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DIVINA COMMEDIA: RIASSUNTO DI TUTTI I CANTI DEL PARADISO DANTESCO (CANTO PER CANTO), Sintesi del corso di Italiano

Riassunto di tutti i canti del paradiso dantesco: la divina commedia esplicata canto per canto, in maniera concisa ma completa ed esaustiva.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica DIVINA COMMEDIA: RIASSUNTO DI TUTTI I CANTI DEL PARADISO DANTESCO (CANTO PER CANTO) e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! DIVINA COMMEDIA: RIASSUNTO DI TUTTI I CANTI DEL PARADISO DANTESCO (CANTO PER CANTO) PARADISO Canto 1: Dante dice di essere stato nell'Empireo, dove maggiormente rifulge la gloria di Dio, e di aver visto cose che non sa, né può ridire, perché l'intelletto, appressandosi a Dio, vi s'immerge tanto che la memoria non lo può seguire. Pertanto dirà solo quel poco che ricorda. All'ardua materia del suo canto non sono più sufficienti le Muse, invoca quindi il loro duce, Apollo, perché l'aiuti a compiere opera tale, che gli meriti la corona di alloro. Il sole, che si trovava nella costellazione dell'Ariete, nel Purgatorio risplendeva in pieno mezzogiorno e Dante, vedendo Beatrice intenta a fissare l'astro, la imita, e dopo un po' gli sembrò che il cielo fosse adorno d'un altro sole. Fissa allora i suoi occhi in quelli di Beatrice, e si sente subito trasumanare, quasi come Glauco che gustando una certa erba si sentì trasformare in dio marino. Ascolta poi l'armonia delle sfere celesti e gli sembra di trovarsi in un lago di fuoco. Beatrice s'accorge del suo desiderio di conoscere la ragione di quel suono e di quella luce e gli dice: "Tu non ti trovi più in terra, ma stai salendo verso il cielo con la velocità della folgore". A questo punto Dante viene preso da un nuovo dubbio: come può egli, corpo pesante, attraversare corpi leggeri, quali l'aria e il fuoco? Beatrice spiega: Nell'ordine mirabile, che Iddio ha dato all'universo, tutte le cose create sono disposte rispetto al loro ultimo fine in condizione diversa, essendo alcune più, altre meno vicine a Dio, e si muovono ai loro fini secondo l'istinto, che le guida. In grazia di questo istinto il fuoco tende in alto, gli animali bruti agiscono, la terra occupa il centro del mondo e gli Angeli e gli uomini si sentono attratti dal loro istinto. L'anima umana tende quindi all'Empireo, sede di Dio e solo per il libero arbitrio può dirigersi al male, confuso però come bene. Ora Dante è purificato, libero da ogni colpa, nessuna meraviglia che salga al cielo, meraviglia sarebbe il contrario. Detto ciò Beatrice "rivolse inver lo cielo il viso". Canto 2: Il canto si apre con un’ammonizione ai lettori: la materia che il poeta si accinge a cantare è così ardua che solo chi ha una buona preparazione filosofica e teologica potrà comprenderla; gli altri dovranno accontentarsi della lettura delle prime due cantiche. Riprende quindi la narrazione della veloce ascesa al Cielo: Beatrice e Dante raggiungono il Cielo della Luna veloci come un dardo che si stacca dalla corda dell’arco e giunge al bersaglio. La donna esorta quindi il poeta a ringraziare Dio. Dante, cui sembra di essere dentro una nuvola “lucida, spessa, solida e pulita” prova un profondo stupore per il fatto di penetrare con il suo corpo in un altro corpo, quello della Luna, e afferma che ciò dovrebbe accendere di più il desiderio di contemplare in cielo la divina essenza di Cristo, in cui le nature umana e divina si fanno in perfetta unità: infatti in Cielo vedremo ciò che in terra crediamo solo per fede. Dopo aver ringraziato Dio, il poeta chiede a Beatrice spiegazioni sulle macchie lunari. Essa, però, vuol prima sapere l’opinione del poeta in proposito ed egli risponde che le macchie dipendono dalla maggiore o minore intensità della materia. Confutando tale opinione, Beatrice spiega che la maggiore o minore luminosità degli astri dipende dal modo in cui si manifestano le intelligenze motrici: le macchie lunari derivano dal minor vigore impresso dalla vista delle intelligenze angeliche al corpo della luna. Canto 3: Dante alza gli occhi con riverenza verso Beatrice per ringraziarla della spiegazione ricevuta sulle macchie lunari e sugli influssi dei Cieli, ma non riesce a pronunciare parola. La sua attenzione è attratta dall'immagine di volti evanescenti, che sembrano riflessi da vetri trasparenti o da specchi d'acqua limpida. Il poeta volge lo sguardo indietro credendo che le anime si trovino alle sue spalle, ma il sorriso e le parole benevole di Beatrice gli fanno comprendere che quelle che a lui paiono figure riflesse sono in realtà gli spiriti del Cielo e della Luna, qui destinati per non aver mantenuto i voti religiosi pronunciati. Dante allora, su invito di Beatrice, chiede a colei che sembra più desiderosa di parlare quali siano il suo nome e la sua condizione. Si tratta di Piccarda Donati, trasfigurata nella bellezza in quanto beata. Dante le domanda quindi se le anime che sono con lei non desiderino poter godere maggiormente della visione di Dio, ma Piccarda risponde che tutte sono completamente appagate dalla propria sorte. Questa infatti deriva dalla volontà di Dio, alla quale ogni beato desidera conformarsi. Il poeta le chiede allora quale voto non abbia osservato in vita e Piccarda narra la sua vicenda. Entrata in convento presso l'ordine delle Clarisse, fu rapita da uomini scellerati e costretta alla vita matrimoniale. Indica poi al poeta l'imperatrice Costanza, moglie di Enrico VI, la quale, come lei, provò il dispiacere dell'allontanamento forzato dalla condizione monacale. Infine, Piccarda invita a cantare Ave e piano piano scompare, mentre Dante è abbagliato dalla luminosità di Beatrice. Canto 4: Beatrice intuisce due dubbi che sono nati nella mente di Dante e scioglie per primo il secondo, più pericoloso per la fede, riguardante la sede delle anime dei Beati: è forse vero che, come sostenne Platone nel Timeo, le anime stanno nei Cieli prima della loro vita terrena e vi fanno ritorno dopo la morte? Ella, confutando le parole del filosofo greco, spiega come i Beati si trovino tutti nell’Empireo, pur apparendo in Cieli diversi, allo scopo di mostrare a Dante un’immagine del loro differente grado di beatitudine secondo l’organizzazione gerarchica voluta da Dio. Esse si recano nei vari Cieli appositamente per incontrare Dante, e poi fanno ritorno nell’Empireo. Del resto, le Sacre Scritture e la Chiesa usano un linguaggio che si adatta alle capacità intellettuali degli uomini. Il secondo dubbio concerne Piccarda: ella era stata strappata a forza dal convento a opera del fratello, rimanendo fedele al voto fatto. Perché, dunque, se la volontà di osservare i voti dura nel cuore, la violenza altrui ne può diminuire il merito? Beatrice risolve facilmente il dubbio spiegando che i Beati del Cielo della Luna dovevano dimostrare una volontà assoluta, incrollabile come quella di San Lorenzo quando subì il martirio o di Muzio Scevola quando lasciò bruciare la sua mano sul fuoco. Infine, Dante esprime un terzo dubbio su come si possa compensare un voto non adempiuto. Canto 5: Dopo aver spiegato a Dante che il fulgore della propria bellezza proviene dalla perfetta visione che ha di Dio, Beatrice si accinge a sciogliere il dubbio se si possa compensare un voto mancato con un'altra opera di bene. Partendo dall'assunto che il bene più grande che Dio abbia donato all'uomo è il libero arbitrio e che pronunciare un voto significa privarsi, seppure volontariamente, di questo bene, Beatrice afferma che non c'è nulla che possa compensare l'inosservanza di un voto. Tuttavia, la Chiesa ha, in merito, potere di intervento in quanto, distinguendo tra essenza e oggetto del voto, la prima, immodificabile, può, a precise condizioni, cambiare il secondo. Beatrice esorta comunque gli uomini a mantenere i voti, ma li ammonisce a pronunciarli con ponderazione ricordando gli esempi di Lefte e di Agamennone, i quali, per adempiere al voto pronunciato, si macchiarono di empietà. Quindi Beatrice guarda dove il cielo è più fulgido di luce e Dante, nonostante sia ancora desideroso di porre nuove domande, rimane in silenzio accanto a lei. Con la velocità della saetta che raggiunge il bersaglio, i due giungono nello splendido Cielo di Mercurio: subito si accalcano attorno a loro numerosissimi spiriti che indicano in Dante colui che accrescerà il loro amore di carità. Uno di questi invita il poeta a parlare ed egli, ottenuto il consenso di Beatrice, gli chiede chi sia e perché sia stato destinato al Cielo di Mercurio. Splendente di luce, aumentata per l'accresciuta letizia, lo spirito si appresta a rispondere. Canto 6: Giustiniano risponde alla prima domanda di Dante, spiegando che dopo che Costantino aveva portato l'aquila imperiale (la capitale dell'Impero) a Costantinopoli erano passati più di duecento anni, durante i quali l'uccello sacro era passato di mano in mano giungendo infine nelle sue. Egli si presenta dunque come imperatore romano e dice di chiamarsi Giustiniano, colui che su ispirazione dello Spirito Santo riformò la legislazione romana. Prima di dedicarsi a tale opera egli aveva aderito all'eresia monofisita, credendo che in Cristo vi fosse solo la natura divina, ma poi papa Agapito lo aveva ricondotto alla vera fede e a quella verità che, adesso, egli legge nella mente di Dio. Non appena l'imperatore fu tornato in seno alla Chiesa, Dio gli ispirò l'alta opera legislativa e si dedicò tutto ad essa, affidando le spedizioni militari al generale Belisario che ebbe il favore del Cielo. Fin qui Giustiniano avrebbe risposto alla prima domanda di Dante, ma la sua risposta lo obbliga a far seguire un'aggiunta, affinché il poeta si renda conto quanto sbagliano coloro che si oppongono al simbolo sacro dell'aquila (i Guelfi) e coloro che se ne appropriano per i loro fini (i Ghibellini). Il simbolo imperiale è degno del massimo rispetto, e ciò è iniziato dal primo momento in cui Pallante morì eroicamente per assicurare la vittoria di Enea. Giustiniano ripercorre le vicende storiche dell'aquila imperiale, da quando dimorò per trecento anni in Alba Longa fino al momento in cui Orazi e Curiazi si batterono fra loro. Seguì il ratto delle Sabine, l'oltraggio a Lucrezia che causò la cacciata dei re e le prime vittorie contro i popoli vicini a Roma; in seguito i Romani portarono l'aquila contro i Galli di Canto 11: Dante, accolto nel Cielo del Sole, fa una dolorosa riflessione sulla vanità dei beni terreni che “fanno in basso batter l’ali”. Dopo che gli spiriti hanno compiuto un giro e sono tornati al punto di partenza, san Tommaso riprende il suo discorso per chiarire i dubbi che egli legge nella mente del poeta a proposito delle due affermazioni: “U’ ben s’impingua” e “Non nacque il secondo”. Egli osserva che la Divina Provvidenza, per soccorrere la Chiesa, mandò in Terra due campioni che mirarono al medesimo fine, la salvezza della Chiesa, san Francesco e san Domenico, l’uno “tutto serafico in ardore”, l’altro per la sua sapienza “di cherubica luce uno splendore”. Quindi san Tommaso narra la storia di san Francesco, ricordando la regione in cui nacque, le sue precoci virtù, l’unione con madonna Povertà, l’esempio di profonda carità che ben presto attirò i primi confratelli, l’approvazione dell’Ordine da parte dei papi Innocenzo III e Onorio III, il tentativo di apostolato in oriente e il successivo ritorno in Italia dove ricevette le stimmate. Quindi, quando piacque a Dio, Francesco raccomandò la povertà ai frati eredi della sua regola, e si fece portare alla Porziuncola, dove morì nudo sulla nuda terra. Terminata l’esaltazione di Francesco, San Tommaso elogia il fondatore del suo Ordine, san Domenico, e biasima con aspre parole la degenerazione dei suoi seguaci, attratti dai beni terreni più che da quelli spirituali. Ecco quindi sciolto il dubbio di Dante a proposito dell’espressione “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia” (si acquista bene, se non si va dietro ai beni mondani, i quali sono vani). Canto 12: San Tommaso ha appena finito di parlare e la corona dei dodici spiriti riprende a danzare e a cantare. Subito una seconda corona di dodici anime la chiude in cerchio e con essa danza e canta. D'improvviso, le due corone interrompono le loro manifestazioni di giubilo e uno degli ultimi arrivati comincia a parlare. Si tratta del francescano San Bonaventura il quale, per spirito di carità, elogia San Domenico, così che la gloria risplenda per entrambi i campioni della Chiesa. Nato a Calaruega, ricevette tanta virtù da Dio che, ancora nel seno materno, rese profetica la madre. Dopo il suo battesimo, la madrina sognò le opere future del santo, al quale fu dato il nome di Domenico (= che appartiene al Signore). Divenuto dottissimo negli studi teologici, volle rafforzare la grandezza della Chiesa combattendo contro gli eretici per la stessa fede dalla quale hanno avuto origine i ventiquattro santi che compongono le due corone di spiriti che circondano Dante. Ottenuta l'autorizzazione papale, San Domenico colpì le eresie con molta forza. San Bonaventura polemizza poi con i francescani che hanno dimenticato gli insegnamenti del fondatore e l'antica virtù dell'ordine. Il frate fedele ai precetti di San Francesco non verrà né dagli Spirituali, né dai Conventuali, perché i primi si allontanarono dalla regola originaria rendendola ancor più rigida, i secondi evitandola. San Bonaventura nomina infine gli spiriti della corona cui egli stesso appartiene. Canto 13: Per fornire un'idea della disposizione delle due corone di beati, Dante invita il lettore a immaginare le quindici stelle più splendide del cielo, le sette dell'Orsa Maggiore e le ultime due dell'Orsa Minore, le quali abbiano formato in cielo, suddividendosi equamente, due costellazioni concentriche, e che si muovano in maniera che le stelle siano sempre in corrispondenza fra loro. Gli spiriti cantano il mistero della Trinità, finché, quando la danza e il canto si fermano, si rivolgono verso Dante e Beatrice e aumentano il loro splendore per la gioia di poter sciogliere il secondo dubbio del poeta. Rompe il silenzio Tommaso d'Aquino, il quale vuole dimostrare priva di fondamento la contraddizione che al poeta è sembrato di cogliere udendo che non ci fu nessuno più sapiente di Salomone. La credenza di Dante, secondo la quale la perfetta sapienza è solo un privilegio di Adamo e di Cristo, corrisponde al vero. Tutte le cose create da Dio sono infatti il riflesso del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, i quali si specchiano in nove essenze: i Cori angelici. Essi influenzano in misura diversa il mondo, dando origine agli animali, alle piante, ai minerali che, per la materia di cui sono costituiti e per essere stati generati indirettamente, sono imperfetti. È evidente quindi che solo Adamo e Cristo, in quanto creati direttamente da Dio, sono perfetti. Salomone dunque non è il più sapiente tra gli uomini, ma tra i re: fu appunto come re che chiese a Dio il dono della sapienza per governare saggiamente i suoi sudditi. Tommaso conclude esortando Dante ad astenersi dal trarre conclusioni definitive, perché accade che chi è ritenuto dannato dagli uomini possa salvarsi in eterno, mentre l'uomo pio può, egualmente, cadere nella colpa. Canto 14: San Tommaso ha smesso di parlare e la sua voce, giunta al centro delle due corone di spiriti sapienti, suscita le parole di Beatrice rivolte ai beati, per cui Dante pensa alle onde concentriche che, se si colpisce l'orlo di un vaso pieno d'acqua, vanno dall'esterno al centro, mentre vanno dal centro all'orlo se vi si getta qualcosa dentro. Beatrice svela alle anime che Dante nutre un altro dubbio, benché non lo abbia ancora detto né pensato chiaramente, ovvero se la luce che avvolge i beati rimarrà con loro quando i loro corpi saranno risorti e se la loro vista potrà sostenerne lo sguardo, per cui le anime sono invitate a spiegarlo. Le due corone riprendono a ruotare e a cantare, in un modo che a Dante ricorda il canto di quelli che danzano in cerchio: chi teme la morte che ci destina alla vita eterna in Paradiso, non ha evidentemente visto la gioia della beatitudine mostrata da queste anime. Esse intonano tre volte un canto che inneggia alla Trinità, con una melodia tale che sarebbe il giusto premio per qualunque merito. Dante sente una voce modesta provenire dalla luce più intensa della prima corona (Salomone), simile a quella dell'arcangelo Gabriele quando fece l'Annunciazione a Maria, la quale spiega che i beati saranno avvolti dall'alone luminoso fin quando durerà la loro beatitudine, ovvero per l'eternità. Quando essi si saranno riappropriati del loro corpo risorto, la loro anima vedrà accrescere la propria gioia, per cui aumenterà anche la luce che promana da loro e che è un dono della Grazia illuminante, perché aumentando la visione di Dio aumenterà anche il loro ardore di carità. Tuttavia il corpo resterà visibile all'interno delle luce, proprio come il carbone che arde è visibile nella fiamma che lo avvolge, e la loro vista potrà sostenere lo sguardo della luce perché gli organi del corpo saranno rafforzati. Tutti gli spiriti pronunciano sollecitamente un 'Amen', manifestando il desiderio di riavere i loro corpi mortali, forse non solo per loro ma per le loro madri e gli altri loro cari che non hanno più rivisto da quando sono divenuti beati. Improvvisamente Dante vede aumentare la luce tutt'intorno, come l'orizzonte quando si rischiara, e gli sembra di intravedere le luci di altri beati, come a sera quando si scorgono le prime stelle in cielo e non si è sicuri di distinguerle bene. I nuovi spiriti compiono un giro attorno alle prime due corone e lo sfolgorio è tale che la vista di Dante non riesce a sostenerlo. Beatrice si mostra così bella al poeta che è impossibile descriverla, come altre cose viste durante il viaggio ultraterreno. Quando Dante può rialzare lo sguardo si accorge di salire in alto, verso il Cielo superiore (il V, quello di Marte) che gli appare di un rosso più intenso del solito a causa della presenza di Beatrice. Dante rende subito grazie a Dio che gli ha concesso un tale privilegio e ben presto capisce che la sua offerta è stata bene accetta, in quanto vede due strisce luminose in cui scorrono veloci delle luci. Le due strisce sono perpendicolari come i bracci di una croce, mentre le luci che le percorrono sono simili alle stelle più o meno luminose di cui è costellata la Via Lattea, distesa tra gli opposti poli celesti. Dante non saprebbe descrivere quella croce, perché in essa è come se lampeggiasse Cristo, per cui i lettori devoti potranno immaginare da sé quale fosse la visione del poeta. Lungo i bracci orizzontali e verticali della croce le luci dei beati (gli spiriti combattenti per la fede) corrono con un forte sfolgorio, simili ai corpuscoli di polvere che talvolta si vedono all'interno di un raggio di luce che filtra attraverso una fessura. I beati intonano un canto indicibile, paragonabile alla nota indistinta emessa da uno strumento a corde come l'arpa, tale da rapire Dante. Egli capisce solo che si tratta di un inno di lode, poiché distingue le parole «Risorgi» e «Vinci». Dante è a tal punto incantanto da tutto ciò che nessun'altra cosa, fino a quel momento, sembra avergli fatto un simile effetto: forse le sue parole sembrano eccessive, poiché antepone quello spettacolo alla bellezza indicibile degli occhi di Beatrice, tuttavia il lettore deve pensare che lo sguardo della donna acquista bellezza man mano che si sale nei Cieli ed egli non lo ha ancora osservato. Dante può quindi essere scusato per la sua affermazione, non avendo egli escluso che la bellezza degli occhi di Beatrice sia superiore a quella del Cielo di Marte. Canto 15: Si svolge nel cielo di Marte, ove risiedono gli spiriti di coloro che combatterono e morirono per la fede. Nel canto precedente è stato presentato e descritto il cielo di Marte e le sue anime che appaiono come rossi splendori che cantando formano una croce greca al centro della quale brilla Cristo. Alla presenza di Dante, in questo canto, le anime ammutoliscono in modo che il poeta possa esprimere la propria preghiera. Quest’atto suscita in Dante una riflessione che si inserisce nel dibattito contemporaneo: esplicitando l’importanza dell’intercessione dei santi in favore di chi sa pregarli con animo giusto, Dante prende posizione per la teoria sostenuta dalla Chiesa. A questo punto una delle anime si stacca dalle altre e come una stella cadente percorre la croce fino a Dante e lo accoglie con lo stesso fervore con cui Anchise accolse Enea quando lo incontrò nei Campi Elisi (similitudine tratta dal VI libro dell’Eneide, con cui Dante rende omaggio alla sua “maggior Musa”, Virgilio, e implicitamente si paragona al suo illustre predecessore Enea ribadendo l’importanza della propria missione, proprio come lui è stato ammesso nel regno dell’oltretomba per compiere una missione assegnatagli da Dio). Il personaggio (protagonista di un trittico di canti) è Cacciaguida che saluta Dante in latino. [Oh sangue mio, oh grazia divina infusa largamente in te, a chi come a te per due volte fu mai aperta la porta del cielo?] Dopo queste parole Dante si concentra su di lui, per poi rivolgersi a Beatrice rimanendo stupito grazie ai suoi occhi così belli che gli fanno credere di aver raggiunto il grado più alto della sua beatitudine. Intanto lo spirito continua a parlare ma in modo così profondo che è oltre il limite della comprensione umana. Sfogato l’ardore di affetto, il livello del suo discorso si abbassa, così che Dante possa di nuovo capirlo, e lo sente lodare Dio. Dopodiché l’anima si rivolge al poeta esprimendogli la gioia di vedere finalmente realizzato un desiderio che lo possedeva da tanto, da quando arrivato in Paradiso potè leggere nel libro del futuro. Con queste parole lo invita a parlare. Dopo essersi rivolto di nuovo a Beatrice e aver ricevuto da lei un sorriso di assenso, Dante esprime la differenza che intercorre tra lui e i beati: in questi ultimi l’affetto e il senno vanno di pari passo, poiché Dio li ha illuminati; mentre nei mortali il desiderio e la capacità intellettuale sono differenti. Chiede poi al beato di rivelargli il suo nome. L’anima gli risponde dicendogli che è il suo capostipite e il padre di colui dal quale prende il nome la sua casata, che da più di cent’anni si trova nella prima cornice del purgatorio, Alighiero Alighieri. Descrive poi la grandezza morale della Firenze antica, dov’egli nacque: moderata nei bisogni, onesta nei comportamenti, le donne non portavano gioielli o vestiti pregiati di nessun tipo, i padri non si preoccupavano del matrimonio della figlia in giovane età, non vi era ancora lussuria e nelle case vi erano i figli. Firenze non superava ancora Roma nel lusso, così come ora la ha superata nella decadenza. Nomina poi alcuni personaggi della Firenze “vecchia” come Bellincione Berti, le famiglie dei Nerli e dei Vecchietti. Nella vecchia Firenze avrebbe destato meraviglia una donna scostumata o un politico corrotto quanto nella Firenze attuale ne desterebbe un uomo integro e una moglie onesta. Questa descrizione fa rilevare quindi la marcata decadenza dei costumi privati e pubblici di Firenze. Alla fine del canto si viene a sapere che Cacciaguida ebbe due fratelli, Moronto ed Eliseo e che sposò una donna dell’Alta Italia (una Aldighieri di Ferrara, dalla quale ebbe origine il nome Alighieri); e che Cacciaguida morì alla mercè di Corrado III di Svevia, lottando per ridare ai cristiani la Terra Santa. Canto 16: Dante si gloria della propria nobiltà di sangue e avverte che essa va sempre alimentata dai discendenti con opere degne. Si rivolge quindi al trisavolo Cacciaguida, dandogli del voi e Beatrice sorride, facendo intendere di aver compreso la vanità umana di quel voi. Dante chiede quindi al trisavolo chi siano i suoi antenati, quanti fossero gli abitanti di Firenze ai tempi della sua nascita, chi fossero i cittadini più nobili e più degni dell'epoca. Cacciaguida, ravvivando il suo splendore per la gioia di poter rispondere alle domande del poeta e per l'affetto che prova per lui, risponde con l'antico linguaggio della Firenze del suo tempo. Partendo dal giorno dell'Annunciazione, il 25 marzo, secondo l'uso del calendario fiorentino, rivela di essere nato dopo che Marte passò 580 volte sotto il piede della costellazione del Leone (nel 1091). I suoi antenati, essendo nati e vissuti nel sestiere di Porta San Piero, appartenevano all'antica nobiltà fiorentina. I cittadini atti alle armi tra Ponte Vecchio e il Battistero erano un quinto di quelli che vivono al tempo del poeta e la cittadinanza era tutta fiorentina di vecchia generazione, perché non si erano ancora inurbati gli indesiderabili abitanti del contado, causa di discordia civile. Ciononostante, se la Chiesa non avesse intralciato il potere imperiale, Firenze non sarebbe decaduta tanto rapidamente. Cacciaguida nomina quindi alcune famiglie della città che, al pari di essa, sono degenerate nel tempo, complice la fortuna. Ricorda infine l'origine delle lotte tra i Guelfi bianchi e i Guelfi neri, dovuta all'uccisione di Buondelmonte dei Buondelmonti da parte della famiglia degli Amidei. Rievoca infine la vita serena della Firenze di un tempo e la giustizia e il buon nome del suo popolo. Canto 17: Incoraggiato da Beatrice, Dante chiede al trisavolo Cacciaguida di svelare quale sarà la propria sorte riguardo all'esilio che gli è stato in precedenza profetizzato. Dopo aver spiegato che gli avvenimenti futuri sono registrati nella mente di Dio, dalla cui visione gli proviene la loro conoscenza, Cacciaguida conferma a Dante che il tempo del suo ingiusto esilio è molto vicino. Gli rivela che la colpa di tale provvedimento, voluto dalla Curia romana, sarà fatta cadere su di lui, che subirà l'ingiustizia; ma la vendetta divina mostrerà agli uomini la verità. Cacciaguida lo avverte che dovrà lasciare i suoi cari e che conoscerà l'umiliazione di mendicare il pane altrui, ma il suo dolore più grande verrà dall'ingratitudine di tutti i suoi compagni di fede politica. Perciò Dante si staccherà da loro e il rimanere isolato con le proprie convinzioni gli sarà motivo di gloria. L'avo gli predice inoltre che la prima ospitalità gli sarà offerta dal magnanimo Bartolomeo della Scala, del quale conoscerà il fratello minore Cangrande, futuro eccelso condottiero militare e uomo di stato. Cacciaguida conclude raccomandando al poeta di non invidiare i propri concittadini, che anzi saranno puniti per la loro perfidia. Dante chiede ancora se sia opportuno che, tornato sulla terra, egli racconti ciò che ha appreso durante il suo viaggio la gerarchia angelica più vicina a Dio, potranno mai spiegare i motivi che guidano il Creatore nella sua azione. Nessuno, quindi, potrà mai sapere perché solo determinate anime sono destinate a parlare con il pellegrino che sale attraverso i cieli. Quanto al silenzio dei beati di Saturno, essi tacciono per lo stesso motivo per cui Beatrice non ha sorriso: per non sopraffare le deboli facoltà umane di Dante. Ad una nuova domanda del Poeta questo spirito rivela di essere San Pier Damiano. Parla poi della propria vita, che trascorse nella solitudine e nella contemplazione nell’eremo camaldolese di Fonte Avellana, finché fu nominato cardinale e costretto a ritornare nel mondo. Contro la decadenza degli ordini monastici e la corruzione della Chiesa San Pier Damiano lancia una dura invettiva, alla quale tutti i beati del settimo cielo rispondono per manifestare il loro plauso - con un altissimo grido. Canto 22: Profondamente stupito dal grido dei beati (che accompagna l'invettiva di Pier Damiani), Dante viene rassicurato da Beatrice: esso esprime la richiesta a Dio di giusta vendetta per le azioni dei corrotti. Dante si volge poi a guardare gli spiriti contemplativi che, sotto forma di brillantissime sfere, si illuminano scambievolmente. San Benedetto, la sfera più luminosa, che per primo portò la parola di Cristo tra i pagani del monte Cairo e li convertì, invita il poeta a manifestare senza timore il proprio pensiero. Incoraggiato, Dante chiede di poterlo vedere privato della luce abbagliante che lo circonda, ma tale desiderio sarà soddisfatto nell'Empireo; quindi San Benedetto mostra al poeta la scala che conduce fino all'ultimo Cielo, la quale fu vista in sogno da Giacobbe piena di angeli. Oggi gli uomini, presi dalla vanità dei beni terreni, non alzano più gli occhi verso quella scala desiderosi di salirla. Il santo inoltre fa rilevare che nei monasteri la regola viene disattesa e che essi sono diventati luoghi in cui la devozione, la carità e la povertà sono soltanto un ricordo del passato. Le istituzioni religiose, infatti, sono diventate l'opposto di ciò che desideravano i loro fondatori. A un cenno di Beatrice, Dante ascende in un attimo al Cielo della costellazione dei Gemelli, segno zodiacale del poeta e dispensatore di grandi virtù. Invitato da Beatrice, si volge a guardare in basso la terra, che appare piccola cosa. Dante alza allora lo sguardo verso il sole e ammira il movimento dei pianeti; torna, infine, a fissare gli occhi di Beatrice. Canto 23: Beatrice sembra attendere con ansia l'arrivo di qualcuno o qualcosa, rivolta verso quella parte del Cielo sotto la quale il Sole sembra muoversi più lentamente: Dante la paragona a un uccello che aspetta il sorgere dell'alba su un ramo dell'albero, ansioso di andare in cerca di cibo con cui sfamare i suoi piccoli nati. Vedendola in quell'atteggiamento il poeta vorrebbe saperne la ragione, tuttavia si limita ad attendere in silenzio nella speranza di apprenderlo presto. Dante deve in realtà aspettare poco tempo, poiché d'improvviso vede il Cielo rischiararsi sempre di più, mentre Beatrice annuncia l'arrivo delle schiere dei beati e di Cristo in trionfo. Il volto della donna arde di carità e gli occhi sono pieni di gioia, al punto che il poeta deve rinunciare a descriverlo. Dante vede in seguito migliaia di luci, simili alle stelle che circondano la luna nelle notti serene, in quanto sono illuminate da una luce assai più intensa (Cristo): all'interno di essa il poeta scorge la figura umana di Gesù, ma essa trascende le sue capacità visive e non è in grado di sostenerla. Beatrice gli spiega che tale visione supera ogni forza, poiché essa rappresenta Colui che con la sua morte riaprì la strada fra Cielo e Terra. Dante sente che la sua mente esce da sé stessa, come il fulmine che esce dalla nube e scende in basso contro la sua natura, per cui non è in grado di riferire cosa essa fece in quel preciso momento. Beatrice esorta Dante a guardarla, poiché egli ha visto cose tanto alte (l'immagine umana di Cristo) che ormai è in grado di sostenere il suo sorriso. Il poeta è come colui che tenta di rammentare una visione avuta da poco e già dimenticata, quando raccoglie l'invito della donna con un tale piacere che, questo sì, non si cancellerà mai dalla sua memoria. Dante vorrebbe descrivere la bellezza del sorriso di Beatrice, ma se anche le Muse lo aiutassero con tutta la loro arte non arriverebbe a raffigurare che una minima parte di ciò che vide, per cui il suo poema sacro deve necessariamente saltare alcune parti. Il lettore deve considerare l'altezza del tema affrontato e capire i limiti della poesia umana di Dante, dal momento che la nave della sua arte percorre un tratto di mare impegnativo e degno del massimo impegno da parte del timoniere. Beatrice invita Dante a non fissare solamente il suo viso ma a rivolgere lo sguardo allo spettacolo del Cielo delle Stelle Fisse, che è come un giardino fiorito sotto i raggi di Cristo e in cui si trovano Maria, la rosa dove Cristo si fece uomo, e gli Apostoli, che con la loro predicazione misero l'umanità sul retto cammino. Dante raccoglie subito l'invito e vede moltissime luci a loro volta illuminate da una luce più grande, come i fiori di un prato sotto i raggi del sole che filtra tra le nubi. Cristo si è infatti innalzato per consentire a Dante di vedere tale spettacolo, poiché i suoi deboli occhi sarebbero stati abbagliati dal suo splendore. Dante fissa subito lo sguardo sulla luce più intensa di Maria, colei il cui nome egli invoca mattina e sera, e non appena ne ha visto lo splendore e l'aspetto ecco che dall'alto scende una corona luminosa (l'arcangelo Gabriele) che circonda Maria e inizia a ruotare intorno a lei. Gabriele intona una dolcissima melodia, tale che anche la musica terrena più piacevole parrebbe, al confronto di quella, il fragore di un tuono. L'arcangelo dichiara di ardere d'amore per Maria, nel cui ventre nacque Gesù, e afferma che continuerà a girarle intorno finché la Vergine seguirà Cristo nell'Empireo, rendendo quel Cielo più bello di quanto non sia già. Mentre Gabriele compie il suo inno, tutti i beati intonano il nome di Maria. Il Primo Mobile, che avvolge con la sua sfera tutti i Cieli, è ancora molto distante da Dante e Beatrice, così il poeta non è in grado di seguire con lo sguardo Maria che sale verso l'alto coronata dall'arcangelo Gabriele, mentre segue suo figlio Cristo. Tutte le anime dei beati si protendono verso l'alto con la parte alta delle loro luci, simili al bambino che è stato appena allattato dalla mamma e tende a lei le braccia per manifestarle il suo affetto; poi restano al cospetto di Dante, cantando il Regina celi con tale dolcezza che il ricordo non lascerà mai il poeta. Grandissima è la beatitudine di quelle anime che, sulla Terra, furono abili a seminare e qui, in Cielo, raccolgono i frutti della loro bontà, dopo l'esilio terrestre simile a quello di Babilonia. Qui celebra il proprio trionfo sui beni mondani anche san Pietro, che ricevette da Cristo le chiavi del Paradiso e che ora condivide la felicità eterna coi beati del Vecchio e del Nuovo Testamento. Canto 24: Beatrice intercede presso la schiera dei beati perché a Dante vengano concessi abbondanti i doni dello Spirito Santo per poter godere della visione di Dio. Allo spirito di San Pietro Beatrice chiede di esaminare i punti su cui si fonda la fede di Dante per stabilire se egli ama, spera e crede rettamente. Sebbene San Pietro è a conoscenza delle virtù teologali di Dante, lo interroga su cosa sia la vera fede in modo che possa esaltarla, e Dante, fissando la luce del santo, comincia a rispondere, invitato da Beatrice, con l'augurio che la Grazia divina gli conceda di esprimere con chiarezza il proprio pensiero. Il poeta afferma che, come dice San Paolo, la fede è la «sostanza», il principio fondamentale di ciò che speriamo, cioè della vita eterna, e «argomento», ovvero prova di ciò che non appare ai nostri sensi. Ricevuta l'approvazione di San Pietro, Dante approfondisce il significato di «sostanza» e di «argomento», sostenendo di essere personalmente in possesso di una fede solida e duratura. Alla domanda di San Pietro sull'origine della sua fede, il poeta attribuisce il merito all'ispirazione dello Spirito Santo presente nelle pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento. Alla richiesta di indicare che cosa l'abbia convinto che l'Antico e il Nuovo Testamento siano parola di Dio, Dante porta come prova i miracoli, senza i quali il mondo non si sarebbe convertito al cristianesimo. A queste parole i beati intonano il Te Deum laudamus e San Pietro approva apertamente le risposte del poeta, ispirate dalla Grazia divina. Infine, il santo chiede a Dante di professare la sua fede, indicandone le fonti, ed egli risponde di credere in un Dio unico e trino, motore immobile dell'universo e sommo Amore. E ciò non soltanto per fede, ma anche per la verità che proviene dal cielo attraverso la lettura delle Sacre Scritture. Finito di parlare, San Pietro abbraccia amorevolmente il poeta. Canto 25: Dal gruppo dei beati, dal quale si era già staccato San Pietro, esce un’altra luce, quella di San Giacomo apostolo, che interrogherà Dante intorno alla seconda virtù teologale: la speranza. Tre sono i quesiti che il Santo sottopone al pellegrino: che cos’è la speranza, in che misura la possiede, quali sono le fonti dalle quali l’ha ricevuta. Alla seconda domanda risponde subito Beatrice: nessun appartenente alla Chiesa militante spera con più intensità del suo discepolo. Agli altri due quesiti di San Giacomo risponde invece lo stesso Dante, e ogni sua affermazione si fonda su salde conoscenze teologiche. Il Poeta si sofferma particolarmente su ciò che promette la seconda virtù teologale: la risurrezione del corpo, il quale dopo il Giudizio Universale si ricongiungerà per l’eternità all’anima. Concluso il secondo esame di Dante, una voce, che proviene dall’alto, canta il versetto di un salmo davidico ("Sperent in te") e tutti i beati dell’ottavo cielo rispondono in coro. Infine, una terza luce si avvicina a quelle di San Pietro e di San Giacomo: appare l’apostolo San Giovanni, al quale è affidato l’incarico di interrogare Dante sulla carità. Prima, però, San Giovanni nega di trovarsi in paradiso anche con il corpo, come vorrebbe una tradizione accolta da molti scrittori medievali. Canto 26: Lo splendore di San Giovanni ha privato Dante della vista, ma il santo lo rassicura sulla potenza risanatrice di Beatrice. Intanto gli chiede verso quale oggetto la sua anima tenda e Dante risponde che l'amore della sua anima inclina a Dio, principio e fine di ogni bene. Il santo gli chiede ancora chi abbia diretto il suo amore verso Dio: Dante ne attribuisce la causa, sia alle argomentazioni dei filosofi, sia all'autorità delle Sacre Scritture, che sono ispirate da Dio. È inevitabile infatti che l'uomo, dotato di ragione, nutra amore verso Dio, fonte di ogni bene. È Aristotele, soprattutto, a dimostrargli che tutte le creature desiderano il bene, sia gli angeli sia gli uomini. Il santo vuole sapere se ci siano altri stimoli che attirano il poeta verso Dio, oggetto del suo amore, e Dante adduce a prove l'esistenza del mondo e l'esistenza di se stesso come persona, la morte di Cristo sulla croce, la speranza della beatitudine eterna. Come Dante tace, Beatrice e gli altri beati iniziano a cantare Santo, Santo, Santo e la donna amata allontana dagli occhi di Dante ogni minima ombra, sicché egli riesce a scorgere un quarto spirito luminoso vicino ai tre Apostoli. Si tratta di Adamo, che rivela di essere stato cacciato dall'Eden non per la colpa materiale di aver mangiato il frutto dell'albero proibito, ma per il peccato di ribellione e superbia. Ha vissuto 930 anni sulla terra e 4302 anni nel Limbo prima di salire in Paradiso. Ha parlato una lingua che si è estinta prima del tentativo di erigere la torre di Babele; a quel tempo Dio, che successivamente fu chiamato El, veniva indicato con il nome di I. Racconta infine di essere rimasto circa sette ore soltanto nel Paradiso terrestre. Canto 27: Tutti i beati intonano il Gloria alla Trinità, con un canto talmente dolce che riempie Dante di ebbrezza, poiché al poeta sembra di vedere il riso di tutto l'Universo: egli è commosso di fronte all'indicibile gioia che proviene dalla felicità eterna, contrapposta alla brama delle ricchezze materiali. Le quattro luci delle anime di san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e Adamo restano splendenti di fronte ai suoi occhi, poi quella di Pietro aumenta il suo fulgore e assume un colore rossastro, proprio come se Giove fosse un uccello e scambiasse le sue penne con quelle di Marte. La Provvidenza divina ha posto fine al coro dei beati, quindi san Pietro spiega a Dante che non deve stupirsi del fatto che sia arrossito, in quanto alle sue parole faranno lo stesso tutte le altre anime. Il santo aggiunge che colui (Bonifacio VIII) che usurpa in Terra il soglio pontificio, ha trasformato il Vaticano in una sordida cloaca a causa dei suoi traffici, al punto che Lucifero gode della corruzione della Chiesa. Dante vede allora tutto l'VIII Cielo assumere un colore rossastro, come una nuvola illuminata dal sole all'alba o al tramonto, ed anche Beatrice arrossisce come una donna onesta che ascolta le parole peccaminose altrui. San Pietro prosegue nelle sue accuse, con voce non meno alterata del suo aspetto, dicendo che la Chiesa non è stata alimentata dal sangue suo e degli altri papi martirizzati per essere usata al fine di arricchirsi, bensì il sacrificio di quei pontefici era rivolto a meritare la vita eterna. L'intenzione sua e degli altri papi non era certo consentire ai successori corrotti di dividere il popolo cristiano, né di usare il simbolo delle chiavi di Pietro come vessillo per combattere gente battezzata; Pietro freme di sdegno al pensiero che la sua effigie sia stampata sui documenti con cui vengono venduti i privilegi e i benefici ecclesiastici. I papi, che dovrebbero essere pastori, sono diventati lupi famelici, per cui Pietro invoca il soccorso divino: pontefici come Clemente V e Giovanni XXII si apprestano a ricavare lucro dalla Chiesa, un esito ben triste per un'istituzione creata con santa intenzione. Ma la Provvidenza divina, prevede Pietro, interverrà presto come già fece con Scipione per salvare Roma, per cui Dante è invitato a non nascondere questo, ma anzi a rivelarlo una volta che sarà tornato nel mondo. Come dal cielo cadono fiocchi di neve nel pieno dell'inverno, sulla Terra, così in Paradiso Dante vede le anime dei beati salire lentamente in alto, dirette all'Empireo; il suo sguardo le segue finché non sono troppo distanti e le perde di vista, quindi Beatrice invita Dante ad abbassare lo sguardo e ad osservare quanto spazio egli abbia percorso ruotando insieme all'VIII Cielo. Il poeta obbedisce e si accorge di aver percorso circa novanta gradi, poiché guardando la Terra vede a ovest di Cadice lo stretto di Gibilterra, e a est quasi fino alle coste della Fenicia. Vedrebbe una parte maggiore della Terra, se il Sole non avesse già percorso più di un segno zodiacale, per cui la parte più a oriente è già in ombra. Dante arde dal desiderio di guardare nuovamente Beatrice e quando lo fa il suo sorriso è di tale bellezza che supera qualunque allettamento terreno che possa attirare lo sguardo. La virtù degli occhi della donna stacca Dante dalla costellazione dei Gemelli e lo spinge nel IX Cielo, il Primo Mobile che ruota velocissimo: esso è uniforme in ogni sua parte, per cui il poeta non sa dire in quale punto sia penetrato nella sua sfera trasparente. Beatrice intuisce la curiosità di Dante e inizia a parlare, sorridendo lietamente come se Dio risplendesse nel suo volto: spiega che il principio animatore del mondo, che tiene la Terra ferma al centro dell'Universo e fa ruotare gli altri pianeti, inizia da questo Cielo. Il Primo Mobile trae la virtù che lo fa ruotare e con cui irraggia l'influsso astrale sugli altri Cieli dalla mente di Dio, che lo avvolge come esso fa con le altre sfere celesti, in un modo comprensibile solo al Creatore. Il suo movimento non può essere misurato, al contrario di tutti gli altri movimenti che hanno la loro unità di misura nel Primo Mobile, ed anche il tempo trae la sua origine da questo Cielo. Beatrice accusa la cupidigia degli uomini, che li tiene a terra e impedisce loro di sollevare lo sguardo al Cielo: il desiderio del bene è innato nell'uomo, ma la corruzione e la mancanza di una guida sicura lo rende guasto e totalmente sterile. L'innocenza è propria solo dei bambini e li abbandona prima che a questi cresca la barba, cosicché chi ancora non sa parlare pratica la virtù, ma appena cresce e apprende il linguaggio si dedica subito a ogni vizio; e chi ancora non sa parlare ama e rispetta la propria madre, augurandole poi la morte quando è diventato adulto. Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, cioè l'umanità da buona diventa malvagia: Dante deve pensare al fatto che sulla Terra non c'è un'autorità che governi, laica o ecclesiastica, e questa è la causa della corruzione degli uomini. Tuttavia, prima che gennaio esca del tutto dall'inverno a causa dello sfasamento del calendario, ci sarà un intervento divino che raddrizzerà la situazione e ristabilirà virtù e giustizia dove ora c'è soltanto la decadenza morale. San Giovanni Battista. Sotto di lui appaiono San Francesco, San Benedetto, Sant’Agostino e altri teologi e fondatori di ordini religiosi. Le due parti dell’Empireo - continua San Bernardo - saranno occupate da uno stesso numero di beati, perché agli eletti del Vecchio e del Nuovo Testamento è stato riservato un uguale numero di seggi. La candida rosa appare divisa anche orizzontalmente in due parti uguali: mentre nella zona superiore appaiono le anime che si sono salvate per merito proprio, in quella inferiore si trovano le anime dei bambini che morirono prima di giungere all’età della ragione. Essi, nei primi secoli dell’umanità, da Adamo ad Abramo, ricevettero la salvezza grazie alla fede dei loro genitori; da Abramo a Gesù grazie al rito della circoncisione; dopo l’avvento di Cristo divenne necessario il battesimo, senza il quale i bambini morti precocemente sono relegati al limbo. San Bernardo invita Dante a guardare la Vergine, che appare circondata dagli angeli, mentre l’arcangelo Gabriele ripete, cantando, le parole dell’annunciazione: "Ave Maria, gratia plena".Il Santo riprende poi a presentare i beati dell’Empireo, indicando al suo discepolo gli eletti che occupano i seggi più vicini a quello di Maria. Infine, afferma che, prima di volgere lo sguardo verso Dio, è necessario invocare l’aiuto della Vergine. Canto 33: San Bernardo si rivolge alla Vergine e la invoca come la più alta e la più umile di tutte le creature, colei che ha nobilitato la natura umana a tal punto che Dio non ha disdegnato di incarnarsi nell'umano. Nel ventre di Maria si riaccese l'amore tra Dio e gli uomini, che ha fatto germogliare la rosa celeste dei beati; ella è per questi ultimi una perenne luce di carità e fonte di speranza per i mortali. La grandezza della Vergine è tale che benevolmente concede ogni grazia, spesso addirittura prevenendone la richiesta, poiché in lei albergano la pietà, la magnificenza, la bontà. Dante, spiega Bernardo, è giunto all'Empireo dal profondo dell'Inferno e ha visto lo stato delle anime dopo la morte, quindi supplica Maria di concedergli la virtù sufficiente per figgere lo sguardo nella mente di Dio. Il santo le porge tutte le sue preghiere affinché gli venga concesso questo, che egli desidera per Dante più di quanto l'abbia mai bramato per sé, e chiede alla Vergine di dissipare ogni velo che offusca gli occhi mortali del poeta. La implora infine di conservare puri i sentimenti di Dante dopo una tale visione, poiché la Regina del Cielo può ottenere tutto ciò che vuole, e la invita ad accogliere la sua preghiera alla quale si uniscono idealmente tutti i beati della rosa, inclusa Beatrice. Maria tiene il suo sguardo fisso in quello di san Bernardo, dimostrando così di accogliere la sua preghiera, poi lo rivolge alla luce di Dio, nella quale solo lei può addentrarsi con tanta chiarezza. Dante si avvicina al compimento di tutti i suoi desideri, cosicché consuma in sé tutto il proprio ardore, mentre Bernardo con un cenno e un sorriso lo esorta a guardare in alto. La vista di Dante, diventando via via più chiara, si inoltra nella luce divina e da quel momento in poi la visione del poeta è tale che il linguaggio è insufficiente a esprimerla, così come anche la memoria non è in grado di ricordarla pienamente. Dante è simile a colui che sogna e, al risveglio, non ricorda nulla pur conservando nell'animo una forte impressione, in quanto egli ha dimenticato quasi tutta la sua visione e conserva in cuore la dolcezza infinita che essa gli provocò. La neve si scioglie al sole in modo simile e così le foglie con su scritto il responso della Sibilla si disperdevano al vento. Dante invoca la luce di Dio affinché essa gli consenta di ricordare in minima parte come essa gli si mostrò al momento della visione, e renda il suo linguaggio tale da poter lasciare ai posteri almeno una scintilla della Sua gloria, cosicché le parole del poeta possano esprimere la vittoria divina. Dante figge dunque lo sguardo nella mente di Dio e resterebbe smarrito se ne distogliesse gli occhi: il poeta acquista coraggio per sostenere quella straordinaria visione e addentra così il suo sguardo nell'infinito, spingendo la vista alle sue possibilità estreme. Dante vede nella mente divina tutto l'Universo legato in un volume, sostanze, accidenti e i loro rapporti uniti insieme; scorge l'essenza divina che unifica in un tutto armonico le cose create, e parlando di questo ancora oggi sente accrescere in sé la gioia. L'attimo della visione è stato ormai da lui dimenticato, più di quanto l'impresa della nave Argo (la prima a solcare il mare e a fare stupire il dio Nettuno) sia stata dimenticata in oltre venticinque secoli. Dante continua a tenere lo sguardo fisso nella luce divina, essendo impossibile volgere gli occhi altrove, poiché tutto il bene possibile è racchiuso in essa e ciò che lì è perfetto al di fuori è difettoso. Ormai ciò che riferirà della visione sarà meno di quanto potrebbe dire un bambino che sia ancora allattato dalla madre. La viva luce che Dante osserva è sempre uguale a sé stessa, tuttavia è Dante a cambiare dentro di sé man mano che la sua vista si accresce, quindi quella visione muta al mutare del suo atteggiamento interiore. All'interno di essa crede di vedere tre cerchi, delle stesse dimensioni e di colori diversi (la Trinità), e mentre il secondo (il Figlio) sembra il riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno che ne crea un altro, il terzo (lo Spirito Santo) è come una fiamma che spira ugualmente dai primi due. Il linguaggio di Dante è del tutto insufficiente a esprimere la propria visione, e questa, in rapporto all'essenza della Trinità, è davvero un nulla: egli ha visto la luce eterna che trova fondamento in sé stessa, si comprende da sé e, compresa da se stessa, arde d'amore. Dante si sofferma ad osservare il secondo cerchio (il Figlio), che sembra il riflesso del primo, e gli pare di vedere al suo interno l'immagine umana, dello stesso colore del cerchio e, tuttavia, perfettamente visibile. Il poeta è simile allo studioso di geometria, che cerca in ogni modo di risolver il problema della quadratura del cerchio e non vi riesce perché gli manca un elemento fondamentale: anche lui cerca di capire quale sia il rapporto tra l'immagine e il cerchio, benché le sue sole forze siano insufficienti. Dante riconosce la propria incapacità a comprendere il mistero dell'Incarnazione dell'umano nel divino, fino a quando la sua mente viene colpita da un alto fulgore che, in una sorta di rapimento mistico, appaga il suo desiderio. Alla sua immaginazione ora mancano le forze, tuttavia l'amore divino ha ormai placato la sua volontà di conoscere, muovendola come una ruota che si muove in modo regolare e uniforme.
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