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divina commedia canto 3 parafrasi, Appunti di Italiano

divina commedia canto 3 parafrasi

Cosa imparerai

  • Che significa la scritta sulla porta dell'Inferno descritta in Canto III di Dante?
  • Perché Dante non andrà all'Inferno, ma andrà in Purgatorio?
  • Chi è Caronte e cosa fa nel Canto III di Inferno di Dante?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/09/2019

noemi-quondam
noemi-quondam 🇮🇹

4.5

(9)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica divina commedia canto 3 parafrasi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Inferno, Canto III Michelangelo, particolare del Giudizio Universale "...Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"... Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: "Guai a voi, anime prave! ..." Così sen vanno su per l'onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s'auna... Argomento del Canto Dante e Virgilio giungono alla porta dell'Inferno. Ingresso nell'Antinferno, dove incontrano gli ignavi (tra loro Celestino V). Incontro con Caronte, taghettatore dei dannati sul fiume Acheronte. Terremoto e svenimento di Dante. È la sera di venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300. La porta dell'Inferno (1-21) Dante e Virgilio giungono di fronte alla porta dell'Inferno, su cui campeggia una scritta di colore scuro. Essa mette in guardia chi sta per entrare, ammonendo che tale porta durerà in eterno e che una volta varcata non c'è speranza di tornare indietro. Dante non ne afferra subito il senso e Virgilio lo ammonisce a sua volta a non aver paura e a prepararsi all'ingresso nell'Inferno, tra le anime dannate. Quindi il poeta latino prende amorevolmente Dante per mano e lo conduce attraverso la porta. Gli ignavi. Celestino V (22-69) Ritratto di Celestino V Una volta varcata la soglia, Dante sente un orribile miscuglio di urla, parole d'ira, strane lingue che lo spingono a piangere in quel luogo buio e oscuro. Dante chiede a Virgilio chi emetta quegli orribili suoni e il maestro spiega che sono gli ignavi, le anime di coloro che non si schierarono né dalla parte del bene né da quella del male e che ora risiedono nel Vestibolo dell'Inferno. Sono mescolate agli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero; le anime degli ignavi sono tanto misere che secondo Virgilio non sono degne di essere guardate da Dante troppo a lungo. Dante vede che le anime corrono dietro un'insegna senza significato, che gira vorticosamente su se stessa. Formano una schiera infinita e tra esse Dante crede di riconoscere papa Celestino V, che per viltà rinunciò al soglio pontificio. Il poeta è sicuro che questi siano proprio gli ignavi, che spiacquero tanto a Dio quanto ai suoi nemici: essi sono punti e tormentati da vespe e mosconi, che gli fanno colare il sangue dal volto, il quale cade a terra mischiato alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti. Il fiume Acheronte. Caronte (70-105) G. Doré, Il nocchiero Caronte Poco dopo i due poeti giungono nei pressi di un grande fiume (l'Acheronte), sulla cui sponda sono accalcate le anime dannate. Dante è ansioso di sapere da Virgilio chi siano quelle anime e cosa le renda in apparenza lieve della sua, ovvero quella dell'angelo nocchiero del Purgatorio; Virgilio lo riduce al silenzio con una formula (vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare) che userà, con lievi varianti, anche con Minosse e con Pluto. I dannati sono descritti nella loro fisicità, come corpi nudi e prostrati, che si assiepano sulla riva dell'Acheronte ansiosi di passare dall'altra parte (Virgilio spiega a Dante che è la giustizia divina a spronarli in tal senso). I dannati bestemmiano e maledicono il giorno in cui sono nati, secondo i modelli biblici di Giobbe e di Geremia; hanno un aspetto corporeo, in quanto le pene che dovranno subire provocheranno in loro un dolore fisico. Il loro gran numero, come del resto quello degli ignavi, lascia intendere la diffusione del male e del peccato sulla Terra, come appare chiaro dal fatto che Caronte cerchi di stiparne il più possibile sulla sua barca (colpendo col remo chiunque tenti di adagiarsi sul fondo, per occupare meno spazio) e dal particolare che, prima che il traghettatore sia giunto sull'altra sponda, su quella opposta si è già formata una schiera altrettanto folta. Alquanto enigmatica, infine, la chiusa dell'episodio col terremoto la cui causa non è chiarita da Dante, e che sembra avere l'unica funzione di espediente narrativo per descrivere lo svenimento del poeta e farlo poi risvegliare al di là del fiume infernale (qualcosa di molto simile avverrà anche alla fine del Canto V, dopo l'episodio di Paolo e Francesca). I terremoti ultraterreni Il Canto si chiude con una violenta scossa di terremoto, causato da un vento sotterraneo come riteneva la fisica medievale; insieme a una luce rossastra, la cui origine è sconosciuta, provoca lo svenimento di Dante che si risveglierà all'inizio del Canto seguente dall'altra parte dell'Acheronte, nel Limbo. Dante ricorre qui a un espediente narrativo per non dover descrivere il passaggio del fiume, cosa che accadrà anche alla fine del Canto V (Dante sverrà sopraffatto dall'angoscia di Paolo e Francesca). A un terremoto allude forse anche la ruina che sarà descritta nel Canto V, di fronte alla quale i lussuriosi bestemmiano la virtù divina (potrebbe essere stata prodotta dal terremoto che investì tutta la Terra il giorno della morte di Cristo). Allo stesso evento si riferisce invece in modo esplicito il diavolo Malacoda nel Canto XXI, 112-114, quando spiega ai due poeti che il ponte di roccia che permette il passaggio dalla V alla VI Bolgia è crollato in seguito al terremoto: le sue parole permettono di datare con precisione il viaggio dantesco, essendo trascorsi 1266 anni dalla morte di Cristo (quindi siamo nell'anno 1300, il giorno del sabato santo). Di natura ben diversa il terremoto che investe il Purgatorio al momento in cui l'anima di un penitente completa la sua espiazione e può finalmente ascendere all'Eden. È quanto avviene alla fine del Canto XX, quando il poeta Stazio termina la sua pena e spiega in seguito a Dante (Canto XXI) e a Virgilio che al di sopra della porta del Purgatorio non possono verificarsi normali eventi «sismici», se non per espressa volontà divina. Note e passi controversi La scritta sulla porta dell'Inferno (vv. 1-9) indica che è la porta stessa a parlare, secondo l'uso attestato nell'antichità di porre iscrizioni di questo tipo su vasi e altri manufatti (l'oggetto, parlando in prima persona, indicava l'artigiano che l'aveva prodotto). Qui ovviamente il creatore della porta è Dio, indicato con le Persone della Trinità (la divina podestate, il Padre; la somma sapienza, il Figlio; il primo amore, lo Spirito Santo). Al v. 29 sanza tempo tinta significa «eternamente oscura». Il v. 31 presenta la doppia lezione error / orror, con diverso significato. La lezione scelta da Petrocchi è la prima, perché più difficile e perché esprime il dubbio poi chiarito da Virgilio. Il v. 42 (ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli) indica che i dannati potrebbero vantarsi nei confronti degli ignavi, in quanto questi ultimi non hanno commesso alcun vero peccato. I vv. 59-60 indicano quasi certamente l'anima di Celestino V, anche se non sono mancate altre interpretazioni (Esaù, Pilato, Giuliano l'Apostata...). Il gran rifiuto allude alla rinuncia alla dignità papale, avvenuta il 13 dic. 1294 e in seguito alla quale venne eletto Bonifacio VIII, il papa che coi suoi maneggi politici causò indirettamente l'esilio di Dante. Il lieve legno citato da Caronte (v. 93) è il vasello snelletto e leggero con cui l'angelo nocchiero trasporta le anime dei penitenti dalla foce del Tevere sino alla spiaggia del Purgatorio (cfr. Purg., II, 13 ss.). Il demone predice dunque a Dante la futura salvezza. I vv. 95-96 (vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare) costituiscono una formula fissa, che si ripeterà identica con Minosse (V, 23-24) e lievemente variata con Plutone (VII, 11-12). Al v. 116 gittansi, plurale, è concordato a senso col singolare collettivo il mal seme d'Adamo (v. 115). Nel v. 134 il che può essere soggetto di vento, quindi è il vento sotterraneo che produce la luce rossastra. Altri interpretano ché, con valore causale. Testo "Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. 3 Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate, la somma sapienza e ’l primo amore. 6 Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate". 9 Queste parole di colore oscuro vid’io scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». 12 Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. 15 Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto». 18 E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. 21 Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. 24 Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle 27 Parafrasi "Attraverso me si entra nella città del dolore, attraverso me si va nel dolore eterno, attraverso me si va tra le anime perdute (dannati). La giustizia ha fatto agire il mio alto Creatore (Dio): mi hanno costruito la potestà divina (Padre), la somma sapienza (Figlio) e il primo amore (Spirito Santo). Prima di me non fu creato nulla, se non eterno, e io durerò eternamente. Lasciate ogni speranza, voi che entrate qui". Io vidi queste parole scritte con colore (o senso) oscuro in cima a una porta, per cui dissi: «Maestro, non ne capisco il senso». Ed egli mi rispose, come persona saggia:«Qui è necessario abbandonare ogni esitazione, e non bisogna essere vili. Noi siamo giunti nel luogo dove, come ti ho detto, vedrai le anime dannate che hanno perduto la luce dell'intelligenza divina». E dopo che mi ebbe preso per mano, con volto sorridente che mi confortò, mi fece entrare in quel luogo separato dal mondo dei vivi (all'Inferno). Qui sospiri, pianti e alti lamenti risuonavano in quell'aria priva di stelle, in modo tale che all'inizio ne piansi. facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. 30 E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?». 33 Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. 36 Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. 39 Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». 42 E io: «Maestro, che è tanto greve a lor, che lamentar li fa sì forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve. 45 Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte. 48 Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa». 51 E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna; 54 e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta. 57 Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. 60 Lingue strane, pronunce orribili, parole di dolore, imprecazioni d'ira, voci acute e flebili, e un suono di mani insieme ad esse creavano un frastuono, che rimbomba di continuo in quell'aria eternamente oscura, proprio come la sabbia quando soffia la tempesta. E io, che avevo la testa piena di dubbi, dissi: «Maestro, che cos'è quello che sento? e chi sono costoro che sembrano così sopraffatti dal dolore?» Lui mi rispose: «Questa è la misera condizione delle anime tristi di quelli che vissero senza infamia e senza meriti. Sono mescolate a quell'insieme spregevole degli angeli che non si ribellarono a Dio, né gli rimasero fedeli, ma furono neutrali. I cieli li cacciano per non perdere la loro bellezza, né l'Inferno li accoglie nelle sue profondità, poiché i dannati (rei) potrebbero ricevere alcuna gloria dalla loro presenza». E io: «Maestro, che cosa è tanto fastidioso per loro, da farli lamentare così forte?» Mi rispose: «Te lo dirò molto brevemente. Queste anime non possono sperare di morire, e la loro attuale condizione è tanto spregevole che invidiano qualunque altra sorte. Il mondo non lascia che ci sia di loro alcun ricordo; la misericordia e la giustizia divina li sdegnano; non perdiamo tempo a parlare di loro, ma da' una rapida occhiata e passa oltre». E io, guardando, vidi una insegna che, girando su se stessa, correva tanto rapidamente che mi sembrava non dovesse fermarsi mai; e dietro di essa veniva una fila di anime tanto lunga, che non avrei mai creduto che la morte ne avesse disfatte tante (che ci fossero stati tanti defunti).
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