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dispensa storia della musica moderna e contemporanea, Dispense di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

dispensa ricchissima di tutti e tre i moduli spiegati dal professore con i link per l’ascolto di ogni brano

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 01/06/2023

martina.dutard
martina.dutard 🇮🇹

4.3

(3)

50 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica dispensa storia della musica moderna e contemporanea e più Dispense in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! PRIMA PARTE MUSICHE, ORALITÀ E SCRITTURA Musica = linguaggio aconcettuale. Il linguaggio musicale è molto tecnico e specifico. Chi non è in grado di leggere la musica, sebbene sia un grande appassionato, potrebbe aver difficoltà di fronte ad uno spartito. La cosiddetta musica classica (musica colta) è una musica di scrittura, cioè è una musica nella quale la scrittura musicale ha un valore fondante e prescrittivo. La scrittura musicale ha inizio nel IX secolo d. C. E conosce una straordinaria evoluzione nl corso dei secoli per arrivare a definirsi, come la conosciamo oggi, all’incirca nel ‘600. Si tratta di un’evoluzione straordinaria; però a partire dal nono secolo e con le prime le prime esperienze di polifonia (= più parti diverse / sovrapposte come voci o strumenti che si contrappone alla monodia ossia una sola linea melodica, in genere con un accompagnamento). Già nel Medioevo (scuola di Notre Dame) ci sono i primi casi di polifonia, ossia una composizione nella quale vi sono due parti sovrapposte che procedono assieme. Tutta la storia della musica occidentale si basa sulla scrittura e sul valore fondativo e prescrittivo della scrittura = pagina scritta. La musica classica prevede sempre la pagina scritta (è il presupposto per eccellenza), anche se la grafia musicale (= NOTAZIONE MUSICALE) cambia nel corso dei secoli. Il principio della scrittura caratterizza proprio questo tipo di musica ed è un principio inesistente in altre musiche / in altre tradizioni. Prendiamo come esempio la popular music, ossia quella musica non colta – non classica (comprende pop, rock, rap) che non si basa necessariamente sulla scrittura; vi possono essere arrangiamenti scritti. La scrittura non è di tipo prescrittivo (compositore che mette su carta il suo pensiero musicale), poiché nasce come un testo al quale si associano degli accordi. In questo caso non si realizza una partitura da seguire, cosa che invece un compositore generalmente considera e mette per iscritto in maniera completa ed estremamente precisa, in base a ciò che vuole ottenere. Nel jazz, ad esempio, la scrittura non c’è oppure non ha ruolo prescrittivo, così come nel rock. Infatti, le partiture di questi generi non sono scritte, ma sono registrazioni e dischi. La performance può cambiare grandemente con questi generi, ma con la musica classica non può funzionare. La definizione più appropriata e neutra per descrivere la musica classica è musica di scrittura. MUSICA “CLASSICA” VERSUS MUSICA “LEGGERA” La musica “classica” è una musica esemplare, che ricorre nel repertorio delle stagioni d’opera e di concerto e nelle registrazioni discografiche, in un certo senso una musica da museo, per così statuaria, che rimane, ed è contrapposta alla musica “leggera” che è la musica volatile, transeunte, che passa e va, la cui leggerezza vale come inconsistenza. Questa definizione è di matrice estetica e sociologica. Ci sono definizioni che contrappongono la musica classica a musica che in realtà non lo è: l’aggettivo “classico” significa “esemplare / che serve da modello”  musica che si ascolta nelle stagioni dell’opera / nei teatri. Si tratta di classici senza tempo, che rimane, quelle opere intramontabili e indimenticabili. L’aggettivo “leggero”, invece, significa “volatile”, cioè che passa e va, esattamente come il tormentone estivo = inconsistente). Queste definizioni sono di matrice estetica e sociologica. Si tratta di etichette che posso essere discutibili e che necessitano di un ragionamento. MUSICA “D’ARTE” VERSUS MUSICA “DI CONSUMO” La musica “d’arte” è una musica composta prevalentemente per finalità puramente estetiche. Resta da capire che cosa siano in concreto le finalità “puramente estetiche” e “d’arte” rispetto alle finalità di ordine prevalentemente “commerciale” e “di consumo” e, in ogni caso, se e in quale misura la presenza di legittime istanze “commerciali” infici lo statuto “artistico”. D’altro canto, le istanze “commerciali” non sono affatto estranee alla produzione della musica cosiddetta “d’arte”. Questa definizione è di matrice estetica e ideologica, ma anche economica, etica, sociologica. Altra distinzione molto ideologica è quella tra la musica “d’arte” e quella “di consumo”. La MUSICA “D’ARTE” è una musica composta prevalentemente per finalità puramente estetiche. Resta da capire che cosa siano in concreto le finalità “puramente estetiche” e cosa sia “d’arte” rispetto alle finalità di ordine prevalentemente “commerciale” e “di consumo”. D’altro canto, le istanze “commerciali” non sono affatto estranee alla produzione della musica cosiddetta “d’arte”. Questa definizione è di matrice estetica e ideologica, ma anche economica, etica, sociologica. Le finalità commerciali (musica prodotta fatta per essere venduta) esistono anche nella cosiddetta musica colta. Molti potrebbero pensare che un compositore colto abbia, come finalità primaria, il desiderio di creare qualcosa di meraviglioso per poi vendere e far conoscere la sua creazione. MUSICA “COLTA” VERSUS MUSICA “POPOLARE” [NEL SENSO DI POPULAR MUSIC] La musica “colta” è una musica elevata rispetto al livello basso della musica “popolare” nel senso di popular (cioè quella musica prodotta per la cultura di massa e secondo logiche di consumo, ovvero secondo la definizione di Allan Moore «quell’insieme di attività musicali comuni nel mondo contemporaneo che va dalle canzoni al rock, dalla musica cinematografica e televisiva al jazz»): la natura elevata della musica “colta” è dovuta alla complessità di linguaggio e alla raffinatezza dell’elaborazione destinate a essere comprese innanzi tutto da un pubblico di appassionati e intenditori, in contrapposizione alla vera o presunta semplicità della musica “popolare”, concepita per essere ascoltata e fruita dal grande pubblico. In realtà esistono esempi di musica “non colta” che denotano una notevole complessità di concezione e di fattura: si pensi, per esempio, al jazz di Miles Davis o John Coltrane o il progressive rock. Questa definizione è di matrice estetica, sociologica e ideologica. Viceversa, accade con un compositore di musica definita di “consumo”. Un’altra distinzione, sempre di tipo oppositivo, è quello tra musica “colta” e “popolare” (= popular music, no musica etnica). La musica “colta” è una musica elevata rispetto al livello basso della musica “popolare” nel senso di popular (cioè quella musica prodotta per la cultura di massa e secondo logiche di consumo, ovvero secondo la definizione di Allan Moore quell’insieme di attività musicali comuni nel mondo contemporaneo che va dalle canzoni al rock, dalla musica cinematografica e televisiva al jazz»): la natura elevata della musica “colta” è dovuta alla complessità di linguaggio e alla raffinatezza del’elaborazione destinate a essere comprese innanzi tutto da un pubblico di appassionati e intenditori colti, in contrapposizione alla vera o presunta semplicità della musica “popolare”, concepita per essere ascoltata e fruita dal grande pubblico. In realtà esistono esempi di musica “non colta” che denotano una notevole complessità di concezione e di fattura: sei pensi, per esempio, al jazz di Miles Davis o John Coltrane o il progressivo rock. Questa definizione è di matrice estetica, sociologica e ideologica. MUSICA “FORTE” [VERSUS MUSICA “DEBOLE”] Una musica “forte” presuppone l’esistenza per contrasto di una musica “debole”: l’accento è posto sulla forza del pensiero musicale e da questo punto di vista la definizione si ricollega immediatamente a quella di musica “colta” per la complessità di linguaggio, struttura ed elaborazione anche se non esclude affatto quelle musiche non di scrittura che tuttavia denotano ricchezza e articolazione di pensiero musicale, da Duke Ellington ai Pink Floyd, da Keith Jarrett a Eminem. Questa definizione è di matrice estetica e ideologica. Con musica “forte”, contrapposta a quella “debole”, si intende come forza il pensiero musicale / il messaggio che si vuole lanciare. Questa definizione si ricollega ad una musica colta, a causa della complessità del linguaggio, dell’elaborazione o della sua struttura. Anche se non esclude affatto quelle musiche non di scrittura che tuttavia denotano ricchezza e articolazione di pensiero musicale, da Duke Ellington ai Pink Floyd, da Keith Jarrett a Eminem. Questa definizione è di matrice estetica e ideologica. Tutte queste definizioni possono certamente essere usate, ma va capito a cosa si riferiscono, cosa denotano e che messaggio nascondo al loro interno. Si incontrano diverse definizioni per la musica scrittura della tradizione occidentale; si tratta di definizioni essenzialmente esclusive e oppositive (nel senso che contrappongono a una musica “colta”, elevata, “d’arte” una musica che invece non lo è), nessuna delle quali risulta in definitiva soddisfacente e persuasiva. Se è indubbio che Bach, Beethoven, Verdi e Stravinskij hanno composto musica “classica” o “d’arte” o “colta” o “forte” resta da discutere quale sia la musica “leggera”, “di consumo”, “popolare”, “debole”: sicuramente le canzoni del Festival di Sanremo e quelle dei talent, il reggaeton e i neomelodici, ma seri problemi, benché di diverso si pongono per esempio per le canzoni di Fabrizio De André o Paolo Conte, almeno certo jazz, certo rock, certo rap o anche cantautori indie. Al di là della problematicità di individuare ed etichettare i diversi generi, in uno scenario oltretutto che è in costante evoluzione da decenni, la definizione musica “di scrittura” sembra più appropriata e neutra per la cosiddetta musica “colta” o “d’arte” in quanto ne evidenzia la caratteristica più peculiare al di là di ogni giudizio di valore estetico e ideologico e la differenzia sia dalla popular music sia dalla musica tradizionale-etnica in cui prevale l’oralità e la scrittura – laddove presente – ha un ruolo molto diverso. La musica “di scrittura” poggia, infatti, sul principio di un testo scritto (partitura) che deve essere eseguito, cioè suonato e / o cantato. Nella musica “d’arte” o “colta” la scrittura ha dunque un ruolo costitutivo e prescrittivo per l’esecuzione, mentre nella popular music e nella musica tradizionale-etnica la scrittura – laddove presente – ha semmai un ruolo di sussidio, descrizione o documentazione della performance. Se è indubbio che Bach, Beethoven, Verdi e Stravinskij hanno composto musica “classica” o “d’arte” o “colta” o “forte” resta da discutere quale sia la musica “leggera”, “di consumo”, “popolare”, “debole”: sicuramente le canzoni del Festival di Sanremo e quelle dei talent, il reggaeton e i neomelodici, ma seri problemi, benché di diverso si pongono per esempio per le canzoni di Fabrizio De André o Paolo Conte, almeno certo jazz, certo rock, certo rap o anche cantautori indie. Al di là della problematicità di individuare ed etichettare i diversi generi, in uno scenario oltretutto che è in costante evoluzione da decenni, la definizione musica “di scrittura” sembra più appropriata e neutra per la cosiddetta musica “colta” o “d’arte” in quanto ne evidenzia la caratteristica più peculiare al di là di ogni giudizio di valore estetico e ideologico e la differenzia sia dalla popular music sia dalla musica tradizionale – etnica in cui prevale l’oralità e la scrittura – laddove presente – ha un ruolo molto diverso. La musica “di scrittura” poggia, infatti, sul principio di un testo scritto (PARTITURA) che deve essere eseguito, cioè suonato e/o cantato. Nella musica “d’arte” o “colta” la scrittura ha dunque un ruolo costitutivo e prescrittivo per l’esecuzione, mentre nella popular music e nella musica tradizionale-etnica la scrittura, nel caso vi fosse, ha semmai un ruolo di sussidio, descrizione o documentazione della performance. In sostanza: musica di scrittura  presenza del testo e scrittura prescrittiva per l’esecuzione (organico → insieme degli strumenti previsti per una partitura). Popular music  oralità (/ scrittura = non con ruolo fortemente prescrittivo)  scrittura descrittiva della performance. Nella musica classica, musica di scrittura, rispetto a tante altre musiche, dove la scrittura del testo non è così prescrittiva e così vincolante, ci può essere o meno a seconda dei casi e ha una funzione completamente diversa. Novecento, secolo di grandissima diversificazione e dove la musica esplode in una quantità di manifestazioni musicali espressive. Musica “di scrittura” Popular music Scrittura: presenza del testo Oralità (/Scrittura) Scrittura prescrittiva per l’esecuzione (Scrittura descrittiva della performance) OPERA D’ARTE MUSICALE L’opera D’ARTE MUSICALE se non è la partitura, il testo che cos’è? Principio fondamentale su cui si basa la musica “colta” è la scrittura, la partitura, che è di fatto il progetto di una composizione, non la composizione in sé; la PARTITURA, per quanto noi possiamo leggerla immaginando come suona, è solo un progetto molto prescrittivo e vincolante in quanto il compositore cerca di essere molto preciso che cambia a seconda delle epoche storiche.; il momento in cui il testo viene realizzato in suono è con l’esecuzione, con gli interpreti che lo eseguono. Questo è l’aspetto che differenzia la musica classica rispetto a molte altre musiche, dove la presenza del testo non è essenziale. Il Novecento, secolo di incredibile ricchezza e diversificazione delle musiche, è un secolo in cui la musica esplode. ♫ QUINTA SINFONIA Allegro con brio  velocità con cui l’autore vuole che si eseguisca la canzone. Da un lato la scrittura musicale è estremamente prescrittiva (Beethoven dice che si fa così e così è) per quanto riguarda il tempo e gli strumenti (Beethoven dice che si usano tot numeri di strumenti a fiato e quali e così deve essere). Organologia  disciplina che studia gli strumenti musicali. Un’orchestra, per l’inizio dell’800 e in questo caso, è composta da varie sezioni: 1. Strumenti a fiato a. I legni (flauti, oboi, clarinetti, fagotti) si chiamano così perché in origine erano fatti tutti in legno b. Ottoni (corni, trombe) si chiamano così perché in origine erano fatti tutti in ottone 2. Timpani: strumenti a percussione una specie di grande tamburo 3. Diversa è la prescrizione degli strumenti ad arco / a corda: con quattro corde che vengono suonati tutti con un archetto a. Violino: strumento che suona in un registro più acuto, strumento più piccolo b. Viola: strumento che suona in un registro più grave c. Violoncello: strumento che suona in un registro ancora più grave; più grande si suona da seduti d. Contrabbasso Quando un compositore scrive per l’orchestra determina il numero degli strumenti a fiato scrive violino primo e violino secondo per dare più articolazione interna ma non specifica il numero degli archi (più strumenti suonano la stessa parte). Beethoven non specifica quanti violini devono suonare una parte perché lo stesso pentagramma viene suonato da più strumenti contemporaneamente, ciò si chiama raddoppio. Beethoven fa riferimento a ciò che è la prassi esecutiva della sua epoca dove non è strettamente vincolante indicare il numero. Tutti gli altri aspetti sono indicati in un modo chiaro che fa capire all’esecutore ciò che deve fare e con un margine ampio di indeterminatezza. Il direttore d’orchestra coordina e fa andare insieme (concertazione, direzione) è una figura che inizia ad affermarsi nel corso del 800/900. All’epoca di Beethoven il direttore era il primo violino. Il direttore d’orchestra con la mano destra batte il tempo e coordina i musicisti, mentre con la mano sinistra comunica ai musicisti come devono approcciarsi alla musica. L’attacco della V sinfonia va suonato molto forte (𝒇𝒇). La partitura non è l’opera d’arte musicale. L’opera d’arte musicale (Werk) è molto diversa da un’opera d’arte letteraria o figurativa ma è molto simile all’opera d’arte drammatica. Se si parla di esecuzione di un testo mentre se si parla di espressione di un testo mette in evidenza il modo in cui il musicista esegue il pezzo di musica. Il ruolo dell’esecutore e dell’interprete è fondamentale. La fruizione artistica è un principio necessita di una mediazione data dalla realizzazione sonora del testo scritto e non appartiene alla musica tradizionale etnica ma vale per la tradizione musicale colta dal 1400 al 1900 quando è stato contestato dalle avanguardie. Il repertorio musicale è costituito da una piccola parte di musica, compresa nel 1900 storico. Tutta la musica precedente è l’ambito della early music (periodo classico romantico che inizia nel 1770), periodo del classicismo, è molto importante perché è qui che si fissano i canoni stilistici e compositivi nell’ambito della musica di repertorio. L’opera d’arte musicale riguarda una composizione autonoma che si fonda su proprie leggi e sul nesso di tre aspetti: 1. Testo: il compositore fissa attraverso la notazione la sua immaginazione (progetta la sua musica). 3. Pianoforti meccanici, dagli inizi del ‘900. Il pianista suonava e veniva prodotto un rullo perforato che riproduceva la suonata. Vi sono anche registrazioni di grandi compositori che suonano la loro musica sui rulli. 4. 1925, viene introdotto il microfono, nasce la registrazione. La registrazione elettrica consente una produzione di massa. Sono anche gli anni in cui si afferma la radio. Il concetto di bene musicale con la registrazione diventa qualcosa di articolato, ma fino al ‘900 è legato agli aspetti della scrittura, quindi alle fonti musicali. Un bene musicale è qualcosa di molteplice che varia nei secoli ed è connesso con le modalità di diffusione della musica. La musica di scrittura si fonda sul principio di un testo scritto che deve essere eseguito; le modalità di diffusione della musica riguardano dunque anzitutto gli aspetti della scrittura, dell’esecuzione e della riproduzione della musica stessa. Scrittura: fonti musicali (codici miniati, manoscritti, edizioni a stampa) Esecuzione: strumenti musicali d’epoca. Come la scrittura musicale (notazione) così la prassi esecutiva conosce uno sviluppo storico il cui dato più evidente è costituito dall’evoluzione degli strumenti musicali (qualche esempio: violino, pianoforte, fiati, percussioni). L’organologia è la disciplina che studia gli strumenti musicali e la loro storia. D’altro canto, i teatri possono essere studiati come patrimonio storico-artistico anche in relazione alla loro dimensione e proprietà acustiche. Riproduzione: materiale fonico e documenti sonori (dischi, nastri, cd eccetera) Un bene musicale è una fonte delle composizioni musicali, è quindi qualcosa di molteplice, che varia nei secoli, e più si torna indietro nel tempo più è difficile trovare beni musicali. È qualcosa che ha a che fare con le MODALITÀ DI DIFFUSIONE DELLA MUSICA, si fonda sul principio di un testo scritto e le modalità della scrittura della musica riguardano gli aspetti della scrittura, dell’esecuzione e della riproduzione. L’avvento del sonoro ha cambiato notevolmente lo scenario. La storia della registrazione con tutta l’evoluzione tecnica e tecnologica. A partire dal 1900 i beni musicali cominciano ad essere anche registrazioni, dischi, ecc. Se ci si imbatte in una collezione di 78 giri (formato perfetto per i ballabili e non per la musica di scrittura) e negli anni ’70 fu rivoluzionario in quanto la capienza di un 33 giri si aggira intorno a 30 minuti. Ci sono dei supporti più antichi nella registrazione, i RULLI che vengono utilizzati fino alla fine degli anni ’30 sono i pianoforti meccanici che producevano un rullo perforato che permettevano di riprodurre la registrazione su un dispositivo meccanico. La rivoluzione ci sarà nel 1925 quando ci sarà l’avvento del microfono e iniziano ad essere prodotte le registrazioni. Anche le registrazioni sono beni musicali. Fino al 1900 il bene musicale è legato agli aspetti della scrittura, quindi alle fonti musicali. Le partiture riguardano i codici miniati. Già nel 1500 si inizia a stampare musica ma la diffusione e la commercializzazione di questa è data dai manoscritti fino al 1800, ciò per ragioni pratiche ed economiche. Più la notazione musicale si fa complessa più è complicato tradurre in stampa ed è molto costoso, fino all’avvento della litografia quando stampare musica sarà molto costoso. Ci sono le edizioni a stampa però i beni musicali riguardano anche le modalità di esecuzione della musica. La musica si diffonde attraverso le esecuzioni. Gli strumenti musicali sono un bene fondamentale. La prassi esecutiva conosce uno sviluppo storico il cui dato evidente è costituito dall’evoluzione degli strumenti musicali (pianoforte, violino, etc.). Gli strumenti si sono trasformati nel tempo. Il pianoforte prende forma nel corso del 1800, hanno una sonorità e un colore più dolce. Il forte piano è uno strumento molto diverso ed è sempre uno strumento a tastiera, tipico del 1700. Anche gli strumenti a fiato hanno subito una grande evoluzione in quanto oggi sono in grado di suonare qualsiasi cosa. Ciò è iniziato dal 1800 grazie all’invenzione dei pistoni dato che nel 1700 le trombe esistevano già ma erano chiamati strumenti naturali senza pistoni e potevano suonare solo certe note e il suono è molto diverso. Il concerto composto da Vivaldi per due trombe nella prima metà del 1600 è semplice in quanto la meccanica dello strumento consente di suonare anche passaggi veloci con facilità. Gli strumenti per cui Vivaldi ha scritto il concerto sono molto diversi. Il violino è uno strumento di legno con un aspetto molto antico (700esco) e nel 1900 c’è stato il primo che ha sperimentato con l’elettronica EDGAR VARÈSE che sosteneva che gli archi sono uno strumento del 1700 ed è stato anche il primo compositore che ha scritto pezzi solo per strumenti a percussione negli anni ’30, Ionization. Gli strumenti ad arco sono stati modificati ad esempio le corde erano fatte di pelle di animale mentre dall’inizio del 1900 si iniziano ad usare delle corde di metallo, hanno un volume sonoro maggiore. Certi strumenti tendono a suonare di più. Anche gli strumenti ad arco si sono evoluti. L’organologia è la disciplina che studia gli strumenti musicali. Il museo degli strumenti musicali al Castello sforzesco è legato alla conservazione degli strumenti molto antica e dannosa e non sono più in grado di suonare. La nuova concezione degli strumenti musicali fa sì che possano essere restaurati e continuare a suonare. Anche i teatri possono essere studiati come beni musicali dato che sono dei luoghi per la diffusione musicale. Le modalità per le riproduzioni della musica sono tutte dei beni musicali. MODALITÀ DI DIFFUSIONE DELLA MUSICA Per le partiture i beni musicali sono: 1. Codici Miniati (medievali) 2. Manoscritti: la modalità di diffusione e commercializzazione della musica sono i manoscritti. Gran parte della musica va in giro in forma di manoscritti per ragioni pratiche e di ordine economico; più la scrittura si fa complicata più diventa complicato e costoso tradurre in stampa; quindi, scrivere a mano è la cosa più semplice. Già nel ‘500 si comincia a stampare la musica. Ci sono due modalità di diffusione della musica: il manoscritto e la stampa. Si differenziano per le diverse epoche ma anche in funzione dei diversi generi musicali. Il manoscritto è la forma più comoda e immediata della forma della musica e per tutto il 1600, 1700 e gran parte del 1800, il manoscritto è la forma principale di diffusione musicale. La stampa conosce diverse tecniche e modalità. Si inizia nel 1500 e quindi fondamentalmente ci sono due metodi di diffusione: 1. MANOSCRITTO: prima del ‘500 si trovano solo codici miniati. Forma più comoda e più immediata. Per tutto il 600, il 700 e gran parte dell’Ottocento è la forma più frequente di trasmissione musicale. 2. STAMPA: la stampa conosce attraverso le epoche diverse tecniche e modalità. Nel ‘500 ci sono sostanzialmente due metodi: a. stampa a caratteri mobili, sistema usato anche per i libri di parole. PETRUCCI è stato il primo a stampare le partiture musicali tramite il sistema della tripla impressione, prima si stampava il pentagramma, successivamente le note e poi il testo. Questo sistema verrà poi sostituito da un’impressione simultanea. Il problema tecnico dei caratteri mobili è la composizione della partitura. Stampa con Caratteri Mobili, usato anche per stampare i libri normali. Avviato da uno stampatore che è rimasto un nome mitico nella storia della musica, tant’è che nel sito in cui si trovano le partiture si chiama come lui, ed è Petrucci. Usava il sistema della tripla impressione: prima si stampava il pentagramma, poi si immettevano le note, e poi nel caso ci fosse un teso, viene inserito anche quello. Il problema dei caratteri mobili è che si sbagliava facilmente e si doveva rifare tutto da capo. b. xilografia, tecnica di incisione su legno, anziché comporre i caratteri si incide il legno e la musica è stampata come se fosse un disegno: invece che usare dei caratteri mobili si usa la xilografia, che è un’incisione su legno. La stampa ha una serie di ripercussioni e di tutti i generi che possono essere commercializzati (madrigale, frottola, etc.). La stampa imprime un impulso alla circolazione della musica dato che la qualità è maggiore rispetto ai manoscritti che sono complicati da decifrare. Il salto dell’editoria musicale si ha quando le botteghe degli stampatori si trasformano in case editrici in modo da soddisfare le richieste di un mercato alto abbassando i prezzi. Dalla fine del ‘500: A. CALCOGRAFIA (ROGER): anziché utilizzare il legno utilizza delle lastre di metallo (rame o zinco), tecnica che si afferma in scala proto-industriale, nel ‘700. Tecnica molto raffinata perché essendo un disegno consente di raffigurare tutti i dettagli della scrittura musicale, ma è una tecnica molto costosa. Viene usata per edizioni costose. Nella fine del ‘700 la musica strumentale, non cantata, conosce uno sviluppo decisivo e la scrittura diventa fitta, articolata, e dunque la calcografia diventa prodotta su larga scala. Roger comincia la sua attività facendo il pirata, la legge sul diritto d’autore si afferma tardi (in Italia la prima legge arriva dopo l’unità d’Italia, uno dei grandi protagonisti sulla tutela del genio artistico è Giuseppe Verdi.); Roger viene a sapere attraverso i suoi informatori che a Venezia c’è un prete, tale Vivaldi, che pubblica della musica interessante, e chiede al contatto veneziano di recuperare una copia di Bortoli, che la recupera con l’incisione. C’è un problema commerciale: Roger pubblica gli annunci delle sue edizioni sui giornali, ma ovviamente ha concorrenza, perché prendono le edizioni di Roger e rifanno le loro edizione. A questo punto Roger prende contatto con questi editori e li ‘assume’, così si sviluppa una moderna editoria musicale. Roger nel 1711 pubblica l’Estro Armonico (titolo barocco) di Vivaldi (che autorizza lui stesso l’edizione), ‘armonico’ perché regolamentato, fantasia corretta dalla ragione. I rapporti tra Vivaldi e Roger sono estremamente contrastati, perché dopo l’Estro Armonico, pubblicano altre raccolte senza la sua autorizzazione, e concerti sotto il nome di Vivaldi che non sono di Vivaldi. Dalla fine del 1500 nasce la CALCOGRAFIA che utilizza delle lastre di metallo (rame o zinco) lavorate ed è una tecnica che si afferma su scala industriale nel 1700. Questa tecnica consente di rappresentare i dettagli in maniera precisa anche se è molto costosa. Questo nuovo sistema viene utilizzato per le edizioni più costose. Queste edizioni rappresentano degli straordinari beni musicali. In questo periodo l’Italia declina l’editoria che si riduce ad una dimensione locale di basso profilo ma emergono nuove case editrici in Olanda, Inghilterra, Francia, Germania e Austria che si assicurano il dominio del mercato europeo. Tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 la musica strumentale conosce uno sviluppo decisivo e comporta una scrittura musicale molto articolata e la calcografia si impone in tutta Europa per produzione su larga scala e i vantaggi dell’incisione sono sia tecnici, possibilità di riprodurre a stampa i dettagli della notazione manuale con note più chiare, etc. VIVALDI nei primi anni del 1700 pubblica una serie di opere tramite degli stampatori locali veneziani: la prima edizione di Opera 2 di Vivaldi viene pubblicata da Antonio Bortoli, dedicata al Re di Danimarca e si presenta stampata con caratteri mobili quindi lo stampatore ha composto lui stesso l’edizione. Una riedizione successiva viene pubblicata da un editore olandese, ESTIENNE ROGER, ugonotto scappato dalla Francia, ed è stato uno dei maggiori stampatori di musica e la riedizione viene stampata tramite calcografia. I vantaggi visivi sono evidenti e dal punto di vista commerciale ha più ampia diffusione la versione di Roger. TELEMANN, compositore tedesco, imparerà ad incidere e realizzerà lui stesso le sue edizioni. Roger dà vita ad una nuova tecnica e comincia la sua attività facendo il pirata editoriale dato che la legge sul diritto d’autore non esisteva ancora. Roger si fa procurare una copia dell’edizione Bortoli e la ripubblica con la calcografia. Roger pubblica gli annunci delle sue edizioni sui giornali e in altre città altri faranno ciò che ha fatto Roger ma quest’ultimo prenderà contatto con altri tra cui i fratelli Le Clerc e li fa diventare agenti sviluppando così un’editoria musicale. I rapporti tra compositore e autore prendono vie differenti ed entra in contatto con Vivaldi. Nel 1711 verrà pubblicato presso Roger l’Estro armonico, una serie di concerti di Vivaldi autorizzato dal compositore stesso. Nella lettera dedicatoria Vivaldi parla ai dilettanti di musica (coloro che si intendono di musica) esplicitando come questa edizione sia più semplice da realizzare. È nel 1700 che si profila un’editoria musicale moderna in cui il diritto d’autore è poco presente soprattutto nelle corti francesi. Roger pubblicherà altre raccolte di Vivaldi e dei concerti che non gli appartengono. In genere le composizioni vengono pubblicati da 6 a 12 e in questo caso vengono attribuiti a Vivaldi concerti non suoi per colmare questa mancanza. Dalla fine del Settecento: B. LITOGRAFIA: consiste nell’ottenere la matrice non da una lastra di metallo, ma da una pietra calcarea molto fine che viene chimicamente preparata, sulla quale vengono tracciati / trasportati con del materiale grasso, degli scritti e dei disegni. Il salto di qualità si ha quando le botteghe di stampatori, artigiani e artisti, si trasformano in case editrici, la produzione diventa proto-industriale. I grandi centri (Parigi, Amsterdam) si assicurano il controllo del mercato europeo. Succede dalla fine del Settecento, con la litografia. La casa editrice italiana per eccellenza è la Ricordi. Si differenziano in funzione dei generi. I generi musicali che vengono stampati sono quelli che vanno incontro ai gusti del pubblico e che possono essere commercializzati (madrigale, musiche per liuto, ascoltate dai ceti elevati). Nel 1800 si impone la litografia inventato nel 1796 da ALOIS SENEFELDER e consiste nell’ottenere la stampa da una matrice di pietra calcarea finissima, preparata chimicamente, e poi anche da lastre di metalli porosi come lo zinco, su cui scritti e disegni vengono tracciati o trasportati con materiale grasso. Nasce l’EDITORIA MUSICALE e tutte le grandi case editrici musicali tra cui Ricordi nel 1808 e per un certo periodo ha una serie di concorrenti milanesi, tra cui Sonzogno. La prima edizione per violino solo composti e dedicati agli artisti di Paganini realizzata nel 1818 con il metodo della litografia e si tratta di musica complessa, virtuosistica e articolata. ESECUZIONI La parte esecutiva conosce uno sviluppo storico l cui dato più evidente è costituito dall’evoluzione degli strumenti musicali. a. strumenti a tastiera: Pianoforte incomincia a prendere forma per come lo conosciamo nel corso dell’Ottocento, aveva un volume di suono molto minore e un colore di suono molto più dolce (Liszt, Sogno d’Amore no3). Nella seconda metà del Settecento ve n’era un altro ancora, con un suono più secco, più tagliente, meno rotondo. b. strumenti a fiato: nell’Ottocento vennero inventati i pistoni, quella meccanica che consente di suonare tutte le note con la scala. La Tromba ha tre pistoni, ma nel Settecento venivano non c’erano; le trombe venivano chiamate “strumenti naturali” e potevano suonare poche note; (Vivaldi, Concerto per due trombe in C RV 537). c. strumenti ad arco: Il Violino anticamente aveva delle corde di budello, mentre dall’inizio del ‘900 si usano corte di metallo che hanno un volume sonoro molto maggiore: con la registrazione tutti gli strumenti tendono ad avere più suono. Edgard Varèse fu uno dei primi a sperimentare con l’elettronica. L’organologia è la disciplina che studia gli strumenti musicali. Anche i teatri vengono considerati come parte del patrimonio musicale. MUSICA MANOSCRITTA E A STAMPA NELL’ITALIA DEL SETTECENTO Non tutti i tipi di musica vengono stampati e soltanto quei generi che hanno delle potenzialità commerciali vengono stampati e c’è una sorta di interazione tra lo sviluppo della stampa e dei generi musicali perché questi ultimi sono fruibili da un ampio pubblico che fino alla Rivoluzione francese è aristocratico e appartiene all’alta borghesia. È soprattutto a partire dal 1700 la musica strumentale è la maggiore ad essere stampata rispetto alla musica vocale o alla cantata (= da camera composta da arie e recitativi, una voce accompagnata dal basso continuo). Le musiche che comprendono più voci e più personaggi come l’opera si presta malissimo ad una commercializzazione editoriale. Le opere duravano molte ore e i teatri erano spesso luoghi bui e rumorosi, con numerosi palchi (teatro all’italiana). Questi palchi venivano affittati ad inizio stagione dalle famiglie aristocratiche. Quando si sviluppa il modello dell’opera impresariale, impresario finanzia la stagione, era consuetudine il gioco d’azzardo. Non esisteva il diritto d’autore quindi il compositore non ne aveva profitto perché le opere teatrali potevano essere diffuse liberamente. Le opere teatrali circolavano manoscritte e Ricordi pubblica opere in un formato preciso può arrivare a tutti con una riduzione per canto e pianoforte. Le uniche eccezioni che ci sono di opere teatrali pubblicate sono tali perché la pubblicazione ha un intento celebrativo e autocelebrativo. Il melodramma nasce tra la fine del 1500 e i primi anni del 1600 in Italia a Firenze. Firenze era stata la culla del rinascimento e dell’umanesimo e a fine 1500 c’erano dei circoli di artisti che ragionano sul rapporto di poesia e musica e ambiscono a creare un nuovo tipo di spettacolo che ha radici nella cultura classica e l’idea è quella di portare in vita la tragedia greca antica; vengono quindi creati i primi prototipi di opera, camerata dei bardi dove vi erano una serie di artisti e all’inizio del 1600 questi prototipi escono da Firenze e vengono presi a modello da altre corti italiane e la musica d’arte viene presa come un modo per autocelebrarsi e uno dei signori più interessati è Vincenzo Gonzaga che, all’inizio del 1600, aveva visto questi prototipi e aveva come maestro di musica Claudio Monteverdi. Gonzaga gli chiede quindi di collaborare con Strigio e compongono L’Orfeo. Il ducato di Mantova era molto importante dal punto di vista culturale. Si crea un evento, in questo caso la rappresentazione dell’Orfeo che ha un’orchestra enorme e si chiamano dei cantanti di grande fama e il Duca chiede di far stampare anche la partitura (1607). Nel 1637 a Venezia nasce il teatro d’opera impresariale, modello produttivo diverso da quello dell’opera di corte dato che viene stampato il libretto e dato che si tratta di un’opera rappresentata a corte è in forma privata o semi pubblica. È un modello legato al mecenatismo e non è inserito in una logica di mercato. Venezia città diversa da Mantova, repubblica oligarchica con il Doge e anche San Marco era la chiesa della repubblica ed è una città estremamente commerciale ma già dopo il 1492 perde importanza ma dal punto di vista culturale è ancora molto importante e nasce l’idea di un teatro musicale. Opera impresariale: un privato, impresario affitta un teatro i cui proprietari erano le famiglie patrizie aristocratiche di Venezia. In genere c’erano due stagioni: a carnevale e in autunno. L’impresario cerca di mettere insieme una serie di opere ingaggiando compositori, cantanti e scenografi. La storia del teatro d’opera è importante dal punto di vista commerciale ma è ancora uno spettacolo costoso e l’impresario si inserisce in una logica di teatro concorrenziale. Nel 1637 il San Cassiano diventa il primo teatro pubblico a pagamento. L’impresario investe i soldi in cantanti eccellenti, nella scenografia, nel compositore e nei soggetti delle opere che attirano il pubblico. In Europa le partiture delle opere vengono pubblicate in Francia, in Italia invece il sistema impresariale prende avvio da Venezia e ogni città ha il proprio teatro. A Milano dopo la distruzione del teatro Regio, Maria Teresa D’Austria acconsente alla costruzione di due teatri il Teatro Lirico e La Scala. Il teatro italiano impresariale viene esportato in tutto il mondo anche se l’opera di corte continua ad essere praticata (Vienna). A Parigi le partiture vengono stampate perché il sistema è semplice in quanto le opere vengono rappresentate a corte e nei teatri, perché le rappresentazioni di corte vengono anche stampate. Solo dopo la metà del 1800 si impone l’idea del diritto d’autore in campo musicale e ciò muta il rapporto e le relazioni compositore / editore e editore / pubblico. I manoscritti una volta in circolazione vengono copiati e raggiungono ampia diffusione. Ancora oggi è frequente che da archivi privati emergano manoscritti (Isola Bella: manoscritti musicali della famiglia Borromeo). Certi generi sono più fruibili dal pubblico perché vanno incontro alle sue richieste. Diffuse erano anche le musiche con organici forti, che sono in genere l’opera, il teatro musicale, melodrammi, ecc. Al tempo non era previsto il buio in sala o il silenzio (si impongono solo nell’800), siccome il teatro era un luogo di incontro sociale. I più abbienti affittavano i palchi, per rendere più piacevoli le molte ore da passare a teatro, con amici, familiari e servitù per soddisfare i propri bisogni. Gli introiti degli impresari teatrali (coloro che organizzano stagioni) erano dovuti anche ai giochi d’azzardo. Stampare un’intera opera era troppo costoso perché erano lunghe e non esisteva il diritto d’autore; dunque, c’era il rischio che qualcuno la mettesse in scena senza dare i soldi dovuti al compositore. Bellini, Donizetti, Verdi, Rossini, stamparono le riduzioni per canto e pianoforte, per evitare che le intere opere venissero distribuite.1700, ad esempio Vivaldi si tenne ben stretti i propri manoscritti per non far rappresentare le sue opere a chiunque senza poter richiedere parte dei profitti, era difficile controllare la situazione (copisterie copiavano musica). Tuttavia, possiamo trovare anche delle eccezioni opere teatrali stampate integralmente per fini celebrativi o autocelebrativi. Inoltre, dei circoli di artisti e intellettuali che ambirono a creare un nuovo tipo di spettacolo, portando di nuovo in vita l’antica tragedia greca. Era un’operazione di élite, apprezzabile dagli intellettuali (camerata corsi, bardi, ecc. Vincenzo Galilei, Girolamo Mei, Jacopo Corsi, …) Mecenatismo e imprenditoria Nel XVI e XVII I principi celebravano la propria posizione con le rappresentazioni teatrali e ospitando i musicisti più famosi. Ad esempio, a Mantova Francesco Gonzaga assunse Claudio Monteverdi, un compositore molto celebre che scrisse un’opera importante: l’Orfeo. Nel modello dell’opera di corte il duca pagava (ingentemente) i compositori e i poeti chiedendo un nuovo tipo di spettacolo e la partecipazione di cantanti e musicisti famosi per organizzare un evento molto importante e privato/semi-pubblico, eternato dalla stampa dell’opera (recava una celebrazione del nobile). Decenni dopo, nel 1637, a Venezia nasce il teatro d’opera, con il teatro San Cassiano dove erano ammessi tutti coloro che potevano pagare il biglietto. La città era una repubblica mercantile e Non vi era una chiesa privata (come nelle monarchie/ducati), ma di appartenenza della repubblica. Qui l’opera era ben diversa, essendo gestita da un privato che affittava un teatro (solitamente di proprietà delle famiglie aristocratiche). MECENATISMO E IMPRENDITORIA All’anno si inauguravano due stagioni: a carnevale e d’autunno. In tempo di quaresima i teatri chiudono. Impresari presto si inserirono in una logica di mercato concorrenziale. Il ruolo più importante era riservato ai cantanti (se si vuole avere uno spettacolo di successo bisogna pagare cantanti e compositori famosi). Anche la scenografia e il titolo dell’opera erano molto importanti perché dovevano stupire e attirare il pubblico Milano vide la costruzione di due teatri su istanza imprenditoriale (la Scala, dove era presente la chiesa di Santa Maria della Scala e la Cannobiana l’odierno teatro lirico). Grand tour, in Italia era diffusa una tappa per acquistare manoscritti musicali e non a Venezia o Roma. ELEMENTI DEL LINGUAGGIO MUSICALE NOTAZIONE: ALTRO NOME DELLA SCRITTURA La partitura fissa in modo univoco alcuni aspetti essenziali (altezza, ritmo, durata, intensità e timbro). L’altezza o diastemazia è la disposizione dei suoni sul pentagramma. SONATA K545 DI MOZART per pianoforte solo (K è il nome di chi ha redatto le opere di Mozart; V è il numero del catalogo) il termine sonata deriva dal 1600 e indicava un pezzo da suonare ma nel corso del 1700 diventa il termine per indicare un genere preciso e si configura come una composizione fatta da più pezzi. Ci sono due pentagrammi: 1. pentagramma superiore è per la mano destra (MELODIA) 2. quello inferiore per la sinistra La chiave di violino o di sol indica il REGISTRO in cui la musica si muove, cioè quanto è acuta o grave la musica e il Do con cui inizia la sonata è quello centrale. Il simbolo vicino alla chiave è il RITMO cioè la durata delle note e come è articolata la musica. Il metro che Mozart indica è quello di traggono delle scale, usando le note della tastiera del piano, per riprodurre i sistemi musicali di questa musica, ed essenzialmente sono due i tipi di scala:  Scala Pentatonica / Pentafonica: scala che ha cinque suoni, in genere, priva di semitoni. Queste scale sono caratteristiche delle musiche tonali, anche europee, dai paesi slavi alle isole britanniche (cosa curiosa).  Scala Esatonale / Suoni Interi: scala di sei suoni, priva di semitoni. SCALA PENTATONICA Al tempo, in Europa erano presenti tre grandi TRADIZIONI MUSICALI: 1. italiana per l’opera 2. francese per il balletto 3. germanofona (Germania e Austria) per la musica strumentale Segnano la storia della musica anche degli altri paesi. Con l’affermarsi del sistema impresariale dell’opera, l’opera italiana diventa uno straordinario genere di esportazione, vanno anche in Russia, in Scandinavia, e fanno l’opera italiana. Successivamente, con il romanticismo, c’è un grande risveglio delle coscienze razionali, con implicazioni musicali. In tutti quei paesi senza forte tradizione nazionale, o laddove c’è, ma è sentita come una forma di dominazione culturale (territori di dominazione asburgica), qui si manifestano le scuole nazionali. La Russia per i musicisti era “terra di conquista” 1. Opera italiana 2. Balletto francese 3. Strumentale tedesca Il più̀ grande compositore russo dell’Ottocento, Cajkovskij, conoscitore della musica europea, risente profondamente il legame con l’Occidente (Tolstoj della musica) Musorgskij (Dostoevskij della musica), fa parte del gruppo dei 5, anni ’60 dell’Ottocento, vogliono fare una musica che sia completamente russa. Come si fa? Tutti i modelli erano quelli italiani, francesi e tedeschi. Nessuno di questi compositori, inoltre, era un professionista della musica e fanno del loro dilettantismo una sorta di barriera, perché́ l’insegnamento della musica era fortemente improntata a quelle tradizioni. -  Musorgskij: impiegato. Voleva fare una musica che mettesse in discussione la musica “tradizionale”; quindi, scrive una musica molto sperimentale e fuori dalle regole. I professionisti della musica lo consideravano un ignorante in musica, mancante di abilità. -  Rimskij-Korsakov: in marina -  Borodin: chimico di fama internazionale COME SI SCRIVE LA MUSICA TRADIZIONALE RUSSA? – MUSORGSKIJ Da un lato si attinge alla tradizione popolare. Dall’altro andare a cercare le radici della musica russa in ciò̀ che di più̀ tradizionale e radicato c’è, e cioè̀ la musica della chiesta ortodossa (musica modale). Queste vennero anche imposte ad altri Paesi come l’Ungheria (musica austro- tedesca) e la Russia (Italia, perfino Verdi andò in visita qui). La Russia stava affrontando un periodo difficile e si diffusero due tendenze: Cajkovskij, ad esempio guarda con attenzione alla musica europea Musorgskij, guarda alla tradizione per creare una musica tradizionale russa (fa parte del gruppo dei 5, un collettivo di musicisti non professionisti capeggiati da Balakirev). I modelli erano, tuttavia, provenienti dalle grandi tradizioni, dunque Musorgskij, scrive una musica sperimentale, fuori dalle regole canoniche della tradizione, ma venne considerato incompetente e non fu compreso (la sua musica venne riscritta, ad esempio, da Ravel). Per creare una nuova musica tradizionale russa riprende musica chiesa ortodossa e canti popolari. Es. Quadri di un’esposizione, Promenade (Per pianoforte, riprende immagini quadri amico, come se fosse una visita alla mostra del pittore). Presenta la scala pentatonica, da idea di tradizione e rozzezza (tutti toni, tranne un semitono). La scala pentatonica venne ripresa anche nel jazz (take five) e da Ella Fitzgerald (I got rhythm). ♫ QUADRI DI UN’ESIBIZIONE MUSORGSKIJ Ognuno dei pezzi riprende il nome di uno dei quadri dell’esibizione che ha ispirato. Utilizza la scala pentatonica in tutti i pezzi. In più̀ questa struttura pianista per accordi molto massicci con irregolarità̀ ritmiche, dà il senso di una musica etnica, vuole contrappesi a Liszt, Chopin e così via. Promenade=pezzo più̀ ricorrente, passeggiata, in modo che invochi la voglia di andare a vedere sta mostra. È in 5/4, metro zoppo—> Take Five, Paul Desmond (è anche un pezzo modale). Viene trascritto in più̀ modi (ELP, strumentaria ad un’orchestra). ♫ I’VE GOT RHYTHM GEORGE GERSHWIN Pentatonica. Poiché́ provengono dalle musiche tradizionali, queste scale tengono insieme musiche diversissime. La scala pentatonica, dunque, permette molti impieghi e può spaziare tra i generi. SCALA ESATONALE Scala che nasce anche lei dalle suggestioni degli ascolti della musica dell’estremo oriente; usata molto da Debussy. Debussy, 1862 - 1918, francese. È stato un dei padri della modernità̀ in musica, non usa più̀ l’armonia e la melodia secondo le regole dell’armonia e della melodia tonale classica. Il principio fondamentale dell’ironia e del linguaggio tonale è il rapporto tra consonanze e dissonanze, tensioni e distensioni. Debussy utilizza le note e gli accordi non tanto per la loro funzione (consonanza che risolve dissonanza), ma li usa per il loro valore sonoriste in sé. Non sovverte del tutto le regole, non è un compositore atonale, ma, soprattutto invecchiando, la tonalità̀ diventa sempre più̀ uno sfondo piuttosto obbligato; accosta gli accordi in una maniera nuova e libera. “Per tutta la vita ho cercato di dimenticarmi quello che mi hanno insegnato a scuola”, ha fatto il conservatorio di Parigi. L’insofferenza per regole la risolve nell’utilizzo della musica pentatonica esatonale. La sua sperimentazione è legata ad una nuova concezione, dove è sempre più̀ importante il silenzio e il non detto (John Cage). Il legame strutturale di Debussy è la poesia simbolista francese. Debussy mette in discussione la tradizione e il modo di intendere la musica. Manifesta fin da giovane una grande insofferenza per le regole e per l’accademia. Nel 1800, si diffuse anche la scala esatonale, dai toni interi e quindi meno rigida. Usata da Debussy, che era alla ricerca di nuovi canoni per distaccarsi dalla tradizione classica per quanto riguarda l’armonia e la melodia. Debussy era vicino a Mallarmè e alla corrente simbolista e affermava di voler dimenticare ciò che aveva precedentemente imparato dalla tradizione. ♫ II PRELUDES, VOILES DEBUSSY - 1910 Es. Voiles, n° 2 dal primo libro dei Préludes, sembrerebbe essere musica a programma ed evocativa, ma i titoli presentano dei punti di sospensione (…) per creare una concatenazione di associazioni di idee. Preludi. - I: Danseauses de Delphes - II: Voiles: primo libro. - III: Le Vent dans la plaine Vi sono riferimenti (non proprio titoli) extra musicali che connettono la musica ad una sfera di senso espressa con dei concetti, suggeriscono immagini; sono allusivi ed elusivi, nascondono più̀ di quanto non dicano. Sembra che il compositore voglia evocare un’atmosfera per raccontare una storia, quando in realtà̀ ciascun pezzo non ha il titolo all’inizio, ma alla fine del pezzo, tra parentesi e preceduti dai punti in di sospensione —> ascolta la musica, poi ti do un’indicazione molto vaga poiché́ si crei un continuo flusso di interpretazione e idee, come nella poetica simbolista. Preludio: parola antica, attraverso i secoli ha conosciuto diversi significati. Vuol dire un pezzo di musica che “introduce”; nel caso di Bach è un pezzo che precede qualcosa di più̀ importante (‘700). Nel corso dell’800, invece, definisce un genere molto preciso: un pezzo per pianoforte che non ha più̀ un significato introduttivo, ma è autonomo, in sé concluso (nella poetica romantica vi è una poetica dei frammenti, di piccoli pezzi autosufficienti). A Chopin si allaccia Debussy, che oltre ad essere un compositore era un ottimo pianista, allievo di un’allieva di Chopin; quindi, deriva da una tradizione pianistica basata sulla delicatezza. Nella ricerca di apertura al modernismo, Debussy utilizza moltissimo le scale: 1. Modale 2. Pentatonica 3. Esatonale (forse colui che l’ha usato meglio) Sono tutte scale (modalità̀ di meno, esatonale di più̀), che allentano le funzioni tonali. Non avendo più̀ T e s, avremo più̀ un’impressione di una musica che non ha più̀ funzioni di tensioni e distensioni, diventa uno spazio più̀ aperto, creando un gioco vago e libero —> sensazione di estrema fragilità̀. Al tempo stesso suona incredibilmente bene, sensualità̀ e fascino sonori. La grandezza di Debussy sta appunto in questo. La prerogativa dei tipici scala usati è quella di allentare moltissimo le relazioni, non c’è una nota o un accordo attorno al quale gira intorno alla musica, dando un senso di grande libertà, senza però fare della musica atonale. Ci sono altre serie di scale che vengono usate da vari compositori in questo periodo:  Scale gitane  Scale zigane Durante i primi decenni del Novecento grazie alle influenze della musica jazz:  scala blues che gioca sull’ambiguità̀ di modo minore e modo maggiore (3o, 5o, 7o modo possono essere sia maggiori sia minori) ♫ II MOVIMENTO DELLA SUONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE, BLUES MAURICE RAVEL - 1920 Maurice Ravel, 1875 - 1937. Musicista vicino e diverso a Debussy. Questo pezzo è esplicitamente chiamato ‘Blues’; dal punto di vista del linguaggio è un po’ più̀ tradizionalista rispetto a Debussy. Qui l’effetto del blues è dato anche dai glissati del violino che ricorda la voce. Nelle prime battute del violino pizzicato, scansiona il tempo e ci fa sentire bene i 4/4, poi, nella seconda battuta, sposta l’accento sull’ultimo quarto. Il pianoforte subentra con nota lunga legata, tornando a scassinare i 4/4(?) METRO E RITMO RITMO: una delle grandi innovazioni che viene introdotta nel ‘700 è la battuta. Battuta: unità metriche fondamentali in cui si articola una composizione, è un’unità di misura per ciò̀ che riguarda il ritmo. È bastata sulla gradazione e l’alternarsi degli accenti. Prima si chiamava ‘tactus’. La battuta è espressa dall’indicazione di tempo, posto all’inizio di ciascun rigo musicale. In ciascuna battuta deve starci tot. Indicatore: numeratore: numero dei tempi di una battuta denominatore: durata delle note che vengono prese a riferimento della battuta. In una battuta da quattro quarti devono esserci quattro figure ritmiche che ‘riempiano’ i 4/4. Una battuta da quattro quarti vuol dire che il metro di riferimento è dato da quattro quarti, che ha accenti molto decisi. - Accento forte: primo tempo - Accento debole: secondo tempo - Accento medio-forte: terzo tempo - Accento debolissimo: quarto tempo Una battuta da quattro quarti, accento: - Accento forte: primo tempo - Accento debole: secondo tempo - Accento debolissimo: terzo tempo METRO: Il metro non è il ritmo. Il ritmo si dispiega sul metro. È una pulsazione costante e periodica di un battito fondamentale di durata determinata, che può̀ essere visto come sfondo per una successione di valori ritmici diversi. Dentro quel tot giocatela. GRAMMATICA E SINTASSI L’estetica musicale è stata per un sacco dominata da principi classicisti, quello fondamentale è un principio aristotelico che ‘l’arte dovrebbe essere l’imitazione della natura, la poesia come la pittura. Spiegare cosa sia in musica l’imitazione della natura è estremamente complicata, essendo un’arte terribilmente concreta per l’animo umano, ma allo stesso tempo incredibilmente vaga. La musica alla fine è finita all’ultimo posto delle arti; questo discorso raggiunge il culmine nel ‘700, perché́ è quando si afferma con enorme forza la musica strumentale (non vocale), che non mette in scena un testo; quindi, la natura era ancora più̀ inimitabile. Comunque, la musica ha un discorso, una grammatica e una sintassi, e il modo in cui si compone è estremamente simile alla composizione di un discorso (retorica). Non c’è dubbio che la musica sia un linguaggio: anche in musica si individuano: - Periodi - Parole —> Frasi musicali - Lettere —> Note - Punteggiatura —> Cadenze Il discorso musicale è regolato dalla sintassi, che si forma sulla correlazione di strutture melodiche (periodi, incisi, motivi, frasi) e strutture armoniche. Dimensione orizzontale (melodia) e verticale (armonia, accordi) STRUTTURA ARMONICA: -  Accordi -  Tipologia degli accordi -  Concatenazione degli accordi —> costituiscono strutture che si chiamano cadenze, che hanno il valore della punteggiatura Cadenze: formule melodiche e armoniche che concludono una frase/un periodo/ un’intera composizione. NELLA MUSICA TONALE: -  Cadenza perfetta nella musica tonale è quella che fa seguire al V grado il I. L’ultimo accordo risolve e conclude l’accordo di riposo—> ha il significato di un punto. V - I -  Cadenza sospesa: discorso non concluso —> effetto di due punti. I - V -  Cadenza evitata/d’inganno: discorso che rimane un po’ sospeso, ma non troppo —> punto e virgola. V - VI -  Cadenza imperfetta —> virgola. V - I SCUOLA DI VIENNA L’analogia tra linguaggio verbale e musicale appare evidente nel periodo classico o del “classicismo viennese” e si indica un periodo che va dagli anni ’60 del 1700 agli anni ’20 del 1800 (1827: data morte di Beethoven). Queste definizioni sono a posteriori e Beethoven verrà definito come romantico. Perché viene trovata questa definizione di “classico” (all’interno della macrocategoria vi è il classicismo), queste sono definizioni a posteriori affermatasi a partire dal 1830, per analogia con il classicismo di Weimar (fenomeno letterario tedesco, come Goethe e Schiller). È definito classico a posteriori che si afferma dagli anni ’30 del 1800 con il classicismo di Weimar, fenomeno letterario con Goethe e Schiller. Il termine classico è associato all’idea di perfezione formale e di equilibrio espressivo e a dei compositori, Haydn, Mozart e Beethoven ma anche Gluck, tutti attivi a Vienna dal 1760 / 70 al 1837. Periodo del “classicismo viennese” o prima scuola di Vienna (3 compositori del periodo Haydn, Mozart e Beethoven ma anche Gluck, compositore di una generazione anteriore del 1714, iniziatore di questo periodo) perché tutti questi compositori, non necessariamente viennesi, ma tutti lavoreranno principalmente a Vienna. L’importante è riflettere sul termine “classicismo” -> la musica viene definita “classica” per analogia con il classicismo letterario e perché viene associato ad una sorta di epoca aurea della musica, un’idea di equilibrio espressivo, presa come modello normativo e di perfezione. Tutta una serie di genere musicali avrà la loro definizione più compiuta in questo periodo e con questi autori, un esempio è la sinfonia che trova la sua definizione alla fine di un processo storico che attraversa tutto il 700 nelle composizioni di questi autori classici. Un altro esempio, nell’ambito della musica da camera, è il quartetto d’archi o la sonata per pianoforte. La sinfonia trova la sua definizione nelle composizioni dei tre autori stessa cosa per il quartetto d’archi, ecc. BEETHOVEN Beethoven è una figura di passaggio, è un compositore che conclude un’epoca, una stagione della musica e ne apre al tempo stesso un’altra. I contemporanei lo definivano come romantico, proprio perché egli portò uno stile classico legato alle opere di questi autori. Lo stile classico è portato ad un punto di tensione e rottura oltre il quale non si può più andare. I compositori partono dunque dalle ultime composizioni di Beethoven (comunque nuove e innovative) per aprire più prospettive nella tradizione musicale. Beethoven è una figura di passaggio perché conclude un’epoca e ne apre un’altra, tanto che i contemporanei lo hanno definito romantico, perché è proprio lui che porta lo stile classico ad una tensione massima. Nel 1837 quando Beethoven muore, lascia le sue ultime composizioni e inizia a manifestarsi una musica romantica. Sempre in questi anni, iniziano a manifestarsi nuove musiche romantiche (in contemporanea alle ultime composizioni di Beethoven), con autori come Schubert (compositore della fine del ‘700) o Carl Maria Von Weber, che scrisse la prima opera romantica, “il franco cacciatore” del 1821, legato ad un immaginario fiabesco e romantico. Beethoven è un compositore di passaggio inteso come origine della musica successiva, è una figura fondamentale anche dal punto di vista sociologico per la figura dell’artista musicale.  Questa musica sarà ripresa da Schubert, che scriverà musica innovativa, e da Cal Maria von Weber, che scrive la prima opera romantica, Il franco cacciatore, legata al mondo romantico e fiabesco. Beethoven è una figura fondamentale dal punto di vista sociologico. Haydn nasce nel 1732 e morirà nel 1809 ed è un compositore del 1700 e scrive più di 100 sinfonie e passa la maggior parte della sua vita al servizio di una famiglia nobile. Un compositore per vivere ha alcune possibilità ma è sempre al servizio di un mecenate (chiesa, nobili, corti). Ludwig van Beethoven crede e si entusiasma agli ideali della Rivoluzione Francese ma che ne rimarrà deluso. Dedica la sua III sinfonia a Bonaparte per poi strapparne la dedica. Beethoven è un uomo che vivrà a Vienna, capitale della grande musica dell’epoca, dove studierà con Haydn. Beethoven non vorrà mai lavorare per qualcuno, infatti uno dei fratelli di Napoleone chiederà a Beethoven di lavorare per lui ma rifiuterà. Per far sì che Beethoven rimanga a Vienna degli uomini dell’epoca raccolgono un vitalizio per Beethoven stesso. Tornando a Beethoven, egli è il figlio dell’illuminismo, entusiasmato dagli ideali della Rivoluzione francese (disillusione postuma derivata da Napoleone). Inizialmente dedicò la sua III sinfonia a Bonaparte, poi la strappò quando Napoleone smise di apparire come portatore degli ideali rivoluzionari. Beethoven è un uomo nuovo, visse per tutta la vita a Vienna perché è la capitale della grande musica dell’epoca. Quando egli arrivò nella città, Van Swieten capì il suo talento e gli disse di raccogliere l’identità di Mozart (appena morto) e di studiare con Haydn. Prima figura nella storia della musica che vive solo con le proprie opere, senza sottostare al servizio di un datore di lavoro. Vi sono due episodi significativi: Uno dei fratelli di Napoleone si consulta con dei musicisti e chiede a Beethoven di diventare il suo musicista di corte, egli rifiuta e l’aristocrazia viennese, solo per questo caso eccezionale, fece una colletta per fare un vitalizio (sorta di stipendio annuale) per il compositore, in modo da non perdere questo talento. Per Mozart e Haydn non poteva comporre sinfonie per sé, tutti erano incarichi da altre persone, con Beethoven nasce la figura del libero professionista che scrive e vende le sue composizioni con uno spirito imprenditoriale.  HAYDN Haydn è un compositore del ‘700, scrive composizioni di altissima qualità (massimo compositore a livello mondiale) scrisse più di 100 composizioni (Mozart 41 e Beethoven 9, sinfonie più complesse/lunghe). Haydn passa la massima parte della sua vita al servizio di una famiglia nobile degli Esterhazy (portava l’uniforme della famiglia, anche se era un dipendente/servitore di alta considerazione), la normalità dei compositori fino all’epoca della Rivoluzione francese. Un compositore per vivere aveva alcune possibilità ma sempre era al servizio di un mecenate, un datore di lavoro. Dopo la Rivoluzione francese la casata cade e Haydn, senza lavoro, viene invitato da un impresario inglese a fare delle tournée in Inghilterra, perché l’Inghilterra era la capitale più commerciale dove un compositore aveva molte possibilità di affermarsi. All’inizio del 1790, Haydn compie dei concerti a Londra, per i quali compone le 12 sinfonie londinesi. Negli ultimi anni diventa un libero professionista, viveva grazie alle offerte proposte dal mercato musicale dell’epoca. Haydn è stato al servizio dei principi Esterhazy e portava l’uniforme dei principi ma era un dipendente. All’inizio degli anni ’90 del 1700, Haydn non lavora più per i principi e viene invitato da un impresario inglese, Solomon, a fare delle tournee in Inghilterra per cui compone le 12 sinfonie londinesi e solo negli ultimi anni vive di commissioni offerte dal mercato musicale. WOLFANG AMADEUS MOZART Wolfang Amadeus Mozart inizia la sua carriera alla corte di Salisburgo e fa il musicista per il principe arcivescovo Colloredo di cui resta al servizio fino al 1781. Dopo essersi fatto conoscere in tutta Europa, decide di rompere i rapporti con il principe (si fa cacciare) e con il padre. Mozart si reca a Vienna con l’idea di trovare un posto a corte, infatti, negli ultimi anni della sua vita farà il libero professionista ma con molte difficoltà. Mozart è una figura ancora diversa. Incomincia la sua carriera al servizio della corte di Salisburgo (dove era nato, non da famiglia nobile) e fa il musicista per il principe arcivescovo (soluzione politica frequente in Austria e paesi limitrofi). Mozart resta al servizio 1. ripetizione (A A): progressione, imitazione, canone (ritorno) 2. variante (A A’): variante, variazione (gioco tra costanti e variabili) 3. contrasto (A B) Principi di elaborazione del discorso musicale: 1. ALLINEAMENTO (per esempio, stile galante). Si dà nell’accostamento di momenti musicali che hanno in sé medesimi il loro senso e non appaiono conseguenza di quanto precede e premessa di quanto segue. L’allineamento comporta la valorizzazione del contrasto come principio formale e la ricerca dell’unità e dell’equilibrio in uno stesso stile o in uno tono di conversazione (stile galante) oppure in nessi che non sono quelli dell’integrazione tematica e motivica tradizionale (Novecento). Nell’Ottocento, il potpourri è la forma decaduta dell’allineamento: l’eterogeneità rende il semplice allineamento un difetto estetico. In generale, l’allineamento si scontra con la nozione di forma propria della teoria delle forme musicali, fondata sull’idea di parti connesse tra loro e con il complesso dell’opera; di riflesso l’analisi e l’interpretazione storico-critica modellata sulla teoria delle forme si rivela inadeguata nei confronti dell’allineamento. ♫ JANÁČEK QUARTETTO PER ARCHI N° 1 “SONATA A KREUTZER” PRIMO MOVIMENTO https://www.youtube.com/watch?v=0TNeUJYiAoo 2. ELABORAZIONE continua per ripetizioni, associazioni e combinazioni successive di elementi motivici (Fortspinnung, svolgimento continuo e idea di “prolungamento”: primo Settecento). L’elaborazione continua è applicata essenzialmente alla linea melodica, per cui uno o più motivi sono svolti in una unità sintattica più ampia e prolungata grazie a tecniche come la semplice ripetizione, la progressione, la modifica degli intervalli. Il periodo musicale è articolato di norma in tre segmenti: premessa (incisiva e pregnante) – prosecuzione (propulsiva, ma dai contorni meno netti) – epilogo (cadenza conclusiva). L’elaborazione continua rappresenta un’evoluzione a partire dalla premessa data da uno o più motivi: è la concatenazione di elementi che derivano l’uno dall’altro sulla base di criteri associativi e combinatori ma che tende a escludere un’elaborazione del materiale musicale nel senso di un suo sviluppo e di una sua sostanziale modificazione nel tempo. Alla base di questo principio si pone l’arte combinatoria, cioè il calcolo delle combinazioni, disposizioni e permutazioni ottenibili variando l’ordine o il numero di un insieme di elementi. Il discorso musicale delinea un’evoluzione e uno svolgimento che tuttavia non comporta un sostanziale rinnovamento del materiale. L’impulso cinetico determinato dal basso continuo è uno sfondo su cui si stagliano particolari differenziazioni e nuove combinazioni. ♫ CONCERTO BRANDEBURGHESE N° 3 BWV 1048 BACH PRIMO MOVIMENTO https://www.youtube.com/watch?v=qRo21zNdOT4 3. VARIAZIONE È la trasformazione con vari artifici di un elemento tematico di base, che pone in evidenza il gioco tra costanti e variabili nell’elaborazione del materiale musicale. Intesa in senso lato, come elaborazione compositiva, la variazione si avvale di procedimenti che possono riguardare: melodia (ornamento, inversione, retrogradazione ecc.), ritmo (diminuzione, aggravamento, ornamento, modificazioni metriche ecc.), armonia (alterazione, modulazione, arricchimento ecc.), timbro, registro, agogica, dinamica. Ciascuno di questi procedimenti si combina con altri, originando una ricchissima molteplicità di combinazioni possibili che dipendono dalle epoche e dalle tecniche compositive impiegate. Tecnica antichissima, col “classicismo viennese” la variazione diventa la tecnica compositiva privilegiata (l’elaborazione motivico-tematica, tipica dello stile “classico” può essere considerata un’applicazione intensiva del principio della variazione). La forma è quella del tema con variazioni, dove il tema è da intendersi come l’idea musicale di fisionomia pregnante e di senso compiuto, su cui si basa il pezzo. In rapporto ai procedimenti impiegati e quindi al grado di trasformabilità del tema si hanno tre fondamentali processi di variazione: a) introduzione di ornamentazioni, fioriture melodiche e ritmiche o anche di sovrapposizioni contrappuntistiche, che lasciano sostanzialmente intatta la fisionomia melodica del tema; b) modifiche più profonde introdotte su più elementi del tema che resta tuttavia riconoscibile nella sua struttura metrica e armonica; c) trasformazione radicale del tema, mediante l’enucleazione e lo sviluppo di singole cellule melodiche, ritmiche o armoniche. ♫ WOLFGANG AMADEUS MOZART 12 VARIAZIONI SU “AH, VOUS DIRAI-JE MAMAN” KV 265 https://www.youtube.com/watch?v=xyhxeo6zlam 4. ELABORAZIONE MOTIVO-TEMATICA O SVILUPPO (Entwicklung, stile “classico”). L’elaborazione motivico-tematica si fonda su una precisa logica musicale che produce nessi e relazioni all’interno della forma musicale assicurandone così la consequenzialità, la coesione e la coerenza costruttiva. L’elaborazione deriva almeno da un motivo o da un tema, ma può intrecciare insieme anche più di un elemento tematico: l’elaborazione deriva da un nucleo originario, una radice dalla quale si sviluppa tutto il resto della composizione secondo una logica discorsiva e dialettica. Da una materia musicale data scaturisce una forma che si sviluppa nel tempo per cui le parti sembrano generarsi l’una dall’altra in modo consequenziale. L’impressione è di uno sviluppo organico proiettato nel tempo, dinamico e orientato verso una meta. La dimensione temporale della musica non costituisce un ostacolo che la forma deve superare ma ne costituisce la sostanza. Ulteriore intensificazione del principio nella variazione in sviluppo (entwiclende Variation), elaborazione e variazione continua del materiale che non è più vincolata a determinate parti della forma ma diviene principio fondante della scrittura (Beethoven, Brahms, Schönberg). ♫ BRAHMS SINFONIA N° 4 OP. 98 PRIMO MOVIMENTO https://www.youtube.com/watch?v=GO3NYz6QmsY 5. VARIANTE E TRASFORMAZIONE DEL TEMA (romanticismo). Si tratta del principio in base al quale un tema o un motivo ritorna in forma sempre diversa, divenendo oggetto di una progressiva trasformazione. Al senso della continuità e dell’identità tematica, molto più accentuato che nell’elaborazione motivico-tematica, si unisce quello del mutamento di prospettiva e di carattere. ♫ BERLIOZ SYMPHONIE FANTASTIQUE OP. 14 https://www.youtube.com/watch?v=SCuKg6Dgc6I 6. RAGGRUPPAMENTO E CORRISPONDENZA (forme strofiche, cantabilità). Si tratta del principio in base al quale idee e sezioni formali stanno tra loro in rapporto di equilibrio e di corrispondenza. Anziché presentarsi come catena di logiche conseguenze, le parti del discorso musicale appaiono giustapposte in modo da creare un equilibrio tra sezioni corrispondenti in dimensioni sempre crescenti (frasi, periodi, sezioni). Il principio si basa su due elementi costitutivi che possono anche essere indipendenti: la ripetizione di sezioni melodiche e la costruzione regolare del periodo. La musica oppone una resistenza allo scorrere del tempo, di cui pure fa parte, invece di abbandonarvisi o di rappresentarlo con tanto rigore da identificarvisi, favorendo l’impressione di una trasformazione del fenomeno temporale in fenomeno spaziale, in architettura. ♫ FELIX MENDELSSOHN VENETIANISCHES GONDELLIED OP. 30 N° 6 https://www.youtube.com/watch?v=Re-eu9q_yUU STRUTTURE FORMALI Forma ternaria (Liedform), ABA (principi della ripetizione e del contrasto). La forma ternaria o Liedform caratterizza non soltanto o non tanto il Lied ma anche e soprattutto la musica strumentale (pezzo lirico per pianoforte). È una forma particolarmente importante nel periodo classico e nell’Ottocento, in cui si delinea una estrema varietà nei rapporti tematici e tonali tra le parti costitutive della forma. Il principio costruttivo correlato alla forma ternaria è quello del raggruppamento e della corrispondenza. ♫ JOHANNES BRAHMS INTERMEZZO OP. 117 N° 1 (1892) Epigrafe poetica posta in testa alla composizione, che è una ninna-nanna: Schlaf sanft, mein Kind, schlaf sanft und schön! Mich dauert’s sehr, dich weinen seh’n. (Schottisch aus Herder’s Volksliedern) A, MI BEMOLLE MAGGIORE, ANDANTE MODERATO: I DOPPIO PERIODO [(8+8) + 4 DI APPENDICE E TRANSIZIONE] Struttura del periodo classicamente regolare (inciso: semifrase: frase: periodo = 1:2:4:8) a (4) + b (4): si conclude con una cadenza sospesa alla dominante a1 (4) + a2 (4): si conclude con una cadenza alla tonica a3 (4): transizione che preannuncia il passaggio al minore della parte centrale, e la scrittura cambia (da melodia e accompagnamento a dialogo tra le due mani, ottave) B, MI BEMOLLE MINORE, PIÙ ADAGIO: II DOPPIO PERIODO (8+9 PER ESPANSIONE) Il contrasto con la prima parte (minore, tempo più lento) è accentuato dalla prevalenza del registro grave, dalla diversa scrittura e configurazione musicale. La melodia, assai meno pregnante, è frantumata in piccoli segmenti e anziché essere ben profilata al di sopra dell’accompagnamento accordale è piuttosto assorbita nel tessuto sonoro dai contorni meno netti, costituito da accordi e sostenuto da arpeggi alla mano sinistra. Struttura del periodo in cui l’articolazione interna, oltre a essere molto più sfumata rispetto a quella della parte A, è asimmetrica c (6) + c abbreviato (2): si conclude con una cadenza sospesa alla dominante c1 (6) + c abbreviato (3): si conclude con una cadenza alla tonica minore A, MI BEMOLLE MAGGIORE, UN POCO PIÙ ANDANTE: I DOPPIO PERIODO VARIATO (8+12 PER ESPANSIONE) La struttura del periodo ricalca quella della prima parte per le prime 16 battute. In luogo dell’appendice-transizione, epilogo: a4 (4). Contenuto e linguaggio musicale romantico (epigrafe letteraria da Herder, allusione poetica) disciplinato entro una limpida forma classica. https://www.youtube.com/watch?v=w4nnjhHe15U RONDÒ La forma del rondò ha origine francese (rondeau), ABACAD…A (principi della ripetizione e del contrasto). Il criterio essenziale del rondò è l’alternanza tra un’idea o tema principale (refrain) che ritorna uguale a sé stesso e un certo numero di episodi (couplets); si tratta di un criterio di antichissima tradizione poetico-musicale e dunque anche letteraria. Esistono varie possibilità di rapporti tematici e relazioni tonali tra refrain ed episodi. Dal rondeau francese del Sei-Settecento si sviluppa il rondò classico dove la ricomparsa costante del tema principale si alterna a episodi contrastanti secondo vari schemi formali (per esempio, ABA’BA’’). L’assimilazione del rondò al linguaggio classico comporta anche una struttura formale che rappresenta una mediazione tra la forma di sonata e appunto quella del rondò, definita rondò- sonata: ABACABA (dove A corrisponde al primo tema, B al secondo tema e C allo sviluppo centrale di una forma di sonata). JOHANN SEBASTIAN BACH, FINALE DEL CONCERTO PER VIOLINO E ORCHESTRA BWV 1042 (1717-1723) Allegro assai STRUTTURA TONALITÀ BATTUTE ORGANICO Refrain A MI 1-16 Tutti Episodio1 B MIV 17-32 Solo + basso Refrain A MI 33-48 Tutti Episodio2 C do# 49-64 Solo + violini I/II e viola Refrain A MI 65-80 Tutti Episodio3 D LA 81-96 Solo + violini I/II, viola e basso Refrain A MI 97-112 Tutti Episodio4 E sol# 113-144 Solo + violini I/II, viola e basso Refrain A MI 145-160 Tutti Il finale per Concerto per violino BWV 1042 è un rondeau alla francese in un concerto di complessivo disegno italianizzante composto da un maestro tedesco (aspetto del sincretismo stilistico settecentesco). Il movimento è un esempio di come il rondò si adatti particolarmente bene a un genere come il concerto. La costruzione è assolutamente regolare e simmetrica: il refrain è costituito da un periodo di 16 battute nella tonalità d’impianto (che è assimilabile a un periodo classico di 8+8 battute), i couplets sono costituiti da quattro episodi in altre tonalità: i primi tre episodi solistici sono di 16 battute ciascuno, l’ultimo conta 32 battute. La distinzione tra refrain e couplets è accentuata dalla diversa strumentazione, proprietà caratteristica del concerto; l’intensificazione del discorso musicale è data dal progressivo incremento virtuosistico e dal tipo di accompagnamento degli episodi solistici. FRANZ JOSEPH HAYDN, POCO ADAGIO CANTABILE DAL QUARTETTO IN DO MAGGIORE OP. 76 N° 3 «KAISERQUARTETT» (HOB. III/77) Secondo movimento del Quartetto opera 77 – quartetto dell’imperatore di Haydn. Si chiama così perché si basa su ciò che era all’epoca l’inno imperiale asburgico, inno composto dallo stesso Haydn e che cominciava con le parole dio salvi l’imperatore francesco, inno che era stato in qualche modo improntato su un atro inno “god save the king” inno britannico. Per parlare della storia di questo inno è una melodia famosissima e che oggi attraverso mille storie è diventato l’inno tedesco: l melodia di Haydn è stata adattata a inno tedesco dopo la Seconda guerra mondiale prima della divisione repubblica federale e repubblica democratica tedesca. Il testo dell’inno tedesco è un testo ottocentesco che è stato utilizzato e adattato alla musica preesistente di Haydn che prendeva le parole dio conservi imperatore francesco ecce cc. Invece il testo nato nell’ambito dei movimenti della giovine Germania dei movimenti patriottici divisa in tanti stati che auspica la divisione. Alcune strofe di questo testo 800sco sono state eliminate quando questo e diventato inno post 1945 perché parlano di una Germania che si estende dalla penisola iberica alla Russia e quindi alcune strofe sono state eliminate. Perché questo esempio? Ci permette di entrare nel vivo di un genere ella musica dal periodo classico fino ad oggi: il quartetto per archi ossia una composizione per due violini. Una viola e un violoncello  due strumenti acuti (violini), uno strumento di registro medio (viola) e poi il volume sonoro grande e basso (violoncello). Nel periodo “classico” si afferma l’idea del quartetto come conversazione profonda tra quattro personalità d’intelligenza superiore e un ideale linguaggio di verità; nelle quattro parti, che sono necessariamente complementari e animate, si ascoltano intrattenersi quattro persone intelligenti (Goethe). Nel periodo classico si afferma il quartetto come conversazione tra quattro persone intelligente e interessanti. Dal “classicismo” il quartetto per archi (2 violini, viola e violoncello) diviene il genere di più elevata dignità estetica nell’ambito della musica da camera. La serie di sei Quartetti op. 76 (1797-98) dedicati al conte Erdödy appartiene alla tarda produzione di Haydn. Il tema per le variazioni del secondo movimento del Quartetto op. 76 n° 3 è costituito da Gott, erhalte Franz den Kaiser, l’inno imperiale asburgico composto da Haydn (1797). Nel corso delle quattro variazioni il profilo melodico del tema resta intatto e passa da uno strumento all’altro con un evidente significato simbolico: l’immutabile maestà del potere imperiale; tuttavia, il movimento delinea una logica compositiva che non è soltanto quella dell’ornamentazione poiché le successive riapparizioni del tema s’inscrivono in un contesto di progressivo arricchimento armonico e contrappuntistico. In ogni caso il movimento offre una tipologia di tema con variazioni volutamente retrospettiva, in cui il tema è trattato come cantus firmus su cui costruire un intreccio a quattro parti di ornamentazioni, controcanti e contrappunti. Dal classicismo in poi diventa una sorta di corrispettivo di una musica da camera o nella sinfonia per la musica d’orchestra (genere più importante). Questo ha a che fare con il forte significato simbolico. L’inno viene scritto nel pieno delle guerre napoleoniche dove l’Impero asburgico si trova ad affrontare guerre contro napoleone che entrerà a Vienna nel 1809. Haydn utilizza un modello abbastanza retrospettivo un po’ antiquario, in cui il tema viene trattato come cantus firmus ossia un’antica tecnica della polifonia in cui una certa melodia viene utilizzata come base immutabile per costruire dell’altra musica e fare delle variazioni. Ce un tema (inno) e poi ci sono quattro variazioni, la particolarità è che nel corso delle variazioni il profilo melodico del tema rimane assolutamente intatta ed è sempre presente nella sua letteralità e questo non succede sempre. All’epoca di Haydn la logica era quella di sottoporre il tema a ornamentazioni e maggiori fioriture ma qua ce anche un progressivo arricchimento dell’armonia e delle azioni, costruisce un intreccio di armonizzazioni. Ha un tema di 4 battute omoritmica ossia tutte e quattro le parti procedono con lo stesso ritmo, il tema e articolato in 2 parti. Il tema di 20 battute ha la configurazione omoritmica tipica dell’inno. Esso è articolato in due periodi dei quali il primo ha struttura ternaria mentre il secondo ha struttura binaria: a (4) + a (4) + b (4): si conclude con una cadenza sospesa alla dominante c (4) + c (4): si conclude con una cadenza alla tonica. Variazione 1, a due sole parti: tema al violino II, fioriture ornamentali al violino I Variazione 2: tema al violoncello, controcanto sincopato e fiorino al violino I, sostegno alla melodia del violoncello da parte del violino II, complemento armonico della viola Variazione 3, ordito contrappuntistico: tema alla viola, ricami contrappuntistici degli altri strumenti Variazione 4, ordito contrappuntistico non imitativo: il tema ritorna al violino I, che lo intona tuttavia all’ottava acuta mentre il procedimento di variazione si realizza nella trama contrappuntistica e nella struttura armonica ad essa correlata, molto ricca ed elaborata, con cromatismi, pedali eccetera che preannuncia la sensibilità romantica. https://www.youtube.com/watch?v=Ce7cUvy5v3g FORMA DI SONATA La forma di sonata o forma sonata lo schema costruttivo emblematico e di riferimento del periodo “classico” si sviluppa attorno alla metà del Settecento dalla forma binaria propria dei tempi di danza stilizzati della suite barocca nella configurazione in cui la sezione iniziale della prima parte ritorna in conclusione della seconda (delineando uno schema ||: A :||: B A :||  ossia si suona una prima parte e poi si ripete, si passa alla seconda parte, si suona una prima volta e poi si ripete). A un certo punto perdono la loro composizione per essere ballata e diventa una composizione per quartetti. La suite del Seicento e del Settecento è una composizione consistente in una sequenza di danze stilizzate (Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga, Minuetto, Bourrée, Passepied eccetera). A poco a poco lo schema della forma binaria di danza viene ampliato e maggiormente articolato al suo interno; l’esito è una macro-forma ternaria ABA o ABA’. Nella forma di sonata la prima parte della forma binaria diviene l’esposizione, connotata dal contrasto di due aree tonali e da un vario numero di temi, di cui in ogni caso il primo nella tonalità della tonica e il secondo in quella della dominante; dalla seconda parte della forma binaria traggono origine lo sviluppo e la ripresa. Il luogo deputato dell’elaborazione tematica è anzitutto lo sviluppo centrale: qui il materiale musicale dell’esposizione è sottoposto a un processo dinamico di elaborazione ritmica, melodica e armonica, il cui carattere è perlopiù dialettico e drammatico (ricorrendo il compositore ai vari mezzi musicali che si prestano allo scopo: frammentazioni di temi e motivi, modulazioni armoniche, intensificazione ritmica e dinamica, procedimenti imitativi). Poiché l’elaborazione sviluppa le implicazioni e le potenzialità insite nei temi, lo sviluppo è il momento decisivo della forma. La ripresa, che può ricalcare fedelmente l’esposizione oppure discostarsene in alcuni punti (mediante procedimenti di abbreviazione, sostituzione o variazione), ha la funzione di risolvere o ricomporre la dissonanza strutturale su vasta scala tonica-dominante profilata nell’esposizione e accentuata nello sviluppo. La forma di sonata è come detto lo schema costruttivo emblematico del pensiero musicale e dello stile “classico” per il coordinamento di struttura tematica e tonale come presupposto della compiutezza e dell’autonomia della forma musicale. Si possono stabilire possibili correlazioni filosofiche, drammatiche, letterarie della forma di sonata con il pensiero critico settecentesco (Kant), con la contemporanea teoria del dramma (presentazione, peripezia, scioglimento), con l’arte retorica. È importante distinguere tra la forma di sonata (schema costruttivo per un singolo movimento) e il cosiddetto ciclo di sonata (composizione strumentale in più movimenti di cui uno o più movimenti sono in forma di sonata: sinfonia, quartetto, trio, sonata). Forma di sonata Ciclo di sonata Singolo movimento Intera composizione in più movimenti Esposizione Sviluppo Ripresa 1. Allegro (in forma di sonata) 2. Adagio (in forma di sonata, ternaria, di tema con variazioni) 3. Minuetto e Trio 4. Allegro (in forma di sonata, di (problematicità comune alla storia letteraria o alla storia dell’arte): a differenza della storia politica, sociale, religiosa, militare ecc. la storia della musica non si occupa di dati e documenti ma di prodotti estetici (opere); in parte, la problematicità deriva da aspetti peculiari della storia della musica. A livello teorico, esistono tre tipologie di criteri per la periodizzazione: 1) criteri di storia generale 2) criteri riconducibili alla storia della cultura, alla storia letteraria e alla storia dell’arte 3) criteri immanenti alla musica (stile, tecnica compositiva ecc.) Le teorie storiografiche del Settecento dipendono dai criteri 1) e ricorrono talvolta ai criteri 3); le teorie dell’Ottocento invece sono improntate soprattutto ai criteri 2). Naturalmente la periodizzazione determinata dalle grandi scansioni della storia generale ha prevalso come impalcatura portante degli studi storico-musicali: Antichità - Medio Evo – Età moderna; e le controversie su quale dovesse essere considerato l’inizio dell’Età moderna si sono riflesse anche nella storia della musica: nonostante l’impulso innovativo della civiltà cinquecentesca anche in ambito musicale, oggi si tende a considerare, sulla base dello sviluppo della tecnica compositiva e delle idee estetiche, come spartiacque il 1600. Un altro problema, di natura tanto concettuale quanto sostanziale, riguarda l’impiego delle categorie di modernità e novità in relazione alla musica storicamente più vicina ai giorni nostri; oggi si propende per distinguere un periodo della modernità, che segna uno stacco rispetto alla tradizione ottocentesca, tra il 1890 e il 1914 e la nuova musica dal 1914. D’altra parte, nella classificazione della nuova musica oggi non si possono più far rientrare le esperienze del Novecento storico e la musica prodotta a partire dal 1945. Termini come “Rinascimento” (Michelet, 1855 e Burckhardt, 1860), “Barocco” (Wöllflin, 1888), “Classicismo”, “Romanticismo” sono assimilati dalla storia della musica nella seconda metà dell’Ottocento. L’attrattiva delle denominazioni storico-culturali genera sottoperiodi come “Manierismo” (riferito al Cinquecento), Empfindsamkeit, Sturm und Drang, “Impressionismo”, “Verismo”. L’adeguatezza e rispondenza al campo musicale delle etichette storico-culturali sono tuttavia da verificare attentamente, caso per caso; il rischio è che la loro genericità provochi equivochi e fraintendimenti. La fiducia nella presenza di una categoria metafisica come lo spirito del tempo che compenetrerebbe tutti i diversi ambiti e le differenti manifestazioni di una data civiltà deve fare i conti con alcuni problemi. In primo luogo, è difficile ricondurre a un’unica e astratta categoria dello spirito del tempo tutti i diversi aspetti, non di rado contrastanti o addirittura opposti, di una stessa epoca: alla suggestione, alla ricchezza delle associazioni e delle implicazioni la periodizzazione storico-culturale unisce una certa genericità e vaghezza riguardo alle tecniche compositive e allo stile della musica. In secondo luogo, esiste spesso una sfasatura cronologica tra i periodi nella storia dell’arte o della letteratura e i periodi cui è attribuita la stessa denominazione nella storia della musica. Alcuni esempi. Il Barocco, che nella storia dell’arte e della letteratura coincide approssimativamente con il Seicento, nella storia della musica coprirebbe un periodo amplissimo dal 1600 al 1750; il Romanticismo, che in letteratura è teorizzato tra lo scorcio del Settecento e il primo decennio dell’Ottocento, nelle opere musicali non incomincia a manifestarsi prima degli anni Venti dell’Ottocento. Le etichette storico- culturali non sono da rifiutare a priori: possono essere di grande utilità e fascino nel tentativo di ricondurre un’epoca, uno stile o un genere musicale alla storie delle idee e del gusto, cioè a un contesto culturale, ma vanno precisate volta per volta nei contenuti specifici (per es. si tratta di precisare il concetto di romanticismo musicale in relazione a quello di romanticismo letterario): la precisazione può fondarsi anzitutto su criteri di ordine stilistico ed estetico. La periodizzazione basata su criteri immanenti alla musica (Riemann, Adler) comporta l’accentuazione dell’autonomia dello sviluppo musicale. Le categorie portanti sono lo stile, i generi e le tecniche compositive (per es.: “Epoca del basso continuo” proposta da Riemann). Questo tipo di periodizzazione ha il vantaggio di una maggior precisione rispetto all’approccio storico-culturale ma non riesce a render conto della varietà di tecniche e di stili che vorrebbe designare e inoltre pone problemi di più ampia portata storiografica: un nuovo periodo incomincia quando iniziano ad apparire distintamente nuovi tratti stilistici oppure soltanto quando questi tratti sono divenuti predominanti? Un esempio in merito è dato dalla successione del periodo classico e del periodo romantico: le prime opere che si possono definire romantiche appaiono nel decennio 1820-1830 (Schubert e Weber, i primi autori che possono definirsi romantici, muoiono entro il 1830) ma lo stile compositivo romantico diviene predominante soltanto nei decenni successivi. Dal Novecento il metodo propriamente storico della ricerca musicologia (musicologia storica) s’intreccia con altre discipline o metodologie, in particolare quelle inerenti alla musicologia sistematica. La musicologia storica comprende discipline che considerano il fenomeno musicale come prodotto storicamente determinato (ricerca e classificazione delle fonti; paleografia; analisi e critica testuale; prassi esecutiva; organologia; biografia; storia delle istituzioni musicali; storia delle modalità di committenza, produzione consumo e diffusione musicale e di altri problemi di storia sociale della musica; storia delle teorie e delle estetiche musicali; analisi; iconografia; storia della danza ecc.). La musicologia sistematica comprende viceversa discipline a orientamento non propriamente storico (acustica e psicoacustica; psicologia della musica; sociologia della musica; semiotica della musica; estetica e filosofia della musica; teoria musicale; didattica musicale ecc.). Il superamento di una rigida distinzione tra il campo della storiografia musicale e della musicologia sistematica (quest’ultima assai rivalutata a settore d’interesse primario, poiché l’approccio sistematico può essere utilizzato come griglia per cogliere il fenomeno musicale in tutta la sua complessità di fenomeno non soltanto storico-artistico ma anche acustico, sociologico, semiologico ecc.) ha portato alla possibilità di interazione dialettica tra i due ambiti musicologici. Le discipline dell’ambito storico possono essere considerate anche da un punto di vista non storico (per es. l’approccio semiologico alle forme di notazione o la classificazione tipologica delle forme musicali). Viceversa, le discipline della musicologia sistematica possono essere considerate in una prospettiva storica (per es., la storia della sociologia musicale). Dalla riconsiderazione complessiva della musicologia e dall’interrelazione tra l’ambito storico e quello sistematico emergono in sostanza due diversi approcci al fenomeno musicale, da impiegare e valutare come due aspetti in costante tensione dialettica: - approccio diacronico: tentativo di tracciare uno sviluppo nel corso del tempo in cui inserire il fenomeno (approccio più interpretativo, che comporta la costituzione di nessi storici da parte dello studioso); - approccio sincronico: esame del fenomeno musicale nel contesto di uno schema classificatorio indipendente dallo scorrere del tempo (approccio più empirico). Evidentemente la scelta della prospettiva (storica ovvero sistematica) e la scelta del metodo (induttivo ovvero deduttivo) dipendono da un alto dal concreto oggetto della ricerca e dall’altro dalle finalità conoscitive individuali. Fondamentale è, in ogni caso, il concetto di stile: insieme di norme e tecniche compositive, di tratti ed elementi ricorrenti (all’interno delle opere di un determinato autore, di un certo ambiente storico-geografico, di una stessa epoca); lo stile non va inteso come una categoria chiusa ed esclusiva bensì come una categoria classificatoria da usare come schema di riferimento e di confronto per elaborare e verificare i dati della ricerca (per es. periodizzazione, attribuzioni di composizioni adespote a un compositore o a un’epoca; influenze tra un compositore e un altro ecc.). II. STORIA DI STRUTTURE ♫ CARL DAHLHAUS FONDAMENTI DI STORIOGRAFIA MUSICALE FIESOLE, DISCANTO, 1980. La storiografia non è la storia. Lo studio della storia implica necessariamente una filosofia della storia: uno schema organizzante, un’ossatura di idee e presupposti che sorregge e guida il lavoro storiografico. I fenomeni storici di cui lo studioso si occupa in prima istanza non sono fatti biografici o eventi, che costituiscono soltanto l’impalcatura fattuale della sua ricerca mirata alla sostanza musicale e al valore artistico di un’opera d’arte. Che cos’è un fatto nella storia della musica? Opere musicali e relative esecuzioni, condizioni di vita dei compositori, struttura delle istituzioni, idee estetiche, strati sociali portatori dei vari generi musicali (pubblico definibile mediante connotati comuni al di là dell’interesse musicale). Distinzione tra eventi e opere d’arte: - gli eventi appartengono al passato e rivivono nel presente solo per mezzo di relazioni o di resti che lo storico utilizza per costruire i fatti storiografici. L’importanza e il significato degli eventi, prodotti di interconnessioni e di azioni, dipendono dalle conseguenze che essi generano; - le opere d’arte sono una presenza estetica che rivive nel presente e sono esse stesse i “fatti oggettivi” ricercati dallo storico. L’importanza e il significato delle opere, realizzazioni dell’idea di un singolo individuo, consistono nell’essenza estetica. Tra storiografia ed estetica esiste un rapporto circolare: le premesse estetiche che possono reggere una storiografia sono esse stesse storiche e soggette a mutamento. Ora in quanto storia di un’arte, nei presupposti di un’estetica dell’autonomia da un lato e di una teoria della storia fondata sul concetto della continuità, la storia della musica appare impossibile: o perché non è una storia della musica (con medaglioni di singole opere) oppure non è una storia della musica (il nesso interno della narrazione storica è fornito dal collegamento di eventi esterni culturali e sociali). Si pone allora la necessità di una metodologia storiografica che trovi il modo di mediare tra le esigenze della musica in quanto arte e quelle della storia in quanto successione e narrazione di eventi: storia strutturale (dal 1929, «Annales»). Il principio fondamentale di una storia di strutture è il seguente: le azioni di singole persone o di gruppi sociali sono costantemente sottoposte alle condizioni di un sistema di riferimento sovrastante, la struttura appunto, oggetto primario della storiografia. Che cos’è una struttura? È un nesso funzionale chiuso (diverso da una condizione, un raggruppamento o una combinazione di fatti che non pretende di cogliere una struttura complessiva in sé chiusa; il concetto di condizione può comunque essere utilizzato ai fini di una storia strutturale). Dunque, una storia strutturale mira anzitutto ad individuare e analizzare le strutture storico-musicali, costituite da norme stilistiche e di tecnica compositiva, teorie estetiche, forme di pensiero, istituzioni e ruoli sociali, modalità di recezione. Poiché l’evento musicale coincide essenzialmente con il momento esecutivo che è il punto di intersezione di azioni e strutture (testo musicale, stile interpretativo, condizioni istituzionali ecc.), storia di eventi musicali e storia di strutture non si escludono a vicenda ma stanno tra loro in un rapporto di interazione e complementarità. Secondo l’interesse conoscitivo si può per esempio partire da un evento per illuminare le strutture che lo presuppongono oppure correlare un certo numero di strutture per rendere comprensibile un determinato evento. Nella misura in cui si concepisce la storia della musica come storia di strutture cresce la possibilità analitica di valutare correttamente fatti e processi musicali come eventi. Una storia strutturale della musica si distacca da un lato dalla storia dei compositori, dei generi e delle nazionalità mentre dall’altro si separa da una teoria e da un’estetica della musica concepite come sistemi astorici e ideologici. Una storia strutturale della musica si propone dunque come mediazione tra una storia che manca di fondamento sistematico e una sistematica teorico-estetica che manca di fondamento storico. Se la storia strutturale mira a raggiungere una certa precisione nel descrivere nessi molto ampi, determinando funzioni e correlazioni, riesce inoltre a superare le imprecisioni e i luoghi comuni che si tollerano nelle definizioni di etichette e generiche categorie riassuntive (per es. “neoromanticismo”, “tardo romanticismo”) e a soddisfare i presupposti di una metodologia scientifica. Inoltre, una storia strutturale ha il vantaggio di rinunciare a qualsiasi anticipazione di filosofia della storia: l’analisi e la ricostruzione di nessi e corrispondenze tra singoli fatti e serie di fatti (economici, sociali, estetici, psicologici, di tecnica compositiva) senza una predeterminata impalcatura di elementi che siano fondanti o viceversa fondati. Il metodo strutturale tiene conto della probabilità che esista una gerarchia tra gli elementi costitutivi di una civiltà musicale ma si rifiuta di stabilire prima di una verifica empirica quale sia questa gerarchia. La storia strutturale rinuncia, infatti, a qualsiasi sostanzializzazione del processo storico a differenza della storia della cultura (improntata alla categoria idealistica dello spirito del tempo, Zeitgeist, che compenetra tutti gli ambiti di una cultura) e della storia marxista (ove tutto è ricondotto in ultima istanza alla base economico-sociale). Dalle varie impostazioni storiche, la storia strutturale può mutuare elementi formali o metodologici: per es. dalla storia della cultura il ricondurre l’insieme dei nessi e delle interazioni esistenti fra i fattori di una condizione storica a un concetto (la struttura, in luogo dello spirito del tempo); dalla storia marxista, l’analisi dei rapporti economici e sociali. La storia strutturale rappresenta un tentativo di mediazione tra la storia della cultura (Sette-Ottocento) e la storia sociale (Novecento), nel senso che solo miscele e accentuazioni mutevoli degli approcci metodologici rendono giustizia a una realtà storica in cui la musica può essere stata ed è effettivamente stata sia evento (parte costitutiva di un’interazione) sia opera (oggetto di contemplazione estetica). I concetti portanti della storia strutturale sono la corrispondenza e la correlazione (o complementarità); concetti che possono essere criticati per le determinazioni cronologiche approssimative che essi producono. I fenomeni posti in relazione sono spesso sfasati cronologicamente gli uni rispetto agli altri (per es. le istituzioni concertistiche borghesi sono più antiche del predominio del principio estetico dell’autonomia dell’opera d’arte), ma d’altra parte la non contemporaneità delle origini dei fenomeni considerati non esclude una corrispondenza in stadi successivi (con un cambiamento di funzione un fenomeno può adattarsi a un contesto mutato: per es. le istituzioni concertistiche borghesi al repertorio di opere autonome nell’Ottocento). Il sistema di corrispondenze che lo storiografo scopre o costruisce come impalcatura di un’epoca musicale si può intendere come «tipo ideale» (Max Weber), cioè non come semplice riproduzione di quanto è accertabile empiricamente ma come progetto in cui si tollerano imprecisioni di tempo e di spazio nel coordinare le parti del sistema; inoltre è ovvio che in una stessa epoca si scoprano discrepanze, divergenze, irrelazioni ecc. accanto a corrispondenze e correlazioni (sarebbe una follia ritenere possibile l’esposizione della cultura musicale di un’epoca come sistema di strutture senza residui insolubili). In ogni caso, il problema più arduo della storia strutturale (ma già anche della storia della cultura) è la non contemporaneità di ciò che è contemporaneo. Da cui deriva il problema della periodizzazione. Le singole strutture compresenti in un dato momento e che determinano una condizione storica si differenziano e per l’età rispettiva e per la misura del tempo in cui mutano: contemporanea esistenza di diversi «ritmi temporali» (Fernand Braudel) delle diverse strutture. Il problema diventa insolubile se si soggiace a una filosofia della storia assumendo come principio metafisico fondante uno spirito del tempo che sarebbe il comune metro di riferimento dei ritmi temporali delle diverse strutture. Si pone il problema di decidere in modo non arbitrario quali strutture e quali fenomeni compresenti in un dato momento storico si possa ritenere adeguato allo spirito dell’epoca e perciò sia indice di orientamento del relativo prima e poi di altri fenomeni per così dire non contemporanei: nel caso dei generi e degli stili mentre una generazione precedente o uno stile più vecchio perdurano ancora, una generazione successiva o uno stile più nuovo si annunziano già. Di fatto, in alcune epoche empiricamente non si può stabilire altro che una sovrapposizione di strutture che sottostanno a ritmi temporali discordanti e non riducibili gli uni agli altri, e che inoltre hanno raggiunto stadi diversi dei rispettivi sviluppi interni senza che uno stadio si possa definire più sostanziale di altri. La storia strutturale si presenta come un sistema di strutture. E il presupposto per una storia strutturale è una civiltà costituita o rappresentabile da un insieme di sistemi collegati tra loro, come la civiltà musicale europea a partire dal Seicento; che l’incontrarsi e l’addentellarsi reciproco di strutture, istituzioni, idee estetiche, norme di composizione si possa descrivere in generale come una condizione storica comporta la possibilità che essa sia concepibile come condizione ordinata e dunque come struttura di strutture. Dal Seicento, infatti, la civiltà europea è costituita o è rappresentabile come un insieme di sistemi tra loro collegati e interrelati; è inoltre all’inizio del Seicento che, sulla base di fatti decisivi occorsi nella storia della composizione e nei fondamenti estetici e linguistici della musica (graduale affermazione della tonalità, del basso continuo, teoria degli affetti, nascita dell’opera, definizione dei generi della musica strumentale ecc.) che si può collocare l’inizio della musica moderna. Una storia strutturale mira allo studio di nessi funzionali, ossia di strutture storico-musicali intese come tipi ideali che nel loro insieme consentono di ricostruire con relativa approssimazione cronologica e spaziale l’impalcatura di un’epoca musicale. In altri termini: l’impalcatura storica di un’epoca musicale appare un sistema di corrispondenze e correlazioni instaurate tra le singole componenti costitutive (le strutture storico-musicali) le quali si addentellano le une nelle altre, si agganciano reciprocamente e si sovrappongono pur rispondendo ciascuna a un proprio ritmo temporale: storia delle idee, istituzioni, rapporto con la tradizione, ruoli sociali, teorie estetiche, tecniche compositive. La rinuncia a qualsiasi aprioristica filosofia della storia consente, in linea di principio, di scegliere ad arbitrio lo spunto d’avvio in quanto ogni punto del sistema è raggiungibile da un altro punto e le descrizioni dei nessi in sé non dice ancora nulla circa i rapporti di gerarchia e fondazione dei singoli elementi costitutivi (estetica, base economica e sociale ecc.). III. CONCEZIONI DIVERSE DELLA STORIA MUSICALE Philippe Vendrix, Concezioni diverse della storia musicale, in Enciclopedia della musica, vol. I. Il sapere musicale, a cura di Jean-Jacques Nattiez, Torino, Einaudi, 2002, pp. 591-610. Una riflessione sulla storia (storiografia) della musica e sulla sua teoria implica le risposte a sei domande fondamentali: 1) che cos’è la musica? 2) che rapporto c’è fra la musica e i compositori? 3) che rapporto c’è fra la musica e la realtà? 4) che rapporto c’è fra la musica e l’ascoltatore? 5) che rapporto c’è fra la musica e il linguaggio musicale? 6) come intendere a tradizione musicale, nel suo aspetto dinamico (la storia) e nell’aspetto statico (il valore)? SECONDA PARTE ♫ JOHANN SEBASTIAN BACH SUITE IN RE MAGGIORE N. 3 PER ORCHESTRA BWV 1068 https://www.youtube.com/watch?v=BSHApGBuEdM The English Concert, direttore Trevor Pinnock 1. Ouverture 2. Air 3. Gavotte I - Gavotte II 4. Bourrée 5. Gigue ORGANICO: 3 TROMBE, 2 OBOI, TIMPANI, 2 VIOLINI, VIOLA, BASSO CONTINUO Le quattro Ouvertures BWV 1066-1069 sono probabilmente i lavori strumentali più profani, di Johann Sebastian Bach, un compositore che, come si sa, aveva una concezione anzitutto teologica, etica e scientifica della musica. Il contesto musicale tedesco della prima metà del Settecento era estremamente ricettivo nei confronti delle suggestioni stilistiche e compositive provenienti dalla Francia e dall’Italia: nell’ambito strumentale, se all’Italia si guarda per il concerto, la Francia è il riferimento imprescindibile per l’ouverture e la suite. Genere per definizione connesso con una dimensione pubblica, cerimoniale e celebrativa, l’ouverture o suite orchestrale è costituita da un ampio movimento introduttivo, denominato appunto ouverture, e da una sequenza di tempi stilizzati di danza, ossia la suite propriamente intesa. All’epoca il termine «ouverture» designava dunque tanto il primo e più importante brano della composizione quanto la composizione nel suo complesso: in quest’ultima accezione la parte viene così impiegata per definire il tutto. Come si legge nel Musicalisches Lexicon (1732) di Johann Gottfried Walther, ouverture prende il nome dal concetto di “aprire”: è quindi il brano che introduce l’intera composizione strumentale, che apre per così dire la porta alla suite dei movimenti successivi. L’ouverture alla francese in senso stretto, cioè l’introduzione a una suite di danze, così come codificata nella seconda metà del Seicento da Lully ha struttura tripartita: due sezioni in tempo lento e di tono maestoso, identiche o simili, caratterizzate da figure in ritmo puntato, volatine, ricca ornamentazione, incorniciano una sezione mediana in tempo più mosso e di impianto fugato. Invece i movimenti di danza e gli eventuali pezzi di genere dai titoli particolari che succedono all’ouverture propriamente detta sono di norma improntati alla forma binaria. Al di là di qualsiasi ipotesi, non si sa di preciso quando, dove e per quali occasioni Bach abbia scritto le quattro ouverture che verosimilmente sono gli unici lavori superstiti di una produzione più cospicua. Il problema della cronologia è complicato dal fatto che delle composizioni mancano gli autografi; i manoscritti più antichi a essere pervenuti sono copie del periodo di Lipsia (1723-1750), ma è probabile che perlomeno qualcuna delle ouverture risalga, del tutto o in parte, agli anni trascorsi da Bach alla corte di Köthen in qualità di Kapellmeister (1717-1723), in cui nacquero numerose composizioni strumentali. Anche per quanto concerne la specifica destinazione funzionale dei lavori si possono formulare soltanto ipotesi piuttosto vaghe. Se il genere stesso e il tenore delle ouverture si addice alla fastosa atmosfera di corte, d’altro canto il tono pubblico e cerimoniale non è legato esclusivamente alla Hofmusik. Lipsia non era sede di alcuna corte, ma la carica di Thomaskantor, equivalente a una sorta di direzione e supervisione generale delle attività musicali cittadine, imponeva a Bach di fornire musica per tutte le celebrazioni ufficiali civili e politiche. Un ulteriore contesto per il quale le ouverture potrebbero essere state scritte o rielaborate è quello del Collegium musicum studentesco, fondato da Telemann nel 1702, che Bach diresse dal 1729 al 1741 (con un’interruzione nel 1737-1739): il complesso teneva regolari concerti a pagamento, settimanali o bisettimanali in periodo di fiera commerciale, nel Caffè Zimmermann oppure, d’estate, all’aperto. Già da queste semplici considerazioni ci si rende conto di quanto sia vasto e variegato il ventaglio delle possibili destinazioni delle quattro ouverture. Se nel disegno e nel gusto complessivo le composizioni s’ispirano al modello francese, Bach interpreta il genere in modo molto flessibile e personale. La tendenza bachiana a concepire ogni composizione come un esemplare originale e irripetibile, tendenza che si manifesta con assoluta evidenza per esempio nei Concerti brandeburghesi, trova anche qui riscontro nella configurazione e nell’organico stesso delle composizioni. È così che le quattro ouverture declinano il genere secondo criteri di significativa diversificazione funzionale ed espressiva. Più simili tra loro le due ouverture in re maggiore, la n. 3 e la n. 4, accomunate, oltre che dalla tonalità d’impianto, dalla strumentazione sontuosa che in aggiunta agli archi allinea rispettivamente tre trombe, due oboi e timpani e tre trombe, tre oboi, fagotto e timpani. La ricchezza di organico connotata dall’impiego congiunto di oboi, trombe e timpani, che insieme rappresentano gli attributi di un solenne apparato cerimoniale, induce a ritenere che entrambe siano state concepite per occasioni di particolare rilevanza e forse per esecuzioni all’aperto. L’originalità di Bach nella finale il suo punto di fuga, la sua meta e che considera i quattro movimenti in funzione del tutto. La Sinfonia n. 5 è esemplare della poetica, dello stile e del linguaggio di Beethoven: per l’idea etica e catartica della musica, per la logica discorsiva e l’elaborazione motivico-tematica che la percorre, per l’interpretazione drammatica e teleleologica della forma musicale, per la codifica della retorica di un genere. La sinfonia si basa su un complesso sistema di relazioni motivo-tematiche: i temi derivano da uno stesso nucleo tematico, quasi che fossero fiori dello stesso seme. Nella musica di Beethoven un tema o anche un intero movimento (e per estensione, anche un’intera composizione) vengono percepiti come generati dallo sviluppo di un breve motivo. Una singola operazione sembra generare una molteplicità di temi tra loro correlati e connessi grazie a procedimenti di elaborazione e di variazione che assicurano unitarietà, coesione organica e logica interna. 1. ALLEGRO CON BRIO Il movimento è dominato dal ruolo centrale e pervasivo del motto o motivo iniziale di quattro note (bb. 1-4), decisivo dal punto di vista tanto ritmico quanto intervallare. Il motivo impronta l’intero primo tema e anche il secondo tema (b. 59) è contrappuntato dal motivo iniziale. Lo sviluppo è inoltre basato integralmente sui motivi del primo tema; il secondo tema vi è assente, dimostrando così la sua natura accessoria. Lungo il corso del movimento si delinea un’elaborazione continua del materiale musicale e una gestualità sinfonica drammatica e di ampio respiro con pause e grandi crescendo. Nell’ottica di questa elaborazione e tensione continua, la coda (b. 374) appare come un secondo sviluppo, che nel ritorno del motto iniziale il fortissimo (b. 478) segna punto culminante dell’intero movimento. 2. ANDANTE CON MOTO Il secondo movimento comporta una distensione che è tuttavia relativa e funzionale al progetto complessivo poiché qui ritornano echi del primo movimento e compaiono anche preannunci del finale. Dal punto di vista formale, il movimento offre il principio dell’avvicendamento di due temi (che si ritroverà nel terzo movimento) e consiste in una serie di libere variazioni: le variazioni riguardano soprattutto il tema principale (sempre affidato al legato degli archi). Il tema secondario (b. 23), condotto da clarinetti e fagotti, presto si gonfia in una fanfara con i fiati protagonisti (b. 32). Nella prima variazione (b. 49) sono trattati entrambi i temi, inclusa la fanfara del tema secondario (b. 81). La seconda variazione (b. 99) conduce a un nuovo episodio di natura digressiva (b. 124), comprende la fanfara (b. 148) e quindi una parte conclusiva (b. 167). La terza variazione (b. 185) si limita a elaborare il tema principale e conduce quindi alla coda in tempo più mosso (b. 205). 3. ALLEGRO Lo Scherzo presenta due idee tematiche: la prima agli archi, la seconda avviata dai corni e derivata dal motto del primo movimento (b. 19). Le due idee tematiche si confrontano dialetticamente nel prosieguo del movimento sino al Trio centrale fugato (b. 141). Alla ripresa dello Schezo (b. 236) segue una coda-transizione al finale, perlopiù su pedale (b. 342), che collega gli ultimi due movimenti senza soluzione di continuità (procedimento compositivo già attuato da Beethoven in alcune sonate per pianoforte) e genera un senso di prolungata, traumatica tensione che si scarica nell’attacco del finale 4. ALLEGRO Qui Beethoven aggiunge ottavino, controfagotto e tre tromboni. Il finale costituisce la catarsi e la trasfigurazione finale, è il compimento del percorso “dalle tenebre alla luce” che attraversa la sinfonia. Il primo tema è trionfale e liberatorio (ricorda i finali delle musiche di scena per Egmont e di Fidelio) e i temi complementari di fanfara nella transizione (b. 26) e nella conclusione (b. 64) dell’esposizione sono ampiamente sfruttati nel corso del movimento; anche il secondo tema (b. 45), che servirà poi nello sviluppo, è integrato in questo linguaggio trionfale. Le dimensioni della forma sono ampie: all’esposizione fa riscontro il gigantesco epilogo (b. 318), con cataste di accordi ripetuti e di formule cadenzali per scaricare la tensione accumulata nel corso non soltanto del finale ma di tutta l’opera). Alla fine dello sviluppo interviene una reminiscenza-citazione del tema dello Scherzo (b. 153). Il principio ciclico, con il ritorno della sostanza musicale dello Scherzo, comporta un duplice aspetto: il disturbo per così dire arrecato da un movimento precedente a un movimento successivo deve essere giustificato dall’organicità della sostanza musicale (il ritorno ciclico della musica di un movimento precedente è tanto un intruso nel nuovo movimento quanto una parte necessaria alla sua logica interna). L’interruzione sposta leggermente la struttura del finale e mette in evidenza lo stretto rapporto che lega il primo, il terzo e il quarto movimento prima dell’epilogo IL LIED ♫ FRANZ SCHUBERT TRE LIEDER: HEIDENRÖSLEIN D 257, GRETCHEN AM SPINNRADE D 118, ERLKÖNIG D 328 ORGANICO: VOCE, PIANOFORTE L’affermazione del Lied come genere portante non soltanto della musica ma della cultura tedesca dell’Ottocento ha come presupposti la fioritura di una lirica letteraria conosciuta ed apprezzata dai compositori e dal pubblico, il consenso che la musica acquista dall’unione con la poesia e l’articolata elaborazione di tecniche e soluzioni compositive intese a esprimerne il connubio. Inoltre, il LIED conquista il rango d’opera d’arte autonoma per effetto delle trasformazioni sociali in atto nei primi decenni del secolo che comportano tra l’altro la diffusione capillare di una vita musicale borghese e il saldo radicamento delle istituzioni concertistiche. Dal punto di vista letterario, ebbe grande importanza il tono emozionale della nuova lirica, da Goethe e Schiller in avanti, che mescolò lo stile lirico più elevato (versi in metri classici) e quello più basso (versi popolareggianti) sotto il profilo retorico. Per ciò che riguarda nello specifico il contenuto, la tematica che può essere considerata centrale è il rapporto dell’individuo, inteso come essere isolato e tuttavia significativo con il mondo, cioè con le forze a lui esterne (natura, storia, società); rapporto che può essere più o meno conflittuale. Alla tendenziale medietà retorica e alla commistione di stili del linguaggio poetico corrisponde una combinazione di stili e temi musicali di diversa origine (opera, oratorio, cantata, musica popolare). Il Lied si presenta inoltre come un genere che contiene al proprio interno una varietà di sottogeneri: dal Volkslied al Kunstlied o Klavierlied per voce e pianoforte che rappresenta il caso più tipico e rappresentativo ma il cui organico può essere esteso per ciò che riguarda la componente vocale sino al quartetto e al coro e per ciò che riguarda quella strumentale sino all’orchestra. L’immediata e facile intelligibilità tanto testuale quanto musicale ne è il presupposto estetico fondamentale. Dal punto di vista del testo, Lied è poesia per musica (ma senza la connotazione negativa che questo termine ha nel tradizionale uso linguistico italiano): componimento di brevi dimensioni, dalla struttura strofica regolare (stesso numero e tipo di versi), che la disposizione degli accenti ritmici e delle rime e la disposizione lirica del dettato poetico rendono predisposta ad essere intonata dalla musica. Dal punto di vista dei soggetti, predominano i componimenti di contenuto lirico e le narrazioni di eventi di tono retorico medio (né tragici né comici). Dal punto di vista della musica, la Liedweise o melodia, in genere di estensione vocale contenuta e piccola (proprio perché possa essere cantata da tutti) cantilena liederistica si contraddistingue per la semplicità, disegnata entro un ambito delimitato ed omogeneo, e dell’armonia che la sottende, la struttura simmetrica e regolare delle frasi e del periodo (da cui traspare l’originale parentela con la danza), la breve e conchiusa compiutezza sintattica. La realizzazione più nitida dell’ideale di semplicità è data dal LIED STROFICO, in cui tutte le strofe sono intonate sulla musica della prima. Musica che si rinnova continuamente seguendo il significato del testo dove non c’è un principio strofico dove il rapporto musica – testo è in continuo rinnovamento che segue l’evolversi del testo. I caratteri musicali che denotano la musica liederistica tanto da imporsi come autentiche qualità liederistiche sono inoltre la congruenza tra i versi e le singole frasi melodiche, l’intonazione vocale tendenzialmente sillabica, il rispetto dei più elementari rapporti armonici della tonalità, la proporzionata distribuzione e articolazione ritmico-melodica delle frasi e dei periodi, la cantabilità che predilige ambiti vocali contenuti e la diatonicità degli intervalli. Qualità liederistiche queste che divengono nell’Ottocento elementi individuanti di un linguaggio e di uno stile che si estende alla stessa musica strumentale; gli aggettivi liedhaft, liedmässig, i Lieder ohne Worte di Mendelssohn. D’altra parte, il Lied ottocentesco si sviluppa come un genere estremamente variegato, di variopinta molteplicità. L’insieme di queste proprietà distintive, sul piano tanto testuale quanto musicale, costituisce un sistema di coordinate di riferimento, e nelle singole composizioni ciascuna può essere di volta in volta accettata, corretta oppure negata; l’evoluzione del genere, da contestualizzare nel quadro più generale della storia della musica, traspare in larga parte attraverso la diversa importanza attribuita ai tipici tratti liederistici nonché attraverso l’assimilazione di elementi derivanti da altri ambiti che ne ampliano e ne arricchiscono le risorse espressive. In particolare, la forma strofica originaria conosce un processo di graduale differenziazione e dissoluzione nel quale le modifiche introdotte corrispondono alla necessità di diversificare e individuare i momenti espressivi in funzione di un’interpretazione aderente e puntuale del testo poetico. La tendenza all’intensificazione e alla differenziazione espressiva comporta il ripensamento o la perdita dei connotati specifici originari: scelta di testi non strofici, flessibilità e unitarietà della forma musicale che nell’interpretazione del testo poetico può assumere i connotati di una forma strofica variata (in cui la musica resta identica in certe strofe e cambia in altre strofe) oppure di una forma aperta, DURCHKOMPONIERT, in cui cioè la musica muta e si rinnova seguendo l’andamento e lo sviluppo del testo poetico. In ogni caso il tratto dominante e innovativo del Lied romantico è la reinterpretazione, la ricomposizione musicale del testo poetico da parte del compositore, prodotta dall’interazione di tre aspetti: 1. il testo poetico (poesia che si vuole mettere in musica) 2. la parte vocale 3. la parte strumentale. Nel Lied romantico la poesia in quanto tale, in quanto testo verbale non sussiste più; il testo offre il contenuto, il punto di partenza per una nuova creazione artistica che è integralmente musicale. La musica non è più come in passato il rivestimento sonoro, il mero veicolo dell’intonazione canora di un componimento poetico, ma diviene l’elemento determinante ed essenziale di una nuova forma di espressione artistica tipica della civiltà austro-tedesca: fusione di poesia e musica, integrazione di voce e parte strumentale, unicità di forma e contenuto. Per questo motivo il valore propriamente letterario del testo poetico non è di determinante importanza e nel caso sia di per sé elevato costituisce una sorta di valore aggiunto. ♫ HEIDENRÖSLEIN D 257 https://www.youtube.com/watch?v=07VkE7E0D-U DIETRICH FISCHER-DIESKAU, GERALD MOORE Il testo di ispirazione popolare (Volkslied) ha una genesi controversa (priorità di Goethe oppure di Herder) e si articola in tre strofe. Il tema è quello della colpa fatale: anche se la rosellina punge il ragazzo la coglie essa deve subire e morire. Schubert intona il testo come un semplice Lied strofico: a ciascuna delle tre strofe corrisponde la stessa musica. La musica aderisce alla struttura del testo, l’invenzione melodica è piana e popolareggiante (come, appunto, un canto popolare), l’accompagnamento del pianoforte è di massima linearità e stilizzazione. L’articolazione evidenzia semi frasi musicali di due battute (a, b, c, d, e) in corrispondenza con i singoli versi di ciascuna strofa: I frase musicale (vv. 1-2) v.1 – a v.2 – b SOL II frase musicale (vv. 3-5) v.3 – a v.4 – c v.5 – d RE III frase musicale (vv. 6-7) v.6 – b v.7 – e pianoforte – e SOL ♫ GRETCHEN AM SPINNRADE D 118 https://www.youtube.com/watch?v=pcngae1wyxu CHRISTA LUDWIG, GEOFFREY PARSONS Il celebre testo è tratto dalla prima parte di Faust di Goethe: è il monologo – Lied di MARGHERITA ALL’ARCOLAIO, in sé contraddittorio, che rivela la lacerazione interiore del personaggio, una ragazza divisa tra il desiderio ardente dell’amato e la consapevolezza di aver perduto ogni serenità proprio a causa del desiderio d’amore. Schubert interpreta il testo secondo il principio del Rundgesang con il ritorno della strofa iniziale (come un ritornello) e al contempo delinea nella forma musicale un processo psicologico articolato in tre parti. Il monologo assume così la forma di un Lied nella tonalità di re minore (in Schubert tonalità associata alla malinconia e alla rassegnazione). Il testo presenta otto strofe: • Strofe del testo 1 – 3: espressione dell’inquietudine amorosa • Strofe del testo 4 – 6: rappresentazione dell’amato • Strofe del testo 7 – 8: desiderio di placare l’inquietudine nell’amore Schubert intensifica l’ambiguità formale del testo, riprendendo la strofa iniziale (1) sempre con la stessa musica (A) nel corso del Lied e ancora alla fine come chiusa così da delineare tre grandi parti prima parte strofe 1-3 re (DO-re) FA AB seconda parte strofe [1] 4-6 re (DO-re-FA) re AC terza parte strofe [1] 7-8 [1] re (DO) re ADA Il Lied mostra una fusione (decisiva per il genere nell’Ottocento) di stroficità ed elaborazione continua: la forma è distante dalla semplicità strofica quanto dallo spezzettamento nei dettagli, è sospesa tra la struttura ciclica e il Lied strofico variato. A livello di struttura generale si nota una forma di rondò (ABACADA), ma le sezioni BCD sono tra loro in stretta relazione per la parziale conformità o per l’analogia della tecnica compositiva (intense progressioni modulanti) tanto che si può parlare di variazione strofica. Schubert scrive di fatto un Lied il cui respiro si amplia quasi come in un’aria, e duplicità stilistica: al Lied sono riconducibili la condotta melodica, anzitutto della strofa di ritornello, e la struttura formale che si modella su quella del testo; all’aria sono riferibili elementi quali l’ambito vocale (mi 3-la4), le estese progressioni in crescendo alla fine della seconda e della terza parte, le ripetizioni e lievi modifiche testuali su cui viene intonata la stretta conclusiva («o könnt’ ich ihn küssen»). Il conflitto tra forma di rondò e forma aperta che riproduce il diagramma di un processo psicologico viene enucleato sin dalla strofa di ritornello grazie alla struttura tonale aperta (da re minore a do maggiore), e al crescendo: nella tensione che non viene risolta è raffigurata l’aspettativa che rimane insoddisfatta (una sezione pianistica riconduce a re minore). Lo stesso conflitto è rappresentato in un superiore ordine di grandezze nel rapporto tra le sezioni musicali all’interno di ciascuna delle tre parti e tra le parti stesse del Lied. Nesso unificante che dà anche il tono al Lied è la formula di ostinato che lo percorre: figura pianistica circolare, simbolo dell’arcolaio che gira, della monotonia del lavoro e di un’inquietudine senza requie (mano destra del pianoforte); impulso ritmico regolare, colpi del piede che aziona il movimento dell’arcolaio (mano sinistra del pianoforte). Si ha una drammatizzazione della tessitura nella porzione conclusiva della seconda e della terza parte: incalzanti progressioni armoniche ascendenti, graduale estensione all’acuto dell’ambito vocale, interruzione del movimento incessante e accordi di settima diminuita sul punto culminante («ach, sein Kuss!»). Il Lied di Schubert diverge dalla poesia di Goethe che ha una conclusione aperta, proiettata verso la scena successiva della tragedia. Schubert riprende, come chiusa, i primi due versi della strofa iniziale e conclude la composizione con un breve postludio pianistico: l’ultima parola non è la voce ma la parte strumentale poiché l’amato è lontano, il bacio solo illusione, la melanconia domina la scena. L’inquietudine e l’anelito d’amore sono destinati a rimanere insoddisfatti e il processo psicologico ritorna al suo punto di partenza: la forma conchiusa del Lied rappresenta una situazione bloccata su sé stessa, senza prospettive e vie d’uscita. ♫ ERLKÖNIG D 328 https://www.youtube.com/watch?v=DbpCe9XzLjI DIETRICH FISCHER-DIESKAU, GERALD MOORE Il testo del RE DEGLI ELFI è una ballata, cioè un componimento poetico dedicato a temi storici, leggendari o amorosi e comunque di intonazione epico-lirica e di contenuto narrativo. Dal 1770 si ebbe in Inghilterra e in Germania un rinnovato interesse per questo genere (corrispettivo anglosassone della romanza neolatina), in coincidenza con i fermenti culturali che rivalutavano le tematiche connesse con il lato più passionale e misterioso dell’esistenza, la sensibilità per il tenebroso, l’irrazionale, il numinoso. Secondo Goethe, «la ballata ha qualcosa di misterioso senza essere mistica». Secondo Friedrich Schlegel, il genere della ballata si contraddistingue per la semplicità popolareggiante e al contempo la presenza del bizzarro e del fantastico, in maniera non dissimile dalle fiabe poetiche. In sostanza una BALLATA è un lied narrativo , un racconto cantato. Il testo di Goethe proviene dalla scena introduttiva del Singspiel Die Fischerin (1782). L’origine è una ballata danese tradotta da Herder. Goethe introduce il tema del bambino presago e del padre insensibile alla presenza di una forza demoniaca e misteriosa: è il tragico irretimento dell’uomo da parte di una natura animata ed aggressiva. Il testo di compone di otto strofe. Strofe 1 e 8, narratore; strofe 2-7, dialogo padre-figlio e interventi del Re degli Elfi; la narrazione in terza persona, per così dire epica, incornicia la vicenda drammatica in cui i personaggi parlano in prima persona. Dunque, il testo è sostanziato da una struttura narrativa e dialogica. Schubert compone quattro versioni del Lied, che si avvicina alla cantata o alla scena operistica. Alle otto strofe del testo corrispondono otto strofe o parti musicali. Il tono del Lied è dato dal ribattuto di terzine che percorre, con alcune varianti, l’intera composizione (cfr. Gretchen am Spinnrade). Al centro dell’interpretazione musicale di Schubert si pone il rapporto tra realtà e mondo onirico e sovrannaturale (sol minore è tonalità che spesso in Schubert connota la lotta contro una dimensione sovrannaturale), dimensioni in linea di principio definite da una differente connotazione musicale e stilistica: realtà: incessanti terzine ribattute – parti del Narratore e del Padre, stile arioso o recitativo, di declamazione intonata; visione: varianti delle terzine e alleggerimento dell’incessante pulsazione ritmica – parte del Re degli Elfi, stile propriamente di Lied, melodico. La parte del Figlio rappresenta la mediazione tra le due dimensioni, collocandosi tra realtà e visione: stile arioso, a metà tra uno stile melodico liederistico e la declamazione intonata del recitativo. 1. narratore: arioso, chiaramente delimitato. sol 2. dialogo padre – figlio. a. padre: recitativo, registro vocale grave. b. figlio: arioso e anticipazione, specie nel profilo ritmico, della successiva frase del re degli elfi (strofa 3). sol si bemolle 3. re degli elfi: lied, melodia cantabile, dalle terzine a un accompagnamento più leggero. seduzione della morte e richiamo del sovrannaturale, la realtà appare come nascosta dietro a un velo. si bemolle 4. dialogo figlio – padre a. figlio: dal grido di terrore (dissonanza di seconda minore) al soccombere all’allettamento della morte (graduale indebolimento della dinamica) b. padre: recitativo.  do 5. re degli elfi: lied, melodia cantabile e accompagnamento in arpeggi. do 6. dialogo figlio – padre. come nella strofa 4. do  re 7. strofa cruciale. re degli elfi e ultima invocazione d’aiuto del figlio. re degli elfi: arioso e cambio di registro che proietta l’elemento fantastico sullo sfondo della realtà (pulsazione incessante di terzine). Arioso suadente e insieme minaccioso; il senso di inganno è dato dalla modulazione cromatica, brusca e immediata, da re minore a mi bemolle maggiore. Figlio: ultima invocazione d’aiuto e urlo di terrore. Scompare l’allettamento, la seduzione della morte e resta il puro terrore nel grido disperato del Figlio (sforzati ripetuti per sottolineare la catastrofe). Realtà e sogno si fondono, ciò che sembrava impossibile che accadesse è realmente accaduto. MI bemolle  sol. 8. Ripresa del preludio, le terzine in fortissimo sovrastano la voce del Figlio. Narratore: arioso. Il Narratore è, come l’ascoltatore, uno spettatore che commenta e compiange la tragedia avvenuta; per raccontare l’epilogo gli viene quasi meno la parola (passaggio dall’arioso al recitativo). Le terzine scompaiono: la scena è finita, il narratore si sottrae all’orrore come uno spettatore agghiacciato. sol ♫ FRYDERYK CHOPIN BALLATA IN SOL MINORE N. 1 PER PIANOFORTE OP. 23 https://www.youtube.com/watch?v=VmFmAvwO1pE KRYSTIAN ZIMERMAN ORGANICO: PIANOFORTE Chopin compone quattro ballate per pianoforte negli anni Trenta e Quaranta: Prima Ballata op. 23 (1831-35), Seconda Ballata op. 38 (1836- 39), Terza Ballata op. 47 (1840-41), Quarta Ballata op. 52 (1842). I quattro pezzi sono improntati a intenzioni di ispirazione letteraria se non addirittura per così dire “narrativa”: Chopin fu probabilmente ispirato dalle ballate di Adam Mickiewicz (1798-1855), come scrive Schumann, anche se forse non aveva in mente alcuna specifica opera poetica come riferimento nella composizione delle quattro ballate (peraltro rispettivamente identificate dalla tradizione critica nel romanzo in versi Konrad Wallenrod e nelle ballate Switez, Ondine, Tre Budrys). Non si tratta, in ogni caso, di musica a programma né di un riferimento al genere vocale, bensì di una sostanziale assimilazione di modelli formali, atteggiamenti e registri letterari nel linguaggio strumentale. Le parti liriche assomigliano nel carattere e nella scrittura ai notturni; le sezioni drammatiche al virtuosismo degli studi; le parti epiche sono contraddistinte da una melodica parlante o da elementi di valzer. Le ballate possono essere interpretate per certi aspetti come sintesi ideale dello stile e del mondo espressivo di Chopin. La forma è libera, nel senso che non è riconducibile ad alcuno schema precostituito: si colgono invece riferimenti, molteplici e intrecciati, a diverse forme – sonata, rondò, variazioni, forma lirica ternaria – ma senza coincidere con nessuna di esse. La forma sonata è una forma classica che nel periodo romantico richiede di essere ogni volta ripensata, reinterpretata e adattata a un pensiero musicale che procede più per amplificazioni, espansioni, varianti che non sulla base di coordinazioni e conseguenze logiche, di tipo dialettico, consequenziale, razionalmente deduttive modellate sulla discorsività del linguaggio verbale. Il rapporto degli autori romantici con la forma sonata è ambivalente e problematico: da un lato, essa è una forma da evitare in favore del breve pezzo lirico e di carattere (o delle sequenze di brevi non ha un’idea del destino umano come condanna senza appello: la rappresentazione della spaccatura dell’universo in due è certo di tragica evidenza ma alla fine viene assunta come oggetto di una contemplazione lirica che non esclude la speranza, o forse, addirittura, la luce dell’utopia in una sorta di atto di fede nei confronti di una superiore istanza metafisica. Ci sono differenze sottili tra la musica dell’introduzione e il suo ritorno conclusivo: l’indicazione di tempo (Langsam und sehnsuchtsvoll versus Adagio), la diversa tonalità (per cui si profila una struttura tonale aperta da mi bemolle maggiore a do minore alla sua trasfigurazione in do maggiore), la strumentazione leggermente differente (all’inizio la linea melodica passa dagli archi al flauto e mancano i timpani). Il postludio orchestrale, con le sue divergenze di dettaglio rispetto alla prima parte, elude il senso definitivo di una vera conclusione, perfetta e bloccata, e comunica piuttosto quello di un epilogo provvisorio, interlocutorio ed enigmatico. Decisiva per l’interpretazione risulta comunque la struttura tonale con le sue relazioni armoniche. Come si diceva la struttura tonale del pezzo è aperta; alla fine non si dà risoluzione e quiete consolatoria come nel Requiem tedesco, ma neppure disperazione: l’ultima parola spetta alla bellezza celestiale e al contempo impenetrabile della musica. Se di una consolazione si può parlare, essa è quella, ineffabile, della musica. Il do maggiore dell’epilogo orchestrale è in rapporto diretto (di contrasto, ribaltamento, trasfigurazione) con il do minore della parte centrale, il quale è a sua volta il relativo minore del mi bemolle maggiore della prima parte. Se si assume la prima parte come rappresentazione della dimora dei beati, degli spiriti felici e delle divinità celesti (mi bemolle maggiore), il postludio appare come una nuova visione, presa da una maggiore lontananza, di quel mondo (do maggiore), dopo che a quel mondo è stato contrapposto violentemente, con tragica evidenza, lo spettacolo del destino degli uomini (do minore). Significativo è il passaggio dalla parte centrale al postludio: polarizzazione, con lungo pedale di do, della dominante di fa maggiore (da b. 326), una tonalità tuttavia che non viene mai raggiunta: smagnetizzazione e allentamento dei nessi armonici così che il do maggiore appare provvisorio, sospeso nell’aria, come un protratto momento di relativa tensione destinato a non risolvere. TESTO MUSICA Prima parte Langsam und sehnsuchtsvoll, 4/4 --- Introduzione (a) MI bemolle 1-29 Strofa 1, vv. 1-2 A (a1) MI bemolle 29-41 Strofa 1, vv. 3-4 A (a2) 41-51 Strofa 1, vv. 5-6 A (a3) e chiusa 52-69 Strofa 2, vv.7-8 A (a1) MI bemolle 69-75 Strofa 2, vv. 9-12 A (a2 var) 75-81 Strofa 2, vv. 13-15 A (a3) 81-95 --- Conclusione 96-103 Parte centrale Allegro, 3/4 Introduzione do 104-111 Strofa 3, vv. 16-19 B (b1) 112-131 Strofa 3, vv. 20-21 B (b2) 132-145 Strofa 3, vv. 22-24 B (b3) 146-172 --- Transizione 172-193 Strofa 3, vv. 16-17 Episodio intermedio 193-272 Strofa 3, vv. 16-19 B (b1) 273-293 Strofa 3, vv. 20-21 B (b2) 294-305 Strofa 3, vv. 22-24 B (b3 var) da 326 ped. do 306-364 --- Ritransizione ped. do (FAV ?) 364-379 Ripresa della prima parte Adagio, 4/4 380-409 [Nachspiel des Orchesters] --- Postludio (a) DO CLAUDE DEBUSSY, PRÉLUDE À L’APRÈS-MIDI D’UN FAUNE https://www.youtube.com/watch?v=acphwvnd_hm BERLINER PHILHARMONIKER, DIRETTORE CLAUDIO ABBADO Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 arpe, crotali, archi È impossibile ingabbiare la figura e l’opera di Debussy in un’etichetta: certo l’influsso più profondo fu senz’altro quello del simbolismo. L’essenza della poetica di Debussy rispecchia l’estetica di Mallarmé, mentre il presunto rapporto con l’impressionismo – indicato dalla critica in senso negativo all’inizio della carriera di Debussy – non appare credibile (Stefan Jarocinski). L’impressionismo comporta un’immagine della realtà non ancora toccata dall’intervento dell’intelligenza, un’impressione pura, l’mmagine di una realtà in continua metamorfosi (per Manet si trattava di dipingere non un paesaggio, una marina, un volto ma l’impressione di un’ora della giornata in un paesaggio, in una marina, su di un volto). Il gioco della luce sull’acqua condusse i pittori impressionisti a una nuova tecnica pittorica: resa del fenomeno della fusione e della decomposizione dei colori sulla superficie vibrante dell’acqua attraverso l’accostamento dei colori puri del prisma ed escludendo i toni neutri del chiaroscuro; le macchie creavano un’impressione di vibrazione cancellando contorni degli oggetti e attribuendo loro forme imprecise, sfumate e aperte. Si ha così una nuova visione del mondo e una nuova forma di conoscenza: il mondo appare come sistema di forze interdipendenti nel quale l’uomo è insieme osservatore e una delle forze che agiscono. Non si mira a cogliere l’aspetto esteriore e realista delle cose, ma l’impressione che esse risvegliano nell’uomo: la verità delle cose è nell’impressione che esse suscitano nell’uomo, nei riflessi di una realtà in perenne divenire. In certo senso l’impressionismo riconduce la pittura alla sua vera natura, al bisogno di esprimere le esperienze, non mediate dall’intelligenza, della sensibilità visiva. L’associazione di Debussy con l’impressionismo si può cogliere tutt’al più nei titoli pittorici delle composizioni, nella tecnica compositiva per macchie sonore, nella sfumatura dei contorni e delle forme, nel gusto per il flou. Ma si tratta di un’associazione non suffragata all’esperienza biografica né dalla concezione estetica di Debussy, che non mira a trasporre in arte le impressioni allo stato puro (non quelle visive ma nemmeno quelle uditive). Il connubio forte di Debussy è invece con il simbolismo letterario, nato in Francia negli ultimi decenni dell’Ottocento. Il pomeriggio di un Fauno (1876) di Mallarmé segna più che la nascita del simbolismo la fine del parnassianesimo (1866-76, Mendès e Ricarda avevano coltivato un ideale di poesia emotivamente impassibile e formalmente impeccabile, autonoma e ispirata alle tendenze classiciste del Cinquecento, del Seicento, del Settecento e alla poesia postromantica di Banville, Gautier, Baudelaire, Leconte de Lisle). In senso stretto, il simbolismo abbraccia soprattutto il periodo 1885-95 (Samaine, Laforgue, Moréas, Régnier, Maeterlinck, Gourmont), mentre in senso lato arriva a comprendere l’asse Poe – Baudelaire – Mallarmé - Verlaine - Rimbaud sino a Valéry. Il simbolismo è stato interpretato come «quell’insieme di proteste contro l’esistenza sociale moderna e contro una concezione positiva dell’universo» (Marcel Raymond). All’esempio di Baudelaire i simbolisti anteponevano il magistero diretto di Mallarmé per il quale la «poetica delle corrispondenze» (il «tempio della natura» concepito come «foresta di simboli»: non rappresentazione diretta delle cose e dei sentimenti ma scelta delle corrispondenze più suggestive tra le analogie che esistono tra le parole, i suoni e la loro atmosfera) non era più un approdo, ma il presupposto per arrivare a un «linguaggio dei rapporti simbolici», alla «magia verbale», alla «poesia pura», agli effetti calcolati della musicalità, della suggestione e del mistero. «In certi stati d’animo quasi soprannaturali la profondità della vita si rivela interamente nello spettacolo, per comune che sia, che si ha davanti agli occhi» (Charles Baudelaire). Il procedere per simboli corrisponde a un’ansia metafisica, alla necessità di attingere al mistero della vita e la poesia assume il valore di una rivelazione, di un’esperienza conoscitiva, la rivelazione dell’infinito. La rivelazione consiste in un’opera di decifrazione o di traduzione, per la quale il poeta usa come strumento privilegiato simboli, metafore e similitudini. La meta è la bellezza extratemporale, oggettiva, liberata dalle scorie dello psicologismo soggettivo. Occorre un linguaggio non univoco e non definitorio per cogliere la segreta essenza delle cose: il mistero, l’insondabile realtà invita a essere indagata ma non svelerà mai la propria essenza ultima; ogni cosa appare luminosa e oscura, chiara e impenetrabile, razionale e inafferrabile. La musica, la più asemantica delle arti, il linguaggio ambiguo e polivalente, plurivalente e plurivoco, viene vista dai poeti come l’espressione artistica che meglio può condurre alla contemplazione dell’idea, del mistero dell’essenza delle cose (Verlaine: «musica prima di tutto»; Mallarmé: «la Poesia, vicina l’idea, è Musica per eccellenza»; Valéry: «Ciò che fu battezzato simbolismo, si riassume, molto semplicemente, nell’intenzione, comune a parecchi gruppi di poeti, di riprendere alla musica il loro bene»). Il simbolo è la plurivalenza semantica che ammette diverse interpretazioni, moltiplicazione e molteplicità del senso. Nella musica i poeti (ma anche i pittori) simbolisti scorgono il modello ideale cui deve tendere la poesia pura; non soltanto per il valore sonoriale in sé delle parole ma anche per ciò che implica la teoria della suggestione di Mallarmé: per risvegliare l’essenza di una cosa o di un fenomeno sopita nel lettore non si deve nominare la cosa o il fenomeno e neppure identificare la parola giusta che la significherebbe bensì evocarla, suggerirla in modo allusivo, elusivo, simbolico: attraverso un gioco di significati, di sonorità, di colori che supera la natura materialmente denotativa delle parole il poeta può circoscrivere, accerchiare l’idea pura comunicandone così il mistero. «Evocare, in un’ombra creata appositamente, l’oggetto taciuto con parole allusive, mai dirette, che si riducono ad un silenzio uniforme, comporta un tentativo prossimo di creare». «Nominare un oggetto, vuol dire sopprimere i tre quarti del godimento della poesia che è fatta di un lento divenire: suggerirlo, ecco il sogno. È l’uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo: evocare a poco a poco un oggetto per mostrare uno stato d’animo o, inversamente, scegliere un oggetto e trarne uno stato d’animo, attraverso una serie di decifrazioni». L’alchimia verbale del simbolismo nasce da un profondo lavoro sul linguaggio, logorato dalle convenzioni e dall’uso quotidiano: «Il verso non deve, dunque, comporsi di parole, ma di intenzioni, e tutte le parole debbono cancellarsi davanti alle sensazioni»: da qui la tendenza a una poesia fondata non sulle parole ma sui loro rapporti, non sulla descrizione ma sulla suggestione e sull’allusione, che illumina le parole stesse in una nuova luce e in una nuova atmosfera. Nei versi di Mallarmé il momento della costituzione del significato sfugge continuamente, è rinviato all’infinito. Poeti e pittori vogliono che la loro arte assomigli alla musica nella fluida mobilità, nell’ambiguità di una forma espressiva favorevole al gioco delle associazioni, degli echi lontani, delle tensioni, di una forma aperta a ricevere significati diversi senza esprimerne direttamente ed esplicitamente nessuno. Il valore sonoro delle parole acquista importanza quasi pari al loro significato, mentre si sviluppa una ricerca di relazioni e nessi non convenzionali nel funzionamento del linguaggio. In un certo senso i simbolisti restituiscono alla poesia, all’arte della parola la sua vera funzione, così come gli impressionisti aveva restituito la sua vera funzione alla pittura. Il rapporto con il simbolismo è fondamentale per Debussy, come hanno rilevato tra gli altri Stefan Jarocinski e Vladimir Jankélévitch. L’essenza del simbolismo è la corrispondenza universale delle qualità attraverso associazioni e ricordi, che si distingue dalla corrispondenza letterale tra i suoni e le immagini propria della musica descrittiva. In Debussy la musica non ha funzione descrittiva ma un’«energia suggestiva»: vi si ritrova «tutto ciò che è fiabesco, allusivo, inconsistente, continuamente modificato e incessantemente deformato». In una concezione estetica che coltiva l’edonismo e la liberta del piacere sonoro, rifiuta l’astrazione, la pedanteria, l’austerità, la retorica e l’accademismo (Debussy sosteneva di essersi sforzato di dimenticare tutto quanto gli avevano insegnato), «la sua musica non comincia e non finisce. Emerge dal silenzio, s’impone senza preliminari, in medias res poi, interrompendo il suo corso, continua a tessere la sua trama nel nostro sogno. La sua forma non è chiusa, le immagini statiche non la tentano, a meno che non si tratti di mostrare che sa utilizzarle lo stesso» (Stefan Jarocinski). In Debussy si coglie una «fenomenologia dell’immediato» («quest’immediato ci sembra più statico che veramente temporale: quest’immediato è l’immediato dell’attimo sospeso e dell’istante immobile»), la fluidità continua, l’incessante metamorfosi della musica di Debussy «non è né un’evoluzione, né un divenire, ma un susseguirsi di “flussi” istantanei. È la successione delle discontinuità infinitesimali che forma la continuità. [...] E così succede sempre qualcosa, e non succede assolutamente nulla in questa musica - il che, paradossalmente, è lo stesso!» (Stefan Jarocinski). La musica di Debussy evoca l’inesprimibile e l’ineffabile, quanto non può essere espresso con le parole. Debussy non mira a descrivere ciò che ha sotto gli occhi, i fenomeni, né a rifletterne le impressioni sull’uomo ma a evocarne l’idea astratta, l’essenza (non una giornata di primavera, non un momento del gioco del vento con le onde del mare ma la primavera, il gioco eterno del vento e del mare e così via): questa è una differenza sostanziale rispetto all’impressionismo. Per tutto questo Debussy tende a configurare forme musicali composte insieme di rigore e libero arbitrio. Il simbolo presuppone: a) un senso impreciso, plurivalente; b) la trasposizione del senso con carattere dinamico, movimento dei pensiero e dei sentimenti («correlativo oggettivo» di T.S. Eliot: «Il solo modo di esprimere un’emozione in forma artistica è quello di trovarle un “correlativo oggettivo”, in altri termini, un insieme di oggetti, una serie di avvenimenti che dovranno essere la formula di quella particolare emozione; in modo che quando i fatti esterni sono dati, l’emozione sia evocata immediatamente»); il simbolo, ambiguo e dinamico, unisce il mondo delle idee al mondo delle cose e dei fenomeni. Il simbolo provoca tensione e attesa, chiama il fruitore dell’opera d’arte a un ruolo particolarmente attivo d’immaginazione; si riferisce a qualcosa di altro, di diverso rispetto a ciò che esso denota, invita ad attribuire un senso, a ricercarlo ma disattendendo un senso banalmente univoco per aprirsi a una sfuggente molteplicità di rimandi e di allusioni: allusione a molteplici e diversi significati senza affermarne direttamente alcuno. Per Debussy la superiorità della musica sulle altre arti consiste appunto nella sua ambiguità ed evasività, nel fatto che i suoni non sono sottomessi a «precisazioni e contingenze come i colori e le parole» (Stefan Jarocinski): la musica scintilla incessantemente di sensi diversi senza significare pienamente nulla. La disciplina della libertà e dell’istinto è la sottomissione a un destino arcano e imperscrutabile: il rifiuto di ogni sistema, di ogni dottrina, di ogni formula e rigida costrizione, dei modelli della tradizione, dell’artificio tecnico comporta invece la valorizzazione della spontaneità, dell’innocenza interiore, della misteriosa lezione della natura. La musica non è «limitata ad una riproduzione più o meno esatta della natura, ma alle corrispondenze misteriose fra la natura e l’immaginazione» ed essa incomincia laddove la parola è impotente ad esprimere: per questo la musica è fatta per l’inesprimibile e l’ineffabile. Da qui si sviluppa una nuova concezione e organizzazione del pensiero musicale intorno all’idea di «arabesco musicale» (l’arabesco è linea capricciosamente sinuosa che prende origine dai motivi di piante stilizzate dell’arte ornamentale greca e orientale), disegno astratto privo di valori figurativi e simbolici definiti rispecchiato in un’idea di bellezza pura. L’arabesco musicale è il movimento fantasioso di linee che s’incontrano, la polarizzazione di suoni e masse sonore che si spostano orizzontalmente: è una linea oscillante, indipendente dai principii di sviluppo di temi e motivi. Il valore sonoriale della musica di Debussy si coglie nel fatto che il suono puro in sé diviene l’elemento fondante della struttura (al pari della melodia, del ritmo, dell’armonia) e non è più una funzione della melodia e dell’armonia. L’arabesco non implica nella sua dinamica una logica predeterminata, uno sviluppo, ma piuttosto si apre, si ramifica, si colora in modi diversi: l’accento cade così sul singolo istante del divenire formale. All’organizzazione gerarchica e sintattica dell’armonia funzionale Debussy sostituisce nuove strutture in cui suoni e accordi sono ordinati in sequenze. Cade una netta distinzione tra melodia e armonia, così come tra omofonia e polifonia; nella musica di Debussy, in genere, è più adeguato parlare di strutture orizzontali (che non offrono necessariamente un disegno melodico) e di strutture verticali (che non offrono obbligatoriamente accordi nel senso tradizionale del termine, accordi con un significato armonico): strutture orizzontali e strutture verticali possono configurare uno o più strati, livelli sonori. Le strutture verticali non omogenee, che non si fondono cioè in un solo strato sonoro, sono articolate in due o più distinti strati sonori; la sovrapposizione di tali strati sonori può assumere una valenza per così dire polifonica laddove non c’é l’integrazione degli strati sonori. Dall’analisi della musica di Debussy da un punto di vista funzionale riferito al sistema della tonalità ha tratto forza l’interpretazione “impressionistica”: tutto ciò che sfuggiva alle relazioni funzionali della tonalità era colore aggiunto o sostituito all’impalcatura melodica e armonica tonale. Mentre in realtà questo colore, il valore sonoriale, è in sé e per sé il fondamento del pensiero musicale (sonoriale) di Debussy. Con una tecnica piuttosto simile a quella dei simbolisti, Debussy «rimanda talvolta al “senso” (che può essere interpretato secondo il codice dell’armonia funzionale), talvolta al “suono” (valori sonoriali); compone così un’insieme simbolico, un’“opera totale”, ambigua, incantatrice, “evocatrice dell’idea nascosta”» (Stefan Jarocinski). In Debussy prende forma un nuovo impiego degli elementi simbolici della musica: per risvegliare le arcane corrispondenze che legano l’uomo al mondo che lo circonda, per rinnovare la sua unione misteriosa con le forze e i fenomeni della natura Debussy si distacca dalla tradizionale simbologia musicale che opera per via analogica, attraverso equivalenze semantiche. Anche quando ricorre a simboli tradizionali (squillo di corni, motivi di fanfara, rintocchi di campane), Debussy li utilizza in modo diverso rispetto al passato, ne sfuma il senso, li rende enigmatici, li proietta in un contesto fluido e sfuggente. Il ruolo del silenzio come fattore espressivo, come cassa di risonanza per propagare e irradiare le moltiplicazioni di senso: «[Nel comporre Pelléas et Mélisande] mi sono servito, molto spontaneamente del resto, di un mezzo che mi sembra abbastanza raro, cioè del silenzio, come di un fattore espressivo e forse come il solo modo di far risaltare le emozioni di una frase» (Claude Debussy). Il silenzio gioca un ruolo essenziale nella musica di Debussy («espressione dei silenzi»), che appunto dal silenzio emerge, nel silenzio svanisce o a tratti ricade; il silenzio appartiene alla musica, ne diviene per la prima volta un elemento costitutivo, essenziale, non è più soltanto la controparte dialettica e complementare, relegata nei valori di pausa, del suono che si manifesta. Con Debussy anche il silenzio ha un suono, è musica, e in essa si ascolta il mistero della natura, del destino, della vita e della morte. Del resto la malinconia dello svanire, del dileguarsi, del crespuscolo, dell’estinzione, del procedere verso la morte sono alcuni dei temi ricorrenti nella musica di Debussy (connotazione decadente). In Debussy il simbolismo non dà luogo a una musica descrittiva (considerata volgare, puerile o determinata da procedimenti presi a prestito dalla letteratura e dalla pittura) e neppure a una musica assoluta e autoreferenziale, chiusa su se stessa, ma piuttosto a una musica denotativa. Una musica che implica cioè una denotazione, un’estensione e un ambito di significati, una manifestazione o rivelazione di significati, ponendo in rilievo l’ambiguità, l’elusività, l’allusività semantica della musica stessa. L’atteggiamento di Debussy è estraneo alla riproduzione, alla descrizione, a qualsiasi forma di asservimento alla natura. Debussy non mira a rendere in musica impressioni visive, non è il quadro che lo interessa ma la sua percezione, non l’oggetto ma i processi al centro dei quali esso si trova. «L’illusione di istantaneità che Monet cercava di realizzare (rendere i mutamenti che intervengono alla superficei delle cose in diverse ore del giorno) gli era estranea. La natura riveste nella sua musica un ruolo secondario, è solo un pretesto, un canovaccio sul quale l’artista tesse il suo sogno. I titoli che Debussy dà alle sue composizioni non possono indurre in errore. È lo spirito dell’epoca che glieli suggeriva, il più delle volte – sottolineamolo – dopo che la musica era stata scritta. Per esempio, i celebri titoli dei suoi ventiquattro preludi per pianoforte figurano non all’inizio di questi piccoli capolavori (destinati, secondo l’autore stesso, ad essere suonati in una certa intimità piuttosto che in una sala da concerto), ma alla fine, sotto il testo musicale. In generale, essi sono di gran lunga più poetici che pittorici, e, contrariamente alle apparenze, servono molto di più a velare le intenzioni del compositore che ad esprimerle. [...] I titoli indicano la fonte dell’ispirazione, la cosa originaria che ha dato il primo impulso al compositore: un’immagine della natura, una poesia, una vecchia leggenda, un personaggio della letteratura; ma l’ascoltatore ha la libertà di cercare il significato nascosto dell’opera» (Stefan Jarocinski). Debussy si pone agli antipodi della musica a programma e la relazione che esiste in Debussy tra i titoli e la musica è non soltanto diversa ma in certo senso opposta e rovesciata rispetto a quella che lega i titoli e la musica nelle composizioni a programma. In Debussy la musica viene prima dei titoli, siano essi posti in epigrafe alla musica oppure in calce ad essa, tra parentesi e preceduti da puntini di sospensione (nei Préludes per pianoforte Debussy recupera la nozione barocca di preludio, come di introduzione a qualcos’altro: i titoli poetici, appunto, nei quali si prolunga per così dire la risonanza della musica). La relazione della musica con il titolo che indica un soggetto o un avvenimento è puramente allusiva. Anche quando si fa esplicita rappresentazione, pittura, onomatopea, la musica di Debussy non evoca qualcosa di definito, di certo, di concreto ma un simbolo, un’immagine che conduce in un’altra dimensione, verso altre sfere di senso. «Non c’è musica al mondo [...] che parli all’uomo più profondamente del suo mistero, che infonda nel suo cuore un turbamento paragonabile, che dia all’immaginazione una scossa più profonda [...]. Egli non ha mai parlato d’altro che delle cose più semplici e più importanti, le più essenziali per l’uomo, la morte e l’amore, il dolore e il destino; una grande nuovola bianca nel cielo durante quei lunghi pomeriggi d’estate in cui la siesta è così dolce; il vento dell’ovest che fa sospirare le foglie e che parla all’uomo del suo avvenire» (Vladimir Jankélévitch). PRELUDE À L’APRÈS-MIDI D’UN FAUNE Composto tra il 1892 e il 1894 (l’orchestrazione fu riveduta nel 1908), il Prelude à l’après-midi d’un faune è ispirato all’omonima egloga in alessandrini di Mallarmé: il fauno col flauto dà voce ai suoi aneliti erotici, consegnandosi poi alle grazie delle ninfe e ritornando infine al sonno nella serena trasparenza del tramonto. Nella canicola in cui tutto avvampa, il fauno inerte e sognante evoca immagini che volteggiano e si disperdono nell’aria come visioni e ricordi sul filo della coscienza, in una dimensione di sogno. Inizialmente Debussy aveva progettato di scrivere, a integrazione della lettura poetica dell’egloga cui il preludio avrebbe dovuto fare da introduzione musicale, anche un intermezzo e un finale poi mai composti. Il termine «preludio» oscilla così qui in modo ambiguo tra il ritorno alla nozione sei-settecentesca del termine (preludio come introduzione a qualcos’altro: in questo caso la lettura poetica) e la concezione viceversa impostasi coll’Ottocento, di composizione autosufficiente (ispirata dal testo poetico). Il mezzogiorno, il meriggio è l’ora che illumina ma immobilizza: l’assenza di ombra è l’assenza di possibilia, dunque è un’ora di angoscia sebbene incantata. «Nel calore immobile che fa vibrare l’aria e tremare tutte le coese sulla terra cocente, il flauto del fauno dipana la sua cantilena tanto carica di voluttà da divenire angosciante» (Vladimir Jankélevitch). collaborazione per gli artisti delle avanguardie novecentesche (Picasso, Matisse, Braque, Derain, De Chirico; Stravinskij, Debussy, Ravel, Satie, Les Six, Prokof’ev, Respighi; Cocteau; Michail Fokin, Vaslav Nižinskij, Serge Lifar, Léonide Massine, George Balanchine). La linea culturale dei Ballets russes è di opposizione al wagnerismo imperante: all’avversione per l’unità delle arti, così come era propugnata dal dramma wagneriano, s’accompagna l’idea di una forma di spettacolo incentrata sulla danza (interpretata in senso antiaccademico, come libera espressione corporea) ma anche votata a un collaborazione tra le varie arti di segno antiromantico, priva di presupposti concettosi e anzi autoironica, straniante. La storia dei Ballets russes e di Stravinskij è quella di destini incrociati, destinati inevitabilmente a incontrarsi. Dopo l’Oiseau de feu (1910), l’idea per un balletto su soggetto preistorico si era affacciata nella mente di Stravinskij già nel 1910 («lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera»); l’idea era stata poi discussa con Djagilev e con il pittore Nikolaj Roerich mentre Stravinskij lavorava a Petruška (1911) e la descrizione del soggetto si trova infatti in una lettera di Roerich a Djagilev. Il ritorno all’idea del balletto preistorico comportò la stesura dello scenario insieme con Roerich in Russia, nel 1911. La composizione della musica risale al 1911- 1912. La prima rappresentazione del balletto fu poi posposta alla stagione 1913 per l’intenzione di affidarne la coreografia non a Fokin, con il quale Djagilev aveva rotto i rapporti, ma a Nižinskij (che per la stagione 1912 già occupato con L’après-midi d’un faune). La prima rappresentazione ebbe luogo a Parigi il 29 maggio 1913 al Théatre des Champs-Elysées, sotto la direzione di Pierre Monteux, con Marie Piltz protagonista. Si trattò di un uccès de scandale: la bagarre in sala provocò l’irritazione di Stravinskij e la soddisfazione di Djagilev. In gran parte fu un tipico affaire parigino, con attacchi pubblici a Nižinskij e al direttore del teatro Gabriel Astruc; tuttavia la prova generale del giorno prima, cui assistette invece il pubblico proprio dei Ballets russes (alta società, artisti, intellettuali) avvenne senza incidenti. Alla prima erano comunque presenti, tra gli altri, Saint-Saëns, Debussy, Ravel, Malipiero, Casella. C’erano, peraltro, oggettivi motivi per lo scandalo: la musica è violenta e aggressiva e l’immagine primitiva del simbolismo russo è piena di forza eversiva dal punto di vista sociale (e forse anche politico, religioso, culturale). Il sacrificio crudele di un’adolescente, la rappresentazione di un mondo primitivo e barbarico, carico di energia primigenia è gettata in faccia alla cultura borghese del progresso, giunta a un punto di sviluppo che è l’orlo di un abisso: si trattò di una provocazione, ma realizzata in termini di impassibile, fredda oggettività, che poneva un’intera società e cultura di fronte alla propria cattiva coscienza. In ogni caso l’impressione sul pubblico e sulla critica della musica che per l’autore doveva rappresentare «la violenta primavera russa che pareva cominciasse in un’ora e che sconvolgeva tutto» fu fortissima e sconcertante: dagli apprezzamenti di Prokof’ev e Ravel alle critiche di Debussy e Puccini sino al rifiuto di Saint-Saëns e di Skrjabin e alla definizione di «massacre du printemps» datale dai più conservatori. La partitura prosegue il lavoro intrapreso da Stravinskij sulla linea dell’Oiseau de feu e soprattutto di Petruška, ma con un’intensificazione degli aspetti e dei processi compositivi:  enucleazione e trattamento di frammenti di melodie popolari russe, combinati in moduli variabili che tendono alla dissoluzione della regolarità metrica e armonica;  massiccio ricorso a moduli di ostinato;  idea di una cellula ritmica o di una figura melodica, di lunghezza variabile, assunta come elemento determinante per la struttura metrica. Rispetto a Petruška dove i cambiamenti di metro sono incidentali in un contesto prevalentemente regolare, nel Sacre essi investono l’intera struttura metrica, invadendo anche i moduli di ostinato sotto forma di accenti estremamente energici);  sovrapposizione polifonica di linee, più complessa nel Sacre rispetto a Petruška, con frequenti conflitti tra gli accenti metrici delle diverse linee sovrapposte (con problemi relativi al luogo in cui porre le stanghette di battuta: molti cambiamenti introdotti nelle revisioni ed edizioni successive della partitura);  idea dei campi armonici tonali ovvero modali, con particolare rilievo, oltre che dei modi derivanti dalle melodie popolari, delle scale ottatoniche e di modi cromatici. Nel Sacre si ha una sistematica opposizione tra la melodia (per lo più modale) e il resto del campo armonico, in cui sono inserite interferenze cromatiche. Notevole importanza hanno gli intervalli di ottava non-giusta o per così dire stonata, ottava “diminuita” (7a maggiore) o “eccedente” (9a minore) con connotazione di primitivismo barbarico: intervalli cromatici che servono appunto come interferenze rispetto a una melodia modale (Introduction) oppure vengono utilizzati come strutture per definire un campo armonico (Les augures printaniers, Danse sacrificale). A proposito della composizione della partitura Stravinskij ebbe a ricordare: «non seguii nessun sistema particolare nella composizione del Sacre du printemps […] Mi era d’aiuto il solo orecchio. Sentivo e scrivevo ciò che sentivo». In Stravinsky rimane (1953) Pierre Boulez mette in rilievo alcuni essenziali elementi di analisi della partitura del Sacre du printemps: - «a parte l’Introduction, la scrittura del Sacre è grossa […] utilizza essenzialmente dei piani molto contrastanti»: impressione giustificata dalle strutture tonali dell’opera, dalla compattezza degli accordi ripetuti, dalle cellule melodiche appena variate (ma impressione che è paradossalmente smentita dalla finezza della costruzione ritmica); a questa impressione si devono l’impatto del lavoro sulla scena musicale degli anni Dieci e l’imitazione superficiale di cui esso fu poi oggetto (imitazione della scrittura, della violenza fonica, delle irregolarità, dei cambiamenti di misura: «tendenza al dionisiaco e alla musica “cattiva”»; - «lungi dall’essere una liberazione dal punto di vista tonale, il linguaggio di Stravinsky consiste in attrazioni potenti create intorno a certi poli […] i più classici che esistano, vale a dire la tonica, la dominante, la sottodominante. Una tensione più o meno grande viene ottenuta in virtù di appoggiature non risolte, di accordi di passaggio, della sovrapposizione di parecchie modalità su una stessa nota attrattiva, della disposizione delle differenti forme di accordi sui piani separati»); - «i grandi temi dell’opera sono diatonici e di un diatonismo molto primitivo […] alcuni di questi temi sono basati su modi difettivi di cinque suoni. Di temi a tendenze cromatiche ve ne sono molto pochi, a parte un gioco frequente sul maggiore-minore, il cromatismo riveste soltanto degli aspetti senza carattere distruttivo riguardo a note attrattive, o può avere soltanto lo scopo di garantire una dissimmetria sonora nelle concatenazione un po’ usate»; - «il contrasto fra un certo diatonismo orizzontale e un cromatismo verticale, senza escludere la disposizione contraria»; - rispetto ai viennesi «Stravinsky possiede a un grado minore il senso dello sviluppo, vale a dire del fenomeno sonoro in movimento costante»; - «con queste coagulazioni orizzontali e verticali, con questi materiali semplici e facilmente maneggevoli, si poteva tentare un’esperienza ritmica molto più acuta [di quella dei viennesi]»: grande complessità ritmica rispetto alla complessità melodica, intervallare e armonica dei viennesi, «puntellata con l’incrollabile principio del metro regolare». Boulez sottolinea soprattutto l’importanza decisiva dell’organizzazione e dell’elaborazione del parametro ritmico, mettendo in luce alcuni procedimenti ritmici lineari: - la raffinatezza nella costruzione simmetrica/asimmetrica dei periodi, nella variazione che impiega la divisione e/o la moltiplicazione razionale di una valore unitario, così come l’impiego di valori irrazionali; - l’utilizzo di veri e propri temi ritmici all’interno di una verticalizzazione sonora immobile. I procedimenti ritmici lineari forniscono poi strutture o modalità di sviluppo. Compaiono due forze ritmiche: una sorta di antagonismo può mettere in gioco due ritmi semplici oppure un ritmo semplice e una struttura ritmica o ancora due strutture ritmiche. Ciascuno di questi due elementi (ritmo semplice / struttura ritmica complessa) può essere di volta in volta sviluppato oppure essere mantenuto fisso secondo varie combinazioni e sovrapposizioni, generando una serie di piani più o meno contrastanti. L’analisi di Boulez procede dal brano più semplice al più complesso: Glorification de l’élue (forma ternaria), Danse de la terre (architettura binaria), Danse sacrale (rondò: due ritornelli, due episodi, coda), Introduction (architettura in cinque fasi o sezioni di sviluppo). Il ritmo è dunque l’elemento decisivo e più progressivo, l’unico veramente innovativo dello stile di Stravinskij: il linguaggio melodico e armonico è sostanzialmente tonale, il contrappunto è presente in misura scarsa e poco significativa, manca assenza un vero sviluppo in favore della ripetizione variata, manca la politonalità (e si ha tutt’al più la presenza di passaggi polimodali), le melodie (derivate da certe forme di canto popolare) denotano una certa fissità e una tendenza arcaicizzante. Del resto nella musica del primo Novecento si nota una dissociazione tra l’evoluzione innovativa del ritmo e quella del materiale melodico e armonico: l’evoluzione innovativa di quest’ultimo è massima in Schoenberg, Berg e Webern e minima in Stravinskij, mentre al contrario l’evoluzione innovativa del ritmo è massima in Stravinskij e minima in Schoenberg, Berg e Webern (in questo scenario un compositore come Bartók occupa una posizione intermedia per l’uno come per l’altro aspetto). Richard Taruskin in “Le Sacre du printemps”. Le tradizioni russe, la sintesi di Stravinskij (2002) [1996] propone che le opere del periodo “russo” di Stravinskij sono da interpretare in una prospettiva di continuità storica con le tradizioni musicali russe di fine Ottocento e inizio Novecento (rovesciando così l’idea di Stravinskij emigrato cosmopolita sradicato dal proprio contesto d’origine). La contrapposizione tra il principio della stichija (spontaneità primordiale, immediatezza primitiva) e quello della kul’tura sarebbe fondamentale per comprendere la tendenza neonazionalista alle origini delle visioni primitivistiche e sacrificali, “scitiche” (la Scizia è la zona tra il Dnepr e il Don), tendenza condivisa da Djagilev e dall’impresa dei Ballets Russes, dal coreografo Nikolaj Rërich (Roerich) e da Stravinskij stesso. Si tratta di una tendenza tradizionalista (retrospettiva, profondamente radicata nelle tradizioni storiche e preistoriche, ostile agli impulsi progressisti di Skrjabin) e al contempo innovativa (diversa dalla tendenza nazionalfolklorica). Rërich e Stravinskij avrebbero voluto realizzare, dopo L’oiseau de feu e Petruška (balletti ancora basati su una trama narrativa) un progetto coreografico antinarrativo, in cui l’azione non fosse “rappresentata” ma “presentata” direttamente: non il racconto del rituale pagano ma il rituale stesso. Queste idee risultarono convergenti con quelle di “riforma” drammaturgica del balletto in senso modernista propugnate da Djagilev e dai Ballets Russes: le azioni pantomimiche non dovevano essere rappresentazione delle intenzioni di chi sta per compiere un’azione, ma come l’azione stessa, nel suo compiersi. Da qui deriva l’assoluta coerenza e sincronizzazione tra musica e azione, che porta il compositore a scolpire nella musica i gesti mimici e coreografici dei ballerini così come a elaborare il montaggio dei diversi quadri e delle diverse sequenze e dunque a ribaltare la tradizionale sottomissione al coreografo. Stravinskij opera una grande sintesi tra le tradizioni folkloriche e gli orientamenti modernisti della musica colta russa, che sino ad allora erano convissute parallelamente. Di fatto, Stravinskij ha un atteggiamento ambivalente nei confronti delle fonti melodiche e tematiche del patrimonio popolare russo: da un lato pone attenzione alle fonti melodiche popolari differenziate sul piano etnologico (kučkisti), dall’altro mostra un’estrema libertà nel trattamento di tali fonti (neonazionalisti). Anche gli elementi di eccezionalità e novità del Sacre sono ricondotti da Taruskin a specifiche radici russe, colte o popolari:  l’armonia gravitante intorno all’”accordo-fonte” (do-fa diesis-si);  le scale ottatoniche (derivate da Rimskij-Korsakov: scale di otto suoni che alternano toni e semitoni);  i procedimenti formali basati sulla ripetizione, l’alternanza e la semplice accumulazione inerziale;  gli ostinati di derivazione folklorica;  i procedimenti ritmici e metrici, con sfasamento degli accenti in situazioni sovrapposte verticalmente (dallo sfasamento tra canto e accompagnamento delle prassi esecutive popolari). La grande sintesi compiuta da Stravinskij non intende contrapporsi alla tradizione (alle tradizioni), ma la magnifica ricorrendo a elementi che sino ad allora erano stati rimossi, emarginati o impiegati con la massima prudenza dai compositori nel timore di infrangere il canone della kul’tura. Taruskin sottolinea inoltre come nel Sacre – così come in tutto il resto della produzione di Stravinskij – siano presenti categorie estetiche e artistiche radicate nella tradizione russa: drobnost’ (somma delle parti, intesa come qualità di una struttura formale non unitaria), nepodvižnost’ (forma statica, immobile, non teleologicamente orientata), uproščenie (riduzione della complessità a una più semplice, perfetta, forma unificante). LE SACRE DU PRINTEMPS TABLEAUX DE LA RUSSIE PAÏENNE EN DEUX PARTIES Part I: L’adoration de la terre 1. Introduction 2. Les augures printaniers. Danses des adolescents. 3. Jeu du rapt 4. Rondes printanières 5. Jeux des cités rivales 6. Cortège du sage 7. Adoration de la terre [Le sage] 8. Danse de la terre Part II: Le sacrifice 1. Introduction 2. Cercles mistérieux des adolescentes 3. Glorification de l’élue 4. Évocation des ancêtres 5. Action rituelle des ancêtres 6. Danse sacrale. L’élue PART I L’ADORATION DE LA TERRE Introduction Si notano la melodia iniziale del fagotto nel registro acuto (improntata a un canto popolare lituano) e il contrappunto dissonante degli strumenti che si aggiungono via via, sino a raggiungere il pieno organico orchestrale. L’introduzione è caratterizzata da una notevole irregolarità metrica. «Era nelle mie intenzioni che il preludio dovesse rappresentare il risveglio della natura, lo stridere, il rosicchiare, il dimenarsi di uccelli e bestie» (Igor Stravinskij). L’introduzione offre anche l’anticipazione in pizzicato del motivo che costituisce il nucleo del primo quadro (si bemolle – re bemolle – mi bemolle). LES AUGURES PRINTANIERS. DANSES DES ADOLESCENTS Il quadro è connotato dalla presenza di un ostinato e da tre idee tematiche principali: 1) la prima suonata dai fagotti è seguita da un canone; 2) la seconda è suonata da corno e flauto, poi anche dal flauto in sol; 3) la terza è affidata alle trombe e anticipa il tema di Rondes printanières. Si sviluppa quindi un grande crescendo. JEU DU RAPT Il quadro, di grande virtuosismo orchestrale (Scherzo), si basa su motivi di fanfara. RONDES PRINTANIÈRES La forma è ternaria. La sezione iniziale, a mo’ di cornice, presenta una cantilena introduttiva dei clarinetti (dalla metrica irregolare) e un disegno dei legni, poi il tema già comparso in Les augures printaniers è condotto a effetti di grandiosa amplificazione fonica e timbrica (tam- tam) e ricchezza armonica. Alla sezione centrale, con vivaci svolazzi, segue una ripresa della sezione iniziale. JEUX DES CITÉS RIVALES Si tratta di un concitato confronto e scontro tra due idee tematiche: 1) la prima, pesante, è suonata da corni e fagotti; 2) la seconda, delicata e legata, è condotta per terze, in canone, dai legni. CORTÈGE DU SAGE Al tumulto della contesa s’aggiunge, in ritmo di marcia, il tema del corteo del saggio (tube), cui poi si aggrega tutta l’orchestra in un insieme di impressionante violenza sonora. La conclusione del pezzo avviene con una pausa generale e improvvisa. ADORATION DE LA TERRE [LE SAGE] Nel silenzio generale il saggio dà l’avvio al rito dell’adorazione della terra: si ascoltano note tenute di pedale con rintocchi e un accordo costruito con la sovrapposizione di tre triadi (do minore, si minore, la bemolle maggiore). DANSE DE LA TERRE La forma è binaria L’impulso ritmico frenetico (in metro ternario) anticipa la Danse sacrale. Nella prima parte, sullo sfondo di veemente impulso motorio si pongono in primo piano violente strappate. Nella seconda parte viene invece in primo piano l’impulso motorio dell’ostinato che nella prima parte era rimasto sullo sfondo. PART II: LE SACRIFICE Introduction Il sacrificio è il momento culminante del rito tribale. L’introduzione evoca un cupo, opprimente e inquietante senso di mistero (ovimento melodico di accordi contigui, armonici acuti degli archi). Si profilano due idee tematiche, che girano come avvitate su se stesse: 1) la prima è affidata agli archi (armonici); 2) la seconda è data alle trombe (si bemolle – do bemolle – do). CERCLES MISTÉRIEUX DES ADOLESCENTS I cerchi misteriosi degli adolescenti sono formati per scegliere la vittima destinata al sacrificio. Le idee tematiche qui sono cantabili: 1) la prima è tratta dalla prima idea della precedente Introduction (viole sole); 2) la seconda è suonata dal flauto in sol, poi dai legni; 3) la terza compare agli archi e al clarinetto basso. Alla fine, si delinea un crescendo e accelerando percussivo: è il momento della separazione dell’Eletta dagli altri adolescenti. GLORIFICATION DE L’ÉLUE La forma è ternaria. La prima parte è costituita da due sezioni: 1) la prima, con una strappata seguita da tre note discendenti, è continuamente ripetuta in alternanza a una sezione percussiva 2), in un gioco di varianti estremamente elaborato dal punto di vista metrico. Quindi nella seconda parte interviene anche una terza sezione 3) con tremoli, effetti di glissando, ritmo di terzine. La terza parte, conclusiva, è una ripresa della prima parte. ÉVOCATION DES ANCÊTRES L’evocazione degli antenati è raffigurata da un’idea tematica per gradi congiunti e blocchi accordali. ACTION RITUELLE DES ANCÊTRES Il quadro è costituito da 1) un duetto tra corno inglese e flauto in sol, caratterizzato da melodie arcaicizzanti e orientaleggianti e poi da 2) una melodia processionale (trombe). Infine, si ascolta una melopea dei clarinetti. DANSE SACRALE. L’ÉLUE Si consuma il sacrificio in un orgia di suoni, in cui prevale su ogni altro elemento quello ritmico-percussivo con conseguente annichilimento della melodia e dell’armonia. La forma è quella di un rondò, (riconducibile allo schema ABACA+ Coda con elementi di B): A = fitta successione/alternanza di metro binario e ternario, estrema flessibilità metrica B = alternanza meno serrata di metro binario e ternario e distribuzione più regolare dei moduli ritmici ripetuti, presenza caratterizzante di una quintina discendente C = presenza concertante delle percussioni L’immagine conclusiva dell’esalazione dell’ultimo respiro è rappresentata con un scala e un arpeggio di flauti e ottavini insieme con gli archi. PARTE TERZA FRANZ LISZT Franz Liszt (Raiding/Doborján 1811 – Bayreuth 1886) - compositore, pianista, direttore d’orchestra, didatta, scrittore e saggista - uno dei capofila del Romanticismo musicale (partito dei Neotedeschi) - mediazione culturale come vocazione - sviluppo di un nuovo pensiero, nuove tecniche (trasformazione dei temi), nuovi generi (poema sinfonico) e forme (double function form) nell’ambito compositivo - sperimentazione linguistica, specie in campo armonico con intuizioni pre-novecentesche - virtuosismo pianistico trascendentale: reinvenzione del suono e del trattamento del pianoforte con l’introduzione di un nuovo universo di risorse tecniche, espressive, coloristiche (correlata all’evoluzione costruttiva dello strumento) requisiti e alle prerogative della grande forma corrispondono, dal punto di vista della tecnica compositiva, uno svolgimento musicale riconducibile a un nucleo circoscritto di idee musicali, che si basa sul principio della trasformazione di temi e motivi (attraverso cambiamenti ritmici, metrici e di tempo) e sull’avvicendarsi di diversi toni e caratteri espressivi. Il poema sinfonico Genere dalla storia piuttosto breve (1850 circa - 1920 circa), tipico di un periodo storico e culturale, caratteristico di un’epoca come non potevano esserlo altri generi (l’opera, la sinfonia), soddisfa tre aspirazioni dell’Ottocento: 1) la musica posta in relazione con le altre arti e, in genere, la realtà extramusicale; 2) integrare forme articolate in più movimenti in un’unica arcata formale; 3) elevare la musica a programma e descrittiva a un livello ‘poetico’, più alto di quello dello stesso teatro musicale e della sinfonia e d’altra parte sublimare la letteratura nella forma più alta e quintessenziale di poesia, la musica strumentale (metafisica romantica della musica strumentale). Origini e prototipi: sinfonie e ouvertures di Beethoven, Berlioz, ouvertures a programma di Mendelssohn (queste ultime rappresentano il più importante tentativo per una nuova concezione sinfonica post-beethoveniana), il dibattito critico intorno alla sinfonia e all’ouverture. «Symphonische Dichtung» (1854): Liszt compone 13 poemi sinfonici, 12 negli anni di Weimar, 1 in epoca tarda. Assistenti alla pratica dell’orchestrazione August Conradi e Joachim Raff. «Symphonische Dichtung»: nuovo termine e concetto che si pone tra tradizione e innovazione, sottolineando da un lato il nuovo legame tra poesia e musica («celle […] renouvellement de la Musique par son alliance plus intimeavec la Poésie») con il duplice accento sulla dimensione sinfonica («symphonische») e sulla poesia («Dichtung»). Il nuovo termine evidenzia in primo luoo l’emancipazione del nuovo genere dal nesso funzionale dell’ouverture e dall’ouverture a programma (da cui peraltro discende), in secondo luogo l’intento di elevare il genere stesso al rango della sinfonia e in terzo luogo la nuova qualità della relazione tra musica e letteratura : - aspirazione alla continuità storica (riferimento alla tradizione della sinfonia e dell’ouverture) - forte accento di innovazione (il nuovo genere come prodotto del postulato estetico di una nuova arte, sintesi di poesia e musica) - problema formale e compositivo (necessità di configurare una nuova forma sinfonica per rappresentare adeguatamente e singolarmente una certa idea poetica). Liszt vede la strada verso il poema sinfonico già tracciata da Beethoven, la cui musica considera già espressione di un «intento poetico» [dichterische Absicht], mentre Wagner, legittimando la musica a programma di Liszt, parla a proposito dello sviluppo dei mezzi espressivi della musica dopo Beethoven, della necessità di un «motivo formale» [Formmotiv] al di fuori della musica stessa (1857): questo «motivo formale» che nel dramma musicale è il testo ovvero l’azione, nel poema sinfonico è l’idea poetica, il soggetto cioè il programma. Nelle idee di Liszt si riflettono gli interessi letterari della cultura borghese ottocentesca, che finiscono per condizionare il pensiero musicale: il nuovo concetto della musica strumentale come poesia sonora si orienta in senso enfatico all’orizzonte e alle aspettative d’ascolto nonché agli interessi letterari delle «masse» nonché degli «uomini di pensiero e azione». Con l’idea di equiparare la musica sinfonica alla poesia e che essa si appropri dei soggetti letterari e artistici, Liszt trapianta alcune idee centrali del pensiero musicale romantico in un concetto di genere che si fonda sull’assunto che il linguaggio della musica sia la forma espressiva suprema del poetico. La tendenza ad assimilare celebri soggetti letterari o figurativi non significa che la musica si limiti a illustrarli musicalmente, bensì risponde all’intento di sottolineare il ruolo della musica nella cultura borghese dell’epoca e punta alla rappresentazione musicale di ciò che non è rappresentabile dalla letteratura e della pittura (anzitutto la componente religiosa o metafisica) e alla narrazione di processi interiori («une espèce de récit des sentiments») e all’espressione di un concreto contenuto sentimentale («konkreten Gefühlsgehalt», Wagner). Il programma è da intendersi come «segnavia» per l’ascoltatore, che svolge una funzione chiave nel dischiudere l’idea poetica in un processo estetico che comporta l’interazione di ragione e sentimento. Idea del sinfonico e premesse tecnico-compositive della musica a programma in Liszt (Dahlhaus): 1) La grande forma (elevatezza stilistica, compiutezza, articolazione) 2) Il trattamento tematico (derivazione e sviluppo del discorso musicale da un’originaria sostanza tematica circoscritta attraverso processi di variante: trasformazione di temi e motivi e generazione di nuove configurazioni attraverso le variabili dei cambiamenti ritmici, metrici e di tempo ma mantenendo il profilo intervallare come ossatura costante) 3) Mutamento dei toni e dei caratteri espressivi (acquisizione di elementi della molteplicità di movimenti della sonata? La musica diviene medium della ‘narrazione’ di avvenimenti interiori, la cui logica formale prende le mosse dalle tecniche sinfoniche del trattamento dei temi ma si precisa, di volta in volta in funzione dei singoli contenuti: conversione dell’idea poetica in una concreta idea formale musicale. Presupposti della tecnica compositiva: dissolvenza incrociata dei principi formali della forma sonata ([Introduzione] - esposizione-sviluppo-ripresa - [coda]) e del ciclo di sonata (Allegro-Adagio-Scherzo-Finale) + tecnica della trasformazione tematica. Per Liszt, la differenza tra poemi sinfonici e sinfonie a programma (i primi come una sorta di introduzione e preparazione alle seconde, dedicate ai due capolavori supremi, eccezionali, quali Faust e la Commedia), pur considerando entrambi i generi come legittimi discendenti del sinfonismo beethoveniano Poema sinfonico [Lirica: ode, ditirambo, elegia]  Sinfonia a programma [Epopea] Movimento unico Più movimenti Poemi sinfonici, forma in un unico movimento: Titolo Soggetto Anno Tasso. Lamento e Trionfo* Goethe, Byron 1840-54 Les préludes* Lamartine 1844-54 Orpheus* Vaso etrusco, Louvre 1853-54 Prometheus* Herder 1850-55 Mazeppa Hugo 1851-54 Festklänge* - - - 1853 Héroïde funèbre Rivoluzione del 1830 1849-54 Hungaria - - - 1840-54 Ce qu’on entend sur la montagne Hugo 1847-57 Die Ideale Schiller 1853-57 Hamlet* Shakespeare 1858 Hunnenschlacht Quadro, Kaulbach 1857 Von der Wiege bis zum Grabe Quadro, Zichy 1881 * Concepiti in origine come ouvertures a composizioni sinfonico-corali, opere o lavori teatrali 1) In primo luogo, condizione fondante della musica a programma è appunto l’esistenza di un programma, ovvero di un soggetto definibile concettualmente e che sia stato reso pubblico e manifesto dall’autore (problematicità dei cosiddetti “programmi segreti” o “programmi nascosti”: una specie di contraddizione in termini). Il programma, che può assumere diverse configurazioni (dal testo letterario anteposto alla partitura al semplice titolo), svolge un ruolo di mediazione tra il compositore e il pubblico: esso identifica il soggetto della composizione e ne indica il corso ideale. Il programma determina inoltre la forma musicale e il processo compositivo in quanto fattore predominante e appartiene perciò alla sostanza estetica della composizione. Soprattutto nel poema sinfonico, la forma musicale si modella in funzione del contenuto da esprimere rispondendo a una duplice esigenza: il soggetto espresso concettualmente dal programma è poetizzato dalla musica strumentale, capace di elevarlo sino alla sfera ineffabile dell’aconcettualità, mentre l’espressione aconcettuale della musica è intensificata, resa più eloquente e arricchita dal contenuto concettuale del programma. 2) In secondo luogo, essendo nella musica a programma esplicita e dichiarata sin dal titolo la corrispondenza tra soggetto e musica il processo che associa la forma e lo svolgimento della composizione a un contenuto da esprimere è immediatamente attivato nel pubblico come naturale conseguenza di tale premessa: ancor prima che l’esperienza cognitiva abbia inizio, il pubblico è predisposto a interpretare la musica come espressione, rappresentazione e narrazione di un contenuto. 3) In terzo luogo, la presenza di un programma manifesto tende a restringere il ruolo e il campo dell’interazione interpretativa che il soggetto rappresentato sollecita nel pubblico. Per Liszt il programma ha la funzione di concentrare l’attenzione del pubblico sul contenuto ideale e poetico del lavoro strumentale mettendolo così in guardia da interpretazioni fuorvianti e sbagliate; sia pure con modalità molto diverse e variamente accentuate secondo la natura del programma (testo letterario, iscrizioni e didascalie nella partitura, semplice titolo), l’autore impone le coordinate e determina le linee di svolgimento del programma stesso. Il programma tende in linea di principio a improntare la concezione e lo svolgimento complessivo di un’opera. 3. LISZT E L’ARTE ITALIANA Nell’ambito di questa estetica l’esperienza dei poemi sinfonici, che occupa la seconda metà della vita di Liszt, è preceduta e quindi affiancata dalle raccolte di musiche per pianoforte la cui concezione appare riconducibile a categorie più letterarie che non musicali: l’Album d’un voyageur (1835-1838; edizione a stampa 1842), le Harmonies poétiques et réligieuses (1840-1853; edizione a stampa 1853) e soprattutto i tre straordinari volumi, più uno di supplemento, delle Années de pèlerinage (1838-1882; edizioni a stampa 1855, 1858, 1861, 1883). L’ideale riferimento letterario si coglie fin dai titoli: Album d’un voyageur parafrasa Lettres d’un voyageur (1837) dell’amica George Sand, Harmonies poétiques et religieuses proviene dall’omonima raccolta poetica (1830) di Lamartine, Années de pèlerinage richiama il romanzo Wilhelm Meisters Wanderjahre (1829) di Goethe. I viaggi e soggiorni in Svizzera e poi specialmente in Italia, in compagnia di Marie d’Agoult tra il 1835 e il 1839, segnano per Liszt un momento decisivo nella costruzione della consapevolezza e dell’immagine di sé come compositore. Un’immagine riflessa nei pezzi per pianoforte che Liszt inizia a scrivere appunto in questo periodo e che confluiranno poi nelle Années de pèlerinage. Attraverso un lungo processo di rielaborazioni, ripensamenti e integrazioni, il grande ciclo impegnerà Liszt per quasi mezzo secolo: la Première année, Suisse (1835-1838, 1848-1855) fu pubblicata nel 1855, la Deuxième année, Italie (1838-1857) nel 1858 seguita dal relativo Supplément, Venezia e Napoli (1838-1840, 1859) nel 1861. Infine verrà la Troisième année (1877-1882), edita nel 1883. Della poetica del ricordo e del costituirsi di un diario di pèlerinage Liszt parla nella prefazione alla prima edizione completa dell’Album d’un voyageur (1842): Negli ultimi tempi ho conosciuto molti nuovi paesi, nuove e diverse regioni, molti luoghi trasfigurati dalla storia e della poesia; ho avvertito che i molteplici aspetti della natura e gli accadimenti che vi si riferivano non passavano davanti ai miei occhi come immagini vane ma evocavano nella mia anima profonde emozioni e che si stabiliva tra questi e me relazioni vaghe eppure immediate, un rapporto indefinito ma reale, un collegamento inspiegabile ma esistente. Ho cercato quindi di rendere in musica qualcuna delle mie sensazioni più forti, delle mie più vive impressioni. Iniziato questo lavoro, i ricordi si addensarono via via sempre più, le immagini e le idee collegarono e ordinarono in modo naturale. Così continuai a scrivere […]. Se il primo volume, dedicato alla Svizzera, si incentra sulla natura e sul paesaggio (seppure attraverso la mediazione letteraria di Schiller, Byron e Senancour), il secondo volume, quello italiano, con relativo supplemento, è imperniato sulle arti: pittura, scultura, poesia, musica. È opportuno ricordare che a Liszt l’Italia appare sotto una duplice luce, che rispecchia le categorie di pensiero e di percezione nonché le consuetudini di lettura del tempo. Nelle Lettere di un dottore in musica [Lettres d’un bachelier ès musique] scritte nel 1839, alla critica severa nei confronti della contemporanea vita musicale dell’Italia fa riscontro una rappresentazione idealizzata del paese come terra dell’arte e della poesia, come «repubblica dell’immaginazione»1 in cui Liszt dialoga, alla pari e liberamente, con una comunità di artisti del presente e del passato. Questa è l’Italia che per Liszt sarà «sempre la patria elettiva di quegli uomini che non hanno fratelli fra gli uomini, di quei figli di Dio, di quegli esiliati dal cielo che soffrono e cantano, e che il mondo chiama poeti». E così si esprime ancora Liszt in un tono di entusiasmo un po’ ingenuo che tradisce il duplice stereotipo – abituale nella letteratura di viaggio del tempo – del disprezzo per il presente contrapposto al fulgore del passato culturale italiano: Poiché non avevo niente da cercare nel presente dell’Italia, mi sono messo a sfogliare il suo passato: avendo assai poco da chiedere ai vivi, ho interrogato i morti […] Il bello, in questa paese privilegiato, mi appariva nelle sue forme più pure e più sublimi. L’are si mostrava ai miei occhi in tutti i suoi splendori; mi si rivelava nella sua universalità e nella sua unità. La sensibilità e la riflessione mi convincevano ogni giorno di più della relazione nascosta che unisce le opere di genio. Raffaello e Michelangelo mi facevano capire meglio Mozart e Beethoven; Giovanni Pisano, Fra Beato [Angelico], [Francesco] Francia mi spiegavano Allegri, Marcello, Palestrina; Tiziano e Rossini mi sembravano due astri che avevano raggi simili. Il Colosseo e il Camposanto [di Pisa] sono meno estranei di quanto si creda alla Sinfonia Eroica e al Requiem. Dante ha trovato la sua espressione pittorica in Orcagna e Michelangelo; troverà forse un giorno la sua espressione musicale nel Beethoven del futuro. Il nucleo delle composizioni ispirate all’arte italiana si trova dunque raccolto nel secondo volume delle Années de pèlerinage e nel relativo supplemento, Venezia e Napoli. Années de pèlerinage Deuxième année, Italie Mainz, Schott, 1858 N Titolo Soggetto o fonte di riferimento 1 Sposalizio Raffaello, Lo sposalizio della vergine 2 Il penseroso Michelangelo, Il penseroso 3 Canzonetta del Salvator Rosa Salvator Rosa (testo)? Giovanni Bononcini (musica)? 4 Sonetto 47 del Petrarca Petrarca, Sonetto 47* [61] Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese e l’anno 5 Sonetto 104 del Petrarca Petrarca, Sonetto 104* [134] Pace non trovo, e non ho da far 1 guerra 6 Sonetto123 del Petrarca Petrarca, Sonetto 123* [156] I’ vidi in terra angelici costumi 7 Après une lecture du Dante. Fantasia quasi sonata Dante, Divina commedia; Victor Hugo, Après une lecture de Dante; Beethoven, Sonate op. 27 * La numerazione dei componimenti petrarcheschi non segue l’ordine che essi hanno nel Rerum vulgarium fragmenta ma quello all’interno dei raggruppamenti dei singoli generi metrici (in questo caso, il raggruppamento dei sonetti). Supplément,Venezia e Napoli Mainz, Schott, 1861 N Titolo Soggetto o fonte di riferimento 1 Gondoliera, canzone del Cavaliere Peruchini (La biondina in gondoletta) Anton Maria Lamberti e Giovanni Simone Mayr, La biondina in gondoleta 2 Canzone (Nessun maggior dolore, canzone del Gondoliere nell’«Otello» di Rossini) Rossini, Otello: Nessun maggior dolore (atto III) 3 Tarantella da Guillaume Louis Cottrau Guillaume Louis Cottrau, Tarantella Ma, considerati anche gli stretti rapporti che Liszt manterrà con l’Italia sino alla fine della sua vita, sono molte altre le composizioni riferibili in via più o meno diretta all’ambiente e alla cultura italiana. Per restare alle Années de pélerinage, nella Troisième année compaiono alcuni pezzi ispirati dal soggiorno romano: Angelus! Prière aux anges gardiens e il trittico sulla Villa d’Este di Tivoli, con le trenodie Aux cyprès de la Villa d’Este I e II e Les jeux d’eau à la Villa d’Este. L’impressione suscitata dal ciclo di affreschi trecenteschi del Trionfo della morte nel Camposanto di Pisa, attribuiti da Vasari ad Andrea Orcagna e oggi piuttosto a Buonamico di Martino detto Buffalmacco è tradizionalmente ritenuta all’origine di una delle composizioni più spettacolari per pianoforte e orchestra, Totentanz. Paraphrase über Dies irae (1847-1862?). Après un lecture du Dante trova un corrispettivo sinfonico-corale nella «Dante-Symphonie» (1855-1856), mentre anche il dittico orchestrale delle Deux légendes (1863), formato da St. François de Paule marchant sur le flots e St. François d’Assise: la prédication aux oiseaux. Al personaggio eroico e tormentato di Torquato Tasso, seppure visto attraverso Goethe e Byron, è dedicato il poema sinfonico Tasso: lamento e trionfo (1847-1854). Anche nei pezzi più tardi l’ispirazione italiana non viene meno con un paio di memorabili pezzi brevi, R[ichard] W[agner] - Venezia (1883) e La lugubre gondola (Die Trauergondel) I e II (1884-1885). E così via. C’è poi la fonte costituita dalla musica italiana. Oltre alle melodie comprese supplemento alla secondo volume delle Années de pélerinage, che rendono omaggio a Venezia e Napoli, le due città dall’identità musicale più vivida nell’immaginario culturale europeo, sono innumerevoli i lavori che si rifanno alla musica italiana di rilievo internazionale: dalle rielaborazioni di Paganini, con in prima linea le Études d’exécution transcendante d’après Paganini (1838-1840), alle fantasie e parafrasi operistiche da Donizetti, Bellini e Verdi: Fantaisie sur des motifs favoris de «Lucrezia Borgia» (1840-1848) e Réminescences de «Lucia di Lammermoor» (1835-1836), Fantaisie sur des motifs favoris de l’opéra «La sonnambula» (1839?-1842) e Réminiscences de «Norma» (1841), Rigoletto. Paraphrase de concert (1855?) e Réminiscences de «Boccanegra» (1882). 4. ANNÉES DE PÈLERINAGE: DEUXIÈME ANNÉE, ITALIE Come si diceva, il nucleo delle composizioni pianistiche ispirate all’arte italiana si trova tuttavia nel secondo volume delle Années de pélerinage, dunque omogeneo dal punto di vista del contenuto. Qui Liszt interagisce con la pittura di Raffaello Sanzio, la scultura di Michelangelo Buonarroti, la figura romanzesca e ‘maledetta’ del pittore e poeta seicentesco Salvator Rosa (divenuto non a caso protagonista nel 1819 di un racconto di E.T.A: Hoffmann, Signor Formica), la poesia di Francesco Petrarca e quella di Dante Alighieri. Sin dallo scorcio degli anni Trenta, alcuni aspetti caratterizzano il rapporto di Liszt con i soggetti artistici e letterari delle sue composizioni. In primo luogo, la rappresentazione musicale è realizzata con una varietà di soluzioni formali ed espressive che si rinnova di volta in volta in funzione dei tratti peculiari del soggetto trattato. In secondo luogo, il rapporto con un certo soggetto tende a non esaurirsi una tantum, in un singolo episodio, ma a dispiegarsi nel tempo, con ritorni ripetuti e diverse versioni dello stesso tema anche a molti anni di distanza. In terzo luogo, appare rilevante già nella scelta e poi nell’assimilazione compositiva che Liszt compie dei suoi soggetti, il ruolo di significative mediazioni culturali. Questi aspetti vanno tenuti in considerazione in un approccio storico e critico che ambisca a essere se non adeguato almeno pertinente ai lavori musicali in questione. Il secondo volume delle Années de pèlerinage si presta in modo esemplare a una lettura che prenda spunto appunto da questi aspetti. SPOSALIZIO LAZAR BERMAN https://www.youtube.com/watch?v=ilVV645cF4U Il pezzo d’apertura, Sposalizio, è ispirato a Lo sposalizio della Vergine (1504) di Raffaello, che Liszt ebbe modo di ammirare alla Pinacoteca di Brera di Milano [IMMAGINE DIPINTO] e che poi volle riprodotto prima della sua composizione nell’edizione a stampa del 1858 [IMMAGINE EDIZIONE 1858]. La mediazione culturale è data dalla conoscenza di Liszt della mistica cristiana (le fonti tradizionali dell’iconografia del tema sono i Vangeli apocrifi e la Legenda aurea di Jacopo da Varagine). Sul pezzo, Liszt ritornerà molti anni dopo con una versione per organo o harmonium e coro femminile ad libitum intitolata Ave Maria III / Sposalizio - Trauung (1883). La realizzazione compositiva di Liszt ha l’obiettivo di ripercorrere l’esperienza percettiva ed emozionale dello spettatore davanti al dipinto: la metafora sonora della dinamica visiva conduce l’ascoltatore-spettatore dallo sfondo-ambiente del quadro (costruzione architettonica: rintocchi di campane, motivo pentatonico come arcaismo) al primo piano (il rito nuziale: struttura domanda-risposta, poi tema processionale dell’Ave Maria) sino a uno sguardo d’insieme (ricapitolazione con sovrapposizione di tutti i motivi precedenti). L’integrazione delle singole sezioni è assicurato dalla struttura melodica-armonica-ritmica generativa dell’introduzione da cui deriva tutto il materiale del pezzo e dal ritorno di alcuni motivi (in particolare quello della sezione B). Tempo Tonalità Battute Sezioni Andante (MI) 1-29 A: introduzione, sfondo. Struttura melodica-armonica-ritmica generativa, motivo di B, effetto campane, scala pentatonica, arcaismo Andante quieto MI 30-37 B: il rito, primo piano. Domanda-risposta Più lento SOL MI 38-77 C: Ave Maria (cfr. Sposalizio-Trauung, 1883), tema processionale e climax Quasi allegretto mosso MI  77-120 C e climax, poi combinazione di elementi da A, B e C … Adagio MI 120-133 Coda: combinazione di elementi da A e C Indipendente (vv. 9-11) – DO bb. 41-54 Distensione conclusiva, piano poi voce a (vv. 12-13), poi x (v. 14) – LAb bb. 57-77 Distensione conclusiva, coda a var. – LAb bb.61-67 x, da a – LAb bb. 68-84 APRÈS UNE LECTURE DE DANTE LAZAR BERMAN HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=3SYWZNKCY5Y Après une lecture de Dante è, infine, la composizione più vasta e ambiziosa della raccolta che ebbe una gestazione piuttosto travagliata. Dall’abbozzo del Fragment dantesque (1837 ca.) e dalla prima versione in due movimenti, intitolata Paralipoménes e poi Prolégomènes à la Divina commedia (1839-1840) fino alla revisione del 1849, la composizione si trasforma profondamente mostrando inoltre, nel corso degli anni, i riflessi di una lettura della Commedia che recano il segno di due illustri mediazioni culturali: il titolo stesso, Après une lecture de Dante riprende quello di una poesia di Victor Hugo della raccolta Les voix intérieures (1837), a sua volta una rilettura dell’Inferno dantesco, mentre il sottotitolo Fantasia quasi sonata è una scoperto richiamo alle due Sonate op. 27 (1800-1801) di Beethoven (ciascuna delle quali è definita Sonata quasi una fantasia). Se il contenuto poetico è senz’altro dato dall’Inferno, l’individuazione degli episodi specifici ha sollecitato molteplici interpretazioni (nessuna delle quali può peraltro considerarsi decisiva ed esclusiva a scapito delle altre). In ogni caso, in una dimensione di virtuosismo spettacolare ed estremo che proietta la tastiera in una dimensione orchestrale-sinfonica che anticipa la Dante- Symphonie (1855-1857), Aprés une lecture de Dante anticipa la Sonata in si minore (1853) per la sovrapposizione di movimento di sonata e ciclo sonatistico che dà seguito alle sperimentazioni di Beethoven e Schubert in questo ambito. L’idea consiste nel convertire quattro movimenti (Allegro, Adagio, Scherzo, Finale) in caratteri espressivi inscritti in un’unica arcata, la cui forma è riconducibile allo schema Esposizione - Sviluppo - Ripresa e i cui temi (rispettivamente battute 35 e 103) derivano da un unico e comune nucleo generativo basato sulla scala cromatica discendente. Tempi Battute Movimento di sonata Ciclo di sonata Andante maestoso Presto, agitato assai 1 35 Introduzione Esposizione Allegro Tempo I (Andante), poi Andante (quasi improvvisato), Andante, Adagio 115 Sviluppo: inizio Adagio Allegro moderato 181 Sviluppo: prosecuzione Scherzo Tempo rubato e molto ritenuto, poi Andante, Allegro, Allegro vivace Presto 273 339 Ripresa Coda Finale L’introduzione [Allegro] funge anche come sezione cornice e di articolazione, ritornando all’inizio di ciascuna delle due arcate in cui può essere suddiviso lo sviluppo (bb. 115 e 181); a connotarla è il tritono (diabolus in musica); d’altro canto, oltre a dare il tono complessivo dell’opera, l’introduzione contiene anche un’anticipazione del primo tema. Nell’esposizione si delineano due temi: il primo in re minore (b. 35), basato sulla scala cromatica discendente e dal profilo ritmico concitato e frammentato; dopo la transizione (b. 77) il secondo in fa diesis maggiore (b. 103), che di fatto è una variante o trasformazione del primo tema (stesso profilo melodico) in senso eroico e magniloquente. Lo sviluppo [Adagio], dal carattere quasi improvvisato come sottolineano alcune indicazioni di Liszt, è articolato in due parti. Quella iniziale ripropone il materiale dell’introduzione (b. 115), del primo tema (ora liricizzato, b.124) quindi anche del secondo tema (anch’esso liricizzato, b. 136), infine compare un’ulteriore variante del primo tema (b. 157), condotta in climax sino al punto culminante costituito da una quasi cadenza (b. 178). La prosecuzione dello sviluppo [Scherzo] offre un ritorno della musica dell’introduzione (b. 181), motivi del primo tema (b. 199) e poi del secondo (b. 250), delineando un climax -anticlimax (punto culminante: b. 235) in ritransizione alla ripresa. La ripresa [Finale] si apre con il primo tema (b. 273), poi prosegue con una trasformazione-trasfigurazione del secondo tema, in re maggiore (b. 290), che poi raggiunge una vera e propria apoteosi (b. 306), prima della coda conclusiva (b. 339). Il secondo volume delle Années de pèlerinage è dunque esemplare per la varietà delle soluzioni compositive con cui Liszt reinterpreta i soggetti artistici e letterari nella scrittura pianistica del pezzo di carattere (Sposalizio, Il penseroso, Canzonetta del Salvator Rosa, Tre Sonetti di Petrarca) e della grande forma (Aprés une lecture du Dante). Lo sposalizio cerca di ricostruire in termini evocativi la complessa esperienza dello spettatore davanti al quadro attraverso la metafora sonora di una dinamica visiva che conduce dallo sfondo al primo piano e infine a uno sguardo d’insieme. Nel Penseroso invece è come se l’ascoltatore-spettatore fosse interamente annichilito di fronte alla fissità impietrita della statua, immagine di una meditazione resa eterna dalla morte. La Canzonetta del Salvator Rosa è un interludio che alleggerisce il tono dei due brani precedenti, proponendo la trascrizione-rivisitazione strumentale di un antico, baldanzoso brano vocale. Nei Tre Sonetti di Petrarca la rielaborazione del modello vocale avviene nel segno di una trasfigurazione e di un’amplificazione che, lungi dall’esaurirsi in una trasposizione strumentale dell’intonazione dei versi come in un Lied ohne Worte, ricorre a tutte le risorse della ricchissima eloquenza, espressione e timbrica pianistica di Liszt nel segno di una nuova «poesia» lirica, sensualissima, appassionata ed elegiaca che mira a rendere la sfaccettata realtà dell’esperienza amorosa oscillando tra l’esaltazione, la desolazione e la contemplazione mistica. Infine Après un lecture du Dante è il tentativo di racchiudere nell’unica arcata di una tesa e sperimentale forma di sonata le vivide, indelebili impressioni suscitate dalla lettura dell’Inferno. SUPPLÉMENT. VENEZIA E NAPOLI La poetica della memoria di Liszt nel Supplemento prende in oggetto non l’arte figurativa, né la letteratura ma piuttosto la musica italiana. Il supplemento è infatti costituito da tre pezzi, due dedicati a Venezia e uno a Napoli, che rielaborano musiche preesistenti. GONDOLIERA, CANZONE DEL CAVALIERE PERUCHINI (LA BIONDINA IN GONDOLETTA) LAZAR BERMAN HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=BWBQ_A83A98 Gondoliera, canzone del Cavaliere Peruchini (La biondina in gondoletta) Attribuita da Liszt a Giovanni Battista Peruchini, in realtà la canzonetta è di Anton Maria Lamberti per il testo, mentre la musica è (forse) di Giovanni Simone Mayr. La biondina in gondoleta è la più celebre canzone da batelo veneziana, un genere concepito per intrattenere i partecipanti a giri in barca ed eseguito generalmente di notte. Composta nel 1786 per Marina Querini Benzon, nota per la sua vivace vita amorosa, la maliziosa canzonetta è stata poi musicata anche da Beethoven (1816). Liszt compose una prima versione nel 1840 (a Venezia nel 1838 era rimasto affascinato dalle canzoni da batelo ascoltate di notte sulla laguna) e poi una seconda nel 1859. Dopo l’introduzione, il pezzo è costituito da una serie di tre variazioni-parafrasi virtuosistiche e da una coda conclusiva. CANZONE (NESSUN MAGGIOR DOLORE, CANZONE DEL GONDOLIERE NELL’«OTELLO» DI ROSSINI) Canzone (Nessun maggior dolore, canzone del Gondoliere nell’«Otello» di Rossini) La Canzone del gondoliere è tratta da Otello (1816) di Gioachino Rossini su libretto di Francesco Maria Berio di Salsa (inizio del III atto, n. 10 Recitativo, Aria, Duetto e Finale). Desdemona, in compagnia di Emilia, sente il canto notturno del Gondoliere (tenore), che le ricorda il suo stato infelice: «Nessun maggior dolore / Che ricordarsi del tempo felice / Nella miseria». LAWRENCE BROWNLEE HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=KIPDWDZZGU8 LAZAR BERMAN HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=LUIWJTIGHDE Il pezzo di Liszt sfrutta il registro più grave e cupo del pianoforte, come se l’originale rossiniano per voce di tenore fosse trascritto per una parte di basso: un mesto lamento in ottave accompagnato da lugubri tremoli. La Canzone, nell’impaginazione del Supplemento, funge di fatto anche da introduzione lenta alla successiva Tarantella. TARANTELLA DA GUILLAUME LOUIS COTTRAU TARANTELLA DA GUILLAUME LOUIS COTTRAU LAZAR BERMAN HTTPS://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=LUIWJTIGHDE Guillaume Louis Cottrau (1797-1847) era un musicista francese che aveva pubblicato alcune canzoni napoletane (alcune di sua propria composizione). La Tarantella ha forma ternaria; la parte centrale contrastante è intitolata Canzona Napolitana. Si tratta dell brano più esteso e ambizioso del trittico del Supplemento: al virtuosismo richiesto dalla scrittura pianistica fa riscontro un autentico virtuosismo compositivo, considerato che tutti i temi utilizzati da Liszt, incluso quello della Canzona Napolitana sono derivati per trasformazione da quello iniziale di Cottrau. PEZZI TARDI Il problema critico del tardo stile di Liszt (dal punto di vista espressivo cupo, meditativo anti-brillante, anti-virtuosistico, sperimentale dal punto di vista del linguaggio) decisamente diverso e perfino contrapposto rispetto all’esuberante stile giovanile, al punto che appare molto difficile porre in relazione l’uno e l’altro. Il tardo stile, che mancò di fatto di un pubblico (molti pezzi rimasero inediti), può considerarsi un’evoluzione dello stile giovanile e maturo di Liszt almeno sotto l’aspetto dello sperimentalismo armonico e formale e della componente autobiografica. Nei pezzi tardi ricerca sui limiti e oltre i limiti della tonalità e prefigurazione del modernismo (accordi per quarte, cromatismo strutturale pervasivo, pan tonalità e bitonalità) in pezzi dal contenuto cupo e dolente («pezzi mortuari»): elegie, marce funebri, musica della memoria e forte componente autobiografica depressiva. Nuovo, estremo diario musicale dopo quelli della gioventù e della maturità, come le Années de pèlerinage: diario intimo, composizione come trascrizione di un flusso di coscienza. Pezzi tardi: dissoluzione della forma e del linguaggio tonale, portata ai limiti estremi. Musica “espressionista” ante litteram? Cromatismo, intervalli eccedenti e diminuiti, triadi eccedenti, accordi per quarte: ruolo pervasivo sino alla negazione o alla sospensione della tonalità (Bagatelle sans tonalité). Ruolo strutturale del silenzio, ripetizione e progressione come tecnica (minimalista) di elaborazione e costruzione, insieme alla variazione continua. E impiego strutturale delle dinamiche, anche per contrasti violenti. UNSTERN! /SINISTRE! /DISASTRO! (1880) Il titolo si può tradurre con “Disastro” ovvero “Cattiva stella”. Come la maggior parte degli ultimi pezzi di Liszt è una pagina scabra e cupa, caratterizzata dall’impiego di armonie dissonanti, di accordi aumentati e dalla scala a toni interi. Il pezzo si può suddividere in tre parti. Prima parte: introduzione con ottave spoglie e tritono discendente (diabolus in musica), che ricorda una specie di recitativo o di canto. Seconda parte: ripercussioni di ottave (mano destra) e motivi costruiti sulla scala per toni interi (mano sinistra), climax condotto attraverso un’intensificazione del cromatismo e della condotta per toni interi sino a un raggiungere, in accelerando, un accordo estremamente dissonante. Terza parte: la tensione irrisolta della parte sembra risolversi in un corale, che invece però non trova risoluzione per il protrarsi del cromatismo sino a una sorta di dissoluzione. Nella prima e nella seconda parte si delinea una sospensione della tonalità, che ritorna ad affermarsi seppure in modo piuttosto vago nella conclusione. Il corale sembra promettere un lieto fine che, tuttavia, la conclusione di prostrazione senza speranza smentisce. Prima parte, introduzione 1-20 ? Seconda parte, climax apocalittica 21-83 ? Conclusione, corale 84-145 SI (ma conclusione sospesa: mi) NUAGES GRIS / TRÜBE WOLKEN (1881) Liszt scrive due bemolli in chiave, ma qual è la tonalità? Accordo finale dall’interpretazione problematica: la – mi bemolle – sol – si. Elementi costitutivi: - triadi aumentate - figure di ostinato e pedali - cromatismo (melodico e armonico) - tritono - scomparsa di ogni struttura cadenzale nel senso dell’armonia funzionale Ripetizioni variate e corrispondenze: presenti ma occultate (rispettivamente bb. 1-8 e 23-32, 9-20 e 33-44). LA LUGUBRE GONDOLA (DIE TRAUERGONDEL) I E II (1882) Lavoro che esiste in diverse versioni: piano, piano e violino (o violoncello), poi ulteriore versione per piano. Esempio, anche negli ultimi anni, di pezzo concepito e ripensato più volte che genera di fatto due pezzi tra loro molto diversi, pur condividendo un materiale comune. La prima versione è più concentrata e radicale; la seconda più teatrale e “retorica” in senso tradizionale. Il pezzo risale al soggiorno di Lizt a Venezia a palazzo Vendramin, con Wagner, nell’inverno 1882-83, poco prima della morte di Wagner («a Venezia, sei settimane prima della morte di Wagner, come per un presentimento»). Sorta di premonizione della morte di Wagner, ispirata dai cortei funebri a Venezia (la gondola, peraltro, simbolo di morte di per sé, per la forma simile a una bara, il colore nero eccetera come si troverà poi in Morte a Venezia di Mann). LA LUGUBRE GONDOLA I Barcarola lugubre e spettrale. Ruolo strutturale dell’intervallo fortemente patetico di sesta minore, presente nella triade eccedente la bemolle – do – mi, e del cromatismo discendente (topos del lamento). Prima parte bb. 1-76: fa? poi si? con trasposizione un tono sotto da b. 39 di bb. 1-38. Seconda parte bb. 77-120: tonalità? Ricapitolazione variata della prima parte. Scompare il ritmo di Barcarola ridotto a ricordo fantasmatico, su tremoli sinistri nel registro grave. LA LUGUBRE GONDOLA II Settima diminuita, cromatismo, sospensione della tonalità. Forma per sezioni giustapposte e trasposizione con varianti di sezioni o frasi come tecnica costruttiva fondamentale. Riferimento alla recitazione e al canto nelle indicazioni espressive. A Andante mesto, non troppo lento a 1-9 a’ 10-18 (variante ½ t sotto rispetto ad a) a’’ 19-34 (variante ½ t rispetto ad a’) B 35-68: cfr. La lugubre gondola I b 35-51 b 52-68 (½ t sotto) C Un poco meno lento 69-108 c 69-88 c 89-108 (1 t sotto) b 109-131 cfr. 35-49, climax a 131-139 cfr. 1 ss. e 23-27 Chiusa 140-168 R. W. – Venezia [Richard Wagner – Venezia] (1883) Pezzo ispirato dalla morte di Wagner a Venezia, il 13 febbraio 1883. Triadi eccedenti, accordi per quarte, cromatismo in questo pezzo che richiama, nella prima parte, La lugubre gondola I con il suo movimento (se non il ritmo) di Barcarola basato sulla triade eccedente (fa – la – do diesis). Prima parte bb. 1-30: tonalità sospesa, modulo di triade eccedente poi via via ampliato negli intervalli in senso cromatico, cromatismo, accordi per quarte. Seconda parte bb. 31-42: da SI bemolle a RE bemolle a MI maggiore, accostamento di tonalità, per una marcia funebre con motivi di fanfara. Apparizione o rimemorazione della tonalità. Gesto wagneriano che ha il sapore di una reminescenza. Grande climax….. Chiusa bb. 43-49: quasi ripresa o meglio epitome della prima parte. Sul punto culminante del climax, accordo eccedente (fa – la – do diesis) cui viene poi aggiunto, nella disposizione orizzontale, melodica anche il si bemolle. APPENDICE ANNÉES DE PÈLERINAGE DEUXIÈME ANNÉE, ITALIE Mainz, Schott, 1858 N Titolo Soggetto o fonte di riferimento 1 Sposalizio Raffaello, Lo sposalizio della vergine 2 Il penseroso Michelangelo, Il penseroso 3 Canzonetta del Salvator Rosa Salvator Rosa (testo)? Giovanni Bononcini (musica)? 4 Sonetto 47 del Petrarca Petrarca, Sonetto 47* [61] 5 Sonetto 104 del Petrarca Petrarca, Sonetto 104* [134] 6 Sonetto123 del Petrarca Petrarca, Sonetto 123* [156] 7 Après une lecture du Dante. Fantasia quasi sonata Dante, Divina commedia; Victor Hugo, Après une lecture de Dante; Beethoven, Sonate op. 27 * La numerazione dei componimenti petrarcheschi non segue l’ordine che essi hanno nel Rerum vulgarium fragmenta ma quello all’interno dei raggruppamenti dei singoli generi metrici (in questo caso, il raggruppamento dei sonetti). SUPPLÉMENT, VENEZIA E NAPOLI Mainz, Schott, 1861 N Titolo Soggetto o fonte di riferimento 1 Gondoliera, canzone del Cavaliere Peruchini (La biondina in gondoletta) Anton Maria Lamberti e Giovanni Simone Mayr, La biondina in gondoleta 2 Canzone (Nessun maggior dolore, canzone del Gondoliere nell’«Otello» di Rossini) Rossini, Otello: Nessun maggior dolore (atto III) 3 Tarantella da Guillaume Louis Cottrau Guillaume Louis Cottrau, Tarantella Sposalizio Tempo Tonalità Battute Sezioni Andante (MI) 1-29 A: introduzione, sfondo. Struttura melodica-armonica-ritmica generativa, motivo di B, effetto campane, scala pentatonica, arcaismo Andante quieto MI 30-37 B: il rito, primo piano. Domanda-risposta Più lento SOL MI 38-77 C: Ave Maria (cfr. Sposalizio-Trauung, 1883), tema processionale e climax Quasi allegretto mosso MI  77-120 C e climax, poi combinazione di elementi da A, B e C … Adagio MI 120-133 Coda: combinazione di elementi da A e C IL PENSEROSO MICHELANGELO RIME 247 Epigramma in risposta a quello scritto in lode della statua della Notte da Giovanni Strozzi. Et l’on y voit passer avec un faible bruit Des grincements de dents blancs dans la sombre nuit. Là sont les visions, les rêves, les chimères; Les yeux que la douleur change en sources amères, L’amour, couple enlacé, triste, et toujours brûlant, Qui dans un tourbillon passe une plaie au flanc; Dans un coin la vengeance et la faim, soeurs impies, Sur un crâne rongé côte à côte accroupies; Puis la pâle misère au sourire appauvri; L’ambition, l’orgueil, de soi-même nourri, Et la luxure immonde, et l’avarice infâme, Tous les manteaux de plomb dont peut se charger l’âme! Plus loin, la lâcheté, la peur, la trahison Offrant des clefs à vendre et goûtant du poison; Et puis, plus bas encore, et tout au fond du gouffre, Le masque grimaçant de la Haine qui souffre!   Oui, c’est bien là la vie, ô poète inspiré, Et son chemin brumeux d’obstacles encombré. Mais, pour que rien n’y manque, en cette route étroite Vous nous montrez toujours debout à votre droite Le génie au front calme, aux yeux pleins de rayons, Le Virgile serein qui dit: Continuons!  6 août 1836 Struttura formale Tempi Battute Movimento di sonata Ciclo di sonata Andante maestoso Presto, agitato assai 1 35 Introduzione Esposizione Allegro Tempo I (Andante), poi Andante (quasi improvvisato), Andante, Adagio 115 Sviluppo: inizio Adagio Allegro moderato 181 Sviluppo: prosecuzione Scherzo Tempo rubato e molto ritenuto, poi Andante, Allegro, Allegro vivace Presto 273 339 Ripresa Coda Finale ANTONIO LAMBERTI E GIOVANNI SIMONE MAYR (?): LA BIONDINA IN GONDOLETA La biondina in gondoleta L’altra sera gh’ho menà: Dal piaser la povareta, La s’ha in bota indormenzà. La dormiva su sto brazzo, Mi ogni tanto la svegiava, Ma la barca che ninava La tornava a indormenzar. G’era in cielo mezza sconta Fra le nuvole la luna, G’era in calma la laguna, G’era il vento bonazzà. Una solo bavesela Sventolava i so’ caveli, E faceva che dai veli Sconto el sen non fusse più. Contemplando fisso fisso Le fatezze del mio ben, Quel viseto cussi slisso, Quela boca e quel bel sen; Me sentiva drento in petto Una smania, un missiamento, Una spezie de contento Che no so come spiegar! So’ sta’ un pezzo respettando, Quel bel sonno ho sopportà, Benché amor di quando in quando, Ei m’avesse assai tentà M’ho provà buttarme zoso La biondina in gondoletta L’altra sera ho accompagnata, Dal piacere, la poveretta S’è di botto addormentata. Lei dormiva su ’sto braccio Ma ogni tanto io la svegliava Ma la barca che cullava La tornava a addormentare. C’era in ciel mezzo scoperta Fra le nuvole la Luna, Era in calma la laguna, Cera il vento a bonazzar. Solo un dolce fil di vento Sventolava i suoi capelli, E faceva che dei veli ’Scosto il sen non fosse più. Contemplando fisso, fisso, Le fattezze del mio bene, Quel visetto così liscio, Quella bocca e quel bel sen. Io sentivo dentro al petto Una smania, un mancamento, Una specie di contento Che non so come spiegar! Per un pezzo rispettando Quel bel sonno ho sopportato, Benché amor di quando in quando. Mi volesse assai tentar A buttarmi giù ho provato Là con ella pian pianino; Ma col foco da vicino Non potevo riposar. M’ho stufà po’ finalmente, De ’sto tanto so’ dormir, E gh’ho fato da insolente, No m’ho avuto da pentir; Perchè, oh Dio, che bele cosse Che gh’ho dito, e che gh’ho fato! No, mai più tanto beato Ai mii zorni no son sta. Là con ella pian pianino; Ma col fuoco lì vicino; Non potevo riposar. Poi stancato finalmente, di ’sto tanto sol dormire, Io le ho fatto da insolente, Non m’ho avuto da pentire. Perché, oh Dio, che belle cose che le ho detto e che le ho fatto! No, mai più tanto beato Ai miei giorni non so star. FRANCESCO MARIA BERIO DI SALSA: CANZONE DEL GONDOLIERE, DA OTELLO (ATTO III) Nessun maggior dolore Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria.
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