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divina commedia canto 5 parafrasi, Appunti di Italiano

divina commedia canto 5 parafrasi

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/09/2019

noemi-quondam
noemi-quondam 🇮🇹

4.5

(9)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica divina commedia canto 5 parafrasi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Inferno, Canto V Amos Cassioli, Paolo e Francesca (1870) Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata; giudica e manda secondo ch'avvinghia... Poscia ch'i' ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e' cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito... "... Siede la terra dove nata fui su la marina dove il Po discende, per aver pace co' seguaci sui..." Argomento del Canto Ingresso nel II Cerchio. Incontro con Minosse. La pena dei lussuriosi; i morti violentemente per amore. Incontro con Paolo e Francesca. È la sera di venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300. Ingresso nel II Cerchio. Minosse (1-24) G. Doré, I lussuriosi Usciti dal Limbo, Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio, meno ampio del precedente ma contenente molto più dolore. Sulla soglia trovano Minosse, che ringhia con aspetto animalesco: è il giudice infernale, che ascolta le confessioni delle anime dannate e indica loro in quale Cerchio siano destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Non appena vede che Dante è vivo, lo apostrofa con durezza e lo ammonisce a non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare. Virgilio lo zittisce ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio. I lussuriosi (25-72) Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Quando questi spiriti giungono davanti a una «rovina», emettono grida e lamenti e bestemmiano Dio. Dante capisce immediatamente che si tratta dei lussuriosi, i quali volano per l'aria formando una larga schiera simile agli stornelli quando volano in cielo. Dante vede poi un'altra schiera di anime, che volano formando una lunga linea simile a delle gru in volo. Chiede spiegazioni a Virgilio e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni dannati, che sono tutti lussuriosi morti violentemente: tra questi ci sono Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime. Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da profonda angoscia e per poco non si smarrisce. Incontro con Paolo e Francesca (73-108) mentre gli ultimi penitenti del Purgatorio (Canto XXVI) saranno Guido Guinizelli e Arnaut Daniel, condannati proprio in quanto poeti amorosi. Note e passi controversi G. Doré, Minosse Minosse (vv. 4 ss.) è descritto da Dante con attributi animaleschi, in modo molto diverso quindi da quello virgiliano nel libro VI dell'Eneide (non è chiaro a quali fonti faccia riferimento). Virgilio lo zittisce con la stessa formula già usata con Caronte in Inf., III, 95-96. Al v. 20 Minosse sembra citare Matth., VII, 13: spatiosa via est, quae ducit ad perditionem («la via che conduce alla perdizione è assai larga»). Non è chiaro cosa sia la ruina citata al v. 34, di fronte alla quale i lussuriosi bestemmiano Dio: si è pensato a una frana prodotta dal terremoto il giorno della morte di Cristo, simbolo per i dannati della giustizia divina. Le similitudini con gli uccelli ai vv. 40, 46, 82-84 (stornelli, gru, colombe) si spiegano col fatto che essi erano spesso usati come immagini nella poesia amorosa. I lai (v. 46) sono le strida emesse dalle gru, ma il riferimento è anche ai Lais, genere di poesia franco-provenzale e ai lamenti amorosi citati dai trovatori occitanici. Le colombe appartenevano al corteo di Venere, dea dell'amore, e vengono mostrate mentre vanno al dolce nido, dove si accoppieranno. La terra che 'l Soldan corregge (v. 60) è Babilonia in Egitto, ma qui Dante la confonde probabilmente con la Babilonia capitale del regno assiro. Al v. 90 sanguigno indica il colore rosso del sangue, come perso (v. 89) indica un colore scuro misto di porpora e nero (Francesca intende dire che lei e Paolo sono morti di morte violenta). Il re de l'universo citato da Francesca (v. 91) è probabilmente Dio, ma alcuni commentatori hanno ipotizzato che potrebbe essere il dio Amore, cui la donna era devota in vita. La rima ai vv. 95, 97, 99 (voi / fui / sui ) è siciliana (al v. 95 alcuni mss. leggono vui). Al v. 96 ci tace vuol dire «qui tace» (ci è avv. di luogo), ma alcuni mss. leggono si tace. Il v. 100 (Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende) riprende due versi di Guinizelli e Dante, ovvero Foco d'amore in gentil cor s'aprende (dalla canzone Al cor gentil rempaira sempre amore) e Amore e 'l cor gentil sono una cosa (Vita Nuova, XX). Invece il v. 103 (Amor, ch'a nullo amato amar perdona) riprende un concetto espresso nel De amore, di A. Cappellano. I vv. 121-123 sono una citazione di un passo di Boezio (De consolatione philosophiae, II, 4), ma non è certo che il dottore di Dante sia Virgilio, poiché Francesca potrebbe alludere proprio a Boezio. Nel romanzo cortese citato da Francesca (vv. 133 ss.) è in realtà la regina Ginevra a baciare Lancillotto, nell'ambito del rituale dell'omaggio amoroso che ricalcava l'investitura cavalleresca: può darsi che Dante avesse letto un tardo volgarizzamento del testo francese in cui la situazione era rovesciata o descritta in modo ambiguo. Galeotto è Galehaut, il siniscalco di Ginevra che faceva da mallevadore ai due amanti del romanzo. Il verso finale del Canto (142) è assai simile a quello che chiudeva il III (v. 136: e caddi come l'uom cui sonno piglia). Testo Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che punge a guaio. 3 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia. 6 Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata 9 vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. 15 «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio, 18 «guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? 21 Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 24 Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. 27 Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, Parafrasi Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi. Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda. Dico che quando l'anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione; e quel conoscitore dei peccati stabilisce in quale zona dell'Inferno debba andare; si cinge con la coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Davanti a lui ci sono sempre moltissime anime; una dopo l'altra vanno a sottoporsi al suo giudizio; parlano e ascoltano, poi sono precipitati giù. E Minosse, quando mi vide, mi disse questo, tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore, bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità dell'ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare? Non impedire il suo viaggio voluto da Dio: si vuole così in Cielo, dove è possibile tutto ciò che si vuole, quindi non dire altro». Ora inizio a sentire le note dolenti; ora sono giunto in un luogo dove molta sofferenza mi colpisce. Io giunsi in un luogo totalmente buio, che risuona come il mare in tempesta quando soffiano venti contrari. se da contrari venti è combattuto. 30 La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. 33 Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. 36 Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 39 E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali; 42 di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. 45 E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, 48 ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?». 51 «La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle. 54 A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. 57 Ell’è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge. 60 L’altra è colei che s’ancise amorosa, La bufera infernale, che è incessante, trascina rapinosamente le anime; li tormenta sbattendoli e percuotendoli. Quando arrivano davanti alla rovina, allora emettono urla, pianti, lamenti; qui bestemmiano Dio. Capii che a questa pena sono dannati i peccatori di lussuria, che sottomettono la ragione al piacere. E come d'inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali, formando una larga schiera, così quel vento trasporta gli spiriti malvagi; li trascina qua e là, su e giù; non hanno alcuna speranza che li conforti, né di riposo né di una diminuzione della pena. E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando delle anime, trasportate da quella tempesta; allora dissi: «Maestro, chi sono quelle anime castigate così dalla oscura bufera?» «La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli. Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava. Ella è Semiramide, di cui si legge che fu sposa di Nino al quale poi succedette: governò la terra che ora è governata dal Soldano. L'altra è colei che si suicidò per amore (Didone), e non tenne fede alla memoria del marito Sicheo; poi c'è la lussuriosa Cleopatra.
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