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Divina commedia canto 9 dell’inferno, Appunti di Italiano

Spiegazione canto della divina commedia di Dante Alighieri

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 06/02/2022

desy003
desy003 🇮🇹

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9 documenti

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Scarica Divina commedia canto 9 dell’inferno e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! CANTO IX, INFERNO Il canto nono dell'Inferno si svolge nel sesto cerchio, la città di Dite, dove sono puniti gli eretici; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300. Il nono canto presenta un crescendo di immagini che è stato definito "teatrale", con una rappresentazione dell'azione ben calibrata grazie ai personaggi che entrano in scena uno dopo l'altro. Alla fine del canto VIII, Dante e Virgilio giungono ai piedi della città di Dite, la zona che divide l’Alto Inferno dal Basso. Il loro passaggio, però, è ostacolato dalla presenza di diavoli. Virgilio cerca di scacciarli con il consueto intervento ma non ci riesce e per tanto è necessario l’aiuto della Grazia Divina, che invia, in loro soccorso, un messo celeste. Allegoricamente, Virgilio, che rappresenta nell’opera la ragione umana, chiede aiuto a Dio laddove questa si mostra inefficace. Dopo essere tornato presso Dante, Virgilio riacquista la propria serenità e incoraggia il suo discepolo ricordandogli di essere già sceso in fondo all’Inferno. Dante sempre più smarrito e perplesso, chiede alla sua guida se le anime del Limbo possono scendere nel Basso Inferno, cercando di sapere, indirettamente se Virgilio conosce veramente la strada. Virgilio, che ha capito perfettamente quello che cosa intende dire Dante, risponde che raramente le anime del Limbo scendono giù, ma tuttavia egli vi è sceso poco dopo la morte, chiamato dai lamenti della maga Eritone (Il riferimento a Eritone prende spunto dalle Pharsalia di Lucano, ma è molto rielaborato con aggiunte originali di Dante. In Lucano Eritone è una fattucchiera in grado di rianimare i morti. Essa aveva richiamato un defunto alla vita affinché esso, con il potere di preveggenza tipico di chi ormai abita l'oltretomba, rivelasse a Pompeo l'esito della battaglia di Farsalo. Non c'è nessun riferimento al fatto che un'altra anima dovesse accompagnare il morto resuscitato, né tantomeno che questa fosse Virgilio, quindi è tutta farina del sacco dell’Alighieri). All’improvviso, sulle mura della città, compaiono le tre furie infernali, le Erinni, fedeli creature a Proserpina, regina dell’Inferno, mostri dalle sembianze di donna e chiome formate da serpenti. Virgilio le indica a Dante, pronunciando i loro nomi (Megera, Aletto e Tesifone) mentre esse, graffiandosi il petto, invocano Medusa. Ma da sole sono impotenti e non possono punire il vivo (Dante) che ha osato violare la dimora della morte, per questo invocano, a gran voce, Medusa che ha il potere di trasformare in pietra chiunque la guardi. Virgilio invita il suo discepolo a voltarsi e a coprirsi gli occhi nel caso in cui comparisse Medusa. Ma da lontano si preannuncia ormai l’arrivo del messo celeste (l'aiuto di Dio è necessario perché Dante vinca i suoi dubbi e la sua viltà, come già era accaduto nella selva per mezzo di Virgilio, e superi l'opposizione dei demoni che è del resto vana in quanto il suo viaggio non è folle ma voluto dal Cielo. Quasi impossibile, poi, identificare con certezza il messo, che molti commentatori hanno indicato in un angelo (uno degli arcangeli, Gabriele o Michele), altri in un personaggio pagano (Mercurio), altri ancora in un contemporaneo di Dante. Quel che è certo è che il suo compito è vincere la ribellione dei demoni al volere divino, come Michele che sconfisse Lucifero, il messo celeste, quindi è una di quelle creature che hanno per specifico ufficio di essere intermediarie fra il Cielo e la Terra.). Lo precede un fragore d’uragano, mentre davanti a lui, che avanza sereno nella palude senza nemmeno bagnarsi i piedi, i diavoli e i dannati, in numero sterminato, si danno alla fuga. Virgilio esorta Dante ad inginocchiarsi, ma l’angelo non degna loro neanche uno sguardo: altre preoccupazioni sembra dominare il suo animo. Giunto davanti alla porta della città di Dite, la tocca con uno scettro ed essa si apre senza difficoltà. Prima di ripercorrere il cammino per il quale è venuto, il messo celeste rimprovera i diavoli per essersi opposti alla volontà divina e ricorda la pena di Cerbero (che voleva impedire il passaggio di Ercole nell'inferno, Cerbero porta ancora i segni della lotta perduta contro l'eroe sostenuto dalla volontà divina). Allontanatosi l’angelo, I due poeti non trovano più nessun ostacolo ad entrare nella città e attraversano le mura. Il cambio di situazione è totale: dall'affollamento e l'azione dei versi precedenti, si passa al deserto del cimitero, seppure punteggiato dai soliti lamenti dei dannati. Al lettore moderno magari può impressionare il fatto che dentro le mura della città, invece, di trovare case e persone i due poeti trovano l'esatto opposto cioè un cimitero: bisogna comunque pensare che al tempo di Dante i cimiteri si potevano ancora trovare dentro le mura, e che il divieto a seppellire dentro il centro delle nostre città risale solo all'epoca napoleonica. Dante quindi si guarda attorno e lo stuolo di tombe gli ricorda due famosi cimiteri medievali: quello di Arles e quello di Pola (oggi scomparso). Ma qui i sepolcri, tutti aperti, senza coperchio, sono arroventati dalle fiamme. In esse si trovano le anime degli eretici. Gli eretici sono coloro che nella vita si macchiarono del peccato dell’eresia, ovvero andarono contro il dogma della religione. Queste anime giacciono in sepolcri infuocati: il fuoco, seconda la consuetudine del tempo, rappresenta il simbolo della purificazione . Ogni tomba è scoperchiata, permettendo così ai gemiti e ai lamenti di dolore, di disperdersi nell’aria. Contrappasso: come in vita non credettero nell’immortalità dell’anima, cioè fecero l’anima morta con il corpo, ora sono destinati a morire continuamente. A questa pena è aggiunta anche una presbiopia (consiste nella progressiva e naturale incapacità dell'occhio di mettere a fuoco gli oggetti più vicini), secondo la quale riescono a vedere il futuro ma non il presente. Virgilio spiega a Dante che all’interno delle tombe vi sono le anime degli eretici, riuniti per sette. Questo vuol dire che in una tomba non c’ è solo un’anima ma più di una: per ogni eresia, ogni gruppo. Particolarmente interessato a questa categoria di dannati si mostra subito Dante, soprattutto perché sa (o intuisce) che fra loro si trova il concittadino Farinata Degli Uberti, la cui perdizione gli è stata preannunciata da Ciacco. Anche questo Canto si chiude prima che l'episodio abbia termine e rimanda l'attenzione a quello successivo, in cui avverrà l'incontro con Farinata. Dante ci invita ad ammirare la dottrina che si nasconde sotto il velame dei suoi versi strani. Versi che narrano eventi straordinari su cui conviene soffermarsi. L'invito ha scatenato la fantasia dei commentatori d'ogni tempo; ma anche i più vicini cronologicamente a Dante, e quindi al suo modo di vedere e d'immaginare, avanzano soluzioni assai diverse tra loro. Ci si è anzitutto chiesto se l'invito si riferisca a quel che lo precede (alle Furie e a Medusa; e perché non anche alla sconfitta di Virgilio e alla paura di Dante?) O a quel che segue (messo); o se si riferisca a tutto l'episodio nel suo complesso; quest'ultima è l'ipotesi che incontra oggi i maggiori consensi. Cercare di penetrare la simbologia della sacra rappresentazione dei canti VIII e IX é in ogni caso importante. È da escludere che il simbolo delle Furie (come
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