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divina commedia canto 8 parafrasi, Appunti di Italiano

divina commedia canto 8 parafrasi

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/09/2019

noemi-quondam
noemi-quondam 🇮🇹

4.5

(9)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica divina commedia canto 8 parafrasi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Inferno, Canto VIII E. Delacroix, Il pasaggio dello Stige (1822) "Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto," disse lo mio segnore, "a questa volta: più non ci avrai che sol passando il loto"... Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!"; e 'l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co' denti... Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo, s'appressa la città c'ha nome Dite, co' gravi cittadin, col grande stuolo"... Argomento del Canto Ancora nel V Cerchio; apparizione di Flegiàs, che traghetta Dante e Virgilio nella palude dello Stige. Incontro con Filippo Argenti. Arrivo alla città di Dite. I diavoli negano il passaggio ai due poeti. È la notte di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300. Apparizione di Flegiàs (1-30) Già prima che i due poeti siano giunti ai piedi dell'alta torre sulla sponda della palude Stigia, Dante aveva notato che da essa era partito un segnale luminoso, cui aveva risposto un segnale identico proveniente da un'altra torre, che sorge più lontano. Allarmato, Dante chiede a Virgilio il significato delle luci e chi ne sia l'autore, e il maestro spiega che attraverso il vapore della palude Dante potrà scorgere colui che stanno aspettando. Dante osserva il pantano e vede avvicinarsi una piccola imbarcazione, che si muove assai più rapida di qualunque freccia scoccata da un arco. La barca è governata da un solo traghettatore (Flegiàs) che apostrofa Dante scambiandolo per un dannato, finché Virgilio lo zittisce dicendogli che lui dovrà solo trasportarli attraverso la palude. Il demone reagisce con stizza, poi i due poeti salgono sulla barca (che affonda lievemente solo quando vi sale Dante) e Flegiàs lascia la proda. Incontro con Filippo Argenti (31-63) G. Doré, Filippo Argenti Mentre la barca attraversa la palude, si avvicina l'anima di un dannato che chiede a Dante chi sia lui per giungere all'Inferno quando è ancora vivo. Dante risponde che lui presto ripartirà e chiede a sua volta chi sia il dannato: questi non risponde e Dante lo riconosce come Filippo Adimari, detto Filippo Argenti, al quale rivolge parole di condanna. Il dannato si protende verso la barca cercando di afferrare Dante, ma Virgilio lo spinge via e pronuncia parole di elogio a Dante. Il poeta latino rivolge poi una ammonizione a tutti gli uomini alteri e orgogliosi, come lo fu l'Argenti, che in vita si credono grandi re e all'Inferno finiranno come porci nel fango. Dante manifesta il desiderio di vedere il dannato azzuffarsi coi compagni di pena, prima di lasciare lo Stige, e Virgilio afferma che ne avrà presto l'occasione. Poco dopo, infatti, Dante vede gli altri dannati avventarsi su Filippo Argenti facendone strazio, spettacolo che Dante gode pienamente (lo stesso Filippo morde rabbiosamente se stesso). La città di Dite (64-81) Mentre la barca di Flegiàs si allontana dagli iracondi, Dante sente un coro di voci dolorose che lo riempiono di angoscia. Virgilio lo informa che ormai sono vicini alla città infernale di Dite, popolata dal grande stuolo dei demoni. Dante drizza lo sguardo e vede le torri della città simili a quelle delle moschee, rosse come se fossero roventi. Virgilio spiega che il fuoco eterno che vi è dentro la città ne arroventa le mura rendendole di colore rossastro. La barca si avvicina ai profondi fossati che cingono Dite, le cui mura sembrano di ferro: la barca fa un ampio giro prima di approdare all'argine, dove Flegiàs invita con fare imperioso i due poeti a scendere perché lì c'è l'accesso alla città. L'opposizione dei diavoli di Dite (82-130) che per superare l'ostacolo del peccato sulla via della salvezza la ragione non sempre è sufficiente, ma è necessaria l'assistenza e il soccorso della grazia (già rappresentata da Beatrice scesa nel Limbo per invitare Virgilio a salvare Dante dalle tre fiere). Note e passi controversi Non è molto chiaro quale sia la funzione delle due torri che si scambiano segnali luminosi all'inizio del Canto, salvo ipotizzare che ciò serva a richiamare Flegiàs con la sua barca. Ben poco si sa poi di questo personaggio e del suo ruolo, che potrebbe essere quello di traghettatore degli iracondi nello Stige, o degli eresiarchi nella città di Dite, o di tutte le anime destinate al basso Inferno.Al v. 21 loto vuol dire «fango» e indica la palude Stigia. Il v. 27, che indica che la barca di Flegiàs affonda solo quando vi sale Dante in possesso del suo corpo fisico, è eco di Aen., VI, 413-414. Il breve scambio di battute fra Dante e l'Argenti (vv. 33-39) rimanda alla tradizione della poesia comica e sembra quasi una «tenzone»: il dannato dice a Dante che arriva anzitempo all'Inferno, predicendone cioè la dannazione, ma Dante ribatte che se viene non è certo per rimanere come tocca invece a lui. Il poeta chiede poi il nome del dannato, irriconoscibile perché brutto, sporco di fango, e alla risposta ambigua dell'Adimari (Vedi che son un che piango) ribatte che è giusto che rimanga nel pianto e nel lutto, essendo uno spirito maledetto. Uno scambio assai simile, anche se condotto su un piano stilistico più alto, avverrà nel Canto X con Farinata. Al v. 65 duolo indica probabilmente il coro di lamenti dolorosi che proviene dalla città di Dite. Le torri e gli spalti della città demoniaca di Dite sono paragonati alle meschite (v. 70), le moschee di una città islamica (ciò per l'evidente condanna della fede musulmana da parte del Cristianesimo nel Medioevo). La descrizione fa uso dell'allitterazione insistita della f, di foco uscite..., fossero, il foco etterno... l'affoca, l'alte fosse, che ferro fosse. L'alte fosse (v. 76) sono probabilmente i fossati che circondano la città, come quelli che cingevano le cittadelle medievali (il termine è in rima equivoca col verbo fosse al v. 78). Al v. 96 ritornarci significa «tornare sulla Terra» (-ci è avverbio di luogo, «qui»). La speranza di Virgilio di ridurre i diavoli a più miti consigli viene disattesa (vv. 112-120) e la reazione della guida di Dante sarà di grande disappunto, come avverrà nell'episodio dei Malebranche (Canti XXI, XXII e XXIII). I vv. 125-126 alludono alla discesa di Cristo risorto all'Inferno, per trarre dal Limbo le anime dei patriarchi biblici: la porta citata da Virgilio è quella dell'Inferno (III, 1 ss.), che nell'occasione fu abbattuta da Cristo e si trova ancora sanza serrame, senza i battenti che la chiudevano. Il v. 130 allude al messo celeste, già in procinto di scendere all'Inferno per ridurre all'obbedienza i demoni di Dite. Testo Io dico, seguitando, ch’assai prima che noi fossimo al piè de l’alta torre, li occhi nostri n’andar suso a la cima 3 per due fiammette che i vedemmo porre e un’altra da lungi render cenno tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre. 6 E io mi volsi al mar di tutto ’l senno; dissi: «Questo che dice? e che risponde quell’altro foco? e chi son quei che ’l fenno?». 9 Parafrasi Proseguendo, io dico che assai prima di giungere ai piedi dell'alta torre, i nostri occhi andarono alla sua cima e videro che qualcuno vi aveva posto due fiammelle, mentre un'altra torre più lontana, tanto che si poteva scorgere a malapena, aveva risposto. Io mi rivolsi a Virgilio, il cui senno è ampio come il mare, e dissi: «Cosa vuol dire questo segnale? e quell'altro cosa risponde? e chi ha fatto tutto questo?» Ed elli a me: «Su per le sucide onde già scorgere puoi quello che s’aspetta, se ’l fummo del pantan nol ti nasconde». 12 Corda non pinse mai da sé saetta che sì corresse via per l’aere snella, com’io vidi una nave piccioletta 15 venir per l’acqua verso noi in quella, sotto ’l governo d’un sol galeoto, che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!». 18 «Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto», disse lo mio segnore «a questa volta: più non ci avrai che sol passando il loto». 21 Qual è colui che grande inganno ascolta che li sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs ne l’ira accolta. 24 Lo duca mio discese ne la barca, e poi mi fece intrare appresso lui; e sol quand’io fui dentro parve carca. 27 Tosto che ’l duca e io nel legno fui, segando se ne va l’antica prora de l’acqua più che non suol con altrui. 30 Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?». 33 E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango; ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?». Rispuose: «Vedi che son un che piango». 36 E io a lui: «Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto». 39 Allor distese al legno ambo le mani; per che ’l maestro accorto lo sospinse, dicendo: «Via costà con li altri cani!». 42 E lui a me: «Lungo le acque torbide già puoi vedere colui che stiamo aspettando, se il vapore del pantano non lo nasconde alla vista». La corda di un arco non scoccò mai una freccia che fendesse l'aria così veloce, come io vidi una piccola barca venire verso di noi in quel momento nell'acqua, governata da un solo timoniere, che gridava: «Finalmente sei arrivata, anima malvagia!» Il mio maestro disse: «Flegiàs, Flegiàs, tu gridi invano questa volta: verremo con te solo per attraversare la palude». Come colui che ascolta un grande inganno che gli è stato fatto, e poi se ne rammarica, così fece Flegiàs ardendo d'ira. La mia guida salì sulla barca e poi mi fece salire dopo di lui; e solo allora la barca sembrò avere un carico (affondò nell'acqua). Non appena io e Virgilio fummo sulla barca, essa ripartì fendendo l'acqua più di quanto non sia solita fare con altri. Mentre percorrevamo quella palude stagnante, mi si avvicinò un dannato pieno di fango che disse: «Tu chi sei, che giungi all'Inferno prima del tempo?» Io risposi: «Se vengo, non rimango certo; tu invece chi sei, che sei reso irriconoscibile?» Rispose: «Vedi bene che sono un'anima afflitta». E io a lui: «Ed è bene che tu resti afflitto e in lutto, spirito maledetto; infatti ti riconosco, benché tu sia tutto sporco di fango». Allora il dannato si protese con ambo le mani verso la barca; il maestro, accorto, lo spinse via dicendo: «Va' via di qui, torna con gli altri cani!» Lo collo poi con le braccia mi cinse; basciommi ’l volto, e disse: «Alma sdegnosa, benedetta colei che ’n te s’incinse! 45 Quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi: così s’è l’ombra sua qui furiosa. 48 Quanti si tegnon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi!». 51 E io: «Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda prima che noi uscissimo del lago». 54 Ed elli a me: «Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disio convien che tu goda». 57 Dopo ciò poco vid’io quello strazio far di costui a le fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 60 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»; e ’l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co’ denti. 63 Quivi il lasciammo, che più non ne narro; ma ne l’orecchie mi percosse un duolo, per ch’io avante l’occhio intento sbarro. 66 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, s’appressa la città c’ha nome Dite, coi gravi cittadin, col grande stuolo». 69 E io: «Maestro, già le sue meschite là entro certe ne la valle cerno, vermiglie come se di foco uscite 72 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno ch’entro l’affoca le dimostra rosse, Poi mi abbracciò al collo con le braccia, mi baciò il viso e disse: «O anima disdegnosa, benedetta colei che rimase incinta di te! Quello nel mondo fu una persona orgogliosa; non c'è alcuna sua buona azione che renda onore alla sua memoria, così la sua anima è qui, furiosa. Quanti uomini si credono in vita dei grandi re, mentre qui all'Inferno saranno come porci nel fango, lasciando di sé un orribile ricordo!» E io: «Maestro, avrei gran desiderio di vederlo sprofondare in questa melma, prima di lasciare la palude». E lui a me: «Prima che avvisteremo la proda, sarai soddisfatto: è opportuno che tale desiderio sia appagato». Poco dopo vidi che i dannati immersi nel fango fecero di lui un grande strazio, cosa di cui ancora lodo e ringrazio Dio. Tutti i dannati gridavano: «Addosso a Filippo Argenti!»; e quel bizzarro spirito fiorentino si mordeva da sé coi denti. Lo lasciammo qui, né dirò altro di lui; ma ecco che le mie orecchie percepirono un coro lamentoso, per cui drizzai allarmato lo sguardo. Il buon maestro disse: «Ormai, figliuolo, si avvicina la città chiamata Dite, coi suoi afflitti abitanti, col grande stuolo di diavoli». E io: «Maestro, scorgo già le sue moschee distinte in lontananza, rosse come se fossero uscite dal fuoco». E lui mi disse: «Il fuoco eterno che le arroventa all'interno le fa diventare di quel colore, come tu vedi in questo basso Inferno».
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