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divina commedia canto 10 parafrasi, Appunti di Italiano

divina commedia canto 10 parafrasi

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/09/2019

noemi-quondam
noemi-quondam 🇮🇹

4.5

(9)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica divina commedia canto 10 parafrasi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Inferno, Canto X W. Blake, Farinata e Cavalcante Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto: da la cintola in sù tutto il vedrai" ... Di subito drizzato, gridò: "Come? dicesti 'elli ebbe?' non viv'elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?"... Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico, e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio" ... Argomento del Canto Ancora nella città di Dite, pena degli eresiarchi. Incontro con Farinata Degli Uberti, discorso politico su Firenze. Apparizione di Cavalcante dei Cavalcanti. Profezia di Farinata sull'esilio di Dante. Virgilio conforta Dante promettendogli le spiegazioni di Beatrice. I due poeti arrivano in prossimità del VII Cerchio. È la notte di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300. I sepolcri degli epicurei (1-21) Il VI Cerchio (min. ferrarese, XV sec.) Virgilio guida Dante fra le tombe della città di Dite, costeggiando il lato interno delle mura. Dante è incuriosito e chiede al maestro se sia possibile vedere le anime che giacciono nei sepolcri, dal momento che i coperchi sono sollevati e non ci sono demoni a custodire le arche. Virgilio risponde che le tombe saranno chiuse in eterno il giorno del Giudizio Universale, quando le anime risorte si saranno riappropriate del corpo nella valle di Iosafat. Spiega inoltre che in questa sorta di cimitero giacciono tutti i seguaci di Epicuro, che hanno proclamato la mortalità dell'anima, e promette a Dante che sarà presto soddisfatto il desiderio che gli ha espresso e un altro che non ha svelato, ovvero di sapere se lì c'è l'anima di Farinata Degli Uberti. Dante si giustifica dicendo che se gli tiene celati alcuni desideri è solo per evitare di parlare a sproposito, cosa cui lo stesso Virgilio lo ha abituato. Incontro con Farinata (22-51) G. Doré, La tomba di Farinata D'improvviso una voce proveniente da una delle tombe apostrofa Dante, identificandolo come toscano e pregandolo di trattenersi poiché il suo accento lo indica come originario della sua stessa città. Dante ne ha timore e si stringe a Virgilio, il quale però lo invita a voltarsi e a guardare Farinata, che si è sollevato in una delle tombe ed è visibile da la cintola in sù. Dante obbedisce e vede il dannato che si erge con la fronte e il petto alti, come se disprezzasse tutto l'Inferno, quindi Virgilio lo spinge verso di lui e gli raccomanda di ultraterrena. Infatti chiede a Dante chi siano i suoi antenati, per capire a quale fazione appartenga, e quando il poeta si manifesta come Guelfo il dannato gli ricorda subito di essere stato un Ghibellino e di aver sconfitto i Guelfi per ben due volte, nel 1248 e nel 1260, nella celebre battaglia di Montaperti. Dante si sente punto sul vivo e ribatte prontamente che i Guelfi seppero tornare a Firenze in entrambi i casi, ovvero nel 1250 e soprattutto nel 1266, dopo Benevento. La risposta piccata di Dante è degna di un «contrasto» o di uno scambio polemico di accuse: dopo la parentesi di Cavalcante, infatti, sarà ancora Farinata a rispondere «per le rime» col profetizzare a Dante che di lì a quattro anni, nel 1304, la sconfitta nella battaglia della Lastra impedirà agli esuli fiorentini di rientrare in città, profetizzandogli così indirettamente l'esilio per colpirlo sul piano personale. A Farinata sta a cuore unicamente la dimensione politica ed è evidente in lui il rimpianto per il dolce mondo e la sua città, specie quando chiede a Dante il motivo di tanto accanimento di Firenze contro i membri della sua famiglia. La risposta di Dante fa riferimento al disastro di Montaperti, ovvero la sconfitta guelfa che fu sempre ricordata come un bagno di sangue ('l grande scempio / che fece l'Arbia colorata in rosso) e che indusse a pronunciare tale orazion nel... tempio, ovvero a emanare duri provvedimenti contro tutti i discendenti di Farinata. Questi ribatte che ci fu una ragione per quello scontro, rivendicando il merito di essersi opposto alla distruzione di Firenze che i capi ghibellini avevano ipotizzato. L'episodio di Cavalcante, il padre del poeta Guido Cavalcanti che interrompe il dialogo tra i due, è solo apparentemente fuori tono rispetto al tema fondamentale: i due erano stati avversari politici, poiché Cavalcante era di parte guelfa (fu esiliato nel 1260, rientrò a Firenze nel 1266), quindi la sua vicenda personale ricalca i temi del colloquio fra Dante e il Ghibellino. Inoltre entrambi, Farinata e Cavalcante, sono incapaci di comprendere le vere ragioni della loro dannazione, in quanto il primo è ancora tutto preso dagli odi di parte e dalle lotte politiche, il secondo chiede a Dante perché il figlio non lo accompagni in questo viaggio straordinario che lui ritiene che Dante faccia per altezza d'ingegno. Entrambi sono epicurei, quindi hanno una visione materiale della vita che esclude la dimensione trascendente ed è proprio questo a provocare il grottesco equivoco che causa la disperazione di Cavalcante. Dante, infatti, risponde in modo ambiguo dicendo Da me stesso non vegno: / colui ch'attende là, per qui mi mena / forse cui Guido vostro ebbe a disdegno. L'ambiguità sta nel pronome cui, che può significare «a colei che» oppure «a colui che»: Dante intende dire probabilmente che Virgilio lo guida attraverso l'Inferno a colei (Beatrice) che, forse, Guido ebbe a disdegno (e il disdegno potrebbe essere il disdor trobadorico verso la Beatrice terrena, benché di questo non vi siano conferme certe e quindi Dante potrebbe riferirsi a un episodio di ambiente stilnovista che non ci è noto). In tal caso è perfettamente normale l'uso del passato ebbe, poiché la Beatrice terrena è morta nel 1290: Dante, allegoricamente, vuol dire che la ragione lo guida alla salvezza e alla grazia, che forse Guido disprezzò essendo anche lui vicino all'epicureismo. Cavalcante invece equivoca e crede che Dante dica che Virgilio lo guida a colui che Guido ebbe a disdegno, cioè probabilmente a Dio: in tal caso l'uso del passato ebbe non è giustificato in alcun modo, tranne nel caso in cui Guido fosse già morto. Da qui la sua disperazione e l'esitazione di Dante che sa da Ciacco che i dannati possono antivedere il futuro, quindi non comprende come possa Cavalcante non sapere che il figlio Guido nella primavera del 1300 fosse vivo e vegeto (morirà nell'agosto dello stesso anno). L'equivoco serve a chiarire che Cavalcante non comprende nulla del viaggio allegorico di Dante, essendo totalmente sordo a tutto ciò che riguarda la fede cristiana, la grazia e la salvezza rappresentate da Beatrice. Non meno sordo è Farinata, che riprende il colloquio interrotto senza fare una piega per quanto accaduto e si mostra ansioso solo di rintuzzare l'attacco politico di Dante, profetizzandogli l'esilio che lo attende di lì a pochi anni. Sarà lo stesso Farinata a sciogliere l'equivoco creatosi col compagno di pena, spiegando a Dante che i dannati possono prevedere solo gli eventi lontani, mentre quelli imminenti o presenti sono per loro invisibili. La conclusione del Canto è la logica conseguenza di questo discorso, con Virgilio che ricorda a Dante che sarà proprio Beatrice a spiegargli nel dettaglio la sua vita futura, quindi rammentando che la grazia, non la sola conoscenza razionale, è l'obiettivo del viaggio dantesco. Per l'ennesima volta viene ribadito che la sola filosofia razionale è insufficiente a salvarsi, come ben dimostra la presenza nel Cerchio di illustri pensatori quali Epicuro, Federico II, il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, tutti destinati a essere chiusi in eterno nelle loro tombe infuocate il giorno del Giudizio, dopo essersi rivestiti delle loro carni (e il Giudizio viene citato da Virgilio in apertura di Canto come da Farinata in conclusione, a voler dire che la sentenza finale sarà implacabile con tutti quelli che pretendono di arrivare alla salvezza eterna solo per altezza d'ingegno). Note e passi controversi I vv. 10-12 alludono alla valle di Iosafat, vicino a Gerusalemme, dove secondo la Bibbia tutte le anime risorte il Giorno del Giudizio andranno a rivestirsi dei loro corpi mortali, prima di ascoltare la sentenza finale. Al v. 18 Virgilio dice di aver letto nella mente di Dante il suo reale desiderio, cioè verificare se in quel Cerchio è dannato Farinata (Ciacco ne aveva predetto la perdizione). Al v. 34 viso è lat. per «sguardo». Il v. 39 (Le parole tue sien conte) può voler dire che Dante deve parlare in modo misurato e dignitoso, oppure ornato e forbito. Le rime ai vv. 41, 43, 45 (-oso/-uso) e ai vv. 65, 67, 69 (-ome/-ume) sono rime siciliane. Il pronome latineggiante cui (v. 63) è stato variamente interpretato, ma vuol dire probabilmente «a colei che» (a Beatrice). In questo caso il disdegno mostrato da Guido verso di lei può valere unicamente sul piano allegorico (verso la grazia e la teologia), oppure anche sul piano letterale (disdor del poeta stilnovista verso la donna amata da Dante, ma di ciò non abbiamo conferme dirette). Il v. 76 si legge in alcuni mss. «E se,» continuando al primo detto..., mentre la lezione più accreditata vede il sé come pronome retto dal verbo continuando, col senso «e proseguendo il discorso iniziato...». La donna che qui regge (v. 80) è la Luna, identificata con Proserpina-Ecate. Farinata intende dire che passeranno meno di cinquanta mesi, ovvero meno di quattro anni. L'Arbia (v. 86) è un fiumiciattolo che scorre nei pressi di Montaperti. Il lezzo (v. 136) che proviene dalla valle sottostante il Cerchio è il puzzo che si leva dal VII Cerchio, dove sono puniti i violenti. Testo Ora sen va per un secreto calle, tra ’l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3 «O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com’a te piace, parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 6 La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt’i coperchi, e nessun guardia face». 9 E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati. 12 Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno. 15 Parafrasi A quel punto il mio maestro procedette per un sentiero nascosto, tra le mura e le tombe, e io lo seguii. Gli chiesi: «O sommo sapiente, che mi conduci per i Cerchi infernali, ti prego di rispondermi e soddisfare il mio desiderio. SI potrebbero vedere i dannati che giacciono nelle tombe? Tutti i coperchi sono sollevati e nessun demone fa loro la guardia». E lui a me: «Saranno tutti richiusi quando le anime torneranno qui dalla valle di Giosafat coi corpi che hanno lasciato sulla Terra. In questo punto del cimitero sono puniti Epicuro e tutti i suoi seguaci, che proclamano la mortalità dell'anima. Però a la dimanda che mi faci quinc’entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci». 18 E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». 21 «O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. 24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patria natio a la qual forse fui troppo molesto». 27 Subitamente questo suono uscìo d’una de l’arche; però m’accostai, temendo, un poco più al duca mio. 30 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto: da la cintola in sù tutto ’l vedrai». 33 Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36 E l’animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: «Le parole tue sien conte». 39 Com’io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 42 Io ch’era d’ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel’apersi; ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45 poi disse: «Fieramente furo avversi Perciò ben presto sarà soddisfatto il desiderio che mi hai svelato, e anche quell'altro (vedere Farinata) che tu non vuoi dirmi». E io: «Mia buona guida, io non ti nascondo i miei pensieri se non per parlare poco, e sei stato proprio tu a insegnarmelo in varie occasioni». «O toscano, che te ne vai per la città del fuoco parlando in modo così dignitoso, abbi la compiacenza di trattenerti. Il tuo accento indica che sei nato in quella nobile patria alla quale, forse, fui troppo fastidioso». Questa voce uscì improvvisamente da una delle tombe, per cui ebbi paura e mi strinsi un poco al mio maestro. Ed egli mi disse: «Voltati, che fai? Non vedi laggiù Farinata che si è sollevato? Lo puoi vedere dalla cintola in su». Io avevo già fitto il mio sguardo nel suo; e lui si ergeva con la fronte e il petto alti, come se disprezzasse tutto l'Inferno. E le mani di Virgilio, pronte e animose, mi spinsero fra le tombe verso di lui, mentre il maestro diceva: «Fa' che le tue parole siano misurate». Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi guardò un poco e poi, quasi con disdegno, mi domandò: «Chi furono i tuoi avi?» Io, che ero smanioso di obbedire, non glieli nascosi ma, anzi, risposi pienamente; allora lui sollevò un poco le ciglia, poi disse: «Essi furono aspri nemici miei, dei miei avi e della mia parte politica (Ghibellini), al punto che per due volte li cacciai da Firenze».
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