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divina commedia canto 9 parafrasi, Appunti di Italiano

divina commedia canto 9 parafrasi

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/09/2019

noemi-quondam
noemi-quondam 🇮🇹

4.5

(9)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica divina commedia canto 9 parafrasi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Inferno, Canto IX G. Stradano, I demoni di Dite (1587) "Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto", dicevan tutte riguardando in giuso; "mal non vengiammo in Teseo l'assalto"... Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta e con una verghetta l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno... E io: "Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell'arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?" ... Argomento del Canto Dubbi di Dante e spiegazioni di Virgilio. Apparizione delle tre Furie, che invocano Medusa. Arrivo del messo celeste, che piega le resistenze dei demoni e permette il passaggio dei due poeti. Ingresso nella città di Dite (VI Cerchio). Pena degli eresiarchi. È la notte di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300. I dubbi di Dante (1-33) La paura mostrata da Dante alla fine del Canto precedente induce Virgilio a nascondere la sua preoccupazione, mentre egli tende l'orecchio in attesa dell'arrivo del messo celeste. Il poeta latino pronuncia alcune parole di dubbio, che subito dopo corregge per non accrescere il timore del discepolo. A questo punto Dante chiede al maestro se mai un'anima del Limbo sia discesa fino al basso Inferno e Virgilio risponde che, benché ciò accada raramente, è già successo a lui poco dopo la sua morte quando la maga Eritone lo aveva evocato per trarre fuori dalla Giudecca l'anima di un traditore. Virgilio rassicura quindi Dante del fatto che conosce bene il cammino, spiegandogli che la palude Stigia circonda completamente la città di Dite e li costringe perciò ad entrare nelle sue mura per superarla. Apparizione delle tre Furie (34-66) Caravaggio, Testa di Medusa Virgilio aggiunge altre parole che però Dante non ascolta, poiché il suo sguardo è attirato sulla cima delle mura dall'apparizione delle tre Furie infernali, sporche di sangue e coi capelli serpentini. Virgilio le riconosce subito e spiega a Dante che quella a sinistra è Megera, quella a destra è Aletto e Tesifone è al centro. Esse si squarciano il petto con le unghie, si percuotono a palme aperte e gridano così forte da indurre Dante a stringersi a Virgilio. Tutte invocano l'arrivo di Medusa per pietrificare Dante, quindi Virgilio lo esorta a voltarsi e a chiudersi gli occhi con le mani per non vedere la Gorgone. Dante obbedisce e Virgilio, non contento di ciò, mette le sue mani su quelle di Dante per non impedirgli di guardare. Arrivo del messo celeste (67-105) G. Doré, Il messo celeste successivo, in cui avverrà l'incontro con Farinata che, forse, il lettore del poema si attendeva di trovare qui non meno di quanto se lo aspettasse Dante personaggio. Note e passi controversi Al v. 7 punga è metatesi per pugna, per ragioni di rima. Al v. 11, invece, dienne è forma rara per mi diede. I vv. 17-18 indicano il Limbo (primo grado), dove le anime hanno come unica pena la speranza cionca («monca», «troncata»). La regina de l'etterno pianto (v. 44) è Proserpina, la sposa mitologica di Plutone e regina degli Inferi, di cui le Furie sono dette meschine, serve (è parola di origine araba, da miskin, povero). Il suono assordante che precede l'arrivo del messo (v. 64 ss.) è tratto prob. da un passo biblico, Act. Ap., II, 2 (et factus est repente de caelo sonus tamquam advenientis spiritus vehementis, «all'improvviso scese dal cielo un suono come di vento che soffia impetuoso»), così come l'immagine del vento che abbatte gli alberida Ezech., I, 4 (et ecce ventus turbinis veniebat ab aquilone, «ed ecco un vento tempestoso avanzare da settentrione»). La similitudine dei dannati che fuggono come rane di fronte alla biscia proviene invece da Ovidio, Met., VI, 370-381. La verghetta che il messo ha in mano (v. 89) potrebbe essere lo scettro brandito da molti angeli nell'iconografia medievale, ma anche il caduceo di Mercurio. Dante descrive le tombe di Dite con due similitudini, paragonandole al cimitero Des Alyscamps di Arles, sul Rodano, e alla necropoli di Pola, sul golfo del Quarnaro. Al v. 133 li alti spaldi sono gli spalti della città di Dite. Testo Quel color che viltà di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta, più tosto dentro il suo novo ristrinse. 3 Attento si fermò com’uom ch’ascolta; ché l’occhio nol potea menare a lunga per l’aere nero e per la nebbia folta. 6 «Pur a noi converrà vincer la punga», cominciò el, «se non... Tal ne s’offerse. Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!». 9 I’ vidi ben sì com’ei ricoperse lo cominciar con l’altro che poi venne, che fur parole a le prime diverse; 12 ma nondimen paura il suo dir dienne, perch’io traeva la parola tronca forse a peggior sentenzia che non tenne. 15 «In questo fondo de la trista conca discende mai alcun del primo grado, che sol per pena ha la speranza cionca?». 18 Questa question fec’io; e quei «Di rado incontra», mi rispuose, «che di noi Parafrasi Quel pallore che la mia viltà mi colorò sul viso, vedendo la mia guida tornare sui suoi passi, indusse Virgilio a trattenere dentro di sé i suoi dubbi. Si fermò, tendendo l'orecchio per ascoltare; infatti non poteva spingere lontano lo sguardo, a causa dell'oscurità e della fitta nebbia. Cominciò a dire: «Eppure è inevitabile che noi vinceremo la battaglia, a meno che... ci è stato promesso un valido aiuto. Oh, come vorrei che arrivasse qui subito!» Io mi accorsi del fatto che cambiò discorso rispetto a quello che aveva iniziato, che probabilmente sarebbe stato diverso; nondimeno le sue parole crearono in me paura, perché io interpretavo la frase interrotta con un senso forse peggiore di quanto non avesse in realtà. «È mai successo che un'anima del I Cerchio, la cui unica pena è non avere speranza di salvezza, sia scesa in fondo al basso Inferno?» faccia il cammino alcun per qual io vado. 21 Ver è ch’altra fiata qua giù fui, congiurato da quella Eritón cruda che richiamava l’ombre a’ corpi sui. 24 Di poco era di me la carne nuda, ch’ella mi fece intrar dentr’a quel muro, per trarne un spirto del cerchio di Giuda. 27 Quell’è ’l più basso loco e ’l più oscuro, e ’l più lontan dal ciel che tutto gira: ben so ’l cammin; però ti fa sicuro. 30 Questa palude che ’l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente, u’ non potemo intrare omai sanz’ira». 33 E altro disse, ma non l’ho a mente; però che l’occhio m’avea tutto tratto ver’ l’alta torre a la cima rovente, 36 dove in un punto furon dritte ratto tre furie infernal di sangue tinte, che membra feminine avieno e atto, 39 e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine, onde le fiere tempie erano avvinte. 42 E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l’etterno pianto, «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. 45 Quest’è Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro è Aletto; Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. 48 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; battiensi a palme, e gridavan sì alto, ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. 51 Io posi questa domanda a Virgilio, e lui rispose: «Accade raramente che qualcuno di noi compia questo stesso cammino. È pur vero che io scesi già qui un'altra volta, evocato da quella crudele maga Eritone che richiamava le anime nei loro corpo. Mi ero separato da poco dal mio corpo (ero morto da poco tempo), quando lei mi fece entrare dentro quelle mura (di Dite) per trarre uno spirito fuori dalla Giudecca. Quello è il punto più basso e oscuro dell'inferno, nonché il più lontano dal Primo Mobile: io so bene la strada, perciò sta' tranquillo. Questa palude che emana il gran puzzo cinge tutt'intorno la città di Dite, dove ormai non potremo entrare senza forzare la volontà dei demoni». Aggiunse altro, ma non lo ricordo, poiché il mio sguardo fu attirato verso l'alta torre dalla cima arroventata, dove in un punto si erano affacciate le tre Furie infernali, sporche di sangue, che avevano membra e comportamento femminili, ed erano circondate da idre verdissime; avevano per capelli serpentelli e ceraste, di cui avevano avvolte le tempie. E Virgilio, che riconobbe subito le ancelle della regina dell'Inferno (Proserpina), mi disse: «Guarda le feroci Erinni (Furie). Questa a sinistra è Megera; quella che piange a destra è Aletto; Tesifone è al centro»; a quel punto tacque. «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso; «mal non vengiammo in Teseo l’assalto». 54 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; ché‚ se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso». 57 Così disse ’l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. 60 O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani. 63 E già venia su per le torbide onde un fracasso d’un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde, 66 non altrimenti fatto che d’un vento impetuoso per li avversi ardori, che fier la selva e sanz’alcun rattento 69 li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori. 72 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica per indi ove quel fummo è più acerbo». 75 Come le rane innanzi a la nimica biscia per l’acqua si dileguan tutte, fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, 78 vid’io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch’al passo passava Stige con le piante asciutte. 81 Dal volto rimovea quell’aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso; e sol di quell’angoscia parea lasso. 84 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, Ciascuna si squarciava il petto con le unghie; si battevano con le palme delle mani, e gridavano così forte che io, per paura, mi strinsi a Virgilio. «Venga qui Medusa, così lo trasformeremo in pietra!», dicevano tutte guardando in basso; «facemmo male a non vendicare l'assalto di Teseo!» «Voltati indietro e tieni gli occhi chiusi: infatti, se la Gorgone si mostrasse e tu la vedessi, non avresti alcuna speranza di tornare sulla Terra». Così disse il maestro; ed egli stesso mi fece voltare, e non si accontentò che io mi mettessi le mani sugli occhi, ma aggiunse anche le sue. O voi che avete gli intelletti integri, osservate bene l'insegnamento che si cela sotto il velo dei miei versi misteriosi. Già arrivava lungo le acque fangose dello Stige un gran frastuono, che faceva paura, per cui entrambe le sponde tremavano, proprio come un vento impetuoso che per le temperature contrarie colpisce la selva e senza alcun riguardo schianta, abbatte e trascina via i rami; procede superbo tra la polvere, facendo scappare belve e pastori. Virgilio mi fece aprire gli occhi e disse: «Ora punta lo sguardo verso quell'antico pantano, dove il vapore è più fitto». Come le rane fuggono tutte davanti alla biscia loro avversaria, finché ciascuna si ammucchia sulla terraferma, così io vidi più di mille anime di iracondi fuggire davanti ad uno che attraversava lo Stige camminando, coi piedi asciutti. Con la mano sinistra scacciava spesso il fumo dal volto e ciò sembrava il suo unico fastidio. Capii subito che quello era il messo celeste e mi rivolsi al maestro; e lui mi fece cenno che stessi calmo e mi inchinassi al nuovo venuto.
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