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Documento Micheal Baxandall, Appunti di Arte

Documento Micheal Baxandall per l'esame di Letteratura artistica (primi 6 Cfu) con il prof Rovetta

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/02/2021

francesca-maruca
francesca-maruca 🇮🇹

4.2

(35)

63 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Documento Micheal Baxandall e più Appunti in PDF di Arte solo su Docsity! Giotto e gli umanisti, Michael Baxandall Filippo Villani e le strutture del progresso Coluccio Salutati nel 1381 scrisse il De reculo et religione dove raccomanda il ritiro monastico dalla vita attiva. Quest’opera include un esame inusuale dei grandi edifici di Firenze: - Se si sale in un qualsiasi punto (come sulla collinetta dedicata a Beato Miniato) si può ammirare in ogni suo minimo dettaglio la città di Firenze. Si vedono le se chiese, le torri e i palazzi: opere talmente immani che si fa fatica ad immagine che siano sassate realizzate con denaro pubblico. - Parla del Duomo che per la sua bellezza non può essere paragonato a nessun altro edificio. Quest’opera di Salutati venne molto apprezzata da Filippo Villani che si accinse subito ad un suo lavoro il De origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus: • Datato tra il 1381 e il 1382 • Include brevi biografie di molti uomini famosi fiorentini ed è importante per la sua sezione sui pittori. • Il tema: l’età presente è degradata, e Firenze deve ricordassi delle virtù dei suoi antichi cittadini, quelli come Dante e la sua generazione. • Significato del suo libro: Villani voleva estendere una concezione di revival culturale esemplato su Dante ai vari campi dell’attività fiorentina. Aveva infatti iniziato scrivendo solo sul grande poeta, e gli capitò poi di trattare anche altre categorie di persone. • Si divide in due parti: 1. Tratta la leggenda della fondazione di Fiesole e di quella più tarda di Firenze 2. Tratta dei suoi più illustri cittadini. Le classi vengono suddivise in: poeti, teologi, giuristi, anatomisti, oratori, semipieni, astrologi, musicisti, pittori, buffoni e capitani. Quando Villani ebbe finito la sua opera, passò una copia a Salutati che la esaminò, correggendo gli errori del suo latino. - Villani credeva che il verbo decet reggesse il dativo di persona e scrisse, riferendosi a Giotto: “come conviene a un uomo, fu anche molto prudente riguardo alla fama più di quanto non fosse desideroso di guadagni”. Salutati corresse il dativo in accusativi e riferì l’aggettivo “prudente” al sostantivo “uomo” (quindi cambiò il significato). La frase mutata recita dunque: “come conviene a un uomo molto prudente, fu anche desideroso di fama più che di guadagni”. Per Filippo, Giotto era stato "prudente riguardo la sua fama" come conviene ad un uomo onesto, la correzione di Salutati lo rende "desideroso di fama" in modo più ampio ed esteso come conviene ad un prudens vir. Filippo infine accettò la correzione del Salutati in quanto desideroso di essere classico nell’uso del latino. Il capitolo sui pittori: - Secondo Villano Cimabue è uno dei pittori più importanti in quanto riprende la pittura greca e latina persa dagli artisti prima di lui che raffiguravano solo santi. - Con la ripresa di Cimabue Villani fissa la relazione tra egli e Giotto. - Cimabue apre la strada a Giotto, colui che restituì alla pittura la fama più grande. Le raffigurazioni di Giotto sono simili a ciò che c’è in natura. - Giotto altre che alla pittura si interessò ad altre cose, era un uomo colto e completo. Conosceva la storia e la poesia. - Fu più desideroso di fama che di guadagni. Motivo per cui dipinse nei luoghi più importanti di quasi tutte le città italiane. - Da Giotto discesero diversi artisti come: Maso di Banco, Stefano Fiorentino e Taddeo Gaddi. A grandi linee la sequenza descrittiva da Vilanni è questa: Cimabue fu il primo che principiò a riscattare la pittura della sua decadenza, e Giotto, che raffigurò le cose in modo migliore ma seguirà comunque la strada già aperta, completò il recupero; da lui derivò un gruppo di altri pittori inclusi Maso, Stefano e Taddeo ognuno con caratteristiche differenti. La potenzialità offerta da questa sequenza è che vi possono essere numerose tipologie di differenziazione, ben distinte, tra un artista e l’altro. Nella relazione tra Giotto e Cimabue entrano in gioco due parametri cioè: - Una scala di priorità cronologica: fu Cimabue, e non Giotto, tracciare la strada. - Ma risalta poi un'unità di misura ulteriore, le conquiste operate nella rappresentazione della natura: l'opera di Giotto è in questo senso migliore di quella di Cimabue ed essendo più rilevante è descritto in modo più ampio. Che prima di Giotto ci fosse stato Cimabue era stato elegantemente evidenziato da Dante nel Purgatorio XI e che Giotto ebbe un grande ingegno lo dice Boccaccio nel Decameron. La principale fonte di Villani per la pittura antica fu la storia. Naturale di Plinio e il referto pliniano del rapporto tra Apollodoro e Zeusi venne usato come modello per indicare come si situava Cimabue rispetto Giotto: - Fu Apollodoro a dare per primo alle figure un’apparenza di realtà, esattamente come Cimabue inizio a riportare la pittura alla verosimiglianza naturale. - E fu Zeusi, comunque, che portò alla sua massima gloria il pennello dell’artista, bramoso di fama, proprio come Giotto riportò la pittura al pin to più alto, ormai da tempo non raggiunto. La testimonianza semiumanistica di Villani sulla pittura d’invio ‘300 è per la storia dell’arte ancora abbastanza attraente da non essere superata. Manuele Crisolora, Guarino e la descrizione di Pisanello Manuele Crisolora Fu verso l’inizio del XV secolo che gli umanisti iniziarono a leggere molti più autori greci, o in nuove traduzioni, o direttamente in lingua. Le fonti letterarie erano ben più variate nel 1425 di quanto non fossero state ancora verso il 1400: e ciò ebbe un effetto sui termini del discorso critico riguardo la pittura alla scultura. Il principale protagonista di questa diffusione di studi greci fu Manuele Crisolora, un umanista diplomatico bizantino che arrivò in Italia, proveniente da Costantinopoli verso il 1395. Insegnò il greco, soprattutto a Firenze e Lombardia, e scrisse una grammatica gli - Lo stile deve riuscire a far vedere attraverso la parola è importante che l'espressione si adatta al soggetto se il soggetto elaborato lo stile sia altrettanto elaborato se il soggetto è scarno che lo so che lo stile sia appropriato. Sin dalla letteratura antica le opere d'arte erano state uno dei soggetti favorito per l’ekfrasis e questa abitudine venne mantenuta anche da bizantini. Un esempio particolare pregnante è un ekfrasis scritta dall'imperatore Manuele II Paleologo dove descrive un arazzo che vive a Parigi nel suo viaggio in Europa occidentale tra il 1399 e il 1402: - Racconta che si trova in primavera, stagione in cui sbocciano i fiori che vengono mossi dalla brezza, l’acqua dei fiumi si avvicina ai suoi argini controllando la corrente. - Ci sono le pernici che portano la cena ai loro pulcini. Manuele si sofferma sul loro canto che sembra voler annunciare che sia arrivata la regina delle stagioni: la primavera anche ha portato un clima limpido dopo il freddo inverno. - I bambini giocano nei prati uno per esempio si è tolto il appicciò dalla testa e lo usa come rete da caccia e dato che non riesce a prendere nulla fa ridere i suoi amici. - La primavera è l’antidoto contro la depressione o forse emissaria di felicità. Le ekfrasis descrivono qualità di dettagliata verosimiglianza, di espressività fisionomica, di varietà, e lo fanno in forma affermativa dato che l’ekfrasis è una tecnica dell’epidittica, la retorica dell'elogio o del biasimo: non vi sono ekfrasis neutrali. Guarito da Verona Tra gli allievi italiani di Manuele, il più stretto fu Guarino da Verona che lo seguì a Costantinopoli nel 1403 e rimase in oriente per 5/6 anni, durante parte dei quali il suo maestro era ritornato in Occidente. Guarino conosceva talmente bene la lingua ellenica da poter leggere Luciano e Arriano mentre invece Petrarca e Boccaccio si dovettero fermare alla conoscenza di Omero. Guarino trasferì in Italia i valori ecfrastici di Bisanzio, sia nella loro forma originale di tipologia descrittiva sia attraverso le formulazioni generali di Manuele. Egli fu più di ogni altro responsabile della divulgazione di luoghi topici di discussione che elogiavano la letteratura a scapito della pittura della scultura. I tre principali contro la pittura: 1. Mostra l’apparenza non la qualità morale 2. Fa considerare la qualità dell’artista piuttosto che il soggetto 3. Dura meno di un libro C'erano molte pressioni su Guarino a cui veniva chiesto dei giudizi sulle arti un po' meno negativi. Era un umanista e li sistemò quindi secondo modelli petrarcheschi: - Dichiara infatti di essersi comportato inizialmente come gli scultori che al principio lavorano il marmo in modo da mostrare l'immagine di un cavallo o di qualsiasi altra cosa, lui ha fatto la medesima cosa ma fermandosi all’immagine appena abbozzata lo ha fatto raccogliendo una serie di topoi che mostra già una struttura coerente a una forma ma alle sue singole parti non ha ancora dato quel grado di completezza. Fu indirizzato nel 1447 a Lionello d'Este, e si riferisce ad una serie di Muse eseguite da Angelo Maccagnino da Siena e da Cosmè Turà per lo studiolo di Lionello e a Belfiore, distrutto nel 1483: - Inizialmente spiega chi sono le muse ovvero una sorta di cognizione intellettiva che grazie all'operosità culturale e pratica dell'uomo hanno ideato numerose attività imprese; si chiamano così perché ricercano in ogni campo o forse perché sono ricercate da tutti dato che il desiderio di conoscenza è nato nell’uomo; il loro nome deriva infatti dal greco e vuol dire “indagatrice”. - Ogni musa viene rappresentata insieme ad oggetti che riconducono a ciò che essa ha scovato per esempio: “Erato segue i vincoli coniugali e tutto ciò che attiene ad un amore giusto; si pongano ai suoi lati rispettivamente un fanciullo è una fanciulla, cui unisca le mani infilandogli un anello”… “Melpomene riuscì a inventare il canto e la melodia delle voci deve quindi avere in mano un libro che rechi notazioni musicali”… “Uranio abbia in mano un astrolabio e contempli un cielo stellato visto che ne scoprì le regole: l’astrologia” In un'epistola del 1447 ad Alfonso V di Napoli Guarino si lamenta che, al contrario della letteratura, le pitture e le statue sono tramiti insufficienti a trasmettere la gloria personale: innanzitutto perché sono prive di scritte e poi perché sono difficili da trasportare. Attorno a Pisanello si concentrò ben presto la principale attività ecfrasrica di Guarino e dei suoi discepoli. Fu Pisanello, e non Masaccio l'artista umanistico. Viene dunque esaminato da Guarino un San Girolamo che gli viene mandato dall’artista: - Definire il regalo ricevuto da Pisanello splendido - Il San Girolamo offre un esempio meraviglioso della capacità dell'artista e della sua abilità - Inizia poi a descriverlo con la barba bianca e le severe sopracciglia che basta guardarle per essere innalzato a pensieri sublimi - Dichiara ché sembra essere tra noi ma al contempo c'è assente e quindi sottolineando la realistica rappresentazione - Conclude dicendo che anche se l'immagine mostra con chiarezza di essere dipinta ha sempre ritegno di aprire la bocca e sussurra con le labbra chiuse per non disturbare con la voce troppo forte il San Girolamo - Per quanto riguarda lo stile dell'artista Guarino sottolinea l'enorme capacità dell'artista di rappresentare tutto in maniera tanto realistica. Dunque se l'artista rappresentasse un mare o una violente tempesta chi guarda l'opera potrebbe sentir tuonare le rive oppure vedere biancheggiare la schiuma. Questa formula viene imitata in altri componimenti dedicati al Pisanello come quello dell'allievo di Guarino Tito Vespasiano Strozzi il quale dichiara di sentire il rumore delle onde guardando le sue opere. La descrizione dello Strozzi ci riporta quasi a un dipinto senza soggetto, guarda avanti ai generi artistici veneziani del paesaggio e del quadro pastorale. Pisanello era il prototipo di una risposta ecfrastica ad un dato dipinto la sua varietà si può rifà cavare dalle differenti specie animali, dal paesaggio diversificato e anche dalle fisionomie. Si vede nel san Giorgio e la principessa di Trebisonda dove l’artista ha scorciato i cavalli e i cani del paesaggio in modo nettissimo che evidenziano la varietà del virtuosismo dell’artista. Bartolomeo Facio e Lorenzo Valla: i limiti della critica umanistica Sono sinora emerse tre tendenze nello sviluppo della critica artistica nel periodo dell'umanesimo: 1. La prima è quella ciceroniano-petrarchesca di un'analogia continua tra pittura e produzione letteraria, sulla base di un sistema ristretto di categorie e distinzioni neoclassiche costituì l'elemento di partenza nel dibattito umanistico sulla pittura 2. La seconda, territorialmente più limitata, si manifesta nel considerare la moderna storia artistica come una serie di singole personalità aventi ciascuno interessi e capacità individuali. 3. La terza era costituita dall'approccio basato su tipologie ecfrastiche secondo i modi e le scale di valore fornito da Guarino e dalla sua scuola. Attorno al secondo quarto del 400 un numero enorme di umanisti si trovava nella condizione di riferirsi alle questioni artistiche in modo del tutto trascurato e impreciso; un esempio di questa prosa umanistica la scrive Leonardo Giustinian allievo veneziano del Guarino per raccomandare il suo dono di un quadro ad una non identificata regina di Cipro: - Egli inizia dicendo che non ignora con quanta attenzione, onore e rispetto venne considerata da quasi tutte l'arte pittorica dal momento che essa si trova quasi ad eguagliare la natura ovvero la genitrice di tutte le cose - Aggiungi inoltre che se si riuscisse ad aggiungere la voce ad alcuni di questi esseri viventi raffigurati nell’arte, la pittura arriverebbe facilmente a combattere con la natura - Per certi versi la pittura l’ha proprio superata in effetti: la forza e il potere della natura sono limitate in quanto produce i fiori soltanto in primavera e i frutti soltanto in autunno mentre invece la pittura può creare la neve quando è estate, primavera o autunno - Molti hanno definito la pittura come opera di poesia silenziosa in quanto congiunta all'attività poetica ma priva di parole scritte; tra i poeti e i pittori c'è sempre stata la stessa possibilità di osare, entrambi sono spinti dall'acutezza dell'ingegno e da una specie di ispirazione divina - Aggiunge inoltre che ci sono diversi esempi dell'alta considerazione in cui gli uomini tengono la pittura per esempio Alessandro Magno voleva essere ritratto da Apelle, il più grande pittore del suo tempo, più di ogni altra cosa in quanto capiva che Apelle avrebbe potuto aggiungere molto alla sua fama già così estesa a cui lui teneva tantissimo. Bartolomeo Facio, De viris illustribus Come Giustinian, anche Bartolomeo Facio era un allievo di Guarino ma il suo esame dell'attività pittorica rientra in una serie di brevi biografie. Facio, segretario e storico di corte presso Alfonso V di Napoli scrisse il suo opuscolo De viris illustribus nel 1456 in quest'opera scelse di associare alle più consuete categorie di uomini illustri: poeti, oratori, giuristi, scienziati, privati cittadini, capitani di ventura, principi anche quelle pittori e scultori. Nella sezione sui pittori una breve introduzione generale sulla pittura è seguita dalle biografie dei quattro artisti che l'autore considera i migliori del suo tempo: gentile da Fabriano, Jan Van Eyck, Pisanello e Rogier van der Weyden. - Competette sopratutto nel raffigurare cavalli e animali in generale in cui supera qualsiasi altro pittore - Lavorò a Mantova, nel palazzo ducale, dove Facio ricorda un grippo di fanciulli che scoppiano a ridere e che suscitano in chi li guarda grande ilarità, a Roma presso San Giovanni dove porta a termine i lavori iniziati da Gentile, Facio scrive che lo stesso Pisanello gli aveva detto che gli affreschi gIà al tempo erano rovinati a causa dell’umidità. - Vi sono altre opere di Pisanello sia su tavola che pergamena - Oltre che pittore fu anche scultore realizzò in bronzo e piombo i ritratti di re Alfonso d’Aragona, Filippo Visconti e altri principi italiani. Ruggero di Gallia (Rogier van der Weyden) - Conterraneo ed allievo di Giovanni - Facio ricorda alcune opere (tutte perdute ad oggi): • Una tavola dove si vede una donna che sta sudando nel suo bagno con un cucciolo di cane al fianco e due ragazzi che la spiano attraverso una fessura notevoli per la loro naturalezza del loro riso. • Trittico che si trovava negli appartamenti privati del signore di Ferrara (Lionello): in un laterale si vedono Adamo ed Eva nudi e l’angelo che li scaccia dal paradiso terrestre, nell’altro è raffigurato un principe non identificato in preghiera nella tavola centrale c’è un cristo deposto con la vergine, Maria Maddalena, Giuseppe addolorati in ladine tanto da non poterli distinguere da reali persone vive. • Presso il re Alfonso ci sono alcuni arazzi • A Bruxelles, città della Gallia, dipinse una cappella (non identificata). Sugli scultori Tra il numero di scultori Facio dice che ce ne sono pochi famosi anche se ammette che alcuni che lavorano nel suo tempo in futuro, forse, saranno famosi. Lorenzo da Firenze (Lorenzo Ghiberti) - È considerato un grande artista per le sue opere in bronzo - Per le porte della chiesa di san Giovanni Battista a Firenze realizzò in bronzo le storie del vecchio e del nuovo testamento, piene di episodi e di aneddoti, Facio la definisce “un’opera indescrivibile”. - A Firenze realizza anche la tomba bronzea di san Zenobi in Santa Reparata e un San Giovanni Battista assieme a un santo Stefano Martire in Orsanmichele Vittore - Non viene considerato inferiore a suo figlio con il quale collabora - La sua mano e la sua arte si riconoscono nella realizzazione di quelle stesse porte di san Giovanni Battista Donatello da Firenze - Si distingue per l’eccezionalità del suo ingegno e della sua arte - Noto per le opere in bronzo e in marmo - Sembra “plasmare volti che vivono” e quasi raggiungere gli antichi - Realizzò l’altare di san Antonio a Padova con statue di santi, Facio aggiunge “opera molto notevole”. - È sua anche la statua del Gattamelata Ciò che impressiona di più nell'opera di Facio è la continuità tra i principi affermativi nella sua prefazione e la critica specifica che esprime nelle biografie individuali. Le opere di cui tratta sono esaminate come entità reali e motivate: non vengono ridotte a semplici e exempla delle qualità pittoriche dei singoli artisti. Il “De pictoribus” di Facio è l'ultimo frutto, e il più perfetto, della prima stagione della critica d'arte umanistica. Tutte le attitudini mentali, tutti gli approcci che abbiamo precedentemente incontrato vi sono presenti in maggiore o minor grado, ma sempre con un'intima coerenza mai reperita altrove. Ma allo stesso tempo quest'opera guarda oltre. Facio sfruttò fino in fondo le potenzialità della tradizione critica umanistica. Ma fino a che punto la tradizione critica umanistica sfruttò appieno le potenzialità dell'umanesimo? la grande autorità che possedevano le convenzioni ciceroniana, o quelle ecfrastiche fecero sì che gli umanisti scrivessero di pittura o di scultura secondo prototipi neoclassici accettabili, certo, ma forse quella stessa autorità li distolse dalla pratica di attività più interessanti. Il giudizio di inadeguatezza che possiamo oggi esprimere nei confronti di chi si trovava a riferire di contemporanei come Giotto e Masaccio è certamente antistorico, tutto sommato essi stavano reinventando l'arte della critica artistica andando avanti piano piano. Lorenzo Valla Lorenzo Valla, romano, con una conoscenza diretta dell'arte classica che solo occasionalmente viene mostrata in accenni indiretti. Era inoltre un umanista che risiedeva presso corti molto colte e siamo certi che si trovò a contatto con l'elaborazione di progetti pittorici; nel passo descrive una battaglia di ben scarsa rilevanza nel contesto globale della sua lunga guerra con Antonio Panormita a Napoli: - Giovanni Carafa aveva stabilito che venissero rappresentato il re raffigurato a cavallo e con l’armatura in Castel Capuano; attorno a quest’immagine dovevano esserci le 4 virtù: giustizia, carità, prudenza e temperanza o fortezza. - Giovanni si rivolse a Valla per realizzare dei versi che sarebbero stati posti sopra le virtù; chiese all’umanista di inviarglieli entro un paio di giorni. - Valla accetta e gli invia i versi per tre delle 4 virtù il giorno stesso - I versi vengono considerati da Antonio poco elegante per un’opera così splendida. E dunque Antonio chiese a Carafa di aspettare alcuni giorni e glieli avrebbe mandati lui dei versi degni delle rappresentazioni. - Inizia la “guerra” tra i due umanisti che vengono mandati presso il re che avrebbe dovuto svolgere il ruolo del giudice o arbitro per sistemare la questione. - Il re si tenne generico non volendo condannare nessuno e disse che entrambi avevano fatto un lavoro notevole (anche se Valla riporta il fatto che il re avesse definito i suoi componimenti più forti). - Valla continua spigando che i versi composti da Antonio sembravano pronunciati o da chi guardava il dipinto, o dalle virtù: ma se sono le virtù a parlare per loro, le stesse virtù non possono parlare di loro. Continua poi che nei suoi componimenti era al contrario del tutto chiaro che ogni virtù parlava di se stessa ed erano anche nell'ordine che il pittore aveva previsto per la raffigurazione dalla Prudenza alla Fortezza. Nelle Elegantiae di Valla ci sono accenni di come avrebbe potuto essere condotta un’analisi umanistica più appropriata: - Mollis può essere riferito sia a un uomo sia a un’opera d’arte: nel primo caso vale come biasimo nel secondo come elogio. - Il termine mollis ha valore elogiativo quando durum è un difetto - cibo duro, letto duro - e anche nella scultura che per lo stesso motivo può essere definita molle quando non è dura e si può lodare. Nel corso di un attacco violento al giurista trecentesco Bartolo da Sassoferrato, Valla scombina tutta la gerarchia medievale dei colori e i suoi simbolismi: - Valla esamina la teoria dei colori di Bartolo quest'ultimo dice che il colore oro è il più nobile dei colori perché grazie ad esso si rappresenta la luce; Se qualcuno vuole infatti raffigurare i raggi del sole il modo migliore per farlo e appunto dipingerli in oro. Valla definisce Bartolo somaro in quanto è evidente che il sole più che oro è bianco intenso. - Segue il blu, che però Bartolo chiama azurum e dice che con quel colore si rappresenta l’aria; Valla prosegue sottolineando il fatto che Bartolo sembra stia seguendo l'ordine degli elementi ma se così fosse aveva tralasciato la luna che segue il sole inoltre aggiunge che se definisce il sole d'oro allora deve dire che la luna è d’argento. Invece Bartolo non cita l'argento ma il blu perché viene sedotto dalla gerarchia dei mitici quattro elementi e non ha ritenuto opportuno ricavare esempi dai metalli, dalle pietre preziose, dalle erbe e dei fiori anche se in realtà sono più adatti e più appropriati. - Seguendo questa logica Valla si aspetta che il terzo il quarto colore verranno rispettivamente dall'acqua e della terra ma oltre si arriva al bianco che viene definito il colore più nobile e il nero il più basso e inoltre aggiunge che gli altri colori sono tanto migliore quanto si avvicinano al bianco e dunque tanto peggiori quanto più vanno prossimi alla nerezza. A questo punto Valla si chiede da quale errore deve iniziare: il bianco non è sempre il colore più bello ed è evidente dal fatto, per esempio, che le sete vengono colorate di porpora ma è di certo il colore più puro, inoltre non può essere considerato il nero un colore inferiore al bianco in quanto sia il cigno che il corvo sono sacre ad Apollo e inoltre Valla sottolinea il fatto che secondo egli gli etiopi sono più belli degli indiani perché sono più neri. Più di qualsiasi commento critico umanistico sulla pittura questo brano sembra manifestare il ruolo liberatore dell'umanesimo. Valla portò avanti una propria impostazione nel corso della sua discussione sul ruolo della rinascita del latino è ben noto il riferimento alle conquiste della pittura e della scultura che compare nella prefazione alla sua opera Elegantiae dove tocca anche il discorso della loro affinità con le arti liberali. In un passo che viene dal Oratio in principio sui studii Valla ridefinisce la sua posizione in modo quasi da definire una teoria della cultura e di nuovo si riferisce alle arti visive. - Il progresso artistico è una funzione dell'interagire sociale si manifesta in due fasi prima il singolo innova poi l'innovazione è resa accessibile ai suoi compagni ma a sua volta
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