. Con la prima informazione si individua l’esistenza di temporanee carenze nella struttura produttiva, il cui superamento può non richiedere politiche di investimento. Con la seconda, di contro, è possibile verificare se la globale struttura aziendale è consona agli obiettivi commerciali: in caso di risposta negativa esistono i presupposti per la valutazione di nuove opportunità di investimento. La fase del processo di elaborazione del budget dei ricavi di vendita riguarda l’effettiva predisposizione di esso, da un punto di vista quantitativo l’operazione è agevole in quanto si tratta di indicare i volumi e i prezzi-ricavo per prodotto o linee di prodotti relativamente ai singoli periodi infrannuali. Più critica è l’individuazione dell’articolazione del budget, cioè delle modalità di aggregazione dei ricavi di prodotto. La scelta più semplice consiste nell’indicare i prodotti e i ricavi correlati, però così, tale prospetto può mostrarsi non sufficiente poiché eccessivamente generico per la gestione ed il controllo delle politiche di vendita e in alcuni casi finanziarie. Si pensi al caso in cui si voglia determinare l’impatto finanziario/monetario delle vendite: oltre al fatturato sono necessarie le politiche relative alle dilazioni di pagamento concesse ai clienti, e nella misura in cui esse differiscono in base alla tipologia di cliente, l’aggregazione del fatturato per cliente agevola tale verifica. Nel caso in cui ill numero di clienti risulti elevato, il budget può essere predisposto aggregandoli per classi omogenee definite in base alla dimensione (piccoli, grandi, ecc) e al settore di attività. Un ulteriore criterio riguarda i canali di vendita per le realtà in cui la struttura distributiva si presenta composita. Altri criteri ancora potrebbero essere le ASA e i venditori.  BUDGET DEI COSTI COMMERCIALI : definisce le azioni commerciali da svolgere per soddisfare la domanda e i costi connessi. NB: la classificazione di questi costi dipende dalla controllabilità degli stessi. Un costo è controllabile quando so che spendo “X” e ottengo certamente “Y”, quindi quando il costo è funzione dei ricavi, stiamo parlando di costi variabili. A loro volta tali budget sono suddivisi in: • budget dei costi di vendita, che si distinguono altresì in: concorrenti, inoltre la scelta di privilegiare i clienti esistenti, non permette l’acquisizione di nuovi, ponendo vincoli a sviluppi futuri. • POLITICA DELLE SCORTE: svolgono la funzione di separare e simultaneamente garantire un adeguato coordinamento delle diverse fasi del processo di produzione economica (processo con il quale si va a creare valore, è diverso dal processo produttivo in senso stretto tipico delle aziende di produzione). Si occupa inoltre di determinare i quantitativi desiderati di scorte in riferimento ai periodi infrannuali del budget. Nelle aziende di produzione è uno stretto collegamento tra area delle vendite e area produttiva. L’attenzione è quindi posta sulle esigenze di natura commerciale, sull’efficace/efficiente utilizzo della struttura produttiva, sulla garanzia da eventi futuri non previsti e sulla minimizzazione di rischi e costi associati. Esistono tre principali funzioni, accumunate dal minimizzare rischi operativi di impresa: • commerciale (prodotti finiti): riguarda l’insieme delle attività finalizzate alla cessione all’esterno dei prodotti finiti e svolge il compito di far fronte a picchi di domanda non previsti. • produzione (semilavorati e prodotti finiti): riguarda l’insieme delle operazioni necessarie per la fabbricazione dei prodotti finiti e semilavorati, e deve andare a razionalizzare le diverse fasi operative, minimizzando le conseguenze di fermi macchina. • approvvigionamenti (materie prime): riguarda l’acquisizione all’esterno dei fattori produttivi (materie prime, di consumo, sussidiarie, semilavorati o merci) e possono sussistere una serie di eventi imprevisti che possono allungare o interrompere il processo di approvvigionamento. Possono esistere diversi fattori che possono spingere ad un maggior o minor dimensionamento. Il minor dimensionamento comporta deperibilità fisica, deperibilità di business/stagionale (fattore che concorre a tenere basso il livello delle scorte), liquidità, spazi. Il maggior dimensionamento porta a politiche di distribuzione fisica aggiuntive, lunghezza dei tempi di approvvigionamento e del processo produttivo, variabilità della domanda. L’ideale nella gestione delle scorte è il just in time, ossia produrre ciò di cui si ha bisogno “appena in tempo”, al momento giusto, che comporta una grande programmazione della supply chain, e il grande vantaggio competitivo è di non dover investire ingenti quantità di scorte. • BUDGET DEGLI APPROVVIGIONAMENTI: è parte dei budget della produzione (quando c’è la produzione). Lo scopo di tale budget è di determinare i volumi e i tempi (le cadenze) più opportuni per le operazioni di approvvigionamento dei fattori di produzione (è un concetto diverso da acquisto). È espresso in quantità fisiche e monetarie. Prende in considerazione tutti i fattori produttivi della gestione caratteristica (materie prime, materiali vari, materiali di consumo, materie sussidiarie, componenti, semilavorati) fatta eccezione per la forza lavoro. NB: per la definizione dei volumi da acquistare bisogna fare attenzione al momento di acquisto e al dimensionamento del lotto di approvvigionamento.  Volume di produzione * STD fisico = fabbisogno di fattori produttivi Fabbisogno di fattori produttivi + rimanenze finali fattori produttivi – rimanenze iniziali fattori produttivi = volume degli acquisti. Volume degli acquisti * STD monetario fattori produttivi = valore degli acquisti. Volume e valore = budget. • BUDGET DEI COSTI DI PRODUZIONE, ha l’obiettivo di determinare il costo dei prodotti ottenuti nel periodo di budget. Esistono due grandi famiglie: - i costi diretti della produzione, risorse il cui consumo è legato in via immediata ai volumi di produzione (materie prime, manodopera diretta, lavorazioni esterne). - i costi indiretti, risorse il cui consumo non è legato in via immediata ai volumi di produzione e che a loro volta possono essere variabili (energia elettrica) e fissi (ammortamento macchinari). Definito il contenuto, due sono le analisi da effettuare: o L’articolazione del budget: riguarda il criteri attraverso i quali aggregare le informazioni elementari, ed essi sono i centri di costo e/o di attività, e la tipologia di fattore produttivo. Tali due criteri devono essere considerati in modo complementare. L’articolazione per centro di costo permette di determinare il costo delle singole fasi in cui si articola il processo di produzione: i centri in oggetto sono i produttivi e gli ausiliari. L’informazione ottenuta è tanto più rilevante quanto più il centro di costo si identifica con un centro di responsabilità economica, in quanto il costo così determinato può rappresentare in toto o in parte l’obiettivo del responsabile in funzione del grado di controllabilità delle risorse. Inoltre l’articolazione per centro di costo permette di conoscere dove e come le risorse vengono utilizzate e non semplicemente quante risorse sono necessarie nel periodo di riferimento, informazione derivante dal secondo criterio qui sotto riportato. L’articolazione per tipologia di fattore produttivo rappresenta la modalità di aggregazione dei valori più nota: obiettivo è determinare il costo ed il consumo totale di ciascuna tipologia di fattore produttivo utilizzato nell’ambito del processo di trasformazione fisica. In tal modo è possibile costruire budget autonomi e fornire le informazioni di base per l’elaborazione di nuovi. o La costruzione dei budget dei costi di produzione: riguarda le modalità di costruzione dei budget dei costi diretti ed indiretti, si tratta quindi di comprendere qual è la metodologia utilizzata per la determinazione dei costi generati da fattori produttivi diretti e indiretti. Tra il processo di impiego dei fattori e il sin golfo prodotto/servizio si individuano due differenti relazioni: dirette, se i processi di impiego delle risorse sono riferibili al singolo prodotto senza la necessità di ricorrere ad alcun processo di ripartizione —> si ha quindi il budget dei costi diretti di produzione; indirette, se i processi di impiego delle risorse sono riferibili al singolo prodotto solamente in via mediata, con l’esigenza di individuare opportune ipotesi di ripartizione —> si ha il budget dei costi indiretti di produzione.  Il budget dei costi diretti Per quanto riguarda la costruzione di tale budget, definito il consumo unitario non rimane che la valorizzazione ad un prezzo-costo programmato o standard: Volume di produzione * consumo unitario = fabbisogno complessivo programmato Consumo unitario * prezzo-costo programmato = costo unitario. ll costo standard è lo strumento cardine per dare un valore ai budget della produzione. Un costo standard è un costo obiettivo, è il costo che vorrei sostenere in certe condizioni di produzione. Si riferisce al futuro svolgimento delle attività di impresa, e implica: -una approfondita conoscenza delle condizioni operative di impresa -bisogna stabilire le condizioni di efficienza da raggiungere, cioè definire un obiettivo realistico (difficile ma raggiungibile). Si adattano meglio a contesti produttivi non standardizzabili, cioè non ripetitivi . Gli step per la determinazione del costo standard sono: 1) Individuare i centri di costo; 2) Stimare le condizioni operative dei centri di costo; 3) Identificare gli standard fisici e monetari; 4) Calcolare il volume di produzione; 5) Calcolare il costo standard. Il costo diretto totale di un fattore produttivo è dato da: STD fisico * volumi di produzione * STD monetario (cioè prezzo-costo standard). Costo standard e costi diretti di produzione sono contenuti in due documenti: a) distinta base: è l’insieme dei fattori produttivi che devi organizzare per una singola unità di prodotto finito. Si definisce quindi l’ammontare delle risorse. b) distinta cicli di lavorazione: rappresenta le fasi del processo produttivo, è un documento nella quale vado ad elencare le fasi del processo produttivo e vado a prendere in considerazione quelle di interesse per il prodotto in questione. Si definisce quindi anche la destinazione.  Budget dei costi indiretti —> possiamo distinguere tra: - costi variabili: questi costi non sono riconducibili alla singola unità di prodotto, ma in quanto variabili sono collegati alle operazioni svolte per realizzarli. Esistono i costi variabili indiretti, ad esempio l’energia elettrica, e tra l’energia elettrica e un oggetto finale di calcolo la relazione è indiretta, non è oggettiva, è poco misurabile. Tra di essi si collocano ad esempio le “ore macchina”, che ci dice quanti kilowatt consumiamo in un ora e quanti pezzi produciamo in un ora. Es. 100 energia elettrica / 100 pezzi = 1€ energia elettrica per ogni ora macchina. - costi fissi: sono un ammontare fisso slegato dalle singole unità di prodotto e dalle operazioni per realizzarli. Necessitano di basi. Es. ammortamento. Budget delle funzioni di staff o dei servizi centrali come: funzione amministrazione, acquisti, ICT, HR, legale, ecc). Si tratta di tutti i servizi funzionali e di supporto alle singole unità operative che concorrono indirettamente al globale processo di produzione economica. Il collegamento di queste funzioni con il mondo esterno è solo indiretto, in quanto la determinazione del valore di budget di tali costi non è effettuabile attraverso predefiniti algoritmi, mancando la possibilità di individuare la relazione causa-effetto tra risorse utilizzate e risultati conseguiti, nonché preventivare i fabbisogni di risorse da utilizzare nelle unità fornitrici di servizi. È difficile esprimere in modo univoco e quantitativo i risultati conseguiti, cioè il livello di servizio reso alle unità utenti. È molto difficile costruire un budget inteso come programma di azioni per raggiungere precisi obiettivi. Molto spesso questi budget sono intesi come livelli di spesa da rispettare per l’anno successivo. Come costruire allora tali budget? È possibile farlo attraverso due diversi modi: 1) Budget incrementale: il livello di spesa dell’anno successivo è una variazione percentuale dell’anno precedente (es. + o – 10%). Tale metodo è il più diffuso. Il valore di budget rappresenta esclusivamente un livello massimo di spesa che ogni responsabile deve rispettare (budget di spesa): in tal modo perde parte della funzione motivazionale insita in ciascun obiettivo di budget e non rappresenta elemento fondamentale per il processo di valutazione se non integrato dall’attività effettivamente svolta e dal livello di servizio assicurato alle unità organizzative destinatarie dei servizi. L’approccio incrementale non rimette nulla in discussione, nel senso che certa le attività svolte in passato. Si assume implicitamente che tali attività: -siano state necessarie -lo siano anche per il futuro -siano state svolte in modo efficiente -l’introduzione di nuove attività e/o programmi non generino modifiche nelle attività in precedenza svolte (ma ne richiedono di nuove). Non si considera l’efficacia delle prestazioni di servizi fornite, nel senso che nella valutazione non si fa riferimento, se non indirettamente, al livello di soddisfacimento degli utenti. Si pone eccessiva enfasi sull’aspetto quantitativo che, pur se tipico del budget, nell’ambito dei servizi generali tende ad introdurre un controllo contabile in luogo di uno manageriale, enfatizzando il rispetto della spesa a scapito dell’utilizzo delle risorse. Gli effetti del prevalere delle debolezze si individuano: -nel rischio di lievitazione incontrollata dei costi dei servizi centrali: mentre risulta assai agevole incrementare le risorse a fronte di nuovi progetti di attività, è fonte di notevoli resistenze l’operazione contraria, con la quale si riducono le risorse in caso di contrazione dell’attività. La ragione è individuabile nel fatto che si tratta di costi di struttura e quindi sono indipendenti dallo specifico livello di attività svolto; pertanto, definito il dimensionamento della struttura, cali nel livello di attività si riflettono in sotto-utilizzi della medesima ai quali non corrispondo riduzioni di costi. -nella mancanza di una raffinata analisi costi/benefici, in quanto non si pagine la necessaria attenzione al grado di soddisfacimento degli utenti interni, riservandola prevalentemente ai fornitori interni dei servizi. -nel controllo emergente dell’approccio incrementale: poiché la dimensione contabile riveste importanza non trascurabile, non permette di effettuare interventi mirati, giacché mancano le informazioni base per L’individuazione di sintomi tali da indirizzare l’intervento modificatore. -nel rischio di automatismi in esso esistenti: l’effetto negativo più evidente è trasformare una fase di un processo di programmazione in un momento di applicazione meccanica di metodologie. Oltre ai limiti insiti nell’approccio, vi è anche un suo utilizzo non in linea con le finalità del budget. 2) Budget a base zero: ogni anno il livello di spesa si programma da zero, quindi si privilegia l’orientamento al futuro, assegnando spazio limitato o nulla alle vicende passate. Si usa poco perché è più complesso e più costoso. Si usa per operazioni di finanza straordinaria o qualora emerga una difficoltà nella definizione o gestione dei costi dei servizi centrali (e più genericamente dei costi indiretti, e la ragione principale risiedere nella progressiva trasformazione delle strutture di costo aziendali dove tende sempre più ad incrementare Il BUDGET DEGLI INVESTIMENTI (investimento = destinazione di risorse a carattere duraturo. Ci interessano solo gli investimenti che si riferiscono alla gestione caratteristica) : va a quantificare le azioni necessarie per adeguare la struttura aziendale ai programmi d’azione nell’ambito della gestione caratteristica. Dalle informazioni in esso contenute è possibile porre in essere la verifica della fattibilità tecnica dei programmi d’azione. • Quali investimenti prendiamo in considerazione? Consideriamo: -tutti quelli effettuati nel periodo di budget a prescindere da quando sono stati autorizzati; -quelli decisi in anni precedenti ma attuati in quello di budget; -quelli decisi e attuati nello stesso periodo (cioè quello di budget). • Quale valore per gli investimenti inseriti nel budget? Gli investimenti si registrano per il loro valore globale, cioè comprende anche tutti i costi accessori, quindi ad esempio un investimento in impianti deve comprendere, oltre al costo di acquisizione, i costi relativi al trasporto, all’installazione, alla messa in opera, al collaudo. • Cosa indichiamo nel budget? In non pochi casi l’investimento effettuato in un determinato momento è parte di un progetto di più ampio respiro, ma nel budget indichiamo esclusivamente la quota di investimento di competenza del periodo o alternativamente l’intero progetto con evidenza della parte di interesse. Per alcune tipologie, il piano di investimenti prevede anche un correlato piano di disinvestimenti (si pensi al rinnovo, all’ammodernamento) per il quale risulta necessario indicare il momento e la forma di effettuazione e le correlate variazioni finanziarie per due motivi: - alimentare il budget di tesoreria: nelle entrate se il disinvestimento viene effettuato attraverso un’alienazione; nella uscite se a causa della dismissione, eliminazione o distruzione, si sostengono dei costi la cui variazione monetaria avviene nell’esercizio di budget; - determinare l’impatto sul conto economico di eventuali plusvalenze/minusvalenze o sopravvenienze attive/passive: in tal modo risulta possibile misurare l’effetto sul reddito e sulle politiche tributarie. • Elementi di distintività del budget: 1) Dimensione temporale: può essere osservata in due diversi momenti importanti: il momento di effettuazione (quando vado ad effettuare l’investimento) e il momento della correlata variazione finanziaria o monetaria (quando i valori monetari dell’investimento cominciano a subire delle variazioni, es. entrata o uscita di cassa). Dalla congiunzione di tali due momenti entrano in gioco concetti come: -Impegno: rappresenta il momento in cui l’investimento, una volta deciso, riceve l’autorizzazione —> documento di approvazione. Se il progetto è componibile in parti viene decisa anche la cadenza temporale; -Attuazione o contabilizzazione: l’investimento viene rilevato nella contabilità dell’azienda. Può rappresentare il momento terminale od uno intermedio rispetto all’intero progetto.; -Momento finanziario e monetario: fornisce informazioni fondamentali per la predisposizione dei budget del sottosistema finanziario. Fa riferimento ad investimenti già effettuati in anni precedenti (per i quali non si è concluso il ciclo monetario), ad investimenti effettuati nell’esercizio per la parte che darà luogo a variazioni finanziarie e/o monetarie, ad investimenti da effettuare in periodi successivi a quello di budget ma per i quali viene corrisposto un anticipo. 2) Area di destinazione cioè dove l’investimento genererà i propri effetti: area produttiva, commerciale, ricerca e sviluppo, risorse umane, amministrativa, sistemi informativi. 3) Tipologia di investimenti, fondamentale per comprendere l’impatto da essi generato sia sulla struttura patrimoniale sia sul conto economico. Ce ne sono di tre tipologie: -materiali -immateriali -finanziari Di norma prendiamo in considerazione i primi due, ma quelli finanziari li consideriamo quando hanno uno stretto collegamento con la gestione caratteristica. Altra suddivisione riguarda: -investimenti tecnici -investimenti complementari ed accessori Gli investimenti riconducibili alla gestione caratteristica sono: -investimenti di rinnovo -di ampliamento -di ammodernamento -di razionalizzazione -di ristrutturazione -di riconversione -di diversificazione. • Metodi di valutazione degli investimenti, sono due: 1)Metodi finanziai, nei quali la convenienza viene valutata attraverso l’attualizzazione dei flussi monetari attesi (valore attuale entro VAN, tasso interno di rendimento TIR, tempo di recupero PAYBACK); 2)Metodi strategici, dove prevalgono valutazioni assai più complesse attraverso le quali si tende a valutare anche elementi di incerta quantificazione (teoria opzioni, analisi del rischio, vantaggi competitivi). Collegamenti con altri budget: se mettiamo al centro il budget degli investimenti, i collegamenti sono facili, perché esisterà sicuramente un piano strategico di investimenti pluriennali, e tale piano è un input del budget degli investimenti. Questo ha stretti collegamenti con i budget operativi ma anche con quelli finanziari. Nel primo caso, per effetto di investimenti tecnici, rileviamo degli ammortamenti che finiscono nel costo del venduto e quindi nel conto economico. Con i budget finanziari il tema è un po’ più complicato perché dovremmo vedere negli investimenti dei fabbisogni di risorse da rilevare nel prospetto fonti/impieghi. Gli investimenti consentono di determinare il tasso di sviluppo strutturale atteso (lo osserviamo nella situazione patrimoniale preventiva). Gli investimenti comportano una uscita di cassa. I BUDGET FINANZIARI: consente di verificare la fattibilità finanziaria e, attraverso la gestione della liquidità, della monetaria dei programmi d’azione. (La dimensione monetaria attiene a entrate e uscite —> obiettivo = equilibrio monetario, la dimensione finanziaria attiene a debiti e crediti —> obiettivo = equilibrio finanziario. Un valore monetario è anche finanziario? Si. Un valore finanziario non è per forza monetario). Gli obiettivi generali dell’area finanziaria sono: -assicurare la più conveniente copertura finanziaria -programmare e controllare i flussi finanziari -gestire la liquidità e il cash flow -sfruttare le opportunità del mercato monetario -verificare la fattibilità finanziaria dei programmi operativi.  La verifica della fattibilità finanziaria, richiama la programmazione finanziaria, e tale concetto fa riferimento ad un intervallo temporale sufficientemente esteso (di medio-lungo termine)e si pone l’obiettivo di porre a confronto flussi finanziari positivi (fonti di finanziamento) e negativi (fabbisogno di risorse) così da valutarne il grado di equilibrio. Bisogna monitorare l’equilibrio finanziario e monetario attraverso l’analisi dei flussi. Gli strumenti utilizzati sono: prospetto fonti/impieghi, prospetto delle variazioni di CCN, situazione patrimoniale preventiva. L’obiettivo del prospetto fonti/impieghi (definito anche rendiconto finanziario) è studiare le cause di variazione di una data risorsa finanziaria-monetaria nel periodo temporale di riferimento scomposta per aree di riferimento, il che significa andare oltre la semplice variazione di stock (t0 vs t1). La variazione di stock è un confronto tra valori assoluti riferiti a periodi diversi. Sostanzialmente significa svolgere un’analisi per flussi che introduce la dinamica nell’analisi delle performance aziendali. I flussi possono essere: -positivi: sono delle fonti (variazione +); -negativi sono degli impieghi (variazione — ); I flussi positivi e negativi riguardano l’articolazione gestionale. L’analisi di questa contrapposizione consente di cogliere le dinamiche evolutive di una determinata risorsa monetaria e finanziaria. Studiare le cause di variazione di una risorsa finanziaria ( = CCN finanziario) o monetaria (liquidità), significa analizzare nel tempo l’equilibrio finanziario. L’equilibrio finanziario consente di studiare il rischio finanziario a breve dell’impresa e si misura nell’incapacità di debiti a scadenza (rischio di insolvenza) —> siamo quindi in rischio finanziario quando siamo insolventi. Come si misura l’equilibrio finanziario? Il CCN è un estratto fondo di valori (è un indicatore) che misura il reddito potenzialmente spendibile. Potenzialmente perché stiamo parlando di crediti e debiti che sono valori finanziari e quindi potrebbero non diventare valori monetari. Il CCN può essere: -CCN finanziario: è una grandezza finanziaria che consente di studiare l’equilibrio finanziario e breve. Calcolo: attivo a breve – passivo a breve. Questa logica comprende tutti gli elementi dell’attivo/passivo che secondo il criterio della liquidità fanno riferimento ai 12 mesi. NB: se ad esempio attivo a breve – passivo a breve = - 1000 significa che, anche se monetizziamo (cioè incassiamo tutti i crediti e vendiamo tutto il magazzino) tutte le attività di breve termine, non siamo in grado di coprire il passivo. Se fosse invece = + 1000, significa che solo se incassiamo tutti i crediti e vendiamo tutto il magazzino, siamo in grado di far fronte ai nostri debiti (passivo). -CCN operativo: è una grandezza finanziaria che mette in relazione la dinamica reddituale con quella finanziaria e monetaria d’impresa. Si calcola riclassificando le poste di stato patrimoniale secondo il criterio della pertinenza gestionale, questo perché così possiamo mettere in evidenza: attivo corrente – passivo corrente. NB: breve (orizzonte temporale) è diverso da corrente (che contribuisce al core business)! I crediti commerciali sono un valore corrente, ma se sono ad esempio a 15 mesi non sono anche a breve. -CCN operativo in senso stretto: è una derivazione che amplifica la portata dell’analisi tra dinamiche reddituale e monetarie perché esclude dal suo calcolo le disponibilità liquide immediate. Calcolo: disponibilità liquide differite (DLD) + RIM – debiti di funzionamento. È molto importante la costituzione del prospetto fonti/impieghi per gestione di pertinenza, in quanto è possibile osservare il contributo di tutte le diverse gestioni alla variazione positiva/negativa della risorsa studiata. A noi interessa però la gestione caratteristica, quindi possiamo distinguere: -flusso finanziario di gestione caratteristica (FFGC); -flusso monetario di gestione caratteristica (FMGC). Se la risorsa di riferimento è il capitale circolante netto, la rappresentazione del prospetto fonti/impieghi delle variazioni di capitale circolante netto (cioè FFGC) è quella riportata a sinistra. Come detto sopra, particolare rilevanza assume il flusso di capitale circolante netto della gestione caratteristica, il quale può essere ottenuto attraverso due modalità: • diretta, attraverso la contrapposizione tra ricavi e costi operativi monetari: -i fabbisogni di risorse finanziarie e monetare; -trovare le più opportune forme di copertura dei fabbisogni finanziari. Tra forme di copertura e fabbisogni deve sussistere una certa coerenza. Tra le forme di copertura abbiamo: capitale di debito, crowdfunding (piattaforma che tramite le reti sociali come ad esempio Facebook, consente di chiedere soldi tipo 1 euro a milioni di persone), ICO (initial coin offering) che consiste nel creare una criptovaluta e venderla in una piattaforma di exchange, capitale di rischio da parte degli azionisti che non sono soggetti a rimborso e non c’è obbligo di remunerazione , autofinanziamento. Gli strumenti utilizzati sono i budget di tesoreria o di cassa, i quali hanno lo scopo di anticipare le conseguenze monetarie dei programmi d’azione. Attraverso tali budget si definiscono le conseguenze di specie monetaria, articolate per periodi infrannuali, derivanti dai programmi sviluppati in relazione alla gestione caratteristica ed a tutte le altre operazioni ad essa estranee. In altri termini in essi è contenuta la sintesi delle previsioni delle entrate e delle uscite, oltre alla posizione netta di tesoreria, relative a prescelti periodi temporali. Le entrate sono collegate ai ricavi d’esercizio, al realizzo di investimenti e a finanziamenti esterni. Le uscite sono collegate ai costi d’esercizio, ad investimenti e al rimborso di debiti/mezzi propri. Tre risultano gli elementi da sottoporre ad analisi: 1) la composizione, in termini di prospetti elementari 2) l’articolazione, in termini di criteri per l’aggregazione dei flussi monetari elementari 3) la definizione dei periodi infrannuali. In relazione al primo punto, questi budget si compongo del prospetto delle entrate monetarie, delle uscite monetarie e di sintesi. Il prospetto delle entrate ha un’articolazione periodale variabile. Il prospetto di sintesi mette in evidenza la dinamica dei saldi con le banche: in tale momento è possibile formulare delle concrete considerazioni sul grado di fattibilità finanziaria e monetaria dei piani d’azione e sull’opportunità di accettare determinati livelli di indebitamento presso il sistema bancario. Il prospetto delle entrate e delle uscite, come emerge dal secondo punto sopra elencato, sono articolati per gestione di appartenenza, quindi ogni valore deve essere ricondotto alla gestione che lo ha generato. Tale suddivisione permette di individuare con estrema semplicità la macro causa generatrice dell’eventuale squilibrio, così da poter agevolmente e tempestivamente intervenire. Siccome lo scopo è analizzare il contributo delle diverse gestioni all’equilibrio monetario, in questo budget verranno inseriti solo valori monetari. In particolare, una possibile suddivisione è la seguente: -gestione caratteristica corrente; -gestione caratteristica non corrente; -gestione complementare/accessoria o patrimoniale; -gestione finanziaria; -gestione tributaria; La gestione caratteristica riguarda l’insieme delle operazioni riconducibili alla tipica e prevalente attività dell’impresa. Al suo interno si individua una parte corrente, collegata al ciclo economico-tecnico di approvvigionamento, trasformazione e vendita, ed una non corrente, relativa alla predisposizione della struttura. La gestione complementare/accessoria raggruppa le operazioni che pur essendo distinte da quelle di gestione caratteristica, da essa (e dalla finanziaria) traggono origine (gestione mobiliare, immobiliare, delle partecipazioni). La gestione finanziaria riguarda il sistema di operazioni finalizzate al reperimento di risorse finanziarie. La gestione tributaria, infine richiama l’imposizione diretta ed indiretta. All’interno delle singole gestioni, deve essere assegnata autonomia alle operazioni più significative: così nell’ambito della gestione caratteristica corrente saranno indicate separatamente le uscite per acquisti, per il pagamento di debiti di periodi precedenti, per il lavoro, per le lavorazioni esterne, per l’energia ed altre ancora se ritenute rilevanti. Nell’ambito delle entrate della medesima gestione, sono autonomamente indicate quelle relative a vendite, da riscossione di crediti di periodi precedenti, da altri ricavi. Tale suddivisione permette di introdurre un secondo criterio (da non intendersi alternativo al primo): i singoli flussi devono essere aggregati in funzione del grado di intervento e modificazione. Ad esempio nell’ambito della gestione caratteristica, i costi di politica (costi discrezionali) vanno separatamente indicati, poiché in caso di disequilibri monetari possono essere manovrati, nel senso di un loro potenziale contenimento o differimento. Il terzo punto sopra elencato richiama i periodi temporali di riferimento. La gestione della liquidità opera sul breve/brevissimo periodo: esso assume dimensione differente in funzione dell’attività svolta. In ogni caso il problema da affrontare è il trade-off tra gestione ottimale della liquidità e grado di attendibilità dei valori. Al crescere del periodo di riferimento, si incrementa il grado di attendibilità del valore, ma si riduce la concreta gestione della liquidità. Si consideri il seguente esempio: nel mese di Febbraio si stimano entrate per 1000 ed uscite per 700. Dalla contrapposizione dei valori emerge un saldo positivo di 300. Tuttavia la riduzione dell’estensione temporale del periodo può portare a risultati profondamente difformi, ad esempio se le uscite sono previste nella prima decade e le entrate nell’ultima, a Febbraio esisterà una situazione di tensione monetaria, con la necessità di copertura. Però, la riduzione del periodo di riferimento rende più “incerti” i valori determinati, poiché si riduce la sicurezza della loro concreta manifestazione. È assai più agevole stimare un’entrata per il globale mese di Febbraio piuttosto che per una specifica decade del medesimo mese. Una parziale soluzione alle contrapposte esigenze di periodi brevi da una parte e significatività dei valori dall’altra, si ha nel considerare il budget di tesoreria ad elaborazione graduale. In altri termini, dopo aver stabilito il periodo infrannuali di riferimento (nell’esempio la decade), nella definizione del budget non si provvede a suddividere l’intero periodo annuale in decadi: tale operazione viene effettuata solamente per il mese di Gennaio, poiché maggiore è il grado di conoscenza sui flussi che in esso si manifesteranno. Per quanto riguarda gli 11 mesi successivi, essi possono essere considerati autonomamente od ulteriormente aggregati in bimestri, trimestri, semestri. Successivamente si provvederà a scomporli in decadi, durante il periodo di budget. Concludendo, con la costruzione del budget di tesoreria, si ottengono anche dei valori da inserire nel conto economico previsionale: oneri e proventi finanziari. Un ulteriore collegamento tra i due budget è individuabile nelle imposte: per la loro determinazione è necessario conoscere il valore degli oneri finanziari; di contro, le imposte rappresentano una delle uscite contenute nel budget di tesoreria. Evidentemente, per poter giungere ad una soluzione, è necessario stimare quest’ultimo valore, salvo adeguarlo in una fase successiva. SCHEMI DEL BUDET DI TESORERIA O DI CASSA: CAPITOLO 6 (SLIDE 9) L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI L’analisi degli scostamenti consiste in una tecnica contabile che pone a confronto valori consuntivi e valori preventivi con le finalità di: • valutare il grado di efficacia ed efficienza realizzato rispetto a quanto programmato in sede di budget con riferimento alla gestione aziendale nel suo complesso e a ciascun centro di responsabilità dove è possibile misurare l’input (risorse) e l’output (risultati); • verificare la validità degli obiettivi stessi (assegnati in sede di budget) in relazione all’evoluzione di azienda e di ambiente manifestatasi dopo la formulazione dei programmi. Gli step di tale analisi possono essere così sintetizzati: 1) Mettere in evidenza lo scostamento (nasce dal confronto di un obiettivo -visto nel budget- e un consuntivo -visto nella contabilità analitica- ed è quindi una sorta di devianza rispetto a qualcosa che è andato come non doveva andare What?); 2) Individuare le cause dello scostamento (Why? Perché è cambiato qualcosa?); 3) Individuare la responsabilità (Who?) secondo il principio del rafforzamento positivo, il quale vede nell’errore un momento di apprendimento (consentendo di comprendere a fondo i motivi della divergenza tra risultati programmati e conseguiti) e non un’occasione per punire qualcuno, quindi solamente gli sforzi che portano all’ottenimento di riconoscimenti positivi tendono a ripetersi, mentre le penalizzazioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi non possono che indurre i vari responsabili ad inibire il loro spirito •Per le aziende multiprodotto ∆RicaviTotali si divide a sua volta in: -∆V, in cui possiamo distinguere ∆V in senso stretto (ossia la variazione assoluta dei volumi a prescindere dalla tipicità dei volumi attesi e la variazione è favorevole se il prodotto esaminato ha registrato volumi di vendita superiori a quelli programmati, sfavorevole in caso contrario) e ∆mix di vendite (che esprime l’impatto sui ricavi di vendita del mix di fatturato realizzato e risulta favorevole per i prodotti che hanno registrato un volume di vendita superiore a quello programmato, se il relativo prezzo di budget è superiore a quello medio, oppure per i prodotti che hanno registrato un volume di vendita inferiore a quello programmato, avendo un prezzo di budget inferiore a quello medio. Un delta mix favorevole indica in sintesi uno spostamento della composizione dei volumi di vendita verso i prodotti di prezzo più elevato rispetto alla media); -∆P è uguale alla monoprodotto. Una multiprodotto che ha in portafoglio una molteplicità di prodotti, quale prezzo userà nell’analisi del ∆V? Si usa il prezzo medio al fine di isolare la variazione dovuta ai volumi, eliminando le influenze dovute a differenti prezzi di vendita. Tale operazione consente di concentrare l’attenzione sull’effetto puramente legato a variazioni di volume, considerando i differenti prodotti equivalenti in termini di prezzo. La media può essere: semplice (che non si usa praticamente mai a causa della complessità aziendale prevalente oggi, calcolata dividendo il fatturato totale di budget per la somma dei prodotti venduti) e ponderata (data da: ∑ da 1 a n di Pi * Ki dove: Pi = prezzo dell’i-esimo prodotto, Ki = fattore di ponderazione, cioè l’incidenza percentuale del fatturato generato dal prodotto i-esimo sul fatturato aziendale). Esempio: A: P = 5, V= 10, RT = 50 B: P = 10, V = 10, RT = 100 Quindi totale dei V = 20, totale dei RT (ricavi totali) = 150. Per individuare il mix di vendita: per A = RT di A / RT di entrambi (50/150 = 33%), per B = RT di B / RT di entrambi (100/150 = 67%). Per individuare il P di budget: (5* 0,33) * (10 * 0,67) = 8,35. -Per quanto riguarda ∆volume è dato da: ∆volume in senso stretto [(Veffettivo – Vbudget) * (Pmediobudget)] + ∆mix di vendite [(Veffettivo – Vbudget) * (Pbudget – Pmediobudget). + * + = +, cioè vendo i prodotti migliori; - * - = +, cioè vendo di meno i commodities, i prodotti di massa; -∆P è (Peffettivo vendita– Pbudget) * (Veffettivo). La controprova di ciò è data da: ∆RT = ∆V in senso stretto + ∆mix di vendite + P —> la somma dei primi due è uguale a ∆V. Relativamente all’analisi della dinamica dei ricavi di vendita, si sottolinea come un’analisi esaustiva non possa prescindere da una verifica delle ipotesi di scenario competitivo poste in sede di elaborazione del budget. Una prestazione a prima vista negativa può, se correttamente collocata in uno scenario sensibilmente più critico rispetto alle attese, essere rivalutata; viceversa, uno scostamento favorevole può derivare da un andamento ambientale migliore rispetto a quello ipotizzato in sede di budgeting e mascherare una prestazione che non ha saputo cogliere in pieno le nuove opportunità emerse. L’andamento dei volumi di vendita può essere ricondotto a due variabili: l’evoluzione della domanda complessiva e la capacità dell’azienda di mantenere la propria quota di mercato. La scomposizione della variazione di volume in senso stretto in variazione di dimensione del mercato e variazione di quota di mercato rappresenta, se praticabile, un efficace strumento per valutare la prestazione dei responsabili dell’area commerciale. In particolare, tale scomposizione consente di isolare l’effetto di variabili probabilmente fuori dal controllo dei manager (la dimensione del mercato, specie se legata ad andamenti macroeconomici) rispetto a variabili che rientrano pienamente nella loro responsabilità (la quota di mercato). Analisi degli scostamenti dei costi diretti variabili (∆ C.D.V) I costi diretti variabili possono essere: -Industriali: MOD e MP (sono i volumi di produzione); -Commerciali: provvigioni (sono i volumi di vendita).  ∆ C.D.V INDUSTRIALI: Affinché sia possibile procedere alla determinazione delle cause degli scostamenti dei costi diretti variabili in esame è necessario avere a disposizione dati di budget determinati analiticamente attraverso l’utilizzo di standard fisici unitari e di prezzi standard. I valori necessari sono lo standard fisico dei fattori produttivi e il relativo prezzo-costo standard. Lo standard fisico unitario indica le unità di fattore produttivo necessarie per ottenere un’unità di output. Non si tratta di semplici previsioni ma di veri e propri obiettivi che i responsabili sono chiamati a raggiungere nel periodo di budget. Il prezzo-costo standard indica il costo unitario di acquisto del fattore produttivo prefissato per il periodo di budget. Step: 1) Selezionare il C.D.V da analizzare (es. MOD); 2) Info: std fisici (budget), consumo unitario effettivo, std monetario (budget), prezzo costo effettivo, volumi a budget, volumi effettivi. Lo scostamento complessivo è dato da: C.D.V di budget – C.D.V effettivi. I C.D.V di budget sono dati da: (Vbudget * std fisico unitario *stdmonetariobudget, cioè prezzo-costo unitario di budget ,Pbudget). I C.D.V effettivi sono dati da: (Veffettivo * consumo effettivo unitario *prezzo-costo unitario effettivo, Peff). Quindi estendendo la formula, lo scostamento è dato da: (Vbudget * std fisico *stdmonetariobudget) – (Veffettivo * consumo effettivo unitario * Peff). Lo scostamento viene calcolato sottraendo i valori effettivi dai valori di budget al fine di mantenere la corrispondenza tra il segno algebrico del risultato ed il suo significato economico: costi effettivi più elevati di quelli programmati hanno infatti un impatto sfavorevole sul reddito operativo aziendale. NB: possiamo indicare con “Qstd” lo standard fisico unitario e con “Qeffettivo” il consumo effettivo unitario. Quali sono le determinati dello scostamento complessivo? Sono 3: -volumi di produzione; -quantità di fattore produttivo impiegate per la realizzazione di una unità di prodotto; -prezzo-costo di acquisto. Possiamo anche dire che esso sia dato da: scostamento di volume + scostamento di efficienza + scostamento di prezzo. Analizziamoli uno ad uno. •∆ volume di produzione: misura quanto una variazione dei livelli di produzione spiega una variazione dei costi diretti variabili. (Ho prodotto di più). Un volume di produzione differente rispetto a quello programmato si ripercuote in un differente ammontare di tali costi: un aumento di produzione genera costi più elevati originando, quindi, uno scostamento sfavorevole. La diminuzione dei volumi, viceversa, sarà alla base di uno scostamento favorevole. La scomposizione per isolare l’impatto di tale variazione viene effettuata contrapponendo al costo complessivo di budget il costo teorico che si sarebbe sostenuto per i volumi di produzione effettivamente raggiunti se fossero stati rispettati lo standard fisico unitario ed il prezzo-costo di acquisto del fattore produttivo. Lo scostamento di volume è dato da: (Vbudget * Qstd *stdmonetario) – (Veffettivo * Qstd *stdmonetario) o anche raccogliendo: [(Vbudget * Qstd) – (Veffettivo * Qstd)] *stdmonetario. In particolare, il termine (Vbudget * Qstd) rappresenta il fabbisogno di fattore produttivo calcolato a budget, mentre il termine (Veffettivo * Qstd) indica il fabbisogno teorico di fattore produttivo necessario a realizzare i volumi di produzione effettivi nell’ipotesi di rispetto dello standard fisico. Lo scostamento di volume misura la differenza di fabbisogno di fattore produttivo per effetto di una variazione dei volumi. L’interpretazione dello scostamento di volume in in termini di responsabilità non può generalmente avvenire in via autonoma. Uno scostamento favorevole (minori costi sostenuti rispetto al budget) derivante da minori volumi di produzione non rappresenta necessariamente una performance encomiabile. Infatti, se una minor produzione è dipesa dagli andamenti del mercato, il comportamento del responsabile di produzione teso a ridurre gli impatti di una contrazione della domanda, sarà valutato positivamente. Se invece, la contrazione della produzione è stata determinata dall’incapacità di sfruttare la struttura a disposizione (con conseguenti problemi nel rapporto con la clientela) il giudizio sarà profondamente diverso. •∆ efficienza (dei C.D.V): spiega quanto una variazione nel rendimento di un fattore produttivo spiega una variazione dei costi diretti variabili. (È servito + tempo). Lo scostamento di efficienza di un fattore produttivo diretto è dovuto alla differenza tra la quantità del fattore produttivo necessaria per realizzare il livello di produzione effettivo rispettando lo standard fisico unitario e la quantità effettivamente impiegata del fattore stesso. Tale differenza viene valorizzata utilizzando il prezzo-costo standard in modo da non influenzare le valutazioni sull’efficienza con eventuali variazioni di prezzo. La formula per il calcolo di tale scostamento è: (Veffettivo * Qstd *stdmonetario) – (Veffettivo * Qeffettivo* stdmonetario), e raccogliendo otteniamo: [(Veffettivo * Qstd) – (Veffettivo * Qeffettivo)] *stdmonetario. (Veffettivo * Qstd) = fabbisogno teorico di fattore produttivo necessario a realizzare i volumi di produzione effettivi nell’ipotesi di rispetto dello standard fisico, mentre il termine (Veffettivo * Qeffettivo) = consumo rilevato a consuntivo del fattore produttivo. La differenza tra tali due termini esprime il differente consumo di fattore produttivo indotto da una maggiore o minore efficienza di impiego; tale variazione nei consumi viene valorizzata a prezzo standard. In linea generale un’impresa è efficiente se riesce ad impiegare uguali o minori quantità di fattori produttivi rispetto a quanto programmato a budget, mantenendo o migliorando lo standard fisico. Tuttavia, sarebbe riduttivo limitare la valutazione delle performance di un centro di responsabilità solamente rispetto a questo criterio. Spesso, con l’obiettivo di ottenere una migliore qualità del prodotto, si decide di impiegare una maggiore quantità di fattori produttivi (ad esempio tempi di lavorazione superiore da parte della manodopera diretta). L’aumento dei costi per una migliore qualità può comportare una più elevata soddisfazione dei clienti e una riduzione dei costi per il servizio agli stessi. In generale, la responsabilità di un impiego efficiente di materie dirette ricade sul direttore di produzione, in quanto egli può governare le leve di utilizzo delle materie stesse. Alcune delle possibili cause alla base di scostamenti di efficienza delle materie dirette possono essere: -la qualità delle materie dirette utilizzate; materie di qualità migliore potrebbero avere una maggiore produttività. -la configurazione più o meno adeguata dei macchinari e delle attrezzature utilizzate. -la qualità della manutenzione svolta; una cattiva manutenzione potrebbe determinare un aumento di consumi di materie dirette. -l’esperienza e l’efficienza della manodopera impiegata; una manodopera meno qualificata e poco efficiente potrebbe determinare un aumento di consumi di materie dirette a parità di volumi realizzati. -l’impiego di metodi per il controllo della qualità. -la capacità di programmare l’attività produttiva; errori nella programmazione della produzione potrebbero causare affaticamento nei macchinari per il completamento di ordinazioni non previste. Uno sfruttamento eccessivo dei macchinari potrebbe accelerarne l’usura con un conseguente aumento dei consumi di materie dirette. I costi indiretti variabili sono costi che, pur essendo sensibili a variazioni nei livelli di attività, non sono direttamente riferibili alla singola unità di prodotto. È possibile tuttavia individuare una relazione mediata con i volumi di produzione attraverso altre variabili o grandezze: pertanto, ai fini dell’analisi degli scostamenti di questi costi, occorre esplicitare la relazione che esiste tra il livello di spesa e l’unità di prodotto individuando un parametro rispetto al quale il costo oggetto di analisi è direttamente correlato (es. numero di ore macchina lavorate) ed esprimere il livello di attività/produzione in termini di questo parametro. Nel caso in cui si decida si approfondire lo scostamento di tale classe di valori, il calcolo richiede tre fasi preliminari: 1) la selezione delle voci di costo indirette variabili da sottoporre ad analisi ed il loro raggruppamento in classi omogenee (es. E.E); 2) la scelta del parametro di riferimento da usare per la costruzione del coefficiente standard; è necessario selezionare una grandezza rispetto alla quale la variabilità del costo è direttamente correlata (es.h/macchina); 3) la stima del coefficiente standard dei costi indiretti variabili, che altro non è che la stima del costo unitario del parametro prescelto, mettendo a rapporto il totale dei costi indiretti variabili previsti a budget con il valore totale del parametro prescelto. Il calcolo del coefficiente standard di budget è dato da: totale C.I.V a budget / totale del parametro a budget di riferimento, cioè abbreviando: coefficiente std = (C.I.Vbudget / PA). Il coefficiente standard esprime quindi il costo indiretto variabile per unità di parametro. Esempio: 1000 E.E / 100 h/macchina = 10€ di E.E per ogni ora. Lo scostamento complessivo è dato da: C.I.V a budget – C.I.V effettivi, dove: C.V.I a budget = (Vbudget * Qstd * Coeff.std) —> Qstd = quantità standard, Coeff.std = coefficiente standard, Vbudget = volume di produzione programmato a budget. La Qstd è riferita al fattore produttivo individuato come parametro di riferimento per la costruzione del coefficiente standard e misura il consumo standard di tale fattore per una unità di prodotto. Lo scostamento complessivo dei costi indiretti variabili può essere ulteriormente suddiviso in scostamento di volume, scostamento di efficienza e scostamento di spesa (la somma dei tre da lo scostamento complessivo). Infatti, uno scostamento nei costi indiretti variabili può essere spiegato in relazione a: -un differente volume di produzione rispetto ai programmi che ha generato un consumo maggiore o minore del parametro individuato come correlato alla variabilità dei costi in oggetto; -un impiego di differenti quantità di fattore produttivo (ore macchina) per produrre i volumi effettivi; in altri termini, si sono registrati livelli di efficienza differenti rispetto allo standard (si noti che l’efficienza è “mediata” cioè espressa in relazione al parametro e non ai fattori produttivi indiretti); -una differenza tra il costo unitario effettivo del parametro (costo unitario effettivo dell’ora macchina) e il coefficiente standard. Le determinanti sono: -∆ volume: ci dice quanto uno ∆ dei volumi di produzione comporta uno ∆ del parametro e quindi del costo, e dipende dal diverso volume di prodotto (inteso come bene) effettivamente prodotto e venduto rispetto a quanto programmato a budget e si determina come: (Vbudget* Qstd del PA * Coeff.std) – (Veffettivo * Qstd del PA * Coeff.std), cioè: [(Vbudget * Qstd del PA) – (Veffettivo * Qstd del PA)] * Coeff.std, dove: (Vbudget * Qstd del PA) = fabbisogno a budget del parametro; (Veffettivo * Qstd del PA) = fabbisogno teorico del parametro. La riduzione dei volumi si riflette in una contrazione dei costi indiretti variabili. -∆ efficienza: ci dice quanto uno ∆ del rendimento del parametro comporta uno ∆ nel costo del fattore produttivo e fornisce una misura dell’efficienza con la quale viene impiegato il parametro scelto, e si determina come: (Veffettivo * Qstd del PA * Coeff.std) – (Veffettivo * Qeffettiva del PA * Coeff.std), cioè: [(Veffettivo * Qstd del PA) – (Veffettivo * Qeffetttiva del PA)] * Coeff.std, dove: (Veffettivo * Qeffettiva del PA) = fabbisogno effettivo del parametro. A differenza di quanto accade per i costi diretti variabili, gli scostamenti di efficienza dei costi indiretti variabili hanno come oggetto di indagine l’efficienza nell’impiego del parametro espressivo dei volumi di attività e non l’efficienza nell’utilizzo dell’ammontare dei fattori produttivi indiretti impiegati (E.E). -∆ spesa : misura l’errore nella stima del C.I.V riferito ad una unità del parametro. A tal fine è necessario calcolare i costi indiretti variabili effettivi per ora macchina (costi indiretti totali effettivi / ore macchina effettive ad esempio). La formula di calcolo dello scostamento può essere così sintetizzata: (Veffettivo * Qeffettiva del PA * Coeff.std) – (Veffettivo * Qeffettiva PA * C.I.V unitari effettivi), cioè: (Coeff.std – C.I.V unitari effettivi) * (Veffettivo * Qeffettiva del PA), dove: (Coeff.std – C.I.V unitari effettivo) = misura l’errore nella stima unitaria del C.I.V passando dal parametro di collegamento; (Veffettivo *Qeffettiva del PA) = fabbisogno effettivo. Analisi degli scostamenti dei costi fissi (ammortamenti) I costi fissi (ammortamenti, canoni di leasing, affitti, ecc) sono costi che, oltre a non presentare una relazione diretta con la singola unità di output realizzata, all’interno di una definita area di rilevanza non variano nel loro ammontare complessivo al variare del livello di attività. Si pensi ad esempio all’affitto di un immobile: passare dal 50% al 100% di sfruttamento della capacità produttiva disponibile non modifica tale costo. L’aumento dei volumi di attività invece, ha effetto sulla cosiddetta “copertura” dei costi fissi. Ogni unità in più, prodotta e venduta, contribuisce a generare un margine di contribuzione per compensare tali costi. In una logica di full costing ogni unità in più consente di ripartire i costi fissi su un numero più ampio di prodotti, riducendone in tal modo il costo unitario (maggiore è la quantità prodotta, minore è la quota di tali costi che grava sul singolo prodotto). Il governo dei costi fissi, nel breve periodo, deve pertanto tendere ad assicurare un adeguato sfruttamento della struttura produttiva, garantendo “l’assorbimento” di tali costi da parte di un adeguato livello di attività. Esempio: ho un c.f di 100 e un’attività di 100 pezzi, qual è il c.f unitario? 1! Quindi il prezzo minimo di vendita sarà pari a 1,5€. Se ho però un c.f di 100 e un’attività di 50 pezzi, qual è il c.f unitario? 2! Quindi il prezzo minimo di vendita sarà pari a 2,5€. Da questo esempio notiamo che il c.f non cambia, ma a cambiare è l’incidenza e l’assorbimento di tali costi. Tale analisi (∆ C.I.F) ha uno scarso significato in termini di analisi delle responsabilità; il suo obiettivo è di monitorare l’equilibrio a budget che può esistere tra: -dimensione strutturale dell’impresa: misura la sua capacità produttiva e l’ammontare dei costi fissi; -dimensione operativa dell’impresa: misura il livello di attività. Tra le due dimensioni deve sussistere armonia. L’equilibrio a budget si osserva nel giusto assorbimento di un costo che non varia. Giusto = preordinato a precisi obiettivi di reddito operativo. Il calcolo degli scostamenti dei costi fissi richiede tre operazioni preliminari: 1) la selezione delle voci di costo fisse; 2) la selezione del parametro da usare per l’allocazione dei costi fissi; 3) la stima del coefficiente di assorbimento dei costi fissi. A tal fine è necessario dividere l’ammontare complessivo dei costi fissi indiretti a budget per l’ammontare complessivo del parametro selezionato. Si tratta di un valore che rappresenta un equilibrio fissato a preventivo tra costi fissi (espressivi della struttura aziendale) e livello del parametro (espressivo dei volumi di attività svolta). Coefficiente di assorbimento di budget = totale costi fissi di budget / totale parametro di riferimento (es. ore macchina), cioè: CA = (CF di budget / PA). Per una corretta valutazione della congruità dei costi fissi rispetto all’attività svolta è indispensabile operare un confronto tra i costi fissi effettivi ed i costi fissi “assorbiti”. In altri termini è necessario verificare, mantenendo costante il coefficiente di assorbimento, quale ammontare di costi fissi sia stato “assorbito” ai livelli di attività effettivi. Per tale verifica è opportuno, per non alterare il significato dell’assorbimento associandolo a fenomeni di inefficienza anziché ad una più intensa attività produttiva, utilizzare i livelli di efficienza standard (consumo unitario di fattore produttivo). Lo scostamento complessivo dei costi indiretti fissi è quindi dato da: costi fissi assorbiti a volumi effettivi ed efficienza standard del parametro – costi fissi effettivi, cioè: (Q del PA eff.std * CA *Veffettivo) – CF effettivi, ossia: (quantità del parametro di riferimento a volume effettivo ad efficienza standard * coefficiente di assorbimento) – costi fissi effettivi. NB: a volumi effettivi ed efficienza standard del parametro = fabbisogno teorico del parametro. Se lo scostamento totale dei costi fissi è positivo significa che i costi assorbiti sono superiori a quelli effettivamente sostenuti. Questo può essere dovuto a due fenomeni: -una riduzione dell’ammontare dei costi fissi rispetto a quanto preventivato a budget; -maggiore assorbimento dei costi fissi a seguito di un maggior volume di produzione. Non è possibile individuare uno scostamento di efficienza in quanto tale dimensione non è direttamente correlata all’ammontare dei costi fissi e nemmeno al loro assorbimento. È necessario scomporre lo scostamento per rilevare l’impatto delle due cause individuate. -∆ spesa: rileva la differenza tra i costi programmati e quelli effettivamente sostenuti, mettendo in luce eventuali errori di stima del costo fisso. È dato da: CF a budget – CF effettivi. -∆ volume: misura la differenza tra i costi indiretti fissi programmati a budget e i costi indiretti fissi “assorbiti”. Solo una variazione dei volumi di produzione e vendita può determinare una reale variazione nell’assorbimento (incidenza sulla singola unità) dei costi fissi.A livello operativo, la formula dello scostamento di volume dei c.f.i è data da: (Q del PA eff.std * CA *Veffettivo) – CF a budget. L’impiego di budget statici e flessibili nell’analisi degli scostamenti La trattazione fin qui svolta si è riferita esclusivamente ad una analisi degli scostamenti sviluppata in ipotesi di budget statico (o rigido), cioè riferito ad un unico livello di attività. Il budget costruito in tale logica non viene modificato e aggiornato dopo la sua elaborazione, anche a fronte di significativi cambiamenti avvenuti nei livelli di attività dell’impresa. Ai fini dell’analisi degli scostamenti assume rilevanza la distinzione tra budget statico (o rigido) e budget flessibile. Un budget flessibile viene rivisto ogni volta che si registrano dei cambiamenti nel livello di attività raggiunto dall’impresa. In altri termini, si tratta di un budget nel qual i valori (se direttamente correlati ai volumi, come i ricavi ed i costi variabili) sono ricalcolati impiegando il volume di produzione effettivamente raggiunto invece che il volume di produzione programmato per il periodo di budget. Questo approccio è di particolare utilità in ambienti turbolenti in quanto il budget flessibile, a differenza di quello statico, considera più ipotesi circa i volumi di produzione e vendita. L’utilizzo del budget flessibile conduce ad una sostanziale modifica nell’approccio all’analisi degli scostamenti: lo scostamento complessivo, infatti, è risultante dalla differenza tra i valori a consuntivo (effettivamente realizzati) e i valori di budget flessibile, già rielaborato per considerare l’effetto volume. Precedentemente invece lo scostamento complessivo è stato calcolato come quello che viene definito lo “scostamento complessivo di budget statico”, il quale contrappone valori consuntivi e valori di budget statico. Lo scostamento di budget statico è evidentemente scomponibile in uno scostamento di budget flessibile e in uno scostamento di volume, che deriva dalla differenza tra i valori di budget flessibile e i valore di budget statico. Scostamento di volume = valori di budget flessibile – valori di budget statico. Per l’elaborazione del budget flessibile è innanzitutto necessario rideterminare i ricavi utilizzando i ricavi unitari di budget (attesi) e le quantità effettivamente vendute; successivamente è necessario determinare il budget flessibile dei costi utilizzando i costi variabili unitari di budget e le quantità di prodotti effettivamente realizzate. Nessuna modifica viene invece apportata ai costi fissi. Essendo sia il budget statico che il budget flessibile elaborati con gli stessi valori in termini di prezzi di vendita e costi unitari programmati, la differenza nel reddito operativo non può che essere ascritta ai differenti volumi di produzione e vendita. Lo scostamento di budget flessibile deriva dal confronto tra valori consuntivi e i valori di budget flessibile: scostamento di budget flessibile = valori consuntivi – valori di budget flessibile. Lo scostamento di reddito operativo a livello di budget flessibile è ascrivibile alle differenze tra i valori effettivamente rilevati e quelli programmati in termini di prezzi di vendita, costi variabili unitari e costi indiretti (sia variabili che fissi). In ipotesi di budget flessibile è questo lo scostamento complessivo da cui questi report possono provenire dal sistema contabile, ma anche da fonti esterne (rassegna stampa, andamento delle quotazioni di Borsa, comunicazioni delle associazioni di categoria, dati economici di settore e nazionali, dati sulla concorrenza). Sebbene utili per sensibilizzare il management, questi report non consentono di realizzare appieno le finalità di valutazione delle performance aziendali e manageriali proprie dei sistemi di programmazione e controllo. -report economici, sono progettati come strumento per realizzare la valutazione delle prestazioni aziendali, in quanto contengono informazioni, di natura prevalentemente contabile, in merito ai risultati conseguiti dalle aree di attività aventi valenza strategica in cui risulta opportuno segmentare le performance aziendali complessive. -report di controllo, si focalizzano sulle prestazioni conseguite dai responsabili dei centri di responsabilità, con l’obiettivo di fornire uno strumento per la valutazione delle prestazioni manageriali. Il contenuto di questi report, che deriva dalla contabilità per centri di responsabilità (responsability accounting), confronta la prestazione del manager del centro di responsabilità con il corrispondente obiettivo che il manager si è impegnato a realizzare in fase di budget. I report di controllo si concentrano pertanto sullo scostamento tra gli impregni assunti dal manager nel budget e i corrispondenti risultati conseguiti per effetto del suo comportamento. Questi impegni, e i corrispondenti risultati, riguardano esclusivamente le attività e i costi controllabili dal manager. La principale differenza tra i report economici e i report di controllo consiste nel fatto che questi ultimi, se correttamente progettati e costruiti, escludono gli elementi non controllabili dal manager dalle rilevazioni che costituiscono la base di valutazione della prestazione. Al contrario, i report economici considerano l’area di attività come un’entità che deve essere in grado di giustificare economicamente la propria esistenza; di conseguenza, includono sia i costi controllabili sia i costi non controllabili da parte del manager responsabile del governo della medesima. c) la forma dei report : concerne le modalità di rappresentazione dei risultarti conseguiti per effetto della gestione. Tipicamente, si distinguono quattro modalità di rappresentazione dei risultati oggetto di misurazione: -reporting a risultati consuntivi, costituisce una modalità di rappresentazione che si focalizza sui risultati effettivamente conseguiti, eventualmente confrontati con i corrispondenti valori obiettivo; -reporting a risultati preconsuntivi, è una modalità di rappresentazione dei risultati che avviene prima che il periodo di riferimento sia giunto a pieno compimento. Questa forma è utilizzata frequentemente quando, all’interno di un periodo di riferimento principale (quale l’anno o il periodo di completamento di un progetto), si intendono rappresentare i risultati conseguiti al termine di infraperiodi (quali i mesi, i trimestri o le fasi di esecuzione di un progetto). In particolare questi report includono: il consuntivo periodico relativo all’infraperiodo in analisi, il consuntivo progressivo alla data di riferimento del report, la stima aggiornata del preconsuntivo a finire, il risultato relativo al periodo principale rappresentato come somma del consuntivo progressivo alla data di riferimento del report e della stima del preconsuntivo a finire. Analogamente al report a risultati consuntivi, anche il reporting a risultati preconsuntivi di sovente include i confronti con i corrispondenti valori obiettivo; -reporting di ipotesi alternative di eventi o azioni future, costruito in base alla what if analysis, è una forma di reporting che, a differenza delle due precedenti, non viene predisposta in maniera sistematica e continuativa, bensì solo in particolari situazioni, allorquando si ravvisi la necessità di fronteggiare un improvviso fenomeno interno o esterno, per cui occorre rappresentare gli effetti espressivi di diverse ipotesi di azioni future. Questa rappresentazione può avvenire mediante l’utilizzo di risultati consuntivi o la simulazione di preconsuntivi. Le tre forme di reporting analizzate presentano il rischio di generare fuorvianti confronti di performance tra diverse dimensioni di risultato parziale (siano esse aree di attività o centri di responsabilità) a parità di periodo temporale di riferimento (confronto spaziale) ovvero tra esercizi consecutivi per una medesima area di risultato parziale (confronto temporale), senza viceversa focalizzare l’attenzione sulla più ben efficace analisi delle cause di scostamento tra gli obiettivi di budget e i risultati conseguiti per effetto della gestione. Più efficace è la forma di rappresentazione dei risultati denominata reporting per varianti. -reporting per varianti: i consuntivi e i preconsuntivi possono essere arricchiti con misure che emergono dal confronto tra la valorizzazione dei risultati conseguiti per effetto della gestione ed i corrispondenti valori obiettivo. Questi confronti sono inoltre opportunamente elaborati in modo tale da rappresentare la valorizzazione delle cause determinanti l’eventuale differenza tra valori obiettivo e risultati conseguiti, così come determinato in base alla applicazione dell’analisi degli scostamenti altrimenti detta analisi per varianti. d) i parametri di controllo : servono per il confronto con i valori espressivi dei risultati conseguiti per effetto della gestione. Infatti, mentre i report informativi contengono di norma solo informazioni sui risultati consuntivi, le finalità proprie dei report economici e di controllo richiedono inevitabilmente il confronto dei risultati effettivi con un termine di paragone. I possibili parametri di riferimento per confrontare i risultati conseguiti per effetto della gestione sono: -valori storici, che riguardano i valori consuntivi relativi al corrispondente periodo precedente, sono fortemente criticabili in quanto non tengono in considerazione ne le variazioni intervenute nell’ambiente e nell’impresa tra un periodo temporale e quello immediatamente successivo, ne le inevitabili inefficienze insite nella gestione passata. Per queste ragioni, un valore riferito al passato non può essere efficacemente utilizzato come obiettivo di riferimento per il confronto con il risultato consuntivo oggetto di valutazione; -valori obiettivo, sono più opportuni da inserire come termine di paragone per la valutazione dei risultati conseguiti per effetto della gestione. Essi sono dati dai valori standard (che sono i valori unitari definiti in fase di budget) e, di conseguenza, dai valori di budget (che sono i valori complessivi definiti in fase di budget). Questi valori, costruiti in base ad un accurato processo di programmazione e budgeting, rappresentano senza dubbio la migliore alternativa disponibile quale termine di confronto cui paragonare i risultati consuntivi e, di conseguenza, applicare l’analisi degli scostamenti; -valori previsionali, che presuppongono un atteggiamento passivo dell’impresa nei confronti dell’ambiente, consistono nella riformulazione, in ogni infraperiodo, dei valori preventivi attribuiti al periodo di riferimento principale.questo continuo aggiornamento non agevola la comprensione dei fenomeni aziendali, in quanto all’interpretazione del passato occorre aggiungere l’interpretazione delle singole revisioni, rendendo il processo alquanto confuso. -valori correnti, consistono nella riformulazione a consuntivo del valore obiettivo, originariamente definito in sede di budget, “depurandolo” dagli effetti prodotti da una dinamica ambientale differente rispetto a quella ipotizzata in sede di budget, in modo tale da esprimere un “valore obiettivo a condizioni effettive”. Come conseguenza, il confronto tra valore obiettivo e valore consuntivo viene segmentato in due grandezze: la prima, denominata “scostamento di controllo”, si calcola come confronto tra il valore consuntivo ed il valore corrente, con la finalità di rappresentare la valorizzazione dello scostamento controllabile da parte del responsabile di un centro di responsabilità; la seconda, denominata “scostamento di controllo della programmazione”, si calcola come confronto tra il valore obiettivo ed il valore corrente, allo scopo di rappresentare la misura della capacità di programmazione ovvero dell’impatto degli eventi ambientali sulla gestione dell’impresa. Questa metodologia di analisi, ancorché pregevole sotto il profilo concettuale, trova tuttavia limitata applicazione in ragione sia dell’elevato livello di discrezionalità che comporta, sia delle negative conseguenze che implica sulla motivazione del management. -valori esterni, sono valori espressivi dei risultati conseguiti da entità esterne rispetto all’area di attività ovvero al centro di responsabilità oggetto di valutazione (quali altre aziende o altri centri di responsabilità). Questa scelta tuttavia non risulta particolarmente efficace per supportare il processo di programmazione e controllo, rappresentando viceversa una metodologia utile per sviluppare analisi di benchmarking fondate su grandezze non economico-finanziarie. L’analisi della struttura dei prospetti di conto economico Le scelte di progettazione della contabilità analitica, tra cui in particolare la configurazione di costo, influiscono pesantemente sulle modalità di rappresentazione dei risultati parziali afferenti alla gestione caratteristica all’interno del conto economico. In particolare è possibile evidenziare tre tipici prospetti di conto economico a risultati parziali, che riflettono rispettivamente le configurazioni di costo direct costing semplice, direct costing evoluto e full costing. A riguardo deve sussistere coerenza con la struttura tecnico-contabile del controllo e con la struttura organizzativa del controllo. • Un primo schema, definibile come conto economico a margine di contribuzione di primo livello riflette l’adozione della configurazione di costo a direct costing semplice. Il prospetto evidenzia i risultati parziali (attribuiti agli oggetti di calcolo) come differenza tra i ricavi e i costi variabili, ovvero come margine di contribuzione di primo livello. I costi fissi non sono attribuiti agli oggetti di calcolo e sono rappresentati solo a livello aziendale. Il reddito operativo di gestione caratteristica aziendale è calcolato come differenza tra la somma dei margini di contribuzione di primo livello e i costi fissi aziendali complessivi. • Il secondo prospetto, che riflette la configurazione di costo a direct costing evoluto, rappresenta una variante del precedente ed è definibile come conto economico a margine di contribuzione di secondo livello. In questo caso, i risultati parziali attribuibili agli oggetti di calcolo sono dati sia dal margine di contribuzione di primo livello (differenza tra i ricavi e i costi variabili) sia dal margine di contribuzione di secondo livello (differenza tra il margine di contribuzione di primo livello e i costi fissi specificamente attribuibili agli oggetti di calcolo in analisi). Solo i costi fissi comuni non sono attribuiti agli oggetti di calcolo e sono rappresentati a livello aziendale. Il reddito operativo di gestione caratteristica aziendale è calcolato come differenza tra la somma dei margini di contribuzione di secondo livello e i costi fissi comuni. • Il terzo prospetto di conto economico a risultati parziali, che riflette la configurazione di costo a costo pieno (aziendale —> full costing) è detto conto economico a risultati complessivi in quanto attribuisce agli oggetti di calcolo tutti i ricavi e tutti i costi di gestione caratteristica. Il reddito operativo di gestione caratteristica aziendale è dato come la somma dei risultati complessivi attribuiti agli oggetti di calcolo, a loro volta determinabili come differenza tra i ricavi, i costi diretti e le quote di costi indiretti. Con riferimento alla coerenza tra la struttura dei prospetti di conto economico e la struttura organizzativa del controllo, occorre distinguere i risultati parziali controllabili (utili per i report di controllo) dai risultati parziali complessivi (utili per i report economici). I report di controllo sono finalizzati a valutare le performance manageriali nel rispetto del principio di controllabilità, e devono evidenziare una configurazione di reddito controllabile da parte del responsabile oggetto di valutazione, espressiva dei risultati generati esclusivamente dalle attività su cui il manager ha responsabilità decisionale. Al contrario, i report economici, finalizzati a valutare le performance di aree di attività, devono rappresentare i risultati complessivamente generati dalla dimensione di risultato parziale oggetto di controllo. Nei fatti, si tratta di classificare i costi tra controllabili (ovvero espressivi del consumo di risorse su cui il manager esercita una influenza sensibile) dai costi non controllabili (caso contrario). La classificazione tra costi controllabili e costi non controllabili richiede l’approfondimento di due importanti aspetti: anzitutto, la controllabilità si riferisce ad uno specifico centro di responsabilità; in secondo luogo, la controllabilità esiste quando il manager del centro di responsabilità è in grado di esercitare un’influenza significativa, e non già completa, sulle risorse. Quanto al primo aspetto, l’attributo “controllabile” assume significato in relazione ad uno specifico centro di responsabilità e non è una caratteristica intrinseca di un dato elemento di costo. Di norma, al decrescere del livello di responsabilità decisionale nella gerarchia aziendale si restringe il confine dei centri di responsabilità e di conseguenza il numero di risorse controllabili dai manager. Per quanto riguarda il secondo aspetto, la controllabilità si riferisce solo a un’influenza significativa, piuttosto che a un controllo totale, in quanto solo raramente il manager di un centro di responsabilità esercita un pieno controllo su tutti i fattori che influenzano un dato elemento di costo. Pertanto, per la definizione degli elementi di costo che rientrano nell’ambito di controllo di un dato centro di responsabilità vale il principio della rilevanza. Applicando la classificazione dei costi tra controllabili e non al fine di valutare le performance manageriali, si utilizza il prospetto di conto economico a margine di contribuzione (in particolare di secondo livello), all’interno del quale si classificano i costi fissi specifici controllabili e quelli non controllabili, e di conseguenza si distinguono il margine controllabile (dato dalla differenza tra il margine di contribuzione di primo livello e i costi fissi specifici controllabili) dal margine complessivo (espresso al netto di tutti i costi fissi specifici, controllabili e non, e dei costi fissi comuni). Il processo di reporting L’analisi del sistema di programmazione e controllo può essere utilmente sviluppata distinguendo due dimensioni, quella strutturale (organizzativa e tecnico-contabile) e quella di processo. La struttura organizzativa del controllo fa riferimento alle modalità di assegnazione della responsabilità economica alle diverse unità organizzative aziendali; la struttura tecnico-contabile rappresenta invece report mensili, mentre un decisore che lavora sulla linea ha necessità di aggiornamenti quantomeno settimanali.la tempestività dell’informazione è un requisito di primaria importanza e in linea di principio è preferibile un report tempestivo, seppur non preciso al cento per cento, rispetto ad un report preciso, ma così in ritardo da rendere inefficaci azioni correttive. L’evoluzione dei sistemi di reporting Gli scenari competitivi stanno cambiando in tempi rapidissimi. L’evoluzione della tecnologia, la globalizzazione dei mercati e la crescente competizione rendono sempre più difficile per le aziende la costruzione di un vantaggio competitivo forte e duraturo. L’innovazione è ormai riconosciuta come l’arma vincente per rispondere alla sfida del cambiamento, le aziende hanno sempre più bisogno di nuove competenze, nuove strategie, nuovi strumenti. Il sistema di controllo, sia nella sua dimensione strutturale sia in quella di processo, non può restare immobile di fronte a questi cambiamenti. La sfida consiste nel progettare e realizzare un sistema di controllo direzionale che sia in grado di fornire un valido supporto nella predisposizione, nella programmazione e nel controllo di quelle attività necessarie al raggiungimento dell’eccellenza in tutte le aree gestionali dell’organizzazione. In questo nuovo contesto i sistemi di reporting sono stati protagonisti di profondi mutamenti. Non più considerato come semplice strumento contabile in grado di fornire prospetti di sintesi sull’andamento economico-finanziario, il sistema di reporting si è oggi configurato come uno strumento gestionale in grado di fornire indicazioni sullo stato di salute dell’impresa. Tre sembrano essere le principali tendenze evolutive che hanno consentono il salto di generazione dei sistemi di reporting: l’orientamento strategico, la multidimensionalità degli indicatori di performance e l’orientamento al futuro. In un ambiente caratterizzato da forti discontinuità come quello attuale, l’ottica di breve periodo tipica dei tradizionali sistemi di controllo direzionale, non è più sufficiente per gestire con successo un’azienda, è necessario adottare una prospettiva strategica e rivolgere la propria attenzione al medio-lungo periodo. Oggi i confini temporali tra pianificazione, controllo e azione divengono sempre più sfumati, le organizzazioni devono reagire agli stimoli esterni abbreviando i propri tempi di risposta, adattando rapidamente le strategie, ridefinendo i programmi d’azione e ponendo in essere controlli sempre più frequenti e tempestivi. I vertici aziendali sono divenuti consapevoli della necessità di colmare la distanza tra chi decide la strategia e chi la realizza. I sistemi di reporting evoluti rappresentano l’anello di congiunzione tra strategia e azione. Attraverso l’individuazione delle aree critiche da presidiare, tali sistemi hanno il compito di “calare”gli obiettivi strategici aziendali ai livelli più bassi dell’organizzazione, di tradurre la strategia aziendale in una serie di indicatori il cui presidio assicura il raggiungimento delle performance desiderate. I sistemi di reporting che accolgono un orientamento strategico, oltre a conseguire u na maggiore efficacia nell’influenzare i comportamenti individuali verso le strategie, divengono un prezioso supporto per la definizione delle strategie future. Il continuo adattamento degli indicatori di performance ai mutamenti delle strategie aziendali crea un processo di apprendimento che consente non solo di interpretare le mappe strategiche dell’impresa e di tradurle in un insieme di indicatori coerenti, ma anche di supportare l’emergere delle mappe strategiche stesse. I tradizionali sistemi di reporting si caratterizzano per l’utilizzo di indicatori “mono-dimensionali”, bastati su misure di tipo prevalentemente contabile, ma è ormai indispensabile integrare le tradizionali misure di performance con nuovi indicatori, di natura multidimensionale, che consentono all’impresa di monitorare le relazioni con i clienti, la qualità dei prodotto o servizi erogati, la motivazione dei dipendenti, l’immagine aziendale, la capacità di generare innovazione, ecc. Si ha quindi la necessità oggigiorno di utilizzare indicatori di tipo non monetario poiché attraverso essi è possibile monitorare in maniera pro-attiva lo stato di salute dell’impresa ed è possibile creare un traid union tra la dimensione strategica e quella operativa. Un’altra caratteristica dei sistemi di reporting evoluti è la necessità di passare da una logica retroattiva (feedback) ad una logica pro-attiva (feed-forward). Il controllo di tipo feedback, un meccanismo di controllo ex-post basato sul confronto tra obiettivi e risultati ottenuti, si è dimostrato efficace solo in ambienti stabili. Viceversa, l’attuale contesto competitivo risulta governabile attraverso meccanismi di controllo tali da consentire un confronto in tempo reale obiettivi-risultati (steering control) o, ancor meglio, un confronto anticipato tra obiettivi e risultati conseguibili in assenza di azioni correttive (controllo di tipo feed-forward). In questa soluzione si tende ad anticipare l’intervento correttivo, modificando in corso d’anno le stime relative a periodi futuri a mano a mano che si dispone di nuove informazioni. Il controllo feed-forward richiede che venga elaborato periodicamente un reporting preconsuntivo contenente oltre ai dati consuntivi disponibili anche la previsione dei dati relativi al resto del periodo. CAPITOLO 5 (SLIDE 10) LA GESTIONE PER OBIETTIVI (MBO) E I CENTRI DI RESPONSABILITÀ Numerose sono le definizioni che studiosi ed uomini di azienda hanno proposto a proposito della gestione per obiettivi (Management By Objectives). Tra queste, due sembrano esprimere con efficacia gli elementi distintivi di questa “filosofia” gestionale. D. McConkey sostiene che la gestione per obiettivi è: “un approccio sistematico alla gestione dell’organizzazione – qualsiasi organizzazione. Consiste nella totale, massima delega di ‘pezzi’ degli obiettivi generali lungo la linea organizzativa in modo che ciascun manager sia responsabile della realizzazione di una parte degli obiettivi del livello più alto”. Questa definizione stimola molteplici riflessioni: 1) il MBO è un approccio sistematico alla gestione. Abbracciando l’intera organizzazione, il MBO può essere considerato come un potente strumento di coordinamento; una diffusione solo parziale della logica di gestione per obiettivi all’interno di un’organizzazione potrebbe non di rado rivelarsi addirittura controproducente. 2) si tratta di un approccio alla gestione, cioè di un modo originale di governare un’organizzazione sovente complessa. 3) il MBO è un approccio applicabile a qualsiasi organizzazione; se, infatti, esiste un fine da raggiungere, la gestione per obiettivi si rivela un efficace strumento di razionalizzazione dei comportamenti organizzativi, rendendo questi ultimi coerenti rispetto agli obiettivi da raggiungere. 4) la logica che ispira la gestione per obiettivi è estremamente semplice è sostanzialmente orientata al buon senso; essa si fonda su due concetti complementari: da un lato l’autonomia nella modalità di gestione delle risorse per il raggiungimento di determinati obiettivi, dall’altro la responsabilità dei risultati ottenuti. Più articolata è la definizione di gestione per obiettivi proposta da G.S. Odiorne, secondo cui: “Il Management By Objectives può essere descritto come un processo secondo il quale, in un determinato contesto organizzativo, i manager di ciascun livello collaborano all’identificazione e definizione degli obiettivi comuni e delle principali aree di responsabilità di ciascun individuo in termini di risultati desiderati e utilizzano queste misure come guida per la gestione aziendale e per la valutazione del contributo dei suoi singoli membri”. Due sembrano essere gli ulteriori elementi suscettibili di approfondimento in questa seconda definizione: 1) la gestione per obiettivi può essere concepita come un processo organizzativo, ovvero come una serie complessa di relazioni fra molteplici figure organizzative che, in tempi e con ruoli diversi, interagiscono, generano comportamenti e decisioni in grado di influenzare la gestione dell’organizzazione nel suo complesso; il processo organizzativo che Odiorne definisce Management By Objectives si rivela estremamente “delicato” e complesso; questo processo, infatti, porta all’identificazione degli ambiti di autonomia decisionale, degli obiettivi da raggiungere, delle risorse disponibili e controllabili, dei criteri di valutazione delle prestazioni ottenute, degli incentivi collegati al raggiungimento di prescelti risultati, ecc delle unità organizzative coinvolte. 2) questo processo viene reiterato ad ogni livello organizzativo caratterizzato da margini di autonomia decisionale sufficienti a giustificare una responsabilizzazione in termini di obiettivi da raggiungere; è quindi evidente che, all’aumentare della complessità interna di un’organizzazione, la gestione per obiettivi risulta essere un processo sempre più pervasivo ed articolato. I meccanismi di coordinamento organizzativo I meccanismi che assicurano il coordinamento delle attività svolte all’interno di un’organizzazione sono: • l’adattamento reciproco: le persone coinvolte (in genere poco numerose) nello svolgimento di attività (in genere non complesse si coordinano attraverso processi di comunicazione informali; il buon esisto dell’attività organizzata è strettamente collegato alla capacità di coloro che svolgono compiti specifici di adattarsi vicendevolmente attraverso un processo iterativo non definibile a priori (es. ricercatori in un laboratorio sperimentale). • la supervisione diretta: all’aumentare della tipologia e della numerosità delle attività svolte nonché degli operatori coinvolti, l’adattamento reciproco non riesce ad esprimere livelli di coordinamento apprezzabili. Per assicurare il successo dell’attività organizzativa è quindi necessario istituire una figura che disponga dell’autorità necessaria a dare ordini ed organizzare il lavoro dei singoli operatori ed a controllarne le azioni e che sia d’altro canto responsabile del lavoro svolto sotto la sua direzione (es. un responsabile di magazzino o di un reparto di produzione). • la standardizzazione dei processi di lavoro: attraverso il meccanismo della standardizzazione il coordinamento viene definito in via anticipata e non in itinere come nelle due fattispecie precedenti. Nei contesti in cui le azioni idonee a raggiungere prescelti obiettivi vengono definite a priori e programmate, i comportamenti organizzativi risultano coordinati attraverso il meccanismo della standardizzazione dei processi di lavoro. • la standardizzazione degli output: talvolta la definizione dei processi di lavoro viene lasciata agli operatori mentre il coordinamento viene assicurato attraverso la definizione in via anticipata dei risultati che ognuno di essi dovrà raggiungere. All’autonomia nel decidere “come” organizzare il proprio lavoro si contrappone la predeterminazione dei risultati da conseguire: “ai conducenti di taxi non viene detto come o quale strada percorrere: essi sono soltanto informati sulla destinazione del proprio cliente”. • la standardizzazione delle capacità: si raggiunge il coordinamento dei comportamenti organizzativi “dotando” (o selezionando) le persone delle capacità e delle conoscenze strettamente collegate ai compiti che dovranno svolgere e ai risultati che dovranno ottenere. Alla luce di queste considerazioni è possibile sostenere che la gestione per obiettivi rappresenta una logica manageriale sostanzialmente applicabile ad organizzazioni il cui coordinamento risulti prevalentemente fondato sulla standardizzazione degli output. La diffusione del MBO è quindi da ricercare nelle condizioni storiche che hanno favorito lo sviluppo di organizzazioni che Mintzberg definirebbe di tipo divisionale. Come evidenziato nella figura a lato, la nascita di organizzazioni aziendali complesse è collocabile storicamente sul finire del XIX secolo negli USA. L’approccio strategico utilizzato da esse (sostanzialmente identificabile in una leadership di costo) si fondava su due elementi: -la sostanziale standardizzazione del prodotto; -la ossessiva standardizzazione dei processi produttivi. c) l’attuazione; d) la valutazione ed il controllo delle performance ottenute. SPIEGAZIONE DELLE SINGOLE FASI: La definizione degli obiettivi Vengono identificati i traguardi che ogni manager dovrà raggiungere nell’arco di un prescelto orizzonte temporale. Il corretto completamento di questa fase richiede: 1) un efficace coordinamento sia verticale (input da parte dei livelli gerarchici superiori) che orizzontale (input da parte dei manager di pari livello gerarchico). Occorre in altre parole che ciascun responsabile sia messo in condizione di identificare il contributo atteso da parte dei livelli superiori e nel contempo possa individuare i contributi attesi e richiesti da parte delle unità organizzative appartenenti al medesimo livello gerarchico. Ciò assicura la coerenza complessiva (orizzontale e verticale) del sistema di obiettivi; 2) la chiara definizione delle responsabilità di ciascuna posizione manageriale e la identificazione delle specifiche aree-chiave di risultato (key performance areas): le aree-chiave di risultato sono quelle aree altamente selettive della mansione di un manager nelle quali, per avere successo, egli deve raggiungere una prestazione di alto livello. Appare evidente che risulterà opportuno fissare obiettivi strettamente connessi alle aree di risultato identificate. 3) una analisi dello scenario di riferimento; in particolare una analisi che individui i punti di forza/debolezza e rischi/opportunità correlabili ad ogni area-chiave di risultato ed una formulazione di ipotesi di lavoro sui fattori “esterni” (potenzialmente condizionanti la performance del manager ma dallo stesso non governabili); tale percorso consente di minimizzare l’eventualità di fissare obiettivi irraggiungibili in aree particolarmente deboli, obiettivi eccessivamente appaganti in aree caratterizzate da un profilo speculare rispetto alle precedenti, o ancora obiettivi poco credibili perché fortemente condizionati da variabili non controllabili; 4) la stesura degli obiettivi: la corretta formulazione di un obiettivo comporta una precisa definizione dello specifico risultato da raggiungere (cosa), del periodo di tempo entro il quale tale risultato dovrà essere conseguito (quando) e della persona o unità organizzativa responsabile (chi). Gli obiettivi più idonei a favorire un’efficace diffusione del MBO devono presentare le seguenti caratteristiche: -essere il più possibile quantificati; -essere coerenti con ,’autorità di chi deve perseguirli; -essere flessibili, ovvero aggiornabili in relazione a mutate condizioni del contesto in cui sono stati definiti; -avere un significato inequivocabile e non essere pertanto soggetti a molteplici e differenti interpretazioni; -essere formalizzati; -“mettere in tensione” le persone responsabili del loro raggiungimento ovvero stimolarne il più possibile l’impegno e la creatività; -essere selettivi ovvero poco numerosi e, quindi, non dispersivi; -essere ordinati in relazione al loro grado di priorità; -essere compatibili orizzontalmente e verticalmente; -essere “importanti” ovvero essere direttamente correlati alle aree-chiave di risultato in precedenza identificate; un obiettivo “importante” deve comunque essere preso in considerazione anche se può essere difficile individuarne una misura di tipo quantitativo; sovente, infatti, si tende a privilegiare obiettivi facilmente misurabili anche se solo in misura modesta evocativi della bontà delle prestazioni ottenute; il contrasto con la logica del MBO è in questo caso evidente. Pianificazione dell’azione Questa fase del processo di MBO è finalizzata a determinare a priori come gli obiettivi in precedenza definiti siano raggiungibili. A tale scopo occorre: 1) pianificare gli obiettivi: ovvero individuare le linee d’azione più agevolmente praticabili e mirate al raggiungimento dei risultati prescelti; 2) allocare le risorse: devono essere correttamente identificate sia la tipologia che il fabbisogno di risorse collegato ai piani d’azione definiti al punto precedente; tali risorse devono successivamente essere rese disponibili ai manager responsabili; 3) adattare l’autorità agli obiettivi: ogni manager deve poter gestire in autonomia le risorse necessarie per conseguire gli obiettivi di cui è ritenuto responsabile; anche questa fase costituisce uno dei punti cardine del MBO e, di conseguenza, una delle sue più ricorrenti cause di insuccesso; è infatti evidente, a questo punto, che dovrebbe realizzarsi una perfetta sovrapposizione tra l’area degli obiettivi su cui il manager viene valutato e l’area di autonomia relativa alle risorse gestibili; la non perfetta aderenza tra le due aree produce inevitabilmente effetti indesiderati: -la divergenza tra area degli obiettivi ed area dell’autonomia decisionale fa si che gli eventuali risultati raggiunti dipendano solo in parte dalla bontà delle prestazioni del manager e siano, in realtà, influenzati da leve manovrate da altri; in tali circostanze, gli obiettivi prescelti non possono essere raggiunti dai responsabili o, in alternativa, vengono raggiunti in modo casuale; -queste stesse osservazioni risultano ancora più appropriate nel caso in cui l’area dell’autonomia decisionale costituisca solo una parte dell’area degli obiettivi prefissati; -quando, infine, l’area dell’autonomia decisionale si rivela più ampia rispetto all’area degli obiettivi, è lecito attendersi, da parte di ogni responsabile, una ottimizzazione dei risultati parziali su cui è valutata la propria performance accompagnata da una più o meno accentuata disattenzione nella gestione delle risorse che, pure gestite in autonomia, sono escluse dal processo di misurazione e valutazione dei risultati ottenuti. 4) realizzare opportune forme di coordinamento con altri manager al fine di verificare il grado di integrazione delle rispettive linee d’azione. Attuazione Vengono realizzati i piani d’azione definiti nella fase precedente. Valutazione e controllo Dal confronto sistematico e ricorrente tra obiettivi assegnati e risultati raggiunti da parte di ogni posizione manageriale emergono gli elementi di conoscenza che orientano il processo di valutazione della performance es ispirano l’attività di direzione d’impresa. Resta a questo punto da analizzare l’ultimo elemento del sistema di gestione per obiettivi. Si tratta dei meccanismi operativi finalizzati ad assicurare il funzionamento dell’intero sistema. L’adozione di una logica gestionale ispirata ai principi del MBO richiede un significativo riorientamento nella configurazione dei meccanismi di funzionamento più intimi dell’organizzazione aziendale quali: • i sistemi di pianificazione strategica; • i sistemi di programmazione e controllo; • i sistemi di ricerca, selezione ed inserimento del personale; • i sistemi di valutazione dei risultati; • i sistemi di retribuzione; • i sistemi di carriera; • i sistemi di addestramento e formazione; • i sistemi informativi; • i sistemi di decisione; • i sistemi di gestione dei conflitti. In una realtà organizzativa gestita secondo i principi del ;BO, infatti, non sarebbe ipotizzabile un sistema di incentivazione slegato dal grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati, un sistema di addestramento e formazione non orientato al problem solving, un sistema informativo non idoneo a supportare adeguatamente il processo di definizione degli obiettivi e di valutazione delle performance e così via. Il MBO rappresenta un sistema globale per la gestione d’impresa. Il MBO ed i sistemi di controllo direzionale L’efficacia del MBO dipende in larga misura dal grado di coerenza che esso manifesta rispetto ai meccanismi operativi che animano l’organizzazione. Lo sviluppo di una gestione per obiettivi non potrà avere successo qualora non venga reso disponibile il patrimonio di informazioni necessarie per definire gli obiettivi, formulare i piani d’azione, rilevare i risultati conseguiti. I sistemi di programmazione e controllo, per loro natura sono orientati ad elaborare ed erogare informazioni, rivestono un ruolo di primaria importanza nel processo di gestione per obiettivi. Per analizzare i punti di contatto tra MBO e sistemi di programmazione e controllo, si è ritenuto opportuno prendere le mosse del modello proposto da G. Brunetti. Secondo questo autore, i sistemi di controllo direzionale sono costituiti da tre elementi distinti pur se avvinti da relazioni di reciproca interdipendenza. Essi sono: - la struttura organizzativa del controllo, intesa come le modalità attraverso le quali vengono definite le responsabilità delle diverse unità organizzative sottoposte al processo di controllo; - la struttura tecnico-contabile, costituita dall’insieme degli strumenti che rilevano, elaborano e presentano le informazioni necessarie allo svolgimento dell’attività di direzione d’impresa; - il processo attraverso il quale tali informazioni vengono rese note ed utilizzate all’interno dell’organizzazione. La struttura organizzativa del controllo direzionale ed il MBO La struttura organizzativa del sistema di controllo è costituita dalle unità organizzative di cui si ritiene opportuno monitorare le prestazioni attraverso l’assegnazione di precise responsabilità. Le unità organizzative coinvolte nel processo di controllo vengono definite centri di responsabilità. Si intende per centro di responsabilità: una unità organizzativa che, sotto la guida di un responsabile, gestisce in autonomia determinate risorse e, svolgendo una serie di attività, ottiene risultati suscettibili di misurazione. Appare evidente che, al fine di monitorare le prestazioni dei differenti centri di responsabilità operanti all’interno di un’organizzazione, è necessario disporre di informazioni grazie alle quali formulare obiettivi (da assegnare ai vari centri) e valutare i risultati raggiunti (da parte di ogni centro). È importante osservare come tali informazioni non si riferiscono al corretto e ripetitivo svolgimento di attività predefinite; infatti, il meccanismo di coordinamento che ispira il concetto di centro di responsabilità non è la standardizzazione dei processi di lavoro, bensì la standardizzazione degli output. Pertanto le informazioni strumentali ad un corretto apprezzamento delle prestazioni dei centri di responsabilità sono orientate ad esprimere il consumo di risorse legato al raggiungimento di prescelti risultati. Le relazioni che legano la struttura organizzativa del controllo direzionale con le logiche del MBO sono a questo punto più chiare. In particolare, lo stesso concetto di centro di responsabilità (che costituisce l’unità elementare della struttura organizzativa dei sistemi di controllo) si identifica nelle unità organizzative cui i principi della gestione per obiettivi assegnano la responsabilità (nonché la corrispondente autonomia decisionale) del raggiungimento di determinati risultati. I sistemi di controllo fondati sul concetto di centro di responsabilità nascono per rendere disponibili agli organi cui è demandata la direzione d’impresa le informazioni necessarie a valutare la correttezza delle scelte delegate ai livelli gerarchici più bassi dell’organizzazione. ESEMPIO: consideriamo il responsabile del reparto di produzione XY. Tale reparto produce un solo articolo (K); è possibile definire a priori le risorse (materie prime, manodopera, materiali, ecc) necessarie per la produzione di ogni unità di K, mantenendo prescelti livelli di efficienza nell’impiego di tali risorse. Il valore monetario delle risorse necessarie per produrre una unità di K nel reparto XY è rappresentato dal costo standard corrispondente. Il miglior modo per valutare la performance del responsabile del reparto XY è verificare che il costo delle risorse utilizzate non sia superiore al costo standard preventivato. Nel caso in cui l’unità organizzativa sottoposta al processo di controllo: -non determini autonomamente il prezzo dei beni o dei servizi resi disponibili né il loro volume e, pertanto, non sia responsabile dei ricavi di vendita; -utilizzi in via prevalente tipologie di risorse per cui sia chiaramente identificabile a priori una relazione oggettiva tra input e output; appare corretto esprimere in termini di efficienza e, quindi, di costo (standard) la responsabilità ad essi attribuita. Si tratta, pertanto, di un centro di costo. I centri di spesa Come per i centri di costo, si tratta di unità organizzative i cui responsabili godono in genere di un’autonomia decisionale contenuta. Come i responsabili dei centri di costo, inoltre, essi possono gestire in modo discrezionale le risorse correntemente impiegate nello svolgimento delle proprie attività. Il valore delle risorse a questo scopo utilizzate è esprimibile in termini economico-finanziari ovvero in termini di costi. Ciò che tuttavia differenzia i centri di spesa dai centri di costo è il tipo di relazione che lega le risorse impiegate ed i risultati ottenuti o ottenibili. Infatti, mentre i centri di costo si caratterizzano per la presenza di relazioni definite ed oggettive tra input e output, le attività svolte nei centri di spesa non consentono di determinare a priori le risorse necessarie per raggiungere i risultati prescelti. In questa tipologia di centri, risulta talvolta impossibile valorizzare i risultati ottenuti. Il sintetico indicatore utilizzato per definire gli obiettivi e valorizzare le prestazioni di questi centri di responsabilità è costituito da un indice di spesa. L’attività di controllo esercitata su questi centri prescinde da qualunque considerazione in merito ai risultati raggiunti e si sostanzia nella verifica che le risorse consumate per lo svolgimento di definite attività non superino la spesa preventivata. ESEMPIO: consideriamo l’unità organizzativa cui è deputata la gestione della variabile pubblicitaria. È difficoltoso individuare i risultati in relazione ai quali valutare le prestazioni del responsabile di questa unità. Si potrebbe assumere come grandezza evocativa dei risultati ottenuti la variazione dei ricavi di vendita a fronte di una serie di campagne pubblicitarie; risulterebbe tuttavia facile obiettare che su tale variazione agiscono anche altre variabili quali il comportamento dei concorrenti, l’evoluzione del mercato e così via. In questo caso è oggettivamente impossibile determinare ex ante il fabbisogno di risorse strumentale al raggiungimento di determinati traguardi. Ciononostante, un dato ammontare di risorse viene destinato, attraverso il processo di budgeting, all’unità organizzativa considerata. Trattandosi di attività che non sono oggettivamente ricollegabili ai risultati ottenuti od ottenibili, l’unico modo per valutare le performance dei responsabili di questi centri è verificare che le risorse consumate non eccedano i limiti fissati in sede di budget, prescindendo da ogni apprezzamento riguardo ai risultati. Si può quindi concludere come il controllo su questi centri di responsabilità operi esclusivamente in via preventiva nel momento dell’allocazione delle risorse. Nel caso in cui l’unità organizzativa sottoposta al processo di controllo: -non possa essere valutata in relazione a risultati autonomamente raggiunti ed apprezzabili in termini economico-finanziari; -utilizzi in via prevalente tipologie di risorse per cui non sia chiaramente identificabile a priori una relazione oggettiva tra input e output; appare corretto esprimere in termini di rispetto dei limiti di spesa la responsabilità ad essa attribuita. Tale unità costituisce pertanto un centro di spesa. I centri di ricavo Anche i responsabili dei centri di ricavo godono in genere di un’autonomia decisionale non elevata. I risultati ottenuti dallo svolgimento delle attività di questi centri sono apprezzabili in termini economico- finanziari e, in particolare, in termini di ricavi di vendita. Di contro, le risorse gestite direttamente dai responsabili di centro sono non di rado trascurabili. Qualora il responsabile di questo tipo di unità organizzativa decida autonomamente in merito ai volumi, al mix ed al prezzo di vendita, il sintetico indicatore evocativo delle prestazioni raggiunte è costituito dai ricavi di vendita. L’attività di controllo, in questo caso si realizza nella verifica del raggiungimento di predefiniti risultati in termini di fatturato. Tale classe di centri di responsabilità, generalmente collocabili nell’area commerciale, viene qualificata come centri di ricavo. I centri di reddito Si tratta di unità organizzative i cui responsabili godono di un’autonomia decisionale in genere considerevole. Ad essi, infatti, è solitamente delegata la gestione di un’area di risultato (es. una divisione). Usualmente, i responsabili dei centri di reddito gestiscono in modo discrezionale sia le risorse correntemente impiegate nello svolgimento di attività in genere complesse sia i livelli di attività raggiunti. Rientrano, pertanto, nella loro sfera di autonomia i volumi, i prezzi ed il mix di vendita, i prezzi dei fattori produttivi utilizzati, i livelli di efficienza raggiunti, le risorse destinate ad attività di tipo discrezionale e così via. Qualora la loro autonomia decisionale non comprenda anche le decisioni concernenti il capitale investito, il sintetico indicatore utilizzato per definire gli obiettivi e valorizzare le prestazioni di questi centri di responsabilità è costituito da un indice di reddito. Risulterebbe infatti parziale e, addirittura, controproducente valutare le prestazioni di un responsabile di divisione solo in relazione ai livelli di fatturato raggiunti. Ogni incremento di costo, anche consistente, apparirebbe in questo caso giustificabile nella misura in cui induca un incremento, anche modesto, nei ricavi di vendita. Di contro, altrettanto controproducente si rivelerebbe una valutazione esclusivamente orientata ai costi. Ogni riduzione ottenuta in termini di costi, seppure minima, verrebbe perseguita ad ogni costo, a prescindere dalle conseguenze che questa potrebbe produrre in termini di minori ricavi di vendita. In realtà l’obiettivo da assegnare ad un responsabile di un centro di tale specie è realizzare la migliore combinazione tra ricavi e costi e, quindi, raggiungere il più elevato livello di profitto. La configurazione di risultato economico da privilegiare in sede di valutazione delle performance dei responsabili dei centri di reddito è ottenuta isolando i valori (positivi e negativi) di reddito direttamente controllabili da parte del responsabile; ogni altra configurazione risulterebbe in contrasto con il principio della controllabilità. Prima di concludere l’analisi in merito ai centri di reddito si ritiene doveroso accennare al tema dei prezzi di trasferimento. Il problema si presenta nel caso in cui taluni beni e servizi vengono “scambiati” o “trasferiti” da una unità organizzativa ad un’altra. Si pensi, ad esempio, ad un’azienda integrata verticalmente in cui i beni prodotti dall’unità Alfa (a monte) vengono successivamente utilizzati dall’unita Beta (a valle). Il prezzo di trasferimento dei beni in oggetto è quindi rappresentato dal valore figurativo attribuito a tali beni; La valorizzazione di questo scambio o trasferimento interno di beni genera dei componenti positivi di reddito per l’unità Alfa (venditrice) e dei componenti negativi di reddito a carico dell’unità Beta (acquirente). I prezzi di trasferimento possono influenzare la definizione della struttura organizzativa del controllo. In questo senso le situazioni di particolare rilievo sembrano essere due: 1) si faccia riferimento a due centri di reddito (es. due divisioni) tra cui si manifestino transazioni di beni o di servizi rilevanti e ricorrenti. In questo caso la valutazione delle performance dei due responsabili in termini di profitto si rivelerebbe incompleta a fuorviante se non venissero opportunamente valorizzate le transazioni esistenti tra le due unità organizzative. L’impiego dei prezzi di trasferimento appare necessario. 2) si consideri il caso di una unità organizzativa responsabile della formazione aziendale. Il tipo di responsabilità economica da attribuire a questa unità è sintetizzabile in un indicatore di spesa. D’altro canto, è ragionevole ritenere che i servizi erogati (sotto forma di corsi di formazione) alle altre unità organizzative abbiano un valore. Perché dunque non fare pagare un prezzo figurativo alle unità che fruiscono dei corsi di formazione? Il centro di formazione risulterebbe responsabile anche di componenti positivi di reddito generati attraverso la propria attività, prestandosi in questo modo ad essere qualificato come un centro di profitto. Com’è ovvio, il valore dei corsi di formazione erogati verrebbero addebitati (sotto forma di costi) alle unità organizzative utenti del servizio. I vantaggi di questa impostazione sono notevoli. In primo luogo si stimola il responsabile a contenere i costi del suo centro. In secondo luogo, il centro, per trovare gli “acquirenti”, dovrà fornire servizi che rispondono a precise esigenze aziendali e in più dovrà farlo nei tempi e nei modi richiesti dai centri “clienti”. In tal modo si attiva l’imprenditorialità del responsabile di centro e si possono evitare quelle spiacevoli situazioni dic entri di servizi che, pur generando costi molto alti, non soddisfano le esigenze aziendali per le quali sono stati creati. In questo senso i prezzi di trasferimento offrono l’opportunità di trasformare i centri di costo, di spesa e di ricavo in centri di reddito. I centri di investimento Si tratta di unità organizzative i cui responsabili godono di livelli di autonomia decisionale molto elevati. Oltre a tutte le leve governabili da parte dei responsabili dei centri di reddito, i titolari dei centri di investimento possono gestire in modo discrezionale anche il capitale investito strumentale all’ottenimento di prescelti risultati economici. I consideri, a titolo di esempio, un responsabile di divisione in grado di decidere autonomamente in merito agli investimenti in attivo circolante e in immobilizzazioni; è evidente che le sue performance non possono venire valutate avendo esclusivo riguardo il risultati economici. Qualora quindi nell’autonomia del responsabile rientrino anche le decisioni inerenti l’impiego di risorse finanziarie, è necessario che egli realizzi la migliore combinazione tra risultati reddituali e risorse impiegate per ottenerli. Conseguentemente, il sintetico indicatore utilizzato per definire gli obiettivi e valorizzare le prestazioni di questi centri di responsabilità è costituito da un indice di redditività. Tale indice è definito ROAM (return on managed assets) e deve essere costruito come segue: -isolando i componenti positivi e negativi di reddito direttamente controllabili da parte del responsabile; -isolando le componenti del capitale investito direttamente controllabili da parte del responsabile; -calcolando il rapporto tra la configurazione di reddito prescelta (primo punto) e la configurazione di capitale investito individuata (secondo punto). Così, ad ESEMPIO: • il responsabile di una divisione la cui autonomia decisionale comprenda: tutti i ricavi ed i costi che determinano il risultato operativo della propria divisione, e l’impiego di risorse che influenzano il capitale circolante operativo (crediti + magazzino + fornitori), verrà valutato in termini di redditività del capitale circolante operativo (return on working capital o ROWC); • il top management la cui autonomia decisionale si estende: a tutti i ricavi ed i costi che determinano il reddito netto aziendale, e l’impiego delle risorse che influenzano il capitale investito nonché le politiche di finanziamento presso terze economie, verrà valutato in termini di redditività dei mezzi propri (return on equity o ROE). RIASSUMENDO: Il disegno della struttura organizzativa costituisce un momento fondamentale nella progettazione dei sistemi di controllo direzione in quanto vengono individuati: -le unità organizzative da sottoporre al processo di controllo (centri di responsabilità); -gli ambiti di responsabilità ad esse attribuibili (principio di controllabilità);
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