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DOMANDE APERTE LETTERATURA ITALIANA LUCA MAZZONI, Panieri di Letteratura Italiana

DOMANDE APERTE LETTERATURA ITALIANA LUCA MAZZONI

Tipologia: Panieri

2022/2023

Caricato il 05/03/2023

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Scarica DOMANDE APERTE LETTERATURA ITALIANA LUCA MAZZONI e più Panieri in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1. Il teatro comico in volgare nel ‘500. La letteratura teatrale in volgare del ‘500 presenta un ricco panorama di titoli e di rappresentazioni che coprono tutti i generi della drammaturgia. Come eredità del secondo secolo precedente continuano a sopravvivere la commedia classica, soprattutto nelle corti, e le rappresentazioni sacre. Il tratto più caratteristico della produzione teatrale del ‘500 risiede nella commedia. Il genere comico attinge i propri modelli dalla commedia latina di Plauto e Terenzio e dalle novelle di Boccaccio, anzi dalla tradizione della novella il teatro comico trae il marchio distintivo che è la lingua, la lingua parlata e i dialetti. Alla commedia cinquecentesca viene attribuita l’etichetta di “teatro popolare”, per la trama, le situazioni grossolane rappresentate e il linguaggio crudo e realista. Questo tipo di commedia presenta personaggi diversi le cui virtù come l’astuzia, la sveltezza e la capacità di cogliere il momento opportuno, sono l’esatto opposto di quelle della letteratura classicista. Questo tipo di teatro italiano, definito “commedia di caratteri” per le particolari caratteristiche dei singoli personaggi, si sviluppa principalmente in Veneto e in Toscana. A Padova si sviluppa la parodia sarcastica dei generi bucolici più elevati che ispirano Ruzzante, a Venezia si sviluppa un genere di commedia più cittadino e borghese (“la Venexiana”). Di ispirazione sempre popolare e rusticale è il genere di commedia rappresentato a Siena dalla Congrega dei Rozzi, un filone satirico contro il clero corrotto e vizioso (“Pidinzuolo”). 2. La commedia in dialetto e Ruzante. Il padovano Angelo Beolco, detto Ruzante è una delle maggiori figure del ‘500. Le sue commedi e farse scritte prevalentemente in dialetto padovano, ma spesso caratterizzate dall’intrecco di diversi linguaggi, occupano un posto del tutto eccezionale nell’ambito del teatro rinascimentale. Le sue opere sono popolate da personaggi di “villani”, rudi ed elementari, improntate da una esaltazione semiseria dell’energia grezza degli istinti, esse devono molta della loro forza alla comicità violenta e amara che le pervade e al dirompente realismo espressivo. Maturata in un ambiente di raffinata cultura, l’arte di Ruzante risolve nelle pieghe del dialetto le istanze più vive della tradizione linguistica rinascimentale e rielabora le tradizioni del teatro classico e popolare. Le opere di maggior rilievo sono: “Pastoral” 1520, la commedia senza titolo conosciuta come “Betìa” 1521 o 1524, “Anconitana” 1522 o 1529/30. 3. La commedia letteraria di Aretino e Bibbiena. Pietro Aretino oltre che letterato fu anche un importante autore teatrale e infatti, a partire dal 1534 pubblicò 5 commedie: il Marescalco, la Cortigiana, Lo ipocrito, Il filosofo, La talanta. Le prime due polemizzano contro l’ambiente della corte che viene dipinto come l’origine di tutti i mali e di tutti i vizzi: nella Cortigiana prende di mira la corte papale, mentre nel Marescalco tratta della crudeltà della vita della corte dei Gonzaga a Mantova. Anche il suo teatro è debitore sia dell’antica commedia classica che della nuova e si distingueva però per la carica di passione e di polemica che dimostravano l’umore dell’autore. Il punto forte del teatro aretiniano è costituito dai dialoghi, mirati a scandalizzare e a provocare il pubblico. Aretino è considerato dai critici un autore dell’anticlassicismo cinquecentesco: alle atmosfere sublimi del petrarchismo sostituisce la realtà dei rapporti fra sessi, al lirismo la concretezza della vita composizioni scanzonate e spesso volgari. Aretino usa la sua lingua madre, il volgare toscano vicino all’italiano letterario senza rispettare le regole di Pietro Bembo. Bernardo Dovizi detto “il Bibbiena”, dalla sua città natale è stato cardinale, diplomatico e drammaturgo. Scrisse infatti la commedia “La Calandra” ambientata nell’antica Roma, che vede protagonisti i due gemelli Lidio e Santilla separati da bambini, che dopo numerose peripezie riescono a rincontrarsi. L’intreccio comico e ironico, ricco di battute, attinge dalle commedie classiche di Plauto. I personaggi mancano però di personalità e di spessore psicologico, le alternano gioia a tristezza, ragione ad istinto. Uno dei maggiori poeti del Seicento italiano fu Giovanni Battista Marino. 8. La figura di Giovan Battista Marino. Cenni biografici e produzione letteraria. Il principale poeta della lirica barocca in Italia è Giambattista Marino. Nato a Napoli nel 1569, ebbe una vita movimentata. Le opere di Marino ebbero tra i contemporanei grande successo e molti poeti lo imitarono. La figura retorica prediletta dai poeti del Barocco è la metafora. I temi prediletti dalla lirica barocca sono l’amore, con una particolare insistenza sulla sensualità del corpo della donna, spesso rappresentato nelle sue parti separate: il seno, i capelli, il viso, le mani etc., la riflessione sulla fugacità del tempo e sulla morte, la rappresentazione fantastica della natura. Tra le sue opere più importanti vi furono La Lira (1608), Gli epitalami (1616), La galleria (1619), La sampogna (1620), ma il suo componimento più importante fu l’Adone, un poema mitologico di 20 canti in ottave di endecasillabi. 9. Descrivere il genere della lirica anticlassicista attraverso la figura di Berni. Tendenzialmente il '500 viene considerato come il secolo del classicismo ovvero un secolo basato sulla lettura e imitazione dei grandi scrittori dell'antichità greca e latina e dei grandi autori del '300 come Petrarca e Boccaccio. C'è però una parte importante del nostro Rinascimento che si allontana da questi modelli classici sia sotto il profilo dei temiche del linguaggio: è la componente “anticlassista” del 500. Uno degli autori più rappresentativi di questo filone è Francesco Berni. La prima prova letteraria di rilievo del Berni è il dramma rusticale "La Catrina". Tra il 1524 e il 1531 il poeta si dedica al rifacimento dell' "Orlando innamorato" di Boiardo; all'edizione del "Decameron" di Boccaccio e alla pubblicazione del trattato "Dialogo contro i poeti". Francesco Berni è senza dubbio l'iniziatore, il teorico e l'interprete del filone realistico della poesia del '500. Forma una vera scuola e diventa il creatore del cosiddetto "genere bernesco", a cui aderiscono diversi letterati del tempo, fra cui Annibal Caro e Angelo Bronzino. La posizione di Berni nei confronti della poesia classicista teorizzata dal Bembo risalta nella sua opera "Dialogo contro i poeti" del 1527, dove attacca direttamente l'elemento fondante del classicismo volgare ovvero il concetto di imitazione che considera "un furto letterario". 10. L’anticlassicismo di Teofilo Folengo: il Maccheronico. Nell'Italia del Cinquecento, in particolare nel nord della penisola, c'è una resistenza all'affermazione del classicismo. Sono esperienze tra di loro eterogenee che vengono riunite sotto il nome di anti-classicismo, invece di adeguarsi al toscano, scelgono la contaminazione tra linguaggi diversi, mescolando dialetto ed elementi provenienti da altre esperienze letterarie. Uno dei risultati più interessanti del plurilinguismo cinquecentesco è il maccheronico, che viene usato come lingua letteraria a Padova tra la fine del Quattrocento e la prima metà del XVI secolo. Il maccheronico utilizza la morfologia latina, ma costruisce le frasi secondo la grammatica volgare, inserendovi anche termini di origine dialettale. Il principale autore in lingua maccheronica è Teofilo Folengo. Le sue origini padane e mantovane influenzeranno il linguaggio che lo renderà celebre: il "macaronico", tratto dal dialetto mantovano. Con questo linguaggio scrisse il suo capolavoro, un poema diviso in 25 libri e composto utilizzando il metro latino dell'esametro, intitolato "Baldus", dal nome del protagonista, una rappresentazione farsesca del poema cavalleresco. Tale poema è inserito in una più vasta raccolta intitolata "Macaronee", una parodia dei generi letterari come il poema epico o l'egloga. Il macaronico di Folengo ci appare a prima vista come un latino imbastardito di volgare e di dialetto ma leggendo attentamente notiamo il rispetto ferreo della metrica latina (esametro) e l'uso di parole, volgari e dialettali, di aspetto latinizzato. Il meccanismo costruttivo nel macaronico risiede appunto nella mescolanza di elementi latini ed elementi dialettali o volgari formalmente trattati come fossero latini. 11. Dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata di Tasso. Durante la lunga detenzione all’ospedale di Sant’Anna, durata sette anni (dal 1579 al 1586), mentre la “Gerusalemme Liberata” veniva pubblicata del 1581 senza la sua autorizzazione e con un titolo non scelto dall’autore, Tasso pensava ad una radicale riforma della sua opera. Secondo Tasso, il suo poema non aveva ancora raggiunto una forma definitiva, infatti era stato lasciato incompleto nel 1577. Nel 1588, dopo esser ritornato alla libertà, Tasso iniziò a riscrivere completamente la “Gerusalemme” a Napoli. Questa nuova versione, a differenza della prima che era rivolta al duca Alfonso II d’Este, era dedicata al cardinale Clizio Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, protettore del poeta negli ultimi anni della sua vita. Tasso struttura i 20 canti della ‘Liberata’, in 24 libri nella ‘Conquistata’: il poeta richiama sia nel numero, sia nella definizione di ‘libri’, l’’Iliade’ di Omero. Nella "Conquistata" la dimensione umana dei protagonisti non ha senso in sé stessa in quanto l'unica storia possibile è quella legata al progetto divino. La fede ritrovata spinge Tasso ad intervenire anche sulla trama: nella "Conquistata" il Rinaldo della "Liberata" diventa Riccardo, non vince con il suo coraggio gli incantesimi della selva (come avveniva nella "Liberata") ma spazza via le illusioni infernali non con la spada ma con la croce. La "Gerusalemme conquistata" resta comunque un testo importante almeno per le nuove idee di poetica. 12. Descrivere il genere della lirica al Nord e al Sud nel ‘500 attraverso le figure di Luigi Tansillo e Celio Magno. Agli inizi del '500 la lirica classicista al sud Italia, in particolare a Napoli, risente dell'influenza del genere arcadico e bucolico di Sannazzaro: questo genere si impone come modello ai poeti della generazione successiva come BERNARDINO ROTA e principali autori del filone " petrarchesco " sono: Pietro Bembo, Giovanni della Casa, Michelangelo Buonarrotti, Vittoria Colonna e Gaspara Stampa. 17. La figura e l’opera di Battista Guarini. La figura di Battista Guarini si colloca nel periodo storico che vede la progressiva caduta delle Signorie italiane (seconda metà del '500) a favore delle grandi potenze imperiali e, di conseguenza, il mutamento della figura professionale del letterato di corte che perde il ruolo di celebratore delle dinastie italiane dominanti, riducendosi a contendere uno spazio e uno stipendio ai segretari di corte, il più delle volte personaggi di basso profilo. La sua produzione letteraria vede una raccolta di "Lettere" e di "Rime“. La principale attività dell'autore ferrarese è quella relativa alla produzione teatrale e il suo capolavoro "IL PASTOR FIDO" ( scritta in endecasillabi), assieme all'opera di Tasso "Aminta", segnano un nuovo stile teatrale: quello del dramma pastorale. Come per l'epica di Tasso anche per la letteratura teatrale di Guarini si sviluppò una vivace critica da parte dei seguaci dell'aristotelismo dell'Università di Padova. Guarini si difese con due scritti teorici " Il versato " e " Il versato secondo " sostenendo che la sua poesia non ha lo scopo primario di educare e non disturba l'uomo dalla sua funzione civile. 18. Quali sono le 3 tappe più significative (autori e opere) del romanzo epico cavalleresco a Ferrara? Nel Medioevo europeo nasce l’epopea cavalleresca, in quanto i protagonisti delle vicende sono cavalieri o comunque appartenenti alla nobiltà feudale. Questa epopea, che rappresenta le prime espressioni letterarie dei volgari neolatini e di altre lingue moderne, si ispirava ai nuovi valori del cristianesimo, primo fra tutti la difesa della fede, mescolati con i valori guerreschi della società feudale. Quando in Italia, sul finire del Quattrocento, il volgare, nobilitato nel secolo precedente da Dante, Petrarca e Boccaccio, poi trascurato dagli umanisti, cominciò a essere utilizzato di nuovo come lingua letteraria, la materia cavalleresca medievale si ripropose come oggetto di poesia d’arte, particolarmente nei circoli culturali presso la corte dei Medici a Firenze e presso la corte degli Estensi a Ferrara. Il Italia questo genere trova la sua massima espressione durante il Rinascimento, in una forma meno religiosa e più laico-borghese. L'esempio più eloquente è quello della figura del paladino Orlando, che da casto e severo, come nei poemi medievali, diventa addirittura pazzo d'amore. La strada fu aperta da Luigi Pulci, a Firenze, che compose Il Morgante. Dopo di lui Matteo Maria Boiardo, a Ferrara, con l’Orlando Innamorato. L’Orlando innamorato celebra un mondo feudale cavalleresco che non esiste più, ma i cui valori sono sentiti ancora vivi nella società cortese, e in particolare a Ferrara. Il genere epico raggiunse esiti di grandissimo valore poetico con Orlando furioso. Nel secondo Cinquecento la tradizione estense del poema cavalleresco ebbe un altro geniale interprete in Torquato Tasso, l’autore della Gerusalemme liberata, il poema che narra la conquista del Santo Sepolcro alla fine della prima Crociata. 19. Descrivere la Gerusalemme liberata di Tasso dal punto di vista contenutistico e formale. Si tratta di un poema dedicato alla prima crociata, ovvero alla spedizione con cui, tra il 1096 e il 1099, un esercito cristiano al comando di Goffredo di Buglione conquistò Gerusalemme e liberando così il sepolcro di Cristo dai musulmani. Tasso inizia a scrivere un testo intitolato "Gerusalemme", tuttavia l'impresa risulta subito sproporzionata rispetto alle capacità del giovane che ben presto abbandona la composizione. L'opera viene ripresa negli anni padovani (1564-1565) e terminata a Ferrara nel 1575. Il poema venne fatto leggere al duca Alfonso II d'Este (era dedicato a lui) che rimase entusiasta e pretese la pubblicazione immediata ma il Tasso era contrario in quanto insoddisfatto dell'opera che riteneva incompleta e non corretta. Il poeta poi viveva una profonda crisi nervosa che gli causavano attacchi continui e pericolosi tanto da obbligare il duca Alfonso a farlo recludere. Intanto iniziano a diffondersi un numero elevato di edizioni clandestine non approvate dall'autore. Nel 1581 esce la prima edizione integrale della "GERUSALEMME LIBERATA", titolo non deciso da Tasso. l poeta era contrarissimo sia alla pubblicazione, tanto che meditò e realizzò la riscrittura dell'opera che pubblico a Roma nel 1593 con il titolo "Gerusalemme conquistata“. La "Gerusalemme Liberata" intanto andava incontro ad un successo strepitoso tanto da essere considerata un capolavoro letterario. L'intero svolgersi delle vicende della "Gerusalemme liberata" si fonda su una continua antitesi dialettica tra elementi opposti : l'eroismo e la vigliaccheria, l'amore e la morte, la felicità e la tragedia, il piacere e il dolore. Lo stile è magnifico, la lingua aspra e difficile, piena di arcaismi e di latinismi. 20. La figura di Tasso. Cenni biografici e produzione letteraria. Torquato Tasso può essere considerato il primo poeta italiano moderno. La sua figura di intellettuale inquieto e melanconico, circondato dal mito della sua follia, affascinò grandi poeti come Leopardi e Goethe che videro in lui non solo un grande artista ma anche un genio incompreso della sua epoca. Le principali opere sono di tasso:LE LETTERE FAMILIARI, stampate contro il suo valore, LE RIME, inventa il "madrigale moderno", un metro poetico più libero rispetto a quello del Petrarca, AMINTA un dramma pastorale in 5 atti, I DISCORSI DELL' ARTE POETICA, I DISCORSI DELL' ARTE POETICA, LA GERUSALEMME LIBERATA, l'opera principale e più conosciuta del Tasso. 21. Descrivere l’Orlando furioso di Ariosto dal punto di vista contenutistico e formale. che, per otto anni, lo aveva accolto alla sua corte. Il poeta ha sempre rivendicato le grandi dimensioni del suo poema perché mirava a stupire i suoi lettori per la raffinatezza e l'eleganza dello stile. La trama: per vendicarsi di sua madre Venere, che l'aveva picchiato, Amore la fa innamorare di Adone, un cacciatore di straordinaria bellezza. Marte, lo storico amante di Venere, scopre la relazione e, indignato, decide di uccidere Adone. Venere, temendo la vendetta di Marte, decide di allontanarsi per un certo periodo da Adone e, al momento di salutarlo, gli proibisce di andare a caccia. Adone però non ascolta Venere e così, durante una caccia, s'imbatte con un cinghiale che, reso furioso da Marte, lo assale e lo uccide. A Venere non resta che piangere il suo amato e celebrargli degli splendidi funerali. La narrazione è debole e quasi assente come se la storia di Adone fosse secondaria mentre risaltano le lodi e gli elogi alle famiglie aristocratiche italiane e ai reali di Francia. Questo poema è una specie di enciclopedia o di museo ricco dei più svariati personaggi e storie. Viene considerato comunque il capolavoro della letteratura barocca per il suo stile ricco e musicale e il linguaggio raffinato. 25. La figura di Alfieri. Cenni biografici e produzione letteraria. Vittorio Alfieri (1749-1803) nasce ad Asti da una delle più ricche e antiche famiglie dell'aristocrazia piemontese. Nel 1758 entra nell'Accademia reale di Torino, una scuola militare, dove apprende i primi insegnamenti di grammatica, retorica, filosofia e leggi: sono anni di grande solitudine che formano in lui un carattere propenso all'individualismo, alla ribellione e all'insofferenza per ogni tipo di gerarchia. Tra il 1774-1775 scrive una tragedia "Antonio e Cleopatra" che lo rende famoso. In lui si sviluppa l'esigenza di perfezionare la sua cultura letteraria e pertanto studia i classici italiani (Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso) e quelli latini (Sallustio, Seneca e Livio). La vita e l'opera di Alfieri possono essere lette come un lungo conflitto tra l'idea di libertà e l'idea di costrizione: nella tragedia trova il genere letterario più adatto ad esprimere questo aspetto e, per lui, un letterato deve essere necessariamente libero e non scende a patti con il potere. Quasi tutto, nell'opera di Alfieri, è autobiografico. Alfieri è celebre soprattutto come autore di teatro tanto da essere considerato il principale autore tragico italiano fino all'800. Alfieri scrive la gran parte delle sue tragedie (ne ha scritto 19) tra il 1775 e il 1782, composte in 5 atti in endecasillabi sciolti e rispettose del principio aristotelico delle "tre unità": di tempo, di luogo e di azione. Gli scritti politici di Alfieri sono caratterizzati da due idee fondamentali: il rifiuto dei sistemi politici basati sul potere assoluto e la necessità per l'uomo di esercitare la propria libertà contro il potere tirannico. Le principali opere di Alfieri sono le seguenti. GLI SCRITTI POLITICI: "DELLA TIRANNIDE", in due libri sul potere assoluto e "DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE", in tre libri sul rapporto tra gli intellettuali e il potere politico. LE TRAGEDIE: le più affermate sono "ANTIGONE", che mette in scena il conflitto fra Antigone e Creonte ovvero il contrasto tra la legge e il dovere morale; "SAUL", dove narra l'ultima giornata di vita di Saul, vecchio re di Israele; "MIRRA", dove parla della passione incestuosa di Mirra per il padre Ciniro, re di Cipro; "ANTONIO E CLEOPATRA", la più celebre; ed altre minori : "FILIPPO", implacabile re spagnolo che sgozza moglie e figlio; "POLINICE"; "AGAMENNONE"; "ORESTE" e "MEROPE". "VITA DI VITTORIO ALFIERI DA ASTI SCRITTA DA ESSO", è la più interessante autobiografia italiana del '700, dove racconta la sua vocazione poetica e precorre l'ideale romantico della costruzione della personalità. 26. La prosa di argomento morale nel ‘600. Si citi almeno un autore. La prosa morale è un tipo di letteratura che non si rivolge più a principi e cortigiani come aveva fatto finora lo stesso genere di letteratura. Nel ‘600, invece, i riceventi di questa letteratura sono i sacerdoti e le persone che non sono mossi da ideali eroici, ma devono vivere con prudenza e ipocrisia. Lo scrittore di rilievo di questa corrente è Torquato Accetto, che con il breve trattato “Della dissimulazione onesta” (1641) diede e giustificò una leggera diversificazione fra dissimulazione da una parte e ipocrisia e bugia dall’altra. 27. L’opera di Giannone e Genovesi in rapporto alla produzione di Vico. Anche in Italia, a cavallo tra il '600 e il '700, prese avvio l'impegno del superamento della tradizione culturale dominata dall'Autorità ecclesiastica che in altre parti d'Europa era iniziato da qualche decennio: infatti in Italia la presenza della Chiesa, con le sue strutture educative e i suoi apparati di controllo e di censura, non permetteva quella libertà intellettuale garantita altrove. In questo scenario una figura centrale e quella di Pietro Giannone (1676-1748) che, nelle sue opere "Istoria civile del Regno di Napoli" e "Triregno", attraverso un'indagine tesa a dimostrare il carattere storico e non divino della figura di Cristo metteva in discussione i fondamenti stessi del potere ecclesiastico. Le opere ebbero molto successo e furono tradotte nelle principali lingue europee ma la reazione dell'Autorità ecclesiastica fu severissima: Giannone fu scomunicato e costretto a lasciare Napoli per Vienna, dove restò per dieci anni; al suo rientro in Italia fu catturato e segregato nelle prigioni piemontesi fino alla morte. Analoga diffidenza da parte dell'Autorità ecclesiastica la ebbe l'accademico napoletano Antonio Genovesi, la cui opera più importante è "Le lezioni di commercio o sia di economia civile”. Una posizione completamente opposta al Giannone e al Genovesi, ma in generale al movimento dell'Illuminismo europeo, la ebbe Giambattista Vico. I suoi modelli di riferimento sono Tacito, Platone e Bacone mentre si oppone ai concetti filosofici di Spinoza, Cartesio e alle teorie scientifiche di Newton. Secondo Vico l'uomo, oltre che di ragione, è fatto di fantasia e di sentimenti che non si possono dimostrare in modo razionale e perciò sono fondamentali per l'uomo l'oratoria, la retorica, la poesia e la storia che non si fondano su verità geometriche ma sul verosimile. Secondo Vico la storia umana è fatta di cicli e bisogna tener conto della "Provvidenza divina" che governa i corsi e i ricorsi storici delle nazioni. Il concetto di "provvidenza divina" allontana il Vico dalle spengono con la ginestra, invitando gli uomini a compiere una lotta titanica contro la natura denunciandone l’essenza maligna, tale lotta avrà fine solo con l’irrimediabile morte dell’uomo. 31. La figura di Leopardi. Cenni biografici e produzione letteraria Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati da una famiglia di nobile origine, ma economicamente dissestata. Il poeta studiò con il padre e con due precettori, ma molto precocemente continuò da solo e trascorse sette anni di studio “matto e disperatissimo” nella biblioteca del padre dove si formò un vasto bagaglio culturale rovinandosi la salute. Il poeta si convertì dalla religione cattolica, alla quale era stato educato fin da piccolo, all’ateismo e al materialismo illuministico. In questi anni cambiarono anche le sue idee politiche: da quelle reazionarie del padre a quelle democratiche e patriottiche, assecondate dall’amico Pietro Giordani. Le sofferenze per l’arretratezza culturale dell’ambiente di Recanati. lo portarono al tentativo di fuga. Nel 1822, ottenne il permesso di recarsi a Roma, dalla quale fece ritorno profondamente deluso per la meschinità degli uomini e per la frivolezza delle donne. Leopardi considerava la poesia un’isola felice nel mare dal dolore al quale è portato l’uomo. Tra la sue opere più importanti troviamo: lo Zibaldone: una raccolta di appunti e riflessioni scritte giornalmente in prosa dal 1817 al 1832. Da queste annotazioni prese spunto per molti dei suoi Canti, i Pensieri: possono considerarsi una ripresa più completa dello Zibaldone in quanto raccolgono a pieno le idee pessimistiche che caratterizzarono la vita di Leopardi. Vennero pubblicati da Antonio Ranieri dopo la morte dell’amico, l’Epistolario: composto di circa 900 lettere è considerato uno dei più belli capolavori dell’intera letteratura italiana per l’intensità dei sentimenti e la limpidezza espressiva, le Operette morali: una raccolta di 24 componimenti risalenti al 1824, dei quali circa 17 sono dialogati.. Vennero pubblicate nel 1829, “I Canti”, l’unica raccolta, fra quelle elencate, non di prosa, è una raccolta di quarantuno liriche varie per quanto riguarda i temi. Alcune sono di carattere filosofico, altre d’amore, altre ancora per la patria. Leopardi iniziò a scriverli nel 1818 e continuò fino a qualche giorno prima della sua morte, quindi continuò a scriverli durante i suoi viaggi da una città all’altra. Ricordiamo fra le liriche più celebri: “All’Italia”, “ A un vincitore nel pallone”, “Ultimo canto di Saffo, “Il passero solitario”, “L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il sabato del villaggio”, “La ginestra o Il fiore del deserto”. 32. Quali sono le caratteristiche principali della poesia di Foscolo? Ugo Foscolo è stato un poeta, scrittore e traduttore, uno dei massimi esponenti del Neoclassicismo e del Preromanticismo. Ugo Foscolo aderì alle teorie illuministiche del materialismo e del meccanicismo. Se da un certo punto di vista queste teorie creavano nella mente del poeta un quadro sereno, in quanto capaci di allontanare le superstizioni, da un'altra ottica crearono in lui una sorta di angoscia relativa al "nulla eterno" del dopo la morte. Non essendo religioso, tali teorie per lui significavano che dopo la morte lo attendeva una sorta di oblio eterno. Tutto ciò comporta un certo grado di pessimismo e di ansia relativa all'eternità che donano alle sue opere un forte tono drammatico. Altre fonti di ispirazioni di Ugo Foscolo furono Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri. Cercando di rimanere fedele al suo razionalismo, Ugo Foscolo sentì comunque la necessità di avere alcuni valori spirituali ed ecco che creò una sua religione delle illusioni, una sorta di fede personale. Ecco dunque che nelle sue opere cercò di celebrare temi e valori che fanno parte intrinsecamente dell'uomo e che non possono essere estirpati: la patria (intesa sia come l'Italia che come Zante), l'amore, la poesia, la libertà, la bellezza, l'arte, il piacere della vita e le imprese nobili. Questa sua filosofia trova una sua espressione simbolica nel Sepolcro che assume di volta in volta il significato di legame affettivo, civiltà, esempio per i compatrioti, eternità, monumento inutile per chi è morto, ma utile strumento per i vivi. 33. La figura di Foscolo. Cenni biografici e produzione letteraria. Niccolò Ugo Foscolo nasce a Zante, un’isola greca nel mar Ionio al cui ricordo dedicherà il sonetto A Zacinto. Dopo la morte del padre Foscolo e la madre nel 1792 si spostano a Venezia, dove il giovane Ugo frequenta la scuola di San Cipriano a Murano e la Biblioteca Marciana, entrando in contatto con alcuni importanti intellettuali e letterati del tempo, tra cui Melchiorre Cesarotti e Ippolito Pindemonte, oltre a Isabella Teotochi Albrizzi, di cui il poeta si innamora. In questi anni Foscolo inizia la propria formazione poetica, con la lettura dei classici greci, latini (in particolare Tibullo, Ovidio e Orazio) e italiani (tra cui Dante, Parini, Alfieri, oltre a Vincenzo Monti) e la scoperta del pensiero degli illuministi e di Jean-Jacques Rousseau. Sotto l’influsso delle idee giacobine, Foscolo si avvicina anche alla politica, coltivando gli ideali di libertà e indipendenza nazionale. Tutto ciò confluisce nei primi testi letterari, ancora influenzati dal Classicismo e dall’Arcadia. Nel 1799 esce la prima edizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, contrarie alla volontà dell’autore, sempre in quell’anno Foscolo ripubblica l’ode A Bonaparte liberatore. Nel 1802 Foscolo porta a termine le Ultime lettere di Jacopo Ortis e nel 1803 pubblica l’edizione delle Poesie, in cui confluiscono le due odi e i sonetti scritti in questi anni, tra cui anche quelli più celebri (il sonetto-autoritratto Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni. dell’Ortis di Foscolo. I generi letterari maggiormente utilizzati risulteranno essere, appunto, il romanzo epistolare, visto come esigenza di scavo psicologico, la biografia (per lo stesso motivo) e la poesia “cimiteriale”, in particolar modo in Inghilterra. 36. La figura di Parini. Cenni biografici e produzione letteraria. Giuseppe Parini (il cui cognome originario è Parino) nasce il 23 maggio 1729 nel paese di Bosisio (attualmente in provincia di Lecco) in una famiglia della piccola borghesia brianzola dedita al commercio della seta. Le difficili condizioni economiche imporrebbero a Giuseppe l’interruzione degli studi dopo le classi elementari, frequentate dal parroco di paese, ma una zia agiata offre il proprio aiuto, a condizione che il ragazzo prosegua gli studi religiosi, fino all’ordinazione a sacerdote, che arriverà nel 1754. Nel 1753, Parini viene ammesso all’Accademia dei Trasformati di Milano, istituzione patrocinata dalla famiglia nobile degli Imbonati che riunisce aristocratici ed ecclesiastici e che si propone di collegare i modelli poetici della tradizione con i problemi contemporanei della città lombarda: ne fanno parte, tra gli altri, Pietro Verri (1728-1797), Giuseppe Baretti (1719-1789) e Cesare Beccaria (1738-1794). In questi stessi anni, dal 1754 al 1762, Parini è precettore presso i duchi Serbelloni. Qui Parini ha modo sia di venire in contatto con la cultura dell’Illuminismo francese (da Voltaire a Rousseau e Montesquieu fino all'Encyclopédie) sia di osservare da vicino usi e costumi della nobiltà, che poi costituiranno gran parte del materiale del suo poema più celebre, Il Giorno. In questa fase, Parini compone le prime odi (La vita rustica, rimasta a lungo inedita è del 1757; La salubrità dell’aria del 1759), si dedica a opere satiriche (Il dialogo sopra la nobiltà, sempre del 1757) o di polemica linguistica. Nel 1762 in seguito ad un contrasto con la famiglia Serbelloni, Parini viene licenziato e l’anno successivo pubblica Il Mattino, prima parte del Giorno. Diventa poi precettore di Carlo Imbonati (1753-1805), cui Parini dedica l’ode L’educazione nel 1764. L’anno successivo viene pubblicato Il Mezzogiorno. Se il consenso critico attorno ai primi due poemetti pariniani è quasi unanime, il periodo successivo è quasi interamente dedicata alle professioni intellettuali: Parini è prima nominato direttore dell’importante «Gazzetta di Milano» (1768-1769) poi è docente di Belle Lettere (cioè, di letteratura italiana) prima alla Scuole Palatine di Milano poi al Ginnasio di Brera. Inserito nell’Accademia dell’Arcadia di Roma nel 1777 (Parini sceglie lo pseudonimo di Darisbo Elidonio), Parini lavora alle sezioni rimaste incompiute de Il Giorno, cioè Il Vespro e La Notte, ma si dedica soprattutto alla stesura delle Odi (tra cui La caduta), la cui prima edizione è del 1791 (l’edizione completa delle Opere sarà pubblicata tra 1801 e 1804). Parini si spegne a Milano nell’agosto del 1799, pochi mesi dopo la fine del triennio giacobino e il ritorno delle truppe austriache in città. Se le prime esperienze poetiche di Parini risentono del clima dell’Arcadia (una poesia di gusto formale, e lontana da un diretto contatto con la realtà), la produzione della maturità, a partire dal Mattino, si caratterizza per la vicinanza alle idee e ai principi dell’Illuminismo lombardo, con i cui esponenti il poeta entra in contatto già all’Accademia dei Trasformati e da cui recupera l’idea della funzione pedagogica della letteratura e dell’arte, come si può vedere già nel Dialogo sopra la nobiltà, un’operetta comica che mette in scena due morti, un poeta plebeo e un nobile, sottolineando i pregiudizi del secondo ma, al tempo stesso, la possibilità di un suo cambiamento. Il progetto di Parini, che si realizza nelle parti completate de Il Giorno così come nelle Odi, è allora quello di una poesia civile, che “si impegni” attivamente nel sottolineare o nel denunciare difetti e corruzioni della società, con un occhio di riguardo per i comportamenti della classe dirigente (aristocratica o alto borghese), che ha le maggiori responsabilità in merito alla vita di tutta la cittadinanza (come si vede nelle odi La salubrità dell’aria o L’innesto del vaiuolo). Il tono della poesia di Parini va così dai toni più letterari delle Poesie di Ripano Eupilino, in cui figurano temi amorosi, pastorali o anche giocosi, fino a quelli ironico-satirici del Giorno (si pensi all’episodio della “vergine cuccia”), dove le speranza di modificare la situazione sembra affievolirsi. Dal punto di vista stilistico, Parini aderisce ai principi del Neoclassicismo (come si vede soprattutto nell’ode Per l’Inclita Nice), intendendo la forma dei suoi testi come lo strumento principale per proporre un ideale di ordine e misura, in linea con il contenuto morale di equilibrio e dignità della sua poesia. In questo senso, Parini rimarrà per buona parte degli autori ottocenteschi un modello etico e stilistico di riferimento. 37. Descrivere il movimento dell’Illuminismo. L’illuminismo è un’epoca culturale che travolse gran parte dell’Europa dal 1688 (data della rivoluzione inglese) al 1789 (anno della rivoluzione francese). Il movimento illuminista si propagò in tutta Europa dalla Francia, il Paese europeo nel quale la corrente culturale in questione veniva espressa e maggiormente sostenuta dall’elite culturale. Tuttavia, il movimento illuminista è grandemente debitore al pensiero empirista-liberale inglese, i cui massimi esponenti furono John Locke e David Hume. L’illuminismo è il movimento culturale di riscatto dell’uomo e della ragione da uno stato di minorità, come disse Kant. La ragione, la conoscenza, in particolare il sapere scientifico, l’ottimismo nel progresso sociale erano i fondamenti di questa cultura così universale e positiva. I principali esponenti dell’illuminismo furono Voltaire, Diderot, Kant, D’Alembert, Herder. Tutti gli illuministi preferirono, in genere, uno stile rigoroso e scientifico, talvolta ironico e sarcastico, a seconda di cosa dovevano esprimere e chi dovevano colpire e il pubblico di riferimento. Le forme linguistiche di espressione potevano variare, dal phamphlet (scritto di carattere polemico o satirico) al romanzo filosofico. In Italia, l’illuminismo si diffuse soprattutto a Napoli e Milano, 38. La figura e l’opera di Muratori. Ludovico Antonio Muratori nacque a Vignola (Modena) il 21 ottobre 1672 da una famiglia di contadini. A Modena studiò «grammatica e umanità» presso un collegio gestito dai Gesuiti e successivamente si laureò in filosofia e Diritto all’Università. La riforma teatrale di Goldoni è una riforma tecnica, cioè riguarda gli aspetti pratici del teatro, in particolare la messa in scena. Goldoni si rende conto del fatto che il teatro in prosa del suo tempo versa in condizioni difficoltose, in particolare la commedia. I canovacci della commedia dell’arte inoltre erano volgari e licenziosi: secondo Goldoni invece la commedia deve non solo divertire il pubblico, ma anche istruirlo e moralizzarlo, correggendo i vizi mettendo in ridicolo i cattivi costumi. Per tal motivo, Goldoni sostituisce i canovacci con parti completamente scritte che l’attore deve imparare a memoria e rinuncia alle maschere che gli attori indossavano in scena, in quanto i personaggi che interpretavano nella commedia dell’arte erano solo tipi fissi e privi di espressione. Goldoni capisce che è possibile divertire anche senza maschere, ma con personaggi vari e trame diverse e avvincenti. Queste idee iniziano ad affermarsi, anche se incontrano critiche da parte di commediografi, di attori e dello stesso pubblico. Goldoni però non si arrende, anzi arricchisce sempre di più le sue trame e le complica. Realizza allora due tipologie di commedia: la commedia di carattere, incentrata sulla psicologia di un personaggio e la commedia di ambiente, che si concentra sullo studio di un’intera comunità, descritta in modo verosimile e realistico. In particolare, Goldoni si rende conto che una commedia non può parlare solo di aristocratici, ma anche della vita delle persone umili, del popolo. 41. La figura di Goldoni. Cenni biografici e produzione letteraria. Carlo Goldoni nasce il 25 febbraio 1707 a Venezia, da Giulio e da Margherita Salviani. A nove anni raggiunge il padre medico, a Perugia e qui inizia gli studi presso i Gesuiti. Dal ‘23 al ’25 è allievo del Collegio Ghilisieri di Pavia e frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma a causa di una violenta satira, «Il Colosso», diretta contro le famiglie della nobiltà pavese, è costretto ad abbandonare la città. Nel ’31, la morte improvvisa del padre lo obbliga a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in legge a Padova. . Nel ’36 sposa a Genova Nicoletta Conio. E’ solo nel ’38 che Goldoni si dedica alla commedia e scrive Momolo Cortesan, in cui la parte del protagonista era scritta quasi per intero, dando così inizio alla «riforma tecnica» che lo condurrà in seguito ad abbandonare per sempre l’improvvisazione della Commedia dell’Arte. Nel ’47 conosce Gerolamo Medebach, che a Venezia teneva Compagnia a Sant’Angelo, e inizia a collaborare con lui. In questo periodo nascono: La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama. Nel ’50 scommette col pubblico di sfornare 16 commedie in un solo anno, promessa che manterrà, dando vita tra le altre, a La bottega del caffè, Il bugiardo e Pamela. Nel ’53 nasce La locandiera, proprio al termine del periodo che lo vede al fianco di Medebach. Nel periodo successivo assume un impegno di 10 anni con il teatro SanLuca e qui mette in scena alcuni capolavori come Il campiello, I rusteghi, La trilogia della villeggiatura, Le baruffe chiozzotte. Alcuni insuccessi e l’ormai irriducibile disputa con Gozzi, convincono il commediografo ad abbandonare Venezia e raggiungere Parigi, invitato dal Tèâtre-Italien, per il quale però dovrà riprendere a scrivere «a soggetto». Nel novembre del ’71 il Bourru bienfaisant viene rappresentato alla Comédie Italienne, e suscita l’ammirazione di Voltaire. Sempre a Parigi scrive, in francese, le sue Memorie, iniziate nell’84 e pubblicate nell’87. Luigi XV gli accorda una modesta pensione annua, che però gli sarà tolta nel ’92, in piena Rivoluzione. Muore quasi in miseria a Parigi, nel 1793. Usando termini moderni, si potrebbe affermare che Goldoni è un conservatore incline al progressismo. Dotato di cultura non vastissima, ma di ingegno raffinato e di grande buonsenso e amore per la vita, si connota come letterato investito del compito di traghettare il suo pubblico da un momento storico e culturale ad un altro, per mezzo, soprattutto, di quella «riforma» che si attua con un graduale abbandono della Commedia dell’Arte. Tale processo di rinnovamento avviene con la progressiva eliminazione di tutti gli elementi fantastici e inverosimili (le maschere, i lazzi, gli zanni o servi) e dell’improvvisazione, la quale sarà sostituita da una completa scrittura delle parti degli attori. La «riforma», aldilà dell’aspetto tecnico, pure fondamentale, si presenta anche come riforma ideologica, infatti i personaggi goldoniani, durante il corso della sua produzione artistica, diventano sempre più realistici, le storie più verosimili, e la borghesia rappresentata in scena prende il sopravvento (così come nella vita reale) sulla ormai irrequieta e vacillante aristocrazia. A fianco del rinnovamento tecnico e di quello ideologico, nelle commedie di Goldoni, si realizza anche un cambiamento linguistico, spesso criticato e discusso: egli infatti passa con gradualità, dal plurilinguismo al monolinguismo, riscrivendo talvolta le sue commedie in «toscano», che però fu considerato troppo scolastico, convenzionale e non appartenente alla lingua viva. 42. La figura e l’opera di Pietro Metastasio. La figura e l'opera di Pietro Metastasio sono indissolubilmente legate al genere del melodramma, cui l'autore contribuì con una fortunata riforma. Il melodramma unisce poesia e musica ed è comunemente ritenuto una forma minore della letteratura, poiché spesso, per non dire sempre, i testi sono facili e cantabili, pensati per catturare l'attenzione del pubblico e quindi anche molto ripetitivi e stereotipati nell'espressione dei sentimenti. Il melodramma ebbe un successo straordinario e riusciva a raggiungere molte più persone rispetto al poema epico o anche semplicemente alla poesia, per questo motivo il melodramma contribuì in modo molto più decisivo alla formazione di una lingua nazionale, diffondendo una base linguistica comune su strati più ampi della popolazione rispetto alle altre forme scritte. Nel Seicento, in particolare, il melodramma fu terreno di riflessione per una riforma del genere, che doveva seguire due binari: da un lato una maggiore dignità del testo, che portò alla creazione del libretto come genere a sé stante e dotato di dignità letteraria, seppure non riconosciuta seriamente dagli intellettuali per così dire "alti; dall'altro, l'idea di inserire nella trama anche temi eroici, derivati soprattutto dalla contemporanea fortuna in Francia dell'opera di Racine. In questo dibattito, Metastasio comprende la natura di genere popolare del melodramma e non ha paura di nasconderla. La sua scrittura è interessata e curiosa per le passioni creature del bosco. L’intreccio della favola pastorale riguarda un amore contrastato che però si risolve felicemente. 45. Descrivere il movimento legato all’Accademia d’Arcadia. Alla fine del Seicento l’Italia diventa teatro di un massiccio lavoro culturale di ricezione e divulgazione dei nuovi indirizzi filosofici e scientifici, sia locali che europei. Una nuova corrente di pensiero rifiuta dogmi e autoritarismi tradizionali in favore di un ripensamento generale della figura dell’intellettuale, in particolar modo alla luce delle opere di Galileo Galilei, Cartesio e Spinoza. A Napoli nasce l’Accademia degli Investiganti, fondata nel 1650 da Tommaso Cornelio (1614-1684), principale fautore della diffusione del pensiero cartesiano in Italia, i cui membri più illustri furono Giambattista Vico e Pietro Giannone. All’interno del gruppo l’indagine filosofico-scientifica viene presto affiancata da quella letteraria, che vede da un lato un generale rifiuto del Barocco e che dall’altro recupera, in ottica classicista, il modello di Petrarca e del Canzoniere, inteso come un modello di ordine, razionalità e chiarezza, che diventano le parole d’ordine dell’espressione letteraria. A caratterizzare questa evoluzione del gusto e della pratica letterarie è anche una considerevole attività teorica, che sviluppa le premesse ideologiche che anticipano la costituzione dell’Accademia dell’Arcadia. Propedeutica alla nascita dell’Accademia degli Arcadi, è la fondazione a Roma nel 1674 dell’Accademia Reale, per volere di Cristina di Svezia (1628-1689), letterata, mecenate e protettrice della cultura. Alla morte della sua ispirtatrice nel 1689, l’Accademia Reale si scioglie, per ricostituirsi sotto le forma di Accademia degli Arcadi (Arcadia) il 5 ottobre del 1690 a Roma. L’atto costitutivo viene stipulato da quattordici letterati tra cui Gravina, Crescimbeni, Scipione Maffei, e il medico Francesco Redi. Il gruppo affonda le radici della sua poetica nelle opere della classicità greca e latina e si riferisce direttamente all’Arcadia di Iacopo Sannazaro (1458-1530), di cui mutua le tematiche strettamente correlate alla poesia pastorale. L’Accademia presenta degli aspetti istituzionali ben definiti, che sono attentamente codificati all’interno dello statuto, in latino, che regola la vita degli Arcadi sin dal 1696. Ben presto tuttavia l’omogeneità del mondo arcade si incrina per l’opposizione tra due diverse linee di poetica, l’una riconducibile a Gian Vincenzo Gravina, l’altra a Giovanni Crescimbeni. Il primo si fa promotore di un’idea di poesia come fonte di radicale rinnovamento culturale ed esistenziale. Questa funzione della poesia, che per Gravina deve avere una ricaduta pratica anche sulla vita quotidiana e non esaurirsi negli sterili giochi formali dei “pastori”, ha come proprio modelli di riferimento Omero e i classi greci. Dietro alle idee di Gravina c’è dunque un modello di cultura di ispirazione razionale e di impegno civile, che, più avanti, avrà in Pietro Metastasio un esempio di riferimento. All’opposto, le posizioni di Crescimbeni sono più moderate, ed impostate ad un classicismo più di forma che di sostanza: Crescimbeni predica la moderazione degli eccessi del barocco con l’eleganza della forma, che ha precedenza sul contenuto, secondo la lezione del petrarchismo. All’approccio didascalico e civile, Crescimbeni preferisce le tematiche d’evasione idillico-pastorale. Il confronto tra Crescimbeni e Gravina porta addirittura alla scissione dell’Accademia, che nel 1711 vede l’abbandono di Gravina e la nascita dell’Accademia dei Quirini. Nel 1718, alla morte di Gravina, i Quirini riconfluiranno comunque all’interno dell’Accademia di Arcadia. 46. La prosa di viaggio nel ‘600. Autori e opere. Nel Seicento, oltre al romanzo e la fiaba, si sparse un settore letterario più realistico, ricco di spunti narrativi, la letteratura di viaggio. Sicuramente il più rappresentativo racconto di viaggio pubblicato in questo periodo sono i Ragionamenti sopra le cose da lui vedute ne’ suoi viaggi del mercante fiorentino Francesco Carletti (c. 1573- 1636). I "Ragionamenti" di questo mercante fiorentino documentano una esperienza unica e straordinaria nell'universo sempre più chiuso dei grandi imperi coloniali iberici tra Cinque e Seicento: un giro del mondo (il primo della storia: 1594-1606) compiuto senza incarichi ufficiali, ma con mezzi propri, secondo la logica pragmatica e utilitaria della convenienza mercantile. Dalle Indie occidentali alle Filippine, al Giappone, alla Cina, all'India, la distaccata disinvoltura del resoconto, in equilibrio tra romanzo e relazione, è un esempio irripetibile di autonomia di giudizio, di esattezza informativa, di contenuta ironia. E oltre tutto il Carletti pare anche divertirsi, trovarsi a proprio agio nei luoghi più estranei e diversi, senza cadere negli arcaici luoghi comuni del meraviglioso esotico, ma liberando una multiforme curiosità lontana da pregiudizi eurocentrici. I "Ragionamenti", nati per l'utile, per servire a nuovi commerci e nuovi viaggi, rispecchiano con disponibilità e discrezione un intero universo, in un linguaggio esatto, privo di compiacimenti letterari, davvero scientifico. 47. Descrivere la nascita del genere del romanzo e le sue varie declinazioni tra ‘600 e ‘700. Nel Seicento e nel Settecento il romanzo acquista chiaramente la forma di un genere a parte. Furono pubblicati in Italia fra il 1600 e il 1699 circa 180 romanzi. La produzione aumento negli anni ’30 del Seicento, ed ebbe un culmine negli anni ’40 e ’50, per arrestarsi negli anni ’60. Il romanzo italiano si diffuse a livello europeo, come testimoniano le molteplici traduzioni. I romanzieri sono sottoposti all’approvazione di un vasto pubblico e riflettono quindi consapevolmente le idee e i gusti generalmente abbracciati, una tendenza consona ai principi del Barocco italiano: l’approvazione del lettore, non l’adesione a una serie di valori estetici astratti, comporta il successo degli sforzi dei letterati. I due gruppi dominanti all’interno del genere romanzo sono quelli che possiamo definire eroico-galante ed eroico-religioso. Il romanzo eroico galante ebbe il suo apice fu tra il 1620 e il 1660. Il esce un ritratto preciso e vivo della società cinquecentesca colta nei suoi aspetti più spontanei e genuini. 51. La figura di Boccaccio. Cenni biografici e produzione letteraria. Giovanni Boccaccio nasce tra nel 1313, a Firenze o a Certaldo in Valdelsa, figlio illegittimo del ricco mercante, dipendente e poi socio del Banco dei Bardi, Boccaccino di Chellino. Dopo aver ricevuto i fondamentali insegnamenti grammaticali e letterari, verso il 1327-'28 viene mandato dal padre a far pratica bancaria a Napoli, nella succursale dei Bardi: la compagnia fiorentina che insieme ai Peruzzi e agli Acciaiuoli detiene il monopolio delle imprese finanziarie del Regno di Roberto d'Angiò. Questo apprendistato mercantile e bancario si rivela un totale fallimento. Per sei anni non fa altro che sprecare tempo in un'attività per lui odiosa; sempre per volontà paterna ripiega sul diritto canonico, frequentando le lezioni di Cino da Pistoia (noto maestro di diritto e famoso rimatore stilnovista, amico di Dante e Petrarca), ma vi perde circa altri sei anni. Così finalmente abbandona gli studi ingrati, e da autodidatta, leggendo sia i classici sia la contemporanea produzione romanzesca cortese, si dedica interamente e avidamente alla poesia. La sua formazione intellettuale e umana si compie dunque nel più importante centro culturale italiano: lo Studio (Università) napoletano. Questo vivace mondo culturale, l'aristocratica, elegante società della corte, gli svaghi, i diletti e gli amori di questi anni spensierati e felici si intravedono nella sua prima produzione letteraria, ispirata dall'amore per la leggendaria Maria dei conti D'Aquino, figlia illegittima del re Roberto d'Angiò: le Rime, la Caccia di Diana, il Filostrato, il Filocolo, il Teseida (terminato poi a Firenze). Nel 1340-'41, in seguito al fallimento della Compagnia dei Bardi, richiamato dal padre torna a Firenze a una vita di ristrettezze economiche. Compone la Commedia delle Ninfe Fiorentine (1341-'42), l'Amorosa visione (1342), l'Elegia di madonna Fiammetta (1343-'44), piena di rimpianto per il mondo napoletano, ed infine il Ninfale fiesolano (1344-46). Soggiorna a Ravenna e successivamente a Forlì per poi rientrare a Firenze, nel 1348 assiste agli orrori e alla tragedia della peste (durante la quale perde il padre), poi rievocata nell'opera che rappresenta il culmine della sua esperienza creativa, il Decameron (1349-'51). Dopo la composizione del Decameron, inizia un periodo di ripiegamento spirituale e di vocazione meditativa. Boccaccio si dedica appassionatamente allo studio dei classici, scambiando testi antichi col Petrarca, a cui è inoltre legato da un'affettuosa amicizia. Diffonde in Italia e in Europa le più recenti e mirabili scoperte di codici e opere letterarie (Varrone, Marziale, Tacito, Apuleio, Ovidio, Seneca). Nel 1359 fa istituire presso lo Studio di Firenze la prima cattedra di greco, assegnandola a Leonzio Pilato, a cui commissiona anche la traduzione dei poemi omerici. Nell'ambito di questa ampia attività filologico-erudita di tipo umanistico si collocano i suoi repertori sulle divinità classiche (De genealogiis deorum gentilium), sulla geografia (De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus, et de nominibus maris), sulle più illustri figure femminili (De claris mulieribus), e maschili (De casibus virorum illustrium). Nel 1355 o nel 1365 compone il Corbaccio. Forti scrupoli morali lo portano a meditare persino la distruzione del Decameron, ma il Petrarca in una lettera del 1364 lo dissuade, invitandolo a riflettere sui valori spirituali dell'attività letteraria. Nel 1373 riceve l'incarico da parte del Comune di Firenze di commentare pubblicamente la Commedia di Dante nella chiesa di Santo Stefano di Badia, ma dopo pochi mesi, essendo sofferente di idropisia, è costretto a rinunciare alle sue pubbliche letture, interrompendole al canto XVII dell'Inferno. Stanco, malato e angustiato dalle solite ristrettezze economiche, si ritira a Certaldo, dove muore il 21 dicembre 1375, un anno e mezzo dopo il suo amico Petrarca. 52. La figura e l’opera di Vasari. Giorgio Vasari, figura principale del Manierismo, nacque ad Arezzo nel 1511, svolse la sua attività prevalentemente a Firenze dove fondò l'Accademia delle arti e del disegno insieme ad altri artisti, basata sul principio che lo studio del disegno è la base per tutte le arti. Giorgio Vasari è ricordato prevalentemente per la sua attività di storiografo e critico d'arte per le "Vite de più eccellenti pittori, scultori et architetti" di cui si ha una prima edizione risalente al 1550 ed una seconda del 1568 più ampliata. Lo studio e l'ispirazione all'arte di Michelangelo e di Raffaello sono evidenti nelle sue opere pittoriche che hanno soggetti allegorici e fantastici, quali il ciclo decorativi a Palazzo Vecchio, l'affresco incompiuto all'interno della cupola del Duomo di Firenze, e gli affreschi per la sua casa ad Arezzo. Ebbe fortuna anche come architetto, attività iniziata nel 1552 con la costruzione di Villa Giulia a Roma commissionatagli da Papa Giulio III. Seguiranno altre opere architettoniche quali la cupola della Madonna dell'Umiltà a Pistoia, le Logge ad Arezzo, ma soprattutto il Palazzo degli Uffizi a Firenze. La pianificazione urbanistica che dal 1560 ha trasformato il cortile lungo e stretto in una piazza pubblica, e creato le logge ed il corridoio di collegamento attraverso Ponte Vecchio, fra il Palazzo degli Uffizi e Palazzo Pitti è il suo lavoro più ammirato. 53. Spiegare quali sono e quali caratteristiche hanno le guide del personaggio Dante nel cammino tra i tre regni nella Commedia? Per intraprendere il suo viaggio verso i tre mondi ultraterreni mai attraversati dai mortali, Dante ha bisogno di una guida che sia in grado di risolvere i suoi dubbi nel corso del cammino e di sostenerlo tra le visioni terribili dell’Inferno e la conoscenza spirituale del Paradiso. La prima guida la incontriamo sin dal primo canto dell’Opera: quando il Poeta fiorentino verrà ostacolato dalle tre fiere ai piedi del monte del Purgatorio arriverà in suo soccorso l’anima dell’antico poeta Virgilio. Il poeta accompagnerà Dante nella discesa dell’Inferno e nella salita del monte del Purgatorio. Il ruolo di Virgilio ha un doppio significato: bisogna ricordare la ricerca del divino (screditando quindi l’esperienza terrena), l’erudito rinascimentale crede nella capacità umana di autodeterminarsi ed essere artefice della propria sorte. L’uomo cioè ha la possibilità e il dovere intellettuale di comprendere il mondo che lo circonda e di modificarlo secondo i propri fini: da questa tensione alla conoscenza rinascono gli studia humanitatis, che traggono un’essenziale linfa vitale dalla riscoperta dei classici latini e greci. Questa riscoperta va intesa in primo luogo in senso letterale, come ampliamento del numero di autori e testi disponibili per lo studio. Vi fu una radicale riorganizzazione delle biblioteche, pensate per accogliere lettori e studiosi, e non solo per custodire oggetti preziosi. Questo clima di apertura è uno degli elementi più caratteristici dell’Umanesimo ed anzi contribuisce allo sviluppo e alla diffusione dei nuovi ideali e delle nuove metodologie al di là dei singoli ambienti cittadini. Le discipline e gli ambiti in cui si sviluppa il sapere umanistico sono molto numerosi, poiché riflettono l’ottimismo del tempo rispetto alle possibilità e alle capacità dell’uomo, ma anche l’entusiasmo degli intellettuali verso una fase che avvertono come una rinascita dopo i “secoli bui” del Medioevo, che acquista questa sfumatura dispregiativa proprio col rinnovamento dei saperi e della cultura del primo Quattrocento. In letteratura l’attenzione si sposta sulla persona, di cui sono indagate le capacità, le inclinazioni e le motivazioni. In tal senso precursore essenziale dell’Umanesimo era stato Giovanni Boccaccio con il suo Decameron, in cui l’ingegno e le capacità pratiche dell’uomo, anche in contrasto con la Fortuna, sono guardati con grande simpatia ed interesse. Accanto alla poesia e alla narrativa, acquisisce sempre più spazio la stesura di trattati, dedicati all’approfondimento in tutti quei campi cui si era rivolta l’indagine erudita. Particolare interesse rivestono gli studi storiografici, sollecitati da una parte da una diversa applicazione del medesimo desiderio di comprendere l’uomo e il mondo che lo circonda che caratterizza le discipline scientifiche, dall’altra dall’esempio di autori classici di recente riscoperti, come Erodoto (484 – 425 a.C.)e Tucidide (460-395 a.C.), o la cui opera era conosciuta nel Medioevo soltanto in proporzioni molto limitate, come Livio. Si pongono così le basi per una vera e propria storiografia. Nel complesso, sono numerosi i generi della letteratura umanistica, comprese forme di narrativa giocosa e divertente, come i primi poemi epico-cavallereschi, tra i quali spiccano per importanza e particolarità l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e il parodico Morgante di Luigi Pulci. 56. La storiografia nel XIV secolo. Autori e opere. La prosa letteraria del Trecento italiano è dominata dalla storia, per via due aspetti. La scrittura di fantasia, in prosa e in poesia, spesso dipende processi ed eventi storici, inoltre molti testi hanno lo scopo esplicito di registrare o interpretare eventi storici. Gli storici più conosciuti del quattordicesimo secolo sono due autori fiorentini di cronache relative alla prima metà del secolo: Dino Compagni (1255/60- 1324), autore della Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi (1310-12), e Giovanni Villani (c. 1276-1348). Il fatto che a Firenze vi fosse un tale profondo e radicato interesse per la storia, ha finito per oscurare gli scritti storiografici prodotti in altre zone, e le storie di altre città scritte in latino. A parte quest’ultime, andrà ricordata almeno la cronaca che il cosiddetto Anonimo Romano fece delle vicende (1327-54) legate a Cola Di Rienzo. 57. Elencare alcune figure chiave della predicazione nel XII-XIII sec. A quali ordini appartengono? La predicazione ne XII- XIII sec. merita molta attenzione perché fu uno dei primi veicoli dei volgari. L’esigenza di comunicare con gli illetterati fu risolta appunto con il ricorso al volgare, per ovviare alla loro ignoranza del latino. Spicca l’opera dell’Ordine dei Domenicani: Domenico Cavalca e Bartolomeo da San Concordio compongono alcuni “trattati” ispirati alla loro predicazione e volti a fornire materiali e suggerimenti ad altri predicatori. Altro domenicano è Jacopo Passavanti, che riversa la sua esperienza di predicatore a Firenze nello “Specchio di vera penitenza”. Ma il più influente predicatore (e il primo di cui possediamo le prediche) fu Giordano da Pisa. In qualità di “lettore” (a Santa Maria Novella), oltre alla “lectio e alla disputatio”, gli spettava anche la “predicatio”. L’altro Ordine coinvolto nelle predicazioni fu quello francescano, spicca Giovanni Colombini (1304-67), che fermò in lettere molte delle sue prediche. Ma è certo Santa Caterina la scrittrice di lettere a fini devoti più importante, con le sue quasi quattrocento lettere a papi, sacerdoti, re, artisti, ecc., sullo sfondo di viaggi a fini diplomatici, e soprattutto con le lettere che affrontano la maggiore questione religiosa del momento, ovvero lo scisma che ebbe luogo nel 1378. 58. Illustrare le tappe compositive del Canzoniere di Petrarca. Quello che noi conosciamo come Canzoniere in realtà fu intitolato dal suo autore Rerum vulgarium fragmenta, ossia “frammenti scritti in lingua volgare”. Con tale titolo, Petrarca sembrò voler sottolineare il carattere minore delle composizioni (che definì nugae) rispetto a quelle da lui scritte in latino. In realtà il poeta volle con questo espediente fare un atto di modestia più che manifestare noncuranza verso il volgare. Lunghissimo è (e destinato a “concludersi” forzatamente con la morte dell’autore) l’itinerario compositivo del Canzoniere. La sua storia può, in linea di massima, riassumersi in nove fasi di elaborazione. – 1a , 2a e 3a fase: trovano riscontro nell’autografo Vaticano latino 3196 (che possiamo chiamare «codice degli abbozzi»; – 4a fase: riscontrabile nel Vaticano Chigiano L.V. 176; – 5a , 6a e 9a fase: riscontrabili nell’autografo Vaticano Latino 3195 (la bella copia “definitiva” dell’opera, vergata in parte da Giovanni Malpaghini e in parte dal poeta); – 7a fase: trova riscontro nel ms. Laurenziano XLI, 17 di Firenze; – 8 a fase: riscontrabile nel ms. D., II, 21 della Biblioteca Queriniana di Brescia. Il Canzoniere si presta come una raccolta ordinata di 366 componimenti poetici: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. La struttura nella quale oggi leggiamo l'opera è quella Campidoglio. La vita di Petrarca fu segnata dal conflitto interiore tra una vita mondana e una vita dedita all'elevazione spirituale. Petrarca non manifestò interesse per gli eventi politici della sua epoca. Nel 1350 si recò a Roma in occasione dell'anno Santo e, sia all'andata che al ritorno, si fermòa Firenze dove conobbe Boccaccio con il quale divenne amico. Nel 1353 Petrarca decise di stabilirsi in Italia: fu ospite dei Visconti (Milano) e dei Da Carrara (Padova) che gli donarono una casa sui colli Euganei. Morì il 18 luglio 1374, alla vigilia del suo 70esimo compleanno, accudito dalla figlia. Francesco Petrarca scrisse opere in latino e volgare. Tra le opere in latino ricordiamo: De vita solitaria (1346) e De otio religioso (1347) che esaltano la solitudine, il Secretum (1347 1353), dialogo tra Petrarca e S. Agostino che riflette la crisi interiore dell'autore, Epistole (1325 1361), un raccolta in 24 libri che contengono 350 lettere che si suddividono per argomento: familiari, metriche, senza titolo, senili (cioè che riguardano la vecchiaia). Le Epistole non sono scritte come intrattenimento, ma sono frutto di elaborazione. In questi 24 libri vi è il ritratto ideale dell'intellettuale: una guida degli uomini del suo tempo. Infine tra le opere in latino troviamo anche il poema epico Africa (ricalca l'Eneide di Virgilio). Tra le opere in volgare invece ricordiamo il Canzoniere (scritto tra 1335-1374), e Trionfi (1353). Il Canzoniere, il cui titolo originale è “Renum volgarium fragmenta” (Frammenti di cose volgari), è una raccolta di liriche in volgare scritte in occasioni diverse. Si tratta di 366 componimenti poetici scritti da Petrarca dal 1335 fino alla sua morte e distribuiti in due parti: vita e morte di Laura, la donna che amò anche dopo la sua scomparsa. L'amore per Laura è inappagato e tormentato. Laura è cantata dal poeta con espressioni che ricordano lo Stil Novo, ma rimane sempre un essere umano, una creatura di questo mondo. Petrarca inaugura un modello di lirica amorosa nuovo rispetto a quello della tradizione guinizzelliana e dantesca (fondatori del Dolce stil novo). La lirica di Petrarca è ricca di richiami al paesaggio ma privi di concretezza realistica ed usa vocaboli generali ed universali, c'è, quindi, un unilinguismo rispetto alla Divina Commedia di Dante, dove c'è, invece, un plurilinguismo. 61. Descrivere il Decameron di Boccaccio dal punto di vista contenutistico e formale. Il Decameron, l’opera più celebre di Giovanni Boccaccio, viene composto tra il 1349 e il 1353. Il Decameron racconta la vicenda di dieci giovani che, per sfuggire alla peste del 1348, si ritirano in una villa di campagna, dove trascorrono dieci giornate narrandosi vicendevolmente delle novelle per ingannare piacevolmente il tempo. Il nome di “Decameron” ha origine greca, come quello di molte opere giovanili di Boccaccio. L’opera è composta da una cornice narrativa, in cui l’autore racconta le vicende della “brigata” in fuga da Firenze e poi nel locus amoenus della villa campagnola, e da cento novelle suddivise in dieci giornate. Boccaccio, mettendo questa volta da parte il motivo autobiografico che ispira e anima tante altre sue opere (come nel Filocolo o nel Filostrato), si dedica a un'opera che ha come fine quello di intrattenere le "vaghe donne", ovvero le lettrici alto- borghesi, che diventano le destinatarie privilegiate del testo, come Boccaccio stesso specifica nel Proemio al Decameron. La finalità dello svago è la stessa anche per i giovani della brigata, composta da sette donne e tre uomini, che, per far fronte all’emergenza sanitaria e morale della peste, vuole restaurare una nuova misura di equilibrio e comportamento. Ogni giorno, i giovani eleggono un re o una regina che ha il compito di scegliere l’argomento privilegiato su cui raccontare novelle; centrale sarà il tema erotico-amoroso, cui si aggiunge quello dell’avventura e della capacità di alcuni personaggi di cogliere le circostanze più favorevoli dell’esistenza, quello del “motto” e della “beffa” che esaltano l’intelligenza (o deridono la stupidità) del singolo, e quello della rappresentazione della società contemporanea. La Fortuna è l’elemento fondamentale dello scorrere della vita dell’uomo, che dev’essere sempre pronto a reagire agli imprevisti del caso. A fianco della Fortuna, vi è la Natura, cioè l’amore, rappresentato come pulsione naturale e spontanea dell’uomo e della donna, e contro cui è inutile tentare di opporsi. In tal senso, nell’amore boccacciano non c’è nulla di lussurioso od osceno (nonostante le molte censure che hanno colpito il Decameron nel corso dei secoli), perché esso è per l’autore una forza che eleva e nobilita l’animo umano, e ne smuove l’ingegno. Il successo del Decameron ne ha anche consacrato la lingua e lo stile, tanto che Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua (1525) indicherà nella cornice dell’opera un modello di stile in prosa. Lo stile di Boccaccio oscilla tra una prosa fiorentina alta e colta, sintatticamente elaborata e ricca di latinismi (come si può vedere nel Proemio), e una lingua più viva e realistica, che caratterizza invece le novelle, in cui è possibile rintracciare alcune sfumature regionali ma soprattutto i termini tecnici di alcune professioni (come quella mercantile) o di origine popolare (frequenti soprattutto quando è in atto una "beffa" ai danni di qualcuno), e abbondanza di eufemismi e doppi sensi per alludere alla sfera sessuale. 62. Qual è la posizione politica di Dante nei confronti di Firenze che l’autore esprime attraverso le parole di Cacciaguida nel XVI canto del Paradiso? Dante incontra Cacciaguida durante il suo viaggio nel Paradiso, attraversando il cielo di Marte, che ospita le anime dei combattenti per la fede. La cronaca dell’incontro occupa ben tre canti, dal XV al XVII, della terza cantica della Divina commedia. I tre canti sono anche importanti dal punto di vista politico perché ci forniscono numerose informazioni sul nobilissimo e potente casato degli Elisei-Aligheri e sulla Firenze del XII secolo, ma lo sono ancora di più per la funzione morale che Cacciaguida riveste. Infatti Cacciaguida si fa portavoce dello sdegno provato da Dante nei confronti della corruzione in cui è caduta Firenze, rievocando la purezza dei costumi antichi. Cacciaguida dice che l’immigrazione di gente nuova, favorita dalla Chiesa, è causa delle discordi attuali, che porteranno alla rovina della città. La critica dantesca, verso il degrado materialista in cui è caduta la Firenze degli inizi del XIV secolo, è un accusa implicita nei confronti di quelle famiglie di mercanti che imbrattano i valori su cui si fondava l’antica nobiltà, ribadendo che la nobiltà non è soltanto nel blasone, ma anche nel codice etico e di condotta morale. dominavano in Italia, portando una relativa tranquillità. Ogni signore, a capo di un dominio che spesso si estendeva su tutta una regione, si concentrò sulla costruzione del prestigio personale e della propria famiglia servendosi soprattutto delle arti e delle scienze. Il mecenatismo ha quindi una ragione soprattutto politica perché divenne la più efficace e diffusa strategia per manifestare il potere delle signorie e si diffuse coinvolgendo tutti gli artisti attivi in quel momento. Nel corso del XV secolo le città italiane rinacquero, si arricchirono di monumenti e opere di qualità altissima, vennero avviati importanti rinnovamenti urbanistici che trasformarono vecchi centri medievali in splendide città rinascimentali. I Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, i Montefeltro ad Urbino, divennero potenti centri politici e culturali che ospitando eccezionali talenti in ogni campo delle scienze e delle arti orientarono nuove linee di ricerca e filoni espressivi che caratterizzarono la cultura e il gusto della seconda metà del secolo e di quello successivo. Gli artisti venivano accolti nelle corti, protetti e legati al loro signore non solo attraverso rapportati stima e di amicizia, ma anche attraverso generosi pagamenti, erano stimolati a dare sempre il meglio di sé e proporre soluzioni nuove e migliori. La qualità dei risultati e la magnificenza delle opere serviranno a manifestare la ricchezza, il prestigio e il potere dei signori. 65. La figura di Dante. Cenni biografici e produzione letteraria Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 in una famiglia della piccola nobiltà fiorentina. Il suo primo e più importante maestro di arte e di vita è Brunetto Latini, che in questi anni ha una notevole influenza sulla vita politica e civile di Firenze. Dante cresce in un ambiente “cortese” ed elegante, impara da solo l’arte della poesia e stringe amicizia con alcuni dei poeti più importanti della scuola stilnovistica: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia. Ancora giovanissimo conosce Beatrice, a cui Dante è legato da un amore profondo e sublimato dalla spiritualità stilnovistica. Beatrice muore nel 1290, e questa data segna per Dante un momento di crisi: l’amore per la giovane donna si trasforma assumendo un valore sempre più finalizzato all’impegno morale, alla ricerca filosofica, alla passione per la verità e la giustizia che infine portano Dante (a partire dal 1295) ad entrare attivamente e coscientemente nella vita politica della sua città. La sua carriera politica raggiunge l’apice nel 1300 quando Dante, guelfo di parte bianca, viene eletto priore (la carica più importante del comune fiorentino): il poeta era convinto sostenitore dell’autonomia della città di Firenze, che deve essere libera dalle ingerenze del potere papale. L’anno successivo, il Bonifacio VIII decide di inviare a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con l’intenzione nascosta di eliminare i guelfi bianchi dalla scena politica; Dante e altri due ambasciatori si recano dal Papa per convincerlo a evitare l’intervento francese, ma è ormai troppo tardi. Dante è già partito da Firenze quando Carlo di Valois entra nella città e sostiene il potere dei guelfi neri: il poeta non ritornerà mai più nella sua città natale, è condannato ingiustamente all’esilio. Per Dante l’esilio rappresenta un momento di sofferenza e di dolore e al tempo stesso uno stimolo per la sua produzione letteraria e poetica: lontano da Firenze può vedere in modo più nitido la corruzione, l’egoismo, l’odio che governano la vita politica, civile e morale dei suoi contemporanei. La denuncia e il tentativo di indirizzare di nuovo l’uomo verso la retta via sono per lui l’ispirazione di una nuova poesia che prende forma nella Divina Commedia. Negli anni dell’esilio, Dante viaggia per l’Italia centrale e settentrionale, chiede ospitalità alle varie corti, continua a sostenere le sue idee politiche nella figura dell’imperatore Arrigo VII, possibile portatore di pace nella nostra penisola (1310); ma di nuovo la speranza svanisce con la morte improvvisa dell’imperatore nel 1313. Muore a Ravenna nel 1321. Le sue più importanti opere sono: 1295: La Vita Nuova nasce dall’amore del giovane Dante per Beatrice ed è una raccolta delle poesie giovanili, collegate da parti in prosa scritte fra il 1293 e il 1295. Si può definire come un’autobiografia spirituale, dove l’amore non è descritto nella sua forma sensibile e terrena, ma come un sentimento che porta a un amore e a un ideale di vita più alti. 1304-1306: Con il trattato De Vulgari Eloquentia, scritto in latino, Dante vuole dare agli scrittori delle regole sull’arte dello scrivere in italiano volgare. In quest’opera, che Dante scrive solo in parte, il poeta apre una questione linguistica molto importante: la lingua volgare può sostituire il latino? 1304-1307: Dante scrive il Convivio nei primi anni dell’esilio, in lingua volgare, con lo scopo di ricordare alle persone che governano, che lo studio della filosofia e il rispetto delle leggi morali sono una condizione necessaria per la convivenza degli uomini nella società. Il primo trattato introduce l’argomento e le finalità dell’opera; nel secondo, terzo e quarto trattato, Dante commenta sue tre canzoni. 1310-1313: Nel trattato De Monarchia, scritto in latino, Dante affronta il tema a lui più caro: quello politico. Per il poeta, l’unica forma di governo che possa assicurare la pace e la sicurezza, è la monarchia, una monarchia universale, che rifletta nel nostro mondo l’unicità e l’universalità del regno di Dio; l’imperatore deve garantire la pace, la giustizia e la libertà degli uomini. Le Rime sono una raccolta, ordinata dai posteri, dei componimenti poetici che Dante scrive nel corso della sua vita e che non include nella Vita Nuova e nel Convivio. I temi di queste poesie sono legati alle varie esperienze di vita del poeta: l’amore cortese, la filosofia, la politica, lo stile poetico, l’esilio. 1306-1321: La Divina Commedia è il capolavoro di Dante e l’opera che racchiude tutta la sua esperienza umana, civile, politica, spirituale e poetica. E’ composta da tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ciascuna delle quali comprende 33 canti, scritti in terzine di endecasillabi, eccetto l’Inferno che contiene un canto in più quale prologo all’intera opera. L’Inferno viene completato probabilmente verso il 1309, il Purgatorio verso il 1312, il Paradiso verso il 1318; tuttavia Dante lavora sulla Commedia fino alla morte. 66. Dare alcuni esempi di exempla e libri di novelle del XII-XIII sec. Gli Exempla nella letteratura medievale, sono dei racconti a scopo didattico- religioso, serbatoi in latino, a cui ricorrono predicatori e trattatisti a scopo esemplificativo. Gli exempla contenevano, oltre al nucleo edificante, anche quello piacevole. Questo predomina nella “Disciplina clericalis” di Pietro Alfonso che finge delle Colonne e Pier Della Vigna, spicca certo Giacomo da Lentini, conosciuto anche come il Notaro, che fu uno dei principali esponenti della Scuola siciliana. 70. Autori e opere del Nord Italia nel XII secolo. Nel XII sec. nel Nord Italia, come in Francia, la poesia ha intenti didattici, soprattutto in ambito etico. Tra gli autori: Girard Pateg (Splanamento e Noie), Pietro da Bescapè (Sermoni), e soprattutto il milanese Bonvesin dalla Ripa che nel “Libro delle tre scritture” cataloga l’Inferno, la passione di Cristo e le gioie del Paradiso. I riflessi di questa tradizione in Toscana si hanno in Brunetto Latini che nel “Livres dou Trésor”, in francese, e nel Tesoretto, racconta come ritrova la Virtù e la Conoscenza attraverso un percorso didattico, dopo essersi perso in un bosco oscuro. 71. Autori e opere del Centro Italia nel XII secolo. Il primo autore di un testo letterario, a noi noto, è del Centro Italia (Umbria): San Francesco (1182-1226) fondatore dell’Ordine francescano. Le sue Laudes Creaturarum (o Cantico di Frate Sole) sono una lode a Dio che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita. E’ una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l'immagine del Creatore. Umbro e francescano è anche Jacopone da Todi, fra i più celebri autori di laudi religiose, tra le quali «O Signor, per cortesia». In questa "lauda" Jacopone invoca Dio affinché gli mandi i malanni più terribili e ripugnanti, la sofferenza dei quali lo aiuterà a espiare il peccato originale e a mortificare la propria umanità di fronte alla grandezza del Signore. 72. I volgarizzamenti. Genere, opere, autori. Con il termine volgarizzamenti si intendono le traduzioni e gli adattamenti in lingua volgare italiana di testi latini e francesi: i primi testi volgarizzati furono i romanzi cavallereschi e i testi classici, ma furono ben presto oggetto di traduzioni anche i testi sacri e devozionali. Il primo volgarizzamento a stampa fu la traduzione della Bibbia di Nicolò Malermi nel 1471. Tra i volgarizzamenti medievali sono degni di nota almeno quelli operati da Brunetto Latini (Cicerone), Bono Giamboni (Orosio, Vegezio, Innocenzo III), Bartolomeo da San Concordio (Sallustio), Andrea Lancia (Ovidio, Virgilio), Arrigo Simintendi (Ovidio) e Ciampolo di Meo degli Ugurgieri (Eneide), Filippo Ceffi (Heroides). 73. Illustrare la condizione e lo statuto dei chierici. Nell’arco di tempo che va dal VI al X secolo il patrimonio della cultura scritta e le attività legate al sapere rimasero limitate ad un numero di utenti generalmente appartenenti all’ambiente ecclesiastico. Il termine chierico indicò sia l’uomo di Chiesa, designato alle funzioni liturgiche, alla predicazione e ai compiti pastorali, sia l’intellettuale, la cui preparazione culturale avvenne sempre all’interno delle strutture della Chiesa. L’intellettuale-ecclesiastico legge e scrive in latino, conosce le Sacre Scritture e le interpreta, occupa un posto di rilievo nelle gerarchie sociali del Medioevo: è un uomo di potere, e per questa ragione il suo servizio diviene fondamentale anche nelle curiae (cancellerie), dove si amministrano e si gestiscono la politica e l’economia. L’intreccio tra potere ecclesiastico e potere laico costituisce pertanto uno dei pregi fondamentali del clericus: da questo legame nasce un concetto di politica strettamente legata alle concezioni religiose. In tutta l’età alto- medievale gli scrittori non possiedono una considerazione rilevante del proprio ruolo sociale e della propria importanza culturale: gli auctores, in quanto dotati di auctoritas, di autorevolezza intellettuale, sono soltanto gli scrittori e i filosofi dell’antichità. 74. Quali sono le prime testimonianze scritte della letteratura italiana? Il primo esempio scritto di una lingua che pare una transizione dal latino al volgare è il cosiddetto indovinello veronese, un'annotazione a margine di un codice ritrovato a Verona e risalente all'VIII-IX sec., una sorta di indovinello che allude all'opera di scrittura della mano che regge una penna d'oca e lascia l'inchiostro sulla pagina bianca. È evidente che la struttura sintattica è già quella del volgare, anche se il lessico è ancora molto simile al latino: "Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba, et negro semen seminaba" "Teneva davanti a sé i buoi, arava i prati bianchi, reggeva un aratro bianco e seminava un seme nero" . 75. La figura di Isotta Nogarola. Isotta Nogarola nacque nel 1418 a Verona in una famiglia in cui già, fra Tre e Quattrocento, si erano distinte alcune scrittrici. Fin da giovane, Isotta condusse vita monacale e forse proprio questa condizione virginale costituì il requisito perché potesse essere accettata come intellettuale dal mondo maschile. Imparò il latino e fu in contatto epistolare con figure politicamente e culturalmente di rilievo come Guarino Veronese, Damiano del Borgo, Ermolao Barbaro il Vecchio e Lodovico Foscarini. Proprio con quest’ultimo, che era podestà di Verona, Isotta affrontò il tema del ruolo differente della donna e dell’uomo nell’ambito del peccato originale, appassionandosene e facendone l'argomento di un fitto scambio epistolare, pieno di riferimenti filosofici e biblici, poi pubblicato nel 1451 in forma di dialogo con il titolo “Isotae Nogarolae de par aut impari Evae atque Adae peccato Dialogus”. Il fatto in sé fu di grande rilievo, perché per la prima volta una donna partecipava a un dibattito pubblico con un uomo. Dopo aver vissuto alcuni anni a Venezia, Isotta tornò nella sua città, dove approfondì lo studio dei testi biblici e patristici, allontanandosi definitivamente da quelli profani. Attorno al 1443 fu in corrispondenza con un'altra importane letterata del tempo, Costanza Varano, che, venuta a conoscenza delle sue doti, le aveva inviato una lettera e un carme latino. Nel 1450 Isotta si recò a Roma coesistenza di questi due elementi nella formazione delle lingue moderne). Bisogna attendere, però, Leon Battista Alberti per registrare un vero e proprio invito all’uso del volgare per preferire di «giovare a molti che piacere a pochi», invito che vede pian piano la maturazione dell’Umanesimo volgare di cui massimo rappresentante fu Poliziano, scrittore in entrambe le lingue. Con la definitiva preferenza per il volgare, il dibattito sulla lingua non si spegne nel nuovo secolo ma vaglia prospettive diverse: dalla genesi storica del volgare e la sua localizzazione geografica, alla definizione di un modello normativo oltre che a caratteristiche prettamente grammaticali e ortografiche. Una prima tesi vede principale, anche se non unico, sostenitore Castiglione: si teorizza la definizione delle caratteristiche del volgare all’interno della corte, luogo di accoglienza e diffusione della cultura e di un’ampia varietà di dotti e tendenze; sarà la corte a stabilire con l’uso e il buon gusto la giusta direzione da intraprendere, privilegiando anche quanto di gradevole potesse provenire da altre tradizioni regionali, oltre quella toscana. Parallelamente altri intellettuali ritengono fondamentale l’uso del fiorentino come lingua nazionale, pur con la presenza di alcuni forestierismi: si insiste sulla diffusione popolare del fiorentino, dunque vivo e contemporaneo, in controtendenza con la tesi cortigiana. Infine la prospettiva che verrà adottata, perché rispondente al reale richiamo del dibattito ovvero quello dell’élite culturale preoccupata della scrittura più che della fruizione orale, è teorizzata da Bembo che, in linea con il recupero della tradizione tanto perpetuato durante l’Umanesimo, richiama ad un fiorentino basato sui modelli letterari trecenteschi (quelli definiti dalle tre corone ovvero Dante, Petrarca e Boccaccio). 78. Il genere della novella nel ‘500. Fortuna ed esiti. Il genere della novella si sviluppa nel Cinquecento secondo schemi e formule che si rifanno più o meno esplicitamente al modello del Decameron, ma che rivelano nel contempo tutta la distanza tra la civiltà manieristica del Cortegiano e la commedia umana di Boccaccio. L’esempio del Decameron, fra tradizione e innovazione, è seguito con più forza dai narratori toscani come Agnolo Firenzuola, autore nel 1525 dei Ragionamenti d’amore. Tra i novellieri settentrionali, non dimentichi della lezione di Boccaccio e nello stesso tempo sensibili alle nuove esigenze del narrare, il più significativo resta senza dubbio Matteo Bandello. Nelle varie dediche ai lettori, Bandello enfatizza, in opposizione al modello fortemente strutturato del Decameron, la mancanza di unitarietà e la dimessa colloquialità della sua opera, sottolineandone la scarsa eloquenza dovuta alle sue origini “gotiche” e il ricorso a una lingua quotidiana, lombarda e antiletteraria. Composte e fatte circolare nell’ambito semiclandestino delle conversazioni tra amici, e sopraffatte dalle ambizioni teatrali del loro autore, le Cene di Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, redatte tra il 1550 e il 1553, rimangono ignorate fino alla loro riscoperta in ambito settecentesco. Per la sua raccolta di novelle il Lasca adotta la struttura delle spicciolate quattrocentesche e, contaminandola con il modello decameroniano, tenta una nuova soluzione narrativa che supera la dimensione del tragico per rivolgersi al grottesco o al carnevalesco. Le Cene si concentrano sulla figura narrativa della beffa. Il novelliere nel quale sono più espliciti i segni di una nuova inquietudine morale appare senza dubbio Giambattista Giraldi Cinzio, i cui Ecatonmiti (1565) prendono l’avvio dal sacco di Roma del 1527. Il carattere spiccatamente morale della cornice e la tendenza allo stile oratorio degli Ecatonmiti tendono a disperdere gli elementi realistici della narrazione nell’astratto e nel generico e si rivolgono naturalmente all’amplificazione romanzesca, mostrando una volta di più come nella seconda metà del secolo la dissoluzione del genere della novella codificato da Boccaccio possa dirsi ormai compiuta. 79. Descrivere il Cortegiano di Castiglione dal punto di vista contenutistico e formale. L’opera principale per cui il Castiglione viene ricordato è Il Cortegiano: un dialogo diviso in quattro libri la cui finalità è quella di descrivere tutte le qualità che deve avere un perfetto uomo di corte. Il dialogo si svolge nel 1506 alla corte di Urbino. Al contrario dello schema classico dei dialoghi quattrocenteschi, in cui sono presenti maestri di grande sapienza cui viene affidato il compito di insegnare, nel “Cortegiano” c’è una sostanziale parità tra tutti i protagonisti del dialogo che il Castiglione sceglie tra i nomi più importanti che ebbe modo di conoscere nel suo periodo Urbinate, tra questi ricordiamo: Federico e Ottaviano Fregoso, Giuliano de’ Medici, Bernardo Dovizi da Bibbiena e, di certo il più celebre tra questi, Pietro Bembo. Questi personaggi decidono, come in un gioco di società, di definire il perfetto uomo e la perfetta dama di corte. Nel primo libro ne vengono descritte le caratteristiche fisiche e morali e, nell’ambito di questo dibattito, si fa allusione anche al tema della lingua e dell’uso che il cortigiano deve farne. Nel secondo libro Federico Fregoso definisce i modi in cui il cortigiano debba usare le sue capacità. Centrale, in questi discorsi, è il concetto di “sprezzatura”: una delle qualità più importanti richieste all’uomo di corte è la grazia, cioè il saper mettere in pratica con disinvoltura una serie di capacità e comportamenti acquisite e finalizzate a servire al meglio il principe, che però vanno esercitate con naturalezza, senza affettazione, dopo essere state introiettate in un lungo processo; questa capacità di dissimulazione è detta “sprezzatura”. Nel terzo libro Giuliano de’ Medici fornisce invece il ritratto della perfetta dama di corte, allontanando le accuse misogine di un altro interlocutore. Nel quarto libro Ottaviano Fregoso parla dei rapporti che devono legare il cortigiano al principe. La chiusura del libro è affidata a Pietro Bembo che esalta l’amore divino. 80. Presentare la figura di Baldassar Castiglione. Baldassar Castiglione (1478-1529) fu il letterato che codificò gli ideali rinascimentali della perfetta società aristocratica. Nato a Casatico, presso Mantova, ricevette, nella fiorentine”. In questa prima opera è possibile notare l'intreccio strettissimo tra storiografia e politica e un'analisi che mira a ricostruire le cause della crisi politica italiana. “I ricordi” sono l'opera in cui è racchiusa la sostanza teorica più profonda del pensiero di Guicciardini. Si tratta di un'opera inconsueta: non un trattato che svolge un'argomentazione unitaria, bensì una raccolta di 211 tra pensieri e riflessioni. “La storia d’Italia” è composta negli anni tra il 1527 e il 1540, quando Guicciardini, negli ultimi anni della sua vita, era ormai lontano dalla attività politica. E’ considerata dai critici come la prima grande opera della storiografia moderna. Guicciardini concepisce la sua opera come uno strumento di analisi politica che possa servire a ricostruire il recente passato e a comprendere le cause della crisi della politica italiana. Emerge dall'opera una visione pessimistica della storia, in cui si legge un progressivo declino e in cui gli uomini vivono una condizione di incertezza e sono limitati nelle loro azioni dalla cieca casualità della fortuna. 84. Descrivere il Principe di Machiavelli dal punto di vista contenutistico e formale. Il Principe è un trattato storico-politico di Niccolò Machiavelli, composto nel corso del 1513 durante il soggiorno forzato dell'autore all'Albergaccio, dove era stato confinato in seguito al fallito colpo di stato contro i Medici l'anno prima. È lo stesso Machiavelli a dar conto della composizione dell'opera nella lettera a Francesco Vettori del 10 dic. 1513, in cui dichiara di aver scritto un "opuscolo" intitolato De principatibus in cui spiega che cosa è principato, confidando all'amico di voler dimostrare attraverso questo piccolo libro tutta la sua esperienza politica e sperare, in tal modo, di essere riammesso al servizio dei Medici. L’opera è infatti dedicata a Lorenzo de' Medici, a cui è indirizzata una lettera dedicatoria e si conclude con un'appassionata esortazione alla signoria, affinché si metta a capo di in moto di riscossa nazionale, che scacci lo straniero dall'Italia e riunifichi politicamente la Penisola sotto il proprio dominio. Il testo rientra nel genere del trattato in prosa quale si era delineato nel Cinquecento rifacendosi ai modelli classici, soprattutto latini (Cicerone in primis) ed è suddiviso in 26 capitoli di forma concisa, strutturati secondo un preciso schema: dopo il cap. proemiale che enuncia la materia, l'autore passa in rassegna i vari esempi di principato (II-XI), tratta il tema delle milizie (XII- XIV), elenca le qualità del principe (XV-XXIII), affronta il tema della fortuna e della virtù (XXIV-XXV) e infine rivolge la sua esortazione ai Medici (XXVI). Propriamente il testo vuol essere una sorta di insegnamento ai sovrani e ai potenti sul modo migliore di gestire e mantenere il potere su uno Stato, frutto della passata esperienza politica dell'autore e delle sue conoscenze teoriche, e tale insegnamento prescinde totalmente da qualunque scrupolo morale e religioso, per cui si può affermare che il trattato getti le basi della teoria politica moderna. 85. La figura di Machiavelli. Cenni biografici e produzione letteraria. Niccolò Macchiavelli è nato a Firenze nel 1469 da un'antica ma decaduta famiglia, fin dall'adolescenza ebbe dimestichezza con i classici latini. Inizia la sua carriera in seno al governo della repubblica fiorentina alla caduta di Girolamo Savonarola. Divenne dapprima segretario della seconda cancelleria e, in seguito, segretario del consiglio dei Dieci. Svolse delicate missioni diplomatiche presso la corte di Francia (1504, 1510-11), la Santa Sede (1506) e la corte imperiale di Germania (1507-1508), che lo aiutarono non poco a sviluppare il suo sistema di pensiero. Tenne le comunicazioni ufficiali fra gli organi di governo centrali e gli ambasciatori e funzionari dell'esercito impegnati presso le corti straniere o nel territorio fiorentino. Machiavelli è stato il principale prosatore e scrittore politico del Cinquecento, e cercò di trasformare l'esperienza accumulata sul campo in opere letterarie di pubblica utilità, a cominciare dal Principe che è il trattato politico più importante del Rinascimento e della letteratura italiana in genere. Machiavelli è stato il fondatore della politica come scienza e il primo autore a separare nettamente la sfera dell'agire pubblico da quella della morale e della religione, in modo talmente esplicito da attirare su di sé varie critiche e la condanna postuma della Chiesa. Importanti anche le sue opere storiche, i suoi trattati militari e gli scritti letterari in senso stretto, tra cui spiccano la commedia Mandragola e la Novella di Belfagor arcidiavolo, in cui riprende la tradizione comica della letteratura volgare. Immensa è stata la sua influenza sul pensiero politico occidentale e la sua opera ha avuto una risonanza europea, venendo in seguito rielaborata e talvolta distorta da più di un pensatore nel periodo della Controriforma. 86. Il dibattito rinascimentale sull’imitazione. Il dibattito sull’ imitazione nel ‘500 si potrebbe dividere in due contrasti di opinioni tra due coppie di intellettuali: 1)Poliziano e Paolo Cortese: Tra i due letterati avvenne uno scambio di lettere. Cortese scriveva in stile ciceroniano per dimostrare di imitare un solo autore non secondo una sterile osservanza, ma in un rapporto fecondo come quello tra padre e figlio. Poliziano invece non è favorevole all’idea di imitare un solo autore bensì molti e da ognuno prendere il meglio. 2) Pico della Mirandola e Pietro Bembo: Anche tra di essi corre uno scambio di lettere. Pico sostiene che esistono delle idee innate che emergono dallo studio dei classici e che si deve badare all’inventio che corrisponde con la sostanza e non all’elocutio che corrisponde allo stile. Bembo espresse l’idea che lo stile era il modo di esprimere l’identità dell’autore. La cultura classica crea quindi presupposti per esprimere le proprie emozioni. 87. Descrivere le caratteristiche principali del Rinascimento. Il Rinascimento è un complesso movimento culturale, artistico e letterario che si sviluppa in Italia e in Europa a partire dagli ultimi vent’anni del XV secolo sino al primo quarto del XVI secolo, e che, elaborando concetti già presenti 90. La questione della lingua. Principali autori e rispettive posizioni. La questione della lingua anima lo scenario culturale dell’epoca. In realtà questa questione è molto antica, risale al 1300. Dante nel “Devulgari Eloquentia” si era già posto questo problema, Dante in questo trattato di retorica riconosce al volgare una grande dignità. Ma il volgare a cui Dante si riferisce è un volgare illustre, adatto a trattare argomenti nobili. Nella ricerca del volgare illustre passa in rassegna tutti i dialetti che si parlavano nella penisola, di fronte a questa varietà, ritiene che debbano essere i letterati ad elaborare il vogare illustre. La questione della lingua torna nel 1500 e i protagonisti del dibattito, in questo caso sono Gian Giorgio Trissino e Pietro Bembo. Trissino scrive l’Epistola intorno alle lettere nuovamente aggiunte alla lingua italiana, nella quale propone di aggiungere al dizionario italiano nuovi termini provenienti dalla lingua greca; mentre Pietro Bembo è autore delle Prose della Volgar Lingua, opera capitale del dibattito sulla lingua italiana. Bembo afferma che nel 1500 la letteratura italiana avesse raggiunto un livello di altezza pari a quella latina e quindi poteva essere considerata classica, di conseguenza poteva divenire oggetto di imitazione. Pietro Bembo individua due principali modelli di imitazione: Petrarca, per il suo stile dal tono medio, senza eccessi, per la sua lingua estremamente musicale e limpido, e Boccaccio di cui Bembo propone l’imitazione dello stile utilizzato nelle novelle tragiche, uno stile molto elevato. Esclude Dante poiché il suo linguaggio era caratterizzato dal plurilinguismo. Il vocabolario della Crusca è il primo dizionario della lingua italiana, l’intento dell’Accademia della Crusca era un intento normativo, cioè dare alla lingua delle precise regole per il suo utilizzo. 91. L’elaborazione del volgare nel ‘500. Protagonisti e opere. Nell’Italia del Cinquecento il volgare si affermò finalmente come lo strumento della prosa letteraria ampiamente usata a fianco del latino. La fiducia nel volgare crebbe appena lo coltivarono figure letterarie di rilievo (per es. Bembo “Prose della Volgar Lingua”). Il suo uso fu ulteriormente incoraggiato dalla crescita del numero e della produttività dei torchi per la stampa: questa evoluzione rese più accessibili i testi di riferimento per il buon uso della lingua e diede la possibilità a scrittori di diverse regioni di raggiungere il più ampio pubblico possibile. Si usò la prosa volgare per tutti i tipi di materia (narrativa, politica, storia, relazioni sociali e personali, arte e anche trattati sul volgare) oltre che per un crescente numero di traduzioni dal greco e dal latino. Attorno al 1500 quasi tutti gli autori non toscani usavano un tipo di volgare che poteva variare da regione a regione, e, sicuramente, da autore a autore. Dovevano molto al modello stabile dei grandi scrittori toscani del Trecento, soprattutto Boccaccio. 92. Descrivere dal punto di vista contenutistico e formale l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo. L’Orlando innamorato, composto a partire dal 1476 circa e pubblicato nel 1483, è un poema cavalleresco nato dalla penna di Matteo Maria Boiardo. L’opera, secondo il progetto dell’autore, avrebbe dovuto svilupparsi in tre libri, ma solo i primi due sono completi e vedono appunto la luce nel 1483; della terza parte si vedrà solo qualche estratto negli anni successivi, e rimarrà incompiuta. Le vicende dell’Orlando innamorato vengono elaborate dal Boiardo durante la sua permanenza alla corte estense e, come dedicatario del poema, troviamo infatti Ercole I d’Este. Il poema è un susseguirsi di avventure anche se nel complesso appare chiaro un senso di incompiuto. Lo spirito cavalleresco domina l’opera ma si fonde con uno spirito umanistico il che fa prevalere l’individualismo dei personaggi ad una concezione tipicamente medievale che incentrava tutto sulla Sacra Investitura voluta da Dio. Un ultimo appunto riguarda lo stile, che è energico e pittoresco; i personaggi sono lineari e privi di complessità spirituale. Il poema cavalleresco di Boiardo è scritto in ottave, metro narrativo e tipico della tradizione cavalleresca. Mentre l'amore sta alla base della struttura del poema, la lingua dell'opera è assai originale, dato che il Boiardo opta per la contaminazione di forme toscane, forme tipiche delle parlate settentrionali ed espressioni latineggianti. Non mancano poi registri linguistici assai variabili, da quelli più popolari a quelli aulici e petrarcheschi. Proprio per tal motivo, l'Orlando innamorato fu poco apprezzato dai contemporanei. 93. Luigi Pulci e la tradizione narrativa. Il Morgante. Luigi Pulci (Firenze, 1432 - Padova, 1484) è stato uno dei più originali e importanti poeti volgari del Quattrocento, nonché uomo di corte nella Firenze di Lorenzo de' Medici da cui fu poi allontanato per contrasti sul piano religioso (erano note le sue idee anticonformiste su molti aspetti della dottrina, sfioranti in alcuni casi l'eresia). In una prima fase amico e mentore poetico di Lorenzo, Pulci si cimentò in vari generi letterari, passando dalla poesia comica e parodica a quella epica, benché il suo nome resti legato al poema Morgante che, oltre ad essere il primo esempio di poema epico-cavalleresco nella letteratura del Quattrocento, è anche opera originalissima dotata di una verve comica e linguistica con pochi altri esempi. Come esponente di una letteratura sperimentale e volta alla ricerca dell'abnorme e del paradosso, Pulci ha influenzato non poco altri scrittori dell'età successiva, tra cui soprattutto Teofilo Folengo. Il capolavoro di Pulci fu senza dubbio il Morgante, poema epico-cavalleresco legato alla tradizione delle chansons de geste in lingua d'oïl che l'autore compose a partire dal 1461. L'opera, che rappresenta il primo esempio di poema epico della letteratura volgare del Quattrocento, è diviso in "cantari" a loro volta suddivisi in ottave di endecasillabi, con schema della rima ABABABCC. Il tema è quello della cosiddetta "materia di Francia" o ciclo carolingio, ovvero le guerre dei paladini di Carlo Magno contro i mori di Spagna già oggetto dei poemetti in antico francese, aventi come protagonisti i personaggi di Orlando, l’incarnazione del principe umanista ideale e, al contempo, uno degli uomini politici del Rinascimento più significativi in assoluto. All’interno della sua famiglia potè respirare diversi influssi: da un lato il nonno Cosimo energico sostenitore del greco e latino, dall’altro la madre Lucrezia, tipica rappresentante del gusto semicolto in volgare. Sembra aderire in una prima fase al versante poetico volgare semicolto, come dimostra la famosissima Nencia. In quest’opera giovanile, i testi costituiscono la lode parodistica delle bellezze della contadina Nencia e si risolvono in un rovesciamento comico di tono rusticale della lunga tradizione cortese della lode di Madonna. In una seconda fase Lorenzo sembra aderire al neoplatonismo di Marsilio Ficino, riallacciandosi alla cultura medicea originaria propugnata dal vecchio Cosimo, in un clima di rinnovata religiosità e attenzione ai classici. Una delle sue più importanti opere è la “Raccolta Aragonese”, una silloge poetica che doveva contenere 449 testi tra cui Dante, Guinizzelli, Guittone, Cino da Pistoia e Lorenzo stesso. E’ evidente l’assenza di Petrarca, l’autore voleva dimostrare che la tradizione lirica non è solo petrarchesca. Oltre alla Nencia da Barberino, un altro componimento popolareggiante di Lorenzo de’ Medici è il Trionfo di Bacco e Arianna, detta anche Canzona di Bacco, che fa parte dei Canti carnascialeschi. Questi canti vengono composti in occasione di feste popolari, come il carnevale, e vengono pensati per essere intonati nelle processioni carnevalesche dei carri dalle compagnie di attori e musici mascherati. 97. Descrivere la situazione della lirica nel ‘400. Nel 1400 la lirica appare variegata sia sul piano tematico, che stilistico, metrico e linguistico la lirica risulta assai variegata. L’uso preferito è quello della lingua è fiorentina, ma vengono utilizzati anche dialettalismi, latinismi e idiotismi. Vengono impiegati gli schemi metriche tradizionali e non, come Leon Battista Alberti che ne inaugura di nuovi. Nella seconda metà del secolo, quando si impone il petrarchismo di corte, le raccolte poetiche non hanno strutture rigide e nascono prevalentemente da situazioni occasionali. Nella lirica comico burlesca e nei canti carnascialeschi, prodotti in Toscana da personaggi di prestigio con me Lorenzo il magnifico e Angelo Poliziano, si manifesta la sperimentazione quattrocentesca. Il sonetto comico si impone in tutta Italia attraverso Burchiello che inaugura una moda di testi grotteschi ricchi di doppi sensi e allusioni. 98. Chi sono i principali autori di novelle in Toscana e fuori Toscana nel XV secolo? La novella fu così comune nel Quattrocento che non solo molti scrittori tradussero novelle di Boccaccio in latino, ma ne composero direttamente in latino. La novellistica seguì l’esempio di Boccaccio, nella costruzione di una struttura, ma anche organizzando il materiale secondo criteri tematici o di genere o adeguandosi ad una ‘cornice’. Alcuni scrittori di novelle si specializzarono nella scrittura di beffe (narrazioni di scherzi). Anche la beffa aveva avuto una larga parte nel Decameron di Boccaccio: le giornate VII e VIII erano dedicate esclusivamente a questo sottogenere. Un autore importante di novelle in Toscana fu l’autore senese Gentile Sermini. Le sue novelle hanno in comune l’ambientazione, le terme di Siena, tipico luogo di incontri, di storie e di pettegolezzi. Mentre fuori dalla Toscana vengono ricordati due autori di novelle: Giovanni Sabadino degli Arienti, cortigiano a Bologna e successivamente a Ferrara, scrisse “Le porretane” e Masuccio Salernitano che organizza le sue novelle come Boccaccio, ogni giornata ha un tema, ed è affidata a un diverso narratore. Anche i temi sono quelli di Boccaccio. 99. Descrivere I promessi sposi di Manzoni dal punto di vista della genesi dell’opera, contenutisticamente e formalmente. I Promessi Sposi è un romanzo storico italiano, scritto da Alessandro Manzoni, ritenuto inoltre il più famoso e il più letto tra gli scritti in lingua italiana. Fu pubblicato in una prima versione nel 1827, rivisitato in seguito dallo stesso autore, soprattutto nel linguaggio, fu ripubblicato nella versione definitiva intorno al 1841 (edizione quarantana). Ambientato dal 1628 al 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Secondo un’interpretazione risorgimentista, il periodo storico era stato scelto da Manzoni con l’intento di alludere al dominio austriaco sul nord Italia. Quella che Manzoni vuole descrivere è la società italiana di ogni tempo, con tutti i suoi difetti che tuttora mantiene. Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del XVII secolo, come ad esempio le vicende della Monaca di Monza e la grande peste del 1629-1631, si fondano tutti su documenti d’archivio e cronache dell’epoca. Manzoni per il suo romanzo prese come base la religione cattolica: infatti uno dei personaggi principali che viene nominato raramente all'interno della vicenda (anche se importantissimo, se si vuole capire l'aspetto religioso) è la Divina Provvidenza, la mano di Dio che tutto volge verso il bene. In questo senso si possono considerare Renzo e Lucia (personaggi principali) non come unici protagonisti, che si possono invece dividere in tre gruppi distinti. Protagonista storico: il XVII secolo (1600), Manzoni tesse il suo racconto su una base di fatti realmente accaduti durante questo secolo. Protagonista religioso: la Provvidenza, la mano di Dio. Protagonisti materiali: Renzo Tramaglino e Lucia Mondella (i "promessi sposi" del titolo). Altri due personaggi, Fra Cristoforo e la monaca di Monza, sono comunque protagonisti assoluti dei capitoli loro dedicati. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana, ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana. È considerata l'opera più rappresentativa del Risorgimento, del romanticismo italiano e una delle massime della letteratura italiana.
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