Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il Primato del Romano Pontefice: la Chiesa e lo Stato attraverso i secoli, Dispense di Storia della Chiesa

TeologiaStoria della ChiesaDiritto CanonicoStoria del cristianesimo

Il primato del romano pontefice secondo la tradizione cattolica, come affermato nei testi sacri e dai concili ecumenici. Il testo enfatizza la supremazia del romano pontefice come capo supremo della chiesa universale, il suo ruolo di successore di pietro e vicario di cristo, e il suo potere infallibile quando parla ex cathedra. Il documento critica le idee che limitano il potere del romano pontefice o lo asservano al potere civile.

Cosa imparerai

  • Qual è il ruolo del Romano Pontefice nella Chiesa secondo il documento?
  • Come il Romano Pontefice è considerato nel documento?
  • Qual è il dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice proclama nel documento?
  • Quale è la definizione del Concilio Ecumenico Fiorentino sulla natura e il potere del Primato del Romano Pontefice?
  • Quali sono le definizioni del Romano Pontefice che sono immutabili per se stesse secondo il documento?

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 06/02/2019

beniamino91
beniamino91 🇮🇹

5

(1)

5 documenti

1 / 61

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Il Primato del Romano Pontefice: la Chiesa e lo Stato attraverso i secoli e più Dispense in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! DOSSIER DI FONTI per gli studenti frequentanti il corso di STORIA DELLA CHIESA (IN ETÀ CONTEMPORANEA) e di STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE CHIESE II modulo Laurea triennale Prof. MARIA LUPI anno accademico 2018-2019 Parte I (docc. 1-19) 2 INDICE 1) - Clausole religiose nelle leggi costituzionali degli Stati Uniti d'America (1776-1791) 2) - La Costituzione civile del clero francese (12 luglio 1790) 3) - Concordato tra la Repubblica francese e Santa Sede (15 luglio 1801) 4) - L'ultramontanismo: Joseph De Maistre e Félicité-Robert de Lamennais 5) - Il cattolicesimo liberale: l'«Avenir» 6) – Alexandre Vinet, Memoria in favore della libertà dei culti (1826) 7) - Gregorio XVI, enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) 8) - Pio IX, Syllabo (8 dicembre 1864) 9) - Concilio Vaticano I, costituzione Pastor aeternus (18 luglio 1870) 10) - Costituzione belga (1831) 11) - Lo Statuto albertino (4 marzo 1848) 12) - Leggi Siccardi (9 aprile 1850) 13) - V. Gioberti, Del Primato morale e civile degli italiani (1843) 14) - Legge delle guarentigie (13 maggio 1871) 15) - Guillaume-Joseph Chaminade, Circolare ai Marianisti (1839) 16) - Daniele Comboni, Piano proposto alla Sacra Congregazione de Propaganda Fide (28 settembre 1864) 17) - Charles card. Lavigerie, Istruzioni ai Padri Bianchi dell'Africa equatoriale (1879) 18) - Antoine Frédéric Ozanam, Lettera del 22 febbraio 1848; «L'Atelier» (1845) 19) - Leone XIII, Rerum novarum (15 maggio 1891) 5 2. La Costituzione civile del clero francese (12 luglio 1790) L'Assemblea nazionale, dopo aver sentito il rapporto del proprio comitato ecclesiastico, ha decretato e decreta quanto segue, come articoli costituzionali: Titolo 1. Delle cariche ecclesiastiche Art. 1. Ogni dipartimento formerà una sola diocesi, e ogni diocesi avrà la medesima estensione e gli stessi confini del dipartimento. [...] Art. 4. È vietato a tutte le chiese e parrocchie della Francia e a tutti i cittadini francesi di riconoscere in qualsiasi caso e sotto qualsiasi pretesto l'autorità di un vescovo ordinario o metropolita, la cui sede si trovi nel territorio di una potenza straniera, o l'autorità dei suoi delegati, residenti in Francia o altrove; e questo senza pregiudizio dell'unità della fede e della comunione col capo visibile della Chiesa universale, come sarà precisato in seguito. Art. 5. Quando il vescovo diocesano avrà preso delle decisioni nel suo sinodo in materia di sua competenza, si potrà ricorrere al metropolita, il quale deciderà nel sinodo metropolitano. Art. 6. Si procederà senza indugio, su parere del vescovo diocesano e dell'amministratore dei distretti a una nuova costituzione e circoscrizione di tutte le parrocchie del regno; il loro numero e la loro estensione verranno determinati secondo le regole, che saranno qui stabilite. Art. 7. La chiesa cattedrale di ogni diocesi verrà riportata alla sua primitiva funzione, di essere nello stesso tempo chiesa parrocchiale e chiesa episcopale con la soppressione delle parrocchie (adiacenti) e col censimento degli abitanti, che si giudicherà opportuno di annettervi. Art. 8. La parrocchia episcopale avrà per pastore immediato soltanto il vescovo; tutti i sacerdoti, che vi apparterranno, saranno suoi vicari e ne eserciteranno le funzioni. Art. 9. Vi saranno sedici vicari nelle città con più di diecimila abitanti e soltanto dodici in quelle in cui la popolazione sia al di sotto dei diecimila abitanti. Art. 10. In ogni diocesi verrà conservato o istituito un solo seminario per la preparazione agli ordini sacri, senza che si intenda con questo pregiudicare fin d'ora alla condizione degli altri istituti di istruzione e di educazione. Art. 11. Il seminario sorgerà, per quanto possibile, vicino alla chiesa cattedrale e preferibilmente nella cinta degli edifici destinati all' abitazione del vescovo. Art. 12. Alla direzione e all'istruzione dei giovani allievi, ammessi al seminario, saranno preposti un vicario superiore e tre vicari direttori dipendenti dal vescovo. [...] Art. 14. I vicari della chiesa cattedrale, i vicari superiori e i vicari direttori del seminario, costituiranno il Consiglio abituale e permanente del vescovo, il quale non potrà compiere alcun atto di giurisdizione, per quanto concerne il governo della diocesi e del seminario, se non dopo essersi consultato con loro; tuttavia il vescovo potrà durante le sue visite pastorali prendere soltanto quei provvedimenti provvisori, che risultassero convenienti. Art. 15. In tutte le città e paesi con meno di seimila abitanti vi sarà soltanto una parrocchia; le altre parrocchie verranno soppresse o aggregate alle chiese principali. Art. 16. Nelle città con più di seimila abitanti ogni parrocchia potrà comprendere un numero maggiore di parrocchiani, e verranno conservate o erette tante parrocchie, quante saranno richieste dai bisogni delle popolazioni o dalle località. Art. 17. Le assemblee amministrative, d'accordo col vescovo diocesano, designeranno nella prossima legislatura le parrocchie, annesse o succursali, delle città o della campagna, che risulterà conveniente di conservare o di estendere, di erigere o di sopprimere, e ne determineranno le circoscrizioni, in base ai bisogni delle popolazioni, alla dignità del culto e secondo le diverse località. […] 6 Art. 19. L'eventuale aggregazione di una parrocchia a un'altra comporterà la riunione dei beni della fabbrica della chiesa soppressa con la fabbrica dell'altra. Art. 20. Tutti i titoli e cariche, all'infuori di quelli sopra citati nella presente costituzione, la dignità, i canonicati, le prebende e semiprebende, le cappelle e cappellanie, sia delle chiese cattedrali che di quelle collegiate, e tutti i capitoli regolari e secolari dell'uno e dell'altro sesso, le abbazie e priorati, sia di regola che di commenda, pure dell'uno e dell' altro sesso, e tutti gli altri benefizi, e rendite ecclesiastiche, di qualunque natura e sotto qualsiasi titolo siano, devono dalla data di pubblicazione del presente decreto essere considerati estinti o soppressi, senza che sia possibile crearne dei similari. Art. 21. Tutti i benefizi di patronato laico sono soggetti a tutte le disposizioni dei decreti, concernenti i benefizi di collocazione o patronato ecclesiastico. […] Art. 24. Gli obblighi derivanti da fondazioni di messe o altri servizi, ai quali adempiano presentemente nelle chiese parrocchiali curati o sacerdoti, che vi siano destinati senza essere stati investiti del benefizio a titolo perpetuo, continueranno provvisoriamente a essere assolti e pagati come nel passato; tuttavia in quelle chiese, ove esistano comunità di sacerdoti, non inve-stiti dei benefizi a titolo perpetuo, conosciute sotto le varie denominazioni di «filleuls agrégés, familiers, communalistes, mépartistes», cappellani o altri, quelli di loro, che decederanno o che si ritireranno, non potranno essere sostituiti. […] Titolo II. Dell' assegnazione dei benefizi Art. 1. Dalla data di pubblicazione del presente decreto vi sarà un solo modo di provvedere alla nomina dei vescovi e dei parroci, ossia il sistema delle elezioni. Art. 2. Tutte le elezioni saranno fatte per mezzo di scrutinio e a maggioranza assoluta di voti. Art. 3. L'elezione dei vescovi sarà fatta nella forma prescritta e dal corpo elettorale indicato nel decreto del 22 dicembre 1789 per la nomina dei membri dell' assemblea di dipartimento. […] Art. 7. Per essere eleggibili all'episcopato sarà necessario aver esercitato per almeno quindici anni il ministero ecclesiastico entro i confini della diocesi, in qualità di parroco, di coadiutore, o di vicario, o come vicario superiore o come vicario direttore di seminario. Art. 8. I vescovi, le cui sedi vengono soppresse dal presente decreto, potranno essere eletti ai vescovati attualmente vacanti o a quelli che si rendessero vacanti in seguito, o a quelli che possono venir eretti in qualche dipartimento, anche se non abbiano ancora quindici anni di ministero. […] Art. 10. Potranno anche essere eletti i parroci attuali, che abbiano dieci anni di ministero in una parrocchia diocesana, anche se non abbiano ricoperto prima la carica di vicario. […] Art. 12. I missionari, i vicari generali dei vescovi, gli ecclesiastici in servizio presso gli ospedali o incaricati dell'istruzione pubblica, saranno pure eleggibili, se avranno esercitato le loro funzioni durante quindici anni dopo la loro elevazione al sacerdozio. Art. 13. Saranno pure eleggibili tutti i dignitari, canonici, e in generale tutti i beneficiari e titolari, che avevano l'obbligo della residenza o esercitavano funzioni ecclesiastiche, di cui i benefici, titoli, uffici, o impieghi siano stati soppressi dal presente decreto, dopo che abbiano quindici anni di ministero, secondo quanto è stato disposto per i parroci nel precedente articolo. […] Art. 16. Il nuovo eletto all'episcopato si presenterà personalmente, entro un mese dall' elezione, al suo metropolita e, nel caso sia stato eletto per la sede metropolitana, al vescovo più anziano del suo circondario (arrondissement) col verbale dell'elezione e della proclamazione e richiederà la conferma canonica. Art. 17. Il metropolita o il vescovo anziano avrà la facoltà di esaminare l'eletto alla presenza del proprio Consiglio sulla dottrina e sui costumi; se lo giudicherà idoneo, gli darà l'istituzione canonica; se crederà di dovergliela negare, le ragioni di questo rifiuto dovranno essere date per 7 iscritto e firmate dal metropolita e dal suo Consiglio, salvo il diritto alle parti interessate di appellarsi in caso di abuso, come specificato in appresso. Art. 18. Il vescovo, a cui sarà richiesta la conferma, non potrà esigere dall'eletto alcun altro giuramento, se non quello di professare la religione cattolica, apostolica e romana. Art. 19. Il nuovo vescovo non potrà rivolgersi al pontefice, per ottenere alcuna conferma; tuttavia gli scriverà come al capo visibile della Chiesa universale in testimonianza dell'unità della fede e della comunione, che deve avere con lui. Art. 20. La consacrazione del vescovo deve essere fatta soltanto nella sua chiesa cattedrale dal suo metropolita, o in mancanza di lui dal vescovo più anziano della provincia ecclesiastica, assistito dai vescovi delle due diocesi più vicine, in giorno di domenica durante la messa parrocchiale alla presenza del popolo e del clero. Art, 21. Prima dell'inizio della consacrazione l'eletto presterà alla presenza delle autorità municipali, del popolo e del clero, solenne giuramento di aver cura solerte dei fedeli della diocesi che gli è stata affidata, di rimanere fedele alla Nazione, alla Legge e al re e di sostenere con tutte le sue forze la Costituzione decretata dall'Assemblea nazionale e accettata dal re. Art. 22. Il vescovo sarà libero di scegliere i vicari della sua chiesa cattedrale fra tutto il clero della diocesi, essendo tenuto a nominare soltanto sacerdoti, che abbiano esercitato il ministero ecclesiastico per almeno dieci anni. Non potrà destituirli se non su parere del suo Consiglio, la cui decisione deve essere presa a maggioranza di voti e con conoscenza di causa. […] Art. 24. I vicari superiori e i vicari direttori del Seminario verranno nominati dal vescovo e dal suo Consiglio e non potranno essere destituiti, se non con le stesse modalità dei vicari della chiesa cattedrale. Art. 25. L'elezione dei parroci sarà fatta nella forma prescritta dagli elettori, indicati nel decreto del 22 dicembre per la nomina dei membri dell'assemblea amministrativa del distretto. […] Art. 31. La proclamazione dell'eletto verrà fatta dal presidente del corpo elettorale nella chiesa principale, prima di cominciare la messa solenne celebrata a questo scopo, alla presenza del popolo e del clero. Art. 32. Per essere eleggibili a una parrocchia, sarà necessario aver ricoperto le funzioni di vicario in una parrocchia o in un ospedale o in un altro istituto di carità della diocesi, almeno per la durata di cinque anni. […] Art. 35. Il nuovo eletto a una parrocchia si presenterà personalmente al vescovo, col verbale dell'elezione e della proclamazione, onde ottenere da lui l'investitura canonica. Art. 36. Il vescovo avrà la facoltà di esaminare l'eletto alla presenza del proprio Consiglio sulla dottrina e sui costumi; se lo giudicherà idoneo, gli darà l'investitura canonica; se crederà di dovergliela negare, le cause di questo rifiuto dovranno essere date per iscritto e firmate dal vescovo e dal suo Consiglio, salvo il diritto alle parti interessate di ricorrere all' autorità civile, come specificato in appresso. Art. 37. Nell'esaminare l'eletto, che gli chiederà l'investitura canonica, il vescovo non potrà esigere da lui alcun altro giuramento, se non quello di professare la religione cattolica, apostolica e romana. Art. 38. I parroci eletti e investiti presteranno lo stesso giuramento dei vescovi nella loro chiesa in giorno di domenica e prima della messa parrocchiale alla presenza delle autorità municipali del luogo, del popolo e del clero. Fino a quel momento essi non potranno esercitare alcuna funzione parrocchiale. […] Art. 40. Le sedi vescovili e le parrocchie saranno ritenute vacanti, fino al momento in cui 1'eletto non abbia prestato il giuramento suddetto. Art. 41. Durante la vacanza della sede episcopale il primo vicario o in sua mancanza il secondo vicario della chiesa cattedrale sostituirà il vescovo, sia nelle funzioni di curia che negli atti di giurisdizione, che non richiedano il carattere episcopale; ma in ogni caso dovrà procedere secondo il parere del Consiglio. 10 3. Concordato tra la Repubblica Francese e la Santa Sede (15 luglio 1801) S.S. il Sommo Pontefice Pio VII e il Primo Console della Repubblica francese hanno rispettivamente nominato loro plenipotenziari, per parte di Sua Santità S. E. mons. Ercole Consalvi, cardinale della Santa Romana Chiesa, diacono di Sant'Agata ad suburram, suo segretario di Stato, Giuseppe Spina, arcivescovo di Corinto, prelato domestico di Sua Santità, assistente al Soglio Pontificio, e il padre Caselli, consulente teologico di Sua Santità, muniti di pieni poteri; per parte del Primo Console i cittadini Giuseppe Bonaparte, consigliere di Stato, Cretet, consigliere di Stato, e Bernier, dottore in teologia, parroco di Saint Laud di Angers, ugualmente muniti di pieni poteri in buona e dovuta forma; i quali, scambiati i loro rispettivi pieni poteri, hanno convenuto quanto segue: CONCORDATO FRA IL SOMMO PONTEFICE PIO VII E IL GOVERNO FRANCESE Il Governo della Repubblica francese riconosce che la religione cattolica, apostolica e romana è la religione della maggioranza dei francesi. Sua Santità per parte sua riconosce che la stessa religione ha ricavato e si ripromette di ricevere tuttora il massimo vantaggio e splendore dal ristabilirsi del culto cattolico in Francia e dalla particolare professione, che ne fanno i consoli della Repubblica; di conseguenza, dopo questo reciproco riconoscimento, tanto per il bene della religione quanto per il mantenimento della tranquillità interna, essi hanno convenuto quanto appresso: Art. l. - La religione cattolica, apostolica e romana sarà liberamente professata in Francia e l'esercizio del suo culto sarà pubblico, giusta l'osservanza dei regolamenti di polizia, che il Governo riterrà opportuno di adottare, per garantire l'ordine pubblico. Art. 2. - La Santa Sede di concerto con il Governo provvederà a una nuova circoscrizione delle diocesi francesi. Art. 3. - Sua Santità dichiarerà ai titolari delle sedi vescovili francesi di avere fiducia che essi accetteranno per il bene della pace e dell'unità qualsiasi sacrificio, compreso quello della rinuncia alla loro sede. Qualora, dopo tale esortazione essi rifiutassero di fare questo sacrificio, richiesto loro per il bene della Chiesa, (rifiuto che S.S. confida non avvenga), si provvederà alla nomina dei titolari per il governo delle diocesi secondo la nuova circoscrizione, nel modo seguente: Art. 4. - Il Primo Console della Repubblica, entro tre mesi dalla pubblicazione della bolla di S. S., provvederà alla nomina dei titolari delle archidiocesi e delle diocesi secondo la nuova circoscrizione; S.S. conferirà loro l'istituzione canonica nelle forme, già stabilite per la Francia prima del mutamento di regime. Art. 5. - Saranno parimente nominati dal Primo Console i titolari delle sedi vescovili, che divenissero vacanti in seguito, e l'istituzione canonica verrà loro conferita da S.S. in conformità all'articolo precedente . Art. 6. - I vescovi, prima di prendere possesso della loro diocesi, presteranno giuramento direttamente nelle mani del Primo Console, come era in uso prima del mutamento di regime, con la formula seguente: «Io giuro e prometto sui santi Vangeli, ubbidienza e fedeltà al Governo stabilito secondo la costituzione della Repubblica francese. Similmente che non terrò alcuna intelligenza, non interverrò in alcun consiglio e non prenderò parte in alcuna unione sospetta o dentro o fuori della Repubblica, che sia pregiudizievole alla pubblica tranquillità, e manifesterò al Governo ciò che io sappia trattarsi, o nella mia diocesi o altrove, in pregiudizio dello Stato». Art. 7. - Il medesimo giuramento presteranno gli ecclesiastici di second'ordine nelle mani delle autorità civili, designate dal Governo. 11 Art. 8. - La seguente formula di preghiera verrà recitata alla fine dell'uffizio divino in tutte le chiese cattoliche di Francia: «Domine, salvam fac Rempublicam; Domine, salvos fac Consules». Art. 9. - I vescovi provvederanno a una nuova circoscrizione delle parrocchie delle loro diocesi, che diverrà esecutiva soltanto dopo l'approvazione del Governo. Art. 10. - I vescovi nomineranno i parroci; non sceglieranno, se non persone accette al Governo. Art. 11. - I vescovi potranno avere un Capitolo nella loro Cattedrale e un Seminario per la loro diocesi; ma il Governo non assume l'obbligo di assegnar loro una rendita. Art. 12. - Tutte le chiese metropolitane, cattedrali, parrocchiali od altre, non alienate, necessarie al culto, saranno messe a disposizione dei vescovi. Art. 13. - S. S. per il bene della pace e il felice ristabilimento della religione cattolica dichiara che quelli, i quali hanno acquistato dei beni ecclesiastici alienati non avranno alcuna molestia, né da sé, né dai romani pontefici suoi successori, ed in conseguenza la proprietà degli stessi beni, le rendite e i diritti, a quelli annessi, saranno immutabili presso i medesimi e i loro aventi causa. Art. 14. - Il Governo assicurerà un conveniente trattamento economico ai vescovi e ai parroci, le cui diocesi e parrocchie saranno comprese nella nuova circoscrizione. Art. 15. - Il Governo prenderà inoltre provvedimenti, affinché i cattolici francesi possano istituire fondazioni in favore delle chiese. Art. 16. - S.S. riconosce al Primo Console della Repubblica francese gli stessi diritti e privilegi, che riconosceva all'antico regime. Art. 17. - Si conviene fra le parti contraenti che, nel caso in cui un successore del Primo Console attualmente in carica non fosse cattolico, i diritti e i privilegi menzionati nell'articolo precedente e la nomina alle sedi vescovili, saranno regolati, per quanto lo riguarda, da una nuova convenzione. Il cambio delle ratifiche sarà fatto in Parigi entro lo spazio di quaranta giorni. Fatto in Parigi il 26 messidoro dell'anno IX della Repubblica francese. (Firmato) GIUSEPPE BONAPARTE - ERCOLE, cardinal CONSALVI CRETET - GIUSEPPE, arcivescovo di Corinto BERNIER - (Padre) CARLO CASELLI FONTE: Traduzione italiana in Chiesa e Stato attraverso i secoli, a cura di S. Z. EHLER - J. B. MORRALL, Milano, Vita e Pensiero, 1958, pp. 286-289. 12 4. L'ultramontanesimo Non ha dubbio per la coscienza illuminata e la buona fede; il Cristianesimo è quello che ha formata la monarchia europea, meraviglia sì poco contemplata. Ma senza il Papa, non havvi verace Cristianesimo; senza il Papa, la costituzione divina perde il suo potere, il suo divino carattere, la sua virtù convertitrice; senza il Papa, altro … non è che un sistema, una umana credenza, incapace di penetrare nei cuori, e di modificarli per render l'uomo suscettibile di un più alto grado di sapere, di morale, d'incivilimento. Qualsiasi sovranità, di cui il dito del gran Pontefice non ha toccata la fronte, si resterà sempre alle altre inferiore […] FONTE: J. DE MAISTRE, Del Papa nel suo rapporto colla politica, Napoli, Tipografia di Porcelli, 1822, L. II, p. 143 (ed. orig. 1819). Senza papa, non vi è Chiesa; senza Chiesa, non vi è cristianesimo; senza cristianesimo, non vi è religione né società: di modo che la vita delle nazioni europee ha, come abbiamo detto, la sua fonte, la sua unica fonte, nel potere pontificio. Se la religione cattolica, con l'influenza che esercita anche nelle contrade dov'essa ha cessato di essere predominante, non s'opponesse al progresso dell'incredulità protestante, da lungo tempo non vi ci si troverebbe alcuna traccia di cristianesimo, e quelle contrade, se fossero abitate ancora, lo sarebbero dalla razza di barbari più feroci, più orrendi che il mondo abbia mai visto; e tale sarebbe la sorte dell'Europa intera, se fosse possibile che il cattolicesimo vi fosse interamente abolito. Orbene, ogni attacco contro il potere del Sovrano Pontefice tende a ciò: è un crimine di lesa religione per il cristianesimo di buona fede e capace di mettere insieme due idee; per l'uomo di Stato, un crimine di lesa civiltà, di lesa società. FONTE: F.-R. LAMENNAIS, Della Religione considerata nei suoi rapporti con l'ordine sociale, 1825 (da J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa, II, Roma, Borla, 1987, p. 82). 15 ignorano reciprocamente, e sono assolutamente incapaci, lo Stato di portare disordine nella Chiesa, la Chiesa di produrre una qualunque agitazione nello Stato. Ecco perché, dei mali innumerevoli di cui la religione è stata pretesto o strumento, rapportiamo la causa a quell'errore fatale che ha stabilito, tra due istituzioni indipendenti, delle relazioni forzate e inevitabilmente funeste, che sostituendo all'influenza morale un dominio fisico ha snaturato e al contempo falsato il carattere di queste due società. FONTE: ALEXANDRE VINET, Libere Chiese in libero Stato. Memoria in favore della libertà dei culti (1826), a cura di Stefano Molino, Chieti-Roma, Edizione GBU, 2008, pp. 210-212. 16 7. Gregorio XVI enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) Non riteniamo che voi vi meravigliate perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza l'incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudine introdotta fin dai primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i fratelli (Lc 22,32). Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d'improvviso balzati in un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse testimoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. L'animo rifugge dal rinnovare con l'amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall'imminente pericolo e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare. Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell'ordine pubblico pose un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito. […] Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l'augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d'ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all'ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell'unità di giorno in giorno maggiormente s'indeboliscono e si sciolgono. La divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa servitù. Intanto s'infrange l'obbedienza dovuta ai Vescovi, e viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un'orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl'insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestissimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l'autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell'ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una congerie così enorme di disavventure si deve in particolare attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v'ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate. […] Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell'affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile 17 autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l'esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri. […] E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore della Religione, affinché vi opponiate all'immonda congiura contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei più sciagurati filosofi dell'età nostra anche alcuni dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma troppo C'incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre, secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi. Inoltre, l'onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo "Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa" (Eb 13,4), nulla s'introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l'indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell'empietà. È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. […] Veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l'indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl'increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l'eterna salvezza dell'anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell'onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall'Apostolo che esiste "un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo" (Ef 4,5), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell'eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore "essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo" (Lc 11,23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi "senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata" [Symbol. S. Athanasii]. […] Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. "Ma qual morte peggiore può darsi all'anima della libertà dell'errore?" esclamava Sant'Agostino [Ep. 166]. Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il "pozzo d'abisso" (Ap 9,3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante : in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l'esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina. 20 Lett. all'Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862; Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862. X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità. Lett. all'Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862¸Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa. Lett. all'Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862. XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza. Lett. all'Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze. Lett. all'Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione. Lett. all'Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862. N. B. - Col sistema del razionalismo sono in massima parte uniti gli errori di Antonio Günther, che vengono condannati nella Lett. al Card. Arciv. di Colonia, Eximiam tuam, 15 giugno 1847, e nella Lett. al Vesc. di Breslavia, Dolore haud mediocri, 30 aprile 1860. III - Indifferentismo, latitudinarismo XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851; Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846 ; Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847; Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856. XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo. Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863. XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849. IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali Tali pestilenze, spesso, e con gravissime espressioni, sono riprovate nella Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; nella Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849: nella Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nell'Epist. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863. V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti 21 XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti. Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; Alloc. Multis gravibusque, 18 dicembre 1860; Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile. Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861. XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede. Lett. all'Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta. Lett. Apost. Ad Apostolicae, 22 agosto 1851. XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere. Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856; Lett. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863. XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche. Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856. XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo. Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856. XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami. Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852; Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856. 22 XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo. Epist. al Vescovo di Monreale Singularis Nobisque, 29 sett. 1864. XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia. Lett. all'Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate. Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860; Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861. XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi della umana società. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846 ; Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849. XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosidetto appello per abuso. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami. Alloc. In Concistoriali, 1° novembre 1850; Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860. 25 LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851; Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852. LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà. Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851; Lett. di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852; Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852; Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860. LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851; Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852. N. B. - Si possono qui ridurre due altri errori, dell'abolizione del celibato dei chierici, e della preferenza dello stato di matrimonio allo stato di verginità. Sono condannati, il primo nell'Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846, il secondo nella Lettera Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851. IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica. Lett. Apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851. LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa. Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849. 26 N. B. - Oltre a questi errori censurati esplicitamente, molti altri implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano Pontefice: la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati a rispettare fermissimamente. Essa apertamente s'insegna nell'Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell'Alloc. Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lett. Apost. Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860; nell'Alloc. Novos, 28 settembre 1860; nell'Alloc. Iamdudum, 18 marzo 1861, e nell'Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. X - Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano. Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855. LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno. Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852. LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo. Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856. LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà. Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861. FONTE: F. GAETA - P. VILLANI, Documenti e testimonianze, Milano, Principato, 1972, pp. 751-761. 27 9. Concilio Vaticano I costituzione apostolica Pastor aeternus (18 luglio 1870) Il Pastore eterno e Vescovo delle nostre anime, per rendere perenne la salutare opera della Redenzione, decise di istituire la santa Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si ritrovassero uniti nel vincolo di una sola fede e della carità. Per questo, prima di essere glorificato, pregò il Padre non solo per gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui attraverso la loro parola, affinché fossero tutti una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. Così dunque inviò gli Apostoli, che aveva scelto dal mondo, nello stesso modo in cui Egli stesso era stato inviato dal Padre: volle quindi che nella sua Chiesa i Pastori e i Dottori fossero presenti fino alla fine dei secoli. […] Capitolo III - Della Forza e della Natura del Primato del Romano Pontefice Sostenuti dunque dalle inequivocabili testimonianze delle sacre lettere e in piena sintonia con i decreti, chiari ed esaurienti, sia dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, sia dei Concili generali, ribadiamo la definizione del Concilio Ecumenico Fiorentino che impone a tutti i credenti in Cristo, come verità di fede, che la Santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice detengono il Primato su tutta la terra, e che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, il vero Vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i cristiani; a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il pieno potere di guidare, reggere e governare la Chiesa universale. Tutto questo è contenuto anche negli atti dei Concili ecumenici e nei sacri canoni. Proclamiamo quindi e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, detiene il primato del potere ordinario su tutte le altre, e che questo potere di giurisdizione del Romano Pontefice, vero potere episcopale, è immediato: tutti, pastori e fedeli, di qualsivoglia rito e dignità, sono vincolati, nei suoi confronti, dall'obbligo della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa, in tutto il mondo. In questo modo, avendo salvaguardato l'unità della comunione e della professione della stessa fede con il Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sarà un solo gregge sotto un solo sommo pastore. Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza perdita della fede e pericolo della salvezza. Questo potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i Vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli Apostoli, come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale, come afferma solennemente San Gregorio Magno: "Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore" [Ep. ad Eulog. Alexandrin., I, VIII, ep. XXX]. Dal supremo potere del Romano Pontefice di governare tutta la Chiesa, deriva allo stesso anche il diritto di comunicare liberamente, nell'esercizio di questo suo ufficio, con i pastori e con i greggi della Chiesa intera, per poterli ammaestrare e indirizzare nella via della salvezza. Condanniamo quindi e respingiamo le affermazioni di coloro che ritengono lecito impedire questo rapporto di comunicazione del capo supremo con i pastori e con i greggi, o lo vogliono asservire al potere civile, poiché sostengono che le decisioni prese dalla Sede Apostolica, o per suo volere, per il governo della Chiesa, non possono avere forza e valore se non vengono confermate dal potere civile. 30 10. Costituzione belga (1831) Art. 14. - La libertà dei culti, quella del loro esercizio pubblico, come la libertà di manifestare le proprie opinioni in ogni modo sono garantite, salvo la repressione dei delitti commessi in occasione dell'esercizio di queste libertà. Art. 15. - Nessuno può essere costretto a partecipare in qualsiasi modo agli atti e alle cerimonie d'un culto, né ad osservarne i giorni di riposo. Art. 16. - Lo Stato non ha il diritto di intervenire né nella nomina, né all'insediamento dei ministri di qualsiasi culto, né proibire a questi di corrispondere con i loro superiori e di pubblicare i loro atti, salva per quest'ultimo caso la responsabilità ordinaria in materia di stampa e di pubblicazione. Il matrimonio civile deve sempre precedere la benedizione nuziale, salve le eccezioni da stabilirsi, se del caso, per legge. Art. 17. - L'insegnamento è libero. Ogni misura preventiva è interdetta; la repressione dei delitti non è regolata che dalla legge. L'istruzione pubblica, data a spese dello Stato, è egualmente regolata dalla legge. FONTE: Traduzione italiana da: B. MIRKINE-GUETZEVITCH, Le costituzioni europee, Milano, Ed. di Comunità, 1954, p. 199, pubblicato in Chiesa e Stato attraverso i secoli, a cura di S. Z. EHLER - J.B. MORRALL, Milano 1958, p. 306. 31 11. Statuto del Regno di Sardegna (4 marzo 1848) CARLO ALBERTO PER LA GRAZIA DI DIO RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME ECC. ECC. ECC. Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell'8 dell'ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinarii che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agl'interessi ed alla dignità della Nazione. Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d'indissolubile affetto che stringono all'itala Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d'obbedienza e d'amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell'antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge Fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue: Art. 1 - La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. Art. 2 - Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica. Art. 3 - Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere; il Senato, e quella dei Deputati. Art. 4 - La persona del Re è sacra ed inviolabile. Art. 5 - Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare: dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere. Art. 6 - Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato: e fa i decreti e regolamenti necessarii per l'esecuzione delle leggi, senza sospenderne l'osservanza, o dispensarne. […] DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI Art. 24 - Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi. Art. 25 - Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato. Art. 26 - La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive. Art. 27 - Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch'essa prescrive. Art. 28 - La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo. 32 Art. 29 - Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia, quando l'interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi. Art. 30 - Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re. Art. 31 - Il debito pubblico è guarentito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile. Art. 32 - È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia. DEL SENATO Art. 33 - Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l'età di quarant'anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti: 1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato; 2° Il Presidente della Camera dei Deputati; 3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio; 4° I Ministri di Stato; 5° I Ministri Segretarii di Stato; 6° Gli Ambasciatori; 7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni di tali funzioni; 8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti; 9° I Primi Presidenti dei Magistrati d'appello; 10° L'Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procurator Generale, dopo cinque anni di funzioni; 11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni; 12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni; 13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d'appello, dopo cinque anni di funzioni; 14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare; Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr'Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività; 15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni; 16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza; 17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio; 18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina; 19° I Membri ordinarii del Consiglio superiore d'Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio; 20° Coloro che con servizii o meriti eminenti avranno illustrata la Patria; 21° Le persone, che da tre anni pagano tre mila lire d'imposizione diretta in ragione de' loro beni, o della loro industria. Art. 34 - I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent'un anno, ed hanno voto a venticinque. Art. 35 - Il Presidente e i Vice Presidenti del Senato sono nominati dal Re. Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretarii. […] 35 Il Nostro Guardasigilli, Ministro Segretario di Stato per gli affari ecclesiastici, di grazia e giustizia, è incaricato dell'esecuzione della presente Legge, che sarà registrata al Controllo Generale, pubblicata ed inserta nella Raccolta degli Atti del Governo. Dat. a Torino il nove d'aprile 1850. VITTORIO EMANUELE V.° GALVAGNO. V.° NIGRA. V.° COLLA. SICCARDI FONTE: F. GAETA - P. VILLANI, Documenti e testimonianze, Milano, Principato, 1972, pp. 646-647. 36 13. Vincenzo Gioberti Del primato morale e civile degli italiani (1843) Necessità d'instaurare il «dominio paterno e liberale della teologia e del sacerdozio». Due fatti mi paiono cospicui al dì d'oggi nel mondo civile; i quali sono insieme strettamente connessi, benché l'uno appartenga agli ordini della speculazione e l'altro a quelli della vita reale. Il primo è l'esclusione della teologia rivelata dal quadro dell'enciclopedia umana; il secondo è la rimozione del chiericato cattolico dalle influenze civili. Questi due fatti ebbero luogo più volte nella storia del mondo; ma rispetto a noi non sono antichissimi, perché incominciarono con Lutero e Cartesio; se non che sono oggi presso che universali, comuni all'Italia non meno che alle altre genti, e assai radicati nei costumi e nelle opinioni. […] Io reputo pertanto debito di chi scrive, sovrattutto s'egli è filosofo, cattolico ed italiano, il combattere quei due gran traviamenti della civiltà moderna, richiamando le cose ai loro veri principii e tentando d'instaurare l'universal primato della religione nel giro delle cose e delle conoscenze. La qual ristaurazione non può aver luogo, se la teologia non si rialza dal suo abbassamento. e se il ceto ieratico non riacquista quella moral potenza e quel grado di onore, che gli competono nel seno delle cittadinanze cristiane. […] Uno scompiglio simile a quello che turba le dottrine, si ravvisa nella società civile, dove il laicato, dopo di aver soprammontato il clero e menato un passeggero trionfo, comincia ad accorgersi dell'anarchia che lo rode, e della debolezza che gli vieta di adempiere gli uffici, a cui è destinato. E come nel regno scientifico le discipline subalterne e materiali prevalgono alle più nobili, così le classi industriose e trafficanti sovrastano a tutte le altre, le professioni meccaniche e guerriere alle pacifiche e liberali, gli uomini ignoranti e mediocri ai colti ed ingegnosi, e il volgo di ogni colore ai veri ottimati. La democrazia insomma predomina nel vivere moderno, e irrompe nelle monarchie assolute, come già è padrona degli altri reggimenti; né si può ripararvi e ristabilire quell'aristocrazia naturale, quella gerarchia di gradi e di uffici, senza le quali gli stati non possono durar né fiorire se non si rende al clero quel seggio morale che gli ap-partiene. L'età dunque comincia ad essere propizia alla redintegrazione della teologia e della classe ieratica; e gl'Italiani in ispecie ne sentono il bisogno avendo potuto raccogliere dalla esperienza a che riesca il filosofare, senza far caso della fede cattolica, e il politicare speculando ed operando, senza inchiedersi delle condizioni religiose del loro paese natio; come se il Papa e il suo chiericato appartenessero, non all'Italia, ma all'India o alla Cina. Io non credo adunque d'ingannarmi affermando che ogni riforma scientifica è irrita, se non fa capo dalla religione, e che ogni disegno di risorgimento italico è nullo, se non ha per base la pietra angolare del cattolicismo. […] Il Papato e l'Italia La dittatura del Pontefice, come capo civile d'Italia e ordinato re di Europa, era richiesta a fondare le varie cristianità nazionali, e specialmente quella degl'Italiani, acciò ripigliato l'antico valore, si difendessero dagli esterni. L'unità morale e religiosa, essendo la base di questo nuovo ordinamento, doveva essere la prima mira di coloro, che lo operavano; e avrebbe, senza alcun fallo, partorita l'unione politica, se la dittatura pontificia non fosse stata interrotta nel suo corso. Imperocchè il procedere di questa, dai tempi di Gregorio magno e sovrattutto di Gregorio settimo sino alla seconda lega lombarda, mostra ch'ella mirava a creare in Italia una confederazione armata di popoli e di principi sotto il mansueto e pietoso vessillo romano; dalla 37 quale sarebbe uscita col tempo una repubblica laicale e guerriera, composta a monarchia, e capitanata da un principe elettivo ed inerme, ma per età, per grado, per prudenza e santità potentissimo. Mirabile governo, di cui il mondo sinora non vide alcun esempio, ma il cui germe in chiuso negli ordini pontificai i potrebbe fiorire un giorno, spenti i legnaggi dei principi secolari, se fosse sperabile, che coloro i quali dovrebbero effettuarlo, divengano quando che sia più savi che noi non siamo, e più degni delle alte sorti serbate all'Italia. Ma i papi chiamarono talvolta gli strani nella Penisola. Certo sì, ma sforzati da altri stranieri peggiori di quelli. Impedirono l'unione d'Italia sotto le leggi dei barbari. - Sì, perché volevano che questa unione fosse opera degl'Italiani, nativa e non avventiccia, spontanea e non ingiunta, pacifica e non violenta, onorevole e non infame. Comunque, senz'essi, avrebbe avuto luogo l'unità italiana? L'unità gotica, longobardica, francica, normannica, tedesca, francese, o altra simile; ma non l'unità italiana. Sarebbe divenuta italiana col tempo. Ciò vuol dire che l'Italia sarebbe morta colla speranza di risuscitare dopo qualche secolo. Potete condannar la coscienza dei papi, se meno ardita e larga della vostra, non ha osato far questo calcolo? - Insomma l'unità politica, per qualunque via si ottenga, è un gran bene. Grande certo, ma minore di quello, che risulta dalla unità religiosa, dalla moralità, dall'incivilimento. Anche gli sciami delle pecchie, i conventicoli dei masnadieri e le tribù dei popoli antropofagi hanno l'unità politica. Noi non vogliamo la prima cosa, senza le seconde. Ma escludete le seconde, coi termini da voi usati nel desiderare la prima. Imperocchè senza l'opera dei papi, l'Italia avrebbe acquistata l'unità politica alle spese dell'unità morale e religiosa, e della civiltà che sono la base e l'importanza del tutto; l'avrebbe acquistata a danno di questi beni presso tutti i popoli cristiani. Il fatto mostra che i papi si ingannarono se vollero dare l'unità politica per un altro verso; poiché non l'abbiamo avuta in effetto. Di chi è la colpa? Dei papi, ovvero dei principi e dei popoli? Nel resto, coloro che accusano i papi di avere errato, confessino almeno che lo sbaglio riguardò i mezzi e non il fine, e che fu causato da ragioni molto speciose, cioè da quelle stesse considerazioni di equilibrio politico, che ora governano l'Europa. E l'Italia conteneva allora negli angusti suoi confini la medesima varietà di stati e d'interessi, che adesso si trova in tutto il continente; giacché ella fu in ristretto l'Europa culta di una parte del Medio Evo. Se non che, i ricorsi fatti agli strani non si debbono tanto imputare ai papi, quanto ai cattivi principi e alle fazioni, che aspiravano a distruggere l'autorità sacerdotale, e a ricominciare il regno pagano e brutale delle conquiste. L'Italia era piena di tirannelli e di sette, che a ciò anelavano; e siccome colla libertà del sacerdozio la civiltà sarebbe mancata per l'Italia e per tutto il mondo, ogni espediente politico era buono, purché onesto in sé, ed acconcio a troncare i pestiferi disegni. Se l'Europa è tuttavia cristiana, ella ne è debitrice ai papi del medio evo, i quali non avrebbero potuto conseguir l'intento, senza i mezzi, che posero in opera. Imperocchè, se i nemici del papa avessero vinta la prova, l'indipendenza del Cristianesimo sarebbe perita con quella del suo capo ridotto a una larva di potenza, reso inetto a guardare il deposito e a girar la gran mole commessa alle sue mani e costituito presso a poco in quello stato di aulico servaggio, onde venne alla nostra memoria minacciato da Napoleone. Né io posso far coro ai dolenti che l'unità politica non sia entrata per tal via in Italia, quasichè l'unione dei vari stati fatta da un despota con un braccio regio bastasse a renderla così florida e potente, come furono in appresso, o sono ai dì nostri, la Spagna, la Francia, l'Inghilterra. Imperocchè in tal caso noi non avremmo avuta la nostra gloriosa civiltà dei bassi tempi, e saremmo stati barbari come il resto di Europa. Chi non vede, per esempio, che se il ferro del Barbarossa avesse trionfato e ammutito il senno pontificale, ogni libertà e pulitezza sarebbe stata spenta nella sua cuna; i feudi e i signorotti avrebbero preso il luogo dei municipii e delle repubbliche; e Roma anzi tutta l'Italia, sarebbe divenuta una provincia tedesca? […] Se il papa, come primo principe e cittadino d'Italia, non può più esercitare su di essa quella signoria incivilitrice che fu la cagion principale delle nostre grandezze, a chi se ne dee recare massimamente la colpa, se non a' suoi consorti nell'italico principato? Ma come prima i re ed i 40 turbate da alcuna esterna violenza. Art. 7. - Nessun ufficiale della pubblica autorità od agente della forza pubblica può, per esercitare atti del proprio ufficio, introdursi nei palazzi e luoghi di abituale residenza o tempo- ranea dimora del Sommo Pontefice, o nei quali si trovi radunato un Conclave o un Concilio ecumenico, se non autorizzato dal Sommo Pontefice, dal Conclave o dal Concilio. Art. 8. - È vietato di procedere a visite, perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri o registri negli uffizi e congregazioni pontificie, rivestiti di attribuzioni meramente spirituali. Art. 9. - Il Sommo Pontefice è pienamente libero di compiere tutte le funzioni del suo ministero spirituale e di fare affiggere alle porte delle basiliche e chiese di Roma tutti gli atti del suddetto suo ministero. Art. 10. - Gli ecclesiastici, che per ragione d'ufficio partecipano in Roma all'emanazione degli atti del ministero spirituale della Santa Sede, non sono soggetti per cagione di essi, a nessuna molestia, investigazione o sindacato dell'autorità pubblica. Ogni persona straniera, investita di uffizi ecclesiastici in Roma, gode delle guarentigie personali, competenti ai cittadini italiani in virtù delle leggi del regno. Art. 11. - Gli Inviati dei Governi esteri presso Sua Santità godono nel Regno di tutte le prerogative ed immunità, che spettano agli Agenti diplomatici secondo il diritto internazionale. Alle offese contro di loro sono estese le sanzioni penali per le offese agli Inviati delle Potenze estere presso il Governo Italiano. Agli Inviati di Sua Santità presso i governi esteri sono assicurati nel territorio del regno le prerogative ed immunità d'uso, secondo lo stesso diritto, nel recarsi al luogo di loro missione e nel ritornarne. Art. 12. - Il Sommo Pontefice corrisponde liberamente coll'episcopato e con tutto il mondo cattolico, senza veruna ingerenza del Governo Italiano. A tale fine gli è data facoltà di stabilire nel Vaticano o in altra sua residenza uffizi di posta e telegrafo serviti da impiegati di sua scelta. L'uffizio postale pontificio potrà corrispondere direttamente in pacco chiuso cogli uffizi postali di cambio delle estere amministrazioni, o rimettere la propria corrispondenza agli uffizi italiani. In ambo i casi il trasporto dei dispacci o della corrispondenza, munita del bollo dell'uffizio pontificio, sarà esente da ogni tassa o spesa nel territorio italiano. I corrieri spediti in nome del Sommo Pontefice sono pareggiati nel Regno ai corrieri di Gabinetto dei Governi esteri. L'uffizio telegrafico pontificio sarà collegato colla rete telegrafica del Regno a spese dello Stato. I telegrammi trasmessi dal detto uffizio con la qualifica autentica di « pontifici» saranno ricevuti e spediti con le prerogative stabilite pei telegrammi di Stato e con esenzione da ogni tassa nel regno. Gli stessi vantaggi godranno i telegrammi del Sommo Pontefice, o firmati d'ordine suo, che, muniti del bollo della Santa Sede, verranno presentati a qualsiasi uffizio telegrafico del regno. I telegrammi diretti al Sommo Pontefice saranno esenti dalle tasse messe a carico dei destinatari. Art. 13. - Nella città di Roma e nelle sue sedi suburbicarie i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti cattolici, fondati per l'educazione e cultura degli ecclesiastici, continueranno a dipendere unicamente dalla Santa Sede, senza alcuna ingerenza delle autorità scolastiche del Regno. Titolo II Relazioni dello Stato colla Chiesa Art. 14. - È abolita ogni restrizione speciale all'esercizio del diritto di riunione dei membri del clero cattolico. Art. 15. - È fatta rinuncia dal Governo al diritto di Legazia apostolica in Sicilia, ed in tutto il Regno al diritto di nomina o proposta nella collazione dei benefizi maggiori. I vescovi non saranno richiesti di prestare giuramento al Re. I benefizi maggiori e minori non possono essere conferiti, se non a cittadini del Regno, eccetto nella 41 città di Roma e nelle sedi suburbicarie. Nella collazione dei benefizi di patronato regio nulla è innovato. Art. 16. - Sono aboliti 1'« exequatur » e « placet » regio ed ogni altra forma di assenso governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche. Però, fino a quando non sia altrimenti provveduto nelle leggi speciali, di cui all'art. 18, rimangono soggetti all'« exequatur» e « placet » regio gli atti di esse autorità, che riguardano la destinazione dei beni ecclesiastici e la provvista dei benefizi maggiori e minori, eccetto quelle della città di Roma e delle sedi suburbicarie. Restano ferme le disposizioni delle leggi civili rispetto alla creazione e ai modi di esistenza degli istituti ecclesiastici ed alienazione dei loro beni. Art. 17. - In materia spirituale e disciplinare non è ammesso richiamo od appello contro gli atti delle autorità ecclesiastiche, né è loro riconosciuta od accordata alcuna esecuzione coatta. La cognizione degli effetti giuridici, così di questo come d'ogni altro atto d'esse autorità, appartiene alla giurisdizione civile. Però tali atti sono privi di effetto, se contrari alle leggi dello Stato od all'ordine pubblico, o lesivi dei diritti dei privati, e vanno soggetti alle leggi penali, se costituiscono reato. Art. 18. - Con legge ulteriore sarà provveduto al riordinamento, alla conservazione e alla amministrazione delle proprietà ecclesiastiche del Regno. Art. 19. - In tutte le materie che formano oggetto della presente legge, cessa di avere effetto qualunque disposizione ora vigente, in quanto sia contraria alla legge medesima. I Ordiniamo che la presente, munita del sigillo di Stato, sia inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Dato a Torino, addì 13 maggio 1871. VITTORIO EMANUELE E. VISCONTI VENOSTA G. DE FALCO QUINTINO SELLA C. CORRENTI E. RICOTTI G. LANZA G. ACTON S. CASTAGNOLA G. GADDA FONTE: F. GAETA - P. VILLANI, Documenti e testimonianze, Milano, Principato, 1972, pp. 769-772. 42 15. Guillaume-Joseph Chaminade circolare ai sacerdoti della Società di Maria (marianisti) (1839) Tutte le eresie hanno chinato la fronte davanti alla Santissima Vergine... Oggi, la grande eresia regnante è l'indifferenza religiosa che va fagocitando le anime nel torpore dell'egoismo e nei marasmi delle passioni. Il pozzo dell'abisso vomita a grandi fiotti un fumo nerastro e pestilenziale che minaccia di avvolgere la terra in una notte tenebrosa, priva di ogni bene, piena di ogni male e impenetrabile per così dire ai raggi del sole di giustizia. Cosi la divina fiamma della fede impallidisce e muore nel seno della cristianità, la virtù diventa sempre più rara, e i vizi si scatenano con infrenabile furore. Sembra che noi siamo colpiti nel predetto momento da una defezione generale e come da una apostasia di fatto pressoché universale... Noi, ultimi di tutti, noi che ci crediamo chiamati da Maria stessa per assecondarla con ogni nostra possibilità nella lotta contro la grande eresia della nostra epoca, noi abbiamo preso come motto, come dichiariamo nella Costituzione, queste parole della Santissima Vergine ai servi di Cana: «Fate tutto quello che vi dirà»; convinti che la nostra missione, nonostante la nostra pochezza, è di esercitare verso il prossimo tutte le opere di zelo e di misericordia, noi abbracciamo in conseguenza ogni mezzo per preservarli e guarirli dal contagio del male, sotto il titolo generale dell'insegnamento dei costumi cristiani, e ne facciamo in questo spirito l'oggetto d'un voto particolare. FONTE: Traduzione italiana in J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa, II, Roma, Borla, 1987, p. 83. 45 abbandonate, al cui vantaggio si rivolsero sempre tutti i pensieri della nostra vita, e per le quali saremmo lieti di versare il nostro sangue fino all'ultima goccia. Ed ecco balenarci alla mente un disegno, che se non presenta tutti quei vantaggi che si ricavano da' quelli escogitati a pro delle altre Missioni del mondo, riuscirà forse efficace a produrre un miglioramento degno di considerazione all'infelice condizione dei Neri; sì che per le vie tracciate dalla Provvidenza essi giungeranno a poco a poco a partecipare ai frutti ineffabili della Redenzione dell'Uomo-Dio. Non solamente i neri dell'Africa interna, ma anche quelli delle coste e di tutte le altre parti della grande penisola, benché suddivisi in migliaia di differenti tribù, sono improntati più o meno dalla medesima indole, abitudini, tendenze, e costumi abbastanza conosciuti da coloro, che da lungo tempo si occuparono del loro bene; e quindi ci pare che la carità del Vangelo possa loro applicare comuni rimedi e aiuti, che risultino efficaci a comunicare alla grande famiglia dei Neri i preziosi vantaggi della Fede cattolica. Ci sembra quindi opportuno, e diremmo quasi necessario, che fra i molteplici rimedi escogitati che si potrebbero mettere in opera a beneficio della rigenerazione dei Neri, dovrebbe scegliersi quel rimedio che riunisce in sé un'assoluta unità di concetto unita a una generale semplicità di applicazione. E tale appunto ci sembrerebbe il disegno che noi abbiamo ideato per la conversione dei Neri; disegno, che quantunque vasto nella sua estensione, è malagevole nella sua completa attuazione, ci apparirebbe tuttavia uno e semplice nel suo concetto e nella sua applicazione. Questo disegno non si limiterebbe perciò agli antichi confini tracciati della Missione dell'Africa Centrale, che abbiamo veduta riuscire infelicemente per le ragioni suesposte, ma abbraccerebbe tutta intera la stirpe dei Neri; e perciò spiegherebbe e distenderebbe la sua attività su quasi tutta l'Africa, i cui paesi sono abitati dalla razza etiope. Ora quantunque la Santa Sede Apostolica non sia mai riuscita a piantare stabilmente la Fede nelle vaste tribù della Nigrizia Centrale, tuttavia profuse le benefiche sue sollecitudini nelle isole e sulle Coste che circondano la grande penisola africana, ove fondò dodici Vicariati, nove Prefetture apostoliche, e dieci Diocesi. Fioriscono infatti più o meno splendidamente. A settentrione i due Vicariati apostolici dell'Egitto c di Tunisi, e le tre Prefetture apostoliche dell'Alto Egitto, di Tripoli, e di Marocco. A ponente i cinque Vicariati apostolici della Senegambia, di Sierra Leone, del Dahomey, delle Guinee, e di Natal, e le tre Prefetture apostoliche del Senegal, del Congo, e delle isole Annabon, Corisco e Ferdinando-Po'. A mezzodì i due Vicariati apostolici dei Distretti Orientale e Occidentale del Capo di Buona Speranza. A sud-est il Vicariato apostolico di Madagascar, e le tre Prefetture apostoliche di Zanguebar, delle Isole Seychelles, e delle isole Nossibè, S. Maria e Mayotte. Al nord-est i due Vicariati apostolici dell'Abissinia e dei Galla. Fra le dieci Diocesi fioriscono poi in modo peculiare a settentrione quella di Algeri, e a sud-est quella di S. Denis presso l'Isola della Réunion nell'Oceano Indiano. È quindi naturale che, per realizzare il disegno ideato, è necessario invocare l'aiuto e la cooperazione di codesti Vicariati, Prefetture e Diocesi già stabilite attorno all'Africa, le quali mirando più da vicino la lagrimevole miseria e l'estremo bisogno dell'immense popolazioni dell'interno, sulle quali non brillò ancora l'astro luminosissimo della Fede, potranno concorrere validamente con l'autorità, con il consiglio, e con l'opera ad assistere e ad agevolare la grande impresa della rigenerazione delle vaste e po-polose tribù dell'intera Nigrizia. Il disegno quindi, che noi oseremmo proporre e sottomettere alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, sarebbe la creazione d'innumerabili Istituti d'ambo i sessi che dovrebbero circondare tutta l'Africa, giudiziosamente collocati in luoghi opportuni alla minima distanza dalle regioni interne della Nigrizia, sopra terreni sicuri e alquanto civilizzati, in cui potessero vivere e operare sì l'europeo che l'indigeno africano. 46 Questi Istituti maschili e femminili, collocato ciascuno e stabilito secondo le norme delle costituzioni canoniche, dovrebbero accogliere giovani e giovinette della razza nera allo scopo d'istruirli nella religione cattolica e nella civiltà cristiana, per creare altrettanti Corpi d'ambo i sessi, destinati, ciascuno per la propria parte, ad avanzarsi mano mano, e a distendersi nelle regioni interne della Nigrizia per piantarvi la Fede e la civiltà ricevuta. A reggere questi Istituti sarebbero chiamati gli Ordini religiosi e le Istituzioni cattoliche maschili e femminili, approvate dalla Chiesa, o riconosciute, o permesse dalla S. Congregazione di Propaganda Fide, con il beneplacito di questa e con l'accordo reciproco coi Capi e Superiori generali di questi Ordini e Istituzioni. Oltre a ciò, dietro il mandato della Propaganda, si potranno fondare per il medesimo scopo nuovi Seminari per le Missioni africane, modellati sul piano dei Seminari delle Missioni estere già esistenti, con l'applicazione di tutte quelle norme, che per l'Africa si sperimentassero opportune. Questi Istituti sarebbero posti sotto la giurisdizione dei Vicariati e Prefetture apostoliche già esistenti sulle Coste dell'Africa, o di quelli che alla S. Congregazione di Propaganda Fide piacesse fondare in seguito ai pro-gressi del nuovo disegno dell'Opera. Il personale della Direzione di codesti Istituti governerebbe i Corpi dei propri allievi etiopi secondo le regole e lo spirito della propria istituzione adattata all'opportunità ai bisogni dell'Africa interna; e si proporrebbe per fine speciale la reggenza e il buon andamento degli Istituti dei neri e delle nere, senza però trascurare di promuovere e di operare tutto quel bene che potrebbe fare al paese, ove gli Istituti sarebbero collocati. L'istruzione, che dovrà darsi a tutti gl'individui d'ambo i sessi appartenenti agli Istituti che circonderebbero l'Africa, sarà quella di infondere loro nell'animo e di radicarvi lo spirito di Gesù Cristo, l'integrità dei costumi, la fermezza della Fede, le massime della morale cristiana, la conoscenza del catechismo cattolico, e i primi rudimenti del sapere umano di prima necessità. Oltre a questo, ciascuno dei maschi verrà istruito nella scienza pratica dell'agraria, e in una o più arti di prima necessità; e ciascuna femmina verrà ugualmente istruita nei lavori donneschi di prima necessità; affinché i primi diventino uomini onesti e virtuosi, utili e attivi; e le seconde riescano pure virtuose e abili donne di famiglia. Crediamo che questa attiva applicazione al lavoro, a cui vorremmo assoggettati tutti i membri degli africani Istituti, influisca poderosamente sul morale a vantaggio spirituale degli individui della razza etiope, inclinati oltremodo alla pigrizia e all'inazione. Compiuta l'educazione religiosa e civile negli Istituti, la direzione a ciascuno degli individui d'ambo i sessi, che uscirà dalla giurisdizione del proprio Istituto, farà tutto quel bene che starà entro i limiti del suo potere, prestandogli aiuto e consiglio, perché sia posto in condizione di conservare i sani princìpi di religione e di morale, che gli furono scolpiti nell'animo con l'istruzione ricevuta. Da ciascuno di questi Istituti, che circonderanno b grande penisola africana, si formeranno altrettanti Corpi maschili e femminili, destinati a trapiantarsi gradatamente nelle regioni della Nigrizia centrale, al fine di iniziarvi e stabilirvi l'opera salutare del Cattolicesimo, e piantarvi delle Stazioni, dalle quali emanerà la luce della Religione e della civiltà. Il Corpo dei giovani neri, formato dagli individui che si giudicheranno adatti al grande scopo, sarà composto: 1° di abili catechisti, a cui si darà una più estesa conoscenza delle scienze sacre; 2° di abili maestri, a cui si darà la possibile istruzione nelle scienze di prima necessità adattabili ai paesi dell'interno; 3 ° di abili artisti, a cui si comunicherà la conoscenza pratica delle arti necessarie e più utili alle regioni centrali, per formarli virtuosi e abili agricoltori, medici, flebotomi2, infermieri, farmacisti, falegnami, sarti, muratori, calzolai etc. 2 Un tempo, si applicava questo nome a chi praticava la flebotomia, antico metodo terapeutico mediante il quale si sottraeva ad un malato, da una vena periferica, una certa quantità di sangue, operando un piccolo taglio o applicandovi una sanguisuga. 47 Il Corpo delle giovanette nere, formato ugualmente degli individui più adatti al grande scopo, sarà composto: 1° di abili istitutrici, a cui si darà la possibile istruzione nella religione e nella morale cattolica, affinché ne infondano le massime e la pratica nella degradata società femminile africana, dalla quale, come fra noi, dipende quasi del tutto la rigenerazione della grande famiglia dei Neri; 2° di abili maestre e donne di famiglia, le quali dovranno promuovere l'istruzione femminile nel leggere, nello scrivere, nel far conti, nel filare, nel cucire, nel tessere, nell' assistere gli infermi, e nell' esercitare tutte le arti donnesche più utili ai paesi della Nigrizia Centrale. Trapiantati man mano questi gran Corpi da ciascuno dei diversi Istituti che circonderanno l'Africa nei diversi punti dei paesi dell'interno, ciascun individuo, mentre presterà la sua opera a propagarvi la religione e la civiltà, in cui venne a tal uopo istruito, e a promuovere l'agricoltura in quei vergini terreni di libera occupazione, potrà abbracciare quello stato di vita a cui si sentirà più inclinato. Dalla classe dei catechisti formata dal Corpo dei giovani Neri, si otterrà la sezione degli individui più distinti per pietà e sapere, nei quali si scorgerà una probabile disposizione allo stato ecclesiastico; e questa verrà destinata all'esercizio del ministero divino. Nell'istituzione di questa privilegiata sezione si escluderà la molteplicità di materie, alle quali si assoggettano gli alunni dei Seminari d'Europa, e si limiterà l'istruzione alle discipline teologiche e scientifiche di prima necessità, sufficienti ai bisogni e alle esigenze di quei paesi; e calcolato il precoce sviluppo fisico e intellettuale dell'indigeno africano, codesta istruzione non vorremmo già prolungata ai dodici e più anni stabiliti nell'Europa; ma crediamo sufficiente che possa limitarsi dai sei agli otto anni, secondo un opportuno giudizio. Tuttavia la speciale condizione dell'incostanza e mollezza, che contraddistinguono l'indole e il carattere della razza etiopica, dovrà imporre la più rigorosa cautela nel determinare per gli aspiranti al Sacerdozio l'epoca della promozione agli ordini sacri; e siamo pienamente convinti che sia assolutamente necessario stabilire, che non si debbano promuovere che dopo parecchi anni di provata fermezza e castità, percorsi nel tirocinio di una vita esemplare e attiva e nel ministero della dispensazione della Parola divina, esercitato nelle già stabilite Stazioni dell'interno della Nigrizia nella condizione di un severo e irreprensibile celibato. Dal Corpo delle giovani Nere che non si sentiranno inclinate allo stato coniugale, si otterrà ugualmente la sezione delle Vergini della Carità, formata dagli individui più distinti per pietà e istruzione pratica del catechismo, delle lingue, e dei lavori donneschi, Questa sezione privilegiata costituirà il nucleo scelto del Corpo femminile destinato a reggere le scuole delle fanciulle, e a compiere le funzioni più importanti della carità cristiana, e a esercitare il ministero della donna cattolica fra le tribù della Nigrizia. In tal modo, grazie al ministero importantissimo del Clero indigeno e delle Vergini della Carità, coadiuvato dall'opera benefica dei catechisti, dei maestri, e degli artisti, delle istitutrici, delle maestre e donne di famiglia, si formeranno a poco a poco numerose famiglie cattoliche, e sorgeranno fiorite società cristiane, e la nostra santa religione, dispiegando il suo salutare influsso sulla famiglia etiopica, stenderà grado grado il suo benefico impero sulla vasta estensione delle inesplorate regioni dell'intera Nigrizia. Avendo l'esperienza dimostrato che la sola continuata permanenza nei paesi dell'interno, e non già una temporanea dimora è pericolosa ed esiziale all'europeo, le fondazioni delle Missioni e delle Cristianità che si verranno in progresso di tempo a stabilire nei paesi dell' Africa Centrale, saranno personalmente iniziate e avviate dai Missionari europei, a tal fine incaricati dai rispettivi Vicari e Prefetti apostolici; i quali dovranno pure determinare il personale dei catechisti o Sacerdoti indigeni di provata idoneità, a cui verrà affidata la permanente direzione delle Stazioni e delle Cristianità dell'interno, già iniziate e avviate dai Missionari europei. Considerato che le statistiche delle Missioni africane hanno dimostrato che la donna europea, con la vantaggiosa elasticità del suo fisico, l'indole del suo morale, e le abitudini del suo vivere 50 17. Charles card. Lavigerie Istruzioni ai Padri Bianchi dell'Africa equatoriale (1879) Quando un sacerdote parte volontariamente per l'Africa equatoriale, deve rassegnarsi anzitutto a sopportare i mali inseparabili della missione e non fare di tutte le sue lettere dei supplementi alle lamentazioni di Geremia... Per realizzare la trasformazione dell'Africa... la prima condizione è di elevare gli Africani scelti da voi a condizioni tali che, dal punto di vista materiale, li lascino veramente africani. Non lo si è fatto in genere fino al presente e, devo dirlo, noi siamo caduti ad Algeri nell'errore comune, come ho toccato con mano. Occorre ai giovani Neri, anche a quelli di cui si vorrà fare degli insegnanti e dei catechisti, uno stato che permetta loro di vivere a loro spese della vita africana e, se si può, uno stato che li onori, che dia loro l'influenza e sia accettato senza contestazioni da tutti, in modo da permettere loro di aiutare poderosamente í missionari, senza essere a loro carico. Parlando dell'educazione materiale dei nostri giovani Neri, ho detto che doveva essere africana. Invece la loro educazione religiosa deve essere essenzialmente apostolica. Vi sono stati infatti due maniere di fare gli uomini a nostra somiglianza. La prima è di renderti simili a noi all'esterno. È la maniera umana, quella dei civilizzatori filantropi, di quelli che dicono, come si è ripetuto alla conferenza di Bruxelles, che per cambiare gli Africani è sufficiente insegnar loro i mestieri e le arti d'Europa. È credere che, quando saranno alloggiati, vestiti, nutriti come noi, essi avranno cambiato natura. Essi non avranno cambiato che l'abito. Il loro cuore sarà barbaro, ancor più barbaro; infatti esso sarà profondamente corrotto, e farà servire alla sua corruzione ciò che avrà appreso dei segreti del nostro lusso e della nostra mollezza. La maniera divina è tutt'altra. È san Paolo che l'ha definita dicendo: farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Cristo Gesù (1 Cor 9,22). L'apostolato si indirizza all'anima, è l'anima che cambia, sapendo che tutto il resto verrà in sovrappiù... Egli si fa barbaro con i Barbari come è greco con i Greci. Ecco ciò che hanno fatto gli Apostoli e vediamo che nessuno di loro ha cercato di cambiare anzitutto le abitudini materiali dei popoli. Essi hanno tentato di cambiare i loro cuori, e una volta cambiati i cuori, essi hanno rinnovato il mondo. FONTE: Traduzione italiana in J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa, II, Roma, Borla, 1987, p. 128. 51 18. Antoine Frédéric Ozanam Lettera del 22 febbraio 18483 Quando dico «passiamo ai barbari», non dico di passare ai radicali… Io credo di vedere Il Sovrano Pontefice adempiere ciò che noi invocavamo con i nostri voti da vent'anni: passare dalla parte dei «barbari», cioè dal campo dei re, degli uomini di Stato del 1815, per andare al popolo. E dicendo «Passiamo ai barbari» domando che noi facciamo come lui, che noi ci occupiamo del popolo che ha troppi bisogni e non molti diritti, che reclama con ragione una parte più completa negli affari pubblici, delle garanzie per il lavoro e contro la miseria, che ha dei capi cattivi, mentre bisogna trovarne di buoni... Noi non convertiremo forse Attila e Genserico, ma, con l'aiuto di Dio, forse verremo a capo degli Unni e dei Vandali. «L'Atelier», luglio 18454 Ciò che il popolo reclama non è certo l'elemosina, né il patronato, filantropico o religioso, non è certo neppure del pane, se al dono di questo pane si osa annettere una condizione servile. Ciò ch'esso vuole, è il suo posto nel cuore della grande famiglia, è il riconoscimento del suo diritto formale alla partecipazione agli affari pubblici; è la libertà di raccogliere ciò che semina con il proprio lavoro; è l'abolizione di tutti i privilegi del denaro; è la cessazione, infine, degli sperperi di alcuni... Nessuno più di noi desidera l'intervento del sacerdote nelle questioni di emancipazione che sollevano oggi le masse popolari; ma questo intervento deve essere conforme al vero spirito cristiano. FONTE: Traduzione italiana in J. COMBY, Per leggere la storia della Chiesa, II, Roma, Borla, 1987, p. 92. 3 A seguito delle rivolte operaie come quelle dei setaioli di Lione (1831-1834) molti avevano parlato degli operai come di nuovi barbari che minacciavano le città. Ebbene «passiamo ai barbari» dice Ozanam accogliendo la sfida. È tempo di cambiar politica economica e sociale. Ozanam pensa anche che il nuovo papa, Pio IX, si ponga in questa ottica. 4 II giornale «L'Atelier», che apparve dal 1840 al 1850, era redatto da operai che si richiamavano alla fede del Vangelo e del socialismo. Essi si ergono contro l'elemosina e le opere nelle quali la Chiesa vedeva sovente la soluzione del problema sociale. 52 19. Leone XIII enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891) INTRODUZIONE Motivo dell'enciclica: la questione operaia 1. L'ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall'ordine politico passare nell'ordine simile dell'economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l'unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l'aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l'ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. […] 2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balìa della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile. I - IL SOCIALISMO, FALSO RIMEDIO 1. La soluzione socialista inaccettabile dagli operai 3. A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l'odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello Stato. Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con l'eguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, invece che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze degli uffici dello Stato, e scompiglia tutto l'ordine sociale. 4. E infatti non è difficile capire che lo scopo del lavoro, il fine prossimo che si propone l'artigiano, è la proprietà privata. Poiché se egli impiega le sue forze e la sua industria a vantaggio altrui, lo fa per procurarsi il necessario alla vita: e però con il suo lavoro acquista un vero e perfetto diritto, non solo di esigere, ma d'investire come vuole, la dovuta mercede. Se dunque con le sue economie è riuscito a far dei risparmi e, per meglio assicurarli, li ha investiti in un terreno, questo terreno non è infine altra cosa che la mercede medesima travestita di forma, e conseguente proprietà sua, né più né meno che la stessa mercede. Ora in questo appunto, come 55 proprio" (Ivi). Nessuno, certo, è tenuto a soccorrere gli altri con le cose necessarie a sé e ai suoi, anzi neppure con ciò che è necessario alla convivenza e al decoro del proprio stato, "perché nessuno deve vivere in modo non conveniente" . Ma, soddisfatte le necessità e la convenienza, è dovere soccorrere col superfluo i bisognosi: "Quello che sopravanza date in elemosina" (cf. Lc 11,41). Eccetto il caso di estrema necessità, questi, è vero, non sono obblighi di giustizia, ma di carità cristiana il cui adempimento non si può certamente esigere per via giuridica, ma sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge e il giudizio di Cristo, il quale inculca in molti modi la pratica del dono generoso e insegna: "È più bello dare che ricevere" (cf. At 20,35), e terrà per fatta o negata a sé la carità fatta o negata ai bisognosi: "Quanto faceste ad uno dei minimi di questi miei fratelli, a me lo faceste" (cf. Mt 25,40). In conclusione, chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio copia maggiore di beni, sia esteriori e corporali sia spirituali, a questo fine li ha ricevuti, di servirsene al perfezionamento proprio, e nel medesimo tempo come ministro della divina provvidenza a vantaggio altrui: "Chi ha dunque ingegno, badi di non tacere; chi ha abbondanza di roba, si guardi dall'essere troppo duro di mano nell'esercizio della misericordia; chi ha un'arte per vivere, ne partecipi al prossimo l'uso e l'utilità" . d) Vantaggi della povertà 20. Ai poveri poi, la Chiesa insegna che innanzi a Dio non è cosa che rechi vergogna né la povertà né il dover vivere di lavoro. Gesù Cristo confermò questa verità con l'esempio suo, mentre, a salute degli uomini, "essendo ricco, si fece povero" (2Cor 8,9) ed essendo Figlio di Dio, e Dio egli stesso, volle comparire ed essere creduto figlio di un falegname, anzi non ricusò di passare lavorando la maggior parte della sua vita: "Non è costui il fabbro, il figlio di Maria?" (Mc 6,3). Mirando la divinità di questo esempio, si comprende più facilmente che la vera dignità e grandezza dell'uomo è tutta morale, ossia riposta nella virtù; che la virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari; che solo alle opere virtuose, in chiunque si trovino, è serbato il premio dell'eterna beatitudine. Diciamo di più: per gli infelici pare che Iddio abbia una particolare predilezione, poiché Gesù Cristo chiama beati i poveri (cf. Mt 5,3); invita amorosamente a venire da lui per conforto quanti sono stretti dal peso degli affanni (Mt 11,28), i deboli e i perseguitati abbraccia con atto di carità specialissima. Queste verità sono molto efficaci ad abbassar l'orgoglio dei fortunati e togliere all'avvilimento i miseri, ad ispirare indulgenza negli uni e modestia negli altri. Così le distanze, tanto care all'orgoglio, si accorciano; né riesce difficile ottenere che le due classi, stringendosi la mano, scendano ad amichevole accordo. […] 24. Ma vi è di più: la Chiesa concorre direttamente al bene dei proletari col creare e promuovere quanto può conferire al loro sollievo, e in questo tanto si è segnalata, da riscuoter l'ammirazione e gli encomi degli stessi nemici. […] Giacché, madre comune dei poveri e dei ricchi, ispirando e suscitando dappertutto l'eroismo della carità, la Chiesa creò sodalizi religiosi ed altri benefici istituti, che non lasciarono quasi alcuna specie di miserie senza aiuto e conforto. Molti oggi, come già fecero i gentili, biasimano la Chiesa perfino di questa carità squisita, e si è creduto bene di sostituire a questa la beneficenza legale. Ma non è umana industria che possa supplire la carità cristiana, tutta consacrata al bene altrui. Ed essa non può essere se non virtù della Chiesa, perché è virtù che sgorga solamente dal cuore santissimo di Gesù Cristo: e si allontana da Gesù Cristo chi si allontana dalla Chiesa. B) L'opera dello Stato 25. A risolvere peraltro la questione operaia, non vi è dubbio che si richiedano altresì i mezzi umani. Tutti quelli che vi sono interessati debbono concorrervi ciascuno per la sua parte: e ciò ad esempio di quell'ordine provvidenziale che governa il mondo; poiché d'ordinario si vede che ogni buon effetto è prodotto dall'armoniosa cooperazione di tutte le cause da cui esso dipende. 56 Vediamo dunque quale debba essere il concorso dello Stato. Noi parliamo dello Stato non come è costituito o come funziona in questa o in quella nazione, ma dello Stato nel suo vero concetto, quale si desume dai principi della retta ragione, in perfetta armonia con le dottrine cattoliche, come noi medesimi esponemmo nella enciclica sulla Costituzione cristiana degli Stati (enciclica Immortale Dei) . 1. Il diritto d'intervento dello Stato 26. I governanti dunque debbono in primo luogo concorrervi in maniera generale con tutto il complesso delle leggi e delle istituzioni politiche, ordinando e amministrando lo Stato in modo che ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità. Questo infatti è l'ufficio della civile prudenza e il dovere dei reggitori dei popoli. […] a) Per il bene comune 27. Ma bisogna inoltre considerare una cosa che tocca più da vicino la questione: che cioè lo Stato è una armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi. I proletari né di più né di meno dei ricchi sono cittadini per diritto naturale, membri veri e viventi onde si compone, mediante le famiglie, il corpo sociale: per non dire che ne sono il maggior numero. Ora, essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trascurare l'altra, è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai; non facendolo, si offende la giustizia che vuole si renda a ciascuno il suo. Onde saggiamente avverte san Tommaso: "Siccome la parte e il tutto fanno in certo modo una sola cosa, così ciò che è del tutto è in qualche maniera della parte" . Perciò tra i molti e gravi doveri dei governanti solleciti del bene pubblico, primeggia quello di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini, osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva. b) per il bene degli operai Sebbene tutti i cittadini, senza eccezione alcuna, debbano cooperare al benessere comune che poi, naturalmente, ridonda a beneficio dei singoli, tuttavia la cooperazione non può essere in tutti né uguale né la stessa. Per quanto si mutino e rimutino le forme di governo, vi sarà sempre quella varietà e disparità di condizione senza la quale non può darsi e neanche concepirsi il consorzio umano. Vi saranno sempre pubblici ministri, legislatori, giudici, insomma uomini tali che governano la nazione in pace, e la difendono in guerra; ed è facile capire che, essendo costoro la causa più prossima ed efficace del bene comune, formano la parte principale della nazione. Non possono allo stesso modo e con gli stessi uffici cooperare al bene comune gli artigiani; tuttavia vi concorrono anch'essi potentemente con i loro servizi, benché in modo indiretto. Certo, il bene sociale, dovendo essere nel suo conseguimento un bene perfezionativo dei cittadini in quanto sono uomini, va principalmente riposto nella virtù. Nondimeno, in ogni società ben ordinata deve trovarsi una sufficiente abbondanza dei beni corporali, "l'uso dei quali è necessario all'esercizio della virtù". Ora, a darci questi beni è di necessità ed efficacia somma l'opera e l'arte dei proletari, o si applichi all'agricoltura, o si eserciti nelle officine. Somma, diciamo, poiché si può affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che forma la ricchezza nazionale. È quindi giusto che il governo s'interessi dell'operaio, facendo sì che egli partecipi in qualche misura di quella ricchezza che esso medesimo produce, cosicché abbia vitto, vestito e un genere di vita meno disagiato. Si favorisca dunque al massimo ciò che può in qualche modo migliorare la condizione di lui, sicuri che questa provvidenza, anziché nuocere a qualcuno, gioverà a tutti, essendo interesse universale che non rimangano nella miseria coloro da cui provengono vantaggi di tanto rilievo. 2. Norme e limiti del diritto d'intervento 28. Non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto invece che si lasci all'uno e all'altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, 57 salvo il bene comune e gli altrui diritti. Tuttavia, i governanti debbono tutelare la società e le sue parti. La società, perché la tutela di questa fu da natura commessa al sommo potere, tanto che la salute pubblica non è solo legge suprema, ma unica e totale ragione della pubblica autorità; le parti, poi, perché filosofia e Vangelo si accordano a insegnare che il governo è istituito da natura non a beneficio dei governanti, bensì dei governati. E perché il potere politico viene da Dio ed è una certa quale partecipazione della divina sovranità, deve amministrarsi sull'esempio di questa, che con paterna cura provvede non meno alle particolari creature che a tutto l'universo. Se dunque alla società o a qualche sua parte è stato recato o sovrasta un danno che non si possa in altro modo riparare o impedire, si rende necessario l'intervento dello Stato. 29. Ora, interessa il privato come il pubblico bene che sia mantenuto l'ordine e la tranquillità pubblica; che la famiglia sia ordinata conforme alla legge di Dio e ai principi di natura; che sia rispettata e praticata la religione; che fioriscano i costumi pubblici e privati; che sia inviolabilmente osservata la giustizia; che una classe di cittadini non opprima l'altra; che crescano sani e robusti i cittadini, atti a onorare e a difendere, se occorre, la patria. Perciò, se a causa di ammutinamenti o di scioperi si temono disordini pubblici; se tra i proletari sono sostanzialmente turbate le naturali relazioni della famiglia; se la religione non è rispettata nell'operaio, negandogli agio e tempo sufficiente a compierne i doveri; se per la promiscuità del sesso ed altri incentivi al male l'integrità dei costumi corre pericolo nelle officine; se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e dignità umana; se con il lavoro eccessivo o non conveniente al sesso e all'età, si reca danno alla sanità dei lavoratori; in questi casi si deve adoperare, entro i debiti confini, la forza e l'autorità delle leggi. I quali fini sono determinati dalla causa medesima che esige l'intervento dello Stato; e ciò significa che le leggi non devono andare al di là di ciò che richiede il riparo dei mali o la rimozione del pericolo. I diritti vanno debitamente protetti in chiunque li possieda e il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo, con impedirne o punirne le violazioni. Se non che, nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per se stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue. 3. Casi particolari d'intervento […] b) Difesa del lavoro 1) Contro lo sciopero 31. Il troppo lungo e gravoso lavoro e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero. A questo disordine grave e frequente occorre che ripari lo Stato, perché tali scioperi non recano danno solamente ai padroni e agli operai medesimi, ma al commercio e ai comuni interessi e, per le violenze e i tumulti a cui d'ordinario danno occasione, mettono spesso a rischio la pubblica tranquillità. Il rimedio, poi, in questa parte, più efficace e salutare, si è prevenire il male con l'autorità delle leggi e impedire lo scoppio, rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni. 2) Condizioni di lavoro […] Di qui segue la necessità del riposo festivo. Sotto questo nome non s'intenda uno stare in ozio più a lungo, e molto meno una totale inazione quale si desidera da molti, fomite di vizi e occasione di spreco, ma un riposo consacrato dalla religione. Unito alla religione, il riposo toglie l'uomo ai lavori e alle faccende della vita ordinaria per richiamarlo al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla Maestà divina. Questa è principalmente la natura, questo il fine del riposo festivo, che Iddio con legge speciale prescrisse all'uomo nel Vecchio Testamento dicendogli: "Ricordati di 60 ingiusta e intollerabile oppressione. Ora, potrà mai esitare sulla scelta di questo secondo partito, chi non vuole mettere a repentaglio il massimo bene dell'uomo? 3. Favorire i congressi cattolici 41. Degnissimi d'encomio sono molti tra i cattolici che, conosciute le esigenze dei tempi, fanno ogni sforzo per migliorare onestamente le condizioni degli operai. E, presane in mano la causa, si studiano di accrescerne il benessere individuale e domestico; di regolare, secondo equità, le relazioni tra lavoratori e padroni; di tener vivo e profondamente radicato negli uni e negli altri il senso del dovere e l'osservanza dei precetti evangelici; precetti che, allontanando l'animo da ogni sorta di eccessi, lo inducono alla moderazione e, tra la più grande diversità di persone e di cose, mantengono l'armonia nella vita civile. A tal fine vediamo che spesso si radunano dei congressi, ove uomini saggi si comunicano le idee, uniscono le forze, si consultano intorno agli espedienti migliori. Altri s'ingegnano di stringere opportunamente in società le varie classi operaie; le aiutano col consiglio e i mezzi e procurano loro un lavoro onesto e redditizio. Coraggio e protezione vi aggiungono i vescovi, e sotto la loro dipendenza molti dell'uno e dell'altro clero attendono con zelo al bene spirituale degli associati. Non mancano finalmente i cattolici benestanti che, fatta causa comune coi lavoratori, non risparmiano spese per fondare e largamente diffondere associazioni che aiutino l'operaio non solo a provvedere col suo lavoro ai bisogni presenti, ma ad assicurarsi ancora per l'avvenire un riposo onorato e tranquillo. […] 4. Autonomia e disciplina delle associazioni 42. Questa sapiente organizzazione e disciplina è assolutamente necessaria perché vi sia unità di azione e d'indirizzo. Se hanno pertanto i cittadini, come l'hanno di fatto, libero diritto di legarsi in società, debbono avere altresì uguale diritto di scegliere per i loro consorzi quell'ordinamento che giudicano più confacente al loro fine. Quale esso debba essere nelle singole sue parti, non crediamo si possa definire con regole certe e precise, dovendosi determinare piuttosto dall'indole di ciascun popolo, dall'esperienza e abitudine, dalla quantità e produttività dei lavori, dallo sviluppo commerciale, nonché da altre circostanze, delle quali la prudenza deve tener conto. In sostanza, si può stabilire come regola generale e costante che le associazioni degli operai si devono ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale. È evidente, poi, che conviene aver di mira, come scopo speciale, il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento si deve indirizzare tutta la disciplina sociale. Altrimenti tali associazioni degenerano facilmente in altra natura, né si mantengono superiori a quelle in cui della religione non si tiene conto alcuno. Del resto, che gioverebbe all'operaio l'aver trovato nella società di che vivere bene, se l'anima sua, per mancanza di alimento adatto, corresse pericolo di morire? "Che giova all'uomo l'acquisto di tutto il mondo con pregiudizio dell'anima sua?" (Mt 16,26). Questo, secondo l'insegnamento di Gesù Cristo, è il carattere che distingue il cristiano dal pagano: "I pagani cercano tutte queste cose... voi cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e gli altri beni vi saranno dati per giunta" (Mt 6,32-33). Prendendo adunque da Dio il principio, si dia una larga parte all'istruzione religiosa, affinché ciascuno conosca i propri doveri verso Dio; sappia bene ciò che deve credere, sperare e fare per salvarsi; e sia ben premunito contro gli errori correnti e le seduzioni corruttrici. L'operaio venga animato al culto di Dio e all'amore della pietà, e specialmente all'osservanza dei giorni festivi. Impari a venerare e amare la Chiesa, madre comune di tutti, come pure a obbedire ai precetti di lei, e a frequentare i sacramenti, mezzi divini di giustificazione e di santità. […] Dato a Roma presso San Pietro, il giorno 15 maggio 1891, anno decimoterzo del nostro pontificato. 61 FONTE: www.vatican.va
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved