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Sviluppo economico in Europa: il XV-XVIII secolo, Appunti di Storia Economica

DemografiaStoria agricolaStoria EconomicaStoria europea

Il sistema economico integrato in europa dal xv al xviii secolo, con un focus sulla produzione agricola, la demografia e le interconnessioni commerciali. Fernand braudel introdusse il concetto di 'economia mondo' per descrivere lo sviluppo economico unitario e complessivo in europa. Il territorio europeo si espandeva grazie a campagne militari fortunate, e il sistema economico era basato su moneta metallica. La popolazione europea cresceva costantemente, nonostante la mortalità elevata a causa di guerre, carestie e epidemie. Innovazioni in agricoltura, come l'introduzione di sale marino e salgemma, contribuirono all'aumento della produzione agricola. La demografia europea subì una forte ristagno o addirittura regresso a causa di crisi alimentari, epidemie e guerre. La rifeudalizzazione in europa orientale ridisegnò il quadro dell'europa moderna, determinando lo squilibrio tra nord e sud del continente.

Cosa imparerai

  • Come la produzione agricola in Europa aumentò nel XV secolo?
  • Come le interconnessioni commerciali in Europa influenzarono lo sviluppo economico?
  • Come la demografia europea si sviluppò durante questo periodo?
  • Come il sistema economico europeo si sviluppò dal XV al XVIII secolo?
  • Come la rifeudalizzazione in Europa orientale influenzò lo sviluppo economico?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 28/11/2019

graziano95
graziano95 🇮🇹

5

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Scarica Sviluppo economico in Europa: il XV-XVIII secolo e più Appunti in PDF di Storia Economica solo su Docsity! PAOLA MASSA ­ L’economia del XV secolo. I presupposti dell’espansione  dell’Europa. 1. Un sistema economico integrato: l’Europa del XV secolo Il territorio Negli anni Sessanta Fernand Braudel elaborò per il sistema economico europeo un  modello di sviluppo economico unitario e complessivo definito “economia mondo”   .   Lo spazio economico identificato con questo termine non coincide con i confini  politici   dell’Europa   ma   comprende   oltre   a   tutto   il   Mediterraneo   e   i   suoi  traffici anche i paesi dell’Africa Settentrionale economicamente tributari e  legati   agli   scambi   attivi   di   merci,   di   metalli   preziosi   e   di   uomini   con  l’Europa(quindi questo tipo di modello presenta inoltre un allargamento della  dimensione   territoriale­economica   comprendente   anche   paesi   dell’Africa  settentrionale.) Il modello dell’economia mondo presuppone all’interno dello  spazio territoriale definito con questo termine un’autosufficienza sostanziale  nel   soddisfacimento   dei   bisogni   umani   e   una   domanda   di   beni   e   manufatti  qualitativamente   differenziata   (esigenze   diverse   a   seconda   delle   classi  sociali)e in secondo luogo afferma la mancanza di convenienza economica quindi  di possibilità di ottenere un adeguato livello di profitto nell’effettuare  scambi con altre realtà al di fuori dei propri confini.  Poli urbani di sviluppo e mercati Sempre   secondo   il   teorico   francese,   grazie   all’azione   trainante   di   alcuni  centri urbani (“poli”) si attua un’azione di spinta e di aggregazione di vari  settori dell’economia. Fino alla metà del Quattrocento sono il  settore tessile  e i traffici commerciali che permettono di ottenere i maggiori guadagni. Già a  partire dal XIII secolo si comincia a parlare di   capitalismo commerciale  consistente nell’interporsi del mercante fra produttore e consumatore, grazie  all’enorme distanza spaziale e temporale che per certe merci separava i luoghi  di   approvvigionamento  da   quelli   di   vendita.   I  mercanti   sono   operatori  non  specializzati   dotati   di   cospicui   mezzi   finanziari   e   di   credito   cioè  dell’affidabilità e inoltre di competenze in campo commerciale giuridico e  contabile.  Nel 400 si vedono emergere 2 punti di riferimento per i traffici commerciali,  ovvero l’area Mediterranea e l’area Baltica; e in particolare la leadership nei  traffici commerciali spetta  • alle città italiane del Mediterraneo •   al complesso dei  centri portuali del Mar Baltico riuniti nell’Ansa  Germanica.  Le prime sono specializzate nel commercio con l’Oriente e forniscono all’Europa  prodotti essenziali come le spezie ma sono presenti anche nei traffici di beni  di prima necessità come i cereali e di materie prime. Le città anseatiche  invece collegano il mar Baltico con il Mare del Nord da esse dipendono i  rifornimenti di tutti i Paesi dell’Europa Settentrionale, Inghilterra compresa.  I   fattori   politici   contingenti   contribuiscono   a   complicare   preesistenti  equilibri socio­economici. Infatti la  “Guerra dei 100 anni”  (1337­1453), che  rende difficili gli scambi attraverso le vie terrestri, permette a Bruges di  affermarsi come città portuale intermedia tra i 2 poli citati. Successivamente  Bruges caduta in disgrazia con la dinastia degli Asburgo, succede  Anversa.  Anversa   fu   una   delle   sedi   delle   prime   Borse   merci   operanti   sui   mercati  internazionali. (GUERRA   DEI   100   ANNIconflitto   dinastico,   nazionale,   economico,   che   oppose  la Francia all'Inghilterra tra   il   1337   e   il   1453,   con   lunghi   periodi   di  tregua   .   I   motivi   del   grave   contrasto   traevano   quasi   sicuramente   origine  dal Trattato   di   Parigi del   1259   che,   a   titolo   feudale,   assegnava  la Guienna alla monarchia inglese e che, di conseguenza, induceva la Francia a  rivendicare tale territorio.  imperatore,   fondando   l'Impero   carolingio  che  comprende   Francia,   Germania   e   Italia   centrosettentrionale,   e   viene   anche  chiamato Sacro Romano Impero)tra i diritti tradizionalmente riservati al fisco,  vi è quello di battere moneta, considerata il simbolo della sovranità, infatti  la zecca è una fonte fondamentale di entrate e speculazioni finanziarie da  parte del fisco stesso. Il sistema monetario nell’Europa pre­industriale, è di  tipo metallico. La moneta è di metallo, ed è usata come mezzo per regolare le  transazioni. L’unica moneta che circola effettivamente, nell’Alto Medioevo, è il denaro  d’argento. L’oro è usato come mezzo di pagamento, ma non sotto forma di moneta, bensì  oggettistica   (valutazione   a   peso). I   secoli   fino   al   XI   sono   caratterizzati   dai   “mezzi   limite”   di   pagamento  (definiti così da Frederic Mauro): l’autoconsumo  che comprende lo scambio di  beni   ed   è   presente   nelle   campagne   e   nelle   economie   chiuse;   il  baratto,  effettuato   sui   mercati   regionali   e   internazionali;   i  consumi   gratuiti,  all’epoca assai più diffusi, anche per l’opera della chiesa (utilizzazione  dell’acqua). Dalla metà del XIII secolo, la moneta penetra nella vita economica, come alcuni  storici sostengono, la prima moneta d’oro importante è il Genovino. Con un sistema monetario basato sul metallo due sono i problemi: • Il primo è che per mettere in circolazione moneta metallica bisogna  trovare le miniere.  • Secondo problema è che più cresce l’economia degli scambi maggiore è la  massa monetaria in circolazione è maggiore e la domanda si moneta richiesta  dal sistema.  Quindi quanta più c’è  domanda del  bene moneta, tanto più si devono sfruttare  le   miniere   d’argento  e   d’oro.     Le  zone   minerarie   dell’   argento  erano  principalmente la  Repubblica Ceca e  la  Germania  mentre le miniere d’oro in  Europa  mancavano per cui l’oro, prima delle scoperte geografiche, proveniva  principalmente dall’Africa. La   formazione   di   un   mercato   monetario   è   stata   tuttavia   ritardata   dalla  insufficiente quantità di metalli preziosi monetabili in circolazione. L’oro e  l’argento servono per la fabbricazione di gioielli e tesori della chiesa. Dopo la metà del XV secolo il sistema bimetallico si intensifica e l’aumento  del   prezzo   dei   metalli   stimola   la   ricerca   di   nuovi   giacimenti   e   il  perfezionamento delle tecniche di estrazione per quelli già conosciuti. In  particolare le quantità d’argento aumentano per un migliore sfruttamento delle  risorse mentre per l’oro, a fine secolo, grazie alle nuove scoperte operate dai  Portoghesi sulle coste Africane e in particolare grazie alla scoperta di un  nuovo continente :l’America (i primi viaggi di Colombo).  Risulta un Europa con molte monete che prova tentativi di dare stabilità al  mercato   internazionale   del   denaro. Più difficile risulta, per il XV secolo, una valutazione della velocità di  circolazione   della   massa   monetaria. Il ‘400 rappresenta un periodo di adattamento del sistema economico europeo. I mercanti­banchieri. I primi strumenti e le istituzioni del credito. Nel quadro del sistema feudale la mancanza di capitali mobiliari e monetari non  è sentita in misura rilevante, ma, in concomitanza con lo sviluppo sempre  maggiore dei commerci si cerca di ovviare a questa carenza. L’esercizio del  credito rimane tuttavia non regolamentato e spesso illegale e gli alti tassi  (30­40%) impediscono ai mercanti e agli artigiani di procurarsi i capitali. La  clientela di questi banchieri­usurai è all’inizio costituita da gente bisognosa  di denaro per l’acquisto di beni di consumo. Il ‘400 risente ancora della Chiesa che considera immorale ogni forma di  trasferimento oneroso del danaro. È vista con sospetto anche la lettera di  cambio; se ne limita la liceità solo al caso in cui sia tratta su un’altra  piazza ed in una moneta diversa da quella del traente (l’interesse viene  occultato all’interno del tasso di cambio). Protagonisti sono i mercanti­banchieri cioè soggetti economici non  specializzati che aprono conti correnti e ricevono depositi. Venezia, Genova, Barcellona, ma specialmente la Toscana testimoniano un fiorire  di attività in questo settore ed il progressivo perfezionarsi di strumenti  creditizi e delle tecniche ad essi connesse. Una delle più antiche istituzioni  creditizie pubbliche è il Banco di San Giorgio fondato nel 1408 a Genova. Caratterizza la metà del XV secolo il diffondersi del credito su pegno, gestito  dai Monti di Pietà con finalità prevalentemente assistenziali. Si tratta di una  istituzione prettamente italiana che ha il suo maggiore punto di forza nei  bassi tassi di interesse richiesti. Il capitale è il risultato di fonti proprie  di entrata, non onerose; solo un secolo più tardi alcuni di essi iniziano a  raccogliere depositi, ma per un lungo periodo senza corrispondere alcun  interesse.  2. La domanda e l’offerta di beni. Prodotti agricoli e manufatti Andamento e distribuzione della popolazione Il periodo medievale è caratterizzato dalla popolazione europea costantemente  crescente, nonostante una mortalità “catastrofica”(causata da guerre, carestie  ed epidemie). Ad essa si contrapponeva poi una “mortalità ordinaria” anch’essa comunque molto  elevata specialmente per quanto riguarda i decessi infantili e dei giovani  sotto i dieci anni. Questa mortalità derivava dalla povertà della popolazione e  dalle difficili condizioni in cui viveva.  Secondo Carlo M. Cipolla   la popolazione d’Europa risultava quindi, sempre di  tipo giovane in quanto la speranza di vita allora non superava i 40­45 anni.  (Secondo Cipolla, la guerra era quella che provocava una maggiore frequenza  degli   altri   2   malanni;   infatti   la   carestia   era   spesso   la   conseguenza   di  distruzioni e di saccheggi di raccolti e bestiame dai soldati di passaggio,  invece le epidemie erano le conseguenze delle disastrose condizioni igienico  sanitarie   degli   eserciti   e   si   diffondevano   molto   tra   le   popolazioni   mal  nutrite). Sulla consistenza numerica della popolazione tra Medioevo ed Età Moderna non si  hanno dati certi e completi ma gli storici hanno effettuato delle stime. Sempre secondo questo studioso, si è stimato che la popolazione europea si  aggirasse intorno ai 30­35 milioni di abitanti intorno all’anno 1000 mentre si  ha una crescita fino a 80 milioni alla metà del Trecento. Tra il 1347 e il 1351  la grande epidemia proveniente dall’Oriente e denominata peste nera causò una  riduzione della popolazione di quasi 1/3 e soprattutto provocò due ulteriori  conseguenze: • Da quel momento la peste per lungo tempo si stabilisce in Europa • Si ha una crisi demografica che diventa poi anche crisi economica  Solo alla fine del Quattrocento la popolazione totale avrebbe recuperato le  enormi perdite raggiungendo di nuovo gli 80 milioni di abitanti anche se non  mancano gli squilibri regionali. La crescita è lenta in Francia e in Italia,  mentre crescono ad un ritmo più elevato la penisola iberica la Germania e  l’Inghilterra. Dalla metà del secolo, si assiste inoltre alla ripresa del  sistema economico,  pesantemente condizionato dalla pestilenza che riduce la  domanda e aumenta le risorse a disposizione dei singoli quindi migliora le loro  condizioni di vita. La popolazione europea oltre ad aumentare tende sempre più a concentrarsi nelle  città e le direttrici sono almeno due, cioè l’inurbamento sia dalla campagna  sia   dai   centri   più   piccoli   verso   i   più   grandi.   L’aumento   del   tasso   di  inurbamento   provoca   un’importante   conseguenza,   infatti   maggiore   è   la  popolazione   accentrata   più   ampio   ed   efficiente   deve   essere   il   sistema   di  approvvigionamento e di distribuzione dei beni di consumo primari organizzato  dalle autorità pubbliche. Consumi e investimenti La spesa globale è soprattutto di consumo ed è alimentata dalla domanda dei  privati. La spesa pubblica non si differenzia molto da quella privata. Le  uniche infrastrutture per le quali gli stati dimostrano una certa attenzione  sono le vie ed i mezzi di comunicazione (porti, finanziamenti alla  cantieristica, in particolare le spedizioni commerciali). bilancia commerciale del sistema economico dell’Europa a cui corrisponde una  pesante emorragia di metalli preziosi, l’unica forma di pagamento accettata dai  mercati dell’oriente asiatico prima dell’arrivo dei Portoghesi.  Il commercio internazionale si attuava in due fasi:  • Nella prima fase i mercanti dell’estremo oriente consegnano i prodotti  sulle rive dell’Oceano Indiano a corrispondenti arabi che ne curano il  trasporto fino alle rive del Mediterraneo raggiungendo anche il Nord Europa • La  seconda  fase  vede  i Veneziani  e Genovesi  e in  misura  minore  i  Provenzali   e   Catalani   come   i   principali   intermediari   all’interno   del  Mediterraneo. Tra il XII e il XVI secolo Venezia in particolare occupa la  posizione di massimo mercato europeo delle spezie.  Le   spezie   erano   beni   di   lusso   molto   costosi   ma   che   ormai   risultavano  indispensabili per la società europea perché ad esse si attribuivano qualità  terapeutiche e afrodisiache e perché venivano utilizzate per conservare gli  alimenti e infine per nascondere durante la cottura la cattiva conservazione  dei   cibi.   I   beni   di   lusso   costituiscono   un   bisogno   la   cui   domanda   è  tendenzialmente rigida.  Il pepe in particolare supera da solo, come quantità commercializzata, tutte le  altre spezie messe insieme. I   traffici   internazionali,   dopo   la   depressione,   caduta   Costantinopoli   e  conquistato l’Egitto da parte dei Turchi, attraggono interessi e capitali. 3. Organizzazione e tecniche di lavoro La manodopera Prima della rivoluzione industriale vi erano varie modalità di organizzazione  della produzione manifatturiera e tali MODELLI ORGANIZZATIVI erano: • L’industria domestica rurale    che era destinata fondamentalmente  all’autoconsumo e interessava le famiglie agricole che producevano per sé  attraverso la trasformazione di materie prime di facile acquisizione, vari  manufatti e utensili. Erano produzioni di sussistenza che occupavano il  nucleo familiare nel lunghi periodi di riposo dal ciclo agrario e che  contribuivano a integrare i redditi individuali che spesso erano di mera  sussistenza. Il ciclo produzione­consumo si esauriva all’interno delle mura  domestiche e non prevedeva il passaggio dal mercato. • Artigiani e corporazioni:    In età preindustriale le attività  manifatturiere che si svolgevano in città erano generalmente sottoposte al  controllo delle corporazioni. Queste organizzazioni, di origine medioevale,  riunivano tutti i padroni di bottega che effettuavano le stesse lavorazioni.  Le corporazioni avevano compiti di tutela dell’attività, intervenivano sulle  caratteristiche qualitative standard che dovevano avere i manufatti,  applicavano prezzi comuni per i manufatti prodotti, difendevano gli  interessi dei soci, svolgevano funzioni di mutuo soccorso e controllavano il  mercato del lavoro. Titolari delle botteghe erano i maestri artigiani  coadiuvati da apprendisti e garzoni ai quali veniva insegnato il mestiere e  il cui ingresso era attentamente controllato. Le corporazioni effettuavano  un vero e proprio monopolio delle produzioni e garantivano una qualità  stabile delle produzioni guardando quindi con diffidenza qualsiasi  innovazione. Per questo esse chiedevano il divieto di ingresso di prodotti  stranieri potenzialmente concorrenziali chiedendo un vero e proprio  protezionismo. L’unità tecnica di produzione è quindi la bottega del  maestro: in essa come ricorda Carlo M. Cipolla la concentrazione di lavoro è  minima, gli strumenti di lavoro sono manuali, poco costosi e di proprietà  del maestro artigiano, l'immobilizzo di capitale è modesto e l'impresa ha  scarse disponibilità finanziarie. Le corporazioni garantiscono una qualità  stabile del prodotto, guardando con diffidenza qualsiasi innovazione, al  punto da ritardare lo sviluppo tecnologico ottenendo un vero e proprio  protezionismo doganale. Si impegnano però alla salvaguardia del sapere  tecnico. Di norma, l’artigiano produce per il mercato, difficilmente per il magazzino  assumendosi comunque un minimo rischio di impresa. •  Industria a domicilio: In molte regioni d’Europa gli artigiani  collaborano a produzioni complesse, che comprendono molti passaggi di  semilavorati. L’artigiano viene ad essere dominato dal mercante­ imprenditore, proprietario delle materie prime e degli strumenti di  lavorazione oltre al prodotto finito.(La particolarità di questo soggetto  nel 400 è quella di non essere assolutamente specializzato: mercante­ imprenditore di tessuti, ad esempio, ma anche banchiere, assicuratore,  commerciante di spezie, di metalli ecc). Retribuiti a cottimo, questi  soggetti finiscono per assumere la figura di lavoranti a domicilio. Si tratta di un sistema abbastanza flessibile, che richiede una buona  conoscenza dei mercati. Le retribuzioni vengono pagate con anticipi  periodici e trasformano l’artigiano in salariato, quindi il rapporto col  datore di lavoro diventa esclusivo. La struttura dell’industria a domicilio non muta nella sostanza quando la  sua localizzazione diventa in parte o del tutto rurale. L’attività tessile svolta nelle campagne permette un’integrazione del  reddito familiare. Essa determina importanti cambiamenti sociali in quanto  inserisce la manodopera femminile. Le innovazioni di processo Il 400 vede fiorire in Europa molti miglioramenti tecnici in diversi settori  produttivi,   in   particolare   nell’industria   mineraria,   metallurgica,  manifatturiera, senza che ci sia una netta cesura(taglio) tra Medioevo ed Età  Moderna. Nel XV secolo la stampa a caratteri mobili aiuta enormemente la crescita della  cultura,   ad   essa   è   poi   collegato   l’aumento   della   domanda   di   carta.  L’introduzione della polvere da sparo e la sua applicazione alle armi da fuoco  è   importante   per   le   conquiste   oltre   oceano. Le industrie metallurgiche acquistano importanza strategica con riferimento  alla diffusione delle armi da fuoco. L’utilizzo della polvere da sparo offre un  miglioramento nell’industria estrattiva. Con l’aiuto delle prime pompe per  l’aspirazione   dell’acqua   e   dei   carrelli   su   rotaia,   si   arriva   a   maggiori  profondità. Compaiono i primi altiforni (in particolare in Svezia, alcune zone  dell’Italia ecc. ). Rimangono tradizionali i processi produttivi tessili e  l’industria delle costruzioni edilizia (i settori con il maggior numero di  addetti dopo quello agricolo).  Risulta inoltre una spinta alla diffusione del capitale umano, da cui dipende  la   maggiore   o   minore   conoscenza   delle   nuove   tecniche.   Nonostante   ciò   la  capacità degli Stati di controllare i movimenti delle persone è limitata. Il moltiplicarsi delle fonti di energia Nel medioevo, oltre all’energia umana, lo sforzo animale occupa una posizione  importante. L’energia inanimata, quella dell’acqua e dell’aria, è gratuita ma  discontinua e necessita di investimenti.  Legname e carbone di legna risultano  tuttavia fornire più del 50% dell’energia necessaria per l’attività economica.  Pochi paesi utilizzano il carbon­fossile. 4. L’ampliarsi degli spazi geografici ed economici  Verso nuovi orizzonti Nella   seconda   metà   del   Quattrocento   iniziarono   poco   a   poco   i   viaggi  d’esplorazione   alla   ricerca   di   nuove   rotte   commerciali,   e   le   grandi  esplorazioni geografiche di fine secolo permisero: • L’individuazione di  nuove rotte interamente marittime tra l’Europa e  l’Asia • Ma soprattutto la scoperta di un nuovo continente (l’America) che nel  secolo successivo permise all’Europa di usufruire di un’espansione delle  risorse a disposizione sia alimentari sia di metalli preziosi Queste   scoperte   produssero   un’importante   conseguenza:   la  perdita   della  centralità del Mediterraneo  nei traffici commerciali e nel monopolio nelle  spezie. I   Paesi   che   realizzarono   le   scoperte   geografiche   di   fine   secolo   furono  Portogallo e Spagna, che tuttavia non saranno in grado di gestire l’opportunità  conquistata e la nuova ricchezza. Questo periodo è stato definito prospero. Il Portogallo Sebbene nel Quattrocento il Portogallo sia uno Stato poco popolato e povero,  con un’economia prevalentemente di sussistenza e non autosufficiente per quanto  riguarda le risorse alimentari, si assicura un vasto impero marittimo in Africa  e America ma soprattutto in Asia, dove nel 1515 è ormai padrone dell’Oceano  Indiano,  e riesce ad esportare sale, pesce, olio, vino, frutta, sughero e  pellami. Questo grazie alle conoscenze accumulate nella progettazione di navi e nelle  tecniche   di   navigazione. Il   principe   Enrico   si   dedica   alle   esplorazioni.   L’opera   scientifica   e   di  esplorazione   svolta   sotto   il   patrocinio   del   Re   Giovanni   II   pone   però   le  fondamenta delle scoperte successive. Dopo la morte di Enrico, l’attività di  esplorazione rallenta per la mancanza del sostegno regio e per la concorrenza  del   traffico   di   avorio,   oro   e   schiavi. Il Re Giovanni II salito al trono nel 1481, riprende le esplorazioni e nel 1488  uno dei suoi navigatori, Bartolomeo Diaz, doppia il capo di Buona Speranza.  Vasco De Gama raggiunge Calicut circumnavigando l’Africa. Malattie, tempeste,  etc. decimano la spedizione ma il carico di spezie con il quale si fa ritorno  agricola che riguarda i soggetti sprovvisti di mezzi di sussistenza definiti  come poveri. Da paese a paese la migrazione avvenne secondo schemi differenziati, ad esempio  gli svizzeri migrarono come militari al servizio delle diverse corti europee. Le politiche mercantilistiche degli stati europei favorirono, inoltre, il  trasferimento dei tecnici delle diverse arti e produzioni. L’emigrazione verso  le Americhe fu alimentata soprattutto da uomini che ricercavano occasioni  d’affari con il commercio d’oltre Mare. Uomini di mare, mercanti, rappresentanti costituirono il nucleo fondamentale  dell’emigrazione. Occorre considerare anche gli schiavi. Verso l’Asia e l’Africa, invece, si recarono gli uomini indispensabili alla  gestione delle basi commerciali e militari che i paesi europei organizzarono  come punti di riferimento dei loro traffici. La qualità della vita Se nel XIV secolo l’Europa aveva vissuto la peste nera, nel corso del XVI  secolo si può dire che le malattie contagiose contrassegnarono il quotidiano. I  luoghi più colpiti sono soprattutto i centri urbani ove si addensano numerosi  individui in condizioni igieniche peggiorate.  Al primo posto fra le cause  delle epidemie si pongono quindi  • le pessime condizioni igieniche  • Si è poi osservato che gli individui che venivano colpiti dalle  epidemie dovevano ritrovarsi in situazioni di debilitazione fisica,  provocate dalle carestie le quali portarono in evidenza il problema  dell’approvvigionamento dei grani. Fu questa una delle innovazioni nelle  correnti di traffico del Mediterraneo che nei secoli precedenti era  stato praticamente autosufficiente. Il commercio dei grani fu occasione  di grandi operazioni commerciali con esborsi onerosi da parte delle  amministrazioni pubbliche. Le carestie trovavano origine in cause  diverse ­ ossia nella scarsa produttività delle terre,  ­ nella carenza di concimi,  ­ nella difficoltà di conservazione nei magazzini  ­ nelle guerre. I corpi militari sarebbero stati appunto i diffusori  di germi e parassiti, che alimentarono le numerose epidemie. Un ruolo secondario nella diffusione delle malattie fu l’espansione degli  europei verso altre aree del globo. 2. L’agricoltura I rapporti con la terra Il mondo agricolo del ‘500 si presenta estremamente variegato, soprattutto  per le trasformazioni che si vennero a verificare nei rapporti con la terra  da parte degli uomini che vi si dedicavano. Lo sgretolamento del potere  feudale,(che risale al periodo carolingio, ovvero ‘800) la crisi delle  istituzioni ecclesiastiche ed il consolidarsi delle terre libere, di  proprietà privata, ebbero il loro effetto sull’organizzazione dello  sfruttamento agrario delle terre. Nel corso del secolo, furono riorganizzati e ripresi alcuni Ordini  cavallereschi, che esaltarono l’organizzazione di aziende agrarie in termini  di nuove facilitazioni nei rapporti con i poteri sovrani. La disponibilità  di terre aveva rappresentato uno dei principali problemi per l’agricoltura e  si era quindi fatto ricorso a larghe iniziative di dissodamento delle terre  vergini. Con la nuova espansione demografica, il problema si pose nella  ricerca di una nuova produttività a sostegno della produzione globale. L’affermazione delle città contribuì a mutare i tradizionali rapporti con la  terra. Il ‘500 si può ritenere il secolo in cui si confermarono gli  interessi fiscali sulle terre e l’inizio di una sorta di concorrenza fiscale  fra Stato e città per garantirsi il gettito corrispondente. Un aspetto particolare si presenta nel ricorso alle opere di bonifica. I Paesi Bassi rappresentarono un modello eccezionale per l’impiego su larga  scala di sistemi già conosciuti ma con strumenti e risorse energetiche  nuove. Le nuove produzioni agrarie Uno degli elementi più appariscenti delle conseguenze delle esplorazioni lo  si ritrova nella conoscenza di nuovi prodotti della terra. In realtà nel  Cinquecento si acquisì più la conoscenza che non la diffusione di questi  nuovi prodotti i quali soltanto nei secoli seguenti entrarono lentamente a  far   parte   dell’   agricoltura   europea   contribuendo   a   mutare   le   abitudini  alimentari   e   a   mitigare   gli   effetti   delle   carestie.   I   prodotti   più  significativi furono mais, pomodoro,tabacco, tè, caffè, cacao.  Nuove occasioni di produzione agricola vennero poi da prodotti conosciuti da  tempo in Europa e che si diffusero in piantagioni più estese, come il riso,  che si diffuse in Italia settentrionale, trovando occasioni di consumo sulle  navi. Il  gelso  fu occasione di espansione dell’allevamento dei bachi e  inizia anche la grande avventura della canna da zucchero. L’incontro con gli  altri continenti provocò anche un importante trasformazione nell’allevamento  del bestiame. Le navi europee e gli uomini d’arme imbarcati si muovevano  trasportando   numerosi   animali   vivi   (perché   il   frigo   non   esisteva).   Due  esigenze erano alla base di tale comportamento: la prima derivava dalla  necessità di garantirsi la presenza di cavalli per i trasferimenti e le  battaglie,   mentre   la   seconda   dai   bisogni   alimentari.   A   bordo   non   era  conveniente trasportare carne di difficile se non impossibile conservazione,  mentre gli animali vivi permettevano anche di disporre di ulteriore alimenti  come   il   latte   e   le   uova. Equini,   bovini,   ovini,   suini,   conigli   e   gallinacei   accompagnarono   gli  equipaggi   nelle   traversate. Dal resto del mondo vennero pochi animali di tipo sconosciuto, come ad  esempio il tacchino. ( tipo nell’America non erano conosciuti i cavalli). Qui,   come   possiamo   vedere,  Bracco  non   fa   riferimento   alla   rotazione  triennale. 3. Verso la nuova scienza Innovazioni Nel XVI non sono ancora applicati i risultati della “nuova scienza”. Il  secolo è però caratterizzato dalla presenza di precursori di essa come  Copernico,   Galilei   e   Keplero,  che   incontrano   tutte   le   difficoltà   delle  controriforma. La   pubblicazione   di   volumi   dedicati   alle   tecniche   di   produzioni  metallurgiche   fu   l’elemento   più   significato   per   la   diffusione   delle  conoscenze   del   ‘500.   Le   esigenze   belliche   esaltarono   la   necessità   di  metalli.   L’energia   meccanica   usufruì   della   ruota   idraulica   e   di   quella  eolica, ma l’insostituibile combustibile costituito dalla legna provocò la  distruzione di gran parte del patrimonio boschivo, significante la crisi del  legname   inglese. La metallurgia offrì ai detentori di capitali una interessante occasione di  impiego di reddito. Molte grandi case bancarie investirono e sovvenzionarono  imprese del settore. Se ferro e bronzo furono i più richiesti dai militari,  altri   metalli   furono   importanti   per   l’evoluzione   delle   tecniche  metallurgiche. L’innovazione forse più significativa fu la diffusione della  tecnica  dell’amalgama   con  il  mercurio  per  l’estrazione   dell’argento.   Le  costruzioni edilizie ebbero un interessante sviluppo con l’adozione di nuove  tecniche. Uno dei settori ove più si è esercitata la ricerca di innovazioni  è   quello   della   navigazione   (cartografia)   =>  Gerardo   Mercatore. Una certa ricaduta di questo lavoro condotto con strumenti di misurazione,  si ebbe anche per scopi diversi, come quello dell’agrimensura, soprattutto  ai fini fiscali. I mari del ‘500 erano percorsi da imbarcazioni di tutti i  tipi quali le galee mediterranee, quelle da guerra, che utilizzavano la  forza dei remi e le mercantili che avevano una prevalenza della vela che  ebbe   un’evoluzione   esplosiva. Si   ricercavano   sicurezza   di   navigazione   ed   economicità   dei   trasporti.  Portoghesi, spagnoli e inglesi, furono i maggiori costruttori di grandi navi  da guerra. Il tradizionale settore tessile trovò nel secolo alcune occasioni  fondamentali di sviluppo, soprattutto nella lana. L’organizzazione della produzione e del lavoro. La richiesta di prodotti alimentari e di materie prime, tessili e minerali,  ha imposto, a secolo avviato, un aumento della produzione e una diversa  organizzazione del lavoro, sia nei campi sia nelle miniere. In particolare si incentivò la attività destinata al mercato. A facilitare  la trasformazione contribuì il superamento degli schemi feudali nel rapporto  con la terra e la nascita di aziende agrarie per il mercato. Si sviluppa il  lavoro salariato.  In America, il lavoro dei campi diede origine ad alcuni problemi quali le  difficoltà   insite   nelle   condizioni   ambientali   e   nelle   tipologie   delle  colture possibili. L’emigrazione dei coltivatori europei non fu sufficiente  a colmare il fabbisogno americano e le risorse di manodopera si esaurirono  in poco tempo; ne derivò così il ricorso alle risorse umane degli schiavi  africani.   Lo   sfruttamento   di   questi   schiavi   arrivò   anche   in   Europa,  prendendo come esempio l’esperienza dei portoghesi nella penisola iberica. Lo sfruttamento delle miniere conobbe a sua volta un processo analogo; i  capitali dei ricchi mercanti furono attirati dalle opportunità dell’impiego  nell’attività mineraria che determinarono le prime grandi concentrazioni di  lavoratori in zone ristrette.  Il settore secondario apparve in grande movimento, il lavoro nelle botteghe  artigianali   svolse   un   ruolo   determinante,   anche   se   le   corporazioni  denotarono   tutti   i   rischi   connessi   alle   loro   regolamentazioni,   per  costituzione portate a recepire con difficoltà i ritardi e le innovazioni.  Protoindustria e preindustria sono stati i termini più usati per definire  l’insieme delle organizzazioni produttive. Si incominciarono ad intravedere  casi di organizzazioni più consistenti nella cantieristica, nelle miniere e  nelle aziende agrarie. 4. Gli scambi internazionali I flussi Proprio le crisi finanziarie di Asburgo, Francia e Portogallo, dichiarate  nella   metà   del   ‘500,   provocarono   un   rimescolamento   nelle   capacità   dei  banchieri europei di resistere. Esse videro affermarsi il predominio dei  banchieri   genovesi,   i   quali   avevano   saputo   porsi   soprattutto   come  intermediari   fra   risparmiatori   e   finanze   pubbliche. Il livello del debito pubblico di alcuni Stati europei provocò anche casi di  insolvenza e bancarotte. Di fronte all’impossibilità di pagare, i sovrani  sospendevano la regolare gestione dei debiti e tendevano a modificarne gli  impegni contrattuali. Sostanzialmente si trasformavano i termini di durata e  le scadenze dei pagamenti, se non gli stessi tassi applicati. In questo modo  prestiti a breve si trasformavano in prestiti a lungo od anche in prestiti  irredimibili o rendite tout court. Anche nel caso di prestiti irredimibili,  i sovrani si potevano riservare la clausola del riscatto, che si traduceva  in pratica in una rinegoziazione dei tassi di interesse applicati. 6. I diversi ruoli in Europa Le aree dominanti: Portogallo e Spagna (la   corona   del   Portogallo:   Manuele   I,   e   la   capitale   del   Portogallo   è  Lisbona) Cristoforo   Colombo   e   Vasco   de   Gama   sono   i   simboli   dell’espansione  territoriale degli europei. Il trattato di Tordesillas gli consentì di controllare i commerci e le linee  di traffico per quasi tutto il ‘500, sino a quando l’intervento di altre  potenze   europee   venne   a   modificare   i   rapporti. I portoghesi si applicarono ai commerci con Africa e Asia; I portoghesi non  si posero e non potevano del resto porsi lo scopo di conquistare i Paesi  dell’Oriente e di colonizzarli. Essi si muovevano per garantirsi i commerci  dovevano difenderli, come fecero, con un grosso sforzo militare, reso tanto  più oneroso per la distanza dalla madre patria. In Africa e Asia essi tesero  a costituirsi delle basi di riferimento per le necessarie soste delle navi e  per raccogliere e immagazzinare le merci che dovevano essere difese. Le navi  partivano con carichi di minerali e metalli e monete; al ritorno avevano  pepe e altre spezie.   Con il progredire dei commerci, si ritrovavano in  partenza   anche   oli,   vini   e   tessuti   e   riportavano   sete,   profumi   etc. Sin dall’inizio il commercio portoghese con l’Oriente richiamò l’interesse  di mercanti e banchieri europei, tra i primi gli italiani che erano presenti  nelle spedizioni con gruppi guidati da fiorentini e genovesi, seguiti ben  presto dai tedeschi. Caratteristiche   del   tutto   diverse   ebbero   i   rapporti   dei   portoghesi   col  Brasile, importante fu il suo legno ed il relativo sfruttamento agricolo. Si  presentarono numerosi problemi perché i portoghesi non erano portatori di  una cultura agricola, inoltre le popolazioni indigene non erano predisposte  alle   produzioni   agrarie.   Attraverso   procedimenti   complessi   i   risultati  furono raggiunti con un sistema di concessione delle terre con il patto  della   messa   a   coltura   e   con   la   disponibilità   di   manodopera   importata  (schiavitù). Ben diversa fu la complessa vicenda dell’espansione americana  degli   spagnoli,   che   si   trovarono   a   realizzare   un’opera   di   conquista   e  colonizzazione.   L’aspetto   che   ha   lasciato   il   segno   è   l’organizzazione  dell’afflusso   di   metalli   preziosi   a   Siviglia. I primi prodotti furono ottenuti soprattutto dalle Antille. Fu il momento in  cui dalla Spagna furono inviate partite di semi di cereali, agrumi etc.  Dalle   Antille   le   pratiche   della   coltivazione   e   dell’allevamento   si  trasferirono   nel   Continente.   Dopo   la   conquista   militare   gli   spagnoli  dovettero confrontarsi con la necessità di arrivare ad un’organizzazione  strutturata   dei   nuovi   domini,   sull’esempio   dei   modelli   spagnoli. Questo processo influenzò le caratteristiche degli uomini che emigrarono  impegnando i sovrani spagnoli in un’attenta regolamentazione degli afflussi,  senza dimenticare la Chiesa che aveva pur avuto parte nella promozione della  scoperta   e   degli   arrivi   nel   nuovo   continente. I primi europei arrivati avrebbero privilegiato la possibilità di acquisire  domini fondiari. In parte si riprodusse in America lo schema della grande  proprietà castigliana, determinando l’impiego della manodopera, che in un  primo momento dovette essere garantita dagli abitanti originari e dopo dai  neri africani. Il controllo rigido dei traffici impedì un afflusso massiccio  e indiscriminato di mercanti, utilizzando delle licenze. Il controllo fu  attuato anche nei porti americani. Nelle intenzioni degli spagnoli le navi  mercantili   da   e   per   l’America   avrebbero   dovuto   seguire   rotte   comuni   e  navigare in flotte che godevano della protezione delle navi da guerra, ma  contrabbando e pirateria imperarono fra le due sponde dell’Atlantico.  Le aree in bilico: gli Stati italiani La prima metà del ‘500 sarebbe stata segnata dalle crisi indotte degli  eventi bellici e dalla caduta della produzione nei settori tradizionali come  il tessile e quello manifatturiero. La seconda parte, invece, avrebbe visto  una sorta di ripresa, che però si sarebbe scontrata con le modificazioni  intervenute a livello europeo. La realtà dell’economia italiana del ‘500 si  presenta estremamente diversificata. La distribuzione della popolazione era diminuita nei centri cittadini, con  meno botteghe specializzate, al punto che non solo non si riusciva a seguire  l’evoluzione dei consumi interni ma neppure il flusso delle esportazioni.  Nelle difficoltà generali, inoltre, si dovevano fare i conti con le spese  belliche determinando un aumento del carico fiscale e dei costi di  produzione, innescando così un circolo pericoloso che tendeva ad un aumento  delle produzioni concorrenti. La crisi dell’organizzazione tradizionale non  toccò però più di tanto la capacità di iniziative degli uomini di affari.  Mentre l’Italia era praticamente a ferro e fuoco, gli uomini d’affari  italiani si ritrovarono ad operano in tutto il mondo. Non per nulla ancora  all’inizio del ‘500 si veniva in Italia ad imparare l’arte della contabilità  e della mercatura. Gli uomini d’affari italiani si ponevano come  interlocutori privilegiati per la collocazione di titoli del debito  pubblico, soprattutto spagnoli e francesi. Nell’ultimo quarto del secolo le galee genovesi si trovarono a controllare  un traffico tutto nuovo: il trasporto di ingenti quantità di metalli  preziosi che dalla Spagna veniva trasportato in Italia come effetto di  complessi regolamenti finanziari. In definitiva nell’Italia del ‘500 si manifestarono molte trasformazioni,  che generarono un diverso equilibrio fra le regioni. Nel settentrione alcune appaiono regredire, mentre altre, come Genova,  conquistare un grande sviluppo. Altre, come Venezia, conservarono un ruolo importante, mentre il mezzogiorno  si ritrovò a pagare gli oneri imposti da Filippo II. Rimane un’area  tradizionalmente debole nel Nord Ovest. Le aree emergenti: Inghilterra e Paesi Bassi L’Inghilterra e i Paesi Bassi Settentrionali sono le due aree europee che nel  Cinquecento registrarono un forte sviluppo e manifestarono un notevole salto  di qualità, si affermarono nelle vicinanze più immediate centri commerciali  rilevanti come Amsterdam, Brama e Amburgo. La loro collocazione sul mare del  nord aveva consentito di usufruire di due grandi linee di comunicazione: verso  il mare e attraverso i fiumi, verso l’interno. Quando i portoghesi iniziarono  la loro attività con l’Oriente, ritrovandosi Lisbona in una posizione  decentrata, furono obbligati a fare riferimento ai porti del mare del Nord e  trovarono in Anversa il mercato ottimale, rivolgendosi successivamente ad  Amsterdam e ad Amburgo. Venne così creandosi un insieme di centri ove erano disponibili quasi tutti i  prodotti oggetto dei traffici internazionali, i quali tolsero spazio a parte  delle basi commerciali del mar Baltico e del Mediterraneo. L’ultimo quarto del  ‘500 vede così la decadenza di Anversa e la crescita di Amsterdam come centro  principale delle attività economiche dei Paesi Bassi. Anversa era organizzata  secondo la modalità antica dei vincoli imposti alle attività economiche dagli  Stati centralizzati. Talvolta si è cercato di attribuire alla riforma  protestante, vincitrice in Olanda, l’origine delle fortune economiche della  regione in quanto ciò permise di raccogliere tanti personaggi  allontanati dai  Paesi di tradizione cattolica molti dei quali portatori di competenze e  preparazioni professionali. Ma altre cause possono essere trovate come la  definitiva rottura con la Spagna e Portogallo e i conseguenti divieti di  rapporti commerciali che obbligarono gli olandesi a ricercare una loro via  autonoma per procurarsi i prodotti provenienti dalle Americhe e dalle Indie.  Gli ultimi anni del ‘500 vedono infatti gli olandesi impegnati  nell’organizzazione di consistenti spedizioni verso le indie orientali. Se i  portoghesi avevano assunto uno stretto controllo statale sulle spedizioni in  Oriente, gli olandesi lasciarono spazio all’iniziativa privata la quale si  realizzò con la costituzione di Compagnie apposite. Più tardo sarebbe stato  l’intervento degli olandesi verso le Americhe. Comunque le maggiori correnti  di traffico furono intrattenute con il Mar Baltico. Nei porti e negli empori d’Olanda era ormai possibile trovare tutte le merci  oggetto di traffici marittimi. Per quanto riguarda l’Inghilterra la lana inglese era stato uno dei prodotti  più presenti nel commercio estero che aveva alimentato correnti di  esportazione verso i tradizionali centri europei di lavorazione della lana  come quello italiano e quello dei Paesi Bassi. I dazi doganali  sull’esportazione della lana avevano inoltre garantito gettiti consistenti. Ma  da tempo con una politica protezionistica si era cercato di sviluppare in loco  una produzione manifatturiera. All’inizio del secolo così le statistiche  ufficiali testimoniano che ormai i panni di lana avevano largamente superato,  in peso, le quantità della lana grezza, soprattutto nella forma delle pannine.  La fortuna della pannine furono uno degli elementi che segnarono la caduta  della produzione italiana, perché si inserirono su questo mercato  approfittando della scarsità di offerta e dei loro prezzi competitivi, anche  se con qualità intrinseca molto diversa. L’aumento della produzione di lana  provocò due conseguenze: da un lato le esigenze del pascolo avrebbero espanso  il processo delle recinzioni, che avrebbero procurato l’espulsione dei ceti  più deboli dalle campagne, dall’altro, ne sarebbe nato un aumento delle  persone esposte ai rischi delle violente oscillazioni dell’occupazione delle  attività manifatturiere. Si sarebbero aggiunti la soppressione della proprietà ecclesiastica ed il  mutamento dell’organizzazione delle aziende agrarie, con danno per i piccoli  dell’allevamento, della viticoltura (importante complemento per il reddito  dei contadini) e della coltivazione delle piante industriali (soprattutto  tessile). L ’allevamento e la produzione di cereali erano inversamente proporzionali:  se aumentava la domanda di cereali, si aravano anche i pascoli e si  allevava meno. Si innescava così un processo che finiva per ridurre la  produttività dei terreni e che metteva in pericolo la possibilità di  sfamare la popolazione. Il bestiame era infatti importante come fonte di  energia nei campi ma anche per la concimazione dei campi perché produceva  carne e ed era la materia prima per l’industria conciaria. La dove gli effetti degli eventi bellici furono meno intensi o del tutto  assenti l’allevamento allora si sviluppò di pari passo con un’agricoltura  fatta di rotazioni più efficienti e maggiori possibilità di concimazione  dei terreni. Se la concimazione era insufficiente a causa della scarsezza  di bestiame, la resa delle colture risentiva negativamente  dell’arretratezza del sistema agrario. Dominava ancora la rotazione  biennale, che alternava il frumento ed il maggese. Tra il ‘500 ed il ‘600  si sperimentò il sistema della rotazione triennale, se nella rotazione  biennale si coltivava la metà del terreno, con quella triennale si seminava  ogni anno su due terzi della terra disponibile e si ottenevano così effetti  positivi anche sulla produttività. Venne importato il mais dall’America che  poteva garantire rese nettamente superiori a quelle del frumento e poteva  proficuamente essere introdotto nella rotazione triennale, seminandolo tra  il grano ed il maggese. Malauguratamente la pianta richiedeva particolari  condizioni di terreno e clima, che finirono per contenerne la diffusione a  poche zone. Il primato della bachicoltura rimase all’Italia. Il processo di concentrazione della terra in Occidente Accanto alle terre ad uso collettivo, vi erano i campi di proprietà piena  dei contadini e quelli del regime signorile. I primi erano particolarmente  diffusi in Inghilterra, nella Francia meridionale e nell’Europa Orientale.  I contadini proprietari non erano necessariamente benestanti, anzi erano  spesso minacciati dalle fluttuazioni del mercato. La terra di stretta pertinenza del signore poteva essere lavorata dai  coloni sottoposti a corvées (tipo di prestazione dovuta al signore), o  poteva essere affittata secondo modelli più moderni come la locazione a  canone fisso, pagato spesso in denaro, o quel tipo particolare di colonia  parziaria che era la mezzadria( la mezzadria è un contratto agrario con il  quale un proprietario di terreni (chiamato concedente)  e un coltivatore  (mezzadro) si dividono (normalmente a metà) i prodotti e gli utili di  un’azienda agricolaNelle aree più avanzate, dove era prevalente il  latifondo, tale sistema non poteva svilupparsi. Il calo dei prezzi mise in difficoltà i piccoli proprietari, che come già  detto, spesso furono costretti ad indebitarsi e successivamente a cedere la  proprietà, a vantaggio dei grandi proprietari. In questo modo la proprietà  terriera si concentrò ulteriormente in poche mani. Si consolidò un mercato  fondiario che, in un regime feudale, non poteva esistere. La rifeudalizzazione L’Europa orientale era, da secoli, il “granaio” del continente. La bassa  densità demografica permetteva di creare eccedenze che erano regolarmente  esportate in Occidente. A metà del XVII secolo, la Polonia, la Romania e la Russia avevano perciò  ristabilito per legge la servitù della gleba e in molte regioni venivano  rimessi in uso diritti feudali. Quest’ultimo aspetto si presentò anche in  Occidente, soprattutto nel mezzogiorno italiano e in Europa meridionale (o  meglio Spagna e Sud Italia). Questo movimento fu definito di  “rifeudalizzazione”, ma rappresentò soltanto un peggioramento delle  condizioni di vita dei contadini( che sono salariati, non coloni o  mezzadri). La Russia ebbe una crisi agraria dovuta al clima Tutti e 3 cercavano manodopera che costasse il  meno possibile:  i servi; quindi si è avuta la  rifeudalizzazione dell’Europa orientale. Attenzione:   la   rifeudalizzaizone   non  corrisponde alla seconda servitù della gleba. [breve   storia   della   guerra   dei   30   anni,   in   cui   parla   anche   della  rifeudalizzazione… La crisi del ‘600 e la guerra dei Trent’anni  A. La crisi del ‘600    • Benché segnato dall’aumento dei prezzi e dalla diminuzione del  potere d’acquisto dei salari, il ‘500  era stato un secolo di  espansione   economica,   durante   il   quale   gli   imprenditori  commerciali e i proprietari di aziende agricole avevano realizzato  cospicue   fortune.   L’Italia,   soprattutto   la   Toscana   e   il   Nord,  aveva svolto un ruolo centrale in questo quadro di sviluppo.  Ma nei primi decenni del ‘600 ebbe inizio una crisi che colpì  tutti   i   paesi   europei   e   particolarmente   l’area   mediterranea  (Spagna e Italia). Venne così ridisegnato in modo quasi definitivo  il quadro dell’Europa moderna, determinando quello squilibrio tra  Nord e Sud del continente che ancora oggi fa sentire il suo peso.  Le cause della crisi. La crisi non ha una sola causa, ma una  pluralità di fattori che si intrecciano tra loro. Fra di essi,  possiamo elencare i seguenti:   - la  concentrazione   della   ricchezza  nelle   mani   di   sole  alcune classi, cosa che rendeva impossibile, per il grosso  della popolazione, spendere e far circolare il denaro che  rendeva vitale l’economia;  - dall’impoverimento     è   derivato   probabilmente   un  decremento   demografico  (si   tenga   presente   però   che   gli  incrementi o decrementi demografici in certi periodi storici  sono difficili da spiegare) perché la gente  ritardava il  matrimonio non avendo redditi e perciò nascevano meno figli; - il clima inclemente creato dalla cosiddetta “piccola età  glaciale”   (1590­1850   che   influisce   negativamente   sui  raccolti  carestie - la mancata diversificazione delle colture (si coltivavano  prevalentemente  cereali  perché   nei   periodi   precedenti   si  erano   registrati   incrementi   demografici   con   relative  esigenze di sfamare la popolazione) che rendeva più ingenti  i danni dovuti al clima;  - il   riesplodere   di  epidemie,   che   fin   dall’antichità  riemergono a fasi cicliche (l’ultima vi era stata nel ‘300).  - tra i fattori di crisi va annoverato il fatto che cessa  l’afflusso di metalli preziosi  dalle Americhe mandando in  crisi le economie parassitarie come quella spagnola; - la guerra dei Trent’anni, infine, con il suo seguito di  devastazioni   e   saccheggi   (soprattutto   sul   suolo   della  Germania, dove i soldati mercenari imperversano quando non  vengono pagati), va elencata tra i fattori alla radice della  crisi del Seicento. Le risposte differenti date alla crisi segnarono il destino delle  due aree europee: a) Olanda, Inghilterra, Francia, Italia del nord videro il  tentativo, da parte dei nobili proprietari di terre (nobiltà  fondiaria),   di   reagire   alle   perdite  trasformandosi   in  imprenditori e capitalisti  che cercavano di sfruttare le  zone fertili rimaste disponibili, razionalizzando tecniche e  programmi di produzione.  b) La   nobiltà   fondiaria   della   Spagna   e   dell’Italia  meridionale,   invece,   cercarono   di   recuperare   le   perdite  inasprendo   lo   sfruttamento   dei   contadini   mediante  l’accentuazione   o   il   ripristino   di   diritti   feudali  (rifeudalizzazione). B. La situazione delle singole nazioni in questo periodo è la seguente:    • La storia della Spagna registra – come abbiamo visto ­ una fase  di decadenza. • La Francia del ‘600 è invece differente. Anzitutto Enrico IV è  impegnato a risanare le finanze dello Stato. Alla sua morte –  data la giovane età dell’erede: Luigi XIII, di soli 9 anni – la  madre Maria de’   Medici si avvale di  Richelieu  per accentrare  ulteriormente lo Stato. Questi riesce a tenere a bada le rivolte  nobiliari (la Fronda), ma non riesce a risolvere il problema delle  agitazioni   popolari   dovute   al   forte   fiscalismo.   Luigi   XIII  prenderà poi il potere, dopo aver fatto uccidere l’amante della  madre, C. Concini; nominerà Richelieu primo ministro. • L’Olanda  è la massima potenza commerciale dell’epoca, ma fu  soggetta ad una crisi politica e religiosa che si imperniò sulla  lotta tra Gran Pensionario e Stadhouder. • L’Impero asburgico era una realtà vasta sotto la cui influenza  rientravano la Germania, la Boemia e l’Ungheria.  4) fase francese   , in cui la casa d’Austria viene sconfitta  dalla Francia, intervenuta in guerra perché impensierita dai  successi dell’impero e dal profilarsi di una sua egemonia in  Europa. Vittoria del generale francese Condé a Rocroi. La conclusione del conflitto. La guerra si conclude con la Pace  di Westfalia (1648), riassumibile in due punti principali: - dal punto di vista politico, la pace sancì la  vittoria  della Francia; - dal punto di vista religioso, si riconobbe l’esistenza in  Europa di tre confessioni religiose che nessuno metteva più in  discussione:   il   calvinismo   accanto   al   cattolicesimo   ed   al  protestantesimo.   E   rispetto   alla   pace   di   Augusta   (di   circa  cento anni anteriore: 1555) si riconobbe ai sudditi che non  seguivano il culto del loro principe la  libertà di culto in  privato.  Nel   quadro   della   guerra   dei   Trent’anni   vanno   inseriti   alcuni  scontri minori che riguardano l’Italia del Nord: - il sacro macello della Valtellina  (1620)  (gli spagnoli  incitarono   i   cattolici   della   Valtellina   al   massacro   dei  protestanti,   e   poi   la   occuparono)   dovuto   al   fatto   che   gli  Spagnoli   intervennero   nella   guerra   a   fianco   degli   Asburgo  d’Austria per appoggiarli contro i protestanti, ma in realtà  per riguadagnare prestigio sulla scena internazionale dopo anni  di torpore. La Valtellina era il corridoio di passaggio tra la  Lombardia  spagnola   e  l’Austria;  ciò  avrebbe  consentito   agli  spagnoli   di   accerchiare   gli   olandesi,   attaccandoli   da   est  (Impero) e da sud (Fiandre, attuale Belgio). - la guerra per la successione al ducato di Mantova ed il  controllo del Monferrato (1627): l’estinzione dei Gonzaga aveva  fatto profilare la successione di un francese al ducato di  Mantova e questo scontentò gli Spagnoli che vi si opposero. La  Spagna   fu   appoggiata   dall’impero,   che   pose   sotto   assedio  Mantova e invase Milano con i suoi lanzichenecchi. La guerra  però vide vittoriosa la Francia. I vari aspetti della crisi del ‘600 Crisi demografica Anzitutto si trattò di crisi demografica, concentrata  soprattutto   nell’area   medieterranea:   le   nascite   diminuirono  sensibilmente in Spagna e in Italia; registrarono un lieve incremento in  Olanda e in Inghilterra; furono stazionarie in Francia. Sulle cause di questa crisi non vi sono ipotesi sicure. Ne esaminiamo  alcune: a) la crisi demografica fu causata da un processo  di polarizzazione  della ricchezza accentuatosi nel ‘500: solo alcuni erano diventati  più ricchi, mentre il grosso della popolazione era diventato più  povero:   guadagnava   meno,   comprava   meno,   ritardava   l’età   del  matrimonio e perciò diminuì il numero medio di figli per coppia  decremento demografico. b) la   crisi   dipese   anche   da   fattori   climatici   negativi   che   fecero  aumentare lo spettro delle carestie: dal 1590 ha inizio una fase di  raffreddamento del clima che dura fino al 1850 circa (1590­1850:  piccola età glaciale, poi il clima diventa più caldo). La dipendenza  dell’agricoltura dal clima è dovuta alla cerealizzazione: infatti,  tanto   più   sono   varie   le   colture,   tanto   più   è   difficile   che   le  variazioni   climatiche   danneggino   contemporaneamente   tutta   la  produzione agricola. La cerealizzazione ebbe inoltre la conseguenza  di ridurre lo spazio dell’allevamento e dunque la disponibilità di  concime naturale.  Al   rischio   delle   carestie   resistettero   meglio   quelle   aree,   come  l’Olanda   e   l’Inghilterra,   in   cui   si   verificò   rapidamente  un’inversione di tendenza rispetto alla precedente cerealizzazione e  i campi di grano vennero  riconvertiti  in vario modo (in Olanda:  allevamento bovino, produzione prodotti caseari e piante industriali  come il lino). c) Al diffondersi delle carestie si accompagnò il riesplodere delle  epidemie, che falcidiavano la popolazione. Esse, nella prima metà  del ‘600 colpirono soprattutto la Spagna, l’Italia e la Germania;  nella   seconda   metà,   la   Francia,   l’Inghilterra   e   l’Olanda.   Le  epidemie erano favorite dal calo della produzione e dalle carenze  alimentari che ne derivavano, furono a loro volta causa del calo  della produzione che si contrasse per il contrarsi della richiesta  di alimenti e per la diminuzione del numero dei lavoratori. Gli reazioni alla crisi:  a) In Olanda, Inghilterra, Francia e Italia settentrionale, la nobiltà  fondiaria e alcuni esponenti del ceto borghese­mercantile reagirono  alla recessione potenziando gli investimenti di tipo capitalistico e  trasformandosi   in   imprenditori   terrieri.   Ne   fecero   le   spese   i  proprietari di piccoli fondi – inadeguati a sostenere la concorrenza  di   unità   produttive   molto   più   grandi   e   attrezzate   –   che   si  trasformarono in braccianti o in disoccupati o in mendicanti. b) In Spagna e in Italia (soprattutto nel Meridione), per recuperare le  rendite signorili si mise in atto un processo di rifeudalizzazione,  ovvero di ripristino dei tradizionali diritti signorili ai danni dei  contadini (aggravemento canoni d’affitto, corvèe, ecc.). c) In Europa dell’Est, la rifeudalizzazione fu ancora più accentuata e  portò alla vera e propria affermazione di una seconda servitù della  gleba.   Ciò   fu   dovuto   al   fatto   che   queste   regioni   vivevano   di  esportazioni di grano a basso costo in Occidente. L’incremento delle  esportazioni a basso costo venne ottenuto sfruttando sempre di più i  contadini asserviti. ­16.2 Crisi e riorganizzazione del commercio europeo Il quadro della crisi non sarebbe completo se non si analizzasse anche  il settore commerciale.  La crisi della moneta In questo settore, all’inizio del ‘600 si registrò  una crisi dovuta alla riduzione dell’afflusso di oro e argento americani  (sia   per   l’esaurimento   delle   miniere;   sia   per   lo   sterminio   della  manodopera indigena). Dato che i metalli preziosi servivano a coniare  moneta, la cui circolazione favorisce gli scambi e le attività attività  commerciali (perché vi siano molti scambi occorre che circoli molta  moneta), la scarsità dei metalli preziosi determinò la circolazione di  moneta   di   minore   qualità   (“tosata”   o   coniata   in   rame)   che   veniva  accettata   meno   di   quella   aurea   o   argentea   e   che   perciò   causò   una  diminuzione del volume degli scambi. Crollati questi, calarono anche i  prezzi   (più   aumenta   la   merce   che   non   si   riesce   a   scambiare,   più  diminuiscono i prezzi). L’area   mediterranea  fu   quella   che   risentì   maggiormente   della  diminuzione degli scambi (la Spagna, che cullandosi sulle importazioni  di metalli preziosi era già da tempo poco attiva nella rete degli scambi  europei,   e   l’Italia,   danneggiata   dalla   progressiva   diminuzione  d’importanza delle rotte mediterranee).  Olanda e Inghilterra invece reagirono adeguandosi alla nuova situazione  e potenziando le loro flotte mercantili, in modo da raggiungere il quasi  monopolio   del   trasporto   marittimo.   In   particolare,   gli   Olandesi  riuscirono   ad   approfittare   della   decadenza   deli   imperi   coloniali  spagnolo e portoghese e crearono la Compagnia delle Indie orientali.] [Breve storia del Sistema feudale… L'organizzazione della società in base a rapporti personali di fedeltà  venne pienamente utilizzata dai sovrani carolingi. Il vassallaggio ebbe  quindi   ampia   diffusione   in   Occidente,   costituendo   un   importante  strumento   di   coesione   politica.   Con   il   rito   della immixtio  manuum (commistione   delle   mani)   il   vassallo   si   legava   al   monarca,  affidandogli la propria persona e creando un rapporto bilaterale tra  soggetti   ineguali   sul   piano   sociale,   sancito   da   un   giuramento   di  fedeltà. Elementi costitutivi del feudalesimo furono il vassallaggio,  il beneficio e   l'immunità.   Il   vassallaggio,   come   già   visto,   era   il  particolare rapporto di subordinazione tra protettore e protetto. Il  vassallaggio   si   diffuse   su   vasta   scala   tra   l'VIII   e   il   IX   sec.  soprattutto per ragioni di carattere militare, ma anche amministrativo.  Maestri di palazzo e poi sovrani carolingi, non essendovi un esercito  fisso, avevano bisogno di uomini da arruolare in caso di necessità, così  come avevano bisogno di funzionari per amministrare lo stato sempre più  esteso. Gli obblighi del vassallo erano l'aiuto e il consiglio. L'aiuto  era   il   servizio   militare   a   cavallo,   che   raramente   poteva   essere  sostituito dal pagamento di una somma di denaro. Nel caso in cui si  dovesse riscattare il padrone prigioniero o se ne dovesse finanziare un  viaggio in Terra Santa, il vassallo era tenuto anche a un aiuto di tipo  pecuniario.   Il   consiglio   consisteva   nell'obbligo   di   presentarsi   al  signore in caso di chiamata che solitamente avveniva per giudicare delle  cause o per sentire un parere su un qualsiasi argomento. Il signore da  parte sua aveva l'obbligo di rispettare la vita del suo vassallo, di  difenderlo dai nemici e di assisterlo in eventuali cause giudiziarie. Il  rapporto   era   vitalizio   ma   poteva   rompersi   nel   caso   uno   dei   due  contraenti   fosse   venuto   meno   ai  propri  obblighi   (tale   mancanza   era  definita fellonia).   Il   beneficio   consisteva   nella   concessione   di   un  bene (res), solitamente una terra o un ufficio. Le terre venivano prese  dalle proprietà del sovrano, ma spesso erano confiscate alla Chiesa.  Carlo Martello e i suoi successori si impadronirono di molti territori  ecclesiastici ma dovettero cambiare rotta quando si trovarono ad avere  Questi commerci divennero uno dei maggiori motivi di scontro tra tutti gli  Stati colonizzatori. Nel ‘600 la leadership venne assunta dall’Inghilterra che iniziava una  lenta penetrazione anche nei commerci del Mediterraneo e soprattutto dai  Paesi Bassi che controllavano le rotte atlantiche. La necessità di mettere a coltura gli immensi territori americani e la  scarsità di popolazione indigena spinsero il commercio degli schiavi per le  piantagioni di zucchero e cotone. I grandi traffici oceanici imponevano  enormi sforzi economici; nei paesi iberici fu lo Stato stesso che si fece  promotore, mentre in Inghilterra e in Olanda, l’iniziativa fu quasi  esclusivamente privata anche se godeva di grandi agevolazioni da parte  dello Stato.  Il mediterraneo pur perdendo la sua centralità conservò la sua importanza.  Per l’Italia in particolare erano ricercati i tessuti di seta. Metalli americani e bancherotte spagnole: le difficoltà monetarie e  finanziarie Nel XVI secolo l’arrivo dei metalli americani provocò a partire dal 1550  un’inflazione che venne chiamata “rivoluzione dei prezzi” e tale processo  continuò fino al 1630. La svolta si ebbe con la deflazione che iniziò prima della metà del XVII  secolo e ad essa contribuì anche il sensibile calo degli arrivi dei metalli  preziosi dall’America. La rarefazione dell’oro e dell’argento americano ebbe conseguenze in campo  monetario e finanziario. Gran parte dei metalli americani giungeva in  Spagna, in parte sotto forma di prelievo fiscale ed in gran parte sotto  forma di merci di scambio, in quanto i coloni potevano commerciare solo con  la madre patria. La Spagna non era in grado di far fronte alla domanda  delle colonie, perciò l’oro e l’argento americani presero ben presto la via  di Amsterdam, Firenze, Milano e Lione. Ad aggravare al situazione si era  aggiunta la rivolta dei Paesi Bassi. Nel 1609 l’80% delle entrate fiscali spagnole era già stato ipotecato. 10  anni dopo, Filippo IV, scoprì che tutte le tasse erano in mano a banchieri  stranieri. In effetti periodicamente il re di Spagna era costretta a  dichiarare bancarotta, che in realtà, era un modo per rinegoziare i tassi  di interesse sui debiti. L’Europa non asburgica beneficiò della grande liquidità proveniente  dall’America e godette di tassi di interesse molto bassi: soprattutto in  Olanda e Inghilterra ma anche in Francia e nella Serenissima i tassi  tendevano al ribasso. II. Si affermano nuove potenze Il mercantilismo e la formazione dello Stato moderno Nel corso del XVII secolo cominciarono faticosamente a formarsi gli Stati  nazionali. Solo paesi con dimensioni territoriali adeguate potevano  permettersi il lusso di mantenere una burocrazia stabile con lo scopo di  amministrare lo Stato, ma soprattutto di esigere le tasse, e solo con  entrate adeguate gli Stati potevano mantenere eserciti e flotte sempre più  grandi e sempre più costosi. Il 1600 segnò la definitiva affermazione del  mercantilismo. Olanda, Inghilterra e Francia furono i primi paesi a sperimentare nuove  forme di amministrazione pubblica, di rappresentanza degli interessi e di  intervento statale nell’economia. Le 3 diverse esperienze identificano 3  diversi modelli di Stato e 3 livelli diversi di performance economica. Il Mercantilismo fu la politica economica che prevalse in Europa dal XVI al  XVIII secolo che aveva come obiettivo principale il raggiungimento  dell’attivo nella bilancia commerciale. In altri termini era fondamentale  che le esportazioni superassero le importazioni poiché solo in questo modo  era possibile aumentare la massa monetaria all’interno di una nazione priva  di miniere e metalli preziosi. Il mercantilismo fu quindi finalizzato  allo sviluppo delle esportazioni,  alla restrizione delle importazioni, all’aumento della capacità produttiva  e all’incremento delle riserve di metalli preziosi, ritenuto un segno della  ricchezza di una nazione. Per i mercantilisti, l’intervento dello stato era  considerato determinante per il raggiungimento di tali obiettivi. La politica economica mercantilistica si sviluppò contemporaneamente agli  stati nazionali. Questi eliminarono le barriere commerciali interne  ereditate dal Medioevo e incoraggiarono la nascita e lo sviluppo  dell’industria, che rappresentava una fonte di entrate necessaria al  mantenimento dei grandi eserciti e degli altri apparati dello stato. Le  grandi potenze europee avviarono inoltre lo sfruttamento delle colonie,  considerato un metodo legittimo per fornirsi di metalli preziosi e di  materie prime per le industrie. Il fine principale del mercantilismo era quello di accumulare ricchezza a  livello nazionale sotto forma di oro e argento. Dato che molte nazioni non  disponevano di questi metalli preziosi, il mezzo migliore per acquisirli  era il commercio. Motivi politici: per rinsaldare l'unità politica di recente conseguita Motivi finanziari: gli stati unitari hanno esigenze finanziarie nuove e  pressanti Amministrazione, esercito, creazione di infrastrutture e rete di  comunicazioni. Diventa molto importante studiare come incrementare la ricchezza delle nazioni  visti i nuovi oneri da sopportare Vari mezzi possono essere impiegati per incrementare la ricchezza della  nazione, si configurano pertanto politiche mercantilistiche diverse. 1. Politica che si incentra sul prelievo di oro e metalli preziosi  dalle aree coloniali (Spagna e Portogallo). Questa politica si fonda sul  concetto di ricchezza intesa come quantità assoluta di metalli preziosi  esistente nel paese, implica uno sfruttamento delle aree coloniali. 2. Politica che dà rilevanza in particolare al commercio estero e  che punta sulla bilancia commerciale attiva: Esportazioni ­ Importazioni  > 0; così si incrementa la ricchezza, il flusso di denaro arriva  attraverso il commercio (Olanda e Inghilterra). In materia di commercio  interno, per quanto riguarda l'unificazione del mercato alla quale  puntano gli stati mercantilisti, si ottengono risultati significativi  solo in Inghilterra. 3. Politica della produzione che promuove soprattutto l'esportazione  di prodotti finiti e favorisce l'occupazione interna (Francia). Le aree  coloniali sono viste come luoghi di approvvigionamento a buon mercato di  materie prime e sono mercato di sbocco aggiuntivo a quello interno. 4. Politica demografica degli stati mercantilisti: politica volta ad  incrementare la popolazione in quanto una popolazione numerosa implicava  un abbassamento dei salari quindi un minor costo del lavoro Gli economisti avevano individuato il commercio internazionale come uno  dei fattori principali del processo di accumulazione capitalistica e  avevano intuito la validità della teoria quantitativa della moneta. Su  questa base, economisti e governanti cercarono tutti i modi per sviluppare  il commercio e la produzione del proprio paese. 1.L’Olanda Dall’indipendenza al primato nel commercio internazionale Fin dal medioevo i Paesi Bassi avevano conosciuto una crescita economica  molto forte. Ma i protagonisti di questo sviluppo furono i Paesi Bassi  meridionali, mentre le province del nord erano rimaste attardate. Il centro  finanziario e manifatturiero di maggiore importanza fu Bruges  fino al XV  secolo, e quello successivo la leadership passò ad Anversa. In quei secoli principali le principali città delle province del nord  aderivano alla lega Anseatica, dalla quale furono escluse nel corso del XV  secolo. Nonostante l’esclusione dalla Lega, nel 1471 venne sancita la  libertà di commercio nel Mar Baltico anche per le navi olandesi. Questo fu  un fatto molto importante per il futuro sviluppo dell’Olanda perché il  commercio col Baltico rimase sempre una delle voci attive più importanti. Nel ‘600 si concretizzò un sistema dualistico nell’economia dei Paesi  Bassi:  • da una parte Anversa era la capitale finanziaria ed il principale  centro commerciale  • dall’altra Amsterdam assumeva l’assoluto predominio nel Baltico.  A ciò si aggiunga che in Olanda si era affermata un’agricoltura molto  evoluta nella quale prevaleva il contratto d’affitto che permetteva ai  contadini di impegnarsi in attività manifatturiere secondo il modello  della protoindustria rurale. Nella seconda metà del ‘500 i Paesi Bassi iniziarono una lunga lotta per  l’indipendenza dall’impero spagnolo. La lotta portò, nel 1581, alla  divisione dei Paesi Bassi. La regione meridionale rimase sotto il  controllo spagnolo mentre la settentrionale dichiarò l’indipendenza nel  luglio di quell’anno. Fu decisivo l’appoggio dell’Inghilterra e la superiorità in mare che segnò  l’inizio del declino spagnolo. Dopo 40 anni di guerra, questa giovane nazione i Paesi Bassi  Settentrionali, era la più sviluppata d’Europa; uno dei fattori che ne  favorì il successo fu il grande esodo di protestanti dalle province  meridionali. Amsterdam e l’intera Olanda divenne il centro propulsivo  dello sviluppo, mentre ci fu la decadenza di Anversa determinata dal  blocco del porto, imposto dagli olandesi. La flotta olandese era superiore in qualità e quantità a quella spagnola e  francese e rivaleggiava alla pari con quella inglese. La cantieristica  olandese era all’avanguardia e costruiva navi migliori a minor costo. Con  questo vantaggio tecnologico e con avanzate conoscenze in campo  finanziario e commerciale gli olandesi assunsero il controllo del  commercio internazionale e Amsterdam divenne il centro della più ampia  l’affitto a breve termine. L’aumento dei prelievi e della pressione fiscale  limitò l’accumulazione di capitali e quindi il pieno sviluppo di  un’agricoltura moderna. Solo nelle terre signorili si registrarono  significativi progressi. Fino al 1630 l’industria tessile fece segnare una  costante, benché contenuta, crescita. Ma a partire dalla prima grave crisi  demografica a livello continentale, queste manifatture entrarono in una  profonda recessione, che durò almeno fino alla metà del secolo. A partire  dal 1660 la tendenza si inverte. I contadini vennero impegnati soprattutto  nella filatura e nella tessitura. Sotto l’influsso di un forte sostegno  statale e di una politica doganale estremamente protettiva, la Francia  conobbe un vigoroso impulso nella produzione di oggetti di lusso. Lo  sviluppo delle grandi manifatture aveva lo scopo di accrescere le capacità  produttive ma anche di perseguire una più solida pace sociale. Durante il  regno di Luigi XIV l’industria francese raggiunse i vertici mondiali nella  produzione di beni di lusso. Durante il regno dei Valois la Francia mostrò mire espansionistiche ed  egemoniche sul continente europeo, in particolare in Italia e in alcune  regioni dell’Europa centrale e nell’espansione coloniale. In realtà il  Regno di Francia fu l’ultimo ad impegnarsi nelle imprese transoceaniche. I  primi tentativi di colonizzazione e penetrazione nel continente americano  risalivano alla seconda metà del XVI secolo. Nei primi anni del Seicento  invece iniziarono i primi viaggi in Oriente, la compagnia francese delle  Indie Orientali venne fondata nel 1604.  Fu Richelieu a intuire per primo la grande importanza dello sviluppo  coloniale, soprattutto in funzione anti­spagnola. Nel 1626 i francesi  organizzarono alcuni insediamenti in Guyana e nelle Antille e in Canada  dove nel 1641 venne fondata Montreal. In altre aree la colonizzazione ebbe  maggior successo come in Africa. Colbert diede nuovo impulso alla  colonizzazione perché sottopose le due compagnie principali, le orientali e  le occidentali ad una radicale ristrutturazione. In Nord America venne ampliato il commercio di pellicce e questo provocò un  peggioramento del conflitto con gli indigeni e venne fondata una nuova  colonia, la Louisiana. Nel 1682 le navi della compagnia delle Indie  orientali vennero affittate ad una società privata. Il colonialismo francese conobbe il suo apogeo nei 2 secoli successivi  partendo proprio dalle basi gettate da Richelieu e Colbert in Africa e  nell’estremo oriente nel corso del ‘600. La patria del mercantilismo Il ruolo del governo in Francia non fu solo quello di farsi promotore di  iniziative importanti come le manifatture reali e le compagnie coloniali,  ma perseguì almeno dalla metà del secolo una coerente politica di  protezione doganale delle produzioni interne. Tutte queste iniziative vanno  sotto il nome di mercantilismo.  Colbert ministro delle finanze di Luigi XIV a partire dal 1661 attuo  politiche economiche mercantilistiche tanto che fu definito questo periodo  come colbertismo. Colbert  cercò di sanare le finanze pubbliche in deficit  a causa delle guerre e di dotare la Francia di un settore manifatturiero e  di una marina competitiva. Per quanto riguarda il primo problema  l’istituzione di una chambre de Justice servì per contrastare la  speculazione operata dai vari finanzieri sulla corona e determinò  l’applicazione di multe salatissime e la riduzione degli interessi sui  prestiti. Colbert riorganizzò l’apparato burocratico preposto alla  riscossione delle tasse fondiarie, la più importante delle quali era la  taille, con lo scopo di evitare abusi, appropriazioni indebite e frodi da  parte dei funzionari. Fu inoltre ridotto sensibilmente il numero si coloro  che erano esentati dal pagamento delle tasse. Le risorse finanziarie  ottenute da queste riforme consentirono di organizzare un forte intervento  pubblico nei settori economici. Colbert in pratica attuò interventi in ogni  comparto produttivo ma in particolare diede importanza alle imprese  denominate manifatture reali. Inizialmente il privilegio era concesso solo  alle fabbriche di proprietà regia successivamente venne esteso a tutte  quelle imprese che si distinguevano per la qualità dei loro prodotti.  Tutti questi interventi si inserivano in un sistema doganale fortemente  prottetivo Colbert fece la scelta di puntare sulla qualità delle produzioni e non sul  contenimento dei costi, creò una struttura burocratica preposta al costante  controllo dell’economia nazionale.  L’enquete (indagine sullo stato economico della Francia) sottolineò il  ritardo francese anche dal punto di vista commerciale, dovuto sopratutto  alla debolezza della flotta. Si registrò inoltre una scarsa propensione  all’investimento nelle imprese coloniali e commerciali da parte della  nobiltà e dell’alta borghesia francese. I risultati del colbertismo vennero in gran parte vanificati tra la fine  del ‘600 ed i primi decenni del XVIII secolo, quando Luigi XIV si lanciò di  nuovo in guerre sia in Europa sia in America. I costi e i benefici della burocratizzazione Si formò una rete informativa (intendenti) presenti in ogni provincia e nel  Governo centrale. La ramificazione amministrativa diretta dal centro godeva  di poteri e prestigio e rimase a lungo uno dei tratti distintivi  dell’istituzione francese. A ciò va aggiunto il ruolo del Conseil d’Etat,  che era il supremo organo di giustizia amministrativa nelle controversie  tra contribuenti ed esattori. La capacità imprenditoriale risultò indebolita a causa degli impotenti  organi di rappresentanza locali e nazionali. Vi è poi il problema delle protezioni doganali che tagliarono fuori dalla  competizione internazionale quei pochi centri in grado di combattere ad  armi pari con le grandi potenze mondiali. Il metodo di prelievo era sproporzionato rispetto alla capacità produttiva  del paese. Il limite del mercantilismo colbertista non stava né nei risultati né nei  metodi ma nelle sue motivazioni (finanziare le guerre di Luigi XIV). Allo  stato fondato su base giuridica Colbert sostituì lo Stato finanziario. Solo alla fine dell’esperienza napoleonica, infatti, si consolidò un  sistema giuridico­istituzionale che superasse l’assolutismo e fosse in  grado di dare allo Stato un assetto moderno, fondato proprio sulla  burocrazia creata da Colbert. Il dirigismo colbertista dal punto di vista economico dotò la Francia di un  sistema burocratico e istituzionale in grado di sostenere una forte  evoluzione in senso capitalistico dell’economia nazionale. 3. L’Inghilterra Tra rivoluzioni ed espansione economica Il 1600 è un secolo di forti conflitti e di nuovi assetti costituzionali,  con nuove classi sociali al comando. Nel XVI secolo l’Inghilterra si trasformò da paese esportatore di materia  prima a paese esportatore di prodotti finiti (lana ⌠ tessuti di lana).  Questa evoluzione era indice di un’indiscutibile salto di qualità  nell’economia di questo Paese, il prodotto finito aveva, ovviamente, un  valore superiore rispetto alla materia prima. L’aumento delle esportazioni  porto l’industria della lana ad aumentare la richiesta di materia prima e  ciò ampliò la quota di pascolo nelle campagne. Le new draperies erano  tessuti meno pregiati ma più a buon mercato. Tali tessuti aprirono agli  inglesi anche i mercati del nord Europa e del Mediterraneo.  Tra i settori trainanti dell’economia inglese all’inizio del XVII vi fu  l’industria siderurgica, poco diffusa in passato, ma che ebbe uno sviluppo  rapido sfruttando una materia prima ampiamente disponibile, il ferro.  Carlo Cipolla ritiene che tale aumento sia dovuto alla sostituzione dei  rari combustibili vegetali con il carbone, poco costoso ed abbondante. Così  come l’Olanda un altro settore trainante dell’economia fu il commercio. La  marina inglese era una delle più potenti del mondo e alla fine del secolo  divenne la migliore al mondo. Nel 1602 venne fondata la compagnia inglese  delle Indie Orientali, l’unica in grado di competere con la VOC olandese  in Asia e soprattutto in India. Se in Asia l’Inghilterra non riuscì a prendere il soppravvento sull’Olanda  le cose andarono diversamente in America. Il colonialismo inglese in  America settentrionale si differenziò da quello spagnolo e da quello  olandese. La Virginia Company era la compagnia che gestiva la  colonizzazione nel nord America e che portò oltre oceano agricoltori e  commercianti. L’Inghilterra assunse il monopolio dei traffici con l’America  e non fu mai messo in discussione. In centro e sud America la penetrazione  fu più difficoltosa, ma gli inglesi si assicurarono, comunque,  nell’Atlantico i due commerci più lucrosi: schiavi e zucchero. Londra  divenne, al pari di Amsterdam, una nazione colonizzatrice ed esperta nella  riesportazione. Londra ebbe una crescita demografica davvero spettacolare.  Alla base della crescita economica inglese ci fu sicuramente anche il  progresso agricolo, con grandi incrementi della superficie coltivabile e  l’uso più massiccio di fertilizzanti. Un altro settore che conobbe un’evoluzione decisiva fu quello creditizio:  l’aumento e l’ammodernamento dei servizi e delle tecniche andò di pari  passo con un continuo calo dei tassi d’interesse. Nota: Le enclosures e gli atti di navigazione In Inghilterra, alla base della futura industrializzazione vi era  soprattutto il nuovo assetto socio­economico ed istituzionale, oltre alla  non belligeranza ed alla minor incidenza delle crisi demografiche. Il settore agricolo conobbe una evoluzione dal punto di vista tecnologico  e organizzativo e a partire dal XVI secolo in Inghilterra si verificò un  processo di concentrazione fondiaria. Le classi più abbienti percorsero 3 strade per estendere i propri  possedimenti: 1. la trasformazione dei contratti colonici da lungo a breve  termine e da trasmissibili ereditariamente a non trasmissibili. Questo  segnò la fine del sistema della signoria feudale. 2. l’acquisto di lotti di  terra dai piccoli proprietari, colpiti dal crollo dei prezzi. 3.  l’accaparramento degli openfield, ovvero i terreni di uso comune: grazie ad  esso, i grandi proprietari potevano accumulare denaro proveniente anche dai  pascoli, settore sempre più in sviluppo, visto la crescente richiesta di  lana nelle industrie. Tipico fu l’aumento delle coltivazioni di malto, visto l’incremento del  consumo di birra. L’aumento della pressione fiscale fu assorbito meglio che altrove, per  merito dell’innovazione tecnologica e organizzativa. Gli ex coloni o gli ex  JOHN A. DAVIS – Tra espansione e sviluppo economico nell’Europa del XVIII  secolo 1.Nuove prospettive sulla modernizzazione economica e le molte strade  percorse dall’Europa verso il XX secolo L’Europa del XVII secolo è ancora dominata dai dibattiti sulla natura e sul  significato della grande crisi economica e demografica; la storia economica  del secolo successivo è stata per molto tempo offuscata dalla ricerca sulle  origini delle rivoluzioni industriali. Questo secolo è identificato con  l’Illuminismo, la guerra americana di indipendenza, la rivoluzione francese  e la crisi delle monarchie europee dell’Ancien Regime. Lo sviluppo economico moderno fu reso famoso dallo studio della prima  rivoluzione industriale in Inghilterra, effettuato dallo storico americano  Rostow, che considerò la rivoluzione industriale inglese come la base  empirica per un modello generale di sviluppo economico moderno. Quindi diciamo che assumere il caso inglese come modello della Rivoluzione  industriale fu un grande errore poiche la crescita economica può avere  diversi aspetti. C’è il confronto Inghilterra con altri paesi in un certo  senso considerati subordinati all’Inghilterra. Infatti veniva considerato  CRESCITA ECONOMICA = RIVOLUZIONE INDUSTRIALE,  ed era un errore. L’industrializzazione fu il decollo (take­off) verso una crescita economica  autosostenuta ed infinita. I cambiamenti precedenti all’industrializzazione includevano le  rivoluzioni: 1. agricola, che permise la liberazione di notevoli quantità  di manodopera dal settore primario creando le basi per una nuova forza  lavoro industriale; 2. demografica 3. dei trasporti 4. nel credito (nuove istituzioni bancarie)  5. commerciale. Il modello di Rostow aveva forti sfumature ideologiche ed ora si può  leggere come un inno da prima guerra fredda alle virtù del capitalismo  liberistico. Per Rostow il capitalismo industriale era il prodotto di  un’impresa libera che rese quella generazione di ricchezza potenzialmente  infinita e senza termine. Secondo i critici marxisti di Rostow era, invece, un sistema che sarebbe  diventato insostenibile a mano a mano che si andava evolvendo. Nelle  economie più avanzate gli elementi di continuità col passato erano così  evidenti come quelli dell’innovazione fin dentro il XIX secolo. L’insediamento dei primi settori industriali è stato una conseguenza di un  più profondo cambiamento strutturale. I segni più ovvi di crescita  economica dovevano trovarsi ad un livello regionale piuttosto che  nazionale. Le molte economie differenti caratterizzavano notevolmente un luogo per  strutture ed organizzazione; ciò significa anche che è diventata meno  convincente l’insistenza di Rostow sulle qualità specifiche presenti nelle  singole società europee, che promossero o meno la moderna crescita  economica. Secondo un’interpretazione sociologica l’industrializzazione non convinceva  per almeno tre punti: 1. non esistevano società nazionali 2. non esisteva  la valuta moderna 3. sebbene con minor meccanizzazione, anche altri paesi  come la Francia e l’Olanda sperimentavano forme di crescita economica come  quella inglese. L’industrializzazione non è più vista come il culmine inevitabile di tutte  le precedenti forme di crescita economica. ( Ricorda: quando si parla di rivoluzione industriale non è giusto parlare  di riv. Industriale relativa ad un solo paese poiché è A MACCHIA DI  LEOPARDO: si parla di territorio regionale. Lo sviluppo economico europeo  nel XVIII secolo: i temi centrali Il periodo intercorrente tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XIX  assistette a cambiamenti che segnarono uno spartiacque fondamentale tra  l’Europa medievale, moderna e contemporanea. L’Illuminismo e il razionalismo erano in parte eredi della grande  rivoluzione scientifica del secolo precedente, ma non avevano relazione con  il Nuovo Continente. Il XVIII secolo fu contraddistinto dalla nuova fase di espansione coloniale  (è da notare che il colonialismo non si è concluso nel 600, infatti anche  Davis parla di colonialismo); queste lotte generano guerre incessanti tra  le Monarchie. Nacquero il turismo contemporaneo (con i viaggi del “Grand  Tour”) ed una cultura consumistica. Furono introdotte la statistica, l’amministrazione e l’economia politica,  che trovò la sua formulazione nella “Wealth of Nations” di Adam Smith.  Venne introdotta l’idea della forza creativa della libera impresa che  avrebbe potuto attecchire e fiorire non appena sarebbero stati rimossi i  tradizionali limiti e restrizioni della proprietà privata. La crisi del Vecchio Ordine europeo fu irreversibile. L’Europa agraria Perché organizzata per soddisfare il consumo delle famiglie  (autoconsumo) Ma ora anche per esportare Nel XIX secolo la maggioranza degli europei era occupata nell’agricoltura,  i metodi di allevamento e coltivazione cambiarono e gran parte  dell’agricoltura europea precludeva importanti cambiamenti anche se era  ancora dedicata a soddisfare le necessità di sussistenza dei contadini e  delle loro famiglie. Vi erano anche regioni dove era più saldamente impiantata l’agricoltura  orientata verso il commercio. Esisteva un’agricoltura mista (arativa, casearia, pascolo e zootecnia),  altamente volta al commercio e intensiva, praticata nei polders olandesi e  nel Brabante. La Lombardia era una delle più ricche e fertili regioni agricole europee. L’Irlanda avrebbe rivelato i pericoli di un’eccessiva dipendenza dalla  patata, mentre una dieta basata esclusivamente sul granturco causò la  pellagra (mancanza di vitamine). Anche l’espansione della terra coltivata  portò alla distruzione del terreno boschivo causando danni ambientali. In molte aree l’espansione delle colture fu accompagnata dalla recinzione  della terra e dall’usurpazione delle “common lands” da cui dipendeva il  sostentamento di molte comunità rurali. L’agricoltura e l’economia pastorale provvedevano anche le principali  forniture di materie prime per l’attività industriale, per lo più fibre  tessili. La geografia economica raramente coincideva con quella politica. La geografica tagliò anche molte regioni da tutti i contatti come le  comunità montane perché i costi dei trasporti erano alti. Questo fu un  motivo per il quale la Scozia e l’Irlanda scelsero di distillare il loro  grano per farne whisky che, sebbene si potesse vendere solo nei mercati di  contrabbando, aveva un valore aggiunto molto più alto del grano ed era meno  costoso del grano in quanto a trasporto. I fiumi, le vie d’acqua navigabili  ed il mare fornivano le reti di comunicazioni più veloci e sicure  dell’Europa pre­moderna. Nel XVIII secolo molte città importanti per la  manifattura erano in declino. Una ragione erano i privilegi monopolistici,  di cui avevano goduto in precedenti periodi, e questi ora rendevano i loro  prodotti ultracostosi e diminuivano la loro capacità di adattamento alla  nuova domanda. Molti governanti del XVIII secolo costruirono magnifiche case per i poveri  che rimangono a tutt’oggi testimonianza della nascita della povertà urbana.  Si liberalizzò il commercio interno soprattutto per le merci di prima  necessità. La tardiva servitù della gleba nell’Europa dell’Est legava i contadini alla  terra, rendendoli soggetti al lavoro forzato. Essa sarebbe continuata fino all’XIX secolo. In molte altre parti  dell’Europa il feudalesimo sopravviveva sotto forma di monopoli e tasse,  piuttosto che di servitù. Il feudalesimo aveva avuto origine in quanto  mezzo per regolare il conflitto di interessi dei governanti e dei loro  notabili: ma in termini economici i diritti collettivi esercitati sulle  terre feudali avevano originariamente permesso alle popolazioni rurali di  rivalersi contro il potere dei grandi proprietari terrieri. Per i pensatori  e gli scrittori illuministi il FEUDALESIMO simboleggiava tutti i difetti  dell’Ancien Régime europeo irrazionale e reazionario. Guenzi parla di “rifeudalizzazione” che in realtà per molti non lo è stato  poiché non vi furono servizi della gleba. In Russia nel 1860 fu eliminata. I crescenti incentivi alla produzione commerciale nella seconda metà del  secolo incoraggiarono i proprietari terrieri ad espropriare legalmente o  illegalmente e a recintare la terra pubblica. Sia in Spagna sia nell’Italia del Sud la regolamentazione del pascolo di  transumanza aveva come modello la Mesta (tassa reale per il passaggio) nata  in Spagna. I governi cominciarono a sostenere che i diritti di proprietà dovessero  essere assoluti ed incoraggiarono il processo di privatizzazione e  recinzione. Da ciò nacque il conflitto tra gli agricoltori stanziali e i  transumanti. Uno dei segnali di cambiamento fu la costante crescita della terra privata,  soprattutto in Inghilterra, con il risultato che i contadini cominciarono  ad essere dipendenti dai salari che guadagnavano dai grandi proprietari. I poveri rurali non avevano diritti consuetudinari sulla terra e i nuovi  metodi di coltivazione erano introdotti più facilmente in Inghilterra e in  Olanda del Nord, piuttosto che altrove. In Inghilterra l’agricoltura  intensiva e la recinzione significava che il surplus di popolazione si  muoveva verso le province. Non è ancora chiaro quale impatto possono aver  avuto sulla produttività agricola i famosi esperimenti per migliorare  l’allevamento, per introdurre nuove forme di azoto per la coltivazione e  per lo sviluppo di rotazioni. L’epicentro della rivoluzione agricola del XVIII secolo fu nelle Midlands  inglesi, risultato di bonifiche del secolo prima. Prodotti in crescita erano: lana, lino, vino, seta, legname, canapa e pece. 4. L’enigma del XVIII secolo: la Rivoluzione demografica L’espansione demografica aveva seguito “un grafico con taglio a sega”,  ovvero ad ogni aumento seguiva subito una crisi di carestie. Questa volta,  invece, non fu così. Le epidemie parvero quasi scomparire, sebbene non fu  certo la scienza medica ad aumentare l’aspettativa di vita. Una tra le  spiegazioni di questo cambiamento fu che il prezzo dei cereali continuò a  L’espansione del commercio fu severamente limitata dalla politica  protezionistica adottata sia dagli Asburgo sia dai governanti tedeschi.  L’assenza di mercati elastici o accessibili era uno degli ostacoli più  critici all’espansione. d) La Francia e il Regno Unito Nonostante gli sforzi dei Governi volti ad impedire che le tecnologie  oltrepassassero le proprie frontiere, queste viaggiavano con poca  difficoltà. La Francia aveva industrie tessili estese e altamente specializzate. Essa,  a pari del Belgio, possedeva un ricco patrimonio di risorse economiche e  naturali. La manodopera era abbondante e a buon mercato. Presi insieme, questi fattori spiegano perché la propensione verso la  meccanizzazione fosse sentita molto meno fortemente nelle industrie e nelle  manifatture francesi che in Inghilterra. Nel caso delle costruzioni di case, i mattoni sostituirono il legno, ma per  le costruzioni navali i britannici divennero sempre più dipendenti dalle  forniture dei paesi baltici. Abraham Darby sviluppò un processo di fusione del ferro sostituendo il  carbone coke alla carbonella e fu seguito dal processo di puddellaggio di  Henry Cort che permetteva l’uso del carbone coke anche negli stadi finali  della produzione della ghisa grezza. Si espandono le industrie  metallurgiche e minerarie grazie alla domanda di carbone in crescita. Si espandono anche quella vetraria e quella della ceramica (nelle zone  delle Potteries, introdotte da Wedgwood). Inizialmente il cotone era importato dall’India, mentre con la produzione  interna di tessuti leggeri come cotone e, grazie allo sviluppo di nuove  tecniche di stampaggio, di tintura e filatura, cambiò la moda e aumentò la  domanda. Carlo Poni ha descritto l’azione di Lombe, che aveva fatto un viaggio in  Italia per studiare l’industria della seta, come il primo esempio di  spionaggio industriale. In Inghilterra, nelle Midlands, ricordiamo le industrie della fabbricazione  della birra. Il fattore più rilevante, tuttavia, fu la crescita della domanda nei  mercati interni. Le industrie inglesi provvedevano principalmente ai mercati di grosso  volume e basso costo, e fornivano merci prodotte ancora da famiglie, mentre  i francesi badavano alla qualità (con un ovvio maggior valore aggiunto). Lo sviluppo della meccanizzazione fu lenta ed inizialmente poco sfruttata. Queste nuove forme di produzione davano significato concreto ai principi di  Adam Smith, che avrebbero ispirato l’era del capitalismo industriale, con  la nascita delle fabbriche. 7. Il ruolo dello Stato (Ricordare: necessità di denaro per sostenere guerre ed espansione  coloniale, quindi si sostenevano maggiormente le esportazioni rispetto alle  importazioni) Uno dei temi centrali delle rivoluzioni industriali fu la libera impresa.  Questa idea era stata avanzata fin dall’analisi classica, sui collegamenti  tra capitalismo ed etica protestante, di Max Weber. Spesso si sostiene che una delle maggiori restrizioni allo sviluppo derivò  dall’intervento statale. Il mercantilismo era basato sul presupposto che ogni Stato avrebbe dovuto  adottare misure protettive per assicurarsi la propria quota commerciale. Ricordiamo ancora che i Navigation Acts inglesi ordinavano che tutte le  merci dovessero essere trasbordate nei porti metropolitani britannici,  mentre in Francia il colbertismo aveva funzione protezionista analoga. Nota: Queste politiche furono causate soprattutto dall’aumento dei costi  bellici. Ciò avrebbe accelerato la crisi politica ed istituzionale dello Stato  dell’Ancien Regime. Gli esperimenti noti come assolutismo illuminato erano tentativi di  accrescere i limitati poteri della monarchia, che aveva intense necessità  fiscali. In Germania, le classi fondiarie erano ostili all’espansione  industriale perché essa avrebbe sottratto forza lavoro agricola. In Prussia l’80% delle entrate era devoluta alla spesa militare. Nel caso del commercio estero i principi della liberalizzazione erano  persino più difficili, a causa di restrizioni e monopoli. L’Inghilterra  aveva imposto al Portogallo il Trattato di Methuen, che gli aveva permesso  il completo controllo del commercio col Brasile. Pombal rinegoziò il  Trattato sulla reciprocità di concessione su merci specifiche e questa fu  la base per successive negoziazioni. Queste si conclusero col Trattato di  Eden del 1786 tra la Gran Bretagna e la Francia, che segnò una breccia  nelle politiche protezionistiche francesi. La combinazione del liberalismo  economico col protezionismo sarebbe rimasta l’indispensabile politica  economica fino a dopo il 1805 con l’Impero Napoleonico. Il protezionismo industriale si concentrò sulle manifatture; il più famoso  esempio fu la fabbrica di porcellana segreta di Meissen in Sassonia,  copiata da Carlo III di Napoli. In Francia vennero concessi agli imprenditori patenti reali per sostituire  le importazioni. Le deboli monarchie spagnole e portoghesi soffrirono una vulnerabilità nel  commercio estero, mentre Francia e Gran Bretagna tendevano ad estenderlo. Un esempio fu la guerra dei 7 anni tra queste ultime due nazioni, definita  da W. Pitt puramente economica. La “guerra dei 200 anni” durò fino al 1815 con la battaglia di Waterloo e  vide vincitrice la Gran Bretagna, con la sconfitta di Napoleone. La chiave di questo successo fu la capacità inglese di non indebitarsi,  grazie alla Banca d’Inghilterra ed al rinnovamento all’interno del  Parlamento, che garantiva indipendenza finanziaria dalla monarchia e  generava sicurezza negli investitori. L’Inghilterra, in questo modo, riuscì in 20 anni a saldare le spese  belliche per la Guerra americana d’Indipendenza, al contrario della  Francia, che entrò nella crisi finanziaria che provocò la rivoluzione del  1789. Londra sostituì Amsterdam come principale porto internazionale. 8. L’era Napoleonica (nel 1815 viene meno Napoleone. 700­800 aumentò la rivalità tra Gran Bretagna e Francia che indusse  Napoleone ad assumere politiche per danneggiare la Gran Bretagna blocco continentale venne meno; rifornimenti alla Gran Bretagna la  quale non otteneva + dall’ex colonia.) Napoleone tentò di creare un sistema economico continentale europeo, mentre  sul versante Atlantico la vittoria britannica permise l’eliminazione della  Francia e della Spagna nel sistema coloniale. A seguito del colpo di Stato di Napoleone del 1799 le rivalità anglo­ francesi si inasprirono. Lo storico francese Bergeron ha descritto il “Blocco Continentale” come un  modo particolare di condurre la guerra, che in futuro si sarebbe dovuto  fondare sul dominio economico del continente. In realtà il progetto continentale fu impossibile da realizzare, sia perché  incoraggiò il commercio di contrabbando, sia per via della resistenza degli  Stati conquistati. L’aspetto più positivo del retaggio napoleonico fu l’abolizione del  feudalesimo. Le monarchie dell’Ancien Regime si ritirarono di fronte a  nuove autocrazie amministrative che prendevano a modello il regime  napoleonico. Lo Stato riguadagnò completa sovranità e furono abolite le giurisdizioni  private. Si riorganizzarono le tasse per favorire lo sviluppo della  proprietà privata e dell’impresa individuale. Nella confederazione tedesca vennero introdotte riforme (da Von Stein e Von  Hardenburg) per la liberalizzazione del mercato. Anche nella monarchia  asburgica l’esperienza della sconfitta e della fine del Sacro Romano Impero  fu un forte incentivo alle riforme amministrative. Le monarchie costituzionali dell’Ancien Regime erano rimpiazzate da nuove  forme di assolutismo burocratico con relativi oneri fiscali per il loro  mantenimento. Le conseguenze delle politiche economiche di Napoleone non furono affatto  sempre negative; per esempio nell’Italia settentrionale portò  all’espansione della produzione di seta e della seta grezza, che diventò la  principale merce di esportazione, e al ruolo di fornitrice di materie  prime. Il Blocco, però, generò una crisi nei produttori della Renania e della  Svizzera, per mancanza di materie prime. Come sostenuto da Bergeron, la Francia uscì dall’era napoleonica  geograficamente trasformata e ridotta, e ciò portò alla staticità dei  mercati interni, con una rinforzata offerta, non compensata dalla domanda. Crollato l’Impero Francese si ritornò al protezionismo precedente. Il  quadro europeo si presentava come un mosaico disunito di economie, fino a  quando nel 1830 il boom ferroviario segnò una nuova fase di crescita  economica, soprattutto in Renania. Tuttavia, il periodo dopo Waterloo  (1815) vide la domanda statica ed in contrazione. Nel XIX secolo, l’industrializzazione portò a nuove rivalità nazionali,  anziché alla crescita economica, sebbene le nuove capacità commerciali si  sarebbero sviluppate fino al Nord America. GIOVANNI LUIGI FONTANA – Lo sviluppo economico nell’Europa del XIX secolo 1.Crescita e trasformazione dell’economia europea Un secolo di crescita continuativa Secondo Maddison, nel corso dello sviluppo, esistono aree guida ed aree  inseguitrici. Per economie guida egli intende quelle che sfruttano più  efficacemente le conoscenze tecniche disponibili in un dato periodo. I  paesi sviluppati, dunque, risultano favoriti dalla cumulazione delle  ricerche. Secondo questa teoria esistono 4 fasi successive corrispondenti a 4 aree  guida: 1. 1100­1500: Italia del Nord e Fiandre 2. 1600­1750: Olanda 3. 1750­1890: Inghilterra 4. 1890 ad oggi: USA La prima vera forza industriale fu l’Inghilterra, grazie alla produzione  tessile, siderurgica, meccanica, ma soprattutto grazie allo sfruttamento  intensivo del carbone. L’importanza del settore primario, soprattutto in Gran Bretagna, infatti,  b. innalzamento dei tassi d’investimento (circa 10% del PIL) c. costituzione di un quadro politico tale da consentire un aumento  costante dei redditi d. sviluppo dei settori guida (leading sectors) e delle industrie  sussidiarie e. l’industria subentra all’agricoltura come settore fondamentale 4. La maturità: a. il processo si estende b. investimenti fino al 20% del PIL c. la produzione supera l’incremento demografico d. il reddito pro­capite aumenta con continuità e. quando calano le necessità di investimento aumentano i consumi 5. L’età dei consumi di massa: a. processi di standardizzazione spinti dal consumismo per abbassare i  costi b. allargamento dei beni di consumo Sebbene il concetto di decollo resti discutibile, Rostow diede una visione  panoramica dello sviluppo notevolissima, e diede l’opportunità agli storici  successivi di mettere a punto diverse cronologie dei propri Paesi. I suoi difetti sono: 1. il presupposto “del 10%” non trova riscontro storico 2. non spiega come si possa passare da una fase ad un’altra 3. attribuisce eccessiva importanza ad alcuni settori, senza una visione  d’insieme (molto più intricata) 4. non considera le dimensioni del fenomeno: regionale, nazionale,  internazionale 5. è una mera imitazione della storia, senza varianti, che pretende che si  possa uniformare per tutte le economie europee c)Gerschenkron e i vantaggi dell’arretratezza (egli sottolinea che i paesi che si sono posti sulla strada  dell’industrializzazione dopo hanno avuto vantaggi) Molti Paesi hanno avuto una crescita analoga, ma con differenze. Questo ha  condotto Gerschenkron a cercare una spiegazione basata su di esse,  focalizzandosi sui meccanismi che mettono i paesi ritardatari in grado di  svilupparsi. Fondamentale è il concetto di arretratezza relativa rispetto al paese  leader (G.B.). Qualora i prerequisiti manchino, si possono cercare dei fattori  sostitutivi. Si tratta di stimolare i processi naturali al fine di un recupero (catching  up) veloce. Questo modello somiglia a quello di Rostow, poiché prevede una  fase di decollo (big spurt). Altro concetto fondamentale è il vantaggio dell’arretratezza: 1. chi arriva dopo può imitare le tecnologie senza il rischio iniziale, e  chi parte per primo non è sicuro di mantenere la propria posizione  dominante 2. si sviluppa più rapidamente (industrie soprattutto) 3. maggiore produzione di beni strumentali anziché di consumo 4. migliore istituzionalizzazione 5. minore crescita agricola 6. maggiore importazione di tecniche 7. il settore trainante non è sempre quello industriale come in G.B. 8. le fasi successive allo sviluppo generano diversi tipi di capitalismo,  soprattutto nelle istituzioni Il suo difetto è (visto il peso dell’intervento statale, istituzionale e  finanziario) che diventa labile la divisione tra stati leader e follower e  che lo sfondo economico era esclusivamente nazionale. Si giunse a qualificare il caso inglese come un’eccezione anziché un  modello. d) Il problema delle unità di analisi: Pollard e la regione economica Con il suo volume “The peaceful Conquest” del 1981, per la prima volta  Sidney Pollard analizzò lo sviluppo, per unità regionali e non nazionali,  poiché egli sostenne che l’industrializzazione europea si realizzò in ogni  nazione su base regionale. A differenza di Gerschenkron, egli introdusse il  concetto di differenziale della contemporaneità, di cui è un esempio tipico  la costruzione delle ferrovie, che ebbero utilità diverse a seconda delle  zone. e) Path dependence, istituzioni e sviluppo economico. Il ruolo dello  Stato Seguendo un approccio più scientifico, tra i concetti significativi  troviamo quello di path dependence, elaborato da Paul David. Secondo lui,  il cammino dei first comers non può essere imitato perfettamente, poiché  catene di eventi casuali delimitano il campo delle scelte. La competizione porta all’abbassamento dei costi di transizione (ovvero  costi di ricerca, organizzazione e diffusione), questo con riferimento  anche alle istituzioni. Douglas North teorizzò, infatti, il mutamento economico come risultato di  cambiamenti istituzionali, poiché persino nel paese del “laissez faire” (la  G.B.) il ruolo dello Stato fu fondamentale (soprattutto per garantire la  proprietà privata). La presenza dello Stato è dunque giustificata dalla presenza proprio dei  costi di transazione. A questo punto maturarono due teorie: 1. il liberismo (mano invisibile di Adam Smith): lasciare spazio ai  meccanismi di mercato 2. la dottrina interventista Già fin dal primo Ottocento, oltre che negli USA (Belgio, Francia e  Germania), Hamilton – segretario di Stato di Washington – andava ponendo le  premesse politiche di quel diverso atteggiamento tra Stato e mercato, fra  pubblico e privato, poi concretizzate nel corso del ‘900. Questi paesi erano accomunati dalla fiducia nello Stato che avrebbe avuto  un ruolo fondamentale, nel processo di industrializzazione (si vedano lo  Zollverein, l’unione doganale degli stati tedeschi adottata nel 183 e i  compiti attribuiti allo Stato da Friederich List che ne fu l’ispiratore, o  gli interventi per lo sviluppo delle ferrovie). E lo stesso valse per  l’Italia. In Paesi più recenti, tra cui l’Italia, lo Stato ebbe un ruolo  fondamentale nell’unificazione politica. Negli USA si sviluppò il modello di Stato regolatore (modello “debole”),  ancor oggi prevalente, mentre in Europa prese consistenza il modello  “forte” di Stato e fiducia nel big government, con politiche dirigiste. Il peso dello Stato è sempre andato in crescendo (spesa pubblica e  interventismo). Si è giunti alla conclusione che il capitalismo non funziona se privo di  almeno uno “Stato minimo”: “law and order“ (leggi, soprattutto per la  difesa della proprietà, amministrazione, giustizia e ordine pubblico,  istruzione, poste, sanità e trasporti). Questo concetto di Stato minimale  si rifà a dei principi liberisti, totalmente opposti a quelli sovietici del  1900 che negavano il mercato. (Davis punta nel 700 a sostenere che lo stato si interessa all’economia per  finanziare le guerre.) 2. Dinamiche demografiche e mutamento sociale. Il ruolo dell’agricoltura. La rivoluzione demografica europea Le dinamiche demografiche costituiscono una variabile di primaria  importanza per la comprensione dei cambiamenti economici e sociali del XIX  secolo su base congetturale (mancanza di indagini sistematiche). Nel corso del secolo vi è una vera e propria rivoluzione demografica che  cambia strutture e movimenti, comportamenti ed insediamenti. L’Inghilterra ebbe un aumento della popolazione che permise di conseguenza  un aumento della forza lavoro sia nelle campagne che in sistemi di putting­ out. Incrementi simili si verificarono, ad esempio, nell’area austro­ tedesca. Si entrava nella fase di passaggio dal modello di antico regime alla nuova  demografia. Il primo modello era caratterizzato da un’elevata natalità e un’alta  mortalità, dove ogni crescita della popolazione determinava una riduzione  delle disponibilità alimentari. Furono il ritardo del matrimonio e la  diffusione del nubilato a differenziare l’esperienza demografica  occidentale dal resto del Mondo. Dall’800 in poi si sostituì il modello dello sviluppo, un incremento della  popolazione favorì la possibilità di espansione del sistema economico  complessivo; la svolta consistette nel fatto che tale crescita non conobbe  più pause o regressioni. Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Europa contava 480 milioni di  abitanti, 3 volte la sua popolazione del 1750. Nella prima parte del secolo erano le aree del nordovest europeo a  crescere, mentre nella seconda del sud­est. Il rallentamento del ritmo di crescita nella Francia del secondo ‘800  dipese dalla caduta più rapida del tasso di natalità. L’Italia di fine ‘800 era caratterizzata da una crescita della popolazione  su tutto il territorio. Tuttavia, corrispondevano meccanismi demografici  diversi: l’Italia del nord presentava sia un basso tasso di mortalità sia  di natalità, mentre quella del Sud un alto tasso di mortalità e di  natalità. Il “nuovo modello demografico” Sul breve periodo si produsse una crescita dovuta al calo della mortalità  più che all’aumento della fecondità. In una seconda fase l’aumento della  popolazione dipese dal crescente allungamento della vita. Mortalità e natalità mutarono strutturalmente: scomparvero le epidemie e le  carestie, le difese immunitarie aumentarono per effetto di miglioramenti  nell’alimentazione e nell’igiene.. La diminuzione di epidemie ebbe una causa primaria negli straordinari  progressi della scienza medica (vaccino antivaiolo, rivoluzione microbica  di Pasteur, aspirina, anestetici), tuttavia non sparirono del tutto come  dimostrò il colera europeo degli anni ’30. determinante all’equilibrio dei conti dell’Italia con l’estero, nel cui  quadro si sviluppò lo slancio verso l’industrializzazione a cavallo tra 800  e 900. Per contro, le economie del Nuovo Mondo, ricevettero grandi vantaggi  dall’esodo del Vecchio. Più di 28 milioni di europei espatriarono negli USA. Essi contribuirono in  modo decisivo all’urbanizzazione e all’industrializzazione del Paese e ne  modificarono i caratteri sociali e culturali fondando comunità come Little  Italy etc. che avrebbero avuto un ruolo importante nella storia nord­ americana. Il melting­pot (la mescolanza delle razze) si rivelò una delle chiavi dello  sviluppo statunitense. La concentrazione di molti emigranti in settori di  attività specializzate diede corpo a forme di imprenditoria etnica,  rappresentata da quella italiana che avrebbe alimentato nel secondo ‘900 le  reti della business comunity italiana nel mondo. In definitiva la più importante e drammatica vicenda demografica si tramutò  in fondamentale componente del cammino verso la modernizzazione. Le trasformazioni del settore agricolo Le trasformazioni del settore agricolo permisero di alimentare una  popolazione sempre più numerosa e urbanizzata, fornirono capitale e lavoro  agli altri settori dell’economia, crearono correnti di esportazione e  domanda di mercato per i prodotti industriali e per i servizi. Dalle prime fasi della crescita economia la composizione dei consumi  alimentari era venuta cambiando: da un dieta basata su cereali e vegetali  si passò ad una dieta basata su carni e prodotti zootecnici.  La produzione agricola ebbe un notevole incremento sia in virtù del’aumento  della quantità dei fattori ovvero della crescita estensiva che della loro  produttività ossia della crescita intensiva. In gran parte dei Paesi  europei invece un aumento significativo della superficie agraria era  possibile solo con complessi interventi di bonifica, nei quali, oltre alla  vastissima opera di sottrazione al mare operata dagli olandesi, si distinse  l’Italia. Le bonifiche furono un esempio della differente forma di crescita  estensiva dell’Europa rispetto alle aree americane o australiane, vale a  dire una forma basata sull’incremento della quantità di capitale e/o lavoro  per unità di terreno.  L’aumento della produttività globale fu il risultato delle innovazioni  finalizzate ad aumentare i rendimenti delle terre (land saving) e di quelle  finalizzate ad aumentare la produttività del lavoro (labour saving).  Essendo la terra il fattore più scarso, le prime innovazioni furono di tipo  land saving.  La maggiore dotazione di bestiame aumentava anche la qualità del letame e  della concimazione. Si introdussero specie più adatte ai diversi tipi di clima e di terreni  (mais, barbabietola, patata e foraggi). Aumentarono le rese per unità di prodotto. Altra grande innovazione land  saving fu l’introduzione dei prodotti chimici. Le innovazioni labour saving consistettero innanzitutto nel perfezionamento  di attrezzi in ferro (falci, aratri, trebbiatrici etc.) e nel’introduzione  di macchine sostitutrici dell’uomo. L’invenzione del trattore permise  l’accelerazione e la diffusione della meccanizzazione agricola. Dove la manodopera era scarsa quindi cara si era spinti ad aumentare il  capitale investito. Dove s’era formata una grande classe di proprietari  agricoli aperti al progresso tecnico la modernizzazione progredì più  rapidamente, sia che essi sfruttassero direttamente i terreni, (come la  Prussia degli junker), sia affidando la produzione a fittavoli (come i  landlords inglesi). La piccola azienda contadina era ormai improduttiva e priva di  investimenti, mentre quella media era favorevole al cambiamento, come in  Danimarca o in Olanda. Lo sviluppo del movimento cooperativo è considerato l’elemento decisivo del  successo agricolo danese. L’high farming non poteva applicarsi alle regioni mediterranee, dato che le  foraggiere non sopportavano le siccità estive. La ricerca aveva un basso tasso di appropriabilità (capacità di godere dei  frutti delle invenzioni). Gli Stati promossero enti specializzati nella ricerca; in Italia,  soprattutto sotto il Governo Giolitti, si costituì una rete di cattedre  ambulanti di agricoltura. Il massimo sviluppo agricolo si ebbe nell’Europa nord occidentale,  nell’Inghilterra e nella regione compresa tra il bacino parigino e la  Prussia orientale, dove i due tipi di miglioramento esercitarono un’azione  complementare. Data l’influenza delle condizioni atmosferiche i prezzi agricoli fluttuano  in modo più accentuato di quelli dei prodotti industriali. Ciò nonostante i  prezzi agricoli mostrarono tendenze di lunga durata (si ricordino le Corn  Laws). (1846 eliminate dalla crisi della patata facevano si che fossero  contenute le importazioni di grano in modo tale che mantenesse un prezzo  conveniente per i proprietari terrieri della Gran Bretagna). L’allevamento si sviluppò alla fine in maniera indipendente dalla  cerealicoltura. Con la “Grande Depressione” del 1877­1896 tutti i prezzi dei prodotti  agricoli calarono e lo sviluppo dell’allevamento fu l’aspetto positivo di  tale grave crisi. 4.Il processo di industrializzazione europea L’Inghilterra e l’Europa continentale (Ricordare: 1820­1830 si ha la 1° rivoluzione industriale; 1830 – oltre la metà del 900 si ha la 2° rivoluzione industriale) Alcuni ritengono che si debba usare l’espressione rivoluzione industriale  solo in riferimento all’Inghilterra e industrializzazione per le altre  regioni. Industrializzazione e sviluppo, come già accennato, finirono col  fondersi, anche perché sarebbe scorretto affermare che i confini politici  limitarono la sua diffusione. Si determinarono divari di reddito incredibili tra le zone  industrializzate e quelle non. Per Phillis Deane la prima rivoluzione industriale fu l’insieme di  svariate rivoluzioni: agraria, demografica, commerciale e dei trasporti. Per Wrigley al centro del processo vi fu il carbon fossile, inserito in un  contesto capace di massimizzarne il rendimento, evidenziando come la  crescita dipese dall’uso di energia a buon mercato e su vasta scala che  permise di vendere di più a prezzi inferiori. Tale processo era ormai in  grado di autofinanziarsi. L’età delle macchine, del carbone e del vapore a)Uno sforzo convergente e cumulativo: il tessile (PRIMA RIVOLUZIONE  INDUSTRIALE) Fu l’industria italiana della seta a creare le prime filatrici automatiche.  All’inizio gli inglesi stessi imitarono i progressi raggiunti altrove. Il  carattere fondamentale della rivoluzione inglese fu la durata, non la  rapidità. Le macchine ebbero in questi processi un ruolo chiave, esse consentirono di  aumentare notevolmente la produttività, cioè la produzione per lavoratore e  per unità di tempo. Il primo brevetto di rulli che si sostituivano alle  dita umane fu di Lewis Paul, ma l’inventore del filatoio meccanico venne  considerato Richard Arkwright, che utilizzandone una coppia di rulli lo  fece davvero funzionare.(Cos’ cominciò ad accelerare la produzione).  Seguirono le invenzioni quali la spoletta voltante (jenny), il mulo (mule)  e il mulo automatico (self­acting mule).  Si trattava, tuttavia, di macchine costose, che cominciarono a svilupparsi  davvero più di 50 anni dopo la loro invenzione (in Italia nel 1815, in  Inghilterra nel ’40). b)Il paradigma del carbone A segnare il cambiamento fu, come già accennato, il passaggio dal legno al  paradigma del carbone. Il consumo eccessivo di legno portò alla deforestazione in Francia con  gravi ripercussioni geologiche e sul prezzo del legno stesso.  L’Inghilterra, ricordiamo, dipendeva dai paesi baltici per il legno. I  canali, invece, e la vicinanza delle miniere al mare permisero la  distribuzione del carbone con relativa facilità. Thomas Savery, inoltre,  brevettò un congegno per eliminare l’acqua dalle miniere, chiamato “amico  del minatore”. Thomas Newcomen realizzò una pompa a vapore che utilizzava  la pressione atmosferica per estrarre l’acqua che si diffuse anche  all’estero. • Abrahan Darby, proprietario di una ferriera, come già accennato, riuscì a  produrre buona ghisa utilizzando il carbone coke (da lui stesso creato,  mediante un processo in assenza d’aria) e l’acciaio mediante il  puddellaggio. • James Watt, il padre della macchina a vapore, migliorò quella di Newcomen  separando il condensatore dal cilindro e dal pistone. Questi miglioramenti stimolarono la concorrenza nelle fonti di energia. E’  importante notare che quella idraulica era ancora la predominante fino al  1850, e veniva sfruttata soprattutto nell’industria tessile, poiché le  ferriere necessitavano di molta più energia di quanta non ne potesse  produrre la tecnologia idraulica. sottoscrizione di prestiti governativi. Il Credit Mobilier fallì nella crisi del ’67 a causa della forte  immobilizzazione delle sue fonti a lunga scadenza. Nota: in Germania il legame tra banca e industria fu molto più stretto (ad  es.: la Deutsche Bank). Esse davano sia credito a breve termine, sia a medio­lungo, superando il  limite della specializzazione anglosassone. Nacquero, dunque, le banche miste (importante). Esse sostennero in maniera fondamentale le società industriali, favorendo  aumenti di capitali, collocazione delle azioni e delle obbligazioni.  Possedevano pacchetti delle società per il controllo dall’interno e la  riduzione del rischio. Giunsero sino a regolamentare la protezione del mercato e a far nascere  cartelli tra imprese. Il modo tedesco di fare banca venne allora copiato in molti altri stati  europei (Svizzera, Spagna, Nord­Italia, Svezia). d) Le istituzioni pubbliche (il ruolo dello Stato assume, con il passare del tempo, sempre più importanza) Paesi a forte autonomia locale, come la Gran Bretagna e gli USA, videro una  preponderanza dell’iniziativa privata, altri, quali la Francia o la Prussia,  videro un maggiore intervento statale. Si fece maggior ricorso alle imposte indirette, che colpivano i consumi,  aumentando le disuguaglianze sociali. Si sviluppo un complesso sistema di brevetti, regolamentazioni bancarie, e  spese per infrastrutture. Si può ritenere che il “laissez faire” puro, predicato dai classici, non sia  mai esistito. Il contributo più importante fu nell’educazione, associata a 3 concetti: 1. Educazione e sviluppo: vide la Germania molto più avanti rispetto  all’Inghilterra, sia perché in G.B. l’insegnamento divenne gratuito soltanto  nel 1891, sia perché non seppero strutturare un sistema efficiente, cercando  di aggregare la classe operaia nel sistema sociale. 2. Educazione e declino: in Inghilterra commisero lo sbaglio di tralasciare la  preparazione tecnico­scientifico­ingegneristica, mentre la preparazione  umanistica ebbe splendore ad Oxford e Cambridge. 3. Educazione e cambiamento economico: l’associazione tra di essi ha dato  sempre più peso ai concetti di capitale umano e capitale sociale. Ricordiamo che l'educazione non va intesa esclusivamente in termini di tasso  di alfabetizzazione. I percorsi nazionali a)Gran Bretagna e Stati Uniti Nell’Ottocento le tonnellate di ghisa contavano più delle migliaia di  uomini al lavoro. Fino agli anni ’80 la G.B. mantenne saldamente la prima posizione, poi  cominciò a retrocedere dopo USA e Germania. Gli inglesi sostenuti dal clima di liberalismo ebbero la possibilità di  accumulare capitale e di disporre delle macchine più moderne; nel 1900,  però, vennero raggiunti e sorpassati dagli americani, grazie alle risorse  naturali superiori, alla protezione doganale, ad un mercato dinamico ed  all’ambiente sociale favorevole all’adozione di tecniche moderne (la  relativa scarsa manodopera ed il costo alto della stessa negli USA spinse  alla meccanizzazione). Anche i tedeschi migliorarono, soprattutto grazie ad  intense attività di laboratorio e allo strettissimo rapporto banca­ industria. Al contrario, gli inglesi erano ormai appagati e la loro “mentalità di  superiorità ed esperienza” frenò lo sviluppo. b)Il Belgio A metà Ottocento lo sviluppo si disegnava intorno alle miniere di carbone  cokizzabile. L’area belga, vista la posizione geografica, era quella  morfologicamente più simile alla inglese, favorita dalle stesse risorse  naturali. Vi risiedevano 7,7 milioni di abitanti e per questo ebbe lo sviluppo del  “piccolo paese”. Un esperimento belga degno di nota fu la Société générale de Belgique, una  banca di investimenti che deteneva pacchetti azionari di imprese  industriali. Nel 1835 si trasformò in “Banque de Belgique”, dopo aver  rilevato ben 24 industrie. In termini relativi alla sua limitatezza geografica, il Belgio fu il paese  più industrializzato fino alla 1° guerra mondiale. c)La Francia Essa si differenziò per il suo percorso evolutivo da Inghilterra e Belgio,  poiché, come già accennato, ¾ del suo output era costituito da beni di  lusso ad alto valore aggiunto. Emersero punti di debolezza tra cui: la sconfitta nella guerra con la  Prussia, con la perdita dell’Alsazia­Lorena, il protezionismo attuato in un  paese fortemente esportatore, la dipendenza dall’energia idraulica. L’elettricità consentì un recupero nel settore trainante  dell’automobilismo. d)La Germania Fu il concorrente continentale più temibile per l’Inghilterra. Seguì un  percorso che si differenziava ancora di più da quello inglese, fondato  sulla partecipazione dello Stato e sul ruolo propulsivo delle banche  miste. Gli aspetti più significativi del modello di industrializzazione tedesco  furono: • il rafforzamento del ruolo della grande impresa • l’affermazione di pratiche di cooperazione attraverso accordi di  cartello • un forte legame tra scienza e industria La tendenza verso il big business lo accomunò a quello americano, però con  un diverso approccio legislativo e istituzionale. Ad esempio i cartelli, che avevano lo scopo di limitare la concorrenza, di  stabilizzare i prezzi e i profitti e di creare un controllo monopolistico  vennero riconosciuti legittimi e protetti dallo Stato erano ritenuti  legittimi. Alla vigilia della prima guerra mondiale la Germania copriva ¾  delle esportazioni chimiche.  Fu la prima nazione ad introdurre la previdenza sociale statale. e) L’impero abrugico, la Russia e la Spagna Il sistema finanziario tedesco venne imitato dall’Impero Asburgico. La  situazione, però, era ben diversa in quanto il commercio internazionale era  inferiore e vi era un predominio dell’industria leggera. L’Austria, la  Boemia e l’Italia del nord erano le regioni più avanzate, il resto  dell’Impero era molto arretrato. La Russia aveva raggiunto dei significativi progressi, soprattutto nelle  ferrovie (col maggior chilometraggio del mondo), ma essi “annegavano” in un  mare di arretratezza. Lo zar, inoltre, aveva abolito solo nel 1861 la  servitù e l’effettiva privatizzazione delle terre avvenne solo nel 1907. L’investimento estero in Russia fu fondamentale, soprattutto per lo  sviluppo delle ferrovie. Il capitale straniero finanziava il debito russo,  ma per fare questo si tassarono redditi pro­capite già bassi.Fu la domanda  pubblica a fare decollare negli anni ’80 l’industria pesante. Problemi anche in Spagna, vista l’arretratezza dell’agricoltura e  dell’istruzione, eccetto la Catalogna ed i Paesi Baschi. Nell’Ottocento  dunque la crescita in Spagna fu lenta e limitata ad alcune regioni. f)L’Italia Concentrò nell’area centro settentrionale le proprie attività  industriali, data la ricchezza di energia idraulica e di materie prime. Si  trattava di attività tessili regredite rispetto all’età moderna ma assai  importanti per le esportazioni. In crescita graduale si presentava il  cotoniero mentre la siderurgia e la meccanica versavano in condizioni di  arretratezza . In generale prevalevano le piccole unità produttive e  l’artigianato. Il vero problema fu la frammentazione degli Stati pre­unitari, che rese  difficile l’opera dei governi di porre le basi del nuovo Stato Unitario.  Tali governi si impegnarono in vaste opere di modernizzazione:  • adottando una legislazione commerciale liberista • adottando leggi sull’istruzione • sviluppando le reti ferroviarie, stradali e i porti • alienando beni demaniali ed ecclesiastici  • facendo uso della leva fiscale  • la moneta venne legata al gold standard.  L’Itali però risultava penalizzata da vari problemi come: • la mancanza di carbone • la ristrettezza del mercato interno • l’insufficiente accumulazione di capitale  • il basso livello di istruzione • la presenza di poche banche costituite in società per azioni e  finalizzate allo sviluppo industriale • un quadro culturale non favorevole al mutamento del sistema  economico Il ruolo dello Stato fu particolarmente rilevante e portò allo sviluppo  di tutti i settori nell’ultimo ventennio dell’800 (FIAT, 1899). Il  L’affermazione della nave a vapore fu molto più graduale di quella della  ferrovia. Dall’evoluzione delle golette prese forma il clipper a quattro  alberi, massima espressione della tecnologia della vela. Il clipper risentì  dell’apertura del canale di Suez. Alcuni velieri cominciarono poi ad adottare le innovazioni introdotte sui  piroscafi: scafo in ferro e piccole macchine a vapore per meccanizzare i  servizi di bordo. Fino al 1850 i progressi del vapore furono più sensibili  nella navigazione fluviale che in quella marittima. Nel 1838 il Sirius, piroscafo a ruota laterale e con caldaie alimentate da  acqua distillata, effettuò la prima traversata dell’Atlantico interamente a  vapore; nel 1840 il Great Western iniziò servizi regolari di piroscafi  postali a propulsione mista; nel 1843 il Great Britain adottò l’elica. Fu attorno al 1860 che si verificarono progressi decisivi; l’elica eliminò  definitivamente la ruota a pale e verso il 1880 sparì la velatura  ausiliaria. Il vapore, inoltre, era un’innovazione labour saving, poiché  consentiva di ridurre gli equipaggi. Dal 1860 – 65 i piroscafi ebbero il monopolio del traffico dei passeggeri e  degli emigranti verso gli Stati Uniti e anche quello del trasporto delle  merci pregiate. All’inizio del XX secolo acquisirono una definitiva  supremazia. Le prime petroliere collegarono Stati Uniti ed Europa nel 1870 assumendo un  ruolo importante nei traffici internazionali. La predominanza inglese in materia di costruzione navale rimase un elemento  chiave fino alla prima guerra mondiale. Le nuove imprese si specializzarono nella sola funzione di trasporto. Prima  del XIX secolo non esisteva un servizio regolare di navigazione oceanica.  Nel 1818 per la prima volta armatori americani istituirono una linea i cui  velieri partivano da New York e da Liverpool. Il sistema venne imitato  dalle compagnie delle navi a vapore. Sovvenzionate dal governo per il  servizio postale si assicurarono il traffico più redditizio. Una delle opere fondamentali del XIX secolo fu l’apertura dell’istmo di  Suez che mise in comunicazione il Mediterraneo e il Mar Rosso. Lesseps  progettò anche l’istmo di Panama che venne ripreso e completato dagli Stati  Uniti con finanziamenti governativi nel 1914. Le conseguenze economiche I mezzi di trasporto possono svolgere una funzione “passiva” (trasferimento  spaziale di beni e persone) ed una “attiva” (promotori e moltiplicatori  dello sviluppo).  Le maggiori conseguenze furono i ribassi dei prezzi dei noli marittimi e la  discesa costante delle tariffe ferroviarie. Le città poterono rifornirsi  più facilmente di derrate alimentari, energia e beni di consumo.  La geografia economica venne cambiata. In generale, le ferrovie  facilitarono l’integrazione dei mercati nazionali ed internazionali e una  più razionale allocazione di risorse economiche. La costruzione delle reti  ferroviarie nazionali innescò una catena con altri settori del sistema  economico (backward e forward linkages). Tra le prime, la mobilitazione del  credito per finanziare gli investimenti. La ferrovia giocò il ruolo di motore dello sviluppo economico. Tra i  forward linkages vanno ricordati l’estensione dei mercati, la crescita del  settore agroalimentare e la maggiore mobilità delle materie prime; ma anche  del mercato del lavoro. Le ferrovie americane furono le prime grandi imprese a struttura  multidivisionale. Per i conteggi relativi a passeggeri, merci, tariffe,  percorrenze, orari e redditività si adottarono innovative tecniche di  accounting, utilizzando anche i nuovi sistemi meccanografici. Il telegrafo e la globalizzazione dell’informazione Importante innovazione fu il telegrafo ottico (sistema di trasmissione di  segnali tra postazioni in contatto visivo) presentato durante la  rivoluzione francese (1792) dal fisico Claude Chappe. Dal 1830 il suo uso si aprì anche alla comunicazione commerciale  contribuendo alla propaganda dei “sistemi di rete”. Cooke e Wheathstone svilupparono scoperte precedenti, ma il contributo più  originale venne dall’americano Morse (1835) che, a partire dal 1843,  consentì di mettere in comunicazione in tempo quasi reale città e  continenti diversi, unificando il mercato mondiale da quando i fondali  marini vennero solcati da cavi. La simbiosi telegrafo/ferrovia estese così i suoi effetti anche al mercato  finanziario: la “railways mania" degli anni 1840 – 1850 ampliò l’attività  della Borsa di Londra facendo sorgere una dozzina di borse in provincia che  comunicavano grazie al telegrafo”. Anche nel telegrafo le risorse finanziarie vennero in certi casi dal  pubblico per poi passare al privato (USA) o viceversa. Il passaggio di informazioni divenne ancora più rapido con l’avvento del  telefono (inventato da Antonio Meucci nel 1861­1862) che trasmetteva 100 –  200 parole al minuto senza alcun operatore presso gli utenti. Solo a fine  secolo l’uso si estese alla comunicazione privata. Infine le prime trasmissioni radio di Guglielmo Marconi nel 1896 aprirono  la strada per l’invenzione della radio e la creazione di un sistema di  comunicazione di massa. 5.Scambi internazionali e sistemi monetari L’Europa e l’economia mondiale Nel corso dell’Ottocento il commercio internazionale conobbe un incremento  prodigioso. Con la rivoluzione dei trasporti il mondo intero divenne un mercato unico  in cui merci, uomini, capitali, idee conobbero una mobilità mai vista  prima. A causa della preponderanza britannica e della stabilità della sterlina,  l’economia internazionale si mantenne durevolmente sotto il segno del gold  standard. Nel periodo compreso tra il 1815 e la prima guerra influirono  sull’intensificazione delle relazioni commerciali e finanziarie  internazionali: 1. il progresso tecnologico: il settore inglese dipendeva per le materie  prime dall’Asia e le Americhe. Flusso opposto ebbero prodotti tessili,  ferro e acciaio, prodotti chimici e ingegneristici. Il fenomeno  dell’imitazione industriale permise di sostituire beni importati con beni  prodotti internamente. 2. il forte aumento delle risorse naturali 3. la rivoluzione dei trasporti: si pensi ai canali (Suez, Panama,  Rotterdam), che ridussero i costi di trasporto. 4. la crescita della popolazione mondiale: passaggio da 0,9 a 1,6 miliardi  di abitanti. Le emigrazioni stabilirono legami culturali, oltre che  economici (ad esempio, l’uniformarsi di salari e stipendi dei diversi  continenti). 5. l’accumulazione di capitali: l’unica nazione in grado di autofinanziarsi  inizialmente fu l’Inghilterra, ma successivamente molti Paesi followers  accelerarono tale performance. L’affermazione del liberismo e lo sviluppo del commercio internazionale Ottimismo 600­700 anche in Africa dove vi era il Po Nel corso dell’Ottocento lo sviluppo del commercio internazionale conobbe  un incremento straordinario. Il tasso di crescita più elevato del  commercio internazionale si ebbe nel periodo del libero scambio (1842­ 1873). Dopo vi fu un incremento, ma meno accentuato, a causa del  protezionismo. L’incidenza del commercio internazionale è tanto più rilevante sul PIL  quanto più lo Stato è piccolo e specializzato in alcuni settori, infatti  Olanda e Danimarca erano Paesi molto aperti. Vi fu inoltre un processo di  multilateralizzazione, ovvero il processo per il quale non fu più  necessario aver una bilancia commerciale in pareggio con ogni singolo  partner, permettendo maggiore flessibilità. L’Inghilterra fu il primo Paese a rompere con la tradizione  mercantilistica grazie alla scuola classica e in particolar modo a David  Ricardo. Il pensiero economico liberista riteneva che una volta rimosse le  barriere naturali bisognasse superare anche le barriere artificiali  composte essenzialmente da dazi e proibizioni su beni importati ed  esportati. Il libero commercio internazionale si doveva inoltre estendere  alla specializzazione del lavoro, aumentando la produttività globale del  sistema economico internazionale e rendendo più efficiente l’uso di  risorse. Essa costituiva un potente fattore di modernizzazione, in quanto  da un lato permetteva di importare materie prime strategiche e tecnologia  avanzata, dall’altro di esportare prodotti manifatturieri anche di non  eccelsa qualità consentendo alle industrie dei Paesi inseguitori di  consolidarsi. Si è concluso che il protezionismo elevato abbia solo effetti negativi,  Con l’allargamento dei mercati internazionali dei beni, del lavoro e della  finanza prese corpo una vera e propria economia internazionale, che  imponeva ad ogni Paese di prestare attenzione alla sua bilancia dei  pagamenti, lo strumento contabile di confronto tra tutti i pagamenti da  effettuare all’estero con tutti i pagamenti ricevuti dall’estero. La  bilancia dei pagamenti è per definizione in pareggio.  Lo squilibrio si colloca a livello di bilancia delle partite correnti che  è la somma algebrica dei saldi :  1)della bilancia commerciale = esportazioni – importazioni .  2)delle partite invisibili, cioè dei redditi da investimenti nazionali  all’estero ed il reddito da investimenti stranieri nel paese 3)dei trasferimenti netti o rimesse degli emigranti 4)bilancia degli interessi e dei dividendi  Se il saldo è positivo si dovrà ricorrere ad esportazioni di capitali e  tale operazione in genere non produce effetti negativi sull’economia  interna. Se invece è negativo il Paese dovrà fare affidamento sulle  riserve o chiedere prestiti o intervenire sulle variabili economiche  interne. Sebbene la bilancia commerciale britannica fosse costantemente in deficit  (gli emigrati trasferivano più di quanto facessero rientrare in patria),  l’aumento continuo degli investimenti inglesi all’estero accrebbe il  saldo delle partite correnti, delle entrate per dividendi e per  interessi, fino a registrare una bilancia (totale) dei pagamenti positiva  e permanente. Non vi fu dunque mai un deficit della bilancia dei  pagamenti britannica durante il XIX secolo. Questo fu uno dei principali  elementi di forza della sterlina, che divenne la moneta di riferimento  nel sistema monetario internazionale definito gold standard (regima  aureo) creatosi per far fronte intensificazione di rapporti commerciali e  finanziari fra i diversi Stati. In una situazione che coinvolgeva una  quantità di diverse valute bisognava creare un efficiente mercato di  cambio valutario. La soluzione venne trovata in un regime monetario che  prevedeva la formazione di una unità di conto in cui tutte le valute  potessero essere convertite. Precedentemente esistevano economie del  monometallismo (oro, come in G.B.) e del bimetallismo (oro e argento: era  un sistema più instabile, date le fluttuazioni di valore tra i due  metalli; per contrastarle nacque in Francia l’Unione Monetaria Latina,  che coinvolse parecchi Stati, ma fallì per la scoperta di nuovi  giacimenti). Nota: Il sistema aureo (sinonimo di gold standard) fu necessario poiché  l’estensione delle pratiche bancarie aveva dissociato il valore nominale  ed il valore reale della moneta: non si commerciava più con monete d’oro  e d’argento ma con le banconote, che non avevano valore intrinseco. Bisognava, quindi, che le banche si attrezzassero per disporre di riserve  di metalli preziosi per garantire la convertibilità della carta­moneta ad  una parità fissata. Poiché non vi era in ogni caso sufficiente oro per  convertire tutte le monte, il sistema si reggeva sulla fiducia. In caso  contrario, la corsa agli sportelli avrebbe provocato il collasso (vedi  Eco. Pol.II). Questo sistema si reggeva quindi su rigorose regole. Quando un Paese era  in deficit, dovendo pagare il suo deficit in oro, doveva limitare la  crescita o diminuire la massa monetaria provocando un ribasso dei prezzi  interni e un freno alla domanda. Diminuivano così le importazioni ma  potevano aumentare le esportazioni. In questo modo si tornava in  equilibrio in modo automatico. Quando però un Paese presentava un avanzo  spesso non rispettava le regole del gioco e l’onere ricadeva sul Paese in  deficit costringendolo spesso a uscire dal gold standard e lasciar  fluttuare la propria moneta. Questo implica che, se il gold standard ha  funzionato, era stato grazie ad un periodo (il XIX secolo) di estrema  stabilità, soprattutto per quanto riguardava la sterlina (che ispirava  una fiducia incondizionata) e non è stato quindi il gold standard a  generare stabilità. Riassumendo: all’inizio l’oro eliminò l’argento, poi il gold standard  eliminò l’oro, quindi la sterlina, associata al gold standard, divenne,  di fatto, l’unità di conversione internazionale. ALBERT CARRERAS ­ Il XX secolo, la rottura e prosperità 1.Il punto di partenza Gli anni dal 1900 al 1914 erano quelli della Belle Epoque e  dell’Inghilterra eduardiana. L’economia mondiale risultava globalizzata.  Il tratto dell’economia del principio del XX secolo è la convergenza dei  redditi pro capite. Va ricordato che i passaporti erano l’eccezione e non  la regola; che l’emigrazione era libera e che erano milioni gli europei,  soprattutto i contadini,che abbandonavano le loro terre del Nord, Sud,  dell’Est e dell’Ovest dell’Europa alla ricerca di maggiori guadagni nelle  Americhe. I poveri di oggi non hanno le stesse opportunità: non possono  emigrare verso i Paesi dell’Unione Europea perché non è permesso loro di  entrare. La chiara leadership dei britannici semplificava il mondo e facilitava gli  scambi. Il modello andò in rovina quando altri Paesi lo misero in  discussione: la Germania, la Russia e gli Stati Uniti con il loro  isolazionismo, nel 1919.(per moti emigranti Europa Oriente.) L’origine delle più importanti multinazionali, infatti, si può far  risalire al principio del XX secolo. 1.Crescita e trasformazione dell’economia La crescita secolare Nel complesso, l’economia del mondo aumentò più di dodici volte. Il  risultato della minore crescita europea è evidente.  Al contrario di quello che successo nel XIX secolo, quando l’Europa  conquistò una posizione economica egemonica nel mondo, nel XX secolo si è  assistito ad un decremento abbastanza continuo, che non sembra  interrompersi.  Il fenomeno si spiega con l’evoluzione demografica con una crescita della  popolazione europea alla metà del ritmo di quella mondiale ma l’aumento  relativo del benessere pro capite europeo ha compensato parte del calo. Durante il XX secolo il benessere degli europei si è accresciuto più che  nell’insieme del mondo. L’evoluzione demografica Durante il secolo i Paesi europei sono cresciuti di circa 300 milioni di  abitanti, qualcosa di più del 60%. I sette Paesi più popolati avevano  l’88% della popolazione totale. Era l’epoca delle grandi potenze. Nei “transwar years”, dal 1913 al 1950, la crescita demografica europea fu  molto più lenta. Interessante il dinamismo scandinavo dovuto alla  combinazione di un’elevata crescita e di politiche di sostegno alla  natalità. L’eccezione è dell’Olanda che guida gli incrementi di  popolazione. Dopo il 1950 e fino al 1998, il ritmo globale di crescita aumenta come  frutto dell’ottimismo del dopoguerra. Le eccezioni sono l’Ungheria e la  Bulgaria. In realtà, l’alta crescita della seconda metà del ‘900 è concentrata nel  terzo quarto del secolo. Nell’ultimo decennio il comportamento demografico  dell’Europa orientale è di stagnazione completa mentre l’Europa  occidentale mostra una maggiore capacità di crescita. I tassi di mortalità, specialmente quella infantile, declinarono  fortemente e l’effetto più rilevante è stato quello di una speranza di  vita alla nascita in costante aumento. L’Europa fu, durante tutto il XIX secolo, un continente di emigrazione.  Nel periodo tra le due guerre (gli “interwar years”) i Paesi dell’Europa  occidentale cominciarono ad attrarre immigranti. Le periferie mondiali ed orientali continuarono l’emigrazione verso  l’America. Nel complesso, le perdite di popolazione dominavano ampiamente  il panorama europeo. Dopo la 2° guerra mondiale la capacità di attrazione di immigranti da  parte dell’Europa occidentale ebbe un decollo. Venivano dal Sud e dall’Est  dell’Europa e dalle ex colonie. Solo negli anni ’60 l’Europa si  trasforma in un continente di immigrazione netta. Il potenziale economico Nel “The Rise and Fall of Big Powers”, Paul Kennedy spiegò la competizione  tra le grandi potenze facendo ricorso allo sviluppo del loro PIL. Le sei  maggiori potenze cumulavano l’85% circa del PIL. Il PIL è il risultato della moltiplicazione della popolazione per il  reddito pro capite. Nell’Europa del 1914 aveva importanza anche il PIL  coloniale. Le analisi più recenti di Maddison consentono di assegnare valori di  reddito pro capite alle popolazioni delle colonie.  Il potenziale britannico è molto superiore a quello dei soli territori  metropolitani ed il Regno Unito ora guida in modo incontrastato l’insieme  delle grandi potenze europee. Anche l’Olanda cresce molto, senza superare  l’Italia. La situazione alla fine del secolo XX cambia, i grandi imperi coloniali  dotazioni di capitale umano, fanno, di quelle europee, economie ad alta  intensità di capitale. La fabbricazione degli strumenti, o dei prodotti che sfruttano le nuove  tecnologie, ha incoraggiato la formazione di imprese di grandi dimensioni  dedicate specificamente a questo scopo. La parte più consistente del capitale fisico viene denominata “capitale  non residenziale” (investito in impianti, infrastrutture, fabbriche). La  proporzione del capitale propriamente produttivo rispetto al PIL indica il  grado d’intensità “capitalista” dell’economia. Agli inizi del XX secolo, la Gran Bretagna aveva visto aumentare le sue  necessità di “capitale non residenziale” per unità di PIL, ma  moderatamente. Il rapporto aumenterà dopo la 2° guerra mondiale. Gli altri  Paesi europei costituivano, verso il 1950, economie a molto più alta  intensità di capitale rispetto a quella britannica. Attualmente il capitale fisico “non residenziale” rappresenta  approssimativamente il doppio del PIL dei Paesi europei avanzati. La  crescente complessità scientifica e tecnologica ha richiesto un forte  investimento di capitale umano. Un modo ampiamente accettato di avvicinarsi alla definizione di questo  concetto sfuggente è il numero medio di anni di scolarizzazione in ogni  Paese. Il cambiamento strutturale: la decadenza dell’agricoltura Il settore terziario sostituisce l’agricoltura e l’industria, e, alla fine del XX secolo, si sarà  trasformato nel settore dominante quasi dappertutto. Il tratto dominante del secolo è la  caduta della popolazione attiva occupata nell’agricoltura. Verso il 1910 potevano distinguersi quattro Europe. In primo luogo la Gran Bretagna che  contava solo un 9% di agricoltori; a grande distanza veniva un blocco di Paesi tra cui il Belgio  e la Francia che avevano spostato la loro manodopera dall’agricoltura all’industria. Seguiva la  gran parte dell’Europa centro–occidentale. Ad un gradino inferiore, tra il 49 ed il 58%  vengono la Svezia, la Grecia, l’Irlanda, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’Ungheria. L’ultimo  blocco corrisponde ai Paesi che rimanevano quasi esclusivamente agrari come la Romania. Nel 1950 la tendenza generale era, evidentemente, alla riduzione. Verso il 1980 la  graduatoria non è molto diversa, ma le proporzioni sono verso il basso, con diminuzioni che  di solito stanno nell’ordine di venti punti percentuali. Nel complesso, il blocco dell’Est ha seguito lo schema di contrazione dell’agricoltura  dell’insieme dell’Europa. L’evoluzione fino al 1998 è perfettamente prevedibile nei Paesi europei occidentali: sempre  meno agricoltori nell’insieme della popolazione attiva. C’è un’eccezione notevole, la Romania  che è seguita dalla Bulgaria… Vi sono indizi per sospettare che verso l’ex URSS si sia prodotto un vero “ritorno  all’agricoltura”, per effetto delle grandi difficoltà di sopravvivenza. La prima guerra mondiale comportò una grande scarsità di alimenti e fame per milioni di  persone. Dalla fine della guerra la produzione si risollevò. La seconda guerra mondiale tornò  a mandare a fondo la produzione agraria. I prodotti non parteciparono ai “rounds” della liberalizzazione. Nessuno tentò seriamente di  ridimensionare la produzione agraria e l’occupazione agraria della popolazione. Attualmente, il settore agrario è come qualunque altro settore ma, nell’Unione Europea, è  quella che riceve più sovvenzioni attraverso i fondi previsti dalla politica agricola comunitaria  e maggiore protezione doganale di fronte al resto del mondo. Ha un potere di negoziazione  incomparabilmente superiore a quello di qualunque altro settore. Il cambiamento strutturale: industrializzazione e deindustrializzazione Il XX secolo è stato dominato dalle politiche di industrializzazione. Il  prodotto industriale è cresciuto moltissimo, ma ha sofferto le ondate  delle due guerre mondiali, della depressione degli anni Trenta e, a  partire dal 1975, della crisi industriale più profonda del secolo, che è  culminata nel processo di “deindustrializzazione”. Nel 1960 la tendenza era di una crescita netta della proporzione di  popolazione attiva dedita all’industria. Occorre mettere in evidenza il declino della Gran Bretagna, che è l’unico  Paese europeo a procedere verso una deindustrializzazione.  Il risultato è che si è completata la creazione di un’area intensamente  industriale nel cuore dell’Europa, con percentuali di popolazione dedita  all’industria che si avvicinano al 50%.  L’esperienza della Gran Bretagna, che aveva raggiunto il suo “tetto”  industriale, nel 1911, con un 52%, risulterà irripetibile. Il Belgio  raggiungerà il suo massimo verso il 1947. Tutti gli altri Paesi tra il  1960 e il 1980. Nel 1980 i Paesi dell’Est sono molto meglio piazzati ed i Paesi  dell’Europa centrale costituiscono il nucleo industriale dell’Europa. La  Gran Bretagna e il Belgio si trovano ben lontani dalla testa. I Paesi  scandinavi sono in basso alla graduatoria. La Grecia torna a mostrarsi in  grande ritardo;gli altri Paesi balcanici si sono caricati di un vero e  proprio furore per l’industrializzazione, tra il 1960 ed il 1980. Tra i  Paesi dell’area capitalista, solo l’Irlanda condivide l’intensità di tale  esperienza. I Paesi dell’area d’influenza sovietica, verso il 1988 – 1989,  staranno ormai per conquistare i primi posti in termini di  specializzazione industriale. Sottoposte allo shock del transito accelerato da economie autarchiche e  pianificate ad economie aperte e di mercato, le specializzazioni  industriali si sgretoleranno. I crolli di più di 15 punti, in 9 anni,  indicano una vera e propria rivoluzione. La composizione interindustriale: dal tessile all’elettronica La suddivisione più frequente dell’attività industriale manifatturiera è  in 6 settori: alimentazione, bevande e tabacco; tessili e confezioni;  produzione di metalli; lavorazione di prodotti metallici; chimica ed altri  settori. Fino al 1975 il settore in maggiore regresso relativo è stato il tessile,  seguito dall’alimentazione e, in ultimo, dalla produzione di metalli. Al  contrario, la lavorazione di prodotti metallici e la chimica sono state in  piena espansione. I Paesi industriali emergenti tendono a specializzarsi nei settori  manifatturieri più maturi dove la nuova tecnologia ha scarso impatto.  I Paesi più avanzati tendono a collocarsi nei settori più progrediti dove  la componente del capitale umano è cruciale.  I Paesi con dotazioni più equilibrate puntano su tecnologie intermedie e  su settori ad elevata intensità di capitale fisico.  I Paesi ad industrializzazione forzata, dopo la 2° guerra mondiale,  privilegiano i settori a tecnologia più avanzata, di modo che, verso il  1973, c’erano poche differenze all’interno dell’industria dell’Europa  occidentale e di quella orientale. Nei Paesi dell’Europa occidentale e meridionale il settore ad alta  intensità di lavoro poco qualificato è in declino; viceversa, il settore  che ha maggiori esigenze di capitale fisico e di lavoro qualificato  continua a crescere nell’Ovest ma sta soffrendo contrazioni notevoli  nell’Est. L’auge della grande impresa industriale Sebbene il protagonismo nordamericano fosse indiscutibile è evidente il  fatto che il Regno Unito e la Germania avessero quasi lo stesso numero di  colossi industriali e che gli altri Paesi dotati di grandi imprese  fossero, oltre alla Francia, la Russia, il Belgio ed il Lussemburgo. Tra le britanniche c’erano un paio di imprese tessili (inclusa la maggiore  multinazionale tessile del mondo, la Coats), un paio di tabacco, una di  birra (la Guinness), un’alimentare (la Lever), due di miniere non ferrose,  tre di industria pesante, una di chimica ed una petrolifera. Le grandi imprese tedesche erano concentrate in 4 settori: 7 nella  siderurgia e nell’industria pesante, 3 nella chimica, 2 nel minerario del  carbone e 2 in quello del materiale elettrico (Siemens). Tra quelli francesi, le compagnie minerarie dominavano. La  nazionalizzazione del 1945 le annientò tutte. Nel caso di quelli russi  furono tutti nazionalizzati con la rivoluzione del 1917. Malgrado le nuove tecnologie è predominante il peso della prima  industrializzazione come quelle tessili… Solo le imprese tedesche produttrici di materiale elettrico, AEG e  Siemens, venivano associate alle nuove tecnologie. Verso il 1937 sorgono grandi imprese chimiche e petrolifere mentre  scompaiono le tessili e siderurgiche e le minerarie. Nel 1958 l’insieme dei colossi imprenditoriali legati all’automobilistico  è già dominante. La chimica ed il materiale elettrico completano la terna delle imprese  dotate di nuove tecnologie. Verso il 1973 entrano in scena le imprese  farmaceutiche. Venticinque anni dopo esse si sono moltiplicate e  costituiscono la forza tecnologica ed industriale dell’Europa. Brillano  per la loro assenza le imprese del settore informatico mentre vi sono  grandi imprese per le telecomunicazioni. Solo quelli che sono riusciti a sviluppare le nuove tecnologie si sono  adattati alle nuove condizioni del mercato mondiale. La diversificazione dei servizi La legge di Clark, secondo la quale alla crescita dell’industria sarebbe  seguita quella dei servizi, si è attuata con una precisione straordinaria.  Il processo ha avuto varie fasi: • La prima fu costituita dallo sviluppo dei servizi moderni per il XIX  secolo: l’auge dell’impresa moderna e l’apertura di nuovi tipi di lavoro  per le donne, completò lo scenario di crescita del settore dei servizi tra  il 1913 ed il 1950; • La seconda con la crescita dello Stato del Benessere (Welfare); • La terza fase ha origine nella decade del 1980 quando comincia la  rivoluzione informatica ed esplode nel decennio seguente, quando  l’informatica si combina con le telecomunicazioni. I Paesi con reddito pro capite più elevato sono andati più avanti nel  cammino della terziarizzazione. I dati del 1998 fanno notare come sia molto interessante che la prima  impresa di servizi europea non fosse altro che l’ottava, se la  classificassimo insieme con quelle industriali. Le attuali imprese di telecomunicazione hanno sostituito le antiche grandi  imprese di trasporto. Sono i grandi Paesi europei ad avere grandi imprese  di telecomunicazione. La presenza dell’Italia è eccezionale. Lle imprese  tedesche occupano un posto molto avvantaggiato tra quelle di servizi, ma  non le francesi. Alcuni piccoli Paesi, che eccellono nel campo  dell’industria, come la Svezia, non ottengono successi equivalenti nel  campo dei servizi. La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aprì le porte alla riunificazione  della RFT e della RDT avvenuta nel 1990. Questa modifica ha fatto in modo  che la sua economia fosse, alla fine del XX secolo, la maggiore  dell’Europa. Per l’economia francese del XX secolo, le due guerre furono devastanti  poiché la Francia le subì sul proprio territorio. Il periodo tra le due  guerre fu dominato dalla stagnazione demografica e dell’arretramento  economico. Il secondo dopoguerra fu molto diverso dal primo. La Francia  inaugurò una lunga fase di crescita. Con la scommessa della CEE, la  Francia riuscì ad accrescere i suoi mercati e ad eliminare i rischi di un  conflitto con l’antico nemico: la Germania. Con le crisi del petrolio, la Francia seguì una strategia di espansione  della domanda. La coincidenza, nel 1981, dell’ingresso al governo di una  maggioranza di sinistra provocò una svalutazione del franco rispetto al  marco. L’impatto politicamente negativo fu tale che nessun governante  francese ha osato, dopo il 1981, staccarsi dal marco. Verso l’anno 2000  l’economia francese è la seconda economia europea per le dimensioni del  suo PIL, superata solo da quella tedesca. Di tutti i grandi Paesi europei che si avversarono nella grande guerra,  l’Italia è quella che ha goduto dei tassi di crescita più elevati durante  il secolo. L’iniziale neutralità, nella prima, e la lontananza dai fronti di guerra  consentirono all’economia italiana di prosperare durante gli anni del  conflitto bellico. Il dopoguerra, invece, fu molto duro. Il periodo  italiano tra le due guerre è originale, perché quasi tutto (dal 1922) è  dominato dal regime fascista. La ricostruzione, invece, fu un successo  completo; l’Italia, come la Francia e la Germania, utilizzò i fondi del  Piano Marshall. Riuscì anche ad inserirsi nei circuiti commerciali  intereuropei, che diedero luogo alla CEE. Il miracolo cominciò a  dissiparsi dopo il 1962 ma durò ancora per 11 anni. L’Italia è stata la patria di alcune delle politiche più originali del  secolo. E’ il caso del salvataggio di banche ed industria e delle  politiche di sviluppo regionale. Negli ultimi due decenni l’Italia fu un  esempio per gli ideatori di politiche industriali. Il XX secolo è il secolo dell’Unione Sovietica. La sua origine, nel 1917,  e la sua fine, nel 1991, segnano i momenti culminanti del secolo. La  nascita dell’URSS è stata percepita come un risultato inevitabile del  fallimento dello zarismo. I bolscevichi ebbero la loro opportunità nell’ottobre del 1917, la presero  al volo e non la mollarono per nessun motivo durante quasi tre quarti di  secolo. Tuttavia ,nel 1991, l’URSS si dissolse. Modelli nazionali di crescita. I destini delle periferie I Paesi europei che più sono cresciuti nel XX secolo hanno un tratto in  comune: sono situati nella periferia dell’Europa occidentale. Tutti questi  Paesi erano, agli inizi del XX secolo, relativamente poveri tranne la  Svezia. Al principio del XX secolo, nel 1905, la Norvegia ottenne l’indipendenza  dalla Svezia. Nel 1920 la Finlandia ottenne l’indipendenza dall’URSS. L’elemento dominante dell’esperienza economica scandinava del XX secolo è  la velocità e la continuità della sua crescita. La parziale neutralità  durante le due guerre mondiali ed il modesto impatto della crisi degli  anni ‘30 fecero si che tale economia godesse di una crescita superiore a  tutti gli altri Paesi europei nel periodo dei “transwar years”. L’uscita scandinava dalla crisi ebbe una forte componente di “nuovo  contratto sociale”, con politiche di benessere. La ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale e la golden age  fornirono a questi Paesi mercati in espansione ed un contesto  internazionale molto favorevole. La crisi del petrolio li colpì tutti,  anche se la Norvegia, grazie al petrolio del Mare del Nord, riuscì ad  emergere tra tutti i Paesi europei. Furono anche colpiti dalla crisi  europea dei primi anni ‘90, soffrì di più la Finlandia. La Finlandia era  orientata al commercio di intermediazione con l’Unione Sovietica, la  caduta comportò la perdita di questo lucroso commercio. Per questo motivo  dovette orientare diversamente la sua economia e specializzarsi in nuove  attività come l’elettronica e le telecomunicazioni. Nell’estremo occidentale dell’Europa, l’Irlanda, dopo l’indipendenza del  1920, crebbe alla velocità della Gran Bretagna.  Fu neutrale nella seconda guerra mondiale, ma riuscì a ricevere gli aiuti  del Piano Marshall. Un certo autarchismo, di matrice agraria, dominò la  politica economica fino alla fine del decennio del 1950. Essa non  partecipò alla CEE, né all’EFTA. L’integrazione nella Comunità Europea,  nel 1973, fu poco propizia. Non le rimase che sperare in nuove tendenze  espansive soprattutto a partire dal 1993. Alla fine del decennio del 1980  l’Irlanda decise di aprirsi completamente agli investimenti esteri. Da  Paese con livelli di disoccupazione molto alti, è passato ad essere un  Paese importatore di manodopera. Nel primo terzo del XX secolo il Portogallo ebbe una vita politica  convulsa. La soluzione più stabile, una dittatura repubblicana, imposta da  Salazar nel 1927, sarebbe durata fino al 1974. Il Portogallo fronteggiò  bene la crisi degli anni ‘30 ed ebbe il suo momento migliore durante la  seconda guerra mondiale (fu neutrale) e nell’immediato dopoguerra. Crebbe con progetti autarchici, nonostante facesse parte dell’EFTA, nelle  decadi del 1950 e del 1960. Il Paese subì il salasso economico ed umano  delle guerre coloniali, dal 1961 al 1974. Con la “rivoluzione dei  garofani”, che pose fine alla dittatura di Salazar nell’aprile del 1974,  il Portogallo inaugurò una nuova fase. Il suo eccellente tasso di  crescita, durante il secolo, conferma il successo dei suoi sforzi di  convergenza. La Spagna fu neutrale durante la guerra europea. “Naturalizzò” tutti gli  investimenti stranieri e riuscì a dotarsi, fino al 1936, della quarta  maggiore riserva d’oro del mondo, che dilapidò nel corso della guerra  civile. Benché la Spagna avesse goduto di forte espansione negli anni ‘20  ed una blanda depressione nella prima metà degli anni ‘30, la sua vita  politica e sociale fu molto agitata, fino alla guerra civile lunga (dal  1936 al 1939) e sanguinosa. La seconda guerra mondiale non fu messa a  frutto dalla Spagna. L’alleanza con le potenze dell’Asse la privò  completamente di capacità di manovra. Solo con la sopravvivenza del regime  la crescita economica si mise in moto. Nel decennio del 1950 la crescita  si realizzò in un sistema essenzialmente autarchico, che si rese  maggiormente flessibile nel 1959. Il turismo, le rimesse degli emigranti e  gli investimenti esteri aiutarono la ristrutturazione dell’economia  spagnola che dal 1960 al 1973, crebbe molto in fretta. La crisi petrolifera segnò anche per la Spagna la fine della golden age. I  nuovi impulsi di crescita sono derivati dall’integrazione nella CEE e  nell’economia internazionale. La Grecia ha uno dei migliori risultati globali in termini di crescita.  Agli inizi della decade del 1920 dovette accogliere i 2 milioni di greci  che fuggirono dalla Turchia. Occupata durante la seconda guerra mondiale  dalle truppe dell’Asse, la Grecia subì notevoli distruzioni che durarono  fino al 1949 a causa della guerra civile. La Grecia, che si integrò nella  Comunità Europea nel 1980, non è riuscita a trasformare gli aiuti  comunitari in una leva di modernizzazione economica. A fronte dei successi più o meno precoci delle periferie occidentali, vi  sono i fallimenti della periferia centro ­ orientale. Corrispondeva a tutti gli Stati che si estendevano tra l’URSS, la Germania  e l’Italia. Dedicarono gli anni ‘20 a dotarsi di una minima struttura  statale ed a costruirsi un’identità nazionale, vi riuscirono parzialmente.  L’economia rimase nel dimenticatoio e, quando la crisi degli anni ‘30 si  impose, si trovarono esposti al rischio di dittatori molto spesso  fascisti. Dopo la seconda guerra mondiale, rimasero quasi completamente sotto il  controllo sovietico, con scarsissime eccezioni: la Finlandia e l’Austria. L’Austria è stata l’economia dell’Europa occidentale che ha passato peggio  tutto il periodo dei “transwar years”.  La dissoluzione dell’impero diede origine ad un Paese con un capitale  smisuratamente grande per il suo livello di attività. Dopo un modesto  recupero negli anni ‘20, il crack borsistico di New York scosse le deboli  fondamenta della nuova economia austriaca. La prolungata crisi si superò  solo durante l’Anschluss ossia l’assorbimento dell’Austria nello spazio  economico nazista. I “buoni anni” finirono con l’occupazione alleata nel  1945. Il miracolo austriaco fu che l’occupazione alleata finì senza  divisioni territoriali, ma la contropartita fu una costruzione lenta,  Dal 1925 le grandi invenzioni americane (ad esempio: l’automobile, grazie  a Ford, e gli elettrodomestici), sviluppate mentre altrove si combatteva,  arrivarono in Europa. Il piano Dawes voleva incoraggiare i Governi a  tornare al sistema aureo, simbolo di stabilità e prosperità. La G.B.  accettò nel 1925, l’Italia nel ’27, la Francia nel ’28. Questo ritorno, tuttavia, si realizzò mediante sopravvalutazioni eccessive  delle monete e ciò portò alla recessione. Altri due importanti squilibri erano: 1. il bisogno di ristrutturazione o “deflazione strutturale”: le guerre  distrussero campi fertili e stimolarono la nascita di industrie belliche  di difficile riconversione; inoltre le esportazioni in Paesi che ormai  erano tornati alla normalità generarono eccesso di offerta, quindi un  ribasso dei prezzi. 2. l’isolamento americano: a parte la totale indifferenza alla  ricostituzione della pace e la non partecipazione ai trattati, ad incidere  pesantemente fu soprattutto l’improvvisa chiusura all’immigrazione (basata  sull’imposizione di una quota, sistema tutt’oggi in funzione); la  concorrenza dei poveri immigranti era un problema per le classi salariate  statunitensi. Visto l’impoverimento europeo c’erano più motivi di prima  per emigrare in America. Oltre a questo, gli Stati Uniti attuarono, per la  prima volta, misure protezionistiche. Queste chiusure portarono benessere in America fino a far nascere  “l’American way of life”. In un ambiente pieno di sicurezza, nel quale tutti i commerci  funzionavano, si estese notevolmente l’investimento in borsa. Ma i dati dei profitti, dopo l’estate del ’29, indicavano un  raffreddamento del mercato, sino a giungere, in Ottobre, al venerdì nero. Il meccanismo iniziale della crisi fu, essenzialmente, creditizio: troppi  avevano comprato azioni a credito, e le banche si affrettarono a reclamare  tali crediti, mettendo in moto la contrazione. Particolare fu la reazione totalmente assenteista della Federal Reserve  (FED): essa pensava che la crisi fosse dovuta ad una sopravvalutazione di  imprese marginali e a degli azzardi eccessivi da parte delle banche. La critica più autorevole fu quella di Friedman che sostenne che la FED  dovesse combattere tanto l’inflazione quanto la deflazione, emettendo  moneta. Mentre la crisi borsistica si trasformava in crisi bancaria e finanziaria,  sorse un altro problema: per ripicca, gli altri Paesi aumentarono i dazi  sui prodotti americani, scatenando una guerra commerciale. Per sfuggire a questo clima di tensione, la soluzione era svalutare, ma  per farlo bisognava uscire dal gold standard. Con grande sorpresa, il primo Stato a farlo fu quello più conservatore:  l’Inghilterra che, dimenticando i suoi dogmi economici ormai superati,  fronteggiò bene la crisi. Anche altri Paesi la subirono con leggerezza (la Danimarca non ebbe alcun  calo del PIL) o con brevità (Italia e Spagna, la seconda soffrì piuttosto  la guerra civile). I Paesi Balcanici, invece, erano talmente arretrati che  quasi non se ne accorsero. Anche l’URSS era una storia a parte, impegnata nell’industrializzazione  pubblica, denominata “forzata”. L’uscita dalla crisi, però, aveva sempre due elementi comuni: il  protezionismo e l’intervento pubblico (Roosvelt per gli USA, l’autarchia  di Hitler in Germania e quella i Mussolini in Italia). La seconda Guerra Mondiale: cosa succedeva nei vari Paesi? La seconda guerra mondiale fu molto più devastante della prima. Morirono  16 milioni di militari e 26 milioni di civili. Il PIL tedesco aumentò, negli anni della guerra, grazie allo sfruttamento  dei Paesi occupati. In alcuni Paesi, per contro, esso crollò di 2/3.  L’URSS, nonostante si fosse preparata al conflitto, perse grandi territori  ed un quarto di PIL. La Gran Bretagna fece leva sulle sue risorse imperiali e su quelle in  prestito dagli Stati Uniti, senza le quali avrebbe avuto seri problemi.  Nacque in questo periodo il “miracolo americano”: con la contesa lontana  dai suoi confini, gli USA raddoppiarono il loro PIL, lavorando come mai  prima di allora. I Paesi neutrali furono Portogallo, Svezia e Svizzera. Finlandia e Spagna  furono non belligeranti per altri motivi: la Svezia aveva perso territori  a favore dell’URSS, mentre la Spagna era appena uscita dalla guerra  civile. La Svizzera fece la sua fortuna, prima riciclando il denaro tra i due  blocchi, poi, nel ‘45, quando la sua neutralità attirò molti nazisti ed i  loro grandi capitali. Preparando la ricostruzione Sebbene le distruzioni della seconda guerra superarono quelle della prima,  il secondo dopoguerra sperimentò una crescita mai vista, questo per i  seguenti motivi (che corrispondono all’esatto opposto di quanto accaduto  dopo la prima): 1. Volontà di cooperazione, soprattutto tra G.B. e USA 2. La non indifferenza degli Stati Uniti verso i Paesi in ricostruzione 3. L’aver imparato una lezione importante: non massacrare di debiti le  nazioni sconfitte 4. L’istituzione di una nuova architettura internazionale. Riguardo a quest’ultimo punto, a Bretton Woods, negli USA, si svolse una  conferenza che fissò un orizzonte, verso il quale incamminarsi, ancora  oggi in vigore, con la fondazione di: 1. OCI: Organizzazione del Commercio Internazionale, non arrivò nemmeno a  nascere, e fu sostituito con il GATT 2. BIRS: la Banca Mondiale, che doveva contribuire agli investimenti di  lungo termine 3. FMI o Fondo Monetario Internazionale: (il più importante) si occupò  della difesa di un sistema a cambi fissi, talvolta finanziando Paesi  deboli perché non soffrissero i deficit con l’estero. Senza FMI, il mondo  avrebbe conosciuto una crescita decisamente inferiore, anche il Piano  Marshall se fu molto più sbalorditivo. Ricostruzione postbellica, divisione in blocchi e integrazioni regionali Nei primi due anni del dopoguerra, le Nazioni Unite per l’Aiuto e la  Ripresa (UNRRA), aveva l’obiettivo della sopravvivenza dei Paesi in crisi  per colpa del conflitto. Anziché applicare subito, prematuramente, quanto detto a Bretton Woods,  gli Stati Uniti, vista la corsa dei Paesi europei all’importazione di beni  americani, proposero il piano Marshall (chiamato così dal Generale G.  Marshall, l’allora Segretario di Stato), detto anche ERP: European  Recovery Program. Gli aiuti raggiunsero la cifra di 13 miliardi di dollari  dell’epoca. L’obiettivo era il finanziamento, appunto, delle importazioni  di cui l’Europa aveva bisogno. Gli USA eliminarono il plafond (tetto massimo) per la Germania,  facilitando l’industria europea, notoriamente tedesco­dipendente. Gli  effetti negativi furono la divisione della Germania (nel 1961 fu costruito  il muro di Berlino) e la divisione, anche economica, dell’intera Europa in  due blocchi, con la nascita della cosiddetta “guerra fredda”. Nel 1949 la svalutazione della sterlina fu un avvenimento straordinario. A seguito di questa tempesta nacquero prima l’UEP (Unione Europea dei  Pagamenti), poi la CEE (Comunità Economica Europea), col Trattato di Roma  del ’57. Nel ’51, col Trattato di Parigi, era nata anche la CECA (Comunità Europea  del Carbone e dell’Acciaio), grazie all’iniziativa del ministro francese  Schuman, che ebbe l’idea di rinunciare alla sovranità sulla Germania,  dandole la possibilità di crescere e, con lei, l’Europa. Alcune nazioni, prevalentemente i piccoli Stati che commerciavano con  l’Inghilterra, restarono al di fuori della CEE ed entrarono nell’EFTA  (European Free Trade Association). Altri, quelli sotto l’influenza sovietica, furono costretti a rifiutare  l’offerta del Piano Marshall. Gli americani, sconfitti i comunisti alle urne (in Italia e in Francia),  crearono la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico). Per contro, i Paesi comunisti crearono il COMECON, che raggruppava le  nazioni socialiste. Quest’organizzazione aveva grandi limiti, derivanti dalle imposizioni  russe: 1. gli scambi erano vantaggiosi soltanto per la Russia 2. le negoziazioni erano assoggettate all’autorizzazione sovietica 3. praticamente si commerciava soltanto tra Russia e altri Paesi, e non  tra tutti i Paesi 4. la mancanza di competitività data anche dall’ignoranza del prezzo di  mercato, fissato arbitrariamente L’emergenza del terzo mondo. La “Golden Age” Il primo mondo è quello sotto l’influenza nordamericana, il secondo,  conoscenza di pratiche mercantili occidentali, fu dilaniata dalla guerra. Caso singolare fu quello della RDT (Repubblica democratica tedesca),  assorbita dalla RFT. L’assorbimento richiedeva ingenti investimenti. La politica di Khol  (simile a quella di Reagan), fu quella di approfittare della potenza  economica tedesca per alzare i tassi di interesse ed accogliere capitali  dal resto d’Europa. Il peso dell’unificazione fu così effettivamente assorbito dall’Europa  intera. Il marco raggiunse livelli incredibili. La risposta collettiva a questo problema fu l’Unione Economica e  Monetaria. I criteri di Maastricht agevolarono la riduzione dell’inflazione e  l’impegno politico per il contenimento del debito. Le parità fisse vennero approvate nel 1998 e nel 1999 l’Euro era già  quotato sui mercati monetari. Subito, per esigenze di sviluppo si svalutò, poi fino a un paio di mesi fa  era scambiato ad 1,16, ai posteri l’ardua sentenza. La globalizzazione Ne esistono svariate definizioni. Può essere definito come una crescente  interdipendenza economica tra i Paesi del Mondo oppure come  un’integrazione mondiale dei mercati. Tra i mercati stessi, si sono integrati molto di più quelli finanziari  (borse valori) che non i mercati delle merci e del lavoro. I fattori determinanti sono stati politici economici e tecnologici. Telecomunicazioni, informatica e trasmissione dei dati a distanza sono  state le basi per lo sviluppo dell’interconnessione delle borse mondiali.  Questo è un effetto della deregulation (liberalizzazione ed alleggerimento  dei vincoli, caduta dei monopoli nazionali, privatizzazione delle imprese  Statali). Internet ha avuto un impatto inferiore nella UE (Unione Europea) che negli  USA, ma non la telefonia mobile. Il 2001 è stato l’anno del crollo borsistico di queste società  “tecnologiche”, che tanto ricordano i cicli delle ferrovie ed elettrici.  In linea di massima, si è assistito ultimamente ad un fallimento europeo  rispetto all’area del dollaro. 3.Le politiche economiche e sociali Il tratto caratteristico dell’economia europea del XX secolo è stato il  ruolo crescente dello Stato. Il XX secolo europeo è stato sperimentazione  politica. Le politiche dei diritti di proprietà Il processo storico può andare in due direzioni, la statalizzazione o la  privatizzazione. Il XX secolo si inaugura con la rivoluzione bolscevica  dell’ottobre del 1917, che provocò l’abolizione della proprietà privata e  la sua sostituzione con la proprietà socializzata. L’espropriazione su  grande scala e senza indennizzo, realizzata dall’Unione Sovietica, fu uno  dei fatti economici più importanti del XX secolo e di tutta l’età  contemporanea. I settori conservatori rimasero atterriti e si mobilitarono  immediatamente contro l’URSS e contro qualunque barlume di politica  comunista.  L’universo politico delle sinistre restò frammentato. La sinistra  moderata, socialdemocratica, che aveva appoggiato la rivoluzione del  febbraio del 1917, guidata da Kerenskij, si allontanò completamente da  Lenin e dal bolscevismo. L’ingresso dei socialdemocratici al governo,  nella Germania del dopoguerra, ad immagine e somiglianza del partito  comunista dell’Unione Sovietica raffreddarono ancora di più l’entusiasmo  del settore riformista e moderato nei confronti della rivoluzione russa.  La grande espropriazione bolscevica colpì non solo la proprietà privata  dei cittadini russi ma anche quella degli stranieri, che avevano investito  in modo massiccio in Russia, provocando un conflitto diplomatico, che  avrebbe bloccato le relazioni tra l’URSS ed i Paesi occidentali per molte  decadi. In Spagna, il generale Primo de Rivera espropriò (con indennizzo), nel  1924, tutte le imprese telefoniche e quelle destinate alla raffinazione ed  alla distribuzione del petrolio, con l’obiettivo di creare monopolio.  In Italia, Mussolini nazionalizzò la grande banca di investimento e tutti  i suoi investimenti, a causa della crisi dell’inizio degli anni ‘30. Il  “salvataggio” si realizzò nel 1931 ma ebbe il significato  dell’appropriazione, da parte dello Stato, del capitalismo italiano. In  questo caso non solo lo Stato italiano non dette indennizzi, ma dovette  rimettere in sesto con il denaro pubblico le imprese salvate dal  fallimento. Mussolini creò l’Istituto per la Ricostruzione Industriale  (IRI) per raggruppare le imprese di carattere industriale nelle sue mani.  Anche la Germania di Hitler impose la fusione di imprese. L’interventismo  di nuovo tipo di Roosvelt, negli Stati Uniti, incoraggiò la sinistra non  comunista a scommettere sulle nazionalizzazioni, come elementi plausibili  del suo programma di governo.  Il primo caso fu la nazionalizzazione delle ferrovie francesi, nel 1936.  Il governo dittatoriale del generale Franco fu molto attivo al momento di  nazionalizzare e di formare nuove imprese di proprietà pubblica,  concentrate, nell’Istituto Nazionale dell’Industria (INI). Dopo la seconda guerra mondiale si verificò una vera e propria ondata di  nazionalizzazioni in Europa. Nell’Europa occidentale i grandi Paesi  democratici, come la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia,  nazionalizzarono alcune delle grandi imprese industriali e di servizi  durante gli anni di governo delle sinistre. I servizi pubblici ed i  settori industriali con una proprietà più concentrata passarono allo  Stato. Vi furono due tipi di configurazione giuridica per le imprese  nazionalizzate: 1. La soluzione britannica: tentare di conservare il meglio della  flessibilità della gestione privata, però, esplicitando che la proprietà  era della nazione; 2. Il modello alternativo, usato in Francia ed Italia, era quello di  un’impresa pubblica, responsabile dinanzi ad un dipartimento ministeriale.  Nel caso estremo le imprese nazionalizzate si trasformavano in dipendenze  pubbliche (ferrovie e, in generale, servizi pubblici).  In Italia si nazionalizzò l’industria elettrica nel 1962. In capo a 2 anni  dalle nazionalizzazioni francesi, la Thatcher, nel Regno Unito, cominciava  già le prime privatizzazioni. Verso il 1979 l’impresa pubblica aveva  raggiunto la massima importanza nelle economie del Regno Unito, della  Germania e dell’Italia. La Francia conseguirà questo massimo dopo le  nazionalizzazioni del primo governo Mitterand. La Spagna realizzerà anche  le nazionalizzazioni delle imprese con perdite, fino al 1983 dopo il  secondo shock petrolifero.  Solo dopo il 1989 vi è stata un’accelerazione del movimento grazie alla  caduta del socialismo reale che permise e giustificò un processo di  privatizzazione su grande scala. Questo capitalismo popolare, che fu la  base del progetto thatcheriano o reaganiano, si è diffuso in tutto il  mondo. Le privatizzazioni più radicali si sono verificate nell’URSS e  negli altri Paesi ex comunisti europei. Nell’Europa orientale, a  differenza di quello che è successo nei Paesi occidentali vicini, si è  generata una depressione che ha compresso il valore di mercato degli  attivi offerti. L’interventismo pubblico In generale, l’interventismo pubblico del XX secolo è stato fatto risalire  al tentativo di conseguire obiettivi extra ­ economici, normalmente  militari o strategici. Possiamo distinguere: • l’interventismo sistematico che conosciamo come pianificazione; • l’interventismo selettivo che è quello che si nasconde dietro le  cosiddette politiche strutturali; • l’interventismo ordinario concentrato in alcuni mercati. A) Le politiche di pianificazione Contemporaneamente alla rivoluzione sovietica, l’Europa assisteva ad  un’altra rivoluzione: la pianificazione economica. Si sviluppò prima in  Germania, poi in Gran Bretagna per essere abbandonata dopo la 1° guerra  mondiale. La recuperarono, nel 1927, i governi di Stalin nell’Unione  Sovietica ed i governi fascisti. Nell’immediato dopoguerra, la  rivendicarono, i laburisti britannici e, poco dopo, attraversò il Rubicone  della destra. Nel 1960 la assumerà il governo franchista. Fece i suoi  ultimi passi con il primo governo socialista di Mitterand. La pianificazione si adattava bene ad un mondo di tecnologie su grande  scala e con scarso numero di unità produttive, come gli impianti  siderurgici ma andava molto male per tecnologie di uso e gestione  individuale, come l’automobile. B) Le politiche di sviluppo o strutturali Le politiche di promozione della crescita economica nelle aree arretrate  erano sconosciute prima del 1945. Si diffusero solo a partire dal secondo  dopoguerra mondiale. Tali politiche erano propugnate dagli economisti  dello sviluppo, che argomentarono la necessità di un deciso impulso  pubblico, orientato alla creazione di infrastrutture che permettessero  alle regioni o ai Paesi poveri di dotarsi del capitale fisico  indispensabile per la loro crescita. Lo sviluppo, dopo la guerra, dei  Paesi balcanici distrutti fu il primo caso proposto dal fondatore della  “economia dello sviluppo”, Paul Rosenstein ­ Rodan. I grandi organismi di  cooperazione economica, come la Commissione Economica per l’Europa delle  Nazioni Unite prima, l’OCSE poi e, sempre, la Banca Mondiale, hanno  scommesso su questo tipo di piano. Un esempio di intervento dello Stato fu  la creazione della Cassa per il Mezzogiorno (1950). Questo tipo di  politiche è alla base della CEE e dell’UE. Con la crisi e la successiva ristrutturazione industriale degli anni a 
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