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Il Dubbio di Cézanne: La Pittura e la Ricerca della Realità - Prof. De Vincentis, Dispense di Storia Dell'arte

La vita e l'evoluzione artistica di Paul Cézanne, noto per la sua incerta relazione con la tradizione e l'impressionismo. sulla paura della vita e della morte di Cézanne, la sua attenzione estrema alla natura e al colore, e la sua devozione al mondo visibile come fuga dal mondo umano. Vengono analizzate le influenze di Cézanne, la sua relazione con l'impressionismo e la sua composizione unica della tavolozza. Il testo conclude con la ricerca di Cézanne nella prospettiva e la sua intenzione di riportare l'intelligenza, le idee, le scienze e la tradizione a contatto con la natura.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 02/12/2022

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Scarica Il Dubbio di Cézanne: La Pittura e la Ricerca della Realità - Prof. De Vincentis e più Dispense in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity!   Il dubbio di Cézanne1  Maurice Merleau-Ponty Gli ci volevano cento sedute di lavoro per una natura morta e centocinquan- ta sedute di posa per un ritratto. Quella che noi chiamiamo la sua opera, per lui era soltanto l’esperimento e l’avvio della sua pittura. Scrive nel settembre 1906, a 67 anni, un mese prima di morire: “Mi trovo in un tale stato di disordine cere- brale, in così grande agitazione, che ho temuto, a un certo momento, che la mia debole ragione non ce la facesse... Ormai mi sembra di star meglio e di pensar più giusto nell’orientamento dei miei studi. Arriverò allo scopo tanto cercato e così a lungo perseguito? Studio sempre dal vero e mi sembra di fare lenti pro- gressi”. La pittura è stata il suo mondo e la sua maniera di esistere. Lavora solo, senza allievi, senza ammirazione da parte della sua famiglia, senza incoraggia- mento di giurie. Dipinge il pomeriggio del giorno della morte di sua madre. Nel 1870, dipinge all’Estaque mentre i gendarmi lo ricercano come renitente. Eppu- re gli capita di mettere in dubbio tale vocazione. Invecchiando, si chiede se la novità della sua pittura non derivi da un disordine dei suoi occhi, e se tutta la sua vita non si sia impostata in base a un difetto del suo corpo. A questo sforzo e a questo dubbio corrispondono le incertezze o gli sciocchi pregiudizi dei con- temporanei. Pittura di bottinaio ubriaco” diceva un critico nel 1905. Ancor oggi, Mauclair trae argomento contro Cézanne dalle sue confessioni d’impotenza. Nel frattempo, i suoi quadri diventano celebri. Perché mai tanta incertezza, tanta fa- tica, tanti fallimenti, e all’improvviso il più grande successo? Zola, che era amico di Cézanne sin dall’infanzia, è stato il primo a trovarlo geniale, e il primo a parlarne come d’un “genio abortito”. Uno spettatore della vita di Cézanne, come Zola, più interessato al suo carattere che non al senso della sua pittura, poteva ben ritenerla una manifestazione morbosa. Sin dal 1852, ad Aix, al collegio Borbone dove era appena entrato, Cézanne preoccupava gli amici con le sue collere e le sue depressioni. Sette anni più tardi, deciso a diventare pittore, dubita del proprio talento e non osa chiedere al padre, cappellaio e poi banchiere, di mandarlo a Parigi. Le lettere di Zola gli rimprovera- no l’instabilità, la debolezza e l’indecisione. Viene a Parigi, ma scrive: “Non ho fat- to che cambiar posto e la noia m’ha seguito”. Non tollera la discussione, perché lo affatica e perché non sa mai dire le sue ragioni. Il fondo del suo carattere è ansioso. A quarantadue anni, pensa di morir giovane e fa testamento. A quarantasei anni, per sei mesi, è pervaso da una passione impetuosa, tormentata, opprimente, di cui si ignora la conclusione e di cui non parlerà mai. A cinquantun’anni, si ritira ad Aix, per trovarvi la natura che meglio si conviene al suo genio, ma anche per ripie- garsi sull’ambiente della sua infanzia, sua madre e sua sorella. Quando sua madre morirà, egli s’appoggerà sul figlio. “È spaventosa, la vita” diceva spesso. La religio- Cézanne e i giudizi dei contemporanei   ne, che si mette allora a praticare, comincia per lui con la paura della vita e la pau- ra della morte. “È la paura” spiega a un amico, “mi sento ancora per quattro gior- ni sulla terra; e poi? Credo che non sopravviverò e non voglio rischiare di arrostire in aeternum”. Per quanto si sia più tardi approfondita, il motivo iniziale della sua religione è stato il bisogno di fissare la sua vita e di dimettersene. Diventa sempre più timido, diffidente e suscettibile. Viene talvolta a Parigi, ma, quando incontra a- mici, fa loro segno da lontano di non avvicinarlo. Nel 1903, quando i suoi quadri cominciano a vendersi a Parigi due volte più cari di quelli di Monet, quando gio- vani come Joachim Gasquet ed Émile Bernard vengono a trovarlo e a interrogarlo, si distende un po’. Ma le collere persistono. Un bambino d’Aix l’aveva una volta colpito passandogli vicino; da allora non poteva più sopportare un contatto. Un giorno della sua vecchiaia, siccome barcollava, Émile Bernard lo sostenne con la mano. Cézanne andò in gran collera. Lo si sentiva camminare in su e in giù nel suo studio gridando che non si sarebbe lasciato mettere “le zampe addosso”. Proprio a causa delle “zampe” escludeva dal suo studio le donne che avrebbero potuto ser- virgli da modelle, dalla sua vita i preti che diceva “attaccaticci”, e dal suo spirito le teorie di Émile Bernard quando si facevano troppo insistenti. La perdita dei contatti tranquilli con gli uomini, l’impotenza a padroneggia- re le situazioni nuove, la fuga nelle abitudini, in un ambiente che non ponga problemi, la rigida opposizione fra teoria e pratica, fra “zampe” e libertà solita- ria – tutti questi sintomi consentono di parlare di una costituzione morbosa e, per esempio, come si è fatto per El Greco, di uno schizoide. L’idea di una pittu- ra “dal vero” verrebbe a Cézanne dalla stessa debolezza. La sua estrema atten- zione alla natura, al colore, il carattere disumano della sua pittura (diceva che un viso va dipinto come un oggetto), la sua devozione al mondo visibile non sa- rebbero che una fuga dal mondo umano, l’alienazione della sua umanità. Tali congetture non danno il senso positivo dell’opera, onde non se ne può concludere senz’altro che la sua pittura sia un fenomeno di decadenza e, come afferma Nietzsche, di vita “impoverita”, e nemmeno che essa non abbia niente da insegnare all’uomo completo. Probabilmente Zola ed Émile Bernard hanno creduto a uno scacco appunto per aver lasciato troppo posto alla psicologia e alla loro conoscenza personale di Cézanne. Resta possibile che, in occasione delle sue debolezze nervose, Cézanne abbia concepito una forma di arte valida per tutti. Lasciato a se stesso, ha potuto guardare la natura come solo un uomo sa fare. Il senso della sua opera non può essere determinato dalla sua vita. Né lo si può conoscere meglio in base alla storia dell’arte, cioè riferendosi al- le influenze (degli italiani e di Tintoretto, di Delacroix, di Courbet e degli im- pressionisti), ai procedimenti di Cézanne, o magari alla testimonianza che egli stesso fornì sulla sua pittura. I suoi primi quadri, fin verso al 1870, sono sogni dipinti, un Rapimento, un Assassinio. Nascono dai sentimenti e vogliono in primo luogo provocare senti- menti. Sono dunque quasi tutti dipinti a grandi linee e offrono la fisionomia mo- rale dei gesti più che il loro aspetto visibile. Agli impressionisti, in particolare a Pissarro, Cézanne deve di aver inteso poi la pittura non come l’incarnazione di scene immaginate o la proiezione esterna dei sogni, ma come lo studio preciso delle apparenze, non tanto come un lavoro di studio quanto come un lavoro a- perto alla natura, e di aver lasciato la fattura barocca, che cerca anzitutto di ren- dere il movimento, per i piccoli tocchi giustapposti e i tratteggi pazienti. 64 MAURICE MERLEAU-PONTY La devozione al visibile come fuga dal mondo? Cézanne e l’impressionismo   In realtà, si può giudicare così la sua pittura solo non tenendo conto della metà di quel che ha detto e chiudendo gli occhi dinanzi a quel che ha dipinto. Nei suoi dialoghi con Émile Bernard, è chiaro che Cézanne cerca sempre di sfuggire alle alternative già bell’e fatte che gli si propongono – fra sensi e intelli- genza, fra pittore che vede e pittore che pensa, fra natura e composizione, fra primitivismo e tradizione. “Bisogna farsi un’ottica” dice, ma “per ottica intendo una visione logica, cioè senza niente d’assurdo”. “Si tratta della nostra natura?” chiede Bernard. Cézanne risponde: “Si tratta di entrambe. La natura e l’arte non sono forse differenti? Vorrei unirle. L’arte è un’appercezione personale. Io pongo tale appercezione nella sensazione e domando all’intelligenza di organiz- zarla in opera”. Ma anche queste formule si valgono troppo delle nozioni abi- tuali di “sensibilità” o “sensazione” e di “intelligenza”, ed ecco perché Cézanne non poteva persuadere e preferiva dipingere. Anziché applicare alla sua opera dicotomie, che d’altronde appartengono più alle tradizioni di scuola che ai fon- datori – filosofi o pittori – di tali tradizioni, sarebbe meglio essere docili al sen- so peculiare della propria pittura, che è di rimetterle in questione. Cézanne non ha creduto di dover scegliere tra sensazione e pensiero come tra caos e ordine. Non vuole separare le cose fisse che appaiono sotto il nostro sguardo e la loro labile maniera di apparire, vuole dipingere la materia che si sta dando una for- ma, l’ordine nascente attraverso un’organizzazione spontanea. Non introduce la frattura tra “i sensi” e l’“intelligenza”, ma tra l’ordine spontaneo delle cose per- cepite e l’ordine umano delle idee e delle scienze. Noi percepiamo le cose, ci in- tendiamo su di esse, siamo ancorati a esse e solo su queste fondamenta di “na- tura” costruiamo delle scienze. Cézanne ha voluto dipingere questo mondo pri- mordiale, ed ecco perché i suoi quadri danno l’impressione della natura alla sua origine, mentre le fotografie dei medesimi paesaggi suggeriscono i lavori degli uomini, le loro comodità e la loro presenza imminente. Cézanne non ha mai vo- luto “dipingere come un bruto”, ma rimettere l’intelligenza, le idee, le scienze, la prospettiva e la tradizione a contatto con il mondo naturale che esse sono de- stinate a comprendere, e confrontare con la natura, come egli afferma, le scien- ze “che ne sono scaturite”. Le ricerche di Cézanne nella prospettiva scoprono, in virtù della loro fedeltà ai fenomeni, quanto la psicologia recente doveva formulare. La prospettiva vis- suta, quella della nostra percezione, non è la prospettiva geometrica o fotografi- ca: nella percezione, gli oggetti vicini sembrano più piccoli, e gli oggetti lontani più grandi, di quanto non lo sembrino su una fotografia, come si può osservare al cinema quando un treno s’avvicina e ingrandisce molto più rapidamente di un treno reale nelle medesime condizioni. Dire che un cerchio visto obliqua- mente è visto come un’ellisse, significa sostituire alla percezione effettiva lo schema di quel che dovremmo vedere se fossimo macchine fotografiche: in realtà vediamo una forma che oscilla intorno all’ellisse senza essere un’ellisse. In un ritratto della signora Cézanne, il fregio della tappezzeria, ai due lati del cor- po, non costituisce una linea retta: ma è noto che se una linea passa sotto una larga striscia di carta, i due tronconi visibili sembrano dislocati. Il tavolo di Gu- stave Geffroy è disposto nella parte bassa del quadro, ma quando il nostro oc- chio percorre una larga superficie, le immagini che ottiene volta a volta sono prese da differenti punti di vista e la superficie totale è incurvata. È vero che, ri- portando sulla tela queste deformazioni, le fisso e arresto il movimento sponta- IL DUBBIO DI CÉZANNE 67 Dipingere la materia nel suo farsi forma Le deformazio- ni prospettiche   neo per cui si ammassano le une sulle altre nella percezione e tendono verso la prospettiva geometrica. È quanto succede anche a proposito dei colori. Una ro- sa su un foglio di carta grigio colora di verde lo sfondo. La pittura di scuola di- pinge lo sfondo di grigio, contando sul fatto che il quadro, come l’oggetto reale, produrrà l’effetto di contrasto. La pittura impressionista mette del verde sullo sfondo, per ottenere un contrasto tanto vivo quanto quello degli oggetti all’aria 68 MAURICE MERLEAU-PONTY Fig. 9. Paul Cézanne, Ritratto di Madame Cézanne nella poltrona gialla, 1888-1890, olio su tela, 81 x 65 cm, Chicago, The Art Institute.   aperta. Non falsa forse, in tal modo, il rapporto fra i toni? Lo falserebbe se si li- mitasse a questo. Ma è proprio del pittore far sì che tutti gli altri colori del qua- dro, convenientemente modificati, tolgano al verde posto sullo sfondo il carat- tere di colore reale. Analogamente, il genio di Cézanne fa sì che le deformazioni prospettiche, in virtù dell’impianto complessivo del quadro, cessino di essere visibili per se stesse quando lo si guarda globalmente, e contribuiscano soltanto, come fanno nella visione naturale, a dare l’impressione di un ordine nascente, di un oggetto che sta comparendo, che sta coagulandosi sotto i nostri occhi. Al- lo stesso modo il contorno degli oggetti, concepito come una linea che li recin- ga, non appartiene al mondo visibile ma alla geometria. Se si segna con una linea il contorno d’una mela, lo si rende una cosa, men- tre esso è il limite ideale verso cui i lati della mela fuggono in profondità. Non segnare nessun contorno significherebbe togliere agli oggetti la loro identità. Segnarne uno solo significherebbe sacrificare la profondità ossia la dimensione che ci dà la cosa, non come esibita davanti a noi, ma come piena di riserve e co- me realtà inesauribile. Ecco perché Cézanne seguirà in una modulazione colo- rata il rigonfiamento dell’oggetto e segnerà a tratti turchini  parecchi contorni (tav. V). Lo sguardo, rinviato dall’uno all’altro, avverte un contorno nascente tra loro tutti come fa nella percezione. Non c’è niente di meno arbitrario di quelle celebri deformazioni, che d’altronde Cézanne abbandonerà nel suo ultimo pe- riodo, a partire dal 1890, quando non riempirà più la tela di colori e abbando- nerà l’esecuzione serrata delle nature morte. Il disegno deve dunque risultare dal colore, se si vuole che il mondo sia reso nella sua densità, poiché esso è una massa senza lacune, un organismo di colori, attraverso i quali la fuga della prospettiva, i contorni, le rette e le curve si di- spongono come linee di forza, e la dimensione spaziale si costituisce vibrando. “Il disegno e il colore non sono più distinti; nella misura in cui si dipinge, si di- segna; più il colore si armonizza e più il disegno si precisa... Quando il colore raggiunge la sua ricchezza, la forma è alla sua pienezza”. Cézanne non cerca di suggerire con il colore le sensazioni tattili che darebbero la forma e la profon- dità. Nella percezione, primordiale, tali distinzioni fra il tatto e la vista sono i- gnote. È la scienza del corpo umano che ci insegna poi a distinguere i nostri sensi. La cosa vissuta non è ritrovata o costruita in base ai dati dei sensi, ma si offre di primo acchito come il centro donde essi si irradiano. Noi vediamo la profondità, il vellutato, la morbidezza, la durezza degli oggetti – Cézanne dice perfino: il loro odore. Se il pittore vuole esprimere il mondo, bisogna che la di- sposizione dei colori rechi in sé questo Tutto indivisibile; altrimenti la sua pittu- ra sarà un’allusione alle cose e non le offrirà nell’unità imperiosa, nella presenza e nella pienezza insuperabile che è per noi tutti la definizione del reale. È que- sto il motivo per cui ogni pennellata deve soddisfare a un’infinità di condizioni, e per cui Cézanne meditava talvolta per un’ora prima di darla; essa deve, come dice Bernard, “contenere l’aria, la luce, l’oggetto, il piano, il carattere, il disegno e lo stile”. L’espressione di quel che esiste è un compito infinito. Né si può dire che Cézanne abbia meno curato la fisionomia degli oggetti e dei volti, che egli voleva solo cogliere quando essa emerge dal colore. Dipinge- re un volto “come un oggetto” non vuol dire privarlo del suo “pensiero”. “In- tendo che il pittore lo interpreta” dice Cézanne, “il pittore non è un imbecil- le”. Ma questa interpretazione non deve essere un pensiero separato dalla vi- IL DUBBIO DI CÉZANNE 69 Il contorno degli oggetti La percezione come un tutto indivisibile   le mistero di civiltà”, il che regge dall’interno il mondo, e fa pullulare le forme visibili. Per Frenhofer, il senso della pittura è il medesimo: “Una mano non è solo attaccata al corpo, ma esprime e continua un pensiero che va colto e re- so… La vera lotta è questa! Molti pittori trionfano istintivamente ignorando questo tema dell’arte. Voi disegnate una donna, ma non la vedete”. L’artista è colui che fissa e che rende accessibile ai più “umani” fra gli uomini lo spettaco- lo di cui fanno parte senza vederlo. Non esiste dunque arte dilettevole. Si possono fabbricare oggetti che pro- ducono piacere collegando altrimenti idee già pronte e presentando forme già viste. Questa pittura o questa parola seconda è quanto si intende di solito per cultura. L’artista secondo Balzac o secondo Cézanne non si contenta d’essere un animale colto, ma assume la cultura dal suo principio e la fonda di nuovo, parla come il primo uomo ha parlato e dipinge come se non si fos- se mai dipinto. L’espressione non può essere allora la traduzione di un pen- siero già chiaro, perché i pensieri chiari sono quelli che sono già stati detti in noi stessi o da altri. La “concezione” non può precedere l’“esecuzione”. Pri- ma dell’espressione, non c’è nient’altro che una febbre vaga e solo l’opera fatta e compresa proverà che vi si doveva trovare qualcosa piuttosto che nien- te. Poiché è ritornato, per prenderne coscienza, al fondamento di esperienza muta e solitaria sul quale sono edificate la cultura e lo scambio delle idee, l’artista lancia la sua opera come un uomo ha lanciato la prima parola, senza sapere se essa sarà qualcosa d’altro che un grido, se potrà distaccarsi dal flus- so di vita individuale in cui nasce e presentare, sia a questa medesima vita nel suo avvenire, sia alle monadi che coesistono con essa, sia alla comunità aper- ta delle monadi future, l’esistenza indipendente di un senso identificabile. Il senso di quanto l’artista sta per dire non c’è in nessun luogo, né nelle cose, che non sono ancora senso, né in lui stesso, nella sua vita informulata. Esso chiama dalla ragione già costituita, e in cui si rinchiudono gli “uomini colti”, a una ragione che abbraccerebbe le proprie origini. Volendo Bernard ricon- durlo all’intelligenza umana, Cézanne risponde: “io mi volgo verso l’intelli- genza del Pater Omnipotens”. Egli si volge in ogni caso verso l’idea o il pro- getto di un Logos infinito. L’incertezza e la solitudine di Cézanne non si spiegano, per l’essenziale, con la sua costituzione nervosa, ma con l’intenzio- ne della sua opera. L’eredità aveva potuto dargli sensazioni ricche, emozioni sorprendenti, un vago sentimento d’angoscia o di mistero che disorganizza- vano la sua vita volontaria escludendolo dagli uomini; ma queste qualità fan- no un’opera solo grazie all’atto di espressione e non costituiscono affatto le difficoltà né le virtù di questo atto. Le difficoltà di Cézanne sono quelle del- la prima parola. Egli s’è creduto impotente perché non era onnipotente, per- ché non essendo Dio voleva tuttavia dipingere il mondo, convertirlo tutto in- tero in spettacolo e farlo vedere come esso ci concerne. Una teoria fisica nuo- va può provare se stessa perché l’idea o il senso sono in essa legati al calcolo e alle misure che appartengono a un dominio già comune a tutti gli uomini. Un pittore come Cézanne, un artista o un filosofo, devono non solo creare ed esprimere un’idea, ma anche ridestare le esperienze che la radicheranno nel- le altre coscienze. Se l’opera è riuscita, ha lo strano potere di insegnarsi da sé. Seguendo le indicazioni del quadro o del libro, stabilendo confronti, ur- tando da un lato e dall’altro, guidati dalla chiarezza confusa di uno stile, il 72 MAURICE MERLEAU-PONTY La costruzione del senso Verso “la pri- ma parola”   lettore o lo spettatore finiscono per ritrovare quel che si è voluto comunicare loro. Il pittore ha potuto solo costruire un’immagine. Bisogna attendere che quest’immagine si animi per gli altri. Allora l’opera d’arte avrà unito le vie separate, e non esisterà più semplicemente in una di loro come un sogno te- nace o un delirio persistente, o nello spazio come una tela colorata, ma abi- terà indivisa in parecchi spiriti, presuntivamente in ogni spirito possibile, co- me un’acquisizione per sempre. 1 Da Maurice Merleau-Ponty,  Senso e non senso (1948), Milano, il Saggiatore, 1962, pp. 27-44. Tra- duzione di Paolo Caruso. IL DUBBIO DI CÉZANNE 73
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