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Dispensa Servizio sociale (Per gli esami di Principi e Metodi del servizio sociale, Prove d'esame di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale

Una buona dispensa per chi vuol ripetere prima degli esami. Gli schemi gli ho presi dal sito assistentisociali.org

Tipologia: Prove d'esame

2013/2014

Caricato il 17/05/2014

farfalla93
farfalla93 🇮🇹

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Scarica Dispensa Servizio sociale (Per gli esami di Principi e Metodi del servizio sociale e più Prove d'esame in PDF di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale solo su Docsity! 1 Dispensa per il “Servizio Sociale” Tratto dal sito “Assistenti sociali.org” Per gli esami di “Metodi e tecniche del servizio sociale” (prof. Rizzo) “Principi, fondamenti e organizzazione del servizio sociale” (prof. Marsella) 2 La nascita del servizio sociale La nascita del servizio sociale nel contesto europeo possiamo porla nel 1869 a Londra, attraverso la nascita del C.O.S. (Clarity Organization Societies), evoluzione dei friendly reformers (volontariato di tipo religioso) e dei social reformers. Attraverso questa organizzazione Ottavia Hill, volontaria nelle C.O.S., porrà le basi dei fondamenti concettuali ed etici del servizio sociale; ciò ebbe una certa influenza nello sviluppo del servizio sociale in territorio americano, dove il social work si sviluppò nelle C.O.S. locali e già alla fine del XIX sec., grazie all’operato di Mary Richmond, si poterono creare i primi corsi di formazione sia in Nord Europa, sia negli Stati Uniti. Bisognerà attendere il 1928 per la prima conferenza internazionale di servizio sociale, svoltasi a Parigi e coordinata da Renè Sand, al quale si deve l’impegno per la diffusione internazionale della promozione sociale; con tale conferenza presero vita i primi organismi associativi internazionali come il I.C.S.W. (International Council of Social Welfare) o il I.A.S.S.W. (International Association of School Workers) divenuto nel 1956 I.F.S.W. (International Federation of Social Workers). L’operato di Mary Richmond in particolare, attraverso i testi "Social Diagnosis" del 1917 e "What is Social Workers?" del 1922 porteranno all’introduzione di alcuni fondamenti della deontologia professionale, elaborati poi attraverso una metodolgia operativa centrata nel casework (family social work, medical social work, school social work e psychiatric social work). In tale periodo vi fu la creazione di due scuole: la diagnostica e la funzionale che però posero poca attenzione al legame tra persona e ambiente. Successivamente con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, venne dato un forte impulso al community work che attraverso la crisi del ’29 ebbe una marcata evoluzione, tanto da divenire, tra gli anni quaranta e cinquanta, uno dei metodi del servizio sociale; nello stesso periodo si svilupparono i metodi dell’organizzazione e amministrazione del servizio sociale e della ricerca applicata del servizio sociale, denominati indiretti e secondari mentre nel secondo dopoguerra, l’O.N.U. promosse un vasto scambio internazionale, diffondendo i metodi del servizio sociale statunitensi ai paesi europei maggiormente colpiti dalla guerra e dalle conseguenze del nazionalsocialismo e del fascismo: questo però porterà a una forte omogeneizzazione culturale, fortemente criticata dai movimenti contestativi sorti alla fine degli anni sessanta, periodo in cui vi fu una profonda revisione critica del servizio sociale e dei suoi metodi. Nel 1974 a Portorico si svolse l’Assemblea Generale dell’I.F.S.W.; qui vi fu conferma che i valori e i principi della professione non furono intaccati dal periodo della contestazione; con i decenni sucessivi ci fu una ripresa della produzione teorica e delle sperimentazioni sul campo. 5 Il Principio di Personalizzazione e Individualizzazione degli interventi L’unicità e la soggettività di ciascun utente-cliente deve essere riconosciuta dall’assistente sociale per poter effettuare un intervento adatto al soggetto. Le azioni dell’assistente sociale devono cioè essere rivolte ad un soggetto che ha un pensiero, una sensibilità, delle emozioni e delle potenzialità proprie dalle quali non si può assolutamente prescindere nel momento dell’intervento, che anzi sarà costruito proprio tenendo conto della specificità delle persone cui ci si riferisce. Una formulazione di Kant sottolinea come "nella propria persona e in quella di qualsiasi altro non si veda unicamente uno strumento ma sempre anche un fine". Con ciò egli intende che noi dovremmo trattare gli altri come esseri che hanno mete (ossia scelte e desideri), e non soltanto come oggetti o strumenti per i nostri fini. Si viene ad affermare così il valore assoluto dell’uomo come unico e irripetibile, considerato quindi un sé, per un fine e mai un mezzo. L’assistente sociale deve, perciò disporre di una conoscenza approfondita degli elementi teorici appartenenti a più aree scientifiche, necessari per l’interpretazione del comportamento umano. Ciò è essenziale per riuscire a mettere in atto una personalizzazione dell’intervento per promuovere autonomia e responsabilità. Il Principio del Rispetto e della Promozione della Globalità della Persona L’assistente sociale deve considerare e accogliere la persona come "unica e distinta da altre analoghe situazioni" e deve saperla collocare "entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente". È essenziale tener presente, appunto, che la persona vive all’interno di una fitta rete di relazioni tra diversi sistemi e che è, quindi, in stretto contatto con concetti di interdipendenza e continuità. È proprio nei rapporti con l’esterno, però, che le persone possono incontrare delle difficoltà che le portano ad una condizione di "crisi", infatti spesso il problema è proprio la rottura, la mancata integrazione fra le parti di cui sono composte, che minaccia la loro autonomia e distorce le relazioni sociali. Pertanto il compito dell’assistente sociale è quello di cercare di ricostruire tali legami per ricomporre prima di tutto l’unitarietà della persona. Il professionista deve tendere a riconoscere e valorizzare l’utente-cliente e presuppone una nuova visione dell’intervento che non si incentra sulla cura della patologia, ma sul potenziamento di funzioni - individuali e sociali - di apprendimento sociale, sostenendolo nell’uso delle risorse proprie e della società. In tal caso l’assistente sociale si ritrova a dover svolgere una funzione di raccordo e connessione di risorse. Il Principio di Autodeterminazione Riportando la definizione, data da un dizionario di lingua italiana, l’autodeterminazione è "l’atto secondo cui l’uomo si determina secondo la propria legge: espressione della libertà positiva dell’uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione"4. Tale principio può essere considerato quello che maggiormente identifica l’operato dell’assistente sociale e che lo contraddistingue principalmente dagli altri operatori. Poiché il servizio sociale valorizza la libertà come risorsa fondamentale, che deriva dal rispetto che va garantito ed assicurato alla persona, tale principio dovrà essere presente in ogni momento del processo di aiuto e in ogni relazione instaurata dall’assistente sociale. 6 L’utente-cliente, infatti, non è attore passivo nella relazione e nel processo di aiuto, ma ne deve essere il principale attore che si impegna attivamente, una volta consapevole delle proprie risorse, nel portare avanti, fase per fase, il proprio progetto personale per liberarsi dal suo bisogno. In questo progetto l’assistente sociale deve aiutare l’utente-cliente a procedere verso il raggiungimento degli obiettivi, ma non si deve sostituire a lui, per permettergli di prendere le sue decisioni in libertà e con responsabilità. Tale progetto, infatti, non può essere chiaro e definito fin dall’inizio, ma è compito dell’assistente sociale, prima di tutto, portare l’utente ad avere consapevolezza della situazione in cui si trova, per poi poter realizzare man mano ciascuna fase progettuale. Saranno necessarie delle fasi intermedie di rivisitazione degli obiettivi, che possono variare in base sia ai passi compiuti dall’utente, che anche da cause esterne, e quindi dai rapporti che magari vengono a instaurarsi nuovamente con l’esterno. Una maggiore presa di coscienza dell’utente, lo porta a crescere, a raggiungere la propria autonomia e anche a riconoscere le proprie responsabilità, in quanto cercherebbe di prendersi carico delle proprie problematiche e di affrontarle una per una con calma e consapevolezza dei propri limiti. L’assistente sociale, nella relazione di aiuto, deve promuovere le condizioni favorevoli per una riabilitazione con l’utente-cliente. Il processo di cambiamento non dipende solo dalla volontà della persona di intraprenderlo e quindi dalla maggior consapevolezza, ma è ottenuto da quel percorso da cui si è partiti, dal suo sistema di valori, per individuare ed attivare tutte le risorse possibili nel processo di cambiamento. Questo è un processo lento che richiede enorme pazienza, in cui l’assistente sociale si deve adattare possibilmente ai tempi degli utenti senza forzarli o affrettarli, riconoscendo i ritmi di ciascuno. Il Principio del Rispetto e della Promozione dell’Uguaglianza Tale principio deriva dal valore che ogni uomo è uguale ad un altro in quanto a dignità e a godimento dei diritti fondamentali, che porta l’assistente sociale a svolgere la sua azione professionale senza alcuna discriminazione di alcun genere ("di età, di sesso, di stato civile, di razza, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione mentale o fisica, o di qualsiasi differenza o caratteristica personale"). Questo principio, che si rifà sia agli articoli 1 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che all’art. 3 della Costituzione della repubblica Italiana, "non solo non nega le differenze, ma anzi da un’appropriata constatazione delle differenze, impone attività differenziate in modo che tutti possano disporre di pari opportunità e godere effettivamente di uguali diritti, in un’ottica di giustizia ed equità sociale" 5 . Il Principio della Riservatezza e/o Privacy e del Segreto Professionale Il Capo III del Titolo III del Codice Deontologico è interamente dedicato alla riservatezza e al segreto professionale. Temi molto importanti nella relazione che si instaura tra assistente sociale ed utente o cliente. Si sottolinea, infatti, che per la particolare natura del rapporto professionale, e cioè di fiducia che si viene a creare, l’assistente sociale deve trattare con riservatezza "le informazioni e i dati riguardanti" gli utenti e clienti, e "deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati, o dei loro legali rappresentanti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge" per l’uso o per la trasmissione di questi. 7 Come prima prerogativa si sottolinea che la riservatezza e il segreto professionale sono diritto dell’utente e del cliente e dovere dell’assistente sociale. Inoltre, si può ricordare che il "carattere fiduciario che viene instaurato con gli utenti", rappresenta da sempre, per gli assistenti sociali, un valore professionale prima che un obbligo, un dovere etico prima che giuridico. È importante, quindi, nell’ambito del rapporto fiduciario, la capacità di coinvolgere al massimo gli utenti nella scelta dei contenuti per le comunicazioni ad altri delle informazioni che li riguardano. Il SETTING del Servizio sociale Il setting è l’inquadramento, la cornice, la bussola del lavoro professionale. E’ composto da spazio, tempo, ruoli, compito e denaro. Il tempo definisce la durata del rapporto, dà la speranza nel cambiamento, ed è legato alla motivazione che può essere debole all’inizio e più forte man mano che si vedono i risultati. Il concetto di tempo va diversificato tra quelle che sono le urgenze (questione di vita o di morte) e quella che è la fretta (che spesso vuol dire non avre spazio per pensare). Lo spazio è il contenitore fisico, la condiziona ambientale dentro la quale si costruisce la relazione. Anche lo spazio mentale è fondamentale, è lo spazio della disponibilità autentica che è contenitiva per le persone che si sentono considerate. Lo spazio va predisposto adeguatamente affinchè ci sia la giusta tranquillità e la riservatezza del colloquio. I ruoli vengono stabiliti dall’istituzione che pone i limiti, le regole, le modalità di nintervento, e si fondano sull’assimetria tra l’ass.soc. e l’utente e l’ass.soc. ha il compito di usare le risorse adeguatamente e a contatto con la realtà, evitando 2 tendenze: o contro l’ente (a favore dell’utente) o contro l’utenza falsa (l’ass.soc. si identifica con l’istituzione) o Il mandato istituzionale prevede anche il ruolo di controllo che non è contro l’aiuto, ma è insito in esso. Se l’ass.soc. è consapevole il ruolo di controllo può essere utile anche all’utente. Il ruolo ideale dell’assistente sociale nei confronti dell’utenza è quello di una coppia che si allea in maniera sana affinche uno dei due (l’utente) possa utilizzare l’ass.soc. al fine di vedere aspetti del suo problema che non riesce a vedere da solo. Il compito nasce da una domanda oppure può essere definito istituzionalmente da leggi 10 il controtransfert devono essere tenuti ben presenti dall’assistente sociale, la quale deve mantenere sempre la consapevolezza degli effetti che un caso può avere sui processi interni, pensieri, fantasie e mondi profondi, sia personali che dell’utente, considerando che non può essere mai estraneo ai fatti che deve osservare e comprendere. Nel senso che l’operatore riconosce nell’altro parti di sé e ne coglie la sofferenza emotiva, ma ne deve evitare la collusione, cioè quando la vicinanza all’altro diventa eccessiva corre il rischio di non riuscire a diversificarsi in modo netto. Questo modello introduceva anche l’importanza del setting, cioè della necessità di creare uno spazio e un tempo precostituiti per garantire un intervento professionale adeguato. o Modello Problem Solving (H. Perlman) Questo modello, elaborato da Perlman, si sviluppò negli anni `40-`60 e trovava i suoi fondamenti teorici nelle teorie sia psicoanalitiche che nel cognitivismo. L’idea di fondo definisce l’uomo come un soggetto in uno stato di insoddisfazione perenne (bisogni), che per poter essere soddisfatto si ritrova a dover affrontare un continuo processo di soluzione dei problemi. Quando, però, l’efficacia personale e sociale iniziano ad incontrare delle difficoltà, la lettura del problema può essere limitata da una percezione distorta e dall’attivazione dei meccanismi ansiosi. In questa situazione si può creare un circolo vizioso in cui l’individuo non riesce a trovare delle soluzioni alternative al problema, causandogli un senso di impotenza e insolubilità. È per questo che l’aiuto esterno diventa importante ed essenziale per far ritrovare alla persona equilibrio e benessere. In tal caso il ruolo dell’assistente sociale consiste nell’aiutare l’utente ad analizzare il problema senza ansie e a differenziare il reale dall’immaginario, stimolando in lui nuove motivazioni ed energie ed insegnandogli ad usare le risorse disponibili in modo sempre diverso ed efficace. Il professionista deve accettare le difficoltà dell’utente sostenendolo anche quando non è capace di prendere delle decisioni autonomamente. Non sempre i fallimenti di una persona dipendono da lei, ma anche dall’ambiente sociale con cui interagisce e con cui l’assistente sociale deve entrare in contatto. L’ambiente, infatti, può diventare la fonte di molte informazioni non pervenute durante il colloquio individuale con l’utente, durante il quale l’operatore pone domande, fa commenti e dà informazioni. Le domande servono per appurare in maniera obiettiva i fatti. I commenti fatti dall’assistente sociale all’utente lo aiutano nella comprensione e nell’accettazione, nella rielaborazione e riflessione dei fatti. Le informazioni prettamente tecniche vengono fornite al cliente per permettergli di attivarsi e riuscire a soddisfare efficacemente il suo bisogno. o Modello Psico-Sociale (F. Hollis) Il modello psico-sociale (anni `30/`60), esposto da Hollis, rientrava nell’iniziale orientamento di stampo psicoanalitico e diagnostico del servizio sociale. Oggi tale ottica consiste essenzialmente in un approccio al servizio sociale attraverso la teoria dei sistemi. Questo modello non scinde la realtà psichica da quella sociale, ma ritiene che ciascuna situazione sia connotata da come l’individuo la vive. Infatti, l’assistente sociale oltre ad intervenire direttamente sull’individuo, inizia un lavoro sia con l’ambiente più vicino alla persona sia con le risorse e i servizi esterni ad essa. L’accento viene messo sulla psicologia della Gestalt, ossia sull’idea che il soggetto percepisce in ogni caso la situazione come un insieme unitario e agisce con lo scopo di rendere sempre completo tale insieme. Se 11 nel fare ciò fallisce, sperimenta tensione e frustrazione. Dopo aver effettuato lo studio del caso, si procede con la diagnosi e la valutazione, ossia si formula un giudizio professionale per poter scegliere il trattamento professionale più adatto. Questo modello riprende tutti gli aspetti del modello clinico, differenziandosi da esso per l’importanza che viene attribuita all’ambiente sociale e interpersonale dell’utente e agli interscambi che si verificano tra di essi, ossia il sistema. Lo studio psico-sociale non si ferma alla diagnosi clinica per individuare i fattori eziologici del problema, ma approfondisce i legami familiari e sociali e gli avvenimenti accaduti in passato che possono aver avuto delle ripercussioni sul presente. Si ricorda, però, che l’azione dell’assistente sociale è limitata a specifici settori di vita e non si avvale di tecniche che tentano di portare alla luce primissime esperienze inconsce e non sollecita transfert profondamente regressivi. o Modello centrato sul compito (W. REID, L. EPSTEIN) Questo modello sorto negli anni `70 dagli studi di Reid e Epstein, si rifà al problem solving, alle teorie cognitiviste e dei sistemi, a quelle analitiche e della comunicazione. I fautori di questo modello hanno ritenuto essenziale dare importanza alle relazioni sistemiche, considerandole come parte integrante per comprendere la problematicità della persona, ma su cui non è necessario intervenire. A differenza del modello problem solving, il focus di questo paradigma è il compito e/o contratto che l’utente stipula con l’assistente sociale. Lo scopo è quello di permettere alla persona di responsabilizzarsi nell’affrontare i problemi che lo riguardano, aiutandolo a svolgere, mediante processi di apprendimento sociale, dei precisi compiti guidati. Pertanto, l’utente diventa un protagonista attivo nel processo di cambiamento, acquisendo una maggiore autostima e consapevolezza di sé. Questo tipo di intervento fa sì che la persona impari ad affrontare i problemi autonomamente, garantendo un’efficacia persistente dell’intervento. L’assistente sociale durante il primo colloquio rileva le difficoltà non chiare all’utente per poi diagnosticarne il problema. Dal secondo colloquio inizierà col chiarire all’utente i problemi da lui presentati per poter stipulare un contratto orale e/o scritto, aperto nel tempo alle modifiche, in cui si rende disponibile a degli incontri periodici con l’operatore. In questo contratto vengono specificati gli obiettivi che si vogliono raggiungere, quindi la risoluzione del/i problema/i e i compiti generali e operativi da svolgere. L’operatore ha il compito di sostenere il cliente durante tutto il periodo di cambiamento aiutandolo nell’analisi e nella rimozione degli ostacoli e nella rielaborazione delle sue azioni e degli eventi. o Modello Esistenziale I fautori di questo modello, Germain e Gitterman, che lo svilupparono nel 1965 rifacendosi alle teorie ecologiche applicate alle scienze umane, ripresero il concetto di adattamento tra persona e ambiente. Quando si parla di adattamento ci si riferisce alla capacità della persona di modificare le condizioni ambientali per adeguarle ai loro bisogni e nel contempo adeguare se stesse all’ambiente, evolvendosi. Il focus dell’intervento resta sempre l’individuo, ma l’assistente sociale deve porre attenzione anche alla prospettiva ecologica (la politica, l’economia, le tendenze demografiche ecc.) per comprenderne i meccanismi e innescare in essi un processo di cambiamento, che possa favorire l’evolversi della situazione problematica. Il processo di aiuto dall’inizio alla fine è guidato dalla valutazione dell’interazione, comprendente l’Ente come contesto 12 ecologico. Per questo modello è importante capire il significato dell’influenza delle forze più adeguate alla persona e al problema-bisogno-obiettivi-valutazione delle funzioni manifeste e latenti, piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sulla causa- effetto. L’ambiente, infatti, è inteso come un complesso di strati e strutture, in cui i primi includono l’ambiente fisico e quello sociale (reti sociali ed organizzazioni burocratiche); le strutture, invece, sono date dallo spazio e dal tempo. o Modello Cognitivo Nasce negli anni `60/`70 e prende lo spunto dal comportamentismo, secondo il quale ad ogni stimolo ne consegue una risposta e tra lo stimolo e la risposta si va ad introdurre il cognitivismo. Questo è legato all’evolversi, in quel periodo, degli studi sui calcolatori, ossia i ricercatori, rifacendosi al funzionamento del cervello umano, iniziarono ad elaborare ipotesi per la realizzazione di un’intelligenza artificiale. La funzione dell’assistente sociale si concentra sul sintomo e sull’interruzione del meccanismo perverso che non permette alla persona di svolgere nuove azioni più efficaci al suo benessere personale. I fatti vanno capiti, per fare questo si usa la cognizione. I sentimenti vanno rivisitati, non vanno annullati, questo processo di revisione sui propri comportamenti porta ad azioni nuove che modificano le risposte comportamentali precedenti. Le azioni umane viene intesa come il prodotto di una scelta connessa alle conoscenze e alle intenzioni, sono eventi con uno scopo ed una meta. Un assistente sociale che lavora con questo modello ha il compito di facilitare la revisione di nuovi scopi e la creazione di un nuovo ciclo. Gli strumenti di cui si avvale oltre al colloquio e al contratto, si incentrano soprattutto sulle tecniche di condizionamento operante. Queste tecniche permettono di far si che l’utente inizi ad acquisire, rafforzare, indebolire o estinguere un determinato tipo di comportamento magari in precedenza deviante.  Modello Unitario (H. Goldstein) Negli anni `70 non solo nelle scienze sociali, ma in tutte le scienze umane, si sviluppò l’approccio olistico 3 , unitario, complessivo. Questo modello avevo lo scopo di garantire l’unitarietà del servizio sociale nei suoi metodi e tecniche, come intreccio di interventi diretti alla persona e al suo ambiente in un processo costante di contestualizzazione della dimensione istituzionale e organizzativa e della dimensione territoriale. Viene sorpassata del tutto la concezione che non vi sia influenza tra gli individui e l’ambiente, ma si ritiene che vi sia interazione tra loro. In quegli anni gli assistenti sociali intervenivano in molte situazioni collettive, iniziarono a considerare la persona nella sua globalità, nelle varie situazioni micro e macro. Il ruolo dell’assistente sociale si enfatizza sui diritti dei cittadini e sulle capacità negoziali, da ciò ne consegue che l’approccio dell’assistente sociale deve essere unitario, in quanto la realtà con cui si confronta viene a configurarsi come un insieme di fattori ad elevata interdipendenza, che vanno affrontati con una visione globale. Si parla dell’importanza del territorio come ambito di mondi vitali, culture, area dei bisogni, ma anche di risorse. Si accentra la dimensione, si fa l’analisi del campo su cui si opera e si lavora con approcci metodologici integrati, si lavora per progetti. 15  la tenuta della famiglia come luogo di cura rispetto alla tendenza nel resto dell’Europa;  l’espandersi di un sistema diffuso di solidarietà secondaria (cooperative sociali, gruppi informali di mutuo aiuto, associazioni di volontariato, ecc.);  la progressiva estensione della pratica di collaborazione fra servizi diversi e fra operatori di diversa estrazione e dipendenza amministrativa, nella presa in carico dei casi più gravi. Il concetto di rete 4 suggerisce come metafora della realtà un reticolo di punti di diverso addensamento, che sono posti tutti sullo stesso piano senza alcuna subordinazione reciproca. Le reti si dividono in:  reti primarie, cioè che si caratterizzano per i vincoli di parentela, vicinato e amicizia tra le persone che di un’unità di vita sociale;  reti secondarie, che nello specifico si dividono in informali (gruppi che si organizzano dall’apertura della rete primaria verso un ambiente comune più ampio) e formali (il complesso dei servizi pubblici e privati, finalizzati alla cura della persona). L’assistente sociale fornisce un’attenta valutazione del contesti culturali e valoriali del territorio, identificando le diversità e le molteplicità come una ricchezza da salvaguardare e da difendere. Nella prospettiva della logica assistenziale conosce i soggetti attivi del campo sociale, sia pubblici che privati, promuovendo la collaborazione delle risposte articolate e differenziate. Il territorio diviene il luogo privilegiato, come nella progettazione, perché potenziale rete di reti, perché incrocio di rapporti e relazioni. L’operatore deve saper capire e valorizzare ciò che accade, rispetto alle proprie aspettative e valutazioni, ponendo la sua attenzione sulle problematiche che possono sorgere nei processi di rete, più che quelle individuali. L’operatore può orientare la vita di relazione della rete, in modo non direttivo, cioè adeguandosi ai tempi e ai modi delle reti stesse. Operare in modo non direttivo favorisce l’empowerment degli individui coinvolti. Tale concetto costituisce la base del lavoro di rete. Il senso di autoefficacia del destinatario dell’azione d’aiuto appare ancor più cruciale quando la relazione non è duale, ma mira ad attribuire potere al sociale, quindi alla pluralità delle persone in connessione. L’osservazione della rete è, dunque, un passaggio obbligato nel lavoro per progetti per capire le persone e le loro difficoltà, per aiutarla in un processo di consolidamento. La rete viene quindi considerata come progettazione di percorsi interattivi e condivisi per rendere le persone soggetti attivi della propria vita, diffondere la cultura della partecipazione e delle solidarietà e affrontare il disagio in un’ottica non settoriale. La formazione, o meglio il riconoscimento dell’appartenenza ad una rete è l’effetto più significativo dell’azione esplorativa dell’operatore. Tale processo si sviluppa fino ad ottenere il consolidamento dell’appartenenza dei singoli con la totalità, mediante un processo graduale di presa di coscienza dell’esistenza di determinate relazioni e dei rispettivi vincoli. 16  OBIETTIVI Il Servizio Sociale ha come obiettivo quello di aiutare la persona o la collettività a risolvere i problemi attraverso il cambiamento delle situazioni usando le capacità delle persone coinvolte e le risorse disponibili. Gli obiettivi vengono scelti in base ai mezzi, alle risorse, in base alle conoscenze teoriche sull’uomo e sulla società, in base ad alcuni valori guida. Gli obiettivi possono essere generali o specifici, tesi ad un cambiamento a livello individuale, collettivo, istituzionale e delle politiche sociali. 1. Creare raccordi tra bisogni e risorse:  attivando un sistema di aiuto intorno ai problemi del singolo e della collettività  favorendo e migliorando i rapporti e le relazioni tra gli individui e fra gli individui e i sistemi di risorse  rendendo l’ambiente di vita delle persone promozionale ed educativo per persone e gruppi 2. Aiutare le persone a sviluppare conoscenze e capacità per affrontare e risolvere i propri problemi assistenziali con senso di responsabilità e autonomia attraverso l’attivazione delle proprie risorse personali, familiari e con quelle predisposte dalla società 3. Aiutare la collettività a:  individuare i propri bisogni  attivare le reti di solidarietà naturali, i processi di partecipazione, il volontariato organizzato al fine di creare nuove risorse per la soluzione di problemi individuali e collettivi 4. Progettare, organizzare, gestire i servizi e le risorse in mdo personalizzato e non emarginante, perchè siano veramente corrispondenti i bisogni individuali e collettivi 5. Evidenziare, studiare e analizzare i problemi collettivi al fine di contribuire alla progettazione e alla realizzazione di un adeguato sistema di servizi nell’ambito delle linee guida delle politiche sociali nazionali e locali 6. Lavorare per l’uguaglianza delle opportunità per ogni utente  FUNZIONI CURATIVO RIPARATIVA Questa funzione viene attivata con persone o gruppi che chiedono aiuto a causa di bisogni complessi, sotto il profilo fisico, psichico e sociale. E’ prevista l’attivazione le risorse personali, istituzionali e comunitarie al fine di avviare il processo di cambiamento e il raggiungimento dell’autonomia. ORGANIZZATIVA-GESTIONALE E’ una funzione propria delle organizzazioni che devono adeguare i servizi e le prestazioni attraverso la lettura dei bisogni e della domanda sociale, nell’ottica del potenziamento delle risorse. PREVENTIVO PROMOZIONALE Questa funzione è proiettata verso l’esterno dell’organizzazione, e vuole favorire i processi di integrazione tra servizi, la cooperazione, lo scambio sistematico delle informazioni, il cambiamento delle politiche sociali in base 17 all’evoluzione dei bisogni, la crescita della solidarietà comunitaria, l’analisi costante e il monitoraggio dei fenomeni sociali. E’ una funzione importante perchè consente di raccogliere le informazioni indispensabili per operare scelte programmatiche dei servizi e del sistema istituzionale. Poi ci sono delle funzioni condivise con altre professioni: o programmazione, organizzazione e gestione di servizi sociali; o attività di indagine, studio, ricerca, monitoraggio e documentazione. LEGGE 328/2000: REALIZZAZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Il sistema di sicurezza sociale italiano è stato interessato, a partire dagli ultimi 30-40 anni, da un processo di rinnovamento che ha interessato sia il livello delle competenze amministrative che quello delle modalità di intervento degli attori chiamati in causa nella gestione ed erogazione dei servizi. Tale processo ha avuto inizio negli anni ’70 con l’istituzione delle Regioni. Successivamente con il D.P.R. 616 del 1977 si realizzò il decentramento cioè il trasferimento, alle Regioni, delle funzioni amministrative e in particolare con l’attribuzione, ai Comuni, delle funzioni di organizzazione dei servizi sociali. Ulteriori innovazioni vennero introdotte negli anni 90 e in particolare con la prima legge Bassanini (L. n°59 del 1997) che introdusse il principio di sussidiarietà in base al quale le decisioni vengono prese dall’organo di governo più vicino ai cittadini (il Comune) e cioè da quello che è maggiormente in grado di interpretare i bisogni e le risorse della comunità territoriale di riferimento. Tale principio ha portato allo sviluppo di modelli organizzativo- istituzionali che attribuiscono ai Comuni la titolarità delle funzioni amministrative riguardanti i servizi sociali e che valorizzano la collaborazione tra pubblico e privato. Questo quadro di ridefinizione del rapporto Stato-Regioni- Enti locali è stato completato attraverso l’introduzione della Legge Quadro di Riforma dell’assistenza, la L. 328 del 2000 e dalla Riforma del Titolo V della Costituzione (L. 3 del 2001). I cambiamenti apportati La legge n° 328 del 2000 –“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” ha ridefinito il profilo delle politiche sociali apportando tutta una serie di elementi di novità. Questa legge si colloca in un vuoto legislativo di oltre 110 anni in cui è mancata una regolamentazione organica dei servizi socio-assistenziali. Prima della 328, infatti, solo la Legge Crispi del 1890 aveva costituito la norma organica di riferimento per l’assistenza sociale. Tra le due norme numerosi sono stati i cambiamenti e le riforme ma solo con la legge del 2000 si è giunti alla creazione di un quadro normativo unitario valido per l’intero territorio nazionale. Essa ha innanzitutto segnato il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità costituita anche dalle sue risorse e dal suo contesto familiare e territoriale; quindi il passaggio da una accezione tradizionale di assistenza, come luogo di realizzazione di interventi meramente riparativi del disagio, ad una di protezione sociale attiva, luogo di rimozione delle cause di disagio ma soprattutto luogo di prevenzione e promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità. 20 L’assistente sociale costruisce il processo di aiuto evidenziando i problemi, promuovendo le risorse personali, istituzionali e collettive, raccordando bisogni e risorse, gestendo prestazioni e servizi. Il processo di aiuto si trova nell’interazione tra operatori, utenza e servizi e si realizza nel contesto normativo e organizzativo messo in atto da strutture pubbliche e private. I soggetti coinvolti nel processo di aiuto sono: o L’utente che pone il problema e chiede l’intervento; o l’assistente sociale che accoglie, ascolta, attiva le risorse; o il servizio che mette a disposizione risorse; o le persone significative nell’ambiente di vita della persona; o la comunità che legittima il mandato dell’ass.soc. e che offre le risorse del terzo settore. Gli obiettivi del processo di aiuto sono: o aiutare la persona o il gruppo a capire la propria situazione problematica; o trovare soluzioni per uscire dal problema affinchè l’utente riacquisti la sua autonomia; o utilizzare tutte le risorse possibili, promuovendo le capacità personali, familiari, risorse della comunità, etc. E’ bene ricordare che il processo di aiuto si fonda su: o basi etiche (valori e principi); o basi teoriche (teorie e scienze); o basi tecniche (metodologia ed organizzazione). Il processo di aiuto è articolato in una serie di fasi metodologiche che consentono di organizzare il lavoro in modo logico: o individuazione del problema e presa in carico; o analisi del problema; o valutazione preliminare del problema e stesura degli obiettivi dell’intervento; o elaborazione di un progetto e del contratto; o attuazione del progetto d’intervento; o verifica e valutazione dei risultati ottenuti (in itinere e a conclusione); o conclusione del processo di aiuto (o eventuale formulazione di un nuovo progetto). In tutte le fasi l’assistente sociale coinvolge l’utente perchè la sua partecipazione al processo di aiuto è indispensabile al fine di favorire il cambiamento, la consapevolezza e la responsabilità della persona. Inoltre è bene ricordare che le fasi metodologiche non sono sempre identificabili perchè la loro disposizione nel tempo può subire delle variazioni in base ai singoli casi. Le verifiche in itinere sono fondamentali per orientare e ridefinire gli interventi in funzione degli obiettivi e dei risultati attesi.  Rapporto Assistente sociale - utente La qualità di un buon lavoro per l’assistente sociale è quello di porsi in una buona e consapevole relazione. 21 Il primo incontro tra l’assistente sociale e l’utente è un’esperienza nuova con una persona unica e sarà influenzata dall’atteggiamento di entrambi i soggetti coinvolti. Ogni persona suscita qualcosa nell’assistente sociale al primo impatto, e dell’altro lato l’utente porta con sè le sue aspettative. Ogni nuovo utente propone una situazione nuova, forse mai vista, e quindi bisogna evitare di incasellare le persone rispetto a situazioni viste in precedenza. E’ importante non etichettare o banalizzare il bisogno di cui l’altro è portatore Atteggiamenti dell’assistente sociale da assumere: o interessato come se fosse il primo caso e non inquinato da preconcetti; o curioso di capire; o attento; o disponibile. Atteggiamenti dell’assistente sociale da evitare: o assumere un ruolo parentale che fa perdere le distanze e fa scattare un atteggiamento di delega da parte dell’utente; o assumere un ruolo da benefattore che si precipita in aiuto senza fare un’adeguata analisi della situazione, che vuole dimostrare di essere zelante; o assumere un ruolo acquiescente: dietro la cortesia e la buona educazione non può esserci un rifiuto ad affrontare veramente i problemi; o rigidità teorica che fa incasellare le persone nelle teorie lette sui libri come se le confermassero. Aspettative dell’utente: - SUGLI ASS.SOC. IN GENERALE: c’è un immaginario collettivo della figura dell’ass.soc., ad esempio sono quelli che portano via i bambini, oppure si legge sul giornale di finti assistenti sociali che rubano nelle case con l’inganno, oppure c’è una confusione sulla terminologia per cui si confondono con gli assistenti alla persona. - SUL SINGOLO PROFESSIONISTA: si forma un’idea che ci siano ass.soc. più o meno bravi e a volte si vede nel giorno del ricevimento in cui alcuni professionisti hanno la coda fuori dalla porta e altri no. Le aspettative dell’utente sono spesso contradittorie ma conviventi: o il pensare che non cambierà nulla, per non illudersi, per mantenere una certa razionalità; o la speranza che provando possa esserci un cambiamento, che è la strada giusta per risolvere il problema. Ci sono tre modi che l’utente propone per risolvere più velocemente il problema: 1. suggerire o imporre all’ass.soc. di fare delle azioni concrete; 22 2. affidarsi totalmente all’ass.soc., dando poche informazioni rispetto al problema e negando una loro collaborazione; 3. molti usano i professionisti per rovesciare sulla loro testa tutto il loro vissuto, hanno bisogno di sfogare la loro frustrazione e poi si sentono meglio. Fortunatamente ci sono persone che escono da queste tre categorie, che vogliono cambiare la loro vita. Il loro desiderio va colto, bisogna ascoltarle per percepire una risposta: sono le persone della gratitudine, e la gratitudine è un termometro della salute mentale delle persone. Ci vuole fiducia per mostrare le parti meno belle di noi stessi perchè generalmente si prova vergogna, c’è la paura di trovare un atteggiamento moralistico in chi ascolta. Il ruolo dell’ass.soc. è quello di ascoltare il latente, capire i bisogni materiali, ma anche le ansie, il dolore, tutti gli atteggiamenti, la complicità. Tracciamo una sintesi del rapporto tra assistente sociale e utente: 1. E’ necessario avere un rapporto curioso, aperto, non inquinato da preconcetti; 2. E’ bene osservare e annotare tutto quello che avviene negli incontri tra ass.soc. ed utente (come un esploratore); 3. Bisogna pensare all’unicità della persona, cercando di capire come procede per risolvere i problemi e perchè ha posto la questione all’ass.soc.; 4. Lo strumento più adeguato è l’ascolto, non solo delle parole, ma anche di quello che sta dietro (fantasie, aspettative, dolori) per far vedere all’utente quello che non vede da solo; 5. Non avere l’ansia di dare risposte, soluzioni, ma è necessario capire e pensare; 6. Ascoltarsi come operatori, capire come ci si sente, che sentimenti si proiettano nell’utente. E’ importante darsi tempo per ascoltarsi e contenersi; 7. Utilizzare strumenti del confronto e della supervizione per capire e capirsi; 8. Riconoscere che non si possono aiutare tutti: se la persona non desidera fare qualcosa per sè o non può le soluzioni si limitano; 9. L’ass.soc. ha un ruolo importante per le persone che hanno bisogno, ha il potere di dare o non dare, di ascoltare o non ascoltare. Conclusione del rapporto con l’utente: E’ necessario dare un termine per evitare la dipendenza, ed è un momento che va preparato. La capacità di separarsi necessita allenamento sia per l’utente che mette in atto delle resistente (fugge in avanti oppure esprime nuovi problemi all’ultimo minuto), ma anche per l’ass.soc. che deve pensare alla persona nel futuro. Può aiutare pensare all’idea della valigia in cui si porta fuori dal servizio quello che si è imparato e i propri progressi. 25 4. TEORICI: per fare un colloquio è necessario conoscere le teorie e le scuole sottese alla tecnica del colloquio. IL COLLOQUIO PSICO-SOCIALE Il colloquio è un incontro tra due persone, una relaziona dialogica, in cui l’ass.soc. conduce, ma l’utente decide i contenuti. Il colloquio dipende dall’utente, ma l’ass.soc. tiene il filo conduttore attraverso il setting (tempo, spazio, ruolo, compito). In modo particolare il PRIMO COLLOQUIO è importante per mettere le fondamenta alla relazione professionale. In esso si devono cogliere: o le motivazioni che hanno spinto la persona a chiedere aiuto o chiarire gli scopi dell’utente e il ruolo dell’ass.soc. o creare una condizione di fiducia, eliminando i timori dell’utente Lo scopo del colloquio è capire il problema, vedere come la persona lo affronta o perchè non ci riesce. ASCOLTARE: Fare un buon colloquio è molto faticoso perchè l’essenza del problema si coglie nelle sfumature. Se è fatto bene, gli utenti mandano un rimando immediato, perchè è un’esperienza abbastanza eccezionale quella del parlare di sè senza essere giudicati. Attraverso l’ascolto l’utente apprende qualcosa di sè, può tendere al cambiamento e avviare un effetto terapeutico. LE FASI DEL COLLOQUIO: o FASE SOCIALE: è la fase di accoglienza, in cui si mette l’utente a proprio agio; o FASE DI INDAGINE: è la fase in cui si cerca di dare un nome al problema; o FASE INTERATTIVA: è la fase in cui si cerca di definire i soggetti coinvolgibili nel processo di aiuto, soprattutto del sistema familiare; o FASE DI DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI: è la fase in cui si fissano gli obiettivi da raggiungere e la definizione dei compiti. TECNICA DEGLI EMERGENTI: 1. tenere a mente la prima cosa significativa che l’utente dice; 2. fare domande sul primo emergente, indirizzando il colloquio sul quello; 3. capire se cambia qualcosa, se dice un’altra cosa importante: il secondo emergente; 4. tenere presente quando termina il colloquio, cosa viene detto di importante negli ultimi cinque minuti. Finito il colloquio si collegano i tre emergenti e ci si fa un’idea in base al materiale a disposizione. 26 COSA NON DEVE FARE L’ASSISTENTE SOCIALE: 1. entrare nel colloquio facendo riferimenti personali; 2. ostentare conoscenze, fare il mago, essere narcisista; 3. indagare nella vita altrui su cose che non servono: la persona deve capire peprchè si fanno le domande; 4. mettere a posto le persone che urlano: è bene invece aspettare che si calmino evitando di sostare in luoghi di passaggio. I SILENZI: Gestire i silenzi non è semplice, spesso l’ass.soc. parla per coprire il silenzio dell’utente, ma è invece necessario dare un significato a quel momento. Alcuni autori, come Rogers, indicano di non fare domande dirette, ma di incoraggiare la persone e farle intendere che c’è attenzione nei suoi confronti, ad esempio con cenni del capo. Può essere utile riprendere le ultime parole dette, oppure l’ultima frase per far riprendere il discorso. TERMINE DEL COLLOQUIO: E’ importante rispettare l’orario, perchè l’ass.soc. non ha risorse infinite di concentrazione. A volte l’utente inizia un discorso importante negli ultimi cinque minuti a disposizione, e in questi casi è bene fissare un nuovo appuntamento. E’ utile osservare come la persona chiude il colloquio, perchè è in piccola misura un modo per vedere come reagiscono alla separazione (c’è chi vuole troncare, chi vuole prolungare, chi vuole decidere il tempo del colloquio). Per l’ass.soc. è essenziale verificare alla fine del colloquio le proprie emozioni e raccogliere le informazioni in modo organico.  Visita domiciliare E’ uno strumento usato dall’assistente sociale e deriva dalla pratica medica che consiste nel visitare il bisognoso a domicilio. La storia antica dell’ass.soc. si fonda sulla visita domiciliare delle donne che portavano aiuto a casa, per far sentire l’interessamento, la vicinanza, l’accettazione attraverso una certacontaminazione con il mondo misero e degradato. Il povero non andava in ufficio, la miseria era molto diffusa e gli unici punti di riferimento le chiese ed i conventi dove la gente si recava per chiedere da mangiare. Le società di mutuo aiuto, i primi sindacati si organizzavano capillarmente nelle case dei lavoratori. Solo nel 1936 lo Stato organizza gli Enti Comunali di Assistenza soprattutto nelle città. Negli anni ’70 si era messa in discussione la visita domiciliare perchè il servizio sociale si era ritirato, affidando il controllo alle forze dell’ordine. 27 Il vigile urbano utilizzava quindi la visita domiciliare per accertare qualsiasi richiesta, anche la consistenza patrimoniale, per valutare l’erogazione di servizi, sussudi e alloggi. Oggi l’ass.soc. si reca a casa per capire meglio la situazione, per avere informazioni dirette sul contesto abitativo, familiare e sullo stile di vita dell’utente. L’accertamento e il controllo sono oramai d’ufficio e quindi la funzione di controllo dell’ass.soc. com’era in origine viene meno. Oggi ci sono categorie di persone che non possono recarsi dall’ass.soc. per malattia od altri motivi e hanno quindi bisogno di una visita. La visita domiciliare è un colloquio svolto in un luogo diverso dall’ufficio, il cui setting è quindi modificato e influisce sulla relazione e sui tempi. Le persone che ricevono la visita possono farsi delle fantasie, chiedersi cosa pensa il visitatore della loro casa, possono sentirsi umiliati, possono sentirsi invasi o diventare più dipendenti dall’ass.soc. E’ necessario che sia chiaro lo scopo della visita ed è anche opportuno fissare un appuntamento per farsi aspettare a casa dall’utente. A volte anche l’ass.soc. può sentirsi fuori posto e si fa accompagnare da un altro operatore, però per l’utente può essere un problema e creare ansia. L’ass.soc. deve aggiornarsi sugli usi e costumi delle persone che andrà a visitare soprattutto se sono stranieri. TAPPE DELLA VISITA DOMICILIARE: 1. avvisare per tempo le persone e con precisione (giorno, ora, per quanto tempo e in quanti) 2. sopportare i convenevoli dell’ospitalità 3. non iniziare il colloquio fino a quando sono tutti tranquilli 4. iniziare il colloquio 5. concludere definendo con precisione cosa è stato capito, dedotto, fatto 6. è utile lasciare alla persona un foglio con le cose da fare Di ogni visita domiciliare vanno valutati vantaggi e svantaggi, e definiti gli obiettivi.  Contratto Si può definire un chiaro contratto con l’utente solo dpo un’attenta valutazione dei bisogni, i vincoli, le risorse e gli attori coinvolti. E’ uno strumento importante per definire un accordo tra ass.soc. e utente, in cui si chiarisce il problema, si esplicitano gli obiettivi da raggiungere, si definiscono i compiti di ciascuno. E’ un impegno chiaro sia per l’operatore che mette in campo delle risorse, sia per l’utente che viene riconosciuto come soggetto attivo del processo di aiuto. L’utente attraverso il contratto viene reso partecipe e protagonista in prima persona poiché vengono stimolate la sua capacità di agire e le risorse residue. Il contratto ha l’obiettivo di responsabilizzare l’utente ed evitare la delega completa all’assistente sociale. 30  Il Codice Deontologico contiene le esigenze etiche di una professione; costituisce il suo elemento di identità, lo strumento attraverso il quale un professionista si presenta alla società e contestualmente lo strumento che orienta e guida il professionista nelle scelte di comportamento, nel fornire i criteri per affrontare i dilemmi etici e deontologici, nel dare pregnanza etica alle azioni professionali. Si tratta di un Codice incentrato tutto sulla responsabilità di una professione a servizio delle persone, delle famiglie, della società, dell’organizzazione di lavoro, nonché dei colleghi e della professione stessa. Il codice deontologico è il documento vincolante a cui gli assistenti sociali devono fare riferimento nel loro lavoro, in particolare nel processo di aiuto alle persone, ai gruppi, alle comunità. E’ uno strumento essenziale di garanzia per l’utente, per l’operatore e per l’ente in cui egli è collocato. Il Codice Deontologico da unità all’agire professionale e dovrebbe sostenere il senso di appartenenza alla comunità professionale. L’Organizzazione nel servizio sociale L’organizzazione è un complesso ordinato di beni, di persone, di norme finalizzato alla produzione, all’erogazione, alla realizzazione di un qualche cosa. Il termine organizzazione rimanda al concetto di predisposizione delle misure opportune per il buon funzionamento di una determinata realtà produttiva o di servizio. L’organizzazzione è caratterizzata da: o fine: la situazione desidearbile futura che l’organizzazione cerca di realizzare. Il fine giustifica le attività e l’esistenza stessa dell’organizzazione; o efficienza: grado con cui l’organizzazione arriva al raggiungimento del fine; o efficacia: definisce il rapporto tra risultati e mezzi impiegati per ottenerli, è la valorizzazione delle risorse per raggiungere il fine; o sistemi operativi: modalità gestionali per svolgere le funzioni necessarie alla vita organizzativa (del personale, delle macchine, ecc.); o struttura organizzativa: architettura formale che collega i diversi soggetti dell’organizzazione (unità organizzative e persone che esprimono definiti ruoli); o significati simbolici assunti dai servizi; o tecnologia: identifica la strumentazione professionale utilizzata per ottenere i prodotti dell’organizzazione; o persone: che operano nell’organizzazione sulla base dei ruoli loro attribuiti, ma che sono portatrici di proprie culture e valori ed interessi la cui convergenza con quelli dell’organizzazione non è affatto automatica e che comunque influiscono sui modi di leggere le situazioni e sulle azioni stesse. Ci sono elementi caratteriali di ogni operatore che influiscono sull’organizzazione. Nei servizi pubblici l’organizzazione è anche l’insieme delle modalità con le quali le amministrazioni traducono la proprie competenze e scelte in prestazioni ed interventi. 31 Variabili organizzative: Modalità con cui si realizzano le relazioni di connessione tra gli elementi del sistema, delineandone specifici attributi funzionali ai risultati organizzativi. Variabili di contesto: o INDIVIDUALI: concernono le caratteristiche delle persone che operano nel sistema stesso, che rilevanti per il suo funzionamento; o TECNICHE: insieme di modalità operative ed applicative di cui si avvale il lavoro umano; o ISTITUZIONALI: vincoli e condizionamenti, il campo di attività e di variabilità del sistema, considerate le finalità dell’ente e la cornice in termini di competenza; o SOCIALI: fanno riferimento all’insieme delle relazioni interpersonali che si manifestano nell’ambito del sistema organizzativo e che incidono definendolo. COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO (cosa accade nella realtà, l’esito delle connessioni delle variabili di contesto): o ATTIVITA’: azioni umane professionali che vengono espresse nei termini di rapporto; o INTERAZIONI: con altri soggetti per realizzare determinate attività; o SENTIMENTI: ciò che viene provato nello svolgimento delle attività e nelle relazioni con altri soggetti. Variabili risultanti: Risultato dell’agire, il prodotto dell’attività, del processo di trasformazione in termini di efficacia organizzativa (risultati attesi), ma anche soddisfazione individuale. Modalità di adesione all’organizzazione: o ALIENANTE: scarso interesse individuale ed un esercizio autoritario di chi esercita il potere nell’organizzazione, vi è un esclusivo esercizio formale del proprio ruolo da parte dell’operatore. o UTILITARISTICA: interesse esclusivamente remunerativo, coniugato però ad uno scarso controllo della qualità da parte di chi esercita il potere. o ETICA/PARTECIPATIVA: interesse alle finalità del lavoro esercitato e controllo di qualità da parte di chi esercita il potere nell’organizzazione. Può portare dei conflitti, ma sempre nella dimensione della partecipazione attiva. Una situazione organizzativa data non vincola mai in modo rigido un operatore, vi sono sempre dei margini di libertà utilizzabili perchè in ogni organizzazione ci sono sempre degli spazi di incertezza non regolati. 32 Le norme non possono regolare tutto, ci sono degli spazi di incertezza e l’uso della libertà mette alla prova l’operatore e il suo buonsenso. Strumenti per leggere un’organizzazione: o FUNZIONIGRAMMA: Rappresentazione grafica delle funzioni dell’ente per il cui conseguimento si organizzano diverse attività tramite la modalità organizzativa definita SERVIZIO oppure UNITA’ OPERATIVA. o ORGANIGRAMMA: Rappresentazione grafica dell’articolazione della struttura organizzativa (delle norme) che mostra le diverse connessioni tra soggetti e soggetti o tra servizio e servizio, o tra unità operativa e unità operativa. E’ uno strumento che consente di visualizzare la distribuzione delle competenze e le dipendenze gerarchiche tra le molteplici unità, posizioni e ruoli organizzativi. Nell’organigramma c’è una distribuzione verticale "autorità di line" che definisce la gerarchia nell’organizzazione, e anche una distribuzione orizzontale "legame di staff", che definisce particolari modalità di consulenza e sostegno tecnico-professionale. Qualsiasi organizzazione deve coltivare in modo equilibrato una capacità organizzativa, una forza organizzativa di tipo conservativo (sempre coniugando il massimo dell’efficacia e dell’efficienza) e una forza di tipo imprenditoriale. La prima forza è legata al grado di integrazione e di funzionamento degli elementi organizzativi, al coordinamento degli stessi, alle regole ed ai valori presenti, ai comportamenti e alle motivazione dei partecipanti, alle professionalità presenti, ecc. La forza imprenditoriale dipende invece dalla capacità di intuire la via per ottere il risultato prefisso e dalla volontà per raggiungerlo. La coesistenza delle due forze ed il loro dinamico equilibrio costituiscono la base della vitalità organizzativa: la forza ce l’insieme organizzativo esprime per tendere al fine è proporzionale al prodotto della forza organizzativa di tipo conservativo per la forza o capacità di tipo imprenditoriale. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di salvaguardare ciò che già esiste, ma tendere anche all’innovazione e al miglioramento.
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