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Dispense di diritto processuale civile, seconda parte del programma, Dispense di Diritto Processuale Civile

Ogni lezione del prof. Odorisio relativamente il secondo semestre, processo esecutivo e modalità di esecuzione forzata, procedimenti speciali, processo cautelare e misure cautelari, procedimento in materia di persone, minori e famiglie, arbitrato, mediazione e negoziazione assistita.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 01/06/2024

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Scarica Dispense di diritto processuale civile, seconda parte del programma e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Appunti 19/02/24 Il processo di esecuzione forzata è un processo nel quale le attività che vengono svolte dal giudice sono attività e compiti completamente diversi da quelli del processo di cognizione; il giudice, in questo caso, non deve andare a stabilire la presenza o meno del diritto, infatti l'esecuzione forzata può aver luogo solo se il titolare del diritto ha un titolo esecutivo, o potrebbe esserci il fenomeno dei titoli esecutivi stragiudiziali che si formano al di fuori della tutela giurisdizionale. Il giudice dell'esecuzione, comunque, deve dare avvio all'esecuzione forzata nel momento in cui l'attore presenta il titolo esecutivo. In che modo avviene questa realizzazione concreta? Una prima forma di esecuzione forzata è l'espropriazione forzata, con cui si va ad aggredire il patrimonio del debitore esecutato, e suddetta parte del patrimonio viene sacrificata per la soddisfazione del creditore. Vi è solo un'assonanza semantica con l'espropriazione del diritto amministrativo, in cui il meccanismo è totalmente differente . 1 L'espropriazione forzata di articola in tre forme, vi sono infatti delle regole diverse a seconda del tipo di bene che si andrà ad aggredire; non si tratta di una scelta arbitraria del legislatore: 1. espropriazione forzata mobiliare; 2. espropriazione forzata immobiliare; 3. espropriazione presso terzi, cioè la forma più comune di espropriazione, nel caso di specie la cosiddetta espropriazione dei crediti, quindi nel patrimonio del debitore vi sono beni immobili, mobili, ma anche dei crediti che il debitore vanta nei confronti dei terzi, sostanzialmente la retribuzione. L'espropriazione forzata, comunque, non è l'unica forma di esecuzione forzata, perché l'espropriazione forzata è la forma di esecuzione forzata utilizzata nel caso di diritto al pagamento di una somma di denaro. Quando il diritto che bisogna realizzare ha contenuto diverso, il tipo di esecuzione si chiama esecuzione in forma specifica che comprende 1) l'esecuzione di obblighi di fare o di non fare o 2) l'esecuzione di consegna o rilascio. Entrambe le forme di esecuzione forzata suddette sono normalmente denominate anche come forme di esecuzione forzata dirette o diretta, per quale motivo? Si vuole mettere l'accento sul fatto che si tratta di un'attività che consente al titolare del diritto di avere immediatamente e direttamente la somma di denaro. Questa denominazione viene usata soprattutto per contrapporre queste esecuzione all'esecuzione forzata indiretta o misure coercitive. Espropriazione per pubblica utilità.1 di 1 116 1 1. Dalila Di Virgilio 19 febbraio 2024 alle ore 14:31:12 Legittima Tizio al processo di esecuzione. Le misure coercitive nascono dalla considerazione che nel monto dei rapporti sostanziali esistono alcuni obblighi, doveri imposti ad una parte per contratto o per legge che hanno la caratteristica della cosiddetta infungibilità. Ai sensi dell'art. 24 C. il titolare del diritto nel processo deve poter ottenere tutto ciò che è contemplato nel suo diritto, per cui in presenza di obblighi infungibili avremo una lacuna se l'ordinamento si accontentasse di un mero risarcimento danni, ed è da ciò che nascono le misure coercitive con cui è possibile chiedere al giudice di minacciare l'obbligato. Le misure coercitive più famose sono di origine francese, cioè les astreintes, che comprendono delle condanne pecuniarie destinate ad aumentare nel tempo. Questa sanzione civile, comunque, non ha nulla a che vedere col risarcimento danni, infatti la somma che deriva da questa tipologia di sanzione viene spesso messa in un fondo pubblico. La sanzione può essere anche di tipo penale. Nel nostro sistema questo tipo di misure sono contenute in ordinamenti speciali, les astreintes sono contenute nel regolamento marchi e brevetti, ad esempio. La misura coercitiva generale è di recente introduzione, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c.; nell'art. non si fa riferimento ai soli obblighi infungibili, ma anche ad obblighi fungibili. Quando ci si può rivolgere agli organi dell'esecuzione forzata per ottenere la realizzazione dei diritti? Ciò che legittima ad avviare un processo di esecuzione forzata è il possesso del titolo esecutivo. Cos'è un titolo esecutivo? È un documento cui il legislatore attribuisce la qualifica di titolo esecutivo, come le sentenze di condanna di primo grado, divenute titolo esecutivo dal 1990. L'art. 474 c.p.c. precisa che il possesso di un titolo esecutivo è una condizione necessaria per poter avviare un'esecuzione forzata è necessario il titolo esecutivo, ma non sufficiente. Il titolo esecutivo deve derivare da un diritto certo, liquido ed esigibile. Occorre analizzare l'art. nel dettaglio: 1. la certezza serve soprattutto quando bisogna cominciare un'esecuzione in forma specifica, per cui nel titolo esecutivo viene indicato esaurientemente qual è il bene; 2. la liquidità è un requisito tipico dell'espropriazione forzata; 3. l'esigibilità richiede che il diritto dichiarato nel titolo esecutivo sia un diritto non sottoposto a termine o condizione. In alcuni casi abbiamo un'efficacia ex lege, ai sensi dell'art. 478 c.p.c. Quali sono i titoli esecutivi? Ad esempio le sentenze di condanna, i provvedimenti e gli altri atti cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva. I titoli esecutivi si distinguono in giudiziali e stragiudiziali. di 2 116 2 3 4 2. Dalila Di Virgilio 19 febbraio 2024 alle ore 14:49:55 L'obbligo deve essere adempiuto, necessariamente, dal soggetto obbligato; es. la consegna di un libro presso l'editore. 3. Dalila Di Virgilio 19 febbraio 2024 alle ore 14:56:18 E cioè adottare un provvedimento che induca l'obbligato a compiere l'attività che soltanto lui può compiere, pena una sanzione civile o penale talmente grave da costringerlo ad adempiere, motivo per cui si chiamano "misure coercitive". 4. Dalila Di Virgilio 19 febbraio 2024 alle ore 15:25:55 S'intende atti che si formano durante il processo ma che non sono sentenze o provvedimenti, come i verbali di conciliazione. Prima del 2005 essi non erano qualificabili a titoli esecutivi. In alcuni casi è possibile che manchi legittimamente, e non illegittimamente per cui si agisce con opposizione, la corrispondenza tra i soggetti coinvolti (es. Tizio deve pagare mille euro a Caio, ma l'esecuzione forzata viene avviata da Sempronio). In relazione alle ipotesi di mancata corrispondenza legittima parliamo, quindi, di esecuzione ultra partes, per cui un'esecuzione promossa da soggetti terzi non individuati direttamente nel titolo di esecuzione. Ma quando questa cosa si verifica legittimamente? La prima ipotesi è individuata nell'art. 475 c.p.c., per cui le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell'autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, ai sensi dell'articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o per i suoi successori, devono essere rilasciati in copia attestata conforme all'originale, salvo che la legge disponga altrimenti. Per cui se ho una sentenza di condanna con la quale Caio viene condannato a pagare cento euro a Tizio, e Tizio è titolare di diritto di credito, l'esecuzione forzata viene avviata da Tizio, o dai suoi eredi, o da coloro cui Tizio abbia ceduto tale diritto e ciò avviene senza un previo accertamento giurisdizionale. Se ciò, ovviamente, non è vero ci sarà opposizione. Nonostante la norma sia scritta non per tutti i titoli esecutivi, mancano ad es. le scritture private autenticate o i titoli di crediti, si richiede che comunque la norma sia espressione di un principio generale. Dal lato opposto, ai sensi dell'art. 477 c.p.c., vale la medesima cosa, infatti al comma 1, il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi, ma si può loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo. La norma non vale soltanto per la successione a titolo universale, ma anche particolare e mortis causa visto il principio generale che la suddetta vuole menzionare. Dopo aver studiato il titolo del precetto veniamo alle singole forme di esecuzione forzata, come l'espropriazione che serve per realizzare i diritti di credito. L'art. 479 c.p.c. enuncia un principio importante, per cui al comma 1 ci dice che se la legge non dispone altrimenti, l'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in copia attestata conforme all'originale e del precetto . 2 La richiesta di queste attività formali ha il senso di voler richiamare l'attenzione del debitore sulla libertà di iniziativa. Il debitore che riceve questo tipo di atto viene adeguatamente avvertito sulle conseguenze in cui incorrerà qualora decidesse di continuare a non adempiere a ciò che risulta dal titolo esecutivo. Ma qual è il contenuto del precetto? Si tratta di un'intimazione ad adempiere, quando risultante dal titolo esecutivo con l'avvertimento che nel 2 caso in cui questo pagamento non avvenga si comincerà con esecuzione forzata, e bisogna essere invitati al pagamento entro un termine non inferiore a dieci giorni. di 5 116 Esso, prima di tutto, deve contenere a pena di nullità l'indicazione delle parti; non è una prescrizione banale perché da qui si evince la discordanza del titolo esecutivo. Il precetto deve, poi, indicare l'oggetto dicendo qual è l'importo se si tratta di espropriazione forzata, e non è detto che coincida con l'importo del titolo esecutivo (es. il debitore su cinquemila euro ha già pagato tremila euro, dal precetto risulteranno duemila euro mancanti). Chiaramente il precetto contiene anche eventuali altri calcoli da applicarsi alla somma, ad esempio gli interessi sorti. Importante è il tipo di esecuzione, perché se si tratta di espropriazione forzata nel precetto non bisogna indicare i beni da voler aggredire. Il precetto viene chiamato atto neutro. Se l'esecuzione forzata è, invece, per consegna o rilascio, il bene deve essere adeguatamente indicato, ai sensi dell'art. 605 c.p.c., per cui al comma 1 il precetto per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili deve contenere, oltre le indicazioni di cui all'articolo 480, anche la descrizione sommaria dei beni stessi. Rileva, poi, l'art. 480 c.p.c., comma 2, il precetto deve contenere a pena di nullità l'indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è fatta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge. In quest'ultimo caso l'ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale. Il precetto deve altresì contenere l'avvertimento che il debitore può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore. Poi il comma 3, per cui il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. La norma è legata all'opposizione al precetto che sarebbe l'opposizione all'esecuzione che viene promossa prima che l'esecuzione sia iniziata. Le regole sull'opposizione al precetto ci dicono che il giudice territorialmente competente per l'opposizione al precetto è il giudice del luogo dove vi è l'esecuzione. Per questo motivo il legislatore afferma il suddetto principio. La dichiarazione di residenza o domicilio non rende nullo il precetto se manca, tuttavia l'opposizione al precetto di fa dinanzi al giudice del luogo in cui esso è stato notificato. L'art. 480 c.p.c., comma 4, ci dice che il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'articolo 125 e notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti. Il precetto, ai sensi del comma 4, non essendo un atto del processo esecutivo, non esige la sottoscrizione dell'avvocato perché egli è responsabile di sottoscrizione per gli atti del processo ed il precetto non lo è, è un atto preliminare. di 6 116 Ci sono casi in cui il titolo esecutivo ed il precetto devono essere trascritti contemporaneamente o non, in maniera obbligatoria. Abbiamo, ad esempio, notifica disgiunta ai sensi dell'art. 477 c.p.c. in cui serve notificare il precetto agli eredi. Ci sono altri casi ancora in cui, invece, non rileva se la notifica dei due atti sia disgiunta o congiunta. Il precetto ha un termine di efficacia, infatti ai sensi dell'art. 481 c.p.c., comma 1, il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l'esecuzione. Un problema abbastanza grave è stabilire quando si può dire che l'esecuzione forzata è iniziata. L'esecuzione forzata è un'attività che si compone di molti atti. Nel caso di espropriazione forzata l'art. 491 c.p.c. parla molto chiaramente spiegando che l'espropriazione forzata comincia col pignoramento, ma quando si può dire che è stato fatto il pignoramento e parlare di inizio dell'esecuzione? Appunti 22/02/24 Gli artt. che vanno dal 474 c.p.c. al 482 c.p.c. sono norme relativamente l'esecuzione forzata sia essa l'espropriazione, sia essa in forma specifica. Veniamo ora a discutere della prima forma di esecuzione forzata, nel caso di specie la disciplina della cosiddetta espropriazione forzata, il cui fondamento è il diritto al pagamento di una somma in denaro, visto che le norme relative all'espropriazione forzata hanno come scopo ultimo, appunto, la realizzazione di un diritto di credito. Ciò che possiamo affermare è che da un punto di vista della frequenza dell'utilizzo delle norme di esecuzione, l'espropriazione forzata è quella maggiormente utilizzata, tra l'altro le norme del c.p.c. che si occupano dell'espropriazione forzata sono molte di più (artt. 483 c.p.c. fino all'art. 601 c.p.c.), rispetto, invece, all'esecuzione in forma specifica (artt. 615 c.p.c. fino al 614 c.p.c.). Questa disparità numerica tra le norme che disciplinano l'una e l'altra esecuzione forzata è data dalla complessità della prima, e quindi dell'espropriazione forzata. Vero è anche che il legislatore ha comunque pensato in via privilegiata all'espropriazione forzata. Possiamo dire che l'espropriazione forzata si articola in tre momenti fondamentali, di cui 1) individuazione del bene, occorre innanzitutto stabilire, capire, individuare, qual è il bene che fa parte del patrimonio del debitore, che il creditore vuole andare a sacrificare per soddisfare il proprio diritto di credito, e quest'attività viene svolta proprio attraverso l'attività di pignoramento. Attraverso l'individuazione del bene la generica garanzia patrimoniale del debitore diviene specifica, concretizzandosi in un singolo bene devoluto al creditore. In questa prima fase, comunque, si verificano anche degli effetti particolari; dopo aver appreso il bene mobile, prima che l'organo esecutivo riesca effettivamente a venderlo è necessario del tempo, neanche poco, quindi di 7 116 legge richiede la trascrizione, se sono trascritti successivamente al pignoramento”; cosa sono le domande? Il termine è utilizzato in modo tecnico. Ci si occupa di risolvere il conflitto tra espropriazione (aggiudicatario) e i terzi che dovessero risultare vittoriosi all’esito di un giudizio promosso nei confronti del debitore esecutato, avente ad oggetto il medesimo bene. Vi è, quindi, un confronto tra pignoramento e atto di disposizione e pignoramento e domanda giudiziale. L’art. 2916 c.c. si occupa di ipoteche e privilegi, esso recita che nella distribuzione della somma ricavata dall’esecuzione non si tiene conto: 1) delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento; 2) dei privilegi per la cui efficacia è necessaria l’iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento; 3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento. Poi all’art. 2917 c.c., rubricato “Estinzione del credito pignorato” leggiamo che se oggetto del pignoramento è un credito, l’estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione. Veniamo, ora, alle forme del pignoramento; come materialmente si fa il pignoramento? Quando si ha un titolo esecutivo ed un debitore bisogna cercare il prima possibile di prendergli qualcosa con il pignoramento poichè una volta pignorato il bene non si corrono rischi. A tal proposito ci sono delle norme generali dall’art. 491 c.p.c. e seguenti; innanzitutto il pignoramento è un atto complesso, e l’art. 492 c.p.c. afferma al comma 1, che salvo le forme particolari previste nei capi seguenti, il pignoramento consiste sempre in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi. Quindi il pignoramento è un atto di ingiunzione fatto al debitore di non disporre dei beni oggetto del pignoramento, aggiungendovi gli specifici atti previsti per le diverse forme di pignoramento. Al comma 2 leggiamo che nell’atto di pignoramento occorre rivolgere al debitore un invito. Il pignoramento è un atto svolto dall’ufficiale giudiziario. L’invito consiste nell’ effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione con l’avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette saranno effettuare presso la cancelleria dello stesso giudice. La ratio è quella di favorire lo svolgimento. Al comma 3, l’atto di pignoramento deve contenere anche l’avvertimento che il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro. Qualora venisse pignorato un bene cui ci è affezionati si può dire agli organi esecutivi di restituire il bene, e di 10 116 8 8. Dalila Di Virgilio 28 febbraio 2024 alle ore 11:30:38 Richiesta al giudice della tutela del diritto. proseguire il pignoramento su una somma di denaro. In realtà ciò è positivo ai fini della procedura, essendo il denaro già liquido e non avendo bisogno di essere convertito. Al comma 4 leggiamo, poi, che quando per la soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista per l’omesso o falsa dichiarazione. Qual è la ratio? Chiaramente ovviare alle difficoltà della ricerca dei beni; in ogni espropriazione l’ufficiale giudiziario può accorgersi della insufficienza dei beni temporanei solo all’esito del pignoramento, e non prima. L’ufficiale giudiziario può chiedere direttamente al debitore di dire lui se dispone di altri beni e dove si trovano i suddetti. A questa norma è collegata una sanzione penale, infatti ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 8, leggiamo che la pena di cui al comma 7 (reclusione fino ad un anno o multa fino a 516 euro) si applica al debitore o all’amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitati dall’ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di 15 giorni o effettua una falsa dichiarazione”. Estensione automatica del pignoramento sui beni indicati dal debitore. Abbiamo poi, sempre ai sensi dell’art. 492 c.p.c., il comma 5 se sono indicate cose mobili queste, dal momento della dichiarazione sono considerate pignorabili anche agli effetti dell’art. 388 c.p., comma 3 (reclusione fino a un anno e multa fino a 309 euro) sia agli effetti civili che penali. Se sono indicati crediti o cose mobili che sono in possesso di terzi il pignoramento si considera perfezionato nei confronti del debitore esecutato dal momento della dichiarazione. Se sono indicati beni immobili non c’è una disciplina speciale, si applicano le normali regole della trascrizione. Il comma 6 precisa che se a seguito di intervento di altri creditori, il compendio pignorato sia divenuto insufficiente, il creditore procedente può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere ai sensi dei precedenti commi ai fini dell’esercizio delle facoltà di cui all’articolo 499, comma 4. 3 La dichiarazione del debitore in questo caso non ha l’effetto di estendere automaticamente gli effetti del pignoramento ai beni che sono stati indicati. Il meccanismo è semplice: una volta fatto il pignoramento, se altri creditori intervengono il primo creditore indica altri beni che i medesimi possono andare ad aggredire se in possesso di un titolo esecutivo idoneo; se non lo hanno è il primo creditore ad aggredirli, tuttavia gli altri creditori gli devono anticipare le spese. L’invito al debitore ha solo la finalità di soddisfazione di altri creditori. Al comma 7 leggiamo che se il debitore è un imprenditore commerciale l’ufficiale giudiziario invita il debitore a indicare il luogo ove sono tenute le scritture contabili e nomina un commercialista o un avvocato per il loro esame al fine dell’individuazione di cose e crediti pignorabili. Di conseguenza indicare altri beni.3 di 11 116 9 9. Dalila Di Virgilio 28 febbraio 2024 alle ore 11:59:38 Anche su sollecitazione del creditore. L’art. 492 bis c.p.c. è rubricato “Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare; si tratta di una grande evoluzione del sistema. Concerne principalmente l’anagrafe tributaria, l’INPS. Per fare un accesso telematico occorrono dei sistemi informatici integrati. Laddove non sia possibile, per l’ufficiale giudiziario, compiere questa ricerca potrà provvedere direttamente il creditore facendo richiesta di accesso alla banca dati. Abbiamo poi l’art. 493 c.p.c. “Pignoramento su istanza di più creditori”, al comma 1, più creditori possono con unico pignoramento colpire il medesimo bene. Fondamentalmente si possono dividere le spese del pignoramento, tuttavia questa attività presta dei rischi, per cui il pignoramento può cadere per tutti. Questo articolo prevede inoltre, al comma 2, la possibilità di un pignoramento successivo, cioè uno o più creditori possono decidere di compiere un nuovo pignoramento sul medesimo bene. L’art. 494 c.p.c prevede un istituto chiamato “Pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario”, al comma 1 il debitore può evitare il pignoramento versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l’importo delle spese, con l’incarico di consegnarli al creditore. Al comma 2, all’atto del versamento si può fare riserva di ripetere la somma versata. Il comma 3 prevede che si possa evitare il pignoramento di cose, depositando nelle mani dell’ufficiale giudiziario, in luogo di esse, come oggetto di pignoramento, una somma di denaro uguale all’importo del credito o dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentato di due decimi. Si verifica il pignoramento di una somma di denaro, non più di un bene, potremmo quindi parlare di una conversione anticipata. L’art. 495 c.p.c. disciplina le modalità della conversione del pignoramento. Appunti 27/02/24 Andiamo ad osservare gli articoli nello specifico, primo l’art. 496 c.p.c. rubricato “Riduzione del pignoramento”, al comma 1 leggiamo che su su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo delle spese e dei crediti di cui all’articolo precedente, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento. Ai sensi dell’art. 497 c.p.c. leggiamo la sua rubrica “Cessazione dell’efficacia del pignoramento” e di seguito che il pignoramenti perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi quarantacinque giorni senza che sia stata richiesta l’assegnazione o la vendita. Osserviamo le varie forme del pignoramento. Ai sensi dell’art. 513 c.p.c. abbiamo la ricerca delle cose da pignorare; come fa l'ufficiale giudiziario ad individuare i beni mobili da aggredire? L'ufficiale giudiziario può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. In ogni caso parlare di di 12 116 L'espropriazione verso terzi è anche espropriazione di cose del debitore che sono in possesso di terzi; vi sono casi in cui il bene è del debitore, quindi si può aggredire, ma questo bene è nella disponibilità di un terzo, per cui bisogna informare anche il terzo con l'espropriazione verso terzi. Successivamente il bene potrà essere venduto. Questo pignoramento è la forma più particolare, perché si verifica qualcosa che non si verifica nelle altre forme di pignoramento mobiliare e immobiliare, in questi casi quando si va ad aggredire il bene non c'è nessuna certezza sul fatto che quel bene sia un bene del debitore. Mentre nella espropriazione verso terzi il pignoramento si perfeziona solo dopo che si sia acquisita certezza della presenza del credito e del bene in capo al debitore. Ma come avviene? L'ufficiale giudiziario deve notificare al debitore ed al terzo un atto che deve contenere le somme dovute, l'indicazione del credito, la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente dell'esecuzione con l'invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 c.p.c., entro dieci giorni a mezzo di raccomandata, ovvero a mezzo di posta elettronica certificata. All’art. 547 c.p.c. abbiamo la dichiarazione del terzo per cui se il terzo non manda la raccomandata, allora si chiederà di fare la dichiarazione direttamente all’udienza. Se egli non si presenta si avrà una non contestazione. Molto spesso il terzo è una banca , per cui era complesso per gli istituti di credito incaricare, ogni volta, una persona di presiedere alle udienze. Veniva inviato un testo al debitore volto a rappresentarlo in udienza. All’art. 548 c.p.c. leggiamo della mancata dichiarazione del terzo. È possibile che sulla dichiarazione sorgano delle contestazioni. Si può andare avanti solo una volta che sono si è sicuri che, effettivamente, il terzo deve quella somma o ha il possesso di un certo bene; se egli fa una dichiarazione ma si pensa che la stessa non sia veritiera allora il giudice deve decidere di conseguenza. Solo ai fini della procedura vale l’accertamento. All’art. 549 c.p.c. leggiamo la contestata dichiarazione del terzo. Si tratta di un processo sommario, non di esecuzione vero e proprio, un accertamento di grado inferiore che non può acquistare l'autorità del giudicato una volta e per sempre. Il legislatore è arrivato ad un compromesso poichè originariamente era un vero e proprio processo di cognizione. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione. In molti casi il legislatore cerca di dare, ed al contempo ha, necessità di giudizi più rapidi. Bisogna tener presente che se c’è un processo sommario non si ha la stabilità del giudicato, e infatti si deve sempre avere la possibilità di avere un processo a cognizione piena. Comunque non si può andare contro il principio costituzionale di avere un processo a cognizione piena, quindi si deve sempre avere la possibilità di contestare. Appunti 29/02/24 Per quanto riguarda i crediti è importante analizzare integralmente l'art. 545 c.p.c., rubricato "Crediti pignorabili"; 1) Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di di 15 116 alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto; 2) non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza; 3) le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato; 4) tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito; 5) il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle somme predette; 6) restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge; 7) le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge; 8) le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge; 9) il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio. Altra analisi importante è quella relativa il pignoramento degli immobili, in cui non vi sono preoccupazioni relative alla custodia che ritroviamo per quanto concerne i beni mobili, invece. L'art. idoneo a disciplinare quanto detto è l'art. 559 c.p.c. "Custodia dei beni pignorati"; 1) col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, compresi le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso; 2) salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita, il giudice dell'esecuzione, con provvedimento non impugnabile emesso entro quindici giorni dal deposito della documentazione di cui all'articolo 567, secondo comma, contestualmente alla nomina dell'esperto di cui all'articolo 569, nomina custode giudiziario dei beni pignorati una persona inserita nell'elenco di cui all'articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice o di 16 116 l'istituto di cui al primo comma dell'articolo 534 ; 3) il custode nominato ai sensi del secondo 4 comma collabora con l'esperto nominato ai sensi dell'articolo 569 al controllo della completezza della documentazione di cui all'articolo 567, secondo comma, redigendo apposita relazione informativa nel termine fissato dal giudice dell'esecuzione; 4) il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti. Discipliniamo, ora, l'istituto dell'intervento dei creditori. Per parlare di questo istituto è bene riprendere il principio della par condicio creditorum. I creditori chirografari sono i creditori che non hanno diritto di prelazione. Secondo il principio della par condicio creditorum nessuno dei creditori può essere pagato in somma maggiore rispetto ad un altro creditore. Vediamo, ora, la possibilità in cui ci siano creditori che vantano dei titoli di prelazione. Quali sono i vari titoli di prelazione? Osserviamo alcuni concetti essenziali relativamente i titoli di prelazione, ai sensi dell'art, 2745 c.c., infatti, abbiamo il "Fondamento del privilegio"; il privilegio è il primo titolo di prelazione. Secondo suddetto articolo il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere subordinata alla convenzione delle parti; può anche essere subordinata a particolari forme di pubblicità. I privilegi possono essere di vario tipo, ai sensi dell'art. 2746 c.c. rubricato "Distinzione dei privilegi", per cui abbiamo privilegi cosiddetti generali o speciali.; il privilegio generale si esercita su tutti i beni mobili del debitore, il secondo su tutti i beni mobili o immobili. Cosa vuol dire, invece, privilegio speciale? Significa che il creditore ha diritto di essere pagato per primo, rispetto agli altri creditori, solo relativamente la vendita che si ricava dallo specifico bene mobile o immobile. Il senso del privilegio sta, ovviamente, in una scelta legislativa. Per quanto concerne l'art, 2747 c.c., rubricato "Efficacia del privilegio". L'articolo ci spiega che il privilegio generale non può esercitarsi in giudizio dei diritti spettanti ai terzi sui mobili che ne formano oggetto, salvo diverse disposizioni del codice civile, mentre al comma 2 leggiamo che se la legge non dispone diversamente, il privilegio speciale sui mobili, sempre che sussista la particolare situazione alla quale è subordinato, può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere di esso. L'ultima forma di prelazione è l'ipoteca, e anche sull'ipoteca vi è diritto di sequela. All'art. 2808 c.c., "Costituzione ed effetti dell'ipoteca", al comma 1 l'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo Da anni, specie con la riforma Cartabia, la delega di vendita di beni immobiliari si è particolarmente 4 diffusa. Si riteneva che questa attività abbia ben poco di giurisdizionale, per cui l'attività viene delegata, dal giudice stesso, a degli esperti iscritti in appositi registri come notai o avvocati. Suddetta attività è poi, naturalmente, sottoposta ad un controllo da parte del giudice. di 17 116 11 12 11. Dalila Di Virgilio 29 febbraio 2024 alle ore 11:08:34 Il principio per cui i creditori hanno il medesimo diritto di credito sul debitore, salvo cause di prelazione sul credito 12. Dalila Di Virgilio 29 febbraio 2024 alle ore 11:17:42 Il credito ha diritto di essere pagato prima degli altri rispetto a qualunque bene che fa parte del patrimonio del creditore. tener presente che il legislatore si riferisce sempre o al creditore pignorante, o al creditore intervenuto e munito di un titolo esecutivo. Per cui per quanto concerne l’espropriazione verso terzi non vi è una specifica norma poichè si rinvia alla disciplina generale che è, appunto, quella sull’espropriazione mobiliare. La distinzione è importante, alle volte il legislatore lo dice espressamente, altre volte non lo fa, per cui la denominazione di “creditore” è generica. Anche in questo caso abbiamo la possibilità che il processo si estingua per rinuncia agli atti. All’art. 626 c.p.c. leggiamo che il processo si estingue se il creditore pignorante o procedente e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo rinunciano agli atti; devono, quindi, essere tutti d’accordo o la rinuncia non può procedere. Un caso complesso è quello in cui le parti non si presentino in udienza, per cui il giudice fissa una nuova data d’udienza. Se anche questa seconda volta le parti non si presentano, il processo è estinto; chiaramente l’interesse alle parti affinché si presentino sono quelle munite di titolo esecutivo. In passato per poter intervenire era richiesto che il creditore fosse titolare, o si affermasse di essere titolare, di un diritto certo, liquido, o esigibile, comunque non è più un requisito richiesto dalle norme attualmente in vigore. Resta inteso che se si vuole intervenire o promuovere i singoli atti del diritto esecutivo il diritto che si sostanzia sul credito deve essere, chiaramente, certo, liquido ed esigibile; in caso contrario si potrà intervenire, ma non promuovere il processo. Il pignoramento, la vendita dell’esecuzione forzata e l’intervento dei creditori sono, comunque, argomenti fondamentali della materia. Vi è un termine ultimo per intervenire, termine oltre il quale non si può più intervenire, e cioè quando vi è la distribuzione del ricavato. Ancor più rilevante è il termine che serve a distinguere i creditori intervenuti tempestivamente dai creditori intervenuti tardivamente; questo termine fissato dal legislatore non comporta l’impossibilità di non intervenire, tuttavia vi sono delle conseguenze. Le norme a riguardo sono abbastanza confuse, tuttavia si può individuare una norma generale che ci spiega che il ricorso deve essere depositato prima che sia ottenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, tuttavia vi sono norme speciali sulle singole forme di espropriazione in cui è stabilita un’altra cosa, e cioè che l’intervento deve aver luogo non oltre la prima udienza fissata per la vendita o l’assegnazione. Ma che differenza c’è tra le due formule osservate? La disciplina generale e quella speciale? Nella normativa speciale è stabilito che l’intervento può essere fatto anche quando l’udienza non è terminata. Possiamo dire che la prassi nell’interpretazione della giurisprudenza s’intende in combinato disposto con le norme, e stabilisce che l’intervento è ammissibile fin quando l’udienza non è conclusa, ma soprattutto, nonostante sia gli artt. 525 c.p.c. e 565 c.p.c. recitino “nonostante la prima udienza”. Quel che serve capire, comunque, è cosa accade se si interviene tardivamente, qual è la conseguenza? A tal proposito conviene osservare l’art. 528 c.p.c. che vale sia per l’espropriazione mobiliare che verso terzi in virtù del rinvio osservato all’art. 551 c.p.c., e ci spiega che i creditori di 20 116 chirografari, e quindi privi di un diritto di prelazione, che intervengono successivamente i termini di cui all’art. 525, ma prima del provvedimento di distribuzione, concorrono alla distribuzione della parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante, dei creditori privilegiati e di quelli intervenuti in precedenza. Si determina, quindi, a causa dell’intervento tardivo, quella che viene chiamata “postergazione processuale”. Per cui se un creditore chirografario, in una normale situazione, dovrebbe spartire il ricavato con gli altri creditori chirografari in base al principio della par conditio creditorum, con l’intervento tardivo egli verrà pagato successivamente. La medesima cosa si verifica per la espropriazione immobiliare. Conviene uno studio trasversale in merito a questa materia. L’art. 528 c.p.c. l’art. 565 c.p.c. parlano, tuttavia, solamente dei creditori chirografari. Questo cosa determina? Che il creditore privilegiato, comunque dotato di diritto di prelazione, può intervenire anche tardivamente mantenendo il sopracitato di prelazione. Quindi relativamente i creditori abbiamo osservato i creditori che possono intervenire e coloro che non possono, e secondariamente i creditori che hanno il titolo esecutivo e coloro che non lo hanno, e poi ulteriore classificazione tra i creditori che intervengono tardivamente e non. Queste classificazioni sono utili nel riassumere la disciplina dal punto di vista dei poteri e delle facoltà dell’intervento dei creditori. Sempre all’art. 499 c.p.c., norma essenziale del processo esecutivo, relativo a chi sono i creditori che possono intervenire e la disciplina in concreto, stabilisce un’altra regola già osservata in precedenza ma non approfondita. Al comma 4 leggiamo che ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di 30 giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Osserviamo, ora, come si fa un intervento, e cioè cosa deve fare il creditore che voglia intervenire nel processo esecutivo. Bisogna fare un ricorso che deve essere depositato, deve contenere l’indicazione del credito, del titolo a fondamento del credito stesso, la domanda di partecipazione di distribuzione alla somma ricavata. Importante è, al comma 3 dell’art. 499 c.p.c., che il creditore privo di titolo esecutivo che interviene nell’esecuzione deve notificare al debitore copia del ricorso, nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito se l’intervento nell’esecuzione ha luogo in forza di essa, il tutto entro i 10 giorni successivi al deposito. di 21 116 14 14. Dalila Di Virgilio 26 aprile 2024 alle ore 13:10:34 Abbiamo una nuova ipotesi di relazione processuale. Al comma 5 vi è un’altra importante informazione. Vi deve essere un’udienza nella quale sono invitati a comparire il creditore, che è intervenuto senza il titolo esecutivo (o i creditori), ed il debitore. L’udienza di comparizione in questione viene fissata dal giudice con ordinanza. Cosa accade a questa udienza? Leggiamo al comma 6 che all’udienza di comparizione il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali abbiano avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest’ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. (E’ come se dal riconoscimento si verificasse una sorta di titolo esecutivo endoprocessuale). Ma cosa accade se vi è un disconoscimento? C’è l’accantonamento, e cioè il giudice, quando fa il progetto di distribuzione, calcola e mette nel progetto anche il creditore il cui credito sia stato disconosciuto. Il creditore avrà diritto all’accantonamento solamente dimostrando al giudice, entro 30 giorni dalla stessa udienza, di aver avviato un processo volto ad ottenere il titolo esecutivo necessario a “riscuotere” la somma precedentemente accantonata. In caso di esito negativo, comunque, la somma viene distribuita tra gli altri creditori. Infatti all’art. 510 c.p.c. leggiamo il riferimento proprio all’accantonamento, sia al comma 2 che al comma 3 per cui l’accantonamento è disposto per il periodo di tempo necessario, e comunque non superiore a tre anni. Quando l’art. 499 c.p.c. prevede la fattispecie del creditore che interviene per il proprio credito, presuppone chiaramente che il creditore sia effettivamente munito del titolo esecutivo per intervenire (o, comunque, di cui al comma 1), ed è importante sottolineare questo passaggio. Andiamo adesso ad occuparci della seconda fase del processo esecutivo, ricordando che questo si articola in tre fasi di cui 1) è la fase per l’individuazione e conservazione del bene, e l’istituto fondamentale è quello del pignoramento assieme a quello dell’intervento, 2) la fase volta a trasformare il bene pignorato in denaro, 3) la distribuzione del ricavato dalla vendita o assegnazione forzata del bene sottoposto al pignoramento. Ora osserviamo la seconda fase, studiando gli istituti della vendita forzata e della assegnazione forzata. Vi sono dei casi in cui questa seconda fase manca, e cioè quali? Sicuramente quando la liquidità del denaro è già disponibile, e ciò avviene quando il pignoramento colpisce direttamente il denaro, per cui l’ufficiale giudiziario può aggredire direttamente il denaro di cui il debitore dispone esplicitamente. L’altra ipotesi è quella prevista all’art. 494 c.p.c., comma 3, per cui l’ufficiale giudiziario, come oggetto di pignoramento, si vede depositare una somma di denaro uguale all’importo del credito o dei crediti per cui si procede. All’art. 495 c.p.c. abbiamo l’ipotesi della conversione per cui si avrà direttamente la somma di denaro con la conversione, appunto, del bene oggetto del pignoramento. Come avviene il raccordo tra le fasi? Vi è l’istanza di vendita o di assegnazione forzata già esaminate, non proponibili se non decorsi 10 giorni dal pignoramento. Si tratta di un termine “dilatorio”, ai sensi dell’art. 501 c.p.c. Vi è anche un termine finale per cui il di 22 116 15 15. Dalila Di Virgilio 27 aprile 2024 alle ore 12:06:42 Non prima (i questo caso, di 10 giorni). e cioè soddisfare il creditore, per cui la vendita forzata secondo il legislatore è preferibile perché con l’assegnazione si darà al creditore il bene, non la liquidità dello stesso, e sempre per questo motivo quando vi è il pignoramento di alcuni crediti si procede direttamente con l’assegnazione forzata, perché appunto si darà immediatamente la somma di denaro. L’altro motivo è che l’esperienza ci spiega che il creditore che chiede l’assegnazione, a volte, e come abbiamo già esaminato, rischia di avvantaggiarsi. Tanto questo è vero, che, in quali casi abbiamo assegnazione come prima ipotesi (oltre quella dei crediti)? La libertà di scelta c’è quando c’è un valore oggettivo del bene, come suddetto il valore risulta dal listino di borsa o di mercato, per cui non c’è il timore che, a causa di una stima errata ed inferiore del bene, il creditore possa avvantaggiarsi. Appunti 05/03/24 Un'altro tema caro all'esecuzione forzata concerne il valore minimo dell'assegnazione forzata, ai sensi dell'articolo 506 c.p.c. In caso di assegnazione forzata serve stabilire il valore per il quale uno specifico bene viene assegnato al creditore. L'art. sopracitato stabilisce una regola importante, seppur importante, dicendoci che l'assegnazione può essere fatta soltanto per un valore non inferiore alle spese di esecuzione ed ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente; se il valore eccede quello indicato, sull'eccedenza concorrono l'offerente e gli altri creditori. Quindi cosa ci sta dicendo la norma? La ratio sta nel fatto che l'assegnazione non viene fatta secondo quello che è il valore di stima del bene; da questo articolo si stabilisce il criterio in forza del quale il creditore può ottenere il bene, ed il valore maggiore tra il valore di stima del bene ed il valore che si ricava dalla somma dell'esecuzione ed i crediti che devono essere pagati prima dal creditore che fa l'assegnazione. Il giudice, disponendo l'assegnazione, ne indica il prezzo. Ad esempio se il bene viene stimato per un valore di €1000,00, e le spese di giustizia sono €100,00. Sappiamo che Tizio è un creditore con un diritto di ipoteca sul bene, per un credito di €500,00; Caio ha invece un privilegio sul medesimo bene ed è creditore di €700,00. Infine abbiamo Sempronio, un creditore chirografario, ovvero senza titoli di prelazione, con un titolo di €1000,00. Teniamo presente che se cambia il soggetto che fa istanza di assegnazione, cambia anche il valore dell'assegnazione. Se l'istanza viene presentata da Caio, cioè il creditore ipotecario, per capire il valore dell'assegnazione bisogna confrontare il valore di stima, €1000,00, col la somma delle spese di esecuzione, €100,00, ed il valore dei crediti che devono essere pagati prima di lui, €0,00; il valore di assegnazione è €1000,00. Ma quale sarebbe il valore dell'assegnazione se l'istanza di assegnazione venisse presentata da Sempronio? di 25 116 16 16. Dalila Di Virgilio 27 aprile 2024 alle ore 12:56:48 Potrebbero effettivamente verificarsi, talvolta, delle operazioni anche illecite. In tal caso sappiamo che il valore del bene è €1000,00, che le spese di giustizia sono €100,00 e vanno sommare al credito di Tizio, creditore ipotecario, che equivale a €500,00, e al credito di €700,00 di Caio, creditore privilegiato. Il valore di assegnazione, in questo caso, sarà allora €1300,00. Per cui Sempronio versa €1300,00, che verranno distribuiti per spese e altri creditori; si tratta di una assegnazione di vendita. Per concludere questo discorso generale su vendita e assegnazione forzata bisogna ricordare quel che avviene quando vi è l'autorizzazione alla vendita o assegnazione. Un passaggio essenziale della procedura è l'udienza in questione, ex artt. 530 e 569 c.p.c. in cui si verifica un contraddittorio tra le parti sulle modalità migliori per procedere alla vendita. Secondo il 530 c.p.c. in udienza, a pena di decadenza, devono essere proposte dalle parti le esecuzioni agli atti esecutivi, se non sono decadute dagli atti di proporle. Secondo il 569 c.p.c. le parti debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle. Con l'opposizione agli atti esecutivi si contesta la regolarità degli atti esecutivi o altre irregolarità che si sono svolte nel processo esecutivo. Cosa accade in questa udienza? Il legislatore vuole che prima che il giudice ordini la vendita o l'assegnazione, il processo venga "ripulito" da eventuali vizi e irregolarità. Il legislatore vuole evitare una vendita forzata e che, essendo pendente il giudizio agli atti esecutivi, si scopra che la procedura esecutiva era viziata, decadendo anche la vendita forzata. Si tratta di un meccanismo pericoloso per l'efficienza della procedura esecutiva, posto che l'obiettivo immediato della procedura di vendita è ricavare più soldi possibili, cosa possibile ottenendo quanti più offerenti possibili e che questi entrino in concorrenza tra loro, avendo la possibilità di aumentare il prezzo del bene dibattuto. Per cui il giudice dispone la vendita dopo aver deciso tutte le contestazioni in essere in merito agli atti esecutivi. Parliamo ora dell'assegnazione e vendita di beni mobili, nel caso di specie il pignoramento terzi, ai sensi dell'art. 552 c.p.c. per cui se il terzo si dichiara o è dichiarato possessore di cose appartenenti al debitore, il giudice dell'esecuzione, sentite le parti, provvede per l'assegnazione o la vendita delle cose mobili, o per l'assegnazione dei crediti. Come si possono vendere i beni mobili? Il legislatore ha individuato 1) la vendita senza incanto, 2) la vendita con incanto, 3) la vendita tramite commissionario. Il legislatore da quindi la possibilità al giudice dell'esecuzione di scegliere tra vendita senza incanto, o tramite commissionario. Per quel che concerne la vendita con incanto, la norma generale è contenuta dall'art. 503 c.p.c.; l'incanto può essere disposto soltanto quando il giudice ritiene di 26 116 probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene. Il legislatore si è reso conto che i risultati della vendita con incanto sono peggiori rispetto alla vendita senza incanto o tramite commissionario. Il giudice autorizza raramente la vendita con incanto. Come si fa la vendita senza incanto? Nelle norme sull'espropriazione forzata mobiliare e sulla vendita forzata mobiliare non si rilevano norme che si occupano della vendita senza incanto, che sono presenti sull'espropriazione forzata immobiliare. Si tratta di un'anomalia, alcuni autori ritengono che nella espropriazione forzata mobiliare la vendita senza incanto non sia più possibile, tuttavia la tesi prevalente afferma il contrario, e le modalità di suddetta vendita sono le stesse della vendita forzata senza incanto, immobiliare. Cos'è la vendita tramite commissionario? Semplicemente viene affidato ad un soggetto il compito di andare a vendere il bene, poi il soggetto incaricato venderà il bene e confermerà il ricavato della vendita, consegnandolo. Il commissionario deve comunque rispettare alcune norme fissate nell'ordinanza del giudice, ma è poi libero di procedere alla ricerca dell'acquirente nel modo che ritiene più opportuno. Il soggetto preposto a svolgere questa attività è l'istituto vendite giudiziarie, ai sensi dell'art. 532 c.p.c.; se le caratteristiche del bene suggeriscono che è preferibile affidare l'incarico ad un altro soggetto si è liberi di farlo. Quando il giudice dispone la vendita e la stabilisce tramite commissionario deve fissare alcune regole, alcuni paletti, che il commissionario deve comunque rispettare. Per quanto concerne la vendita con incanto, quando il giudice ordina l'incanto stabilisce il giorno, l'ora ed il luogo in cui deve eseguirsi, e ne affida l'esecuzione al cancelliere, all'ufficiale giudiziario, o a un istituto all'uopo autorizzato. Ai sensi dell'art. 535 c.p.c. il giudice può ricorrere ad uno stimatore che fissi il prezzo dell'incanto, a meno che non sia già previsto, mentre sensi dell'art. 536 c.p.c. viene disciplinato il trasporto e la ricognizione delle cose da vendere. Per quanto concerne il modo dell'incanto, facciamo riferimento all'art. 537 c.p.c., per cui le cose da vendere si offrono singolarmente oppure a lotti secondo la convenienza, per il prezzo base. L'aggiudicazione al maggior offerente segue quando, dopo una duplice pubblica enunciazione del prezzo raggiunto, non è fatta maggiore offerta. L'incanto, fondamentalmente, è l'asta. Con la vendita senza incanto viene fatto l'avviso e coloro che sono interessati, tramite busta, mandano la propria offerta. Quindi se in un primo momento non è presente alcuna gara, successivamente la gara c'è. All'art. 540 c.p.c. se il prezzo non è pagato, si procede immediatamente a nuovo incanto, a spese e sotto la responsabilità dell'aggiudicatario inadempiente; se nel nuovo incanto il bene viene venduto a prezzo inferiore, l'inadempiente è tenuto al pagamento della differenza. di 27 116 Che cos'è la gara tra gli offerenti di cui all'art. 573 c.p.c.? Esso prevede che se vengono fatte più offerte il giudice non aggiudicherà il bene al miglior offerente, ma inviterà gli stessi offerenti ad una gara. Una volta che il giudice ha ordinato la vendita, fissando il termine entro il quale devono essere presentate le varie offerte, bisogna dare comunicazione della vendita attraverso l'avviso di vendita ai sensi dell'art. 570 c.p.c., secondo cui è il cancelliere, tramite pubblico avviso, a dare comunicazione della vendita, con informazioni rispetto al valore dell'immobile e del sito Internet sul quale è pubblicata la relazione di stima, del nome e recapito telefonico del custode nominato, fermo restando la possibilità, per gli interessati, di richiedere maggiori informazioni presso la cancelleria. Secondo l'art. 571 c.p.c., le offerte di acquisto possono essere presentate dal diretto interessato o possono essere delegate, tramite mandato. L'offerta non si ritiene efficace se presentata oltre il termine indicato nell'ordinanza di vendita ed anche se è inferiore di oltre un quarto del prezzo stabilito nell'ordinanza. L'offerta é irrevocabile e deve essere depositata in busta chiusa. Ai sensi dell'art. 572 c.p.c., caso in cui vi sia una sola offerta, il giudice sull'offerta ascolta le parti, ed i creditori iscritti non pervenuti, se l'offerta è pari o superiore al valore dell'immobile l'offerta è immediatamente accolta, se il prezzo è inferiore rispetto al prezzo stabilito nell'ordinanza di vendita in misura non superiore a un quarto, il giudice può dar luogo alla vendita in misura non superiore a un quarto, il giudice può far luogo alla vendita quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita e non sono state presentate istanze di assegnazione. Ai sensi dell'art. 573 c.p.c, come già detto, abbiamo la gara tra gli offerenti secondo cui se vi sono più offerte, appunto, il giudice invita ad una gara. Se sono state presentate istanze di assegnazione e il prezzo indicato nella migliore offerta o nell'offerta presentata per prima è inferiore al valore stabilito nell'ordinanza di vendita, il giudice non da luogo alla vendita e procede all'assegnazione. Il giudice considera le cauzioni prestate, delle forme, dei modi e dei tempi del pagamento, e l'entità del prezzo. Se il prezzo offerto all'esito della gara è inferiore al valore dell'immobile stabilito nell'ordinanza di vendita, il giudice non da luogo alla vendita quando sono state presentate istanze di assegnazione. Il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 574 c.p.c., dispone con decreto il modo del versamenti del prezzo e il termine entro il quale il versamento deve farsi, e quando ciò avvenuto pronuncia il decreto di trasferimento. Cosa significa? Il giudice deve adottare il provvedimento di aggiudicazione e poi il decreto di trasferimento, in mancanza del quale non si è proprietari; l'aggiudicatario può immettersi nel possesso dell'immobile, a condizione che sia prestata fideiussione autonoma. In questo modo il pagamento viene garantito. Se l'aggiudicatario non deposita il prezzo, ex art. 587 c.p.c., perde il titolo, il giudice pronuncia poi la perdita della cauzione a titolo di multa e poi dispone di un nuovo incanto. di 30 116 Osserviamo adesso la vendita con incanto, ai sensi dell'art. 576 c.p.c. ricordando che il giudice ordina l'incanto ed adotta un provvedimento che regola le modalità di questo incanto, alcune equivalgono alle modalità per vendita senza incanto, altre diverse come la fissazione del giorno ed ora dell'incanto. L'ordinanza viene, poi, pubblicata a cura del cancelliere; ex art. 581 c.p.c. leggiamo le modalità dell'incanto, secondo cui esso ha luogo davanti al giudice dell'esecuzione, nella sala delle udienze pubbliche. Le offerte, inoltre, non sono efficaci se non superano il prezzo base o l'offerta precedente nella misura indicata nelle condizioni di vendita. Allorché siano trascorsi tre minuti dall'ultima offerta senza che ne segua un'altra maggiore, l'immobile è aggiudicato all'ultimo offerente. Ai sensi dell'art. 584 c.p.c., rubricato "Offerte dopo l'incanto" leggiamo che una volta avutasi l'aggiudicazione, possono essere fatte offerte di acquisto entro il termine perentorio di 10 giorni, ma esse non sono efficaci se il prezzo offerto non superiore di un quinto quello proposto nell'incanto. Il giudice, verificata la regolarità delle offerte, indice la gara fissando un termine per presentare ulteriori nuove offerte. Alla gara possono partecipare sia i nuovi offerenti in aumento, sia gli offerenti presenti al precedente incanto, e chiaramente l'aggiudicatario all'incanto. Se nessuno degli offerenti in aumento partecipa alla gara, l'aggiudicazione diviene anzitutto definitiva, e successivamente suddetti offerenti perdono la cauzione versata con l'offerta. L'art. 586 c.p.c., è l'articolo menzionato precedentemente relativo al decreto di trasferimento, con cui il giudice trasferisce all'aggiudicatario il bene espropriato; il giudice dell'esecuzione può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore al giusto prezzo. Con il decreto di trasferimento il giudice ordina che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie; in realtà la norma ha maggior rilevanza teorica, visto che le iscrizioni e le ipoteche successive al pignoramento non sono efficaci, quindi teoricamente non ci sarebbe il bisogno di cancellarle. Terminando la vendita immobiliare è importante menzionare un nuovo istituto, introdotto con la riforma Cartabia del 2022, relativamente la vendita diretta, ex art. 568 bis c.p.c., un istituto piuttosto necessario nella vita reale. Spesso il debitore potrebbe essersi attivato, o attivarsi lui stesso, per trovare l'acquirente. Sebbene la procedura espropriativa venga fatta in mancanza del debitore, quelle esecutiva viene fatta non solo in presenza dei creditori ma anche del debitore. L'articolo prevede che il debitore, con istanza depositata, non oltre dieci giorni prima dell'udienza, può chiedere al giudice dell'esecuzione di disporre la vendita diretta dell'immobile pignorato ad un prezzo non inferiore a quello di stima del bene. Leggiamo, quindi, che il debitore ha già il suo acquirente cui fa depositare offerta di acquisto. In questo modo vengono meno le fasi di ricerca di potenziali acquirenti e la fase relativa la pubblicità. di 31 116 Importante ricordare che anche per la vendita immobiliare vale, come per la vendita mobiliare, il sistema delle deleghe, ai sensi dell'art. 591 bis c.p.c., con cui mediante notaio è possibile il compimento delle operazioni di vendita. Appunti 11/03/24 La natura giuridica della vendita forzata concerne una problematica alle volte evocata in taluni manuali, seppur si tratti di un’importanza prettamente storica. Nel codice di procedura civile del 1865 non venivano disciplinati gli effetti della vendita forzata, vi era un dibattito su quali fossero gli effetti. Vi erano due tesi contrapposte tra chi riteneva che si trattasse di una normale vendita di un bene, per cui gli effetti erano i medesimi che il c.c. prevedeva per qualunque tipo di compravendita; la seconda tesi, cosiddetta pubblicista, ritiene che non essendo una vendita che avviene col consenso del venditore ma trattandosi, appunto, di vendita forzata, gli effetti devono essere differenti. In particolar modo, in relazione alla seconda tesi, si discuteva se vi fossero effetti per la garanzia di vizi del bene, o per evizione, o se la vendita forzata potesse essere impugnata per nullità come nel caso di compravendita. Ad oggi il problema è superato, specie dal punto di vista pratico, poichè nel codice civile (e non nel codice di procedura civile, come accade anche nel caso del pignoramento disciplinato dal c.c., non dal c.p.c., appunto) del 1940 il legislatore è intervenuto ed ha disciplinato espressamente quali sono i suddetti effetti. Importante è l’art. 2925 c.c., il quale ci dice che l’assegnazione forzata produce gli stessi effetti della vendita forzata, salvo alcune regole speciali; laddove ci sono delle norme differenti verranno segnalate, quindi. Il principio generale dal quale bisogna prendere le mosse è che l’effetto principale, fondamentale della vendita forzata è uguale all’effetto fondamentale di una compravendita. L’effetto principale di una compravendita, come sappiamo, è il trasferimento del diritto che sul bene aveva il debitore, a favore dell’aggiudicatario; cioè l’effetto traslativo. Si parla di effetto traslativo, ma anche di acquisto a titolo derivativo (sempre in ambito di compravendita), il che ci spiega anche un qualcosa di implicito e cioè che in una compravendita si trasferisce all’acquirente il diritto che il venditore aveva sul determinato bene; ribadire questo concetto significa che la vendita di diritto comune non è in grado di trasferire, far acquistare all’acquirente, un diritto che il venditore non aveva. L’art. 2919 c.c. ribadisce il suddetto principio anche nel caso della vendita forzata, che trasferisce all’aggiudicatario solamente il diritto che il debitore aveva su quel bene, il che vuol dire che se il debitore non era il reale proprietario di quel bene, non significa che l’aggiudicatario lo sarebbe diventato solo in virtù della vendita forzata; per cui quest’ultima da questo punto di vista funziona esattamente come una vendita di diritto comune. di 32 116 Prima di ogni altra spesa, secondo le norme del nostro c.c., bisogna pagare le spese necessarie per la vendita esecutiva, successivamente i creditori con diritto di prelazione, poi i creditori chirografari tempestivi, poi i creditori chirografari tardivi e quelli tempestivi postergati ex. art. 499 c.p.c., comma 4, infine il debitore esecutato. La graduazione dei crediti, quindi stabilire quanto pagare i singoli creditori, non è una cosa semplice; non si tratta di un’operazione matematica. Come si stabilisce la destituzione delle somme? Le norme, a seconda del tipo di espropriazione, sono diverse. Osservando la distribuzione mobiliare, ai sensi dell’art. 541 c.p.c. abbiamo una distribuzione amichevole secondo cui gli stessi creditori, e debitore, sono d’accordo per la distribuzione delle somme. Se i creditori non raggiungono l’accordo o il giudice non l’approva è lo stesso giudice a decidere, ai sensi dell’art. 542 c.p.c., rubricato “Distribuzione giudiziale”, per cui si viene a formare un progetto di distribuzione e, in caso di disapprovazione si vanno ad aprire le controversie distributive. Nel caso dell’espropriazione immobiliare il meccanismo è differente, ai sensi dell’art. 596 c.p.c., rubricato “Formazione del progetto di distribuzione”. Si viene a formare suddetto progetto di distribuzione, anche parziale, da parte di un professionista delegato e sulle direttive del giudice dell’esecuzione. Cos’è la distribuzione parziale? La predisposizione del progetto di distribuzione è assai complessa in quanto occorre tenere conto delle spese di procedura e di tutte le cause di prelazione sostanziali e processuali. Nella prassi, dunque, accadeva a volte che se in ordine ai primi creditori da pagare e cioè quelli per le spese di esecuzione e quelli di grado più elevato non ci fossero particolari problemi, il giudice poteva fare un progetto di distribuzione limitato a questa parte, rinviando l’ulteriore riparto alla risoluzione delle altre problematiche. Il legislatore ha adesso espressamente previsto questa possibilità di progetto di distribuzione parziale, precisando però che tale distribuzione non può superare il 90% delle somme disponibili da ripartire, sia per porre al riparo gli organi da successivi interventi che da eventuali errori. Va segnalato che si tratta di un potere e non di un dovere del giudice che è espressamente prevista per la sola espropriazione immobiliare, ciò che tuttavia non impedirà di continuare a seguire la prassi che ci è stata sino ad oggi per le altre procedure, eventualmente anche sulla scorta di una applicazione analogica della nuova disciplina. Si tratta di un meccanismo diverso rispetto ai riparti parziali della liquidazione giudiziale. In quel caso la parzialità attiene al fatto che la liquidazione non è ancora completata. Leggendo sempre l’art. 596 c.p.c., comma 3, bisogna chiedersi chi sono i creditori aventi diritto. Appunti 12/03/24 di 35 116 Le controversie distributive sono le controversie che nascono in occasione del progetto di distribuzione tutte le volte in cui c’è una contestazione su come è fatto il progetto di distribuzione. Il giudice dell’esecuzione fa quel che normalmente il giudice dell’esecuzione non dovrebbe fare, cioè l’accertamento, che comunque viene fatto all’interno del processo esecutivo e può essere impugnato. Quali sono le controversie esecutive? Il progetto di distribuzione può venir fuori in due modi diversi, ad esempio nel caso dell’espropriazione mobiliare abbiamo visto che tutti i creditori sono d’accordo sul distribuire le somme in uno specifico modo, anche il debitore non ha osservazioni quindi non vi sono contestazioni; può accadere, però, che il progetto di distribuzione proposto dal giudice non veda un consenso di creditori e debitori, i quali possono contestarne i singoli elementi. L’art. 512 c.p.c. prevede le controversie tra i creditori concorrenti, per cui una controversia che contrappone un creditore ad un altro creditore, ma è possibile che vi sia controversia anche tra creditore e debitore, dal momento in cui è chiaro che quest’ultimo viene danneggiato dal fatto che il creditore deve essere pagato. In ambito di controversie distributive, è chiaro che quando c’è la controversia tra i vari creditori, vi è comunque interesse del debitore all’eventuale residuo che gli verrà restituito. L’art. 512 c..c. ci spiega che le controversie si esplicitano sulla esistenza e l’ammontare del credito; la contestazione sull’esistenza vuol dire semplicemente che il creditore può fare, nei confronti degli altri creditori, le stesse contestazioni che rispetto a quel credito specifico potrebbe fare il debitore. Se ci sono dei creditori che sono intervenuti e sono stati messi nel progetto di distribuzione sono automaticamente dei creditori che sono stati innanzitutto ammessi, o che dispongono di un titolo esecutivo. Si verifica un fenomeno che dal punto di vista teorico viene ricostruito in tanti modi diversi, è come se il creditore disponesse di una speciale azione surrogatoria, una specie di legittimazione speciale ad agire. Ad esempio Tizio è il creditore esecutore e Caio il debitore esecutato, interviene un terzo nel progetto di distribuzione, cioè Sempronio, il quale potrebbe contestare il credito di Tizio; Sempronio nel gioco della par conditio creditorum ha interesse a contestare la somma di Tizio, perché avendo interesse nell’essere pagato di conseguenza non potrebbe esserlo se venisse pagato Tizio. Posto che si tratta di una situazione speciale, la normalità concerne la contestazione da parte del debitore e non di altri creditori. Tuttavia in un caso di esecuzione forzata il creditore contro un altro creditore lo contesta per negarne l credito, facendo valere le ragioni in capo al debitore, tuttavia queste ragioni devono comunque tenere conto i qual è il titolo (non può, ad es., essere fatta valere una situazione passata in giudicato). di 36 116 19 19. Dalila Di Virgilio 12 marzo 2024 alle ore 10:51:10 Il creditore fa valere delle ragioni proprie nei confronti di un terzo. Per quanto concerne le contestazioni del debitore una questione tutt’ora controversa è se il debitore, in sede di distribuzione del ricavato, possa tornare sui suoi passi rispetto ad un eventuale riconoscimento. La tesi che prevale sostiene che ciò non è possibile, tuttavia un domani, terminata l’esecuzione e pagata la somma di denaro è possibile fare un’azione di ripetizione dell’indebito. Un’altra contestazione che si può fare è quella relativa all’esistenza del diritto di prelazione; questo tipo di contestazione in sede distributiva è, però, una contestazione rimessa solo al creditore perché il debitore non ha alcun interesse a contestare il diritto di prelazione (per il debitore è indifferente che venga pagato un creditore prima di un altro; è un interesse esclusivo dei creditori). Le controversie viste fin ora sono le classiche controversie, relativamente la sussistenza o l’ammontare dei vari diritti di credito o di prelazione, tuttavia vi sono altri tipi di contestazioni che possono essere fatte in sede distributiva e cioè le controversie formali, cioè la contestazione relativamente i presupposti per l’intervento di un creditore; la contestazione non è sul diritto sottostante, ma si fonda sulla categoria di soggetti che possono intervenire. Bisogna studiare il rapporto tra le controversie e diritto ad intervenire con cui il debitore contesta il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata; non vi è rischio di sovrapposizione. Secondo una tesi restrittiva la sovrapposizione non è possibile poichè ai sensi dell’art. 512 c.p.c. essa sarebbe utilizzabile solo nei confronti di coloro che non hanno titolo esecutivo. Un’altra tesi più ampia ritiene che i diritti siano sovrapponibili poichè gli effetti sono diversi, l’esito dell’opposizione è il venir meno dell’esecuzione forzata, l’esito della contestazione è l’eliminazione di quel solo creditore e quindi non inficia sull’intero processo esecutivo. Uno dei problemi che pone la disciplina della distribuzione del ricavato è il problema della cosiddetta stabilità della distribuzione, cioè una volta che è stata fatta l’approvazione del progetto di distribuzione ed esso è stato eseguito, i pagamenti sono stabili? Le controversie ex art. 512 c.p.c., nella vecchia disciplina, davano luogo ad un processo di cognizione piena; in mancanza delle suddette controversi si poneva il problema se c’era o meno una stabilità delle somme pagate che non erano state oggetto di contestazione. Vi erano opinioni divergenti come la non possibilità di richiedere le somme indietro, una volta avvenuta l’esecuzione, oppure l’applicazione dei principi generali. La giurisprudenza sposava una tesi secondo cui dal punto di vista pratico una volta avvenuto il pagamento non si poteva tornare indietro. Il dubbio era presente nel caso in cui il riconoscimenti riguardava un debito che non veniva pagato tutto. La giurisprudenza riteneva che la preclusione si verificasse solo ed esclusivamente sulla somma pagata. Ad oggi la situazione è diversa perché le controversie distributive, come osservato all’art. 512 c.p.c., non danno più vita ad un processo di cognizione ordinaria. Oggi il giudice fa un accertamento sommario in via incidentale, non è quindi un vero e proprio processo di cognizione. L’accertamento sommario del giudice da luogo ad una preclusione endoesecutiva, ma non al di fuori di quello specifico processo esecutivo. di 37 116 20 20. Dalila Di Virgilio 12 marzo 2024 alle ore 10:58:21 Art. 499 c.p.c. relativamente la legittimazione dei vari soggetti ad intervenire. presenza di un’opposizione all’esecuzione si chiede di sospendere l’esecuzione in attesa di capire se la suddetta è fondata o meno. La valutazione deve essere fatta sempre e comunque dal giudice dell’esecuzione sia perché è l’unico a poter sospendere l’esecuzione del processo, sia perché é l’unico a poter comprendere e valutare tutti gli elementi, osservando sia il fumus boni iuris, sia il periculum in mora. Con giudice dell’esecuzione s’intende il magistrato. Da quand’è che pende il giudizio dell’opposizione all’esecuzione? La tesi che prevale è che nel momento in cui si deposita il ricorso il giudizio dell’opposizione all’esecuzione è già pendente, per altri vi è quando invece si assume la causa di fronte il giudice. Ricordiamoci che non si può proporre opposizione all’esecuzione dopo che è stata disposta la vendita, posto che non si tratti di opposizione su fatti sopravvenuti, o se non si dimostra che non si è potuto farla prima. Il giudizio di opposizione all’esecuzione è un processo di cognizione che però presenta alcuni aspetti strutturali che discendono dal fatto che si tratti di opposizione all’esecuzione; vi è litisconsorzio necessario tra il creditore procedente, il debitore esecutato ed i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. Per quale motivo? Perché si sta decidendo dei diritti di tutti i soggetti appena menzionati. Importante è l’inversione dell’iniziativa processuale e onere della prova; in caso di opposizione all’esecuzione il contenuto della prova è identico all’atto di citazione o c’è qualcosa di particolare? Nella citazione all’opposizione non si fa valere un diritto, ma si chiede l’accertamento di un diritto negativo della controparte, per cui il contenuto sostanziale non è tanto simile ad un atto di citazione quanto ad una comparsa. Essendo un processo di cognizione normalissimo non vi è un’inversione dell’onere della prova. C’è inversione, però, dell’onere dell’iniziativa processuale, ma il processo è retto dai soliti principi. La sentenza che chiude il giudizio di opposizione all’esecuzione è una normalissima sentenza di primo grado, quindi si impugna secondo le regole ordinarie con l’appello, ricorso per Cassazione, etc. Come si chiude il processo di opposizione all’esecuzione? Tramite accoglimento o rigetto. Se l’opposizione viene accolta il processo esecutivo non può chiaramente andare avanti, poi bisogna però chiedersi se la sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione ha anche effetti sul diritto sottostante. Ed invece in caso di rigetto, cosa accade? Se l’opposizione riguarda la pignorabilità di un bene il processo può andare avanti, fermo restando la non pignorabilità del bene medesimo nel processo. Osserviamo, ora, l’opposizione agli atti e l’opposizione di terzi. Per quel che concerne l’opposizione agli atti, essa differisce dall’opposizione all’esecuzione perché quest’ultima contesta il diritto, con l’opposizione agli atti si contesta il singolo atto, la regolarità dello stesso nel processo esecutivo (non il se, l’an dell’esecuzione). L’opposizione agli atti è un processo di esecuzione. di 40 116 21 22 21. Dalila Di Virgilio 14 marzo 2024 alle ore 10:51:42 La parvenza di buon diritto. 22. Dalila Di Virgilio 14 marzo 2024 alle ore 10:52:04 Danno in cui potrebbe incorrere il diritto soggettivo. L’art. 617 c.p.c. individua con precisione le contestazioni ai singoli atti; al comma 1 si parla dell’opposizione agli atti pre-esecutiva, le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, per cui per quanto concerne il titolo esecutivo si contesta la mancata notifica dello stesso, poi le regolarità formali del precetto, o dell’efficacia, o il fatto che sia stato notificato, o la mancata notificazione della somma per la quale si procede, o la mancata idonea sottoscrizione. Osserviamo le contestazioni relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione di cui 1) la nullità del pignoramento per incompetenza dell’ufficiale giudiziario; 2) la nullità del pignoramento per mancanza dell’ingiunzione ex art. 492 c.p.c.; 3) la nullità dell’ordinanza di vendita che indica beni divisi da quelli pignorati; 4)i provvedimenti del giudice dell’esecuzione. La legittimazione alla contestazione ce l’hanno tutte le parti a processo: 1) il debitore esecutato; 2) il terzo proprietario, cioè colui che è proprietario del bene ma che subisce legittimamente l’esecuzione; 3) il creditore procedente; 4) il creditore intervenuto; 5) l’aggiudicatario; 6) i concorrenti in sede di vendita forzata; 7) chiunque sia stato parte del processo esecutivo. Anche per l’opposizione agli atti l’abbiamo pre-esecutiva, che avviene con un atto di citazione, e post-esecutiva. Nel primo caso per individuare il giudice procedente l’art. 617 c.p.c., comma 3, rinvia all’art. 480 c.p.c. Non c’è una norma espressa sulla competenza verticale. L’opposizione agli atti post-esecutiva si oppone direttamente al giudice dell’esecuzione. Non è il singolo giudice dell’esecuzione che deve decidere dell’opposizione agli atti, il comma 2, art. 618 c.p.c., per cui all’udienza dà con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura. In ogni caso fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 164 bis, o altri se previsti, ridotti della metà. La causa è decisa con sentenza non impugnabile. Per esigenze sistematiche il giudice non può essere lo stesso, visto che spesso si decide di suoi propri provvedimenti. Per quel che concerne i termini, essi sono estremamente brevi, ai tempi erano addirittura 5 giorni, sono adesso 20 i giorni a disposizione, dal momento del compimento del singolo atto. Il tema dell’opposizione agli atti esige un chiarimento importante, cioè le nullità di cui si discute riguardano le nullità formali degli atti ma esistono anche le nullità extra formali (problema di giurisdizione, competenza, non di forma, per cui gli atti, ognuno di essi, sono autonomamente invalidi; viene meno il termine per cui l’opposizione può essere fatta valere in ogni momento del processo). Il comma 3 dell’art. 618 c.p.c. è stato aggiunto successivamente. di 41 116 Quali sono gli esiti e gli effetti di un giudizio di opposizione agli atti? In caso di rigetto l’atto esecutivo è valido, ma contiene anche un’accertamento in sussistenza del presupposto che si voleva contestare. Nel caso in cui, invece, l’opposizione venga accolta, bisogna capire se la nullità dell’atto si ripercuote sugli atti successivi o meno perché in alcuni casi l’invalidità dell’atto può portare anche alla nullità del processo esecutivo. Per quanto concerne la forma dell’opposizione facciamo riferimento all’art. 619 c.p.c., al comma 1 leggiamo che il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni. Il presupposto dell’opposizione è l’aggressione di un bene di un terzo, se il terzo ha acquistato il diritto del debitore esecutato occorre prestare attenzione agli artt. 2913 ss.; non è sufficiente che il terzo vanti un dritto sul bene, occorre che sia incompatibile con il diritto pignorato: ad es., se il pignoramento ha ad oggetto la proprietà del bene ed il terzo vanta la proprietà, c’è l’incompatibilità; se, invece, il pignoramento colpisce la nuda proprietà del bene, non c’è incompatibilità con l’affermazione del terzo di avere l’usufrutto; ci sono però anche casi in cui può essere difficile la valutazione di compatibilità: se viene espropriata la proprietà ed un terzo si afferma titolare di un diritto di servitù, non c’è incompatibilità, e tuttavia una cosa è vendere il diritto di proprietà piena, altra cosa è vendere la proprietà di un bene gravata da una servitù. Il problema si risolve sulla base di quanto specificato in sede di pignoramento, se in tale occasione non viene specificato che il bene è gravato da una servitù, ciò vuol dire che il pignoramento ha colpito il bene libero da diritti reali minori. L’esecuzione in forma specifica non prevede il pignoramento; l’art. 619 c.p.c. prevede che l’opposizione di terzo avvenga solo sui beni pignorati, motivo per cui si pensava che l’art. si riferisse soltanto all’espropriazione e non all’esecuzione in forma specifica. Quest’impostazione, comunque, è stata superata. Le esigenze sostanziali che stanno alla base dell’opposizione di terzo ci sono anche nell’esecuzione in forma specifica. Il legislatore, relativamente l’opposizione di terzo, prevede la possibilità di un’udienza per il raggiungimento di un accordo, si cui al comma 3 dell’art. 619 c.p.c.; l’accordo può consistere o nel fatto che chi ha fatto l’opposizione si “arrenda”, per cui l’esecuzione può proseguire, o il contrario per cui si dà luogo all’estinzione, o ancora il giudice procede con le stesse regole osservate per l’opposizione all’esecuzione post-esecutiva, di cui all’art. 616 c.p.c., posto che comunque l’opposizione di terzo è sempre post-esecutiva. Nel processo di esecuzione di terzo si cerca di capire se il bene è del terzo o del debitore esecutato, tuttavia vista la scarsa fiducia del legislatore rispetto alla prova per testimoni, ha stabilito che in caso di beni immobili il terzo non può provare il suo diritto mediante la prova testimoniale. di 42 116 Ai sensi dell'art. 638 c.p.c. leggiamo che la domanda d'ingiunzione si pone con ricorso contenente, oltre i requisiti indicati all'art. 125, l'indicazione delle prove che si producono. Il ricorso deve contener altresì l'indicazione del procuratore oppure, quando è ammessa la costituzione di persona, la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio, nel comune dove ha sede il giudice adito. Al comma 2, se manca l'indicazione del procuratore oppure la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio, le notificazioni ricorrente possono essere fatte presso la cancelleria. Al comma 3 il ricorso é depositato presso la cancelleria insieme con i documenti che si allegano; questi non possono essere ritirati fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto di ingiunzione a norma dell'art. 640. Per quanto concerne la competenza, ai sensi dell'art. 637 c.p.c., il giudice competente per la concessione del decreto ingiuntivo è lo stesso identico giudice al quale ci si sarebbe dovuti rivolgere se la domanda fosse stata proposta in via ordinaria, per cui il giudice di pace o il tribunale in composizione monocratica. La particolarità sta nel fatto che il tribunale in composizione ordinaria è sempre collegiale, salvo la concessione del decreto ingiuntivo in cui il tribunale è sempre in composizione monocratica. Competente è anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce. Gli avvocati ed i notai possono proporre domanda d'ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono. Per quanto concerne il rigetto del ricorso, ex art. 640 c.p.c., rilevante è il comma 3 per cui il decreto di rigetto "non vale nulla"; si tratta di un decreto che non impedisce, il giorno dopo, di fare la stessa identica domanda ed anche con gli stessi documenti. Il provvedimento di rigetto é un procedimento inidoneo al giudicato. Se le condizioni a norma dell'art. 641 c.p.c. sono idonee, si prevede la condanna di pagamento entro il termine di 40 giorni, per cui può poi essere fatta. La mancata opposizione a decreto ingiuntivo produce un effetto molto più grave della semplice opposizione esecutiva; il decreto ingiuntivo passa in giudicato. Il procedimento è molto efficace, quindi, con cui si ottiene una condanna nei confronti dell'altra parte che passa in giudicato nel termine suddetto, in mancanza di opposizione. Nel decreto, eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni, il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento. Una volta che il decreto ingiuntivo viene concesso esso deve essere portato a conoscenza della controparte, per cui ai sensi dell'art. 643 c.p.c. rubricato "Notificazione del decreto". Al comma 1 l'originale del ricorso e del decreto rimane depositato in cancelleria. Al comma 2 il ricorso ed il decreto sono notificati per copia autentica a norma degli artt. 137 ss., e comma 3 la notificazione determina la pendenza della lite. L'art. 644 c.p.c. parla della mancata notificazione del decreto. Quando il decreto ingiuntivo diventa inefficace ci può essere l'interesse della parte ad ottenere una declaratoria di inefficacia del decreto, perché se con esso si è ottenuta un'ipoteca per ottenere la di 45 116 cancellazione bisogna avere un provvedimento giudiziale. Come si ottiene l'accertamento di inefficacia? Bisogna osservare l'art. 188 c.p.c. Per quanto concerne la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, importante è l'art. 642 c.p.c.; il decreto ingiuntivo è un decreto di condanna che in alcuni casi può essere immediatamente dotato di efficacia esecutiva. Ciò avviene quando esso è fondato su documenti che di per sé hanno efficacia di titolo esecutivo. Il termine di 40 giorni è solo per l'esecuzione, ma l'opposizione può essere fatta subito. L'esecuzione forzata può comunque essere concessa se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere; il giudice può imporre al ricorrente una cauzione, e poi nella terza ipotesi se il giudice autorizza l'esecuzione senza l'osservanza del termine di cui all'art. 482 c.p.c. Appunti 19/03/24 Il decreto ingiuntivo non è necessariamente un titolo esecutivo, Quali sono i casi nei quali il decreto ingiuntivo ha efficacia di titolo esecutivo? Nell'ipotesi di cui all'art. 633 c.p.c., e quando non viene proposta opposizione. In caso di mancata opposizione il decreto ingiuntivo acquista efficacia di titolo esecutivo, ma diviene anche sentenza passata in giudicato. Proprio per la gravità di queste conseguenze, il legislatore incarica il giudice di verificare e prestare attenzione a che la mancata opposizione sia una mancata opposizione volontaria; il legislatore ha timore che la controparte sia ignara del decreto, non essendoci stato nemmeno il contraddittorio tra le parti, cosa che accade se vi è nullità del decreto ingiuntivo. Nel primo caso del comma 1, art. 647 c.p., se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l'opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche del verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo. Nel primo caso il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto. Al comma 2, invece, leggiamo che quando il decreto è stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l'opposizione non può più essere proposta né proseguita, salvo il disposto dell'art. 650 c.p.c., e la cauzione eventualmente prestata è libera. Per le medesime ragioni l'art. 650 c.p.c. prevede l'opposizione tardiva, infatti l'intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Al comma 2 leggiamo che nel caso suddetto l'esecutorietà può essere sospesa a norma dell'articolo precedente, e al comma 3 l'opposizione non è più ammessa decorsi 10 giorni dal primo atto di esecuzione. di 46 116 24 24. Dalila Di Virgilio 19 marzo 2024 alle ore 10:42:44 Normalmente 40 giorni. Per quanto concerne il decreto ingiuntivo non opposto, secondo una prima tesi, per molto tempo, esso avrebbe prodotto la preclusione pro iudicato, cioè una stabilità del provvedimento meno intensa, meno forte del vero e proprio giudicato, quindi quello ordinario. Ma in cosa si manifesta? Normalmente il giudicato su di un diritto produce degli effetti sia a monte che a valle. Per cui la preclusione pro iudicato comporta che quando il diritto pregiudiziale è oggetto del decreto ingiuntivo opposto, non produce effetti sui diritti dipendenti; copre solo ed esclusivamente il diritto oggetto di giudizio poichè c'era la teoria sopra citata; il decreto ingiuntivo non prevedeva accertamenti, per cui non si potevano prevedere i medesimi effetti di un processo sviluppato a cognizione piena. Ad oggi la suddetta tesi è minoritaria, mentre quella dominante è che il decreto ingiuntivo non opposto determina i medesimi effetti di una sentenza passata in giudicato, senza differenze, e tra gli effetti esso è impugnabile con i mezzi di impugnazione straordinaria ex art. 656 c.p.c. Vediamo adesso l'opposizione, elemento essenziale del sistema del decreto ingiuntivo. L'opposizione si propone con un atto di citazione, ex art. 645 c.p.c., perché l'opposizione al decreto ingiuntivo altro non è che un processo di cognizione ed oggetto di questo processo è l'esistenza del diritto di credito oggetto a sua volta della condanna al pagamento. Ora è bene precisare che anche se l'art. 645 c.p.c. menziona l'atto di citazione, va da sé che se il processo di cognizione da instaurare per il tipo di diritto é un processo che inizia con un ricorso e non con un atto di citazione, chiaramente si procede con il ricorso per cui si seguono le medesime forme che si sarebbero seguite se si fosse trattato di un procedimento ordinario. C'è poi una competenza funzionale in quanto l'opposizione si propone di fronte allo stesso ufficio giudiziario che ha emanato il decreto ingiuntivo. L'opposizione al decreto ingiuntivo è un processo nel quale si discute se esiste o meno il diritto soggettivo, oggetto del decreto ingiuntivo; non si discute della regolarità o meno del procedimento ingiuntivo. In questo processo vi è un'inversione dell'onere dell'iniziativa processuale, per cui l'onere è a carico di colui che afferma l'inesistenza del diritto consacrato ad oggetto del decreto ingiuntivo. Nella citazione ad opposizione del decreto ingiuntivo, ai numeri 3) e 4) bisogna affermare l'inesistenza del diritto, per cui il contenuto sostanziale, è quello di una comparsa in cui viene negata l'inesistenza del diritto. Valgono i normali principi sull'onere della prova, per cui l'onere probatorio del diritto di credito è a carico non dell'attore, ma del convenuto, e soprattutto trattandosi di un normale processo di cognizione le regole relative alle prove sono quelle ordinarie, per cui la prova utilizzata per ottenere il decreto ingiuntivo se non è una prova scritta sulla base delle norme ordinarie, nella fase successiva potrebbe essere nulla, potrebbe quindi non servire a vincere la causa in sede di opposizione. di 47 116 I due atti sono autonomi nel senso che gli effetti sostanziali della intimazione permangono anche se il procedimento per qualche motivo non arriva alla fine. La competenza per materia è del tribunale e per territorio di quello del luogo dove si trova il bene. Una volta formato l'atto questo deve essere notificato alla controparte e vi è quindi, a differenza del procedimento ingiuntivo, la instaurazione del contraddittorio. Se l'intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore, ai sensi dell'art. 663 c.p.c., comma 1. Al comma 2 se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tal caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione. L'art. 665 c.p.c. prevede l'ordinanza di rilascio e cioè la possibilità che anche se viene fatta l'opposizione non fondata su prova scritto il giudice può pronunciare ordinanza di rilascio con efficacia esecutiva. Appunti 21/03/24 Dopo aver osservato la disciplina dei procedimenti sommari non cautelari, detti anche decisori poiché contengono la decisione sull'esistenza o meni del diritto avendo la caratteristica tipica della tutela cognitiva, ricordiamoci che vi sono anche i procedimenti sommari cautelari. I procedimenti sommari non cautelari sono vari, non soltanto il procedimento ingiuntivo e di convalida di sfratto, in particolar modo un tipo di procedimento sommario non cautelare è il procedimento possessorio. I procedimenti possessori presentano alcuni aspetti procedimentali simili a quello che è il procedimento cautelare, per cui è opportuno parlare prima del procedimento cautelare. Per quanto concerne la tutela cautelare più volte abbiamo ricordato in che modo si colloca la funzione della stessa nel più ampio quadro della tutela giurisdizionale dei diritti, ricordando quindi che per ottenere la tutela cognitiva di merito o esecutiva occorre del tempo; il fattore tempo è il punto di partenza per comprendere la tutela cautelare, ma per quale motivo? Perché per ottenere la tutela di un diritto gli organi giurisdizionali hanno bisogno di tempo, e ciò prescinde dal funzionamento del sistema. Per cui lo scarto tra il momento in cui si chiede la tutela, ed il momento in cui il giudice realizza il diritto col provvedimento cognitivo o esecuzione forzata, può essere un problema perché in questo periodo di tempo potrebbero verificarsi dei fatti tali da rendere la sentenza di merito, quando arriverà, una sentenza ormai inefficace per colui che richiede tutela, la sentenza non riesce più a realizzare il diritto. di 50 116 L'ordinamento deve quindi fare qualcosa affinché il sistema della giustizia, sia civile che penale, che si basa su un tacito patto tra i vari consociati nel quale i consociati accettano di non farsi giustizia da soli a patto che la giustizia venga resa dagli organi dello Stato. La tutela cautelare è quell'attività giurisdizionale attraverso la quale si cerca di impedire che nelle more del processo di merito il diritto possa subire un pregiudizio tale da rendere la tutela ormai inutile. Un primo esempio di tutela cautelare osservato è il sequestro conservativo; ponendo in essere un atto di disposizione del bene oggetto del credito dopo il sequestro, l'effetto sarà quello del pignoramento. Ai sensi dell'art. 2906 c.c., rubricato "Effetti", infatti, leggiamo che hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento. Le misure cautelari devono avere contenuti diversi a seconda del tipi di rischio da neutralizzare. Ad es. un'altra tipologia di provvedimento cautelare è l'assegno provvisorio. La funzione è la medesima del sequestro conservativo, ma gli effetti sono completamente differenti (ad es. colui che chiede gli alimenti non ottiene nulla col sequestro conservativo). Il concetto essenziale da capire è la funzione della tutela cautelare, per comprendere meglio tutta la disciplina procedimentale. Perché si tratta di misure provvisorie? Perché una volta ottenuto il provvedimento di merito non ci sarà più bisogno della misura cautelare. La misura cautelare serve fin tanto che si avrà il provvedimento, sia esso positivo che negativo. Lo scopo dei provvedimenti provvisori, come sappiamo, non è accertare o meno l'esistenza del diritto. Si tratta di misure provvisorie inidonee al giudicato, strumentali rispetto al provvedimento di merito. Sempre derivante da questa funzione discendono anche i presupposti, cioè quando il giudice deve concedere ed accogliere la richiesta di sequestro, o di assegno provvisorio? Sicuramente quando vi è pericolo di perdere il bene. In sede cautelare non si può fare un vero processo, per eliminare, appunto, il problema temporale. Bisogna capire, quindi, se il diritto c'è ma in modo sommario, nei limiti temporali necessari a darne tutela. I presupposti della concessione di tutte le misure cautelari sono da un lato il fumus boni iuris, per cui una ragionevole apparenza del diritto accertata in modo sommario dal giudice cautelare, e poi il periculum in mora, per cui convincere il giudice che vi è il rischio di perdere la tutela. Per quanto concerne il periculum in mora occorre fare una distinzione tra misure cautelari conservative, ad es. il sequestro, e anticipatorie; tra le due vi è una differenza procedimentale. Dopo aver ripreso i punti salienti delle misure cautelari, cui funzione, caratteristiche strutturali, etc., lo studio su di esse si suddivide in due parti. Da un lato occorre studiare i singoli procedimenti di 51 116 25 25. Dalila Di Virgilio 21 marzo 2024 alle ore 10:55:00 La misura cautelare non ha senso in questo caso, anzi si incorre in obblighi restitutori. cautelari, e dall'altro occorre studiare il procedimento cautelare uniforme, introdotto dal legislatore nel 1990; disciplina procedimentale cosa vuol dire? Significa che negli artt. che vanno dal 649 bis al 649 quaterdecies c.p.c. ritroviamo tutto quel che concerne suddetta disciplina, delle regole procedimentali che valgono per tutte le misure cautelari. Nello studio delle singole misure conviene tenere presente che ci sono, poichè risulta complesso studiarle senza individuare uno schema utile per evidenziare le caratteristiche essenziali, almeno tre aspetti sui quali occorre interrogarsi in presenza di misure cautelari e cioè 1) qual é il diritto soggettivo a cautela del quale si richiede la tutela cautelare, per cui qual é il giudizio di merito che poi si andrà ad instaurare? Si tratta di un dato fondamentale perché nella richiesta di una misura cautelare la prima cosa da dimostrare il fumus boni iuris; 2) vi è, poi, il periculum, ovvero il rischio in misura del quale la misura è concessa; 3) quali sono gli effetti della misura cautelare del caso di specie? Per quanto riguarda i sequestri vi sono 1) il sequestro giudiziario; 2) il sequestro conservativo; 3) il sequestro liberatorio. Partendo dal sequestro giudiziario, ai sensi dell'art. 670 c.p.c., il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne é controversa la proprietà o possesso, ed é opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea. Ma qual è il giudizio di merito rispetto al quale si chiede il sequestro giudiziario? Quando si ha un giudizio in cui la proprietà o il possesso è controverso, o quando è controverso un altro diritto reale, o di altro tipo, a detta della giurisprudenza; cui si riferisce a tutti i casi nei quali l'azione giudiziaria nel merito dell'agente ha ad oggetto un determinato bene, ad es. anche un diritto di tipo obbligatorio. Qual è il periculum in mora? Il rischio che il diritto corre, ad esempio la distruzione del bene, la dispersione, la mancata manutenzione del bene; il rischio deriva dal fatto che il bene si trova nella disponibilità materiale della controparte. Ma quale sarà l'effetto di un sequestro giudiziario? Privare il titolare del bene della disponibilità dello stesso, cosa che accade nell'esecuzione per consegna o rilascio in cui l'ufficiale giudiziario ritira il bene, ai sensi dell'art. 677 c.p.c., rubricato per l'appunto "Esecuzione del sequestro giudiziario". Sempre l'art. 670 c.p.c., oltre al sequestro giudiziario dei bene, pone il sequestro giudiziario di prove cui libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea; la controversia è il diritto all'esibizione. La particolarità di questa situazione è che la controversia non è su un diritto soggettivo ma concerne una controversia processuale. Cos'è il diritto all'esecuzione? La risposta é all'art. 210 c.p.c., che rimanda all'art. 118 c.p.c.; se la parte sa che la controparte ha la materiale disponibilità di un altro documento per il quale egli vuole che il giudice ne prenda visione, può chiedere al giudice di di 52 116 26 26. Dalila Di Virgilio 21 marzo 2024 alle ore 11:26:47 Il diritto all'esibizione. Gli artt. vanno dal 669 bis al 669 quaterdecies c.p.c., ed infatti andiamo ad analizzare proprio quest’ultimo che individua l’ambito di applicazione. Questa norma è necessaria per risolvere alcune questioni problematiche. Ai sensi dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. sappiamo che le disposizioni della presente sezione si applicano a tutte le misure cautelari e non solo quelle previste dal codice di procedura civile; vi sono numerosi provvedimenti cautelari disciplinati dal sistema, per esempio dallo stesso codice civile come quello del provvedimento di sospensione delle delibere assembleari in ambito di diritto commerciale. Le misure, a detta della norma, si applicano “in quanto compatibili”; mentre per quel che concerne il c.p.c. il legislatore quando ha introdotto il procedimento cautelare uniforme ha contemporaneamente abrogato le norme procedimentali ad hoc per le singole misure cautelari, le norme “speciali”, proprio in quanto speciali, prevalgono sulle norme del procedimento cautelari se sono in contrasto. Osserviamo, ora, le singole norme sul procedimento partendo dall’art. 669 bis c.p.c., che ci parla dell’atto introduttivo che si propone mediante ricordo depositato nella cancelleria del giudice introduttivo; l’art. suddetto relativamente la forma della domanda non dice altro, ma sappiamo che nel ricorso devono essere indicate le parti, il periculum, il fumus boni iuris, il provvedimento che si chiede. Ai sensi dell’art. 669 ter c.p.c. osserviamo chi è il giudice cui rivolgersi, qui il c.p.c. fa una distinzione tra competenza cautelare ante causam, per cui precedente al giudizio di merito. Il giudice competente ante causam è lo stesso identico giudice al quale ci si rivolgerà per il giudizio di merito, per cui vi è una coincidenza tra giudice cautelare ante causam e giudizio di merito. Al comma 2 ritroviamo menzione del giudice di merito, che non ha competenza di merito, per cui bisogna rivolgersi in ogni caso al tribunale. Al comma 3 si pone, invece, il problema del giudice non italiano competente per merito; in questo caso ci si rivolge al giudice competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare, Al comma 4 leggiamo che anche quando la causa dovrebbe essere decisa in composizione collegiale, trattandosi di una misura cautelare è preferibile decidere in composizione monocratica. Cosa succede, invece, se il giudizio di merito è già pendente? La risposta la ritroviamo all’art. 669 quater c.p.c., dove la domanda, quando vi è causa pendente per il merito, deve essere proposta al giudice della stessa. Ma la competenza cautelare in corso di causa è riferita astrattamente al giudice competente per quella causa, o al giudice adito per il merito? La tesi prevalente la competenza è quella del giudice entro il quale, concretamente, è stata incardinata la causa, pur non essendo quest’ultimo competente. Ricordiamoci che la misura cautelare può essere proposta in qualsiasi grado di processo, proponendo domanda al giudice che pronunciato la sentenza. di 55 116 Un soggetto che non gode di poteri cautelari, almeno fino al 2022, è l’arbitro; attualmente le cose sono cambiate, per cui l’art. 669 quinquies c.p.c. prevede che se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, salvo quanto previsto dall’art. 818 c.p.c., comma 1. Le parti possono, oggi, conferire poteri cautelari agli arbitri. Dopo aver osservato le norme generali sulla competenza osserviamo come si sviluppa questo procedimento. L’art. 669 sexies c.p.c. ci spiega che le parti vengono sentite dopo un’udienza. Il procedimento cautelare in senso stretto sta proprio nel comma 1 dell’art. 669 sexies c.p.c. Il giudice, una vota ricevuto il ricorso, decide autonomamente come procedere; tenendo presente di dover svolgere un’attività istruttoria compatibile con lo scopo dello specifico procedimento. Il medesimo art. prevede, però, anche un’altra possibilità perché il legislatore è consapevole del fatto che vi possono essere dei casi in cui, proprio in ragione di utilità della misura e di rapidità della stessa, si rende necessario provvedere sull’istanza cautelare senza neanche sentire la controparte, per cui si tratta di una conclusione con decreto o inaudita altera parte. Il giudice fissa comunque l’udienza cui verrà convocata anche la controparte, statuendo quindi se la decisione data in via d’urgenza deve essere revocata o soltanto modificata. Solo due situazioni integrano gli estremi dati da questo comma 2, per cui in primo luogo il grave problema di tempo, oppure l’altra ipotesi è data dal voler evitare che la controparte sappia della richiesta della misura cautelare, onde evitare la perdita immediata del diritto oggetto di tutela. La prima ipotesi è il rigetto della misura cautelare, cosa che accade se il giudice ravvisa che manchino i presupposti della stessa misura (ad es. il fumus boni iuris), o magari per mancanza di competenza. In caso di dichiarazione di incompetenza è possibile ripresentare la domanda senza alcuna limitazione. Se vi è istanza di rigetto nel merito l’art. 669 septies c.p.c. ci dice che l’ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda. L’ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell’istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Osserviamo cosa accade nei casi in cui vi è un provvedimento di accoglimento, ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c., per cui l’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio di merito, salva l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 669 novies. La misura cautelare, infatti, è priva di senso se il giudizio di merito non viene cominciato. Sino al 2005 la norma suddetta valeva sempre e per qualunque tipo di misura cautelare proprio sulla base del precedente principio logico e facilmente deducibile; dopo il 2005 il legislatore ha introdotto delle eccezioni per cui, al comma 6, leggiamo che per alcune misure cautelari ed in di 56 116 27 28 27. Dalila Di Virgilio 25 marzo 2024 alle ore 15:28:02 Viene allegato il cambiamento della situazione di fatto. 28. Dalila Di Virgilio 25 marzo 2024 alle ore 15:29:50 Viene fatta una nuova domanda con ragioni di fatto o di diritto non presenti nell’originario ricorso, ma non sopravvenute. Nel procedimento cautelare per cui non vale il principio valente nel rito ordinario per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile; è possibile un’integrazione delle circostanze. generale i provvedimenti anticipatori non vale la regola del procedimento strutturale, per cui la misura cautelare resta vigente nonostante la mancanza del giudizio di merito. E quindi a cosa serve la specifica misura cautelare? Il legislatore ha fatto, a riguardo, un discorso pragmatico non da tutti condiviso per cui vi sono delle misure cautelari di tipo anticipatorio che nell’immediato concedono un vantaggio, una tutela. Per cui, a detta del legislatore, se le parti “si accontentano” del provvedimento, posto che si tratti di una tutela di serie B mancando un giudizio di merito vero e proprio che potrebbe essere avviato, un domani, dalla controparte, il giudizio di merito può anche non essere necessario. L’art. 669 novies c.p.c. si occupa dei casi in cui la misura cautelare perde di efficacia, uno di questi è ovviamente quando essa è stata concessa ante causa e poi non è stato avviato processo di merito, posto che si tratti di misure conservative, oppure ancora se pendente il giudizio di merito questo dovesse estinguersi. La medesima cosa vale per i procedimento anticipatori. Caso abbastanza evidente di inefficacia della misura cautelare lo abbiamo quando il giudizio di merito dichiara il diritto inesistente. Altri casi di inefficacia del giudizio cautelare si ricollega alla possibilità che il giudizio di merito dipendano da un giudice straniero, o di arbitrato. Diverso dall’istituto dell’inefficacia, ai sensi dell’art. 669 decies c.p.c.,è quello della revoca e modifica, richiedibili al giudice di merito in corso di giudizio se si verificano mutamenti delle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui sia acquisita conoscenza in seguito al provvedimento cautelare. Al comma 2 il legislatore si occupa anche dei procedimenti anticipatori, per cui quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies, possono essere chieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza in seguito al provvedimento cautelare. In tale caso l’istanza deve fornire la prova del momento in cui la parte ne è venuta a conoscenza. I due istituti del reclamo e della revoca e modifica vanno comunque coordinati nonostante la competenza dei giudici sia diversa. Al comma 4 dell’art. 669 terdecies c.p.c. leggiamo che se il giudizio di reclamo è stato avviato si fanno valere i motivi di revoca e modifica nel medesimo procedimento. Ultima norma da osservare è l’art. 669 duodecies c.p.c. relativamente l’attuazione; il legislatore ha stabilito due norme diverse a seconda del contenuto della misura cautelare. Salvo quanto disposto dagli artt. 677 ss. in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli artt. 491 ss. in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice ce ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà co ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito. di 57 116 conseguenza il processo di concluderà con la mancata possibilità di tutelare il possesso perché è vero che Tizio è stato spogliato del bene, ma il primo è proprietario e di conseguenza si configurerebbe l’autotutela, ovvero la situazione che il legislatore vuole evitare. Il diritto di proprietà può essere fatto valere solo dopo che il giudizio si è concluso e la tutela del diritto possessorio è stata eseguita. La norma non prevede un divieto generalizzato di cumulo di azione possessoria e di azione petitoria, ma che il convenuto agisca contemporaneamente, come abbiamo osservato, in petitorio e possessorio. Al comma 2 dell’art. 705 c.p.c. leggiamo che il convenuto può tuttavia proporre il giudizio petitorio quando dimostra che l’esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell’attore (la Corte Costituzionale, comunque, ha dichiarato illegittima la norma esaminata nel caso in cui se, eseguendo il diritto possessorio, si determina una situazione di irreparabilità nei confronti di colui che un domani vuole agire in petitorio). Andiamo adesso ad occuparci di un ultimo argomento che veniamo ad affrontare perché è propedeutico al processo di famiglia ed in particolare i giudizi di separazione e divorzio; il tema della cosiddetta giurisdizione volontaria. Si tratta di un tema concettualmente complesso. Come detto svariate volte lo scopo della giurisdizione è la realizzazione dei diritti, motivo per cui essa si articola in varie tipologie di attività. Sappiamo anche che esiste un secondo tipo di attività giurisdizionale che deve essere messa in contrapposizione con la giurisdizione contenziosa, in cui vi è un diritto leso o violato; la giurisdizione volontaria concerne, invece, dei casi nei quali il legislatore ha affidato al giudice un compito che non è quello di risolvere una controversia, di realizzare un diritto. Il giudice viene chiamato a svolgere un’attività che non è la sua attività istituzionale tipica. Il giudice si vede affidati dei compiti di gestione e amministrazione di interessi privati, che il legislatore avrebbe potuto affidare anche a dei soggetti che non sono giudici poichè non si tratta di amministrare una controversia, ma che sulla base di una valutazione politica ed istituzionale egli ha ritenuto opportuno affidare al giudice. Si parla anche di giurisdizione costituzionalmente non necessaria, equivalente per l’appunto alla giurisdizione volontaria. Le fattispecie di giurisdizione volontaria sono numerosissime, e variano nei contenuti; ad esempio abbiamo dei provvedimenti che integrano fattispecie costitutive di negozi privati, ad es. delle autorizzazioni a compiere degli atti negoziali concesse a rappresentanti di minori o incapaci, come disciplinato dall’art. 320 c.c., oppure ancora dei provvedimenti di nomina di rappresentanti minori o incapaci, come disciplinato dall’art. 404 c.c., rubricato per l’appunto “Amministrazione di sostegno”. Un procedimento applicabile in caso di giurisdizione volontaria è il procedimento di separazione consensuale dei coniugi, in cui la sola volontà delle parti non è sufficiente per cui è necessario che il giudice, pur non decidendo la controversia essendo i coniugi d’accordo alle condizioni della di 60 116 29 29. Dalila Di Virgilio 26 marzo 2024 alle ore 11:21:35 E cioè cognitiva, esecutiva e cautelare. separazione, vada ad omologare l’accordo, specie quando vi siano dei minori; egli controlla che l’accordo non vada a ledere degli interessi dei minori coinvolti. Diverso è il caso della separazione giudiziale, in cui è necessaria, al contrario, la giurisdizione contenziosa. Quando il giudice è chiamato a svolgere attività di giurisdizione volontaria è del tutto evidente che le regole applicabili al procedimento che si svolge di fronte a lui non possono essere le medesime del processo di cognizione, la materia è differente poichè non si tratta di discutere se c’è o meno un diritto. Il legislatore ha disciplinato una giurisdizione apposita, che va dagli artt. 737 ss. c.p.c., che comprendono delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio. Deve essere tenuto presente che in nessuna parte del c.p.c. si parla di giurisdizione volontaria, essendo un’espressione utilizzata nella prassi, ed infatti il legislatore predilige utilizzare i termini “camera di consiglio”. Spesso le cause di giurisdizione volontaria dettano esse stesse delle norme procedimentali. L’atto introduttivo, ai sensi dell’art. 737 c.p.c., è un ricorso da richiedere al giudice competente; a questo punto, relativamente il ricorso, ci si rifà alle norme generali. Trattandosi di giurisdizione volontaria non è necessario il patrocinio del difensore. La norma non dice chi sono i soggetti legittimati a proporre ricorso, ma questo va osservato caso per caso nel proporre i procedimenti; il medesimo discorso si fa per il giudice competente. Ai sensi dell’art. 738 c.p.c. capiamo, anzitutto, che il procedimento è quanto di più deformalizzato, proprio perché è molto più semplice rispetto a un procedimento cautelare; il giudice può assumere informazioni senza tener conto delle norme riguardo l’istruzione probatoria. Il provvedimento finale è un decreto motivato, cioè quel provvedimento assunto dal giudice senza contraddittorio. Ai sensi dell’art. 739 c.p.c., avverso il decreto motivato assunto dal giudice si può comunque proporre reclamo se si ritiene scorretta la valutazione del giudice. Il reclamo avverso il provvedimento del giudice singolo viene proposto mediante ricorso al tribunale che si pronuncia sempre in camera di consiglio; il termine previsto per fare il reclamo è di dieci giorni. Norma centrale è l’art. 741 c.p.c., per cui i decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini che abbiamo osservato, senza che sia stato proposto reclamo. Leggiamo poi che se vi sono ragioni di urgenza, il giudice può tuttavia disporre che il decreto abbia efficacia immediata. Importante è, poi, l’art. 742 c.p.c. che ci spiega che i decreti resi al termine dei procedimenti di giurisdizione volontaria possono essere revocati o modificati in ogni tempo; vi è una caratteristica differente dai normali procedimenti di cognizione, in cui il provvedimento finale è assolutamente decisivo. Ovviamente si mantengono invariati i diritti assunti da terzi. Scaduto il termine per fare il reclamo esso non può essere contestato, ma si può agire ai fini di una revoca o di una modifica, impugnato in sede contenziosa di un ordinario processo di cognizione. Un tema di grande rilevanza è quello della cosiddetta cameralizzazione della tutela dei diritti. Di che cosa si tratta? Sappiamo che il problema fondamentale del legislatore è legato all’eccessiva durata del processo civile. Talvolta è capitato che il legislatore abbia deciso di applicare le norme di 61 116 del procedimento in camera di consiglio per talune controversie. Il provvedimento finale, però, deve essere comunque assolutamente impugnabile in Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 111 C. Il sistema che ne scaturisce non è conforme alla Costituzione, perché il grado non è di cognizione piena ed esauriente, per cui esso è stato ampiamente criticato. Per cui bisogna tenere presente che la tutela camerale dei diritti, o cameralizzazione dei diritti, allude proprio al fenomeno che abbiamo appena esaminato; una scorciatoia che il legislatore utilizza per avere dei processi più rapidi. Appunti 04/04/24 La riforma Cartabia ha introdotto un unico procedimento per tutte le cause in materia di persone, minori e famiglie, disciplinato dal titolo IV bis, prima contenuto in una molteplicità di riti. La numerazione degli artt. é particolare, perché il legislatore ha utilizzato la numerazione ripetuta. Come è organizzata la disciplina del nuovo rito unitario? Abbiamo un primo capo dedicato alle disposizioni generali, segue poi un secondo capo centrale, che contiene per l'appunto la disciplina del procedimento; la sez. prima dedicata al primo grado, la sez. seconda all'appello, la sez. terza all'attuazione del provvedimento. Vi è poi un terzo capo dove si hanno una serie di norme speciali, nel senso che in suddetta materia vi è un procedimento unitario che, però, a causa delle varie controversie, incontra una serie di regole speciali. Il che significa che in presenza di una causa sottoposta a questo rito, per l'individuazione in concreto della disciplina procedimentale da applicare alla medesima causa bisognerà mettere insieme le norme generali del rito in questione con le norme speciali dedicate alla particolare causa. Prima di analizzare la disciplina di questi procedimenti va detto che la materia di separazione e divorzio è una materia che, per quanto riguarda i procedimenti, esige necessariamente di avere le idee molto chiare su quel che è la sostanza dei procedimenti stessi; bisogna avere le idee chiare su quelli che sono i presupposti sostanziali dei giudizi di separazione e divorzio. Separazione e divorzio vanno ad incidere sul rapporto matrimoniale, per effetto della separazione cambiano, infatti, i diritti ed i doveri dei coniugi. La separazione non è una sentenza, il processo conduce al venir meno del vincolo matrimoniale, ma ne modifica i diritti e doveri fermo restando il matrimonio tra i coniugi. Differentemente, in caso di divorzio, vi è il venir meno del vincolo matrimoniale. Relativamente la tutela cognitiva la separazione da luogo ad un giudizio costitutivo di tipo modificativo, fermo restando che le azioni costitutive possono essere costitutive in senso stretto, modificative, estintive. Il divorzio è un processo cognitivo di tipo estintivo. Osserviamo, adesso, per quel che concerne la separazione nel nostro sistema, quindi gli elementi sostanziali e processuali sono intrinsecamente legati l'uno all'altro, prevede due tipi di separazione di 62 116 30 31 30. Dalila Di Virgilio 26 marzo 2024 alle ore 11:56:01 Tutti devono avere diritto ad almeno un grado di giudizio di cognizione piena ed esauriente. 31. Dalila Di Virgilio 4 aprile 2024 alle ore 10:34:14 Vanno a modificare la situazione sostanziale. relativamente la sentenza passata in giudicato di separazione che abbiamo menzionato in precedenza. Vi è, quindi, un procedimento uguale sia per separazione giudiziale che per divorzio, così come e identico il procedimento (salvo alcune eccezioni), tra separazione consensuale e divorzio su domanda congiunta. A seguito della riforma Cartabia abbiamo avuto una semplificazione di questi procedimenti, fermo restando una certa indeterminazione su questi procedimenti che in altri Paesi non esistono, ed infatti da più parti si era auspicato un superamento della separazione, tuttavia il legislatore non ha voluto spingersi fino a questo punto vista l'importanza culturale del matrimonio in Italia. Ricordiamo che le norme procedimentali oggetto di studio, del nuovo rito uniforme unite alle norme speciali, non valgono soltanto per separazione e divorzio ma valgono anche per lo scioglimento dell'unione civile. Appunti 08/04/24 Il procedimento è strutturato in tre fasi, cui una prima fase introduttiva che si apre con ricorso, essa può prevedere l’adozione, inaudita altera parte, di provvedimenti indifferibili nell’interesse dei figli e delle parti, e si conclude con il deposito della comparsa del convenuto. Una seconda fase di trattazione e istruzione che inizia con un serrato scambio di atti introduttivi, prosegue con l’udienza di comparizione personale delle parti, l’eventuale adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei figli e delle parti e l’assunzione delle prove. Una terza fase che è quella decisoria, preceduta da uno scambio di scritti conclusionali delle cadenze simili a quelle del processo di cognizione ordinario, cui segue un’udienza di rimessione della causa in decisione e il successivo deposito della sentenza. Importante è la disciplina dei poteri del giudice; normalmente nel processo di cognizione il giudice ha un limitato potere sia di assumere provvedimenti non richiesti dalle parti, proprio come stabilisce l’art. 112 c.p.c. secondo cui, appunto, il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti. L’art. 473 bis 1 c.p.c., afferma che a tutela dei minori il giudice può d’ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’art. 112 c.p.c. e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria; suddetti provvedimenti “opportuni” sono sia i provvedimenti indifferibili che i provvedimenti temporanei ed urgenti. Altra importante norma è prevista dall’art. 473 bis 2 c.p.c., relativamente i poteri del giudice per cui con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini di 65 116 su redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria. Il potere tipico di questa tipologia di procedimento è il potere del giudice di informare le parti di ricorrere alla mediazione familiare, ovvero un procedimento extra-giudiziario che supporta i coniugi nella risoluzione della propria controversia, senza ricorrere al giudice. Abbiamo poi un altro potere, e cioè il potere di ascolto del minore, attuabile in tutti i procedimenti in cui si discute di provvedimenti che concernono il minore esso deve essere sentito una volta superati gli anni dodici, ed anche prima se il minore in questione è già capace di discernimento. Questo dovere deve essere bilanciato con la necessità che quest’ascolto di minore non crei, invece, situazioni negative; il giudice può infatti decidere di non ascoltare il minore, dandone atto con un provvedimento motivato. Va tenuto presente che se il giudice non rispetta questo dovere che grava su di lui la sentenza che dovrebbe emanare, il provvedimento ne sarà viziato. Ci sono delle prescrizioni volte a garantire che l’ascolto del minore avvenga nelle modalità più idonee, ad es. il caso di un minore affetto da gravi fragilità. All’art. 473 bis 9 c.p.c., leggiamo le disposizioni in favore dei figli maggiorenni portatori di handicap grave; ai figli maggiorenni in questione, infatti, si applicano disposizioni in favore dei minori, in quanto compatibili. L’atto introduttivo con cui si avvia il procedimento è, di fatto, un ricorso. Esso ha contenuto tipico, salvo alcune particolarità legate alle peculiarità delle situazioni sostanziali oggetto del procedimento. Nel caso di specie bisogna osservare l’art. 473 bis 12 c.p.c., dove devono per esempio essere presenti i dati anagrafici dei figli comuni delle parti se minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, o ancora il ricorso deve indicare l’esistenza di altri procedimenti aventi ad oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande ad esse connesse. Ad esso è allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti. Vi sono poi ulteriori allegati da apporre al ricorso in caso di domande di contributo economico o in presenza di figli minori. L’ultimo comma dell’art. 473 bis 12 c.p.c. ci spiega che nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extra-scolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente dovute. Arriviamo all’art. 473 bis 8 c.p.c., relativamente il dovere di leale collaborazione, per cui il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del comma 2 dell’art. 116, nonché ai sensi del comma 1 dell’art. 92 e dell’art. 96. L’art. 473 bis 48 c.p.c. sembra introdurre una disciplina particolare, ed infatti relativamente le produzioni documentali leggiamo che, nei procedimenti in esame, al ricorso e alla comparsa di di 66 116 costituzione e risposta è sempre allegata la documentazione prevista dall’art. 473 bis 12, comma 3, che abbiamo osservato precedentemente. Le parti, dunque sono tenute alla trasparenza sulle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali. Osserviamo, ora, le norme relative alla competenza. La regola generale, prevista all’art. 473 bis 11 c.p.c., leggiamo che ad essere competente è il tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale. In mancanza del minore valgono le norme che già conosciamo, come stabilito dal comma 2 del presente articolo. Se vi è stato trasferimento del minore non autorizzato e non ne è decorso un anno, è competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore del trasferimento. All’art. 473 bis 47 c.p.c. leggiamo che per le domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni, è competente il tribunale individuato ai sensi dell’art. 473 bis 11, comma 1. In mancanza dei figli minori, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. In caso di irreperibilità o residenza all’estero del convenuto, è competente il tribunale del luogo di residenza dell’attore o, nel caso in cui l’attore sia residente all’estero, qualunque tribunale della Repubblica. Relativamente la composizione dell’organo giudicante leggiamo, all’art. 473 bis 1 c.p.c., salvo che la legge disponga diversamente, il tribunale giudica in composizione collegiale e la trattazione e l’istruzione in composizione collegiale e la trattazione e l’istruzione possono essere delegate a uni dei componenti del collegio. Il ricorso deve essere presentato assieme ai vari documenti, fermo restando che il presidente deve sempre designare il relatore poichè egli studierà in modo approfondito la causa facendone una relazione. A questo relatore potrebbe essere affidata la trattazione del procedimento, e fissa l’udienza di comparizione. Insieme alla fissazione dell’udienza di comparizione il presidente deve anche fissare il termine ed assegnare al convenuto il termine per costituirsi in giudizio. Tra il giorno di deposito del ricorso e l’udienza non devono decorre più di 90 giorni. Il presidente con decreto informa il convenuto delle decadenze in cui incorre costituendosi oltre il suddetto termine. Il ricorso, unitamente al decreto apposto dal giudice sul ricorso, vengono notificati al convenuto a cura dell’attore. All’art. 473 bis 15 c.p.c. leggiamo dei provvedimenti indifferibili; in caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti, il presidente o il giudice da lui delegato, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell’interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte, delle parti. Con il medesimo decreto fissa entro i successivi quindici giorni l’udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati con il decreto, assegnando all’istante un termine perentorio per la notifica. di 67 116 sommarie informazioni, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli. Quando pone a carico delle parti l’obbligo di versare un contenuto economico, il giudice determina la data di decorrenza del provvedimento, con facoltà di farla retroagire fino alla data della domanda. Allo stesso modo provvede se una delle parti non compare senza giustificato motivo. Qual è la necessità di questi provvedimenti temporanei ed urgenti? Che, siccome le parti non si sono conciliate ed occorre un processo di separazione o divorzio che rischia di essere prolisso, è necessario che nell’attesa il rapporto tra i coniugi e tra i coniugi ed i figli venga ad essere disciplinato. I provvedimenti temporanei ed urgenti hanno contenuto diverso a seconda della situazione, ad es. autorizzazioni a vivere separati, affidamento della prole, determinazione di un assegno di mantenimento, assegnazione della casa coniugale. Notiamo che nella norma si parla genericamente di figli, per cui si parla anche dei figli eventualmente maggiorenni e non economicamente autosufficienti, per cui non solo i minori, il che comunque crea un problema perché ogni qual volta che la legge parla di figli maggiorenni non autonomi dal punto di vista economico, essi vengono equiparati ai coniugi. L’ordinanza emanata al giudice di cui leggiamo al comma 1 dell’art. 473 bis 22 c.p.c., è un titolo esecutivo, è titolo per iscrivere ipoteca giudiziale (in caso di provvedimento economico), ed in caso di estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento, conserva la sua efficacia. Ravvisiamo, quindi, una disciplina analoga a quella delle misure cautelari di tipo anticipatorio che, come sappiamo, possono sopravvivere all’estinzione del processo. In realtà una previsione del genere già esisteva, perché proprio l’esperienza di questi provvedimenti temporanei ed urgenti è alla base della riforma del 2005; cosa accadeva, infatti? Che il presidente del tribunale, prima che si svolgesse il processo, emanava questi provvedimenti temporanei e urgenti che andavano a trovare un assetto temporaneo tra i coniugi ed i figli, in qualche modo soddisfacente.Suddetti provvedimenti temporanei ed urgenti, destinati a regolare per anni la vita dei coniugi e quindi importanti, sono sottoposti alla medesima disciplina dei provvedimenti cautelari per quel che concerne i singoli controlli. I provvedimenti temporanei ed urgenti possono essere modificati o revocati dal collegio o dal giudice delegato in presenza di fatti sopravvenuti o nuovi accertamenti istruttori; non hanno la funzione di andare a censurare l’operato del giudice, per cui la richiesta di revoca o modifica può essere richiesta allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento. E’ anche possibile il reclamo, lo strumento col quale si va a contestare la decisione del giudice, criticando la mancanza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. Il reclamo si propone dinanzi la corte d’appello. Il comma 2 dell’art. 473 bis 24 c.p.c. concerne un problema abbastanza delicato, e cioè abbiamo osservato in precedenza che il provvedimento che viene dato in sede di udienza da parte del giudice può, nel corso del giudizio di merito, modificato o revocato. Quindi il quesito è, ma se il provvedimento dovesse essere modificato nel corso del giudizio di merito, il provvedimento di 70 116 modificato può essere oggetto di reclamo? Il legislatore ci spiega che solo alcuni provvedimenti possono essere oggetto di reclamo se emanati nel corso del procedimento, ed è altresì ammesso reclamo contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa, ma solo relativamente quelli che sospendono o introducono limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche all’affidamento e alla collocazione del minore. Il legislatore ha quindi voluto riservare la possibilità del reclamo ai provvedimenti più gravi, che incidono in modo più significativo. Il reclamo deve essere proposto nel termine brevissimo di dieci giorni, ed eventuali circostanze sopravvenute sono dedotte davanti al giudice di merito, quindi differentemente da quanto accade per il procedimento cautelare. Infine molto ma molto importante è la previsione di cui all’ultimo comma, il 7 dell’art. 473 bis 24 c.p.c., per cui avverso i provvedimenti di reclamo pronunciati nei casi di cui al comma 2, è ammesso ricorso straordinario per Cassazione, di cui all’art. 111 C. I provvedimenti in questione non hanno quindi questa caratteristica, di essere impugnabili in Cassazione perché non sono idonei al giudicato, come invece dovrebbero essere seguendo l’art. 111 C. I provvedimenti che vanno ad incidere in modo significativo, però, possono essere oggetto di ricorso straordinario in Cassazione. L’art. 473 bis 50 c.p.c. ci dice che quando il giudice provvede con l’emanazione dei provvedimenti temporanei ed urgenti deve indicare ai coniugi anche le informazioni che ciascun coniuge deve comunicare all’altro, e può formulare una proposta di piano genitoriale, tenendo conto di quelli che sono stati i piani genitoriali allegati dalle parti. Se il piano viene approvato e non dovesse essere rispettato, ci sono delle sanzioni. I provvedimenti temporanei ed urgenti, quindi, vengono concessi ed emanati dal giudice. Che vi sia o meno conciliazione, occorre che vi sia il processo vero e proprio con attività istruttoria per cui il giudice da immediatamente i provvedimenti relativamente l’attività istruttoria. Il giudice, con ordinanza, provvede sulle richieste istruttorie e predispone il calendario del processo, fissando entro i successivi novanta giorni l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi. Potrebbe anche non esserci alcuna fase istruttoria, perché magari la causa è già matura, per cui il giudice ordina la discussione della causa nella stessa udienza Impostante, poi, una previsione relativa la sentenza della sentenza di separazione non definitiva, o parziale. Con immediata rimessione della causa in decisione da parte del giudice si procede quando può essere decisa la causa sullo stato delle persone, ed allo stesso modo è ammesso solo appello immediato. Appunti 11/04/24 di 71 116 All’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 473 bis 22 c.p.c. leggiamo, relativamente i provvedimenti del giudice, che allo stesso modo si procede quando può essere decisa la domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento deve continuare per la definizione delle ulteriori domanda. Contro la sentenza che decide sullo stato delle persone è ammesso solo appello immediato. Il legislatore prevede, come provvedimento, una sentenza non definitiva. La norma prevede appello immediato, senza possibilità, quindi, di fare la riserva. Perché c’è questa regola particolare? La norma vale non solo per lo stato di separazione, comunque, ma per tutti gli altri giudizi che hanno ad oggetto lo stato delle persone vale la medesima regola. La spiegazione dei manuali è che, non prevedendo la possibilità della riserva, la conseguenza sarà un’accelerazione della formazione del giudicato sulla sentenza. Facendo riserva, invece, chiaramente i tempi sono destinati ad allungarsi. Quindi il legislatore ha deciso per l’opzione di cui sopra in virtù dell’esigenza generale di maggiore certezza giuridica sullo stato delle persone che ha comunque rilevanza. Va comunque detto che in questo caso il legislatore altro non ha fatto che produrre per tutte queste controversie una noma che originariamente era prevista solo in ambito di separazione e che, proprio in quest’ambito, ha particolare importanza, aiutando anche a comprendere al meglio la norma. L’ipotesi più frequente in cui si chiede la fattispecie di divorzio è avere una sentenza di separazione passata in giudicato, con decorso di 12 mesi dall’udienza di separazione. Cosa si temeva, quindi, in passato? Qual era il motivo di introdurre la previsione di cui sopra nel giudizio di separazione? Premesso che sia improbabile che il giudice rigetti la domanda di separazione, il processo procedeva per decidere sul contenzioso tra le parti. La norma, in tema di separazioni, avrebbe potuto prestarsi a delle strumentalizzazioni (ad es., richiesta di separazione, per ottenere il divorzio ed in seguito risposarsi e ciò rileva in tema di assegno di mantenimento anche per i figli, di conseguenza si potrebbe arrivare al ricatto della controparte. Con riserva, infatti, la sentenza di separazione non passa in giudicato dal momento in cui i tempi si allungano ed il processo va avanti, a meno che abusando dello strumento processuale non si richieda, appunto, l’assegno coniugale. Il fine, quindi, sono le richieste dal punto di vista economico). La logica del legislatore sta nel fatto che egli è consapevole che, nella dinamica di controversie in tema di separazione, possono instaurarsi dei meccanismi volti ad inasprire ulteriormente il contenzioso tra le parti in tema di processualità, non si tratta soltanto di un’esigenza in tema di certezza dei rapporti giuridici. Nei processi di separazione, divorzio e che hanno ad oggetto controversie in materia di minori e famiglie si può far ricorso a tutti i mezzi di prova previsti dal sistema, tra cui la consulenza tecnica. La consulenza tecnica in questione, detta psicologica o d’ufficio, assume particolare rilevanza vista la necessità frequente di valutare le condizioni psicologiche dei genitori in relazione ai figli o, addirittura, la situazione psicologica dei figli. di 72 116 Particolare è la previsione del comma 3 per cui il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all’adempimento, può chiedere al giudice che sia autorizzato il sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore. Non si tratta di sequestro conservativo o giudiziario, posto che sia uno che l’altro vengono chiesti in funzione del giudizio di merito che prevede la condanna; una misura cautelare. Secondo la disciplina del comma 3 il sequestro citato non è una misura cautelare, ma conservativa. Al comma 4 qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti; la logica è spingere ad adempiere; al comma 5 i provvedimenti di cui al comma 2, 3 e 4 sono richiesti al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, ai sensi dell’art. 473 bis 29. Caso frequente è previsto all’art. 473 bis 37 c.p.c., relativamente il pagamento diretto del terzo. Il creditore cui spetta la corrispondenza periodica del contributo in favore suo o della prole, dopo la costituzione in mora del debitore, inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento o l’accordo di negoziazione assistita in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al soggetto obbligato, con la richiesta di versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al debitore inadempiente, Il terzo è tenuto al pagamento dell’assegno dal mese successivo a quello in cui è stata effettuata la notificazione. Ove il terzio non adempia, il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovute. Qualora il credito dell’obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione, all’assegnazione e alla ripartizione delle somme tra l’avente diritto al contributo e gli altri creditori provvede il giudice dell’esecuzione, il quale tiene conto anche della natura e delle finalità dell’assegno. Se ci sono delle esigenze particolari legate a obblighi che abbiano contributo economico, sono ancor più particolari le obbligazioni a contenuto personale; bisogna pensare agli obblighi particolarissimi in questi provvedimenti, ad es. quelli relativi all’affidamento del minore. Chiaramente le misure dell’esecuzione forzata tradizionali sono del tutto insoddisfacenti, per cui vi sono norme ad hoc, particolari, come all’art. 473 bis 38 c.p.c. con cui si prevede ricorso al giudice il quale determinerà in concreto le modalità attuative da applicare, proprio perché i genitori potrebbero non essere d’accordo sulle modalità d’attuazione, appunto. L’extrema ratio è l’utilizzo della forza pubblica autorizzata soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla tutela della salute psicofisica del minore, con decreto motivato. L’art. 473 bis 39 c.p.c. è dettato prevalentemente per gli obblighi a contenuto personale ma riguarda anche le inadempienze di natura economica. In caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d’ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) individuare ai sensi dell’art. 614 bis (lo scopo è creare un danno economico allo scopo di spingere ad adempiere) la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o di 75 116 33 33. Dalila Di Virgilio 11 aprile 2024 alle ore 11:28:49 Modifiche dei provvedimenti o delle richieste. inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento; 3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di euro 75 ad un massimo di euro 5000 a favore della Cassa delle ammende. Nei casi di cui al comma 1, il giudice può inoltre condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari. Osserviamo, ora, una delle novità più importanti contenute nella disciplina del rito unitario e nei giudizi di separazione e divorzio. Fino alla riforma che osserveremo, i giudizi di separazione e divorzio si svolgevano separatamente. Quindi accadeva che dopo aver ottenuto istanza di separazione e trascorsi i 12 mesi dall’udienza, si potevano avere due processi poichè intanto, relativamente la separazione, vi erano ancora contenziosi da risolvere, mentre al contempo vi era richiesta di divorzio. Il legislatore ha, quindi, tentato di velocizzare il tutto, pur non essendo stato abbastanza coraggioso dall’unire i due processi come negli altri Paesi. E’ stata prevista la possibilità del cumulo delle domande di separazione e divorzio, per cui in un medesimo processo è possibile proporre si la domanda di separazione, che quella di divorzio. Chiaramente il legislatore specifica che la domanda di divorzio, pur potendo essere proposta subito, sarà procedibile soltanto una volta verificatisi i presupposti per il giudicato della separazione. La possibilità è quella di una domanda condizionata. Alcuni accertamenti di fatto rilevanti in ambedue i processi (ad es. gli accertamenti in ambito economico) possono agevolare, appunto, l’economia del processo. Alcuni accertamenti possono coincidere, ma i presupposti sono differenti. Si ritiene peraltro che non solo è possibile fare subito la domanda di divorzio, ma sono necessarie le istanze istruttorie immediatamente per cui la barriera preclusiva si forma anche se la domanda non è ancora procedibile (in realtà non è un’ipotesi normata, ma è auspicabile procedere come spiegato). L’art. 473 bis 49 c.p.c. abbiamo il cumulo delle domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, per cui al comma 1 negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domande di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Al comma 2 leggiamo che se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’art. 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’art. 473 bis 11 c.p.c., comma 1. Poi al comma 3 se i procedimenti di cui al comma 2 pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’art. 274. Al comma 4 la sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti. di 76 116 Sono state immaginate varie ipotesi; alcuni sostengono che nel momento in cui il giudice fa il calendario del processo di separazione dovrebbe già fissare l’udienza nella quale il giudizio deve proseguire nella domanda di divorzio, facendo una valutazione prognostica relativamente il passaggio in giudicato della sentenza di separazione ed i canonici mesi dalla prima udienza sempre di separazione. Altri ritengono che, invece, non debba essere un qualcosa che il giudice fa d’ufficio ma che, una volta maturate le ipotesi, sarà la parte a fare istanza per l’udienza di divorzio. Bisogna ricordare che accanto alla separazione giudiziale ed al divorzio contenzioso esistono la separazione consensuale ed il divorzio su domanda congiunta, cioè in entrambi i casi i coniugi cono d’accordo su come devono essere regolati i loro rapporti, tuttavia della domanda di divorzio congiunta è comunque necessario un accertamento del giudice. Non vi è un giudizio contenzioso in senso stretto, piuttosto un procedimento di tipica giurisdizione volontaria. Il procedimento su domanda congiunta è disciplinato dall’art. 473 bis 51 c.p.c., per cui al comma 1 la domanda congiunta relativa al procedimento di cui all’art. 473 bis 47 si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte; al comma 2 il ricorso è sottoscritto anche dalle parti e contiene le indicazioni di cui all’art. 473 bis 12, comma 1, n. 1), 2), 3) e 5), e comma 2, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’art. 473 bis 12, comma 3. Importante è che in caso di figli minori prevale però il criterio di competenza di cui all’art. 473 bis 11 . Leggiamo ancora, al comma 3, che a seguito del deposito, il presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all’art. 473 bis 12, comma 3. Al comma 4 il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato lo domanda. Infine il comma 5 per cui in caso di domanda congiunta di modifica delle condizioni inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del P.M., riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte. di 77 116 34 34. Dalila Di Virgilio 11 aprile 2024 alle ore 12:12:29 Il tribunale del luogo di residenza del minore. Al comma 5, lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari né la trascrizione della domanda giudiziale. Al comma 6 leggiamo che il comma 1 e l’articolo 5 quater non si applicano: - nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall'articolo 5 bis; - nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; - nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696 bis del codice di procedura civile; - nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, comma 3, del codice di procedura civile; - nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; - nei procedimenti in camera di consiglio; - nell'azione civile esercitata nel processo penale; - nell’azione inibitoria di cui all'articolo 37 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Il legislatore ha introdotto una norma ad hoc per il caso dell’opposizione per decreto ingiuntivo, art 5 bis. L’attore è chi ha proposto il decreto ingiuntivo. L’art. 5 quater recita che non solo le parti possono sempre ricorrere a questo procedimento ma lo stesso giudice dinanzi al quale è stato iniziato un processo può in qualunque momento imporre alle parti di fare un tentativo di mediazione. La mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. All’udienza di cui al primo comma quando la mediazione non risulta esperita il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale. L’art. 6 si occupa della durata della mediazione stabilendo che non può durare più di tre mesi, questo è molto importante perché quando sono condizioni di procedibilità si è soliti parlare di giurisdizione condizionata. La Corte Costituzionale afferma che è legittimo subordinare la giurisdizione a dei previ tentativi di conciliazione purché il tempo della mediazione e della compilazione non sia eccessivo, poi quest’obbligo preliminare deve avere una sua funzione, lo scopo deve essere quello di risolvere, senza ricorre al giudizio con minori costi. Relativamente la mediazione, l’art. 3 stabilisce la disciplina applicabile e la forma degli atti: 1) al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 8; 2) il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9 nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità, l’indipendenza e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico; 3) gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità; di 80 116 4) la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo, nel rispetto dell’articolo 8 bis. L’art. 4 disciplina l’accesso alla mediazione: 1) La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è depositata da una delle parti presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. La competenza dell’organismo è derogabile su accordo delle parti. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito. 2) la domanda di mediazione deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa; 3) all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione. L’art. 8 è relativo al procedimento: 1) all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura, e la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell'organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari; 2) dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può a tal fine comunicare all'altra parte la domanda di mediazione già presentata all'organismo di mediazione, fermo l'obbligo dell'organismo di procedere ai sensi del comma 1. 3) Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo; (la legge non entra nel dettaglio di ciò che deve fare il mediatore, questo rientra nelle competenze del singolo mediatore, in che modo poi si arriva a un accordo) di 81 116 4) le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne da atto a verbale. 5) nei casi previsti dall'articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati; 6) al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. Del primo incontro è redatto, a cura del mediatore, verbale sottoscritto da tutti i partecipanti. 7) il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell'organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell'esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all'articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell'articolo 116, comma 1, del codice di procedura civile. L’art. 9 è relativo il dovere di riservatezza, per cui: 1) chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o partecipa al procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo; 2) rispetto alle dichiarazioni rese alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti. L’art. 10 concerne l’inutilizzabilità del segreto professionale; il segreto professionale è abbastanza rilevante e ciò perché uno dei problemi che rendono difficile il successo dell’istituto è dato proprio dall’esperienza che ci dice che se una trattativa tra le parti può avere una speranza di arrivare ad un esito positivo è necessario che ci sia la possibilità delle medesime di parlare liberamente. Il legislatore cerca di creare un diaframma tra i due momenti, stabilendo che tutto quello che si dice nella causa non si può usare nel giudizio successivo. L’art. 11 giunge alla conclusione, l’esito sperato è quindi l’accordo di conciliazione, si fa un verbale di conciliazione e di accordo. Quando l’accordo non è raggiunto il conciliatore può formulare un accordo di conciliazione da allegare al verbale. Il conciliatore può dar conto di aver fatto una proposta conciliativa che le parti o la parte non hanno voluto accettare. Se il giudizio ha un esito simile allora chi ha rifiutato l’accordo può essere condannato a pagare le spese. Il verbale viene depositato presso l’organismo. Se si tratta di un accordo di un diritto dove vigono le regole della trascrizione occorre l’autenticazione di un pubblico ufficiale. di 82 116 Cosa intendiamo, però, per rapporto di lavoro subordinato? Si rinvia alla necessità che vi siano i poteri direttivi, organizzativi e disciplinari nei confronti dei lavoratori, per cui è una questione di merito di cui si può discutere sulla presenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato. E’ da tener conto che i rapporti di lavoro subordinato non sono prettamente legati all’esercizio di un’impresa, motivo per cui ciò viene anche specificato nell’art. sopracitato (ad es. il lavoro domestico, o il lavoro sportivo, il lavoro che si svolge presso soggetti non imprenditori). Va detto che il rito del lavoro si applica a tutte le controversie specificate a prescindere, indipendentemente quindi, da chi sia l’attore, anche se normalmente si pensa che sia il lavoratore ad agire, ma ciò non preclude la possibilità che a farlo sia il datore di lavoro che vuol far valere una violazione da arte del lavoratore. Al comma 2 vi è una formula concernente i rapporti agrari partecipativi e cioè la mezzadria, la colonia parziaria, la compartecipazione. In realtà questi casi si differenziano dal rapporto di subordinazione poichè nei rapporti associativi agrari il legame è di associazione tra le due parti. C’è anche la possibilità di altri contratti agrari in cui, però, vi è il vincolo di subordinazione. Al comma 3 vi è un tipo di rapporto particolare, il cosiddetto rapporto di para-subordinazione e cioè i rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa. Il comma 4, invece, menziona i rapporti di lavoro di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica. Diciamo che questa previsione che riguarda comunque i casi di lavoro subordinato è in qualche modo una previsione che ha perso importanza poichè tutto il settore del pubblico impiego è ormai passato alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre in passato il pubblico impiego era nella giurisdizione del giudice amministrativo (motivo per cui la norma prevedeva il comma 4). Il comma 5 parla dei rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempre che non siano devoluti dalla legge ad altro giudice; anche in questo caso, naturalmente, si tratta di rapporti di lavoro subordinato. Quando si parla di controversie relative ad uno dei rapporti analizzati, vuol dire sicuramente che si tratta di una controversia in cui si discute direttamente dell’esistenza e della qualificazione del rapporto del caso di specie. Si ha una controversia relativa ai suddetti rapporti anche tutte le volte in cui si fa valere un diritto che ha origine, dipende dal rapporto di lavoro, e quindi anche i casi in cui i titolari di questi diritti siano soggetti diversi dai soggetti dei rapporto di lavoro (ad es. una controversia relativamente una successione mortis causa nel credito derivante da un rapporto di lavoro; rientra quindi nell’art. 409 c.p.c., anche se ad agire è colui che risulta cessionario del credito o che è succeduto mortis causa nel credito, che non è sicuramente il lavoratore). Nel processo del lavoro è prevista la possibilità di far precedere l’avvio del processo da un tentativo di conciliazione; in passato ciò era obbligatorio, tuttavia in linea con quanto accaduto anche nel rito ordinario si è arrivati alla conclusione che fosse, alle volte, controproducente. di 85 116 35 35. Dalila Di Virgilio 23 aprile 2024 alle ore 20:50:31 Tre presupposti. Il tentativo di conciliazione è, però, sottoposto ad una particolare disciplina, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., per cui esiste un apposito organismo, ovvero la commissione di conciliazione; come osservato anche nel caso della mediazione e della negoziazione assistita, il tentativo di conciliazione ha un effetto interruttivo della prescrizione e sospensivo della stessa. L’art. 410 c.p.c. disciplina nel dettaglio la commissione di conciliazione, spiegandoci come si composta e la sua articolazione territoriale. La richiesta di conciliazione deve essere fatta dalla parte istante, mandata poi alla controparte e si tratta di una richiesta molto semplice nella quale viene illustrata la materia del contendere, tuttavia la controparte può rifiutare la procedura di conciliazione. Viceversa la controparte dovrà presentare presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia, una memoria contenente le difese e le eccezioni. Si sviluppa, quindi, con le varie richieste una comparizione delle parti dinanzi la commissione di conciliazione con la possibilità che quest’ultima riesca a mettere d’accordo le parti predisponendo, quindi, un verbale di conciliazione, sottoposto poi al controllo del giudice e che diviene un titolo esecutivo. Chiaramente se la conciliazione non riesce si avvia il giudizio, dove servirà depositare anche la documentazione relativa al tentativo di conciliazione poichè bisognerà applicare la regola per cui a seguito della proposta di conciliazione che non è stata accettata, se il giudizio dovesse avere un esito non superiore a quella che era stata la proposta conciliativa, vi possono essere delle conseguenze dal punto di vista delle spese. Per quanto riguarda la competenza verticale la regola è abbastanza semplice perché non vi è mai competenza del giudice di pace, ma soltanto del tribunale in funzione del giudice del lavoro. Esiste una speciale sezione agraria all’interno del tribunale. Il tribunale decide in composizione monocratica. Relativamente la competenza orizzontale il legislatore prevede una serie di fori concorrenti, ed infatti ai sensi dell’art. 413 c.p.c. leggiamo che competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto di lavoro ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. I fori menzionati sono speciali ed esclusivi; che significa? Normalmente i fori indicati nel codice, se non è specificato nulla, essi si aggiungono a quelli previsti dagli artt. 18 e 19 c.p.c.; nel suddetto caso vi sono solo i tre fori. L’art. 413 c.p.c. ci spiega chiaramente che le norme di competenza sono delle regole inderogabili. Per quale motivo il legislatore ha voluto individuare i tre fori già menzionati? Perché il processo del lavoro è un processo che nasce fondamentalmente per cercare di agevolare la tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore e diminuire quella che è la differenza di potere economico tra il lavoratore ed il datore di lavoro, ed essendo il lavoratore ad agire, solitamente, in questo tipo di controversia, si sono individuati dei criteri di competenza favorevoli allo stesso. Per quel che concerne l’incompetenza bisogna distinguere l’incompetenza cosiddetta per materia o per valore, quindi quella verticale del tribunale per il quale non abbiamo una norma ad hoc, quindi di 86 116 valgono le regole già osservate e previste all’art. 38 c.p.c., mentre relativamente la competenza orizzontale l’art. 428 c.p.c. stabilisce che l’incompetenza per territorio deve essere eccepita dal convenuto necessariamente nella memoria difensiva tempestivamente depositata, il giudice deve farlo nella prima udienza. Andiamo adesso a studiare quelli che sono gli atti introduttivi del processo del lavoro ricordando che l’atto introduttivo, comunque, per un processo di cognizione, ha sempre un certo contenuto. Nel ricorso del processo del lavoro si dovrà, innanzitutto, fare la domanda giudiziale e quindi chiedere la tutela di un diritto previa attività di allegazione dei fatti, e cioè affermare i fatti che sono a fondamento della richiesta. Ovviamente bisogna fare anche le richieste istruttorie, e nel rito del lavoro relativamente ciò vi sono delle preclusioni particolari. La medesima cosa deve fare il convenuto con le mere difese, naturalmente. Il rito del lavoro è caratterizzato, rispetto a quello ordinario, per un sistema più rigido di istanze istruttorie. Originariamente, e quindi nel ’73, la differenza tra i due riti era molto più marcata perché il rito ordinario ai tempi non prevedeva un sistema molto articolato dal punto di vista delle preclusioni, mentre a partire dal ’90 i due riti si sono molto avvicinati. Ciò che, però, rimane differente, sono le istanze istruttorie, che nel rito del lavoro devono essere immediatamente fatte, altrimenti non potranno essere fatte successivamente. Osservando nel dettaglio i singoli atti e partendo dal ricorso, il ricorso del lavoro presenta la caratteristica tipica del ricorso come atto introduttivo; è un ricorso in cui non si cita a comparire ad udienza fissa. Il contatto c’è tra ricorrente e giudice, e poi con il convenuto, e non tra attore, convenuto e poi giudice. Qual è la vera differenza, per quale motivo si è scelto di fare un ricorso e non una citazione a udienza fissa? A tal proposito è utile ricostruire il ragionamento del legislatore nel ’73, posto che potrebbe anche non essere condivisibile. Egli, nella sua prospettiva iniziale, riteneva che il processo del lavoro dovesse essere quanto più veloce possibile dominato da oralità, concentrazione ed immediatezza. Si riteneva che fosse quindi opportuno che fosse il giudice, tenuto conto della propria agenda, del proprio calendario, a fissare la causa in modo tale da poterla comodamente studiare e decidere. La scelta ai tempi aveva una sua logica, tuttavia è bene sottolineare che anche in caso di citazione il giudice sposa l’udienza in base alla propria comodità, per cui il discorso fa un po’ acqua. Il contenuto del ricorso è posto all’art. 414 c.p.c., ma si tratta di un contenuto abbastanza simile a quello dell’atto di citazione; manca la vocatio in ius in senso stretto e l’indicazione della procura che comunque deve essere indicata poichè non si può agire senza il difensore. Il successivo art. 415 c.pc.. descrive ciò che accade dopo la redazione del ricorso ed il deposito, e sono elencati vari termini dal legislatore il cui scopo è accelerare il più possibile la fissazione dell’udienza, evitando però che questa avvenga in pregiudizio dei diritti di difesa delle parti. A di 87 116 giorni prima della data di udienza. La costituzione avviene mediante il deposito in cancelleria . Vi 5 sono delle decadenze simili a quelle presenti nel rito ordinario, per cui entro il termine dei 10 giorni bisogna proporre le domande riconvenzionali, le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio, etc., e di diverso rispetto al rito ordinario è che anche il convenuto, come il ricorrente, deve, nel proprio atto difensivo, non solo allegare a pena di decadenza i fatti che intende far valere, ma deve anche fare tutte le relative istanze istruttorie e su questo l’art. già citato, il 416 c.p.c., è estremamente esplicito. La decadenza riguarda non solo le istanze istruttorie, ma anche il deposito dei documenti, anche le prove che non esigono, poi, un’attività di assunzione, per cui non solo le prove costituende, ma anche le prove costituite. C’è una particolarità per ciò che concerne la domanda riconvenzionale. Nel processo del lavoro, ai sensi dell’art. 418 c.p.c. leggiamo che il convenuto che abbia proposto una domanda in via riconvenzionale a norma del comma 2 dell’art. 416 deve, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice che, a modifica del decreto di cui al comma 2 dell’art. 415, pronunci, non oltre 5 giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza. L’udienza, quindi, viene spostata in modo tale che l’attore nei precedenti 10 giorni possa difendersi come il convenuto. Al comma 2 leggiamo che tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l’udienza di discussione non devono decorrere più di 50 giorni. Al comma 3 il decreto che fissa l’udienza deve essere notificato all’attore, a cura dell’ufficio, unitamente alla memoria difensiva, entro 10 giorni dalla data in cui è stato pronunciato. Al comma 4 tra la data della notificazione all’attore del decreto pronunciato a norma del comma 1 e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 25 giorni. Perché abbiamo questa differenza? Non si tratta di un’esigenza in particolare. La ragione è legata all’idea che il legislatore vuole che il processo del lavoro si chiuda in prima udienza, per cui dando la possibilità di difendersi agli stessi modi del processo di cognizione, rispetto ad una domanda riconvenzionale, è molto probabile che l’udienza non sarà l’unica, per questo motivo il legislatore preferisce spostare l’udienza avendo modo, il giudice, di avere tutte le attività difensive delle parti. C’è una disciplina, poi, relativamente la costituzione e difesa personali delle parti ai sensi dell’art. 417 c.p.c., per cui leggiamo che in primo grado la parte può stare in giudizio personalmente quando il valore della causa non eccede gli euro 129,11. Rilevante è l’ipotesi dell’art. 417 bis c.p.c. per cui nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle P.A. di cui al comma 5 dell’art. 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti. Questa norma va, poi, coordinata con la regola generale secondo cui le amministrazioni statali stanno in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato. La legge ci dice che le amministrazioni dello Stato tramite un avvocato devono ricorrere all’avvocatura dello Stato, che ha la difesa delle stesse Sono in corso delle modificazioni poichè ad oggi il deposito avviene telematicamente, ad una mail 5 dell’ufficio giudiziario. di 90 116 amministrazioni statali proprio come compito. Nel caso citato all’art. 417 bis c.p.c., quindi, l’avvocatura dello Stato deve rinunciare a stare in giudizio, lasciando il posto al dipendente. Bisogna comunque tener conto che, pur essendo le amministrazioni statali delle P.A., non tutte lo sono. Al comma 2 leggiamo sostanzialmente che se l’amministrazione statale vuole iniziare un processo deve informare l’Avvocatura dello Stato, e quest’ultima, se ritiene che vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, determini di assumere direttamente la trattazione della causa dandone comunicazione ai competenti uffici dell’amministrazione interessata. Il ricorrente deve notificare l’atto introduttivo all’Avvocatura dello Stato. Nel processo del lavoro è possibile che ci siano gli interventi studiati ai sensi dell’art. 105 c.p.c., per cui non vi è una disciplina speciale relativamente i requisiti; è prevista, però, una disciplina molto rigida relativamente il termine entro il quale si può intervenire, ai sensi dell’art. 419 c.p.c., rubricato “Intervento volontario”, per cui salvo che sia effettuato per l’integrazione necessaria del contraddittorio, l’intervento del terzo ai sensi dell’art, 105 non può aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, con le modalità previste dagli artt. 414 e 416 in quanto applicabili. E’ intervenuta la Corte Costituzionale stabilendo che ci si possa costituire nel termine di costituzione de convenuto, ma il giudice deve fissare una nuova udienza in modo tale da dare a tutte le parti, e anche al convenuto, di prendere posizione. E’ possibile che vi sia anche l’intervento cosiddetto necessario, o coatto, anche su istanza di parte. Arriviamo all’udienza di discussione che è considerata dal legislatore il cuore del processo del lavoro, unica udienza nella quale il giudice ha già letto le memorie difensive delle parti, assunto i mezzi di prova e procedere alla decisione. Pur essendo questa l’idea originaria del legislatore, nella prassi non è esattamente così. La disciplina è stabilita dall’art. 420 c.p.c., tuttavia sembrerebbe mancare una fase preliminare analoga a quella che invece caratterizza il processo di cognizione relativamente la verifica della regolarità del contraddittorio, della notificazione, dell’atto introduttivo, proprio come stabilito dall’art. 171 ter c.p.c., ed adottare i conseguenti provvedimenti come l’odine di rinnovazione del ricorso, o del decreto di fissazione d’udienza, eventuali integrazioni, etc. E’ poi previsto che il giudice deve indicare alle parti le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti. Quali sono le prime attività svolte dal giudice in questa udienza? Innanzitutto è bene ricordare che nell’art. 415 c.p.c. che all’udienza le parti debbono comparire personalmente; questa comparizione personale è funzionale all’interrogatorio libero delle parti ed al tentativo di conciliazione. Per quel che concerne l’interrogatorio libero non si può che richiamare la disciplina analoga del processo di cognizione ordinario. L’interrogatorio formale, ad es., è funzionale alla confessione, per cui i fatti dichiarati sarebbero provati. Nel caso dell’interrogatorio libero lo scopo è diverso, e cioè da un lato serve al giudice per avere un chiarimento su quelle che sono le richieste delle parti, di 91 116 36 36. Dalila Di Virgilio 23 aprile 2024 alle ore 11:30:51 Memorie integrative. specie la descrizione dei fatti. L’interrogatorio libero, comunque, ha anche una funzione probatoria proprio come sancito dall’art. 416 c.p.c., comma 2. Le risposte date dalle parti, infatti, lasciano desumere al giudice degli elementi di prova. L’interrogatorio libero, inoltre, è strettamente connesso al tentativo di conciliazione, infatti attraverso ciò il giudice si rende effettivamente conto se vi sono, o meno, dei margini per arrivare alla conciliazione suddetta. All’udienza le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice. I gravi motivi, comunque, non possono che consistere nella necessità delle parti di adeguare il contenuto delle proprie domande, delle proprie eccezioni e delle proprie conclusioni alle dichiarazioni fornite dalla controparte, nel rispetto del principio del contraddittorio. Nel rito del lavoro vale il meccanismo studiato nel rito ordinario, e cioè la possibilità da parte del giudice di rimettere la causa in decisione qualora vi siano delle questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali di rito. L’ art. 420 c.p.c sembra essere differente dall’art. corrispondente nel processo di cognizione. Una norma da analizzare è l’art. 420 bis c.p.c., che ha introdotto nel processo del lavoro, sulla scia di quanto previsto per le controversie dei dipendenti pubblici, un meccanismo particolare. La questione controversa tra le parti sulla base deve essere decisa la causa è come debba essere interpretata una norma presente sul CCNL, e sappiamo che la violazione delle norme contenute sulla contrattazione collettive è uno dei motivi di ricorso per Cassazione. Il legislatore ha previsto un meccanismo per cercare di accelerare ed avere il prima possibile una decisione della Cassazione sulle norme della contrattazione collettiva, decisione che può essere di grande ausilio per decidere varie controversie. Al comma 1 dell’art. 420 bis c.p.c. leggiamo che quando per la definizione di una controversia di cui all’art. 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a 90 giorni. Al comma 2 leggiamo che la sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Al comma 3 la copia del ricorso per Cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro 20 giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito. Non si applica la disciplina della riserva di impugnazione innazitutto perché in caso di ricorso per Cassazione non si applica la disciplina della riserva di impugnazione perché non si sta parlando della decisione di una domanda, e sarebbe anche in conflitto con la ratio dell’istituto. Il meccanismo si inserisce in una tendenza del sistema abbastanza chiara, vi è stato un potenziamento della funzione nomofilattica della Cassazione. di 92 116 L’art. 429 c.p.c., comma 1, prevede due diverse modalità di decisione cui prestare particolare attenzione perché rilevano anche ai fini della comprensione di una serie di istituti che osserveremo. La prima ipotesi prevista dal sopracitato articolo è quella della decisione contestuale in udienza, il che significa che il giudice fa contemporaneamente sia il dispositivo che la motivazione. Quindi il giudice fa la sua decisione leggendo sia il dispositivo che la motivazione, e lo scriverà nel verbale 9 d’udienza fornendo già una decisione completa. Non ritroviamo, in questo caso, la medesima norma del processo di cognizione ordinario al 281 sexies c.p.c. per cui viene espressamente stabilito che la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene. La medesima cosa vale, comunque, per la decisione spiegata, poichè normalmente la sentenza avviene a giuridica esistenza, e quindi viene pubblicata, col deposito in cancelleria o col deposito telematico. In questo caso, invece, la sentenza avviene a giuridica esistenza prima del deposito, per cui comincia già a decorrere, con tutti i suoi effetti, i termini specie quello per l’impugnazione. La seconda parte del comma 1 dell’art. 429 c.p.c. prevede la possibilità della cosiddetta “decisione frazionata”, ed infatti leggiamo che in caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a 60 giorni, per il deposito della sentenza. Questa modalità decisoria la ritroviamo spesso anche in ambito penale. Ma per quale motivo vi è questa distinzione? Per quale motivo viene data al giudice questa possibilità? L’ideale sarebbe avere subito tuta la decisione, ma vi sono dei casi in cui la stesura della motivazione può essere un’operazione che necessita di ragionamento, per cui quando la causa ha una sua complessità che può essere sia di fatto che di diritto, il giudice ha la possibilità di depositare la motivazione in un secondo momento. In questo caso al deposito della motivazione segue la pubblicazione effettiva della sentenza, quindi anche nel processo del lavoro, come accade nel rito ordinario, possiamo avere una pubblicazione che non coincide esattamente con la decisione della sentenza, a seconda di come avviene a fase decisoria. Indipendentemente dal fatto che il giudice pronunci contemporaneamente dispositivo e motivazione, o invece decisa di fare prima il dispositivo e poi la motivazione, il comma 2 dell’art. 429 c.p.c., prevede la possibilità di rinviare l’udienza, su richiesta delle parti, concedendo alle stesse un rinvio dell’udienza per poter concedergli un termine apposito per depositare gli scritti. Suddetto termine corrisponde a 10 giorni. Sempre in relazione alla fase decisoria, il comma 3 prevede un’altra particolarità ed infatti leggiamo che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi della misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. Qual è la particolarità di questo comma? La prima è che il giudice deve pronunciare sugli interessi d’ufficio, poichè Si tratta della parte finale di una sentenza o di un provvedimento giudiziario in cui si espone la decisione 9 del giudice in merito alla controversia o alla questione dibattuta nel processo. In pratica, il dispositivo contiene la decisione finale del tribunale, comprese eventuali disposizioni o ordini da eseguire dalle parti coinvolte. di 95 116 normalmente gli interessi sono la domanda della parte. I giudice, invece, provvede d’ufficio pur in mancanza di una richiesta della parte. L’altra differenza è che, mentre normalmente, oltre agli interessi la parte può ottenere un riconoscimento economico ulteriore se dimostra che il ritardo nel pagamento le ha causato un danno superiore a quello dovuto per gli interessi legali , 10 riconoscimento che avviene d’ufficio. Infine, l’art. 432 c.p.c., ci dice che quando sia certo il diritto, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con una valutazione equitativa. Si tratta di norme speciali rispetto una qualsiasi controversia privata nelle quali il giudice ha non solo un potere istruttorio particolare, ma anche un potere decisorio particolare poichè abbiamo detto che in materia di interessi e maggior danno può procedere d’ufficio, e se è accertato il diritto ma non è possibile procedere ad una sua determinazione, il giudice può procedere a farne una valutazione e liquidazione di tipo equitativo. Molto importante è la previsione di cui all’art. 431 c.p.c., perché il legislatore ha disciplinato in modo particolare l’efficacia esecutiva della sentenza conclusiva del processo del lavoro. L’articolo è strutturato da una prima parte composta dai primi quattro commi, tendenzialmente destinata ad occuparsi delle sentenze che pronunciano una condanna a favore del lavoratore, mentre il comma 5 si occupa del caso opposto, e cioè il caso in cui a risultare soccombente sia il lavoratore, mentre a risultare vittorioso sia il datore di lavoro. Il comma 1 si occupa delle sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per dei crediti derivanti dai rapporti di cui all’art. 409, al comma 5 abbiamo le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro. In entrambi i casi l’art. 431 c.p.c. prevede l’immediata efficacia esecutiva di queste condanne. Originariamente il comma 5 non esisteva, quindi originariamente il comma 1 aveva una notevole importanza poichè ai tempi della sua stesura vi era un sistema nel quale le sentenze di primo grado non avevo efficacia immediatamente esecutive, per cui il sistema di cui leggiamo, in cui era previsto che le sentenze di condanna a favore del lavoratore avevano immediata efficacia esecutiva era abbastanza rivoluzionario, specie considerando che la medesima cosa non accadeva per le sentenze di condanna a favore del lavoratore. Nel 1990 è stato poi previsto che tutte le sentenze di condanna avessero immediatamente efficacia esecutivo, motivo per cui si è ritenuto opportuno inserire il comma 5 per appianare le divergenze. La conclusione era stata già raggiunta da tempo, ma il legislatore ha voluto essere esplicito sulla questione. Importante è il comma 2, in cui leggiamo che all’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della pendenza. Ci si sta riferendo, quindi, al caso di cui all’art. 429 c.p.c., comma 1, ovvero il caso in cui i, giudice fa dispositivo immediatamente per cui nel verbale d’udienza si ha il dispositivo, e cioè la parte finale della sentenza, una formula riassuntiva con cui si comunica la decisione finale senza la parte relativa alla Dovuti dalla mora.10 di 96 116 motivazione. Per cui con questa tipologia di sentenza, all’art. 431 c.p.c., comma 2, si può procedere con esecuzione forzata. Il fatto che questa norma sia collocata al comma 2, però, cosa ci fa capire? Che solo quando si ha una sentenza di condanna a favore del lavoratore e che consiste nel solo dispositivo si può iniziare il processo di esecuzione forzata. Per quanto concerne la disciplina dell’appello bisogna osservare che valgono per l’appello nel processo del lavoro tutte le norme generali studiate sull’impugnazione, che si applicano a tutte le impugnazioni previste nel c.p.c., quindi anche all’appello nel processo del lavoro, quindi ad es. la disciplina del termine lungo, dell’acquiescenza, del litisconsorzio nei casi di gravame (fondamentalmente le norme che vanno dall’art. 323 al 328 c.p.c.). La medesima cosa vale per ciò che concerne le norme specifiche dell’appello ordinario, laddove non siano derogate dalle norme speciali, per cui si hanno delle norme speciali per l’appello nel processo del lavoro che debbono essere integrate con le norme generali sull’impugnazione e con le norme generali sull’appello. Tra le norme speciali abbiamo la competenza del giudice della corte d’appello, mentre nel giudizio ordinario si può avere il tribunale. Vi è poi, all’art. 440 c.p.c., una norma speciale relativa alle sentenze appellabili per cui viene stabilito un caso di inappellabilità della sentenza relativamente le sentenze che hanno deciso cause per una controversia di valore superiore a euro 25,82. Il doppio grado di giurisdizione non è un principio costituzionalmente garantito poichè la norma generale è un primo grado ed un appello, ma nessuna norma costituzionale impone, effettivamente, il doppio grado di giudizio. Come si svolge l’appello di fronte al giudice del lavoro? Nel processo di cognizione ordinario quando il giudice d’appello è il tribunale, esso giudica sempre in composizione monocratica per cui la trattazione dell’appello si svolge di fronte all’unico giudice. Quando però è competente la Corte d’appello nel processo di cognizione ordinario, come avviene la trattazione? All’art. 349 bis c.p.c. abbiamo due possibilità e cioè il presidente al quale viene assegnato il fascicolo, se ritiene che la causa è già pronta per essere decisa, fissa l’udienza di discussione e nomina un relatore in mancanza della fase istruttoria di trattazione, chiaramente. Se, invece, le cose non stanno in questi termini, il presidente della Corte d’appello deve nominare un giudice istruttore, non diversamente da quello che avviene di fronte al tribunale in composizione collegiale in primo grado, in cui la trattazione e l’istruzione si fanno dinanzi il giudice istruttore, quindi un giudice solo, e poi il collegio che interviene solo nel momento finale, cioè quando bisogna prendere la decisione. Nel processo del lavoro le cose non stanno, invece, in questi termini. Seppur non è mai detto espressamente che la trattazione dell’appello nel processo del lavoro è collegiale, è facilmente desumibile grazie agli stessi articoli come il 435 c.p.c. che ci spiega che il presidente della Corte d’appello entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione dinanzi al collegio (quindi non dinanzi il giudice istruttore); ancora al 436 bis c.p.c. leggiamo che all’udienza di discussione “il collegio”, e così al 437 c.p.c. quando si sottolinea che “il collegio” ammette le prove, etc. di 97 116
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