Scarica Sviluppo economico in Europa: il XV-XVIII secolo e più Appunti in PDF di Storia Economica solo su Docsity! PAOLA MASSA L’economia del XV secolo. I presupposti dell’espansione dell’Europa. 1. Un sistema economico integrato: l’Europa del XV secolo Il territorio Negli anni Sessanta Fernand Braudel elaborò per il sistema economico europeo un modello di sviluppo economico unitario e complessivo definito “economia mondo” . Lo spazio economico identificato con questo termine non coincide con i confini politici dell’Europa ma comprende oltre a tutto il Mediterraneo e i suoi traffici anche i paesi dell’Africa Settentrionale economicamente tributari e legati agli scambi attivi di merci, di metalli preziosi e di uomini con l’Europa(quindi questo tipo di modello presenta inoltre un allargamento della dimensione territorialeeconomica comprendente anche paesi dell’Africa settentrionale.) Il modello dell’economia mondo presuppone all’interno dello spazio territoriale definito con questo termine un’autosufficienza sostanziale nel soddisfacimento dei bisogni umani e una domanda di beni e manufatti qualitativamente differenziata (esigenze diverse a seconda delle classi sociali)e in secondo luogo afferma la mancanza di convenienza economica quindi di possibilità di ottenere un adeguato livello di profitto nell’effettuare scambi con altre realtà al di fuori dei propri confini. Poli urbani di sviluppo e mercati Sempre secondo il teorico francese, grazie all’azione trainante di alcuni centri urbani (“poli”) si attua un’azione di spinta e di aggregazione di vari settori dell’economia. Fino alla metà del Quattrocento sono il settore tessile e i traffici commerciali che permettono di ottenere i maggiori guadagni. Già a partire dal XIII secolo si comincia a parlare di capitalismo commerciale consistente nell’interporsi del mercante fra produttore e consumatore, grazie all’enorme distanza spaziale e temporale che per certe merci separava i luoghi di approvvigionamento da quelli di vendita. I mercanti sono operatori non specializzati dotati di cospicui mezzi finanziari e di credito cioè dell’affidabilità e inoltre di competenze in campo commerciale giuridico e contabile. Nel 400 si vedono emergere 2 punti di riferimento per i traffici commerciali, ovvero l’area Mediterranea e l’area Baltica; e in particolare la leadership nei traffici commerciali spetta • alle città italiane del Mediterraneo • al complesso dei centri portuali del Mar Baltico riuniti nell’Ansa Germanica. Le prime sono specializzate nel commercio con l’Oriente e forniscono all’Europa prodotti essenziali come le spezie ma sono presenti anche nei traffici di beni di prima necessità come i cereali e di materie prime. Le città anseatiche invece collegano il mar Baltico con il Mare del Nord da esse dipendono i rifornimenti di tutti i Paesi dell’Europa Settentrionale, Inghilterra compresa. I fattori politici contingenti contribuiscono a complicare preesistenti equilibri socioeconomici. Infatti la “Guerra dei 100 anni” (13371453), che rende difficili gli scambi attraverso le vie terrestri, permette a Bruges di affermarsi come città portuale intermedia tra i 2 poli citati. Successivamente Bruges caduta in disgrazia con la dinastia degli Asburgo, succede Anversa. Anversa fu una delle sedi delle prime Borse merci operanti sui mercati internazionali. (GUERRA DEI 100 ANNIconflitto dinastico, nazionale, economico, che oppose la Francia all'Inghilterra tra il 1337 e il 1453, con lunghi periodi di tregua . I motivi del grave contrasto traevano quasi sicuramente origine dal Trattato di Parigi del 1259 che, a titolo feudale, assegnava la Guienna alla monarchia inglese e che, di conseguenza, induceva la Francia a rivendicare tale territorio. imperatore, fondando l'Impero carolingio che comprende Francia, Germania e Italia centrosettentrionale, e viene anche chiamato Sacro Romano Impero)tra i diritti tradizionalmente riservati al fisco, vi è quello di battere moneta, considerata il simbolo della sovranità, infatti la zecca è una fonte fondamentale di entrate e speculazioni finanziarie da parte del fisco stesso. Il sistema monetario nell’Europa preindustriale, è di tipo metallico. La moneta è di metallo, ed è usata come mezzo per regolare le transazioni. L’unica moneta che circola effettivamente, nell’Alto Medioevo, è il denaro d’argento. L’oro è usato come mezzo di pagamento, ma non sotto forma di moneta, bensì oggettistica (valutazione a peso). I secoli fino al XI sono caratterizzati dai “mezzi limite” di pagamento (definiti così da Frederic Mauro): l’autoconsumo che comprende lo scambio di beni ed è presente nelle campagne e nelle economie chiuse; il baratto, effettuato sui mercati regionali e internazionali; i consumi gratuiti, all’epoca assai più diffusi, anche per l’opera della chiesa (utilizzazione dell’acqua). Dalla metà del XIII secolo, la moneta penetra nella vita economica, come alcuni storici sostengono, la prima moneta d’oro importante è il Genovino. Con un sistema monetario basato sul metallo due sono i problemi: • Il primo è che per mettere in circolazione moneta metallica bisogna trovare le miniere. • Secondo problema è che più cresce l’economia degli scambi maggiore è la massa monetaria in circolazione è maggiore e la domanda si moneta richiesta dal sistema. Quindi quanta più c’è domanda del bene moneta, tanto più si devono sfruttare le miniere d’argento e d’oro. Le zone minerarie dell’ argento erano principalmente la Repubblica Ceca e la Germania mentre le miniere d’oro in Europa mancavano per cui l’oro, prima delle scoperte geografiche, proveniva principalmente dall’Africa. La formazione di un mercato monetario è stata tuttavia ritardata dalla insufficiente quantità di metalli preziosi monetabili in circolazione. L’oro e l’argento servono per la fabbricazione di gioielli e tesori della chiesa. Dopo la metà del XV secolo il sistema bimetallico si intensifica e l’aumento del prezzo dei metalli stimola la ricerca di nuovi giacimenti e il perfezionamento delle tecniche di estrazione per quelli già conosciuti. In particolare le quantità d’argento aumentano per un migliore sfruttamento delle risorse mentre per l’oro, a fine secolo, grazie alle nuove scoperte operate dai Portoghesi sulle coste Africane e in particolare grazie alla scoperta di un nuovo continente :l’America (i primi viaggi di Colombo). Risulta un Europa con molte monete che prova tentativi di dare stabilità al mercato internazionale del denaro. Più difficile risulta, per il XV secolo, una valutazione della velocità di circolazione della massa monetaria. Il ‘400 rappresenta un periodo di adattamento del sistema economico europeo. I mercantibanchieri. I primi strumenti e le istituzioni del credito. Nel quadro del sistema feudale la mancanza di capitali mobiliari e monetari non è sentita in misura rilevante, ma, in concomitanza con lo sviluppo sempre maggiore dei commerci si cerca di ovviare a questa carenza. L’esercizio del credito rimane tuttavia non regolamentato e spesso illegale e gli alti tassi (3040%) impediscono ai mercanti e agli artigiani di procurarsi i capitali. La clientela di questi banchieriusurai è all’inizio costituita da gente bisognosa di denaro per l’acquisto di beni di consumo. Il ‘400 risente ancora della Chiesa che considera immorale ogni forma di trasferimento oneroso del danaro. È vista con sospetto anche la lettera di cambio; se ne limita la liceità solo al caso in cui sia tratta su un’altra piazza ed in una moneta diversa da quella del traente (l’interesse viene occultato all’interno del tasso di cambio). Protagonisti sono i mercantibanchieri cioè soggetti economici non specializzati che aprono conti correnti e ricevono depositi. Venezia, Genova, Barcellona, ma specialmente la Toscana testimoniano un fiorire di attività in questo settore ed il progressivo perfezionarsi di strumenti creditizi e delle tecniche ad essi connesse. Una delle più antiche istituzioni creditizie pubbliche è il Banco di San Giorgio fondato nel 1408 a Genova. Caratterizza la metà del XV secolo il diffondersi del credito su pegno, gestito dai Monti di Pietà con finalità prevalentemente assistenziali. Si tratta di una istituzione prettamente italiana che ha il suo maggiore punto di forza nei bassi tassi di interesse richiesti. Il capitale è il risultato di fonti proprie di entrata, non onerose; solo un secolo più tardi alcuni di essi iniziano a raccogliere depositi, ma per un lungo periodo senza corrispondere alcun interesse. 2. La domanda e l’offerta di beni. Prodotti agricoli e manufatti Andamento e distribuzione della popolazione Il periodo medievale è caratterizzato dalla popolazione europea costantemente crescente, nonostante una mortalità “catastrofica”(causata da guerre, carestie ed epidemie). Ad essa si contrapponeva poi una “mortalità ordinaria” anch’essa comunque molto elevata specialmente per quanto riguarda i decessi infantili e dei giovani sotto i dieci anni. Questa mortalità derivava dalla povertà della popolazione e dalle difficili condizioni in cui viveva. Secondo Carlo M. Cipolla la popolazione d’Europa risultava quindi, sempre di tipo giovane in quanto la speranza di vita allora non superava i 4045 anni. (Secondo Cipolla, la guerra era quella che provocava una maggiore frequenza degli altri 2 malanni; infatti la carestia era spesso la conseguenza di distruzioni e di saccheggi di raccolti e bestiame dai soldati di passaggio, invece le epidemie erano le conseguenze delle disastrose condizioni igienico sanitarie degli eserciti e si diffondevano molto tra le popolazioni mal nutrite). Sulla consistenza numerica della popolazione tra Medioevo ed Età Moderna non si hanno dati certi e completi ma gli storici hanno effettuato delle stime. Sempre secondo questo studioso, si è stimato che la popolazione europea si aggirasse intorno ai 3035 milioni di abitanti intorno all’anno 1000 mentre si ha una crescita fino a 80 milioni alla metà del Trecento. Tra il 1347 e il 1351 la grande epidemia proveniente dall’Oriente e denominata peste nera causò una riduzione della popolazione di quasi 1/3 e soprattutto provocò due ulteriori conseguenze: • Da quel momento la peste per lungo tempo si stabilisce in Europa • Si ha una crisi demografica che diventa poi anche crisi economica Solo alla fine del Quattrocento la popolazione totale avrebbe recuperato le enormi perdite raggiungendo di nuovo gli 80 milioni di abitanti anche se non mancano gli squilibri regionali. La crescita è lenta in Francia e in Italia, mentre crescono ad un ritmo più elevato la penisola iberica la Germania e l’Inghilterra. Dalla metà del secolo, si assiste inoltre alla ripresa del sistema economico, pesantemente condizionato dalla pestilenza che riduce la domanda e aumenta le risorse a disposizione dei singoli quindi migliora le loro condizioni di vita. La popolazione europea oltre ad aumentare tende sempre più a concentrarsi nelle città e le direttrici sono almeno due, cioè l’inurbamento sia dalla campagna sia dai centri più piccoli verso i più grandi. L’aumento del tasso di inurbamento provoca un’importante conseguenza, infatti maggiore è la popolazione accentrata più ampio ed efficiente deve essere il sistema di approvvigionamento e di distribuzione dei beni di consumo primari organizzato dalle autorità pubbliche. Consumi e investimenti La spesa globale è soprattutto di consumo ed è alimentata dalla domanda dei privati. La spesa pubblica non si differenzia molto da quella privata. Le uniche infrastrutture per le quali gli stati dimostrano una certa attenzione sono le vie ed i mezzi di comunicazione (porti, finanziamenti alla cantieristica, in particolare le spedizioni commerciali). bilancia commerciale del sistema economico dell’Europa a cui corrisponde una pesante emorragia di metalli preziosi, l’unica forma di pagamento accettata dai mercati dell’oriente asiatico prima dell’arrivo dei Portoghesi. Il commercio internazionale si attuava in due fasi: • Nella prima fase i mercanti dell’estremo oriente consegnano i prodotti sulle rive dell’Oceano Indiano a corrispondenti arabi che ne curano il trasporto fino alle rive del Mediterraneo raggiungendo anche il Nord Europa • La seconda fase vede i Veneziani e Genovesi e in misura minore i Provenzali e Catalani come i principali intermediari all’interno del Mediterraneo. Tra il XII e il XVI secolo Venezia in particolare occupa la posizione di massimo mercato europeo delle spezie. Le spezie erano beni di lusso molto costosi ma che ormai risultavano indispensabili per la società europea perché ad esse si attribuivano qualità terapeutiche e afrodisiache e perché venivano utilizzate per conservare gli alimenti e infine per nascondere durante la cottura la cattiva conservazione dei cibi. I beni di lusso costituiscono un bisogno la cui domanda è tendenzialmente rigida. Il pepe in particolare supera da solo, come quantità commercializzata, tutte le altre spezie messe insieme. I traffici internazionali, dopo la depressione, caduta Costantinopoli e conquistato l’Egitto da parte dei Turchi, attraggono interessi e capitali. 3. Organizzazione e tecniche di lavoro La manodopera Prima della rivoluzione industriale vi erano varie modalità di organizzazione della produzione manifatturiera e tali MODELLI ORGANIZZATIVI erano: • L’industria domestica rurale che era destinata fondamentalmente all’autoconsumo e interessava le famiglie agricole che producevano per sé attraverso la trasformazione di materie prime di facile acquisizione, vari manufatti e utensili. Erano produzioni di sussistenza che occupavano il nucleo familiare nel lunghi periodi di riposo dal ciclo agrario e che contribuivano a integrare i redditi individuali che spesso erano di mera sussistenza. Il ciclo produzioneconsumo si esauriva all’interno delle mura domestiche e non prevedeva il passaggio dal mercato. • Artigiani e corporazioni: In età preindustriale le attività manifatturiere che si svolgevano in città erano generalmente sottoposte al controllo delle corporazioni. Queste organizzazioni, di origine medioevale, riunivano tutti i padroni di bottega che effettuavano le stesse lavorazioni. Le corporazioni avevano compiti di tutela dell’attività, intervenivano sulle caratteristiche qualitative standard che dovevano avere i manufatti, applicavano prezzi comuni per i manufatti prodotti, difendevano gli interessi dei soci, svolgevano funzioni di mutuo soccorso e controllavano il mercato del lavoro. Titolari delle botteghe erano i maestri artigiani coadiuvati da apprendisti e garzoni ai quali veniva insegnato il mestiere e il cui ingresso era attentamente controllato. Le corporazioni effettuavano un vero e proprio monopolio delle produzioni e garantivano una qualità stabile delle produzioni guardando quindi con diffidenza qualsiasi innovazione. Per questo esse chiedevano il divieto di ingresso di prodotti stranieri potenzialmente concorrenziali chiedendo un vero e proprio protezionismo. L’unità tecnica di produzione è quindi la bottega del maestro: in essa come ricorda Carlo M. Cipolla la concentrazione di lavoro è minima, gli strumenti di lavoro sono manuali, poco costosi e di proprietà del maestro artigiano, l'immobilizzo di capitale è modesto e l'impresa ha scarse disponibilità finanziarie. Le corporazioni garantiscono una qualità stabile del prodotto, guardando con diffidenza qualsiasi innovazione, al punto da ritardare lo sviluppo tecnologico ottenendo un vero e proprio protezionismo doganale. Si impegnano però alla salvaguardia del sapere tecnico. Di norma, l’artigiano produce per il mercato, difficilmente per il magazzino assumendosi comunque un minimo rischio di impresa. • Industria a domicilio: In molte regioni d’Europa gli artigiani collaborano a produzioni complesse, che comprendono molti passaggi di semilavorati. L’artigiano viene ad essere dominato dal mercante imprenditore, proprietario delle materie prime e degli strumenti di lavorazione oltre al prodotto finito.(La particolarità di questo soggetto nel 400 è quella di non essere assolutamente specializzato: mercante imprenditore di tessuti, ad esempio, ma anche banchiere, assicuratore, commerciante di spezie, di metalli ecc). Retribuiti a cottimo, questi soggetti finiscono per assumere la figura di lavoranti a domicilio. Si tratta di un sistema abbastanza flessibile, che richiede una buona conoscenza dei mercati. Le retribuzioni vengono pagate con anticipi periodici e trasformano l’artigiano in salariato, quindi il rapporto col datore di lavoro diventa esclusivo. La struttura dell’industria a domicilio non muta nella sostanza quando la sua localizzazione diventa in parte o del tutto rurale. L’attività tessile svolta nelle campagne permette un’integrazione del reddito familiare. Essa determina importanti cambiamenti sociali in quanto inserisce la manodopera femminile. Le innovazioni di processo Il 400 vede fiorire in Europa molti miglioramenti tecnici in diversi settori produttivi, in particolare nell’industria mineraria, metallurgica, manifatturiera, senza che ci sia una netta cesura(taglio) tra Medioevo ed Età Moderna. Nel XV secolo la stampa a caratteri mobili aiuta enormemente la crescita della cultura, ad essa è poi collegato l’aumento della domanda di carta. L’introduzione della polvere da sparo e la sua applicazione alle armi da fuoco è importante per le conquiste oltre oceano. Le industrie metallurgiche acquistano importanza strategica con riferimento alla diffusione delle armi da fuoco. L’utilizzo della polvere da sparo offre un miglioramento nell’industria estrattiva. Con l’aiuto delle prime pompe per l’aspirazione dell’acqua e dei carrelli su rotaia, si arriva a maggiori profondità. Compaiono i primi altiforni (in particolare in Svezia, alcune zone dell’Italia ecc. ). Rimangono tradizionali i processi produttivi tessili e l’industria delle costruzioni edilizia (i settori con il maggior numero di addetti dopo quello agricolo). Risulta inoltre una spinta alla diffusione del capitale umano, da cui dipende la maggiore o minore conoscenza delle nuove tecniche. Nonostante ciò la capacità degli Stati di controllare i movimenti delle persone è limitata. Il moltiplicarsi delle fonti di energia Nel medioevo, oltre all’energia umana, lo sforzo animale occupa una posizione importante. L’energia inanimata, quella dell’acqua e dell’aria, è gratuita ma discontinua e necessita di investimenti. Legname e carbone di legna risultano tuttavia fornire più del 50% dell’energia necessaria per l’attività economica. Pochi paesi utilizzano il carbonfossile. 4. L’ampliarsi degli spazi geografici ed economici Verso nuovi orizzonti Nella seconda metà del Quattrocento iniziarono poco a poco i viaggi d’esplorazione alla ricerca di nuove rotte commerciali, e le grandi esplorazioni geografiche di fine secolo permisero: • L’individuazione di nuove rotte interamente marittime tra l’Europa e l’Asia • Ma soprattutto la scoperta di un nuovo continente (l’America) che nel secolo successivo permise all’Europa di usufruire di un’espansione delle risorse a disposizione sia alimentari sia di metalli preziosi Queste scoperte produssero un’importante conseguenza: la perdita della centralità del Mediterraneo nei traffici commerciali e nel monopolio nelle spezie. I Paesi che realizzarono le scoperte geografiche di fine secolo furono Portogallo e Spagna, che tuttavia non saranno in grado di gestire l’opportunità conquistata e la nuova ricchezza. Questo periodo è stato definito prospero. Il Portogallo Sebbene nel Quattrocento il Portogallo sia uno Stato poco popolato e povero, con un’economia prevalentemente di sussistenza e non autosufficiente per quanto riguarda le risorse alimentari, si assicura un vasto impero marittimo in Africa e America ma soprattutto in Asia, dove nel 1515 è ormai padrone dell’Oceano Indiano, e riesce ad esportare sale, pesce, olio, vino, frutta, sughero e pellami. Questo grazie alle conoscenze accumulate nella progettazione di navi e nelle tecniche di navigazione. Il principe Enrico si dedica alle esplorazioni. L’opera scientifica e di esplorazione svolta sotto il patrocinio del Re Giovanni II pone però le fondamenta delle scoperte successive. Dopo la morte di Enrico, l’attività di esplorazione rallenta per la mancanza del sostegno regio e per la concorrenza del traffico di avorio, oro e schiavi. Il Re Giovanni II salito al trono nel 1481, riprende le esplorazioni e nel 1488 uno dei suoi navigatori, Bartolomeo Diaz, doppia il capo di Buona Speranza. Vasco De Gama raggiunge Calicut circumnavigando l’Africa. Malattie, tempeste, etc. decimano la spedizione ma il carico di spezie con il quale si fa ritorno agricola che riguarda i soggetti sprovvisti di mezzi di sussistenza definiti come poveri. Da paese a paese la migrazione avvenne secondo schemi differenziati, ad esempio gli svizzeri migrarono come militari al servizio delle diverse corti europee. Le politiche mercantilistiche degli stati europei favorirono, inoltre, il trasferimento dei tecnici delle diverse arti e produzioni. L’emigrazione verso le Americhe fu alimentata soprattutto da uomini che ricercavano occasioni d’affari con il commercio d’oltre Mare. Uomini di mare, mercanti, rappresentanti costituirono il nucleo fondamentale dell’emigrazione. Occorre considerare anche gli schiavi. Verso l’Asia e l’Africa, invece, si recarono gli uomini indispensabili alla gestione delle basi commerciali e militari che i paesi europei organizzarono come punti di riferimento dei loro traffici. La qualità della vita Se nel XIV secolo l’Europa aveva vissuto la peste nera, nel corso del XVI secolo si può dire che le malattie contagiose contrassegnarono il quotidiano. I luoghi più colpiti sono soprattutto i centri urbani ove si addensano numerosi individui in condizioni igieniche peggiorate. Al primo posto fra le cause delle epidemie si pongono quindi • le pessime condizioni igieniche • Si è poi osservato che gli individui che venivano colpiti dalle epidemie dovevano ritrovarsi in situazioni di debilitazione fisica, provocate dalle carestie le quali portarono in evidenza il problema dell’approvvigionamento dei grani. Fu questa una delle innovazioni nelle correnti di traffico del Mediterraneo che nei secoli precedenti era stato praticamente autosufficiente. Il commercio dei grani fu occasione di grandi operazioni commerciali con esborsi onerosi da parte delle amministrazioni pubbliche. Le carestie trovavano origine in cause diverse ossia nella scarsa produttività delle terre, nella carenza di concimi, nella difficoltà di conservazione nei magazzini nelle guerre. I corpi militari sarebbero stati appunto i diffusori di germi e parassiti, che alimentarono le numerose epidemie. Un ruolo secondario nella diffusione delle malattie fu l’espansione degli europei verso altre aree del globo. 2. L’agricoltura I rapporti con la terra Il mondo agricolo del ‘500 si presenta estremamente variegato, soprattutto per le trasformazioni che si vennero a verificare nei rapporti con la terra da parte degli uomini che vi si dedicavano. Lo sgretolamento del potere feudale,(che risale al periodo carolingio, ovvero ‘800) la crisi delle istituzioni ecclesiastiche ed il consolidarsi delle terre libere, di proprietà privata, ebbero il loro effetto sull’organizzazione dello sfruttamento agrario delle terre. Nel corso del secolo, furono riorganizzati e ripresi alcuni Ordini cavallereschi, che esaltarono l’organizzazione di aziende agrarie in termini di nuove facilitazioni nei rapporti con i poteri sovrani. La disponibilità di terre aveva rappresentato uno dei principali problemi per l’agricoltura e si era quindi fatto ricorso a larghe iniziative di dissodamento delle terre vergini. Con la nuova espansione demografica, il problema si pose nella ricerca di una nuova produttività a sostegno della produzione globale. L’affermazione delle città contribuì a mutare i tradizionali rapporti con la terra. Il ‘500 si può ritenere il secolo in cui si confermarono gli interessi fiscali sulle terre e l’inizio di una sorta di concorrenza fiscale fra Stato e città per garantirsi il gettito corrispondente. Un aspetto particolare si presenta nel ricorso alle opere di bonifica. I Paesi Bassi rappresentarono un modello eccezionale per l’impiego su larga scala di sistemi già conosciuti ma con strumenti e risorse energetiche nuove. Le nuove produzioni agrarie Uno degli elementi più appariscenti delle conseguenze delle esplorazioni lo si ritrova nella conoscenza di nuovi prodotti della terra. In realtà nel Cinquecento si acquisì più la conoscenza che non la diffusione di questi nuovi prodotti i quali soltanto nei secoli seguenti entrarono lentamente a far parte dell’ agricoltura europea contribuendo a mutare le abitudini alimentari e a mitigare gli effetti delle carestie. I prodotti più significativi furono mais, pomodoro,tabacco, tè, caffè, cacao. Nuove occasioni di produzione agricola vennero poi da prodotti conosciuti da tempo in Europa e che si diffusero in piantagioni più estese, come il riso, che si diffuse in Italia settentrionale, trovando occasioni di consumo sulle navi. Il gelso fu occasione di espansione dell’allevamento dei bachi e inizia anche la grande avventura della canna da zucchero. L’incontro con gli altri continenti provocò anche un importante trasformazione nell’allevamento del bestiame. Le navi europee e gli uomini d’arme imbarcati si muovevano trasportando numerosi animali vivi (perché il frigo non esisteva). Due esigenze erano alla base di tale comportamento: la prima derivava dalla necessità di garantirsi la presenza di cavalli per i trasferimenti e le battaglie, mentre la seconda dai bisogni alimentari. A bordo non era conveniente trasportare carne di difficile se non impossibile conservazione, mentre gli animali vivi permettevano anche di disporre di ulteriore alimenti come il latte e le uova. Equini, bovini, ovini, suini, conigli e gallinacei accompagnarono gli equipaggi nelle traversate. Dal resto del mondo vennero pochi animali di tipo sconosciuto, come ad esempio il tacchino. ( tipo nell’America non erano conosciuti i cavalli). Qui, come possiamo vedere, Bracco non fa riferimento alla rotazione triennale. 3. Verso la nuova scienza Innovazioni Nel XVI non sono ancora applicati i risultati della “nuova scienza”. Il secolo è però caratterizzato dalla presenza di precursori di essa come Copernico, Galilei e Keplero, che incontrano tutte le difficoltà delle controriforma. La pubblicazione di volumi dedicati alle tecniche di produzioni metallurgiche fu l’elemento più significato per la diffusione delle conoscenze del ‘500. Le esigenze belliche esaltarono la necessità di metalli. L’energia meccanica usufruì della ruota idraulica e di quella eolica, ma l’insostituibile combustibile costituito dalla legna provocò la distruzione di gran parte del patrimonio boschivo, significante la crisi del legname inglese. La metallurgia offrì ai detentori di capitali una interessante occasione di impiego di reddito. Molte grandi case bancarie investirono e sovvenzionarono imprese del settore. Se ferro e bronzo furono i più richiesti dai militari, altri metalli furono importanti per l’evoluzione delle tecniche metallurgiche. L’innovazione forse più significativa fu la diffusione della tecnica dell’amalgama con il mercurio per l’estrazione dell’argento. Le costruzioni edilizie ebbero un interessante sviluppo con l’adozione di nuove tecniche. Uno dei settori ove più si è esercitata la ricerca di innovazioni è quello della navigazione (cartografia) => Gerardo Mercatore. Una certa ricaduta di questo lavoro condotto con strumenti di misurazione, si ebbe anche per scopi diversi, come quello dell’agrimensura, soprattutto ai fini fiscali. I mari del ‘500 erano percorsi da imbarcazioni di tutti i tipi quali le galee mediterranee, quelle da guerra, che utilizzavano la forza dei remi e le mercantili che avevano una prevalenza della vela che ebbe un’evoluzione esplosiva. Si ricercavano sicurezza di navigazione ed economicità dei trasporti. Portoghesi, spagnoli e inglesi, furono i maggiori costruttori di grandi navi da guerra. Il tradizionale settore tessile trovò nel secolo alcune occasioni fondamentali di sviluppo, soprattutto nella lana. L’organizzazione della produzione e del lavoro. La richiesta di prodotti alimentari e di materie prime, tessili e minerali, ha imposto, a secolo avviato, un aumento della produzione e una diversa organizzazione del lavoro, sia nei campi sia nelle miniere. In particolare si incentivò la attività destinata al mercato. A facilitare la trasformazione contribuì il superamento degli schemi feudali nel rapporto con la terra e la nascita di aziende agrarie per il mercato. Si sviluppa il lavoro salariato. In America, il lavoro dei campi diede origine ad alcuni problemi quali le difficoltà insite nelle condizioni ambientali e nelle tipologie delle colture possibili. L’emigrazione dei coltivatori europei non fu sufficiente a colmare il fabbisogno americano e le risorse di manodopera si esaurirono in poco tempo; ne derivò così il ricorso alle risorse umane degli schiavi africani. Lo sfruttamento di questi schiavi arrivò anche in Europa, prendendo come esempio l’esperienza dei portoghesi nella penisola iberica. Lo sfruttamento delle miniere conobbe a sua volta un processo analogo; i capitali dei ricchi mercanti furono attirati dalle opportunità dell’impiego nell’attività mineraria che determinarono le prime grandi concentrazioni di lavoratori in zone ristrette. Il settore secondario apparve in grande movimento, il lavoro nelle botteghe artigianali svolse un ruolo determinante, anche se le corporazioni denotarono tutti i rischi connessi alle loro regolamentazioni, per costituzione portate a recepire con difficoltà i ritardi e le innovazioni. Protoindustria e preindustria sono stati i termini più usati per definire l’insieme delle organizzazioni produttive. Si incominciarono ad intravedere casi di organizzazioni più consistenti nella cantieristica, nelle miniere e nelle aziende agrarie. 4. Gli scambi internazionali I flussi Proprio le crisi finanziarie di Asburgo, Francia e Portogallo, dichiarate nella metà del ‘500, provocarono un rimescolamento nelle capacità dei banchieri europei di resistere. Esse videro affermarsi il predominio dei banchieri genovesi, i quali avevano saputo porsi soprattutto come intermediari fra risparmiatori e finanze pubbliche. Il livello del debito pubblico di alcuni Stati europei provocò anche casi di insolvenza e bancarotte. Di fronte all’impossibilità di pagare, i sovrani sospendevano la regolare gestione dei debiti e tendevano a modificarne gli impegni contrattuali. Sostanzialmente si trasformavano i termini di durata e le scadenze dei pagamenti, se non gli stessi tassi applicati. In questo modo prestiti a breve si trasformavano in prestiti a lungo od anche in prestiti irredimibili o rendite tout court. Anche nel caso di prestiti irredimibili, i sovrani si potevano riservare la clausola del riscatto, che si traduceva in pratica in una rinegoziazione dei tassi di interesse applicati. 6. I diversi ruoli in Europa Le aree dominanti: Portogallo e Spagna (la corona del Portogallo: Manuele I, e la capitale del Portogallo è Lisbona) Cristoforo Colombo e Vasco de Gama sono i simboli dell’espansione territoriale degli europei. Il trattato di Tordesillas gli consentì di controllare i commerci e le linee di traffico per quasi tutto il ‘500, sino a quando l’intervento di altre potenze europee venne a modificare i rapporti. I portoghesi si applicarono ai commerci con Africa e Asia; I portoghesi non si posero e non potevano del resto porsi lo scopo di conquistare i Paesi dell’Oriente e di colonizzarli. Essi si muovevano per garantirsi i commerci dovevano difenderli, come fecero, con un grosso sforzo militare, reso tanto più oneroso per la distanza dalla madre patria. In Africa e Asia essi tesero a costituirsi delle basi di riferimento per le necessarie soste delle navi e per raccogliere e immagazzinare le merci che dovevano essere difese. Le navi partivano con carichi di minerali e metalli e monete; al ritorno avevano pepe e altre spezie. Con il progredire dei commerci, si ritrovavano in partenza anche oli, vini e tessuti e riportavano sete, profumi etc. Sin dall’inizio il commercio portoghese con l’Oriente richiamò l’interesse di mercanti e banchieri europei, tra i primi gli italiani che erano presenti nelle spedizioni con gruppi guidati da fiorentini e genovesi, seguiti ben presto dai tedeschi. Caratteristiche del tutto diverse ebbero i rapporti dei portoghesi col Brasile, importante fu il suo legno ed il relativo sfruttamento agricolo. Si presentarono numerosi problemi perché i portoghesi non erano portatori di una cultura agricola, inoltre le popolazioni indigene non erano predisposte alle produzioni agrarie. Attraverso procedimenti complessi i risultati furono raggiunti con un sistema di concessione delle terre con il patto della messa a coltura e con la disponibilità di manodopera importata (schiavitù). Ben diversa fu la complessa vicenda dell’espansione americana degli spagnoli, che si trovarono a realizzare un’opera di conquista e colonizzazione. L’aspetto che ha lasciato il segno è l’organizzazione dell’afflusso di metalli preziosi a Siviglia. I primi prodotti furono ottenuti soprattutto dalle Antille. Fu il momento in cui dalla Spagna furono inviate partite di semi di cereali, agrumi etc. Dalle Antille le pratiche della coltivazione e dell’allevamento si trasferirono nel Continente. Dopo la conquista militare gli spagnoli dovettero confrontarsi con la necessità di arrivare ad un’organizzazione strutturata dei nuovi domini, sull’esempio dei modelli spagnoli. Questo processo influenzò le caratteristiche degli uomini che emigrarono impegnando i sovrani spagnoli in un’attenta regolamentazione degli afflussi, senza dimenticare la Chiesa che aveva pur avuto parte nella promozione della scoperta e degli arrivi nel nuovo continente. I primi europei arrivati avrebbero privilegiato la possibilità di acquisire domini fondiari. In parte si riprodusse in America lo schema della grande proprietà castigliana, determinando l’impiego della manodopera, che in un primo momento dovette essere garantita dagli abitanti originari e dopo dai neri africani. Il controllo rigido dei traffici impedì un afflusso massiccio e indiscriminato di mercanti, utilizzando delle licenze. Il controllo fu attuato anche nei porti americani. Nelle intenzioni degli spagnoli le navi mercantili da e per l’America avrebbero dovuto seguire rotte comuni e navigare in flotte che godevano della protezione delle navi da guerra, ma contrabbando e pirateria imperarono fra le due sponde dell’Atlantico. Le aree in bilico: gli Stati italiani La prima metà del ‘500 sarebbe stata segnata dalle crisi indotte degli eventi bellici e dalla caduta della produzione nei settori tradizionali come il tessile e quello manifatturiero. La seconda parte, invece, avrebbe visto una sorta di ripresa, che però si sarebbe scontrata con le modificazioni intervenute a livello europeo. La realtà dell’economia italiana del ‘500 si presenta estremamente diversificata. La distribuzione della popolazione era diminuita nei centri cittadini, con meno botteghe specializzate, al punto che non solo non si riusciva a seguire l’evoluzione dei consumi interni ma neppure il flusso delle esportazioni. Nelle difficoltà generali, inoltre, si dovevano fare i conti con le spese belliche determinando un aumento del carico fiscale e dei costi di produzione, innescando così un circolo pericoloso che tendeva ad un aumento delle produzioni concorrenti. La crisi dell’organizzazione tradizionale non toccò però più di tanto la capacità di iniziative degli uomini di affari. Mentre l’Italia era praticamente a ferro e fuoco, gli uomini d’affari italiani si ritrovarono ad operano in tutto il mondo. Non per nulla ancora all’inizio del ‘500 si veniva in Italia ad imparare l’arte della contabilità e della mercatura. Gli uomini d’affari italiani si ponevano come interlocutori privilegiati per la collocazione di titoli del debito pubblico, soprattutto spagnoli e francesi. Nell’ultimo quarto del secolo le galee genovesi si trovarono a controllare un traffico tutto nuovo: il trasporto di ingenti quantità di metalli preziosi che dalla Spagna veniva trasportato in Italia come effetto di complessi regolamenti finanziari. In definitiva nell’Italia del ‘500 si manifestarono molte trasformazioni, che generarono un diverso equilibrio fra le regioni. Nel settentrione alcune appaiono regredire, mentre altre, come Genova, conquistare un grande sviluppo. Altre, come Venezia, conservarono un ruolo importante, mentre il mezzogiorno si ritrovò a pagare gli oneri imposti da Filippo II. Rimane un’area tradizionalmente debole nel Nord Ovest. Le aree emergenti: Inghilterra e Paesi Bassi L’Inghilterra e i Paesi Bassi Settentrionali sono le due aree europee che nel Cinquecento registrarono un forte sviluppo e manifestarono un notevole salto di qualità, si affermarono nelle vicinanze più immediate centri commerciali rilevanti come Amsterdam, Brama e Amburgo. La loro collocazione sul mare del nord aveva consentito di usufruire di due grandi linee di comunicazione: verso il mare e attraverso i fiumi, verso l’interno. Quando i portoghesi iniziarono la loro attività con l’Oriente, ritrovandosi Lisbona in una posizione decentrata, furono obbligati a fare riferimento ai porti del mare del Nord e trovarono in Anversa il mercato ottimale, rivolgendosi successivamente ad Amsterdam e ad Amburgo. Venne così creandosi un insieme di centri ove erano disponibili quasi tutti i prodotti oggetto dei traffici internazionali, i quali tolsero spazio a parte delle basi commerciali del mar Baltico e del Mediterraneo. L’ultimo quarto del ‘500 vede così la decadenza di Anversa e la crescita di Amsterdam come centro principale delle attività economiche dei Paesi Bassi. Anversa era organizzata secondo la modalità antica dei vincoli imposti alle attività economiche dagli Stati centralizzati. Talvolta si è cercato di attribuire alla riforma protestante, vincitrice in Olanda, l’origine delle fortune economiche della regione in quanto ciò permise di raccogliere tanti personaggi allontanati dai Paesi di tradizione cattolica molti dei quali portatori di competenze e preparazioni professionali. Ma altre cause possono essere trovate come la definitiva rottura con la Spagna e Portogallo e i conseguenti divieti di rapporti commerciali che obbligarono gli olandesi a ricercare una loro via autonoma per procurarsi i prodotti provenienti dalle Americhe e dalle Indie. Gli ultimi anni del ‘500 vedono infatti gli olandesi impegnati nell’organizzazione di consistenti spedizioni verso le indie orientali. Se i portoghesi avevano assunto uno stretto controllo statale sulle spedizioni in Oriente, gli olandesi lasciarono spazio all’iniziativa privata la quale si realizzò con la costituzione di Compagnie apposite. Più tardo sarebbe stato l’intervento degli olandesi verso le Americhe. Comunque le maggiori correnti di traffico furono intrattenute con il Mar Baltico. Nei porti e negli empori d’Olanda era ormai possibile trovare tutte le merci oggetto di traffici marittimi. Per quanto riguarda l’Inghilterra la lana inglese era stato uno dei prodotti più presenti nel commercio estero che aveva alimentato correnti di esportazione verso i tradizionali centri europei di lavorazione della lana come quello italiano e quello dei Paesi Bassi. I dazi doganali sull’esportazione della lana avevano inoltre garantito gettiti consistenti. Ma da tempo con una politica protezionistica si era cercato di sviluppare in loco una produzione manifatturiera. All’inizio del secolo così le statistiche ufficiali testimoniano che ormai i panni di lana avevano largamente superato, in peso, le quantità della lana grezza, soprattutto nella forma delle pannine. La fortuna della pannine furono uno degli elementi che segnarono la caduta della produzione italiana, perché si inserirono su questo mercato approfittando della scarsità di offerta e dei loro prezzi competitivi, anche se con qualità intrinseca molto diversa. L’aumento della produzione di lana provocò due conseguenze: da un lato le esigenze del pascolo avrebbero espanso il processo delle recinzioni, che avrebbero procurato l’espulsione dei ceti più deboli dalle campagne, dall’altro, ne sarebbe nato un aumento delle persone esposte ai rischi delle violente oscillazioni dell’occupazione delle attività manifatturiere. Si sarebbero aggiunti la soppressione della proprietà ecclesiastica ed il mutamento dell’organizzazione delle aziende agrarie, con danno per i piccoli dell’allevamento, della viticoltura (importante complemento per il reddito dei contadini) e della coltivazione delle piante industriali (soprattutto tessile). L ’allevamento e la produzione di cereali erano inversamente proporzionali: se aumentava la domanda di cereali, si aravano anche i pascoli e si allevava meno. Si innescava così un processo che finiva per ridurre la produttività dei terreni e che metteva in pericolo la possibilità di sfamare la popolazione. Il bestiame era infatti importante come fonte di energia nei campi ma anche per la concimazione dei campi perché produceva carne e ed era la materia prima per l’industria conciaria. La dove gli effetti degli eventi bellici furono meno intensi o del tutto assenti l’allevamento allora si sviluppò di pari passo con un’agricoltura fatta di rotazioni più efficienti e maggiori possibilità di concimazione dei terreni. Se la concimazione era insufficiente a causa della scarsezza di bestiame, la resa delle colture risentiva negativamente dell’arretratezza del sistema agrario. Dominava ancora la rotazione biennale, che alternava il frumento ed il maggese. Tra il ‘500 ed il ‘600 si sperimentò il sistema della rotazione triennale, se nella rotazione biennale si coltivava la metà del terreno, con quella triennale si seminava ogni anno su due terzi della terra disponibile e si ottenevano così effetti positivi anche sulla produttività. Venne importato il mais dall’America che poteva garantire rese nettamente superiori a quelle del frumento e poteva proficuamente essere introdotto nella rotazione triennale, seminandolo tra il grano ed il maggese. Malauguratamente la pianta richiedeva particolari condizioni di terreno e clima, che finirono per contenerne la diffusione a poche zone. Il primato della bachicoltura rimase all’Italia. Il processo di concentrazione della terra in Occidente Accanto alle terre ad uso collettivo, vi erano i campi di proprietà piena dei contadini e quelli del regime signorile. I primi erano particolarmente diffusi in Inghilterra, nella Francia meridionale e nell’Europa Orientale. I contadini proprietari non erano necessariamente benestanti, anzi erano spesso minacciati dalle fluttuazioni del mercato. La terra di stretta pertinenza del signore poteva essere lavorata dai coloni sottoposti a corvées (tipo di prestazione dovuta al signore), o poteva essere affittata secondo modelli più moderni come la locazione a canone fisso, pagato spesso in denaro, o quel tipo particolare di colonia parziaria che era la mezzadria( la mezzadria è un contratto agrario con il quale un proprietario di terreni (chiamato concedente) e un coltivatore (mezzadro) si dividono (normalmente a metà) i prodotti e gli utili di un’azienda agricolaNelle aree più avanzate, dove era prevalente il latifondo, tale sistema non poteva svilupparsi. Il calo dei prezzi mise in difficoltà i piccoli proprietari, che come già detto, spesso furono costretti ad indebitarsi e successivamente a cedere la proprietà, a vantaggio dei grandi proprietari. In questo modo la proprietà terriera si concentrò ulteriormente in poche mani. Si consolidò un mercato fondiario che, in un regime feudale, non poteva esistere. La rifeudalizzazione L’Europa orientale era, da secoli, il “granaio” del continente. La bassa densità demografica permetteva di creare eccedenze che erano regolarmente esportate in Occidente. A metà del XVII secolo, la Polonia, la Romania e la Russia avevano perciò ristabilito per legge la servitù della gleba e in molte regioni venivano rimessi in uso diritti feudali. Quest’ultimo aspetto si presentò anche in Occidente, soprattutto nel mezzogiorno italiano e in Europa meridionale (o meglio Spagna e Sud Italia). Questo movimento fu definito di “rifeudalizzazione”, ma rappresentò soltanto un peggioramento delle condizioni di vita dei contadini( che sono salariati, non coloni o mezzadri). La Russia ebbe una crisi agraria dovuta al clima Tutti e 3 cercavano manodopera che costasse il meno possibile: i servi; quindi si è avuta la rifeudalizzazione dell’Europa orientale. Attenzione: la rifeudalizzaizone non corrisponde alla seconda servitù della gleba. [breve storia della guerra dei 30 anni, in cui parla anche della rifeudalizzazione… La crisi del ‘600 e la guerra dei Trent’anni A. La crisi del ‘600 • Benché segnato dall’aumento dei prezzi e dalla diminuzione del potere d’acquisto dei salari, il ‘500 era stato un secolo di espansione economica, durante il quale gli imprenditori commerciali e i proprietari di aziende agricole avevano realizzato cospicue fortune. L’Italia, soprattutto la Toscana e il Nord, aveva svolto un ruolo centrale in questo quadro di sviluppo. Ma nei primi decenni del ‘600 ebbe inizio una crisi che colpì tutti i paesi europei e particolarmente l’area mediterranea (Spagna e Italia). Venne così ridisegnato in modo quasi definitivo il quadro dell’Europa moderna, determinando quello squilibrio tra Nord e Sud del continente che ancora oggi fa sentire il suo peso. Le cause della crisi. La crisi non ha una sola causa, ma una pluralità di fattori che si intrecciano tra loro. Fra di essi, possiamo elencare i seguenti: - la concentrazione della ricchezza nelle mani di sole alcune classi, cosa che rendeva impossibile, per il grosso della popolazione, spendere e far circolare il denaro che rendeva vitale l’economia; - dall’impoverimento è derivato probabilmente un decremento demografico (si tenga presente però che gli incrementi o decrementi demografici in certi periodi storici sono difficili da spiegare) perché la gente ritardava il matrimonio non avendo redditi e perciò nascevano meno figli; - il clima inclemente creato dalla cosiddetta “piccola età glaciale” (15901850 che influisce negativamente sui raccolti carestie - la mancata diversificazione delle colture (si coltivavano prevalentemente cereali perché nei periodi precedenti si erano registrati incrementi demografici con relative esigenze di sfamare la popolazione) che rendeva più ingenti i danni dovuti al clima; - il riesplodere di epidemie, che fin dall’antichità riemergono a fasi cicliche (l’ultima vi era stata nel ‘300). - tra i fattori di crisi va annoverato il fatto che cessa l’afflusso di metalli preziosi dalle Americhe mandando in crisi le economie parassitarie come quella spagnola; - la guerra dei Trent’anni, infine, con il suo seguito di devastazioni e saccheggi (soprattutto sul suolo della Germania, dove i soldati mercenari imperversano quando non vengono pagati), va elencata tra i fattori alla radice della crisi del Seicento. Le risposte differenti date alla crisi segnarono il destino delle due aree europee: a) Olanda, Inghilterra, Francia, Italia del nord videro il tentativo, da parte dei nobili proprietari di terre (nobiltà fondiaria), di reagire alle perdite trasformandosi in imprenditori e capitalisti che cercavano di sfruttare le zone fertili rimaste disponibili, razionalizzando tecniche e programmi di produzione. b) La nobiltà fondiaria della Spagna e dell’Italia meridionale, invece, cercarono di recuperare le perdite inasprendo lo sfruttamento dei contadini mediante l’accentuazione o il ripristino di diritti feudali (rifeudalizzazione). B. La situazione delle singole nazioni in questo periodo è la seguente: • La storia della Spagna registra – come abbiamo visto una fase di decadenza. • La Francia del ‘600 è invece differente. Anzitutto Enrico IV è impegnato a risanare le finanze dello Stato. Alla sua morte – data la giovane età dell’erede: Luigi XIII, di soli 9 anni – la madre Maria de’ Medici si avvale di Richelieu per accentrare ulteriormente lo Stato. Questi riesce a tenere a bada le rivolte nobiliari (la Fronda), ma non riesce a risolvere il problema delle agitazioni popolari dovute al forte fiscalismo. Luigi XIII prenderà poi il potere, dopo aver fatto uccidere l’amante della madre, C. Concini; nominerà Richelieu primo ministro. • L’Olanda è la massima potenza commerciale dell’epoca, ma fu soggetta ad una crisi politica e religiosa che si imperniò sulla lotta tra Gran Pensionario e Stadhouder. • L’Impero asburgico era una realtà vasta sotto la cui influenza rientravano la Germania, la Boemia e l’Ungheria. 4) fase francese , in cui la casa d’Austria viene sconfitta dalla Francia, intervenuta in guerra perché impensierita dai successi dell’impero e dal profilarsi di una sua egemonia in Europa. Vittoria del generale francese Condé a Rocroi. La conclusione del conflitto. La guerra si conclude con la Pace di Westfalia (1648), riassumibile in due punti principali: - dal punto di vista politico, la pace sancì la vittoria della Francia; - dal punto di vista religioso, si riconobbe l’esistenza in Europa di tre confessioni religiose che nessuno metteva più in discussione: il calvinismo accanto al cattolicesimo ed al protestantesimo. E rispetto alla pace di Augusta (di circa cento anni anteriore: 1555) si riconobbe ai sudditi che non seguivano il culto del loro principe la libertà di culto in privato. Nel quadro della guerra dei Trent’anni vanno inseriti alcuni scontri minori che riguardano l’Italia del Nord: - il sacro macello della Valtellina (1620) (gli spagnoli incitarono i cattolici della Valtellina al massacro dei protestanti, e poi la occuparono) dovuto al fatto che gli Spagnoli intervennero nella guerra a fianco degli Asburgo d’Austria per appoggiarli contro i protestanti, ma in realtà per riguadagnare prestigio sulla scena internazionale dopo anni di torpore. La Valtellina era il corridoio di passaggio tra la Lombardia spagnola e l’Austria; ciò avrebbe consentito agli spagnoli di accerchiare gli olandesi, attaccandoli da est (Impero) e da sud (Fiandre, attuale Belgio). - la guerra per la successione al ducato di Mantova ed il controllo del Monferrato (1627): l’estinzione dei Gonzaga aveva fatto profilare la successione di un francese al ducato di Mantova e questo scontentò gli Spagnoli che vi si opposero. La Spagna fu appoggiata dall’impero, che pose sotto assedio Mantova e invase Milano con i suoi lanzichenecchi. La guerra però vide vittoriosa la Francia. I vari aspetti della crisi del ‘600 Crisi demografica Anzitutto si trattò di crisi demografica, concentrata soprattutto nell’area medieterranea: le nascite diminuirono sensibilmente in Spagna e in Italia; registrarono un lieve incremento in Olanda e in Inghilterra; furono stazionarie in Francia. Sulle cause di questa crisi non vi sono ipotesi sicure. Ne esaminiamo alcune: a) la crisi demografica fu causata da un processo di polarizzazione della ricchezza accentuatosi nel ‘500: solo alcuni erano diventati più ricchi, mentre il grosso della popolazione era diventato più povero: guadagnava meno, comprava meno, ritardava l’età del matrimonio e perciò diminuì il numero medio di figli per coppia decremento demografico. b) la crisi dipese anche da fattori climatici negativi che fecero aumentare lo spettro delle carestie: dal 1590 ha inizio una fase di raffreddamento del clima che dura fino al 1850 circa (15901850: piccola età glaciale, poi il clima diventa più caldo). La dipendenza dell’agricoltura dal clima è dovuta alla cerealizzazione: infatti, tanto più sono varie le colture, tanto più è difficile che le variazioni climatiche danneggino contemporaneamente tutta la produzione agricola. La cerealizzazione ebbe inoltre la conseguenza di ridurre lo spazio dell’allevamento e dunque la disponibilità di concime naturale. Al rischio delle carestie resistettero meglio quelle aree, come l’Olanda e l’Inghilterra, in cui si verificò rapidamente un’inversione di tendenza rispetto alla precedente cerealizzazione e i campi di grano vennero riconvertiti in vario modo (in Olanda: allevamento bovino, produzione prodotti caseari e piante industriali come il lino). c) Al diffondersi delle carestie si accompagnò il riesplodere delle epidemie, che falcidiavano la popolazione. Esse, nella prima metà del ‘600 colpirono soprattutto la Spagna, l’Italia e la Germania; nella seconda metà, la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda. Le epidemie erano favorite dal calo della produzione e dalle carenze alimentari che ne derivavano, furono a loro volta causa del calo della produzione che si contrasse per il contrarsi della richiesta di alimenti e per la diminuzione del numero dei lavoratori. Gli reazioni alla crisi: a) In Olanda, Inghilterra, Francia e Italia settentrionale, la nobiltà fondiaria e alcuni esponenti del ceto borghesemercantile reagirono alla recessione potenziando gli investimenti di tipo capitalistico e trasformandosi in imprenditori terrieri. Ne fecero le spese i proprietari di piccoli fondi – inadeguati a sostenere la concorrenza di unità produttive molto più grandi e attrezzate – che si trasformarono in braccianti o in disoccupati o in mendicanti. b) In Spagna e in Italia (soprattutto nel Meridione), per recuperare le rendite signorili si mise in atto un processo di rifeudalizzazione, ovvero di ripristino dei tradizionali diritti signorili ai danni dei contadini (aggravemento canoni d’affitto, corvèe, ecc.). c) In Europa dell’Est, la rifeudalizzazione fu ancora più accentuata e portò alla vera e propria affermazione di una seconda servitù della gleba. Ciò fu dovuto al fatto che queste regioni vivevano di esportazioni di grano a basso costo in Occidente. L’incremento delle esportazioni a basso costo venne ottenuto sfruttando sempre di più i contadini asserviti. 16.2 Crisi e riorganizzazione del commercio europeo Il quadro della crisi non sarebbe completo se non si analizzasse anche il settore commerciale. La crisi della moneta In questo settore, all’inizio del ‘600 si registrò una crisi dovuta alla riduzione dell’afflusso di oro e argento americani (sia per l’esaurimento delle miniere; sia per lo sterminio della manodopera indigena). Dato che i metalli preziosi servivano a coniare moneta, la cui circolazione favorisce gli scambi e le attività attività commerciali (perché vi siano molti scambi occorre che circoli molta moneta), la scarsità dei metalli preziosi determinò la circolazione di moneta di minore qualità (“tosata” o coniata in rame) che veniva accettata meno di quella aurea o argentea e che perciò causò una diminuzione del volume degli scambi. Crollati questi, calarono anche i prezzi (più aumenta la merce che non si riesce a scambiare, più diminuiscono i prezzi). L’area mediterranea fu quella che risentì maggiormente della diminuzione degli scambi (la Spagna, che cullandosi sulle importazioni di metalli preziosi era già da tempo poco attiva nella rete degli scambi europei, e l’Italia, danneggiata dalla progressiva diminuzione d’importanza delle rotte mediterranee). Olanda e Inghilterra invece reagirono adeguandosi alla nuova situazione e potenziando le loro flotte mercantili, in modo da raggiungere il quasi monopolio del trasporto marittimo. In particolare, gli Olandesi riuscirono ad approfittare della decadenza deli imperi coloniali spagnolo e portoghese e crearono la Compagnia delle Indie orientali.] [Breve storia del Sistema feudale… L'organizzazione della società in base a rapporti personali di fedeltà venne pienamente utilizzata dai sovrani carolingi. Il vassallaggio ebbe quindi ampia diffusione in Occidente, costituendo un importante strumento di coesione politica. Con il rito della immixtio manuum (commistione delle mani) il vassallo si legava al monarca, affidandogli la propria persona e creando un rapporto bilaterale tra soggetti ineguali sul piano sociale, sancito da un giuramento di fedeltà. Elementi costitutivi del feudalesimo furono il vassallaggio, il beneficio e l'immunità. Il vassallaggio, come già visto, era il particolare rapporto di subordinazione tra protettore e protetto. Il vassallaggio si diffuse su vasta scala tra l'VIII e il IX sec. soprattutto per ragioni di carattere militare, ma anche amministrativo. Maestri di palazzo e poi sovrani carolingi, non essendovi un esercito fisso, avevano bisogno di uomini da arruolare in caso di necessità, così come avevano bisogno di funzionari per amministrare lo stato sempre più esteso. Gli obblighi del vassallo erano l'aiuto e il consiglio. L'aiuto era il servizio militare a cavallo, che raramente poteva essere sostituito dal pagamento di una somma di denaro. Nel caso in cui si dovesse riscattare il padrone prigioniero o se ne dovesse finanziare un viaggio in Terra Santa, il vassallo era tenuto anche a un aiuto di tipo pecuniario. Il consiglio consisteva nell'obbligo di presentarsi al signore in caso di chiamata che solitamente avveniva per giudicare delle cause o per sentire un parere su un qualsiasi argomento. Il signore da parte sua aveva l'obbligo di rispettare la vita del suo vassallo, di difenderlo dai nemici e di assisterlo in eventuali cause giudiziarie. Il rapporto era vitalizio ma poteva rompersi nel caso uno dei due contraenti fosse venuto meno ai propri obblighi (tale mancanza era definita fellonia). Il beneficio consisteva nella concessione di un bene (res), solitamente una terra o un ufficio. Le terre venivano prese dalle proprietà del sovrano, ma spesso erano confiscate alla Chiesa. Carlo Martello e i suoi successori si impadronirono di molti territori ecclesiastici ma dovettero cambiare rotta quando si trovarono ad avere Questi commerci divennero uno dei maggiori motivi di scontro tra tutti gli Stati colonizzatori. Nel ‘600 la leadership venne assunta dall’Inghilterra che iniziava una lenta penetrazione anche nei commerci del Mediterraneo e soprattutto dai Paesi Bassi che controllavano le rotte atlantiche. La necessità di mettere a coltura gli immensi territori americani e la scarsità di popolazione indigena spinsero il commercio degli schiavi per le piantagioni di zucchero e cotone. I grandi traffici oceanici imponevano enormi sforzi economici; nei paesi iberici fu lo Stato stesso che si fece promotore, mentre in Inghilterra e in Olanda, l’iniziativa fu quasi esclusivamente privata anche se godeva di grandi agevolazioni da parte dello Stato. Il mediterraneo pur perdendo la sua centralità conservò la sua importanza. Per l’Italia in particolare erano ricercati i tessuti di seta. Metalli americani e bancherotte spagnole: le difficoltà monetarie e finanziarie Nel XVI secolo l’arrivo dei metalli americani provocò a partire dal 1550 un’inflazione che venne chiamata “rivoluzione dei prezzi” e tale processo continuò fino al 1630. La svolta si ebbe con la deflazione che iniziò prima della metà del XVII secolo e ad essa contribuì anche il sensibile calo degli arrivi dei metalli preziosi dall’America. La rarefazione dell’oro e dell’argento americano ebbe conseguenze in campo monetario e finanziario. Gran parte dei metalli americani giungeva in Spagna, in parte sotto forma di prelievo fiscale ed in gran parte sotto forma di merci di scambio, in quanto i coloni potevano commerciare solo con la madre patria. La Spagna non era in grado di far fronte alla domanda delle colonie, perciò l’oro e l’argento americani presero ben presto la via di Amsterdam, Firenze, Milano e Lione. Ad aggravare al situazione si era aggiunta la rivolta dei Paesi Bassi. Nel 1609 l’80% delle entrate fiscali spagnole era già stato ipotecato. 10 anni dopo, Filippo IV, scoprì che tutte le tasse erano in mano a banchieri stranieri. In effetti periodicamente il re di Spagna era costretta a dichiarare bancarotta, che in realtà, era un modo per rinegoziare i tassi di interesse sui debiti. L’Europa non asburgica beneficiò della grande liquidità proveniente dall’America e godette di tassi di interesse molto bassi: soprattutto in Olanda e Inghilterra ma anche in Francia e nella Serenissima i tassi tendevano al ribasso. II. Si affermano nuove potenze Il mercantilismo e la formazione dello Stato moderno Nel corso del XVII secolo cominciarono faticosamente a formarsi gli Stati nazionali. Solo paesi con dimensioni territoriali adeguate potevano permettersi il lusso di mantenere una burocrazia stabile con lo scopo di amministrare lo Stato, ma soprattutto di esigere le tasse, e solo con entrate adeguate gli Stati potevano mantenere eserciti e flotte sempre più grandi e sempre più costosi. Il 1600 segnò la definitiva affermazione del mercantilismo. Olanda, Inghilterra e Francia furono i primi paesi a sperimentare nuove forme di amministrazione pubblica, di rappresentanza degli interessi e di intervento statale nell’economia. Le 3 diverse esperienze identificano 3 diversi modelli di Stato e 3 livelli diversi di performance economica. Il Mercantilismo fu la politica economica che prevalse in Europa dal XVI al XVIII secolo che aveva come obiettivo principale il raggiungimento dell’attivo nella bilancia commerciale. In altri termini era fondamentale che le esportazioni superassero le importazioni poiché solo in questo modo era possibile aumentare la massa monetaria all’interno di una nazione priva di miniere e metalli preziosi. Il mercantilismo fu quindi finalizzato allo sviluppo delle esportazioni, alla restrizione delle importazioni, all’aumento della capacità produttiva e all’incremento delle riserve di metalli preziosi, ritenuto un segno della ricchezza di una nazione. Per i mercantilisti, l’intervento dello stato era considerato determinante per il raggiungimento di tali obiettivi. La politica economica mercantilistica si sviluppò contemporaneamente agli stati nazionali. Questi eliminarono le barriere commerciali interne ereditate dal Medioevo e incoraggiarono la nascita e lo sviluppo dell’industria, che rappresentava una fonte di entrate necessaria al mantenimento dei grandi eserciti e degli altri apparati dello stato. Le grandi potenze europee avviarono inoltre lo sfruttamento delle colonie, considerato un metodo legittimo per fornirsi di metalli preziosi e di materie prime per le industrie. Il fine principale del mercantilismo era quello di accumulare ricchezza a livello nazionale sotto forma di oro e argento. Dato che molte nazioni non disponevano di questi metalli preziosi, il mezzo migliore per acquisirli era il commercio. Motivi politici: per rinsaldare l'unità politica di recente conseguita Motivi finanziari: gli stati unitari hanno esigenze finanziarie nuove e pressanti Amministrazione, esercito, creazione di infrastrutture e rete di comunicazioni. Diventa molto importante studiare come incrementare la ricchezza delle nazioni visti i nuovi oneri da sopportare Vari mezzi possono essere impiegati per incrementare la ricchezza della nazione, si configurano pertanto politiche mercantilistiche diverse. 1. Politica che si incentra sul prelievo di oro e metalli preziosi dalle aree coloniali (Spagna e Portogallo). Questa politica si fonda sul concetto di ricchezza intesa come quantità assoluta di metalli preziosi esistente nel paese, implica uno sfruttamento delle aree coloniali. 2. Politica che dà rilevanza in particolare al commercio estero e che punta sulla bilancia commerciale attiva: Esportazioni Importazioni > 0; così si incrementa la ricchezza, il flusso di denaro arriva attraverso il commercio (Olanda e Inghilterra). In materia di commercio interno, per quanto riguarda l'unificazione del mercato alla quale puntano gli stati mercantilisti, si ottengono risultati significativi solo in Inghilterra. 3. Politica della produzione che promuove soprattutto l'esportazione di prodotti finiti e favorisce l'occupazione interna (Francia). Le aree coloniali sono viste come luoghi di approvvigionamento a buon mercato di materie prime e sono mercato di sbocco aggiuntivo a quello interno. 4. Politica demografica degli stati mercantilisti: politica volta ad incrementare la popolazione in quanto una popolazione numerosa implicava un abbassamento dei salari quindi un minor costo del lavoro Gli economisti avevano individuato il commercio internazionale come uno dei fattori principali del processo di accumulazione capitalistica e avevano intuito la validità della teoria quantitativa della moneta. Su questa base, economisti e governanti cercarono tutti i modi per sviluppare il commercio e la produzione del proprio paese. 1.L’Olanda Dall’indipendenza al primato nel commercio internazionale Fin dal medioevo i Paesi Bassi avevano conosciuto una crescita economica molto forte. Ma i protagonisti di questo sviluppo furono i Paesi Bassi meridionali, mentre le province del nord erano rimaste attardate. Il centro finanziario e manifatturiero di maggiore importanza fu Bruges fino al XV secolo, e quello successivo la leadership passò ad Anversa. In quei secoli principali le principali città delle province del nord aderivano alla lega Anseatica, dalla quale furono escluse nel corso del XV secolo. Nonostante l’esclusione dalla Lega, nel 1471 venne sancita la libertà di commercio nel Mar Baltico anche per le navi olandesi. Questo fu un fatto molto importante per il futuro sviluppo dell’Olanda perché il commercio col Baltico rimase sempre una delle voci attive più importanti. Nel ‘600 si concretizzò un sistema dualistico nell’economia dei Paesi Bassi: • da una parte Anversa era la capitale finanziaria ed il principale centro commerciale • dall’altra Amsterdam assumeva l’assoluto predominio nel Baltico. A ciò si aggiunga che in Olanda si era affermata un’agricoltura molto evoluta nella quale prevaleva il contratto d’affitto che permetteva ai contadini di impegnarsi in attività manifatturiere secondo il modello della protoindustria rurale. Nella seconda metà del ‘500 i Paesi Bassi iniziarono una lunga lotta per l’indipendenza dall’impero spagnolo. La lotta portò, nel 1581, alla divisione dei Paesi Bassi. La regione meridionale rimase sotto il controllo spagnolo mentre la settentrionale dichiarò l’indipendenza nel luglio di quell’anno. Fu decisivo l’appoggio dell’Inghilterra e la superiorità in mare che segnò l’inizio del declino spagnolo. Dopo 40 anni di guerra, questa giovane nazione i Paesi Bassi Settentrionali, era la più sviluppata d’Europa; uno dei fattori che ne favorì il successo fu il grande esodo di protestanti dalle province meridionali. Amsterdam e l’intera Olanda divenne il centro propulsivo dello sviluppo, mentre ci fu la decadenza di Anversa determinata dal blocco del porto, imposto dagli olandesi. La flotta olandese era superiore in qualità e quantità a quella spagnola e francese e rivaleggiava alla pari con quella inglese. La cantieristica olandese era all’avanguardia e costruiva navi migliori a minor costo. Con questo vantaggio tecnologico e con avanzate conoscenze in campo finanziario e commerciale gli olandesi assunsero il controllo del commercio internazionale e Amsterdam divenne il centro della più ampia l’affitto a breve termine. L’aumento dei prelievi e della pressione fiscale limitò l’accumulazione di capitali e quindi il pieno sviluppo di un’agricoltura moderna. Solo nelle terre signorili si registrarono significativi progressi. Fino al 1630 l’industria tessile fece segnare una costante, benché contenuta, crescita. Ma a partire dalla prima grave crisi demografica a livello continentale, queste manifatture entrarono in una profonda recessione, che durò almeno fino alla metà del secolo. A partire dal 1660 la tendenza si inverte. I contadini vennero impegnati soprattutto nella filatura e nella tessitura. Sotto l’influsso di un forte sostegno statale e di una politica doganale estremamente protettiva, la Francia conobbe un vigoroso impulso nella produzione di oggetti di lusso. Lo sviluppo delle grandi manifatture aveva lo scopo di accrescere le capacità produttive ma anche di perseguire una più solida pace sociale. Durante il regno di Luigi XIV l’industria francese raggiunse i vertici mondiali nella produzione di beni di lusso. Durante il regno dei Valois la Francia mostrò mire espansionistiche ed egemoniche sul continente europeo, in particolare in Italia e in alcune regioni dell’Europa centrale e nell’espansione coloniale. In realtà il Regno di Francia fu l’ultimo ad impegnarsi nelle imprese transoceaniche. I primi tentativi di colonizzazione e penetrazione nel continente americano risalivano alla seconda metà del XVI secolo. Nei primi anni del Seicento invece iniziarono i primi viaggi in Oriente, la compagnia francese delle Indie Orientali venne fondata nel 1604. Fu Richelieu a intuire per primo la grande importanza dello sviluppo coloniale, soprattutto in funzione antispagnola. Nel 1626 i francesi organizzarono alcuni insediamenti in Guyana e nelle Antille e in Canada dove nel 1641 venne fondata Montreal. In altre aree la colonizzazione ebbe maggior successo come in Africa. Colbert diede nuovo impulso alla colonizzazione perché sottopose le due compagnie principali, le orientali e le occidentali ad una radicale ristrutturazione. In Nord America venne ampliato il commercio di pellicce e questo provocò un peggioramento del conflitto con gli indigeni e venne fondata una nuova colonia, la Louisiana. Nel 1682 le navi della compagnia delle Indie orientali vennero affittate ad una società privata. Il colonialismo francese conobbe il suo apogeo nei 2 secoli successivi partendo proprio dalle basi gettate da Richelieu e Colbert in Africa e nell’estremo oriente nel corso del ‘600. La patria del mercantilismo Il ruolo del governo in Francia non fu solo quello di farsi promotore di iniziative importanti come le manifatture reali e le compagnie coloniali, ma perseguì almeno dalla metà del secolo una coerente politica di protezione doganale delle produzioni interne. Tutte queste iniziative vanno sotto il nome di mercantilismo. Colbert ministro delle finanze di Luigi XIV a partire dal 1661 attuo politiche economiche mercantilistiche tanto che fu definito questo periodo come colbertismo. Colbert cercò di sanare le finanze pubbliche in deficit a causa delle guerre e di dotare la Francia di un settore manifatturiero e di una marina competitiva. Per quanto riguarda il primo problema l’istituzione di una chambre de Justice servì per contrastare la speculazione operata dai vari finanzieri sulla corona e determinò l’applicazione di multe salatissime e la riduzione degli interessi sui prestiti. Colbert riorganizzò l’apparato burocratico preposto alla riscossione delle tasse fondiarie, la più importante delle quali era la taille, con lo scopo di evitare abusi, appropriazioni indebite e frodi da parte dei funzionari. Fu inoltre ridotto sensibilmente il numero si coloro che erano esentati dal pagamento delle tasse. Le risorse finanziarie ottenute da queste riforme consentirono di organizzare un forte intervento pubblico nei settori economici. Colbert in pratica attuò interventi in ogni comparto produttivo ma in particolare diede importanza alle imprese denominate manifatture reali. Inizialmente il privilegio era concesso solo alle fabbriche di proprietà regia successivamente venne esteso a tutte quelle imprese che si distinguevano per la qualità dei loro prodotti. Tutti questi interventi si inserivano in un sistema doganale fortemente prottetivo Colbert fece la scelta di puntare sulla qualità delle produzioni e non sul contenimento dei costi, creò una struttura burocratica preposta al costante controllo dell’economia nazionale. L’enquete (indagine sullo stato economico della Francia) sottolineò il ritardo francese anche dal punto di vista commerciale, dovuto sopratutto alla debolezza della flotta. Si registrò inoltre una scarsa propensione all’investimento nelle imprese coloniali e commerciali da parte della nobiltà e dell’alta borghesia francese. I risultati del colbertismo vennero in gran parte vanificati tra la fine del ‘600 ed i primi decenni del XVIII secolo, quando Luigi XIV si lanciò di nuovo in guerre sia in Europa sia in America. I costi e i benefici della burocratizzazione Si formò una rete informativa (intendenti) presenti in ogni provincia e nel Governo centrale. La ramificazione amministrativa diretta dal centro godeva di poteri e prestigio e rimase a lungo uno dei tratti distintivi dell’istituzione francese. A ciò va aggiunto il ruolo del Conseil d’Etat, che era il supremo organo di giustizia amministrativa nelle controversie tra contribuenti ed esattori. La capacità imprenditoriale risultò indebolita a causa degli impotenti organi di rappresentanza locali e nazionali. Vi è poi il problema delle protezioni doganali che tagliarono fuori dalla competizione internazionale quei pochi centri in grado di combattere ad armi pari con le grandi potenze mondiali. Il metodo di prelievo era sproporzionato rispetto alla capacità produttiva del paese. Il limite del mercantilismo colbertista non stava né nei risultati né nei metodi ma nelle sue motivazioni (finanziare le guerre di Luigi XIV). Allo stato fondato su base giuridica Colbert sostituì lo Stato finanziario. Solo alla fine dell’esperienza napoleonica, infatti, si consolidò un sistema giuridicoistituzionale che superasse l’assolutismo e fosse in grado di dare allo Stato un assetto moderno, fondato proprio sulla burocrazia creata da Colbert. Il dirigismo colbertista dal punto di vista economico dotò la Francia di un sistema burocratico e istituzionale in grado di sostenere una forte evoluzione in senso capitalistico dell’economia nazionale. 3. L’Inghilterra Tra rivoluzioni ed espansione economica Il 1600 è un secolo di forti conflitti e di nuovi assetti costituzionali, con nuove classi sociali al comando. Nel XVI secolo l’Inghilterra si trasformò da paese esportatore di materia prima a paese esportatore di prodotti finiti (lana ⌠ tessuti di lana). Questa evoluzione era indice di un’indiscutibile salto di qualità nell’economia di questo Paese, il prodotto finito aveva, ovviamente, un valore superiore rispetto alla materia prima. L’aumento delle esportazioni porto l’industria della lana ad aumentare la richiesta di materia prima e ciò ampliò la quota di pascolo nelle campagne. Le new draperies erano tessuti meno pregiati ma più a buon mercato. Tali tessuti aprirono agli inglesi anche i mercati del nord Europa e del Mediterraneo. Tra i settori trainanti dell’economia inglese all’inizio del XVII vi fu l’industria siderurgica, poco diffusa in passato, ma che ebbe uno sviluppo rapido sfruttando una materia prima ampiamente disponibile, il ferro. Carlo Cipolla ritiene che tale aumento sia dovuto alla sostituzione dei rari combustibili vegetali con il carbone, poco costoso ed abbondante. Così come l’Olanda un altro settore trainante dell’economia fu il commercio. La marina inglese era una delle più potenti del mondo e alla fine del secolo divenne la migliore al mondo. Nel 1602 venne fondata la compagnia inglese delle Indie Orientali, l’unica in grado di competere con la VOC olandese in Asia e soprattutto in India. Se in Asia l’Inghilterra non riuscì a prendere il soppravvento sull’Olanda le cose andarono diversamente in America. Il colonialismo inglese in America settentrionale si differenziò da quello spagnolo e da quello olandese. La Virginia Company era la compagnia che gestiva la colonizzazione nel nord America e che portò oltre oceano agricoltori e commercianti. L’Inghilterra assunse il monopolio dei traffici con l’America e non fu mai messo in discussione. In centro e sud America la penetrazione fu più difficoltosa, ma gli inglesi si assicurarono, comunque, nell’Atlantico i due commerci più lucrosi: schiavi e zucchero. Londra divenne, al pari di Amsterdam, una nazione colonizzatrice ed esperta nella riesportazione. Londra ebbe una crescita demografica davvero spettacolare. Alla base della crescita economica inglese ci fu sicuramente anche il progresso agricolo, con grandi incrementi della superficie coltivabile e l’uso più massiccio di fertilizzanti. Un altro settore che conobbe un’evoluzione decisiva fu quello creditizio: l’aumento e l’ammodernamento dei servizi e delle tecniche andò di pari passo con un continuo calo dei tassi d’interesse. Nota: Le enclosures e gli atti di navigazione In Inghilterra, alla base della futura industrializzazione vi era soprattutto il nuovo assetto socioeconomico ed istituzionale, oltre alla non belligeranza ed alla minor incidenza delle crisi demografiche. Il settore agricolo conobbe una evoluzione dal punto di vista tecnologico e organizzativo e a partire dal XVI secolo in Inghilterra si verificò un processo di concentrazione fondiaria. Le classi più abbienti percorsero 3 strade per estendere i propri possedimenti: 1. la trasformazione dei contratti colonici da lungo a breve termine e da trasmissibili ereditariamente a non trasmissibili. Questo segnò la fine del sistema della signoria feudale. 2. l’acquisto di lotti di terra dai piccoli proprietari, colpiti dal crollo dei prezzi. 3. l’accaparramento degli openfield, ovvero i terreni di uso comune: grazie ad esso, i grandi proprietari potevano accumulare denaro proveniente anche dai pascoli, settore sempre più in sviluppo, visto la crescente richiesta di lana nelle industrie. Tipico fu l’aumento delle coltivazioni di malto, visto l’incremento del consumo di birra. L’aumento della pressione fiscale fu assorbito meglio che altrove, per merito dell’innovazione tecnologica e organizzativa. Gli ex coloni o gli ex JOHN A. DAVIS – Tra espansione e sviluppo economico nell’Europa del XVIII secolo 1.Nuove prospettive sulla modernizzazione economica e le molte strade percorse dall’Europa verso il XX secolo L’Europa del XVII secolo è ancora dominata dai dibattiti sulla natura e sul significato della grande crisi economica e demografica; la storia economica del secolo successivo è stata per molto tempo offuscata dalla ricerca sulle origini delle rivoluzioni industriali. Questo secolo è identificato con l’Illuminismo, la guerra americana di indipendenza, la rivoluzione francese e la crisi delle monarchie europee dell’Ancien Regime. Lo sviluppo economico moderno fu reso famoso dallo studio della prima rivoluzione industriale in Inghilterra, effettuato dallo storico americano Rostow, che considerò la rivoluzione industriale inglese come la base empirica per un modello generale di sviluppo economico moderno. Quindi diciamo che assumere il caso inglese come modello della Rivoluzione industriale fu un grande errore poiche la crescita economica può avere diversi aspetti. C’è il confronto Inghilterra con altri paesi in un certo senso considerati subordinati all’Inghilterra. Infatti veniva considerato CRESCITA ECONOMICA = RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, ed era un errore. L’industrializzazione fu il decollo (takeoff) verso una crescita economica autosostenuta ed infinita. I cambiamenti precedenti all’industrializzazione includevano le rivoluzioni: 1. agricola, che permise la liberazione di notevoli quantità di manodopera dal settore primario creando le basi per una nuova forza lavoro industriale; 2. demografica 3. dei trasporti 4. nel credito (nuove istituzioni bancarie) 5. commerciale. Il modello di Rostow aveva forti sfumature ideologiche ed ora si può leggere come un inno da prima guerra fredda alle virtù del capitalismo liberistico. Per Rostow il capitalismo industriale era il prodotto di un’impresa libera che rese quella generazione di ricchezza potenzialmente infinita e senza termine. Secondo i critici marxisti di Rostow era, invece, un sistema che sarebbe diventato insostenibile a mano a mano che si andava evolvendo. Nelle economie più avanzate gli elementi di continuità col passato erano così evidenti come quelli dell’innovazione fin dentro il XIX secolo. L’insediamento dei primi settori industriali è stato una conseguenza di un più profondo cambiamento strutturale. I segni più ovvi di crescita economica dovevano trovarsi ad un livello regionale piuttosto che nazionale. Le molte economie differenti caratterizzavano notevolmente un luogo per strutture ed organizzazione; ciò significa anche che è diventata meno convincente l’insistenza di Rostow sulle qualità specifiche presenti nelle singole società europee, che promossero o meno la moderna crescita economica. Secondo un’interpretazione sociologica l’industrializzazione non convinceva per almeno tre punti: 1. non esistevano società nazionali 2. non esisteva la valuta moderna 3. sebbene con minor meccanizzazione, anche altri paesi come la Francia e l’Olanda sperimentavano forme di crescita economica come quella inglese. L’industrializzazione non è più vista come il culmine inevitabile di tutte le precedenti forme di crescita economica. ( Ricorda: quando si parla di rivoluzione industriale non è giusto parlare di riv. Industriale relativa ad un solo paese poiché è A MACCHIA DI LEOPARDO: si parla di territorio regionale. Lo sviluppo economico europeo nel XVIII secolo: i temi centrali Il periodo intercorrente tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XIX assistette a cambiamenti che segnarono uno spartiacque fondamentale tra l’Europa medievale, moderna e contemporanea. L’Illuminismo e il razionalismo erano in parte eredi della grande rivoluzione scientifica del secolo precedente, ma non avevano relazione con il Nuovo Continente. Il XVIII secolo fu contraddistinto dalla nuova fase di espansione coloniale (è da notare che il colonialismo non si è concluso nel 600, infatti anche Davis parla di colonialismo); queste lotte generano guerre incessanti tra le Monarchie. Nacquero il turismo contemporaneo (con i viaggi del “Grand Tour”) ed una cultura consumistica. Furono introdotte la statistica, l’amministrazione e l’economia politica, che trovò la sua formulazione nella “Wealth of Nations” di Adam Smith. Venne introdotta l’idea della forza creativa della libera impresa che avrebbe potuto attecchire e fiorire non appena sarebbero stati rimossi i tradizionali limiti e restrizioni della proprietà privata. La crisi del Vecchio Ordine europeo fu irreversibile. L’Europa agraria Perché organizzata per soddisfare il consumo delle famiglie (autoconsumo) Ma ora anche per esportare Nel XIX secolo la maggioranza degli europei era occupata nell’agricoltura, i metodi di allevamento e coltivazione cambiarono e gran parte dell’agricoltura europea precludeva importanti cambiamenti anche se era ancora dedicata a soddisfare le necessità di sussistenza dei contadini e delle loro famiglie. Vi erano anche regioni dove era più saldamente impiantata l’agricoltura orientata verso il commercio. Esisteva un’agricoltura mista (arativa, casearia, pascolo e zootecnia), altamente volta al commercio e intensiva, praticata nei polders olandesi e nel Brabante. La Lombardia era una delle più ricche e fertili regioni agricole europee. L’Irlanda avrebbe rivelato i pericoli di un’eccessiva dipendenza dalla patata, mentre una dieta basata esclusivamente sul granturco causò la pellagra (mancanza di vitamine). Anche l’espansione della terra coltivata portò alla distruzione del terreno boschivo causando danni ambientali. In molte aree l’espansione delle colture fu accompagnata dalla recinzione della terra e dall’usurpazione delle “common lands” da cui dipendeva il sostentamento di molte comunità rurali. L’agricoltura e l’economia pastorale provvedevano anche le principali forniture di materie prime per l’attività industriale, per lo più fibre tessili. La geografia economica raramente coincideva con quella politica. La geografica tagliò anche molte regioni da tutti i contatti come le comunità montane perché i costi dei trasporti erano alti. Questo fu un motivo per il quale la Scozia e l’Irlanda scelsero di distillare il loro grano per farne whisky che, sebbene si potesse vendere solo nei mercati di contrabbando, aveva un valore aggiunto molto più alto del grano ed era meno costoso del grano in quanto a trasporto. I fiumi, le vie d’acqua navigabili ed il mare fornivano le reti di comunicazioni più veloci e sicure dell’Europa premoderna. Nel XVIII secolo molte città importanti per la manifattura erano in declino. Una ragione erano i privilegi monopolistici, di cui avevano goduto in precedenti periodi, e questi ora rendevano i loro prodotti ultracostosi e diminuivano la loro capacità di adattamento alla nuova domanda. Molti governanti del XVIII secolo costruirono magnifiche case per i poveri che rimangono a tutt’oggi testimonianza della nascita della povertà urbana. Si liberalizzò il commercio interno soprattutto per le merci di prima necessità. La tardiva servitù della gleba nell’Europa dell’Est legava i contadini alla terra, rendendoli soggetti al lavoro forzato. Essa sarebbe continuata fino all’XIX secolo. In molte altre parti dell’Europa il feudalesimo sopravviveva sotto forma di monopoli e tasse, piuttosto che di servitù. Il feudalesimo aveva avuto origine in quanto mezzo per regolare il conflitto di interessi dei governanti e dei loro notabili: ma in termini economici i diritti collettivi esercitati sulle terre feudali avevano originariamente permesso alle popolazioni rurali di rivalersi contro il potere dei grandi proprietari terrieri. Per i pensatori e gli scrittori illuministi il FEUDALESIMO simboleggiava tutti i difetti dell’Ancien Régime europeo irrazionale e reazionario. Guenzi parla di “rifeudalizzazione” che in realtà per molti non lo è stato poiché non vi furono servizi della gleba. In Russia nel 1860 fu eliminata. I crescenti incentivi alla produzione commerciale nella seconda metà del secolo incoraggiarono i proprietari terrieri ad espropriare legalmente o illegalmente e a recintare la terra pubblica. Sia in Spagna sia nell’Italia del Sud la regolamentazione del pascolo di transumanza aveva come modello la Mesta (tassa reale per il passaggio) nata in Spagna. I governi cominciarono a sostenere che i diritti di proprietà dovessero essere assoluti ed incoraggiarono il processo di privatizzazione e recinzione. Da ciò nacque il conflitto tra gli agricoltori stanziali e i transumanti. Uno dei segnali di cambiamento fu la costante crescita della terra privata, soprattutto in Inghilterra, con il risultato che i contadini cominciarono ad essere dipendenti dai salari che guadagnavano dai grandi proprietari. I poveri rurali non avevano diritti consuetudinari sulla terra e i nuovi metodi di coltivazione erano introdotti più facilmente in Inghilterra e in Olanda del Nord, piuttosto che altrove. In Inghilterra l’agricoltura intensiva e la recinzione significava che il surplus di popolazione si muoveva verso le province. Non è ancora chiaro quale impatto possono aver avuto sulla produttività agricola i famosi esperimenti per migliorare l’allevamento, per introdurre nuove forme di azoto per la coltivazione e per lo sviluppo di rotazioni. L’epicentro della rivoluzione agricola del XVIII secolo fu nelle Midlands inglesi, risultato di bonifiche del secolo prima. Prodotti in crescita erano: lana, lino, vino, seta, legname, canapa e pece. 4. L’enigma del XVIII secolo: la Rivoluzione demografica L’espansione demografica aveva seguito “un grafico con taglio a sega”, ovvero ad ogni aumento seguiva subito una crisi di carestie. Questa volta, invece, non fu così. Le epidemie parvero quasi scomparire, sebbene non fu certo la scienza medica ad aumentare l’aspettativa di vita. Una tra le spiegazioni di questo cambiamento fu che il prezzo dei cereali continuò a L’espansione del commercio fu severamente limitata dalla politica protezionistica adottata sia dagli Asburgo sia dai governanti tedeschi. L’assenza di mercati elastici o accessibili era uno degli ostacoli più critici all’espansione. d) La Francia e il Regno Unito Nonostante gli sforzi dei Governi volti ad impedire che le tecnologie oltrepassassero le proprie frontiere, queste viaggiavano con poca difficoltà. La Francia aveva industrie tessili estese e altamente specializzate. Essa, a pari del Belgio, possedeva un ricco patrimonio di risorse economiche e naturali. La manodopera era abbondante e a buon mercato. Presi insieme, questi fattori spiegano perché la propensione verso la meccanizzazione fosse sentita molto meno fortemente nelle industrie e nelle manifatture francesi che in Inghilterra. Nel caso delle costruzioni di case, i mattoni sostituirono il legno, ma per le costruzioni navali i britannici divennero sempre più dipendenti dalle forniture dei paesi baltici. Abraham Darby sviluppò un processo di fusione del ferro sostituendo il carbone coke alla carbonella e fu seguito dal processo di puddellaggio di Henry Cort che permetteva l’uso del carbone coke anche negli stadi finali della produzione della ghisa grezza. Si espandono le industrie metallurgiche e minerarie grazie alla domanda di carbone in crescita. Si espandono anche quella vetraria e quella della ceramica (nelle zone delle Potteries, introdotte da Wedgwood). Inizialmente il cotone era importato dall’India, mentre con la produzione interna di tessuti leggeri come cotone e, grazie allo sviluppo di nuove tecniche di stampaggio, di tintura e filatura, cambiò la moda e aumentò la domanda. Carlo Poni ha descritto l’azione di Lombe, che aveva fatto un viaggio in Italia per studiare l’industria della seta, come il primo esempio di spionaggio industriale. In Inghilterra, nelle Midlands, ricordiamo le industrie della fabbricazione della birra. Il fattore più rilevante, tuttavia, fu la crescita della domanda nei mercati interni. Le industrie inglesi provvedevano principalmente ai mercati di grosso volume e basso costo, e fornivano merci prodotte ancora da famiglie, mentre i francesi badavano alla qualità (con un ovvio maggior valore aggiunto). Lo sviluppo della meccanizzazione fu lenta ed inizialmente poco sfruttata. Queste nuove forme di produzione davano significato concreto ai principi di Adam Smith, che avrebbero ispirato l’era del capitalismo industriale, con la nascita delle fabbriche. 7. Il ruolo dello Stato (Ricordare: necessità di denaro per sostenere guerre ed espansione coloniale, quindi si sostenevano maggiormente le esportazioni rispetto alle importazioni) Uno dei temi centrali delle rivoluzioni industriali fu la libera impresa. Questa idea era stata avanzata fin dall’analisi classica, sui collegamenti tra capitalismo ed etica protestante, di Max Weber. Spesso si sostiene che una delle maggiori restrizioni allo sviluppo derivò dall’intervento statale. Il mercantilismo era basato sul presupposto che ogni Stato avrebbe dovuto adottare misure protettive per assicurarsi la propria quota commerciale. Ricordiamo ancora che i Navigation Acts inglesi ordinavano che tutte le merci dovessero essere trasbordate nei porti metropolitani britannici, mentre in Francia il colbertismo aveva funzione protezionista analoga. Nota: Queste politiche furono causate soprattutto dall’aumento dei costi bellici. Ciò avrebbe accelerato la crisi politica ed istituzionale dello Stato dell’Ancien Regime. Gli esperimenti noti come assolutismo illuminato erano tentativi di accrescere i limitati poteri della monarchia, che aveva intense necessità fiscali. In Germania, le classi fondiarie erano ostili all’espansione industriale perché essa avrebbe sottratto forza lavoro agricola. In Prussia l’80% delle entrate era devoluta alla spesa militare. Nel caso del commercio estero i principi della liberalizzazione erano persino più difficili, a causa di restrizioni e monopoli. L’Inghilterra aveva imposto al Portogallo il Trattato di Methuen, che gli aveva permesso il completo controllo del commercio col Brasile. Pombal rinegoziò il Trattato sulla reciprocità di concessione su merci specifiche e questa fu la base per successive negoziazioni. Queste si conclusero col Trattato di Eden del 1786 tra la Gran Bretagna e la Francia, che segnò una breccia nelle politiche protezionistiche francesi. La combinazione del liberalismo economico col protezionismo sarebbe rimasta l’indispensabile politica economica fino a dopo il 1805 con l’Impero Napoleonico. Il protezionismo industriale si concentrò sulle manifatture; il più famoso esempio fu la fabbrica di porcellana segreta di Meissen in Sassonia, copiata da Carlo III di Napoli. In Francia vennero concessi agli imprenditori patenti reali per sostituire le importazioni. Le deboli monarchie spagnole e portoghesi soffrirono una vulnerabilità nel commercio estero, mentre Francia e Gran Bretagna tendevano ad estenderlo. Un esempio fu la guerra dei 7 anni tra queste ultime due nazioni, definita da W. Pitt puramente economica. La “guerra dei 200 anni” durò fino al 1815 con la battaglia di Waterloo e vide vincitrice la Gran Bretagna, con la sconfitta di Napoleone. La chiave di questo successo fu la capacità inglese di non indebitarsi, grazie alla Banca d’Inghilterra ed al rinnovamento all’interno del Parlamento, che garantiva indipendenza finanziaria dalla monarchia e generava sicurezza negli investitori. L’Inghilterra, in questo modo, riuscì in 20 anni a saldare le spese belliche per la Guerra americana d’Indipendenza, al contrario della Francia, che entrò nella crisi finanziaria che provocò la rivoluzione del 1789. Londra sostituì Amsterdam come principale porto internazionale. 8. L’era Napoleonica (nel 1815 viene meno Napoleone. 700800 aumentò la rivalità tra Gran Bretagna e Francia che indusse Napoleone ad assumere politiche per danneggiare la Gran Bretagna blocco continentale venne meno; rifornimenti alla Gran Bretagna la quale non otteneva + dall’ex colonia.) Napoleone tentò di creare un sistema economico continentale europeo, mentre sul versante Atlantico la vittoria britannica permise l’eliminazione della Francia e della Spagna nel sistema coloniale. A seguito del colpo di Stato di Napoleone del 1799 le rivalità anglo francesi si inasprirono. Lo storico francese Bergeron ha descritto il “Blocco Continentale” come un modo particolare di condurre la guerra, che in futuro si sarebbe dovuto fondare sul dominio economico del continente. In realtà il progetto continentale fu impossibile da realizzare, sia perché incoraggiò il commercio di contrabbando, sia per via della resistenza degli Stati conquistati. L’aspetto più positivo del retaggio napoleonico fu l’abolizione del feudalesimo. Le monarchie dell’Ancien Regime si ritirarono di fronte a nuove autocrazie amministrative che prendevano a modello il regime napoleonico. Lo Stato riguadagnò completa sovranità e furono abolite le giurisdizioni private. Si riorganizzarono le tasse per favorire lo sviluppo della proprietà privata e dell’impresa individuale. Nella confederazione tedesca vennero introdotte riforme (da Von Stein e Von Hardenburg) per la liberalizzazione del mercato. Anche nella monarchia asburgica l’esperienza della sconfitta e della fine del Sacro Romano Impero fu un forte incentivo alle riforme amministrative. Le monarchie costituzionali dell’Ancien Regime erano rimpiazzate da nuove forme di assolutismo burocratico con relativi oneri fiscali per il loro mantenimento. Le conseguenze delle politiche economiche di Napoleone non furono affatto sempre negative; per esempio nell’Italia settentrionale portò all’espansione della produzione di seta e della seta grezza, che diventò la principale merce di esportazione, e al ruolo di fornitrice di materie prime. Il Blocco, però, generò una crisi nei produttori della Renania e della Svizzera, per mancanza di materie prime. Come sostenuto da Bergeron, la Francia uscì dall’era napoleonica geograficamente trasformata e ridotta, e ciò portò alla staticità dei mercati interni, con una rinforzata offerta, non compensata dalla domanda. Crollato l’Impero Francese si ritornò al protezionismo precedente. Il quadro europeo si presentava come un mosaico disunito di economie, fino a quando nel 1830 il boom ferroviario segnò una nuova fase di crescita economica, soprattutto in Renania. Tuttavia, il periodo dopo Waterloo (1815) vide la domanda statica ed in contrazione. Nel XIX secolo, l’industrializzazione portò a nuove rivalità nazionali, anziché alla crescita economica, sebbene le nuove capacità commerciali si sarebbero sviluppate fino al Nord America. GIOVANNI LUIGI FONTANA – Lo sviluppo economico nell’Europa del XIX secolo 1.Crescita e trasformazione dell’economia europea Un secolo di crescita continuativa Secondo Maddison, nel corso dello sviluppo, esistono aree guida ed aree inseguitrici. Per economie guida egli intende quelle che sfruttano più efficacemente le conoscenze tecniche disponibili in un dato periodo. I paesi sviluppati, dunque, risultano favoriti dalla cumulazione delle ricerche. Secondo questa teoria esistono 4 fasi successive corrispondenti a 4 aree guida: 1. 11001500: Italia del Nord e Fiandre 2. 16001750: Olanda 3. 17501890: Inghilterra 4. 1890 ad oggi: USA La prima vera forza industriale fu l’Inghilterra, grazie alla produzione tessile, siderurgica, meccanica, ma soprattutto grazie allo sfruttamento intensivo del carbone. L’importanza del settore primario, soprattutto in Gran Bretagna, infatti, b. innalzamento dei tassi d’investimento (circa 10% del PIL) c. costituzione di un quadro politico tale da consentire un aumento costante dei redditi d. sviluppo dei settori guida (leading sectors) e delle industrie sussidiarie e. l’industria subentra all’agricoltura come settore fondamentale 4. La maturità: a. il processo si estende b. investimenti fino al 20% del PIL c. la produzione supera l’incremento demografico d. il reddito procapite aumenta con continuità e. quando calano le necessità di investimento aumentano i consumi 5. L’età dei consumi di massa: a. processi di standardizzazione spinti dal consumismo per abbassare i costi b. allargamento dei beni di consumo Sebbene il concetto di decollo resti discutibile, Rostow diede una visione panoramica dello sviluppo notevolissima, e diede l’opportunità agli storici successivi di mettere a punto diverse cronologie dei propri Paesi. I suoi difetti sono: 1. il presupposto “del 10%” non trova riscontro storico 2. non spiega come si possa passare da una fase ad un’altra 3. attribuisce eccessiva importanza ad alcuni settori, senza una visione d’insieme (molto più intricata) 4. non considera le dimensioni del fenomeno: regionale, nazionale, internazionale 5. è una mera imitazione della storia, senza varianti, che pretende che si possa uniformare per tutte le economie europee c)Gerschenkron e i vantaggi dell’arretratezza (egli sottolinea che i paesi che si sono posti sulla strada dell’industrializzazione dopo hanno avuto vantaggi) Molti Paesi hanno avuto una crescita analoga, ma con differenze. Questo ha condotto Gerschenkron a cercare una spiegazione basata su di esse, focalizzandosi sui meccanismi che mettono i paesi ritardatari in grado di svilupparsi. Fondamentale è il concetto di arretratezza relativa rispetto al paese leader (G.B.). Qualora i prerequisiti manchino, si possono cercare dei fattori sostitutivi. Si tratta di stimolare i processi naturali al fine di un recupero (catching up) veloce. Questo modello somiglia a quello di Rostow, poiché prevede una fase di decollo (big spurt). Altro concetto fondamentale è il vantaggio dell’arretratezza: 1. chi arriva dopo può imitare le tecnologie senza il rischio iniziale, e chi parte per primo non è sicuro di mantenere la propria posizione dominante 2. si sviluppa più rapidamente (industrie soprattutto) 3. maggiore produzione di beni strumentali anziché di consumo 4. migliore istituzionalizzazione 5. minore crescita agricola 6. maggiore importazione di tecniche 7. il settore trainante non è sempre quello industriale come in G.B. 8. le fasi successive allo sviluppo generano diversi tipi di capitalismo, soprattutto nelle istituzioni Il suo difetto è (visto il peso dell’intervento statale, istituzionale e finanziario) che diventa labile la divisione tra stati leader e follower e che lo sfondo economico era esclusivamente nazionale. Si giunse a qualificare il caso inglese come un’eccezione anziché un modello. d) Il problema delle unità di analisi: Pollard e la regione economica Con il suo volume “The peaceful Conquest” del 1981, per la prima volta Sidney Pollard analizzò lo sviluppo, per unità regionali e non nazionali, poiché egli sostenne che l’industrializzazione europea si realizzò in ogni nazione su base regionale. A differenza di Gerschenkron, egli introdusse il concetto di differenziale della contemporaneità, di cui è un esempio tipico la costruzione delle ferrovie, che ebbero utilità diverse a seconda delle zone. e) Path dependence, istituzioni e sviluppo economico. Il ruolo dello Stato Seguendo un approccio più scientifico, tra i concetti significativi troviamo quello di path dependence, elaborato da Paul David. Secondo lui, il cammino dei first comers non può essere imitato perfettamente, poiché catene di eventi casuali delimitano il campo delle scelte. La competizione porta all’abbassamento dei costi di transizione (ovvero costi di ricerca, organizzazione e diffusione), questo con riferimento anche alle istituzioni. Douglas North teorizzò, infatti, il mutamento economico come risultato di cambiamenti istituzionali, poiché persino nel paese del “laissez faire” (la G.B.) il ruolo dello Stato fu fondamentale (soprattutto per garantire la proprietà privata). La presenza dello Stato è dunque giustificata dalla presenza proprio dei costi di transazione. A questo punto maturarono due teorie: 1. il liberismo (mano invisibile di Adam Smith): lasciare spazio ai meccanismi di mercato 2. la dottrina interventista Già fin dal primo Ottocento, oltre che negli USA (Belgio, Francia e Germania), Hamilton – segretario di Stato di Washington – andava ponendo le premesse politiche di quel diverso atteggiamento tra Stato e mercato, fra pubblico e privato, poi concretizzate nel corso del ‘900. Questi paesi erano accomunati dalla fiducia nello Stato che avrebbe avuto un ruolo fondamentale, nel processo di industrializzazione (si vedano lo Zollverein, l’unione doganale degli stati tedeschi adottata nel 183 e i compiti attribuiti allo Stato da Friederich List che ne fu l’ispiratore, o gli interventi per lo sviluppo delle ferrovie). E lo stesso valse per l’Italia. In Paesi più recenti, tra cui l’Italia, lo Stato ebbe un ruolo fondamentale nell’unificazione politica. Negli USA si sviluppò il modello di Stato regolatore (modello “debole”), ancor oggi prevalente, mentre in Europa prese consistenza il modello “forte” di Stato e fiducia nel big government, con politiche dirigiste. Il peso dello Stato è sempre andato in crescendo (spesa pubblica e interventismo). Si è giunti alla conclusione che il capitalismo non funziona se privo di almeno uno “Stato minimo”: “law and order“ (leggi, soprattutto per la difesa della proprietà, amministrazione, giustizia e ordine pubblico, istruzione, poste, sanità e trasporti). Questo concetto di Stato minimale si rifà a dei principi liberisti, totalmente opposti a quelli sovietici del 1900 che negavano il mercato. (Davis punta nel 700 a sostenere che lo stato si interessa all’economia per finanziare le guerre.) 2. Dinamiche demografiche e mutamento sociale. Il ruolo dell’agricoltura. La rivoluzione demografica europea Le dinamiche demografiche costituiscono una variabile di primaria importanza per la comprensione dei cambiamenti economici e sociali del XIX secolo su base congetturale (mancanza di indagini sistematiche). Nel corso del secolo vi è una vera e propria rivoluzione demografica che cambia strutture e movimenti, comportamenti ed insediamenti. L’Inghilterra ebbe un aumento della popolazione che permise di conseguenza un aumento della forza lavoro sia nelle campagne che in sistemi di putting out. Incrementi simili si verificarono, ad esempio, nell’area austro tedesca. Si entrava nella fase di passaggio dal modello di antico regime alla nuova demografia. Il primo modello era caratterizzato da un’elevata natalità e un’alta mortalità, dove ogni crescita della popolazione determinava una riduzione delle disponibilità alimentari. Furono il ritardo del matrimonio e la diffusione del nubilato a differenziare l’esperienza demografica occidentale dal resto del Mondo. Dall’800 in poi si sostituì il modello dello sviluppo, un incremento della popolazione favorì la possibilità di espansione del sistema economico complessivo; la svolta consistette nel fatto che tale crescita non conobbe più pause o regressioni. Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Europa contava 480 milioni di abitanti, 3 volte la sua popolazione del 1750. Nella prima parte del secolo erano le aree del nordovest europeo a crescere, mentre nella seconda del sudest. Il rallentamento del ritmo di crescita nella Francia del secondo ‘800 dipese dalla caduta più rapida del tasso di natalità. L’Italia di fine ‘800 era caratterizzata da una crescita della popolazione su tutto il territorio. Tuttavia, corrispondevano meccanismi demografici diversi: l’Italia del nord presentava sia un basso tasso di mortalità sia di natalità, mentre quella del Sud un alto tasso di mortalità e di natalità. Il “nuovo modello demografico” Sul breve periodo si produsse una crescita dovuta al calo della mortalità più che all’aumento della fecondità. In una seconda fase l’aumento della popolazione dipese dal crescente allungamento della vita. Mortalità e natalità mutarono strutturalmente: scomparvero le epidemie e le carestie, le difese immunitarie aumentarono per effetto di miglioramenti nell’alimentazione e nell’igiene.. La diminuzione di epidemie ebbe una causa primaria negli straordinari progressi della scienza medica (vaccino antivaiolo, rivoluzione microbica di Pasteur, aspirina, anestetici), tuttavia non sparirono del tutto come dimostrò il colera europeo degli anni ’30. determinante all’equilibrio dei conti dell’Italia con l’estero, nel cui quadro si sviluppò lo slancio verso l’industrializzazione a cavallo tra 800 e 900. Per contro, le economie del Nuovo Mondo, ricevettero grandi vantaggi dall’esodo del Vecchio. Più di 28 milioni di europei espatriarono negli USA. Essi contribuirono in modo decisivo all’urbanizzazione e all’industrializzazione del Paese e ne modificarono i caratteri sociali e culturali fondando comunità come Little Italy etc. che avrebbero avuto un ruolo importante nella storia nord americana. Il meltingpot (la mescolanza delle razze) si rivelò una delle chiavi dello sviluppo statunitense. La concentrazione di molti emigranti in settori di attività specializzate diede corpo a forme di imprenditoria etnica, rappresentata da quella italiana che avrebbe alimentato nel secondo ‘900 le reti della business comunity italiana nel mondo. In definitiva la più importante e drammatica vicenda demografica si tramutò in fondamentale componente del cammino verso la modernizzazione. Le trasformazioni del settore agricolo Le trasformazioni del settore agricolo permisero di alimentare una popolazione sempre più numerosa e urbanizzata, fornirono capitale e lavoro agli altri settori dell’economia, crearono correnti di esportazione e domanda di mercato per i prodotti industriali e per i servizi. Dalle prime fasi della crescita economia la composizione dei consumi alimentari era venuta cambiando: da un dieta basata su cereali e vegetali si passò ad una dieta basata su carni e prodotti zootecnici. La produzione agricola ebbe un notevole incremento sia in virtù del’aumento della quantità dei fattori ovvero della crescita estensiva che della loro produttività ossia della crescita intensiva. In gran parte dei Paesi europei invece un aumento significativo della superficie agraria era possibile solo con complessi interventi di bonifica, nei quali, oltre alla vastissima opera di sottrazione al mare operata dagli olandesi, si distinse l’Italia. Le bonifiche furono un esempio della differente forma di crescita estensiva dell’Europa rispetto alle aree americane o australiane, vale a dire una forma basata sull’incremento della quantità di capitale e/o lavoro per unità di terreno. L’aumento della produttività globale fu il risultato delle innovazioni finalizzate ad aumentare i rendimenti delle terre (land saving) e di quelle finalizzate ad aumentare la produttività del lavoro (labour saving). Essendo la terra il fattore più scarso, le prime innovazioni furono di tipo land saving. La maggiore dotazione di bestiame aumentava anche la qualità del letame e della concimazione. Si introdussero specie più adatte ai diversi tipi di clima e di terreni (mais, barbabietola, patata e foraggi). Aumentarono le rese per unità di prodotto. Altra grande innovazione land saving fu l’introduzione dei prodotti chimici. Le innovazioni labour saving consistettero innanzitutto nel perfezionamento di attrezzi in ferro (falci, aratri, trebbiatrici etc.) e nel’introduzione di macchine sostitutrici dell’uomo. L’invenzione del trattore permise l’accelerazione e la diffusione della meccanizzazione agricola. Dove la manodopera era scarsa quindi cara si era spinti ad aumentare il capitale investito. Dove s’era formata una grande classe di proprietari agricoli aperti al progresso tecnico la modernizzazione progredì più rapidamente, sia che essi sfruttassero direttamente i terreni, (come la Prussia degli junker), sia affidando la produzione a fittavoli (come i landlords inglesi). La piccola azienda contadina era ormai improduttiva e priva di investimenti, mentre quella media era favorevole al cambiamento, come in Danimarca o in Olanda. Lo sviluppo del movimento cooperativo è considerato l’elemento decisivo del successo agricolo danese. L’high farming non poteva applicarsi alle regioni mediterranee, dato che le foraggiere non sopportavano le siccità estive. La ricerca aveva un basso tasso di appropriabilità (capacità di godere dei frutti delle invenzioni). Gli Stati promossero enti specializzati nella ricerca; in Italia, soprattutto sotto il Governo Giolitti, si costituì una rete di cattedre ambulanti di agricoltura. Il massimo sviluppo agricolo si ebbe nell’Europa nord occidentale, nell’Inghilterra e nella regione compresa tra il bacino parigino e la Prussia orientale, dove i due tipi di miglioramento esercitarono un’azione complementare. Data l’influenza delle condizioni atmosferiche i prezzi agricoli fluttuano in modo più accentuato di quelli dei prodotti industriali. Ciò nonostante i prezzi agricoli mostrarono tendenze di lunga durata (si ricordino le Corn Laws). (1846 eliminate dalla crisi della patata facevano si che fossero contenute le importazioni di grano in modo tale che mantenesse un prezzo conveniente per i proprietari terrieri della Gran Bretagna). L’allevamento si sviluppò alla fine in maniera indipendente dalla cerealicoltura. Con la “Grande Depressione” del 18771896 tutti i prezzi dei prodotti agricoli calarono e lo sviluppo dell’allevamento fu l’aspetto positivo di tale grave crisi. 4.Il processo di industrializzazione europea L’Inghilterra e l’Europa continentale (Ricordare: 18201830 si ha la 1° rivoluzione industriale; 1830 – oltre la metà del 900 si ha la 2° rivoluzione industriale) Alcuni ritengono che si debba usare l’espressione rivoluzione industriale solo in riferimento all’Inghilterra e industrializzazione per le altre regioni. Industrializzazione e sviluppo, come già accennato, finirono col fondersi, anche perché sarebbe scorretto affermare che i confini politici limitarono la sua diffusione. Si determinarono divari di reddito incredibili tra le zone industrializzate e quelle non. Per Phillis Deane la prima rivoluzione industriale fu l’insieme di svariate rivoluzioni: agraria, demografica, commerciale e dei trasporti. Per Wrigley al centro del processo vi fu il carbon fossile, inserito in un contesto capace di massimizzarne il rendimento, evidenziando come la crescita dipese dall’uso di energia a buon mercato e su vasta scala che permise di vendere di più a prezzi inferiori. Tale processo era ormai in grado di autofinanziarsi. L’età delle macchine, del carbone e del vapore a)Uno sforzo convergente e cumulativo: il tessile (PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE) Fu l’industria italiana della seta a creare le prime filatrici automatiche. All’inizio gli inglesi stessi imitarono i progressi raggiunti altrove. Il carattere fondamentale della rivoluzione inglese fu la durata, non la rapidità. Le macchine ebbero in questi processi un ruolo chiave, esse consentirono di aumentare notevolmente la produttività, cioè la produzione per lavoratore e per unità di tempo. Il primo brevetto di rulli che si sostituivano alle dita umane fu di Lewis Paul, ma l’inventore del filatoio meccanico venne considerato Richard Arkwright, che utilizzandone una coppia di rulli lo fece davvero funzionare.(Cos’ cominciò ad accelerare la produzione). Seguirono le invenzioni quali la spoletta voltante (jenny), il mulo (mule) e il mulo automatico (selfacting mule). Si trattava, tuttavia, di macchine costose, che cominciarono a svilupparsi davvero più di 50 anni dopo la loro invenzione (in Italia nel 1815, in Inghilterra nel ’40). b)Il paradigma del carbone A segnare il cambiamento fu, come già accennato, il passaggio dal legno al paradigma del carbone. Il consumo eccessivo di legno portò alla deforestazione in Francia con gravi ripercussioni geologiche e sul prezzo del legno stesso. L’Inghilterra, ricordiamo, dipendeva dai paesi baltici per il legno. I canali, invece, e la vicinanza delle miniere al mare permisero la distribuzione del carbone con relativa facilità. Thomas Savery, inoltre, brevettò un congegno per eliminare l’acqua dalle miniere, chiamato “amico del minatore”. Thomas Newcomen realizzò una pompa a vapore che utilizzava la pressione atmosferica per estrarre l’acqua che si diffuse anche all’estero. • Abrahan Darby, proprietario di una ferriera, come già accennato, riuscì a produrre buona ghisa utilizzando il carbone coke (da lui stesso creato, mediante un processo in assenza d’aria) e l’acciaio mediante il puddellaggio. • James Watt, il padre della macchina a vapore, migliorò quella di Newcomen separando il condensatore dal cilindro e dal pistone. Questi miglioramenti stimolarono la concorrenza nelle fonti di energia. E’ importante notare che quella idraulica era ancora la predominante fino al 1850, e veniva sfruttata soprattutto nell’industria tessile, poiché le ferriere necessitavano di molta più energia di quanta non ne potesse produrre la tecnologia idraulica. sottoscrizione di prestiti governativi. Il Credit Mobilier fallì nella crisi del ’67 a causa della forte immobilizzazione delle sue fonti a lunga scadenza. Nota: in Germania il legame tra banca e industria fu molto più stretto (ad es.: la Deutsche Bank). Esse davano sia credito a breve termine, sia a mediolungo, superando il limite della specializzazione anglosassone. Nacquero, dunque, le banche miste (importante). Esse sostennero in maniera fondamentale le società industriali, favorendo aumenti di capitali, collocazione delle azioni e delle obbligazioni. Possedevano pacchetti delle società per il controllo dall’interno e la riduzione del rischio. Giunsero sino a regolamentare la protezione del mercato e a far nascere cartelli tra imprese. Il modo tedesco di fare banca venne allora copiato in molti altri stati europei (Svizzera, Spagna, NordItalia, Svezia). d) Le istituzioni pubbliche (il ruolo dello Stato assume, con il passare del tempo, sempre più importanza) Paesi a forte autonomia locale, come la Gran Bretagna e gli USA, videro una preponderanza dell’iniziativa privata, altri, quali la Francia o la Prussia, videro un maggiore intervento statale. Si fece maggior ricorso alle imposte indirette, che colpivano i consumi, aumentando le disuguaglianze sociali. Si sviluppo un complesso sistema di brevetti, regolamentazioni bancarie, e spese per infrastrutture. Si può ritenere che il “laissez faire” puro, predicato dai classici, non sia mai esistito. Il contributo più importante fu nell’educazione, associata a 3 concetti: 1. Educazione e sviluppo: vide la Germania molto più avanti rispetto all’Inghilterra, sia perché in G.B. l’insegnamento divenne gratuito soltanto nel 1891, sia perché non seppero strutturare un sistema efficiente, cercando di aggregare la classe operaia nel sistema sociale. 2. Educazione e declino: in Inghilterra commisero lo sbaglio di tralasciare la preparazione tecnicoscientificoingegneristica, mentre la preparazione umanistica ebbe splendore ad Oxford e Cambridge. 3. Educazione e cambiamento economico: l’associazione tra di essi ha dato sempre più peso ai concetti di capitale umano e capitale sociale. Ricordiamo che l'educazione non va intesa esclusivamente in termini di tasso di alfabetizzazione. I percorsi nazionali a)Gran Bretagna e Stati Uniti Nell’Ottocento le tonnellate di ghisa contavano più delle migliaia di uomini al lavoro. Fino agli anni ’80 la G.B. mantenne saldamente la prima posizione, poi cominciò a retrocedere dopo USA e Germania. Gli inglesi sostenuti dal clima di liberalismo ebbero la possibilità di accumulare capitale e di disporre delle macchine più moderne; nel 1900, però, vennero raggiunti e sorpassati dagli americani, grazie alle risorse naturali superiori, alla protezione doganale, ad un mercato dinamico ed all’ambiente sociale favorevole all’adozione di tecniche moderne (la relativa scarsa manodopera ed il costo alto della stessa negli USA spinse alla meccanizzazione). Anche i tedeschi migliorarono, soprattutto grazie ad intense attività di laboratorio e allo strettissimo rapporto banca industria. Al contrario, gli inglesi erano ormai appagati e la loro “mentalità di superiorità ed esperienza” frenò lo sviluppo. b)Il Belgio A metà Ottocento lo sviluppo si disegnava intorno alle miniere di carbone cokizzabile. L’area belga, vista la posizione geografica, era quella morfologicamente più simile alla inglese, favorita dalle stesse risorse naturali. Vi risiedevano 7,7 milioni di abitanti e per questo ebbe lo sviluppo del “piccolo paese”. Un esperimento belga degno di nota fu la Société générale de Belgique, una banca di investimenti che deteneva pacchetti azionari di imprese industriali. Nel 1835 si trasformò in “Banque de Belgique”, dopo aver rilevato ben 24 industrie. In termini relativi alla sua limitatezza geografica, il Belgio fu il paese più industrializzato fino alla 1° guerra mondiale. c)La Francia Essa si differenziò per il suo percorso evolutivo da Inghilterra e Belgio, poiché, come già accennato, ¾ del suo output era costituito da beni di lusso ad alto valore aggiunto. Emersero punti di debolezza tra cui: la sconfitta nella guerra con la Prussia, con la perdita dell’AlsaziaLorena, il protezionismo attuato in un paese fortemente esportatore, la dipendenza dall’energia idraulica. L’elettricità consentì un recupero nel settore trainante dell’automobilismo. d)La Germania Fu il concorrente continentale più temibile per l’Inghilterra. Seguì un percorso che si differenziava ancora di più da quello inglese, fondato sulla partecipazione dello Stato e sul ruolo propulsivo delle banche miste. Gli aspetti più significativi del modello di industrializzazione tedesco furono: • il rafforzamento del ruolo della grande impresa • l’affermazione di pratiche di cooperazione attraverso accordi di cartello • un forte legame tra scienza e industria La tendenza verso il big business lo accomunò a quello americano, però con un diverso approccio legislativo e istituzionale. Ad esempio i cartelli, che avevano lo scopo di limitare la concorrenza, di stabilizzare i prezzi e i profitti e di creare un controllo monopolistico vennero riconosciuti legittimi e protetti dallo Stato erano ritenuti legittimi. Alla vigilia della prima guerra mondiale la Germania copriva ¾ delle esportazioni chimiche. Fu la prima nazione ad introdurre la previdenza sociale statale. e) L’impero abrugico, la Russia e la Spagna Il sistema finanziario tedesco venne imitato dall’Impero Asburgico. La situazione, però, era ben diversa in quanto il commercio internazionale era inferiore e vi era un predominio dell’industria leggera. L’Austria, la Boemia e l’Italia del nord erano le regioni più avanzate, il resto dell’Impero era molto arretrato. La Russia aveva raggiunto dei significativi progressi, soprattutto nelle ferrovie (col maggior chilometraggio del mondo), ma essi “annegavano” in un mare di arretratezza. Lo zar, inoltre, aveva abolito solo nel 1861 la servitù e l’effettiva privatizzazione delle terre avvenne solo nel 1907. L’investimento estero in Russia fu fondamentale, soprattutto per lo sviluppo delle ferrovie. Il capitale straniero finanziava il debito russo, ma per fare questo si tassarono redditi procapite già bassi.Fu la domanda pubblica a fare decollare negli anni ’80 l’industria pesante. Problemi anche in Spagna, vista l’arretratezza dell’agricoltura e dell’istruzione, eccetto la Catalogna ed i Paesi Baschi. Nell’Ottocento dunque la crescita in Spagna fu lenta e limitata ad alcune regioni. f)L’Italia Concentrò nell’area centro settentrionale le proprie attività industriali, data la ricchezza di energia idraulica e di materie prime. Si trattava di attività tessili regredite rispetto all’età moderna ma assai importanti per le esportazioni. In crescita graduale si presentava il cotoniero mentre la siderurgia e la meccanica versavano in condizioni di arretratezza . In generale prevalevano le piccole unità produttive e l’artigianato. Il vero problema fu la frammentazione degli Stati preunitari, che rese difficile l’opera dei governi di porre le basi del nuovo Stato Unitario. Tali governi si impegnarono in vaste opere di modernizzazione: • adottando una legislazione commerciale liberista • adottando leggi sull’istruzione • sviluppando le reti ferroviarie, stradali e i porti • alienando beni demaniali ed ecclesiastici • facendo uso della leva fiscale • la moneta venne legata al gold standard. L’Itali però risultava penalizzata da vari problemi come: • la mancanza di carbone • la ristrettezza del mercato interno • l’insufficiente accumulazione di capitale • il basso livello di istruzione • la presenza di poche banche costituite in società per azioni e finalizzate allo sviluppo industriale • un quadro culturale non favorevole al mutamento del sistema economico Il ruolo dello Stato fu particolarmente rilevante e portò allo sviluppo di tutti i settori nell’ultimo ventennio dell’800 (FIAT, 1899). Il L’affermazione della nave a vapore fu molto più graduale di quella della ferrovia. Dall’evoluzione delle golette prese forma il clipper a quattro alberi, massima espressione della tecnologia della vela. Il clipper risentì dell’apertura del canale di Suez. Alcuni velieri cominciarono poi ad adottare le innovazioni introdotte sui piroscafi: scafo in ferro e piccole macchine a vapore per meccanizzare i servizi di bordo. Fino al 1850 i progressi del vapore furono più sensibili nella navigazione fluviale che in quella marittima. Nel 1838 il Sirius, piroscafo a ruota laterale e con caldaie alimentate da acqua distillata, effettuò la prima traversata dell’Atlantico interamente a vapore; nel 1840 il Great Western iniziò servizi regolari di piroscafi postali a propulsione mista; nel 1843 il Great Britain adottò l’elica. Fu attorno al 1860 che si verificarono progressi decisivi; l’elica eliminò definitivamente la ruota a pale e verso il 1880 sparì la velatura ausiliaria. Il vapore, inoltre, era un’innovazione labour saving, poiché consentiva di ridurre gli equipaggi. Dal 1860 – 65 i piroscafi ebbero il monopolio del traffico dei passeggeri e degli emigranti verso gli Stati Uniti e anche quello del trasporto delle merci pregiate. All’inizio del XX secolo acquisirono una definitiva supremazia. Le prime petroliere collegarono Stati Uniti ed Europa nel 1870 assumendo un ruolo importante nei traffici internazionali. La predominanza inglese in materia di costruzione navale rimase un elemento chiave fino alla prima guerra mondiale. Le nuove imprese si specializzarono nella sola funzione di trasporto. Prima del XIX secolo non esisteva un servizio regolare di navigazione oceanica. Nel 1818 per la prima volta armatori americani istituirono una linea i cui velieri partivano da New York e da Liverpool. Il sistema venne imitato dalle compagnie delle navi a vapore. Sovvenzionate dal governo per il servizio postale si assicurarono il traffico più redditizio. Una delle opere fondamentali del XIX secolo fu l’apertura dell’istmo di Suez che mise in comunicazione il Mediterraneo e il Mar Rosso. Lesseps progettò anche l’istmo di Panama che venne ripreso e completato dagli Stati Uniti con finanziamenti governativi nel 1914. Le conseguenze economiche I mezzi di trasporto possono svolgere una funzione “passiva” (trasferimento spaziale di beni e persone) ed una “attiva” (promotori e moltiplicatori dello sviluppo). Le maggiori conseguenze furono i ribassi dei prezzi dei noli marittimi e la discesa costante delle tariffe ferroviarie. Le città poterono rifornirsi più facilmente di derrate alimentari, energia e beni di consumo. La geografia economica venne cambiata. In generale, le ferrovie facilitarono l’integrazione dei mercati nazionali ed internazionali e una più razionale allocazione di risorse economiche. La costruzione delle reti ferroviarie nazionali innescò una catena con altri settori del sistema economico (backward e forward linkages). Tra le prime, la mobilitazione del credito per finanziare gli investimenti. La ferrovia giocò il ruolo di motore dello sviluppo economico. Tra i forward linkages vanno ricordati l’estensione dei mercati, la crescita del settore agroalimentare e la maggiore mobilità delle materie prime; ma anche del mercato del lavoro. Le ferrovie americane furono le prime grandi imprese a struttura multidivisionale. Per i conteggi relativi a passeggeri, merci, tariffe, percorrenze, orari e redditività si adottarono innovative tecniche di accounting, utilizzando anche i nuovi sistemi meccanografici. Il telegrafo e la globalizzazione dell’informazione Importante innovazione fu il telegrafo ottico (sistema di trasmissione di segnali tra postazioni in contatto visivo) presentato durante la rivoluzione francese (1792) dal fisico Claude Chappe. Dal 1830 il suo uso si aprì anche alla comunicazione commerciale contribuendo alla propaganda dei “sistemi di rete”. Cooke e Wheathstone svilupparono scoperte precedenti, ma il contributo più originale venne dall’americano Morse (1835) che, a partire dal 1843, consentì di mettere in comunicazione in tempo quasi reale città e continenti diversi, unificando il mercato mondiale da quando i fondali marini vennero solcati da cavi. La simbiosi telegrafo/ferrovia estese così i suoi effetti anche al mercato finanziario: la “railways mania" degli anni 1840 – 1850 ampliò l’attività della Borsa di Londra facendo sorgere una dozzina di borse in provincia che comunicavano grazie al telegrafo”. Anche nel telegrafo le risorse finanziarie vennero in certi casi dal pubblico per poi passare al privato (USA) o viceversa. Il passaggio di informazioni divenne ancora più rapido con l’avvento del telefono (inventato da Antonio Meucci nel 18611862) che trasmetteva 100 – 200 parole al minuto senza alcun operatore presso gli utenti. Solo a fine secolo l’uso si estese alla comunicazione privata. Infine le prime trasmissioni radio di Guglielmo Marconi nel 1896 aprirono la strada per l’invenzione della radio e la creazione di un sistema di comunicazione di massa. 5.Scambi internazionali e sistemi monetari L’Europa e l’economia mondiale Nel corso dell’Ottocento il commercio internazionale conobbe un incremento prodigioso. Con la rivoluzione dei trasporti il mondo intero divenne un mercato unico in cui merci, uomini, capitali, idee conobbero una mobilità mai vista prima. A causa della preponderanza britannica e della stabilità della sterlina, l’economia internazionale si mantenne durevolmente sotto il segno del gold standard. Nel periodo compreso tra il 1815 e la prima guerra influirono sull’intensificazione delle relazioni commerciali e finanziarie internazionali: 1. il progresso tecnologico: il settore inglese dipendeva per le materie prime dall’Asia e le Americhe. Flusso opposto ebbero prodotti tessili, ferro e acciaio, prodotti chimici e ingegneristici. Il fenomeno dell’imitazione industriale permise di sostituire beni importati con beni prodotti internamente. 2. il forte aumento delle risorse naturali 3. la rivoluzione dei trasporti: si pensi ai canali (Suez, Panama, Rotterdam), che ridussero i costi di trasporto. 4. la crescita della popolazione mondiale: passaggio da 0,9 a 1,6 miliardi di abitanti. Le emigrazioni stabilirono legami culturali, oltre che economici (ad esempio, l’uniformarsi di salari e stipendi dei diversi continenti). 5. l’accumulazione di capitali: l’unica nazione in grado di autofinanziarsi inizialmente fu l’Inghilterra, ma successivamente molti Paesi followers accelerarono tale performance. L’affermazione del liberismo e lo sviluppo del commercio internazionale Ottimismo 600700 anche in Africa dove vi era il Po Nel corso dell’Ottocento lo sviluppo del commercio internazionale conobbe un incremento straordinario. Il tasso di crescita più elevato del commercio internazionale si ebbe nel periodo del libero scambio (1842 1873). Dopo vi fu un incremento, ma meno accentuato, a causa del protezionismo. L’incidenza del commercio internazionale è tanto più rilevante sul PIL quanto più lo Stato è piccolo e specializzato in alcuni settori, infatti Olanda e Danimarca erano Paesi molto aperti. Vi fu inoltre un processo di multilateralizzazione, ovvero il processo per il quale non fu più necessario aver una bilancia commerciale in pareggio con ogni singolo partner, permettendo maggiore flessibilità. L’Inghilterra fu il primo Paese a rompere con la tradizione mercantilistica grazie alla scuola classica e in particolar modo a David Ricardo. Il pensiero economico liberista riteneva che una volta rimosse le barriere naturali bisognasse superare anche le barriere artificiali composte essenzialmente da dazi e proibizioni su beni importati ed esportati. Il libero commercio internazionale si doveva inoltre estendere alla specializzazione del lavoro, aumentando la produttività globale del sistema economico internazionale e rendendo più efficiente l’uso di risorse. Essa costituiva un potente fattore di modernizzazione, in quanto da un lato permetteva di importare materie prime strategiche e tecnologia avanzata, dall’altro di esportare prodotti manifatturieri anche di non eccelsa qualità consentendo alle industrie dei Paesi inseguitori di consolidarsi. Si è concluso che il protezionismo elevato abbia solo effetti negativi, Con l’allargamento dei mercati internazionali dei beni, del lavoro e della finanza prese corpo una vera e propria economia internazionale, che imponeva ad ogni Paese di prestare attenzione alla sua bilancia dei pagamenti, lo strumento contabile di confronto tra tutti i pagamenti da effettuare all’estero con tutti i pagamenti ricevuti dall’estero. La bilancia dei pagamenti è per definizione in pareggio. Lo squilibrio si colloca a livello di bilancia delle partite correnti che è la somma algebrica dei saldi : 1)della bilancia commerciale = esportazioni – importazioni . 2)delle partite invisibili, cioè dei redditi da investimenti nazionali all’estero ed il reddito da investimenti stranieri nel paese 3)dei trasferimenti netti o rimesse degli emigranti 4)bilancia degli interessi e dei dividendi Se il saldo è positivo si dovrà ricorrere ad esportazioni di capitali e tale operazione in genere non produce effetti negativi sull’economia interna. Se invece è negativo il Paese dovrà fare affidamento sulle riserve o chiedere prestiti o intervenire sulle variabili economiche interne. Sebbene la bilancia commerciale britannica fosse costantemente in deficit (gli emigrati trasferivano più di quanto facessero rientrare in patria), l’aumento continuo degli investimenti inglesi all’estero accrebbe il saldo delle partite correnti, delle entrate per dividendi e per interessi, fino a registrare una bilancia (totale) dei pagamenti positiva e permanente. Non vi fu dunque mai un deficit della bilancia dei pagamenti britannica durante il XIX secolo. Questo fu uno dei principali elementi di forza della sterlina, che divenne la moneta di riferimento nel sistema monetario internazionale definito gold standard (regima aureo) creatosi per far fronte intensificazione di rapporti commerciali e finanziari fra i diversi Stati. In una situazione che coinvolgeva una quantità di diverse valute bisognava creare un efficiente mercato di cambio valutario. La soluzione venne trovata in un regime monetario che prevedeva la formazione di una unità di conto in cui tutte le valute potessero essere convertite. Precedentemente esistevano economie del monometallismo (oro, come in G.B.) e del bimetallismo (oro e argento: era un sistema più instabile, date le fluttuazioni di valore tra i due metalli; per contrastarle nacque in Francia l’Unione Monetaria Latina, che coinvolse parecchi Stati, ma fallì per la scoperta di nuovi giacimenti). Nota: Il sistema aureo (sinonimo di gold standard) fu necessario poiché l’estensione delle pratiche bancarie aveva dissociato il valore nominale ed il valore reale della moneta: non si commerciava più con monete d’oro e d’argento ma con le banconote, che non avevano valore intrinseco. Bisognava, quindi, che le banche si attrezzassero per disporre di riserve di metalli preziosi per garantire la convertibilità della cartamoneta ad una parità fissata. Poiché non vi era in ogni caso sufficiente oro per convertire tutte le monte, il sistema si reggeva sulla fiducia. In caso contrario, la corsa agli sportelli avrebbe provocato il collasso (vedi Eco. Pol.II). Questo sistema si reggeva quindi su rigorose regole. Quando un Paese era in deficit, dovendo pagare il suo deficit in oro, doveva limitare la crescita o diminuire la massa monetaria provocando un ribasso dei prezzi interni e un freno alla domanda. Diminuivano così le importazioni ma potevano aumentare le esportazioni. In questo modo si tornava in equilibrio in modo automatico. Quando però un Paese presentava un avanzo spesso non rispettava le regole del gioco e l’onere ricadeva sul Paese in deficit costringendolo spesso a uscire dal gold standard e lasciar fluttuare la propria moneta. Questo implica che, se il gold standard ha funzionato, era stato grazie ad un periodo (il XIX secolo) di estrema stabilità, soprattutto per quanto riguardava la sterlina (che ispirava una fiducia incondizionata) e non è stato quindi il gold standard a generare stabilità. Riassumendo: all’inizio l’oro eliminò l’argento, poi il gold standard eliminò l’oro, quindi la sterlina, associata al gold standard, divenne, di fatto, l’unità di conversione internazionale. ALBERT CARRERAS Il XX secolo, la rottura e prosperità 1.Il punto di partenza Gli anni dal 1900 al 1914 erano quelli della Belle Epoque e dell’Inghilterra eduardiana. L’economia mondiale risultava globalizzata. Il tratto dell’economia del principio del XX secolo è la convergenza dei redditi pro capite. Va ricordato che i passaporti erano l’eccezione e non la regola; che l’emigrazione era libera e che erano milioni gli europei, soprattutto i contadini,che abbandonavano le loro terre del Nord, Sud, dell’Est e dell’Ovest dell’Europa alla ricerca di maggiori guadagni nelle Americhe. I poveri di oggi non hanno le stesse opportunità: non possono emigrare verso i Paesi dell’Unione Europea perché non è permesso loro di entrare. La chiara leadership dei britannici semplificava il mondo e facilitava gli scambi. Il modello andò in rovina quando altri Paesi lo misero in discussione: la Germania, la Russia e gli Stati Uniti con il loro isolazionismo, nel 1919.(per moti emigranti Europa Oriente.) L’origine delle più importanti multinazionali, infatti, si può far risalire al principio del XX secolo. 1.Crescita e trasformazione dell’economia La crescita secolare Nel complesso, l’economia del mondo aumentò più di dodici volte. Il risultato della minore crescita europea è evidente. Al contrario di quello che successo nel XIX secolo, quando l’Europa conquistò una posizione economica egemonica nel mondo, nel XX secolo si è assistito ad un decremento abbastanza continuo, che non sembra interrompersi. Il fenomeno si spiega con l’evoluzione demografica con una crescita della popolazione europea alla metà del ritmo di quella mondiale ma l’aumento relativo del benessere pro capite europeo ha compensato parte del calo. Durante il XX secolo il benessere degli europei si è accresciuto più che nell’insieme del mondo. L’evoluzione demografica Durante il secolo i Paesi europei sono cresciuti di circa 300 milioni di abitanti, qualcosa di più del 60%. I sette Paesi più popolati avevano l’88% della popolazione totale. Era l’epoca delle grandi potenze. Nei “transwar years”, dal 1913 al 1950, la crescita demografica europea fu molto più lenta. Interessante il dinamismo scandinavo dovuto alla combinazione di un’elevata crescita e di politiche di sostegno alla natalità. L’eccezione è dell’Olanda che guida gli incrementi di popolazione. Dopo il 1950 e fino al 1998, il ritmo globale di crescita aumenta come frutto dell’ottimismo del dopoguerra. Le eccezioni sono l’Ungheria e la Bulgaria. In realtà, l’alta crescita della seconda metà del ‘900 è concentrata nel terzo quarto del secolo. Nell’ultimo decennio il comportamento demografico dell’Europa orientale è di stagnazione completa mentre l’Europa occidentale mostra una maggiore capacità di crescita. I tassi di mortalità, specialmente quella infantile, declinarono fortemente e l’effetto più rilevante è stato quello di una speranza di vita alla nascita in costante aumento. L’Europa fu, durante tutto il XIX secolo, un continente di emigrazione. Nel periodo tra le due guerre (gli “interwar years”) i Paesi dell’Europa occidentale cominciarono ad attrarre immigranti. Le periferie mondiali ed orientali continuarono l’emigrazione verso l’America. Nel complesso, le perdite di popolazione dominavano ampiamente il panorama europeo. Dopo la 2° guerra mondiale la capacità di attrazione di immigranti da parte dell’Europa occidentale ebbe un decollo. Venivano dal Sud e dall’Est dell’Europa e dalle ex colonie. Solo negli anni ’60 l’Europa si trasforma in un continente di immigrazione netta. Il potenziale economico Nel “The Rise and Fall of Big Powers”, Paul Kennedy spiegò la competizione tra le grandi potenze facendo ricorso allo sviluppo del loro PIL. Le sei maggiori potenze cumulavano l’85% circa del PIL. Il PIL è il risultato della moltiplicazione della popolazione per il reddito pro capite. Nell’Europa del 1914 aveva importanza anche il PIL coloniale. Le analisi più recenti di Maddison consentono di assegnare valori di reddito pro capite alle popolazioni delle colonie. Il potenziale britannico è molto superiore a quello dei soli territori metropolitani ed il Regno Unito ora guida in modo incontrastato l’insieme delle grandi potenze europee. Anche l’Olanda cresce molto, senza superare l’Italia. La situazione alla fine del secolo XX cambia, i grandi imperi coloniali dotazioni di capitale umano, fanno, di quelle europee, economie ad alta intensità di capitale. La fabbricazione degli strumenti, o dei prodotti che sfruttano le nuove tecnologie, ha incoraggiato la formazione di imprese di grandi dimensioni dedicate specificamente a questo scopo. La parte più consistente del capitale fisico viene denominata “capitale non residenziale” (investito in impianti, infrastrutture, fabbriche). La proporzione del capitale propriamente produttivo rispetto al PIL indica il grado d’intensità “capitalista” dell’economia. Agli inizi del XX secolo, la Gran Bretagna aveva visto aumentare le sue necessità di “capitale non residenziale” per unità di PIL, ma moderatamente. Il rapporto aumenterà dopo la 2° guerra mondiale. Gli altri Paesi europei costituivano, verso il 1950, economie a molto più alta intensità di capitale rispetto a quella britannica. Attualmente il capitale fisico “non residenziale” rappresenta approssimativamente il doppio del PIL dei Paesi europei avanzati. La crescente complessità scientifica e tecnologica ha richiesto un forte investimento di capitale umano. Un modo ampiamente accettato di avvicinarsi alla definizione di questo concetto sfuggente è il numero medio di anni di scolarizzazione in ogni Paese. Il cambiamento strutturale: la decadenza dell’agricoltura Il settore terziario sostituisce l’agricoltura e l’industria, e, alla fine del XX secolo, si sarà trasformato nel settore dominante quasi dappertutto. Il tratto dominante del secolo è la caduta della popolazione attiva occupata nell’agricoltura. Verso il 1910 potevano distinguersi quattro Europe. In primo luogo la Gran Bretagna che contava solo un 9% di agricoltori; a grande distanza veniva un blocco di Paesi tra cui il Belgio e la Francia che avevano spostato la loro manodopera dall’agricoltura all’industria. Seguiva la gran parte dell’Europa centro–occidentale. Ad un gradino inferiore, tra il 49 ed il 58% vengono la Svezia, la Grecia, l’Irlanda, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’Ungheria. L’ultimo blocco corrisponde ai Paesi che rimanevano quasi esclusivamente agrari come la Romania. Nel 1950 la tendenza generale era, evidentemente, alla riduzione. Verso il 1980 la graduatoria non è molto diversa, ma le proporzioni sono verso il basso, con diminuzioni che di solito stanno nell’ordine di venti punti percentuali. Nel complesso, il blocco dell’Est ha seguito lo schema di contrazione dell’agricoltura dell’insieme dell’Europa. L’evoluzione fino al 1998 è perfettamente prevedibile nei Paesi europei occidentali: sempre meno agricoltori nell’insieme della popolazione attiva. C’è un’eccezione notevole, la Romania che è seguita dalla Bulgaria… Vi sono indizi per sospettare che verso l’ex URSS si sia prodotto un vero “ritorno all’agricoltura”, per effetto delle grandi difficoltà di sopravvivenza. La prima guerra mondiale comportò una grande scarsità di alimenti e fame per milioni di persone. Dalla fine della guerra la produzione si risollevò. La seconda guerra mondiale tornò a mandare a fondo la produzione agraria. I prodotti non parteciparono ai “rounds” della liberalizzazione. Nessuno tentò seriamente di ridimensionare la produzione agraria e l’occupazione agraria della popolazione. Attualmente, il settore agrario è come qualunque altro settore ma, nell’Unione Europea, è quella che riceve più sovvenzioni attraverso i fondi previsti dalla politica agricola comunitaria e maggiore protezione doganale di fronte al resto del mondo. Ha un potere di negoziazione incomparabilmente superiore a quello di qualunque altro settore. Il cambiamento strutturale: industrializzazione e deindustrializzazione Il XX secolo è stato dominato dalle politiche di industrializzazione. Il prodotto industriale è cresciuto moltissimo, ma ha sofferto le ondate delle due guerre mondiali, della depressione degli anni Trenta e, a partire dal 1975, della crisi industriale più profonda del secolo, che è culminata nel processo di “deindustrializzazione”. Nel 1960 la tendenza era di una crescita netta della proporzione di popolazione attiva dedita all’industria. Occorre mettere in evidenza il declino della Gran Bretagna, che è l’unico Paese europeo a procedere verso una deindustrializzazione. Il risultato è che si è completata la creazione di un’area intensamente industriale nel cuore dell’Europa, con percentuali di popolazione dedita all’industria che si avvicinano al 50%. L’esperienza della Gran Bretagna, che aveva raggiunto il suo “tetto” industriale, nel 1911, con un 52%, risulterà irripetibile. Il Belgio raggiungerà il suo massimo verso il 1947. Tutti gli altri Paesi tra il 1960 e il 1980. Nel 1980 i Paesi dell’Est sono molto meglio piazzati ed i Paesi dell’Europa centrale costituiscono il nucleo industriale dell’Europa. La Gran Bretagna e il Belgio si trovano ben lontani dalla testa. I Paesi scandinavi sono in basso alla graduatoria. La Grecia torna a mostrarsi in grande ritardo;gli altri Paesi balcanici si sono caricati di un vero e proprio furore per l’industrializzazione, tra il 1960 ed il 1980. Tra i Paesi dell’area capitalista, solo l’Irlanda condivide l’intensità di tale esperienza. I Paesi dell’area d’influenza sovietica, verso il 1988 – 1989, staranno ormai per conquistare i primi posti in termini di specializzazione industriale. Sottoposte allo shock del transito accelerato da economie autarchiche e pianificate ad economie aperte e di mercato, le specializzazioni industriali si sgretoleranno. I crolli di più di 15 punti, in 9 anni, indicano una vera e propria rivoluzione. La composizione interindustriale: dal tessile all’elettronica La suddivisione più frequente dell’attività industriale manifatturiera è in 6 settori: alimentazione, bevande e tabacco; tessili e confezioni; produzione di metalli; lavorazione di prodotti metallici; chimica ed altri settori. Fino al 1975 il settore in maggiore regresso relativo è stato il tessile, seguito dall’alimentazione e, in ultimo, dalla produzione di metalli. Al contrario, la lavorazione di prodotti metallici e la chimica sono state in piena espansione. I Paesi industriali emergenti tendono a specializzarsi nei settori manifatturieri più maturi dove la nuova tecnologia ha scarso impatto. I Paesi più avanzati tendono a collocarsi nei settori più progrediti dove la componente del capitale umano è cruciale. I Paesi con dotazioni più equilibrate puntano su tecnologie intermedie e su settori ad elevata intensità di capitale fisico. I Paesi ad industrializzazione forzata, dopo la 2° guerra mondiale, privilegiano i settori a tecnologia più avanzata, di modo che, verso il 1973, c’erano poche differenze all’interno dell’industria dell’Europa occidentale e di quella orientale. Nei Paesi dell’Europa occidentale e meridionale il settore ad alta intensità di lavoro poco qualificato è in declino; viceversa, il settore che ha maggiori esigenze di capitale fisico e di lavoro qualificato continua a crescere nell’Ovest ma sta soffrendo contrazioni notevoli nell’Est. L’auge della grande impresa industriale Sebbene il protagonismo nordamericano fosse indiscutibile è evidente il fatto che il Regno Unito e la Germania avessero quasi lo stesso numero di colossi industriali e che gli altri Paesi dotati di grandi imprese fossero, oltre alla Francia, la Russia, il Belgio ed il Lussemburgo. Tra le britanniche c’erano un paio di imprese tessili (inclusa la maggiore multinazionale tessile del mondo, la Coats), un paio di tabacco, una di birra (la Guinness), un’alimentare (la Lever), due di miniere non ferrose, tre di industria pesante, una di chimica ed una petrolifera. Le grandi imprese tedesche erano concentrate in 4 settori: 7 nella siderurgia e nell’industria pesante, 3 nella chimica, 2 nel minerario del carbone e 2 in quello del materiale elettrico (Siemens). Tra quelli francesi, le compagnie minerarie dominavano. La nazionalizzazione del 1945 le annientò tutte. Nel caso di quelli russi furono tutti nazionalizzati con la rivoluzione del 1917. Malgrado le nuove tecnologie è predominante il peso della prima industrializzazione come quelle tessili… Solo le imprese tedesche produttrici di materiale elettrico, AEG e Siemens, venivano associate alle nuove tecnologie. Verso il 1937 sorgono grandi imprese chimiche e petrolifere mentre scompaiono le tessili e siderurgiche e le minerarie. Nel 1958 l’insieme dei colossi imprenditoriali legati all’automobilistico è già dominante. La chimica ed il materiale elettrico completano la terna delle imprese dotate di nuove tecnologie. Verso il 1973 entrano in scena le imprese farmaceutiche. Venticinque anni dopo esse si sono moltiplicate e costituiscono la forza tecnologica ed industriale dell’Europa. Brillano per la loro assenza le imprese del settore informatico mentre vi sono grandi imprese per le telecomunicazioni. Solo quelli che sono riusciti a sviluppare le nuove tecnologie si sono adattati alle nuove condizioni del mercato mondiale. La diversificazione dei servizi La legge di Clark, secondo la quale alla crescita dell’industria sarebbe seguita quella dei servizi, si è attuata con una precisione straordinaria. Il processo ha avuto varie fasi: • La prima fu costituita dallo sviluppo dei servizi moderni per il XIX secolo: l’auge dell’impresa moderna e l’apertura di nuovi tipi di lavoro per le donne, completò lo scenario di crescita del settore dei servizi tra il 1913 ed il 1950; • La seconda con la crescita dello Stato del Benessere (Welfare); • La terza fase ha origine nella decade del 1980 quando comincia la rivoluzione informatica ed esplode nel decennio seguente, quando l’informatica si combina con le telecomunicazioni. I Paesi con reddito pro capite più elevato sono andati più avanti nel cammino della terziarizzazione. I dati del 1998 fanno notare come sia molto interessante che la prima impresa di servizi europea non fosse altro che l’ottava, se la classificassimo insieme con quelle industriali. Le attuali imprese di telecomunicazione hanno sostituito le antiche grandi imprese di trasporto. Sono i grandi Paesi europei ad avere grandi imprese di telecomunicazione. La presenza dell’Italia è eccezionale. Lle imprese tedesche occupano un posto molto avvantaggiato tra quelle di servizi, ma non le francesi. Alcuni piccoli Paesi, che eccellono nel campo dell’industria, come la Svezia, non ottengono successi equivalenti nel campo dei servizi. La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aprì le porte alla riunificazione della RFT e della RDT avvenuta nel 1990. Questa modifica ha fatto in modo che la sua economia fosse, alla fine del XX secolo, la maggiore dell’Europa. Per l’economia francese del XX secolo, le due guerre furono devastanti poiché la Francia le subì sul proprio territorio. Il periodo tra le due guerre fu dominato dalla stagnazione demografica e dell’arretramento economico. Il secondo dopoguerra fu molto diverso dal primo. La Francia inaugurò una lunga fase di crescita. Con la scommessa della CEE, la Francia riuscì ad accrescere i suoi mercati e ad eliminare i rischi di un conflitto con l’antico nemico: la Germania. Con le crisi del petrolio, la Francia seguì una strategia di espansione della domanda. La coincidenza, nel 1981, dell’ingresso al governo di una maggioranza di sinistra provocò una svalutazione del franco rispetto al marco. L’impatto politicamente negativo fu tale che nessun governante francese ha osato, dopo il 1981, staccarsi dal marco. Verso l’anno 2000 l’economia francese è la seconda economia europea per le dimensioni del suo PIL, superata solo da quella tedesca. Di tutti i grandi Paesi europei che si avversarono nella grande guerra, l’Italia è quella che ha goduto dei tassi di crescita più elevati durante il secolo. L’iniziale neutralità, nella prima, e la lontananza dai fronti di guerra consentirono all’economia italiana di prosperare durante gli anni del conflitto bellico. Il dopoguerra, invece, fu molto duro. Il periodo italiano tra le due guerre è originale, perché quasi tutto (dal 1922) è dominato dal regime fascista. La ricostruzione, invece, fu un successo completo; l’Italia, come la Francia e la Germania, utilizzò i fondi del Piano Marshall. Riuscì anche ad inserirsi nei circuiti commerciali intereuropei, che diedero luogo alla CEE. Il miracolo cominciò a dissiparsi dopo il 1962 ma durò ancora per 11 anni. L’Italia è stata la patria di alcune delle politiche più originali del secolo. E’ il caso del salvataggio di banche ed industria e delle politiche di sviluppo regionale. Negli ultimi due decenni l’Italia fu un esempio per gli ideatori di politiche industriali. Il XX secolo è il secolo dell’Unione Sovietica. La sua origine, nel 1917, e la sua fine, nel 1991, segnano i momenti culminanti del secolo. La nascita dell’URSS è stata percepita come un risultato inevitabile del fallimento dello zarismo. I bolscevichi ebbero la loro opportunità nell’ottobre del 1917, la presero al volo e non la mollarono per nessun motivo durante quasi tre quarti di secolo. Tuttavia ,nel 1991, l’URSS si dissolse. Modelli nazionali di crescita. I destini delle periferie I Paesi europei che più sono cresciuti nel XX secolo hanno un tratto in comune: sono situati nella periferia dell’Europa occidentale. Tutti questi Paesi erano, agli inizi del XX secolo, relativamente poveri tranne la Svezia. Al principio del XX secolo, nel 1905, la Norvegia ottenne l’indipendenza dalla Svezia. Nel 1920 la Finlandia ottenne l’indipendenza dall’URSS. L’elemento dominante dell’esperienza economica scandinava del XX secolo è la velocità e la continuità della sua crescita. La parziale neutralità durante le due guerre mondiali ed il modesto impatto della crisi degli anni ‘30 fecero si che tale economia godesse di una crescita superiore a tutti gli altri Paesi europei nel periodo dei “transwar years”. L’uscita scandinava dalla crisi ebbe una forte componente di “nuovo contratto sociale”, con politiche di benessere. La ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale e la golden age fornirono a questi Paesi mercati in espansione ed un contesto internazionale molto favorevole. La crisi del petrolio li colpì tutti, anche se la Norvegia, grazie al petrolio del Mare del Nord, riuscì ad emergere tra tutti i Paesi europei. Furono anche colpiti dalla crisi europea dei primi anni ‘90, soffrì di più la Finlandia. La Finlandia era orientata al commercio di intermediazione con l’Unione Sovietica, la caduta comportò la perdita di questo lucroso commercio. Per questo motivo dovette orientare diversamente la sua economia e specializzarsi in nuove attività come l’elettronica e le telecomunicazioni. Nell’estremo occidentale dell’Europa, l’Irlanda, dopo l’indipendenza del 1920, crebbe alla velocità della Gran Bretagna. Fu neutrale nella seconda guerra mondiale, ma riuscì a ricevere gli aiuti del Piano Marshall. Un certo autarchismo, di matrice agraria, dominò la politica economica fino alla fine del decennio del 1950. Essa non partecipò alla CEE, né all’EFTA. L’integrazione nella Comunità Europea, nel 1973, fu poco propizia. Non le rimase che sperare in nuove tendenze espansive soprattutto a partire dal 1993. Alla fine del decennio del 1980 l’Irlanda decise di aprirsi completamente agli investimenti esteri. Da Paese con livelli di disoccupazione molto alti, è passato ad essere un Paese importatore di manodopera. Nel primo terzo del XX secolo il Portogallo ebbe una vita politica convulsa. La soluzione più stabile, una dittatura repubblicana, imposta da Salazar nel 1927, sarebbe durata fino al 1974. Il Portogallo fronteggiò bene la crisi degli anni ‘30 ed ebbe il suo momento migliore durante la seconda guerra mondiale (fu neutrale) e nell’immediato dopoguerra. Crebbe con progetti autarchici, nonostante facesse parte dell’EFTA, nelle decadi del 1950 e del 1960. Il Paese subì il salasso economico ed umano delle guerre coloniali, dal 1961 al 1974. Con la “rivoluzione dei garofani”, che pose fine alla dittatura di Salazar nell’aprile del 1974, il Portogallo inaugurò una nuova fase. Il suo eccellente tasso di crescita, durante il secolo, conferma il successo dei suoi sforzi di convergenza. La Spagna fu neutrale durante la guerra europea. “Naturalizzò” tutti gli investimenti stranieri e riuscì a dotarsi, fino al 1936, della quarta maggiore riserva d’oro del mondo, che dilapidò nel corso della guerra civile. Benché la Spagna avesse goduto di forte espansione negli anni ‘20 ed una blanda depressione nella prima metà degli anni ‘30, la sua vita politica e sociale fu molto agitata, fino alla guerra civile lunga (dal 1936 al 1939) e sanguinosa. La seconda guerra mondiale non fu messa a frutto dalla Spagna. L’alleanza con le potenze dell’Asse la privò completamente di capacità di manovra. Solo con la sopravvivenza del regime la crescita economica si mise in moto. Nel decennio del 1950 la crescita si realizzò in un sistema essenzialmente autarchico, che si rese maggiormente flessibile nel 1959. Il turismo, le rimesse degli emigranti e gli investimenti esteri aiutarono la ristrutturazione dell’economia spagnola che dal 1960 al 1973, crebbe molto in fretta. La crisi petrolifera segnò anche per la Spagna la fine della golden age. I nuovi impulsi di crescita sono derivati dall’integrazione nella CEE e nell’economia internazionale. La Grecia ha uno dei migliori risultati globali in termini di crescita. Agli inizi della decade del 1920 dovette accogliere i 2 milioni di greci che fuggirono dalla Turchia. Occupata durante la seconda guerra mondiale dalle truppe dell’Asse, la Grecia subì notevoli distruzioni che durarono fino al 1949 a causa della guerra civile. La Grecia, che si integrò nella Comunità Europea nel 1980, non è riuscita a trasformare gli aiuti comunitari in una leva di modernizzazione economica. A fronte dei successi più o meno precoci delle periferie occidentali, vi sono i fallimenti della periferia centro orientale. Corrispondeva a tutti gli Stati che si estendevano tra l’URSS, la Germania e l’Italia. Dedicarono gli anni ‘20 a dotarsi di una minima struttura statale ed a costruirsi un’identità nazionale, vi riuscirono parzialmente. L’economia rimase nel dimenticatoio e, quando la crisi degli anni ‘30 si impose, si trovarono esposti al rischio di dittatori molto spesso fascisti. Dopo la seconda guerra mondiale, rimasero quasi completamente sotto il controllo sovietico, con scarsissime eccezioni: la Finlandia e l’Austria. L’Austria è stata l’economia dell’Europa occidentale che ha passato peggio tutto il periodo dei “transwar years”. La dissoluzione dell’impero diede origine ad un Paese con un capitale smisuratamente grande per il suo livello di attività. Dopo un modesto recupero negli anni ‘20, il crack borsistico di New York scosse le deboli fondamenta della nuova economia austriaca. La prolungata crisi si superò solo durante l’Anschluss ossia l’assorbimento dell’Austria nello spazio economico nazista. I “buoni anni” finirono con l’occupazione alleata nel 1945. Il miracolo austriaco fu che l’occupazione alleata finì senza divisioni territoriali, ma la contropartita fu una costruzione lenta, Dal 1925 le grandi invenzioni americane (ad esempio: l’automobile, grazie a Ford, e gli elettrodomestici), sviluppate mentre altrove si combatteva, arrivarono in Europa. Il piano Dawes voleva incoraggiare i Governi a tornare al sistema aureo, simbolo di stabilità e prosperità. La G.B. accettò nel 1925, l’Italia nel ’27, la Francia nel ’28. Questo ritorno, tuttavia, si realizzò mediante sopravvalutazioni eccessive delle monete e ciò portò alla recessione. Altri due importanti squilibri erano: 1. il bisogno di ristrutturazione o “deflazione strutturale”: le guerre distrussero campi fertili e stimolarono la nascita di industrie belliche di difficile riconversione; inoltre le esportazioni in Paesi che ormai erano tornati alla normalità generarono eccesso di offerta, quindi un ribasso dei prezzi. 2. l’isolamento americano: a parte la totale indifferenza alla ricostituzione della pace e la non partecipazione ai trattati, ad incidere pesantemente fu soprattutto l’improvvisa chiusura all’immigrazione (basata sull’imposizione di una quota, sistema tutt’oggi in funzione); la concorrenza dei poveri immigranti era un problema per le classi salariate statunitensi. Visto l’impoverimento europeo c’erano più motivi di prima per emigrare in America. Oltre a questo, gli Stati Uniti attuarono, per la prima volta, misure protezionistiche. Queste chiusure portarono benessere in America fino a far nascere “l’American way of life”. In un ambiente pieno di sicurezza, nel quale tutti i commerci funzionavano, si estese notevolmente l’investimento in borsa. Ma i dati dei profitti, dopo l’estate del ’29, indicavano un raffreddamento del mercato, sino a giungere, in Ottobre, al venerdì nero. Il meccanismo iniziale della crisi fu, essenzialmente, creditizio: troppi avevano comprato azioni a credito, e le banche si affrettarono a reclamare tali crediti, mettendo in moto la contrazione. Particolare fu la reazione totalmente assenteista della Federal Reserve (FED): essa pensava che la crisi fosse dovuta ad una sopravvalutazione di imprese marginali e a degli azzardi eccessivi da parte delle banche. La critica più autorevole fu quella di Friedman che sostenne che la FED dovesse combattere tanto l’inflazione quanto la deflazione, emettendo moneta. Mentre la crisi borsistica si trasformava in crisi bancaria e finanziaria, sorse un altro problema: per ripicca, gli altri Paesi aumentarono i dazi sui prodotti americani, scatenando una guerra commerciale. Per sfuggire a questo clima di tensione, la soluzione era svalutare, ma per farlo bisognava uscire dal gold standard. Con grande sorpresa, il primo Stato a farlo fu quello più conservatore: l’Inghilterra che, dimenticando i suoi dogmi economici ormai superati, fronteggiò bene la crisi. Anche altri Paesi la subirono con leggerezza (la Danimarca non ebbe alcun calo del PIL) o con brevità (Italia e Spagna, la seconda soffrì piuttosto la guerra civile). I Paesi Balcanici, invece, erano talmente arretrati che quasi non se ne accorsero. Anche l’URSS era una storia a parte, impegnata nell’industrializzazione pubblica, denominata “forzata”. L’uscita dalla crisi, però, aveva sempre due elementi comuni: il protezionismo e l’intervento pubblico (Roosvelt per gli USA, l’autarchia di Hitler in Germania e quella i Mussolini in Italia). La seconda Guerra Mondiale: cosa succedeva nei vari Paesi? La seconda guerra mondiale fu molto più devastante della prima. Morirono 16 milioni di militari e 26 milioni di civili. Il PIL tedesco aumentò, negli anni della guerra, grazie allo sfruttamento dei Paesi occupati. In alcuni Paesi, per contro, esso crollò di 2/3. L’URSS, nonostante si fosse preparata al conflitto, perse grandi territori ed un quarto di PIL. La Gran Bretagna fece leva sulle sue risorse imperiali e su quelle in prestito dagli Stati Uniti, senza le quali avrebbe avuto seri problemi. Nacque in questo periodo il “miracolo americano”: con la contesa lontana dai suoi confini, gli USA raddoppiarono il loro PIL, lavorando come mai prima di allora. I Paesi neutrali furono Portogallo, Svezia e Svizzera. Finlandia e Spagna furono non belligeranti per altri motivi: la Svezia aveva perso territori a favore dell’URSS, mentre la Spagna era appena uscita dalla guerra civile. La Svizzera fece la sua fortuna, prima riciclando il denaro tra i due blocchi, poi, nel ‘45, quando la sua neutralità attirò molti nazisti ed i loro grandi capitali. Preparando la ricostruzione Sebbene le distruzioni della seconda guerra superarono quelle della prima, il secondo dopoguerra sperimentò una crescita mai vista, questo per i seguenti motivi (che corrispondono all’esatto opposto di quanto accaduto dopo la prima): 1. Volontà di cooperazione, soprattutto tra G.B. e USA 2. La non indifferenza degli Stati Uniti verso i Paesi in ricostruzione 3. L’aver imparato una lezione importante: non massacrare di debiti le nazioni sconfitte 4. L’istituzione di una nuova architettura internazionale. Riguardo a quest’ultimo punto, a Bretton Woods, negli USA, si svolse una conferenza che fissò un orizzonte, verso il quale incamminarsi, ancora oggi in vigore, con la fondazione di: 1. OCI: Organizzazione del Commercio Internazionale, non arrivò nemmeno a nascere, e fu sostituito con il GATT 2. BIRS: la Banca Mondiale, che doveva contribuire agli investimenti di lungo termine 3. FMI o Fondo Monetario Internazionale: (il più importante) si occupò della difesa di un sistema a cambi fissi, talvolta finanziando Paesi deboli perché non soffrissero i deficit con l’estero. Senza FMI, il mondo avrebbe conosciuto una crescita decisamente inferiore, anche il Piano Marshall se fu molto più sbalorditivo. Ricostruzione postbellica, divisione in blocchi e integrazioni regionali Nei primi due anni del dopoguerra, le Nazioni Unite per l’Aiuto e la Ripresa (UNRRA), aveva l’obiettivo della sopravvivenza dei Paesi in crisi per colpa del conflitto. Anziché applicare subito, prematuramente, quanto detto a Bretton Woods, gli Stati Uniti, vista la corsa dei Paesi europei all’importazione di beni americani, proposero il piano Marshall (chiamato così dal Generale G. Marshall, l’allora Segretario di Stato), detto anche ERP: European Recovery Program. Gli aiuti raggiunsero la cifra di 13 miliardi di dollari dell’epoca. L’obiettivo era il finanziamento, appunto, delle importazioni di cui l’Europa aveva bisogno. Gli USA eliminarono il plafond (tetto massimo) per la Germania, facilitando l’industria europea, notoriamente tedescodipendente. Gli effetti negativi furono la divisione della Germania (nel 1961 fu costruito il muro di Berlino) e la divisione, anche economica, dell’intera Europa in due blocchi, con la nascita della cosiddetta “guerra fredda”. Nel 1949 la svalutazione della sterlina fu un avvenimento straordinario. A seguito di questa tempesta nacquero prima l’UEP (Unione Europea dei Pagamenti), poi la CEE (Comunità Economica Europea), col Trattato di Roma del ’57. Nel ’51, col Trattato di Parigi, era nata anche la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), grazie all’iniziativa del ministro francese Schuman, che ebbe l’idea di rinunciare alla sovranità sulla Germania, dandole la possibilità di crescere e, con lei, l’Europa. Alcune nazioni, prevalentemente i piccoli Stati che commerciavano con l’Inghilterra, restarono al di fuori della CEE ed entrarono nell’EFTA (European Free Trade Association). Altri, quelli sotto l’influenza sovietica, furono costretti a rifiutare l’offerta del Piano Marshall. Gli americani, sconfitti i comunisti alle urne (in Italia e in Francia), crearono la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico). Per contro, i Paesi comunisti crearono il COMECON, che raggruppava le nazioni socialiste. Quest’organizzazione aveva grandi limiti, derivanti dalle imposizioni russe: 1. gli scambi erano vantaggiosi soltanto per la Russia 2. le negoziazioni erano assoggettate all’autorizzazione sovietica 3. praticamente si commerciava soltanto tra Russia e altri Paesi, e non tra tutti i Paesi 4. la mancanza di competitività data anche dall’ignoranza del prezzo di mercato, fissato arbitrariamente L’emergenza del terzo mondo. La “Golden Age” Il primo mondo è quello sotto l’influenza nordamericana, il secondo, conoscenza di pratiche mercantili occidentali, fu dilaniata dalla guerra. Caso singolare fu quello della RDT (Repubblica democratica tedesca), assorbita dalla RFT. L’assorbimento richiedeva ingenti investimenti. La politica di Khol (simile a quella di Reagan), fu quella di approfittare della potenza economica tedesca per alzare i tassi di interesse ed accogliere capitali dal resto d’Europa. Il peso dell’unificazione fu così effettivamente assorbito dall’Europa intera. Il marco raggiunse livelli incredibili. La risposta collettiva a questo problema fu l’Unione Economica e Monetaria. I criteri di Maastricht agevolarono la riduzione dell’inflazione e l’impegno politico per il contenimento del debito. Le parità fisse vennero approvate nel 1998 e nel 1999 l’Euro era già quotato sui mercati monetari. Subito, per esigenze di sviluppo si svalutò, poi fino a un paio di mesi fa era scambiato ad 1,16, ai posteri l’ardua sentenza. La globalizzazione Ne esistono svariate definizioni. Può essere definito come una crescente interdipendenza economica tra i Paesi del Mondo oppure come un’integrazione mondiale dei mercati. Tra i mercati stessi, si sono integrati molto di più quelli finanziari (borse valori) che non i mercati delle merci e del lavoro. I fattori determinanti sono stati politici economici e tecnologici. Telecomunicazioni, informatica e trasmissione dei dati a distanza sono state le basi per lo sviluppo dell’interconnessione delle borse mondiali. Questo è un effetto della deregulation (liberalizzazione ed alleggerimento dei vincoli, caduta dei monopoli nazionali, privatizzazione delle imprese Statali). Internet ha avuto un impatto inferiore nella UE (Unione Europea) che negli USA, ma non la telefonia mobile. Il 2001 è stato l’anno del crollo borsistico di queste società “tecnologiche”, che tanto ricordano i cicli delle ferrovie ed elettrici. In linea di massima, si è assistito ultimamente ad un fallimento europeo rispetto all’area del dollaro. 3.Le politiche economiche e sociali Il tratto caratteristico dell’economia europea del XX secolo è stato il ruolo crescente dello Stato. Il XX secolo europeo è stato sperimentazione politica. Le politiche dei diritti di proprietà Il processo storico può andare in due direzioni, la statalizzazione o la privatizzazione. Il XX secolo si inaugura con la rivoluzione bolscevica dell’ottobre del 1917, che provocò l’abolizione della proprietà privata e la sua sostituzione con la proprietà socializzata. L’espropriazione su grande scala e senza indennizzo, realizzata dall’Unione Sovietica, fu uno dei fatti economici più importanti del XX secolo e di tutta l’età contemporanea. I settori conservatori rimasero atterriti e si mobilitarono immediatamente contro l’URSS e contro qualunque barlume di politica comunista. L’universo politico delle sinistre restò frammentato. La sinistra moderata, socialdemocratica, che aveva appoggiato la rivoluzione del febbraio del 1917, guidata da Kerenskij, si allontanò completamente da Lenin e dal bolscevismo. L’ingresso dei socialdemocratici al governo, nella Germania del dopoguerra, ad immagine e somiglianza del partito comunista dell’Unione Sovietica raffreddarono ancora di più l’entusiasmo del settore riformista e moderato nei confronti della rivoluzione russa. La grande espropriazione bolscevica colpì non solo la proprietà privata dei cittadini russi ma anche quella degli stranieri, che avevano investito in modo massiccio in Russia, provocando un conflitto diplomatico, che avrebbe bloccato le relazioni tra l’URSS ed i Paesi occidentali per molte decadi. In Spagna, il generale Primo de Rivera espropriò (con indennizzo), nel 1924, tutte le imprese telefoniche e quelle destinate alla raffinazione ed alla distribuzione del petrolio, con l’obiettivo di creare monopolio. In Italia, Mussolini nazionalizzò la grande banca di investimento e tutti i suoi investimenti, a causa della crisi dell’inizio degli anni ‘30. Il “salvataggio” si realizzò nel 1931 ma ebbe il significato dell’appropriazione, da parte dello Stato, del capitalismo italiano. In questo caso non solo lo Stato italiano non dette indennizzi, ma dovette rimettere in sesto con il denaro pubblico le imprese salvate dal fallimento. Mussolini creò l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) per raggruppare le imprese di carattere industriale nelle sue mani. Anche la Germania di Hitler impose la fusione di imprese. L’interventismo di nuovo tipo di Roosvelt, negli Stati Uniti, incoraggiò la sinistra non comunista a scommettere sulle nazionalizzazioni, come elementi plausibili del suo programma di governo. Il primo caso fu la nazionalizzazione delle ferrovie francesi, nel 1936. Il governo dittatoriale del generale Franco fu molto attivo al momento di nazionalizzare e di formare nuove imprese di proprietà pubblica, concentrate, nell’Istituto Nazionale dell’Industria (INI). Dopo la seconda guerra mondiale si verificò una vera e propria ondata di nazionalizzazioni in Europa. Nell’Europa occidentale i grandi Paesi democratici, come la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia, nazionalizzarono alcune delle grandi imprese industriali e di servizi durante gli anni di governo delle sinistre. I servizi pubblici ed i settori industriali con una proprietà più concentrata passarono allo Stato. Vi furono due tipi di configurazione giuridica per le imprese nazionalizzate: 1. La soluzione britannica: tentare di conservare il meglio della flessibilità della gestione privata, però, esplicitando che la proprietà era della nazione; 2. Il modello alternativo, usato in Francia ed Italia, era quello di un’impresa pubblica, responsabile dinanzi ad un dipartimento ministeriale. Nel caso estremo le imprese nazionalizzate si trasformavano in dipendenze pubbliche (ferrovie e, in generale, servizi pubblici). In Italia si nazionalizzò l’industria elettrica nel 1962. In capo a 2 anni dalle nazionalizzazioni francesi, la Thatcher, nel Regno Unito, cominciava già le prime privatizzazioni. Verso il 1979 l’impresa pubblica aveva raggiunto la massima importanza nelle economie del Regno Unito, della Germania e dell’Italia. La Francia conseguirà questo massimo dopo le nazionalizzazioni del primo governo Mitterand. La Spagna realizzerà anche le nazionalizzazioni delle imprese con perdite, fino al 1983 dopo il secondo shock petrolifero. Solo dopo il 1989 vi è stata un’accelerazione del movimento grazie alla caduta del socialismo reale che permise e giustificò un processo di privatizzazione su grande scala. Questo capitalismo popolare, che fu la base del progetto thatcheriano o reaganiano, si è diffuso in tutto il mondo. Le privatizzazioni più radicali si sono verificate nell’URSS e negli altri Paesi ex comunisti europei. Nell’Europa orientale, a differenza di quello che è successo nei Paesi occidentali vicini, si è generata una depressione che ha compresso il valore di mercato degli attivi offerti. L’interventismo pubblico In generale, l’interventismo pubblico del XX secolo è stato fatto risalire al tentativo di conseguire obiettivi extra economici, normalmente militari o strategici. Possiamo distinguere: • l’interventismo sistematico che conosciamo come pianificazione; • l’interventismo selettivo che è quello che si nasconde dietro le cosiddette politiche strutturali; • l’interventismo ordinario concentrato in alcuni mercati. A) Le politiche di pianificazione Contemporaneamente alla rivoluzione sovietica, l’Europa assisteva ad un’altra rivoluzione: la pianificazione economica. Si sviluppò prima in Germania, poi in Gran Bretagna per essere abbandonata dopo la 1° guerra mondiale. La recuperarono, nel 1927, i governi di Stalin nell’Unione Sovietica ed i governi fascisti. Nell’immediato dopoguerra, la rivendicarono, i laburisti britannici e, poco dopo, attraversò il Rubicone della destra. Nel 1960 la assumerà il governo franchista. Fece i suoi ultimi passi con il primo governo socialista di Mitterand. La pianificazione si adattava bene ad un mondo di tecnologie su grande scala e con scarso numero di unità produttive, come gli impianti siderurgici ma andava molto male per tecnologie di uso e gestione individuale, come l’automobile. B) Le politiche di sviluppo o strutturali Le politiche di promozione della crescita economica nelle aree arretrate erano sconosciute prima del 1945. Si diffusero solo a partire dal secondo dopoguerra mondiale. Tali politiche erano propugnate dagli economisti dello sviluppo, che argomentarono la necessità di un deciso impulso pubblico, orientato alla creazione di infrastrutture che permettessero alle regioni o ai Paesi poveri di dotarsi del capitale fisico indispensabile per la loro crescita. Lo sviluppo, dopo la guerra, dei Paesi balcanici distrutti fu il primo caso proposto dal fondatore della “economia dello sviluppo”, Paul Rosenstein Rodan. I grandi organismi di cooperazione economica, come la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite prima, l’OCSE poi e, sempre, la Banca Mondiale, hanno scommesso su questo tipo di piano. Un esempio di intervento dello Stato fu la creazione della Cassa per il Mezzogiorno (1950). Questo tipo di politiche è alla base della CEE e dell’UE. Con la crisi e la successiva ristrutturazione industriale degli anni a