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Dispense tratte dal libro "L'invenzione della virilità" di Sandro Bellassai, Dispense di Storia Contemporanea

Dispense tratte dal libro "L'invenzione della virilità" di Sandro Bellassai

Tipologia: Dispense

2023/2024

Caricato il 07/06/2024

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noemi-stirpe 🇮🇹

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Scarica Dispense tratte dal libro "L'invenzione della virilità" di Sandro Bellassai e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Sintesi e spiegazione del libro “L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea” di Sandro Bellassai 1. Virilità e storia politica Il virilismo è stato un’invenzione, sul piano storico che ha coinciso con una funzione culturale che si è affacciata alla storia politica della società occidentale a metà del XIX sec. Nel corso dell’Ottocento questo concetto ha rivestito un significato simbolico maggiore, per poi diventare, nel corso degli ultimi decenni, un concetto ricorrente nei discorsi intorno al passato, presente e futuro di una nazione. In un’epoca in cui l’opinione pubblica aveva un’importanza prettamente maschile, il crescente protagonismo delle donne viene percepito come una minaccia pericolosa: buona parte delle voci maschili venne così costruendo una prospettiva politica il cui asse fondamentale fosse una mascolinità rafforzata. Alla fine del secolo, non solo l’avanzata delle donne, ma anche altri cambiamenti prefigurarono la decadenza dell’assoluta sicurezza maschile nel pubblico e nel privato. I vasti processi di modernizzazione mettevano in discussione il primato morale della tradizione patriarcale: Se la modernità significa indebolimento del dominio e dunque della virilità, la risposta maschile fu rilanciare la virilità stessa conferendole un’enorme valenza ideologica e mitologica. Questa battaglia per virilizzare la società fu presentata come una prospettiva necessaria alla salvezza dell’umanità. Virilismo e società di massa Il virilismo è stato un importante strumento di integrazione sociale nella società contemporanea, cercando di mantenere i principi della forza e dell'autorità. Questa cultura virilista ha permesso la modernizzazione della società attraverso una dimensione politica e sociale di massa, soprattutto per la popolazione maschile, pur difendendo interessi tradizionalisti. La natura intrinsecamente illiberale del virilismo non deve essere sottovalutata, poiché la misoginia è sempre stata un suo tratto fondamentale. Questo virilismo misogino ha permesso la convivenza di una politica moderna, basata su libertà e uguaglianza, con una politica tradizionale, fondata sulla gerarchia. In questo modo, il virilismo ha perpetuato l'identificazione esclusiva del genere maschile con il potere dispotico e la superiorità ontologica. In Italia, il virilismo ha avuto una lunga durata, favorita dal ruolo significativo attribuito alla gerarchia nella modernità politica e dall'inclusione delle masse nell'arena politica. Durante la belle époque, si sviluppò una dinamica culturale che esaltava la virilità e rimodernava la società in senso gerarchico e autoritario. Le plebi urbane venivano viste come orde selvagge e pericolose, ma una volta domate da un maschio dominante, assumevano un ruolo cruciale nella liturgia politica fascista. L'uomo superiore, che domina le folle e le possiede come farebbe con una donna, ha contribuito a mantenere il privilegio maschile e a rafforzare l'identità di genere degli uomini. Il discorso sul genere è quindi servito come un terreno simbolico per costruire l'integrazione di crescenti fasce di popolazione maschile nella nuova realtà moderna. La vocazione repressiva e violenta del virilismo si è manifestata soprattutto contro le minoranze non integrabili, sfruttando l'insicurezza maschile per ottenere adesione. In definitiva, il virilismo ha garantito la continuità dell'ordine politico tradizionale. La violenza imperialista Il nazionalismo è stata una delle ideologie più potenti dell'età contemporanea e ha costruito la sua dinamica sull'ideale di virilità. In questo contesto, la nazione o l'impero sono visti come espressioni della virilità collettiva. Il nazionalismo aggressivo e l'imperialismo, caratterizzati dall'inclinazione alla violenza, sono strettamente legati al virilismo. Negli ambienti nazionalisti o imperialisti, essere virile significa essere pronto a usare la forza e, se necessario, la violenza brutale contro il nemico, per imporre un ordine dispotico, autoritario e gerarchico. La misoginia è una componente interna alla nazione, mentre il nazionalismo aggressivo si rivolge contro soggetti esterni alla società nazionale. Le donne colonizzate erano considerate doppiamente inferiori, sia per il genere che per la razza, mentre i colonizzati maschi venivano trattati in base a dinamiche virili. La violenza esercitata su questi soggetti era vista come giusta e legittima. Durante il Novecento, la retorica nazionalista e imperialista era violenta, esclusiva e gerarchica, invocando spesso la "maniera forte" contro le persone diverse. Il profilo del guerriero era considerato virile ed era un costante elemento del pensiero nazional- patriottico europeo fin dalle sue origini. Non tutti i sostenitori della virilità predicavano la violenza, ma questa era comunque considerata un legittimo diritto dell'uomo superiore nei confronti di chi era ritenuto inferiore. Alcune azioni terribili erano persino considerate onorevoli. Esiste un nesso sessuato tra uomini e violenza, caratterizzato da un aspetto sistemico. Anche i regimi democratici hanno esercitato violenze di massa attraverso politiche imperialistiche. L'esaltazione della virilità non è stata prerogativa solo del fascismo e del nazismo, ma ha permeato anche altre ideologie e pratiche politiche. Colonialismo e razzismo italiano Dal secondo Ottocento, il nazionalismo in Italia si sviluppa come una cultura politica aggressiva, culminando nel fascismo. Dal 1870, il campo nazionalista orienta fortemente le decisioni politiche, promuovendo protezionismo, industrialismo e una società gerarchica di massa. Anche Giolitti, rappresentante di una fase liberale, ha avuto un ruolo in politiche belliciste e imperialiste. Già nell'Italia liberale, esistevano politiche razziste diffuse, non solo nelle colonie (come Eritrea e Somalia), ma anche nella società e cultura nazionale. Un esempio sono gli "zoo umani", esposizioni pubbliche di persone di popolazioni considerate selvagge, che ebbero grande successo e alimentavano un immaginario razzista, supportato dalla scienza antropologica dell'epoca. A fine Ottocento, il razzismo e la violenza contro l'altro si diffondono attraverso la stampa. Durante il Ventennio fascista, la propaganda generalizzò stereotipi e atteggiamenti razzisti, esaltando la dimensione di una massa biologica collettiva contro quella dell'individuo. 2 La soluzione virile Negli ultimi decenni dell'Ottocento, nelle società occidentali emerge la questione femminile, sfidando la logica dell'uguaglianza che escludeva le donne. Negli anni Sessanta dell'Ottocento nascono i primi movimenti femministi organizzati, seguiti dalle prime associazioni nazionali per il suffragio femminile. Questo segnò per molti uomini l'inizio del declino del potere patriarcale, percependo il protagonismo femminile come una minaccia. Si iniziò a parlare di "femminilizzazione" della società, vista come prova del potenziale degenerativo della modernità, associata alla modernizzazione stessa. Questo fenomeno era percepito come una minaccia che indeboliva il corpo e il carattere maschile. Di conseguenza, si cercò di rilanciare la virilità in ogni aspetto della società: La donna moderna, associata a concetti come natura e tradizione, risultava una contraddizione in termini. Le trasformazioni della femminilità venivano spesso attribuite all'influenza della cultura di massa americana, contro la quale il regime fascista lanciava appelli disperati. La virilità della società era considerata dipendente dalle donne, e la corruzione femminile era vista come causa cruciale di problemi economici e sociali, inclusa la denatalità. La retorica misogina del regime fascista amplificò le preoccupazioni riguardo alla modernità e alla devianza femminile. Le misure messe in atto per limitare l'accesso delle donne a certe professioni non ebbero un impatto decisivo sulle trasformazioni sociali in corso. L’ordine sessuato della razza Il Manifesto della Razza del 1938 rappresentò una politica razzista globale. Per gli uomini italiani, la libertà sessuale costituiva un'attrattiva nello scenario coloniale, agendo come un richiamo del paradiso dei sensi. L'Africa era vista come un luogo di vita sana, genuina e patriarcale, dove i ruoli tradizionali erano intatti, rappresentando un altrove perfetto per ritrovare gli istinti virili primordiali. Gli ufficiali italiani spesso avevano concubine indigene, mentre i matrimoni misti erano scoraggiati. La legislazione coloniale italiana, tra cui la legge del 1937, sanciva la superiorità dei conquistatori e permetteva lo stupro delle donne indigene a condizione che fossero disprezzate e usate come mero sfogo sessuale. L'impero coloniale italiano si distinse per aver prodotto una delle legislazioni razziste più organiche nella storia del colonialismo, secondo solo al regime nazista e all'apartheid. Questa politica razzista rafforzava le gerarchie di genere e di razza, mostrando il concetto di gerarchia come fondamento del paesaggio sociale e culturale. 4. Il declino Tra la seconda metà degli anni '50 e i primi anni '60, la società italiana subì profondi mutamenti culturali e morali, che portarono alla marginalizzazione delle culture contadine e al declino della tradizione come fondamento dei valori condivisi. Questi cambiamenti resero la società italiana più laica, liberale e civile, influenzando anche le relazioni di genere con nuovi ruoli femminili e maggiori diritti civili e sociali per le donne. Tuttavia, resistevano forze conservative che mantenevano un assetto asimmetrico e gerarchico del potere. Negli anni '70, con l'affermazione del neofemminismo, l'asimmetria di genere si ridusse ulteriormente, mettendo fine alla prospettiva virilista. A livello globale, la diffusione di sentimenti pacifisti, i processi di decolonizzazione, e le proteste giovanili contribuirono a erodere i valori gerarchici, imperialisti e autoritari. Questo periodo segnò la fine di un'epoca in cui i modelli di mascolinità ispirati al virilismo dominavano. Tuttavia, restavano tracce di virilismo informale, specialmente nella comunicazione pubblicitaria. Il nuovo scenario dei consumi svolse una funzione di integrazione sociale, e la modernità perse la sua connotazione negativa. Questi mutamenti culturali aumentarono le insicurezze maschili rispetto al declino della virilità, ma molti poterono beneficiare degli effetti positivi dello sviluppo e dell'accesso ai consumi privati, sperando in un futuro migliore per i loro figli. Consumi e scenari di genere Con il boom economico, il tempo perse il suo carattere ciclico e la speranza di migliorare le condizioni di vita divenne realtà per molte famiglie che iniziarono a spostarsi in cerca di opportunità migliori. La cultura di massa giocò un ruolo chiave nel cambiamento culturale, influenzando direttamente l'identità di genere e portando a una netta evoluzione nei modelli femminili. Le nuove generazioni femminili mostrarono una forte spinta alla trasformazione nei modi di vivere e pensare. Tuttavia, gli atteggiamenti nei confronti delle donne erano spesso influenzati da toni moralistici nei media italiani. Nel contesto del boom, i mezzi di comunicazione esaltarono l'intelligenza e le competenze delle donne di casa, promuovendo un'immagine femminile autonoma e competente attraverso la pubblicità commerciale. Lo sviluppo dei consumi di massa rappresentò un colpo significativo per il virilismo, poiché il mercato richiedeva sempre più donne autonome come interlocutrici. Apocalisse e integrazione maschile Negli anni '60, si assiste a un cambiamento epocale nell'identità maschile, con la diffusione di una mascolinità laica, civile e progressista che si distanzia dal modello patriarcale tradizionale. Si comincia a vedere positivamente la svirilizzazione, considerando la prospettiva virilista come un copione superato. Tuttavia, anche in questo periodo, il cambiamento nei ruoli di genere viene dipinto in toni apocalittici, con la donna rappresentata come un mostro, come accadeva già nei decenni precedenti. La Rassicurazione modernista Negli anni '60, le rappresentazioni della mascolinità miravano a rassicurare gli uomini, promuovendo un'immagine autorevole e tradizionalmente virile. Il concetto di successo divenne centrale, associato a virtù maschili come l'individualismo e il materialismo, segnando una secolarizzazione della mascolinità. Tuttavia, il tradimento della tradizione comportò la perdita di legittimazione del dominio maschile sulle donne e una crisi dell'identità maschile basata sul virilismo. L'enfasi sul successo a volte alimentava una gerarchia aggressiva e prevaricatrice, mentre il cinismo diventava una qualità esibita con orgoglio. 5. Agonie terminali Negli anni '70, la crisi della prospettiva virile raggiunse il suo apice, aprendo la strada a tentativi successivi di riaffermare un ordine culturale basato sulla subordinazione delle donne e sulla polarizzazione identitaria di genere. Tuttavia, il sistema patriarcale si è secolarizzato senza perdere la sua essenza gerarchica, continuando a riprodursi attraverso comportamenti e linguaggi che richiamano retoriche viriliste del passato. Negli ultimi decenni del Novecento, molti uomini hanno contribuito a mantenere un virilismo informale, sebbene non potessero più sostenere apertamente l'inferiorità delle donne, specialmente considerando la loro crescente partecipazione al mondo del lavoro. Tuttavia, i movimenti neofemministi hanno offerto la possibilità di ridefinire le relazioni di genere, portando alcuni uomini a vedere questa prospettiva come una liberazione anche per loro stessi. Nonostante ciò, la crisi dell'identità maschile negli anni '80 e '90 ha generato inquietudini, dando origine a un linguaggio maschile difensivo caratterizzato dalla misoginia e dalla sessualizzazione del corpo femminile. Questo ha contribuito a mantenere disuguaglianze di genere e ha spinto gli uomini a cercare nuove forme di definizione identitaria. La diserzione della virilità Negli anni '70 in Italia, il femminismo assunse una forma più radicale e diffusa rispetto al passato, influenzando profondamente la cultura virilista già colpita dalle trasformazioni epocali precedenti. Gli uomini dovettero confrontarsi con le critiche femministe, segnando un cambiamento epocale. Emerse una critica globale e intransigente ai fondamenti patriarcali dei ruoli e delle identità di genere tradizionali. Lo spazio domestico divenne un contesto in cui si negoziavano nuovi equilibri e comportamenti. Nonostante la persistenza della concezione del privilegio maschile come diritto naturale, si osservò un mutamento sensibile della mascolinità, anche nel privato. Alcuni uomini si unirono alla denuncia della tradizionale mascolinità misogina e omofobica, facendo della lotta per l'eguaglianza di genere parte della loro presa di coscienza politica. Tuttavia, in Italia c'era una certa riluttanza nel riconoscere il prezzo pagato dagli uomini per aderire ai modelli tradizionali di identità. I gruppi maschili iniziarono a formarsi, ma furono guardati con sospetto dalle femministe, che li ritenevano strumenti di manipolazione delle donne. Negli anni '80, nonostante una maggiore laicità nei rapporti di genere, il femminismo perse parte della sua forza influente e le tensioni della mascolinità si trasferirono a livello individuale, con un aumento delle manifestazioni di antifemminismo e misoginia. Turbamenti mediatici Il dominio maschile persisteva anche senza ricorrere a retoriche misogine esplicite, e questo cambiamento era significativo. La legittimazione della gerarchia di genere si spostava verso canali discorsivi più discreti, attraverso forme di espressione meno dirette ma comunque influenti nel mantenere un senso comune misogino. Il linguaggio mediatico spesso riduceva le donne a stereotipi riduttivi, specie nel rappresentarle come donne in carriera, sottolineando una presunta innaturalità. Vi era anche un tentativo diretto di influenzare l'autorappresentazione delle donne, spingendole a sentirsi colpevoli delle proprie scelte. La misoginia subdola si rifletteva anche su giornali e articoli che enfatizzavano la presunta incapacità delle donne lavoratrici di essere buone madri o mogli, o che suggerivano il rischio di anoressia o di una personalità sdoppiata. Negli anni '90, si assistette a una nuova mitologia del corpo maschile nella pubblicità, che promuoveva un ideale fisico primitivo e selvaggio, spesso dissociato dalla professione lavorativa. Questo provocò un senso di disagio e di crisi maschile, riflessa anche nei media con titoli come "crisi del maschio" o "uomini impotenti". La Virilità come merce La fine del fordismo ebbe un impatto significativo sulla supremazia maschile, poiché indebolì il legame tra l'identità maschile e il ruolo lavorativo. La disoccupazione e la precarietà del lavoro portarono all'erosione dell'identità sociale legata alla professione. Le dinamiche del mercato giocarono un ruolo chiave nel favorire il cambiamento di genere, sancendo il superamento delle tradizioni. Perché l'uomo diventasse un target del mercato, la sua identità doveva essere secolarizzata e rappresentata in modi nuovi e diversi. La comunicazione mediatica rifletté questa trasformazione attraverso una varietà di immagini maschili che venivano osservate e interrogate, contribuendo a modellare il paesaggio culturale nel suo complesso. Epilogo. Un virilismo virtuale ? Il virilismo classico può sembrare tramontato, ma in realtà persiste in molte forme nella società contemporanea. Nonostante i progressi verso l'uguaglianza di genere, il potere rimane ancora
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