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DOMANDE D'ESAME ANNO 2022-2023, Prove d'esame di Sociologia della devianza

Il documento contiene 15 domande frequenti che si presentano all'esame. Le risposte sono state date leggendo i due libri del corso: - Prina Devianza e criminalità. Concetti, metodi di ricerca, cause, politiche - Controllo e autodeterminazione nel lavoro sociale. Una prospettiva antioppressiva. Sono risposte discorsive che valgono come riassunto dei due libri elencati. Esito esame: 30

Tipologia: Prove d'esame

2022/2023

In vendita dal 24/09/2023

Giadadalessio
Giadadalessio 🇮🇹

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Scarica DOMANDE D'ESAME ANNO 2022-2023 e più Prove d'esame in PDF di Sociologia della devianza solo su Docsity! DOMANDE SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA: 1) PARADIGMA PRESENZE E CONDIZIONAMENTI Nel corso del XIX secolo e all’inizio del XX secolo con la nascita e lo sviluppo della sociologia emerge una visione che considera la devianza e ogni altro comportamento, un “fatto sociale”, ossia un prodotto della società. Le teorie che ricercano le cause dei comportamenti devianti e criminali nella società fanno parte del “paradigma sociale”. Questo nuovo paradigma rispetto ai precedenti (classico e positivo), non si concentra più solo sui crimini ma osserva anche la devianza in generale, e la responsabilità non è più centrata sull’individuo ma sulla società. Il paradigma sociale, rifiutando la spiegazione utilitarista, individua le radici del comportamento deviante in quelle condizioni (sociali, materiali ed ambientali) che gli individui non possono controllare e che li predispongono a certi comportamenti. All’interno possiamo individuare il paradigma delle assenze e dei deficit e il paradigma delle presenze o dei forti condizionamenti. Il prima identifica le cause delle devianze in vari tipi di carenze sociali, economiche e culturali, mentre il secondo vede come i fattori determinanti della devianza, le pressioni sociali e culturali particolarmente forti che agiscono sull'individuo. Possiamo collocare all’interno di questo paradigma due differenti teorie sociologiche: - Teoria dell'apprendimento di modelli devianti: una della più importanti è la teoria dell’associazione differenziale di Sutherland, che spiega il processo attraverso cui il singolo individuo giunge a intraprendere un comportamento criminoso. Il suo oggetto di ricerca sono i crimini dei colletti bianchi, per la prima volta viene studiato il comportamento criminale nel mondo delle imprese, degli affari, del commercio, in cui chi compie reati non è affatto un soggetto emarginato, deprivato, privo di educazione o di risorse e opportunità. Con espressione “criminalità dei colletti bianchi” Sutherland definisce tutti i reati commessi da persone rispettabili e di elevata condizione sociale nel corso della propria occupazione. Questo mette in discussione le varie teorie elaborate nel paradigma delle assenze e dei deficit, secondo cui il comportamento deviante e criminale è dovuto da condizioni di carenze sociali, economiche e culturali e da deficit di risorse, di opportunità, di relazioni positive, di controllo sociale. L'assunto principale della teoria è che nessuno è immune dalla devianza, ma anzi il comportamento deviante può essere appreso da chiunque, attraverso i normali processi di comunicazione indipendentemente dalle sue condizioni economiche e sociali, nello stesso modo con cui si apprendono i comportamenti conformi. Dunque il comportamento deviante può prodursi in qualsiasi situazione sociale. La sua prospettiva si basa su 3 concetti: conflitto normativo, organizzazione sociale differenziale, associazione differenziale. Le società moderne sono caratterizzate dalla compresenza di molti e diversi gruppi sociali che possono entrare in conflitto tra loro, in quanto portatori di interessi e valori differenti. Se una società è tanto differenziata al suo interno, si verrà a creare quel conflitto normativo sulle norme da considerare valide e sul giusto atteggiamento da tenere nei confronti della legge. Solitamente è il gruppo sociale dominante, ossia quello dotato di maggior potere a determinare le norme valide e di conseguenza anche quali sono i comportamenti criminali. Per organizzazione sociale differenziale si intende la presenza in una stessa società di gruppi sociali che fanno riferimento a culture differenti da quella dominante, questo crea devianza e criminalità, in quanto offrono modelli di riferimenti e valori diversi rispetto a quelli del gruppo dominante. L'associazione differenziale è occasione e opportunità di apprendimento della devianza che ha carattere processuale. Il processo di apprendimento dei comportamenti devianti e criminali è uguale al processo che consente a ciascuno di divenire una persona qualificabile. Il comportamento deviante si apprende attraverso un processo di comunicazione con altre persone all’interno di gruppi, i cui membri hanno una relazione stretta tra di loro. L’apprendimenti include le tecniche adatte alla commissione di reato che possono essere semplici o complesse, e l’orientamento delle motivazioni, ossia il senso che si dà a quel comportamento, attraverso le definizioni favorevoli o sfavorevoli ai codici della legge → es: se commettere un falso in bilancio e affermare che quel gesto è stato un atto indispensabile per la sopravvivenza dell’impresa, vuol dire acquisire una definizione favorevole alla violazione della legge; in caso contrario, se sono convinto che non sia lecito adottare quel comportamento, lo apprendo il gruppo e sto apprendendo una definizione sfavorevole alla commissione di quel tipo di comportamento. Una persona si orienta verso il comportamento criminale quando è esposta (associata) a discorsi (definizioni) favorevoli alla violazione della legge. Una persona diviene delinquente perché le definizioni favorevoli alla violazione della legge superano le definizioni favorevoli alla violazione della legge. Questo è il principio dell’associazione differenziale. Le definizioni favorevoli possono variare in considerazione di alcuni elementi: frequenza (il tempo che una persona trascorre interagendo con gruppi che incoraggiano il comportamento criminale o non criminale;), durata, priorità (momento in cui, nella storia della persona, si verifica quell'associazione e dunque rilevanza che ha per la sua vita personale) ed intensità emozionale dell’associazione e il prestigio di coloro che manifestano il comportamento osservato. Benché il comportamento criminale sia espressione di bisogni e valori generali, questi bisogni e valori non possono spiegarlo, dato che il comportamento non criminale è espressione dei medesimi bisogni e dei medesimi valori. (il bisogno di guadagno e il valore dell'arricchimento come orizzonte della propria vita non spiegano da soli le scelte del ladro perché anche il lavoratore onesto è spinto dalle stesse motivazioni a comportarsi bene e a lavorare sodo. La spiegazione va ricercata con l’associazione ai modelli criminali) È importante considerare che la possibilità di apprendimento di ruoli devianti non concerne solamente aree marginali della società, bensì è estesa a tutti gli ambiti sociali. Alcuni individui apprendono il comportamento deviante così come altri apprendono diversi stili di vita e ciò avviene anche in aree che in apparenza dovrebbero essere immuni dalla tentazione o dal bisogno di compiere reati. Il criminale dal colletto bianco apprende il proprio comportamento a contatto con il suo gruppo sociale di riferimento interagendo con soggetti che definiscono favorevolmente la violazione delle leggi e lo isolano progressivamente dalle definizioni contrarie all'illegalità. Inoltre, il criminale dal colletto bianco grazie alla propria appartenenza di classe è in grado di impedire/contrastare la reazione sociale e conservare la propria reputazione anche agli occhi di coloro che non appartengono alla sua organizzazione. Ad integrazione con la teoria dell’associazione differenziale c’è la teoria di neutralizzazione di Matza e Sykes secondo cui le definizioni favorevoli alla commissione di atti devianti, non sono altro che razionalizzazioni che rendono possibile l’atto. Vanno contro alle teorie subculturali, secondo cui i ragazzi che compiono atti devianti o criminali lo fanno perché vivono all’interno di universi subculturali. I giovani non sono isolati dal mondo convenzionale, ma la subcultura della delinquenza è integrata nella società più ampia attraverso i meccanismi della neutralizzazione delle norme e la convergenza dei valori sotterranei (ossia quei valori condivisi da tutti i giovani indipendentemente dal gruppo di riferimento. Sono comportamenti regolati da valori che vengono ritenuti ammissibili se praticati nell’ombra, in una determinata fase d’età e in determinati contesti). Le forme di razionalizzazione consentono agli individui di gestire il senso di colpa rispetto all’adozione di un comportamento deviante o criminale. Operano sia in fase ex ante (prima dell’atto) che in fase ex post. La razionalizzazione è una forma di giustificazione per cercare di contrastare la reazione sociale e la stigmatizzazione. Le definizioni favorevoli alla trasgressione della norma non agiscono soltanto dopo che l’atto è stato compiuto (ex post), proteggendo l’attore dai sensi di colpa, ma precedono il comportamento deviante stesso rendendolo possibile. Secondo Matza e Sykes molta delinquenza è basata su forme di giustificazione della devianza. Il ricorso a tali giustificazioni, o scuse, precede il comportamento deviante e lo consente poiché disattiva i controlli sociali che dovrebbero inibire tale comportamento. Individuano 5 tecniche di neutralizzazione: Negazione della responsabilità: “Non è colpa mia perché ero sotto l’effetto di droghe”, Negazione del danno: “Non ho fatto male a Quanto agli attori, sappiamo praticamente tutto degli imputati condannati e delle persone sottoposte all'esecuzione delle misure penali, mentre poco o nulla troviamo a proposito degli autori di reato nelle statistiche della delittuosità, poiché la denuncia concerne in moltissimi casi reati compiuti da individui (ancora) non conosciuti o, al momento della registrazione, solo presunti colpevoli. I limiti di queste statistiche sono: - Difficili da comparare a livello internazionale. - Difficili considerazioni di lungo periodo o longitudinali. - Sono poco utili nel rivelare il profilo degli autori dei reati in quanto un gran numero di denunce (tra il 75 e l’80%) viene solitamente effettuato contro autore ignoto. Allo stesso modo più dell’80% dei reati per i quali l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale è di autore ignoto. Ci sono tre visioni per l’interpretazione delle statistiche ufficiali: 1) la visione positivista tende a considerare le statistiche (fatti salvi errori di registrazione cui è possibile porre rimedio) lo specchio fedele di quella realtà oggettiva che è la criminalità; Le statistiche ufficiali, quindi, restituiscono una rappresentazione abbastanza fedele dell’andamento della criminalità in un dato paese. 2) la visione costruzionista, al contrario, sostiene che le statistiche ufficiali non possono affatto descrivere la criminalità reale o le caratteristiche degli individui che commettono reati perché hanno troppi limiti. le statistiche ufficiali non corrispondono affatto ai numeri reali, ma sono appunto COSTRUZIONI SOCIALI. Ciò che viene restituito non è un andamento reale della criminalità ma piuttosto le strategie di selezione delle agenzie di controllo, ovvero la selettività con la quale operano le agenzie di controllo (forze dell’ordine, Magistratura). Es: Sono davvero aumentati furti e rapine o piuttosto è aumenta l’attenzione con la quale le agenzie di controllo guardano a questo tipo di comportamenti ad esempio a scapito di altri? 3) la visione realista si pone in una posizione intermedia e considera le statistiche, pur con i loro limiti riconosciuti, possono costituire una parziale descrizione della criminalità reale e della propensione a commettere reati di certi gruppi. Da sole le statistiche ufficiali sono insufficienti a dare una rappresentazione verosimile. Vanno integrate con altri tipi di ricerca, ossia le indagini di vittimizzazione e di autoconfessione. 3) COME LE SCELTE DEGLI ATTORI SOCIALI POSSONO INFLUENZARE LE STATISTICHE Il grado di conoscenza della estensione quantitativa di un determinato reato è correlato da scelte di attori sociali che si attivano in modo diverso: - i cittadini che quel fatto hanno subito come vittime o al quale hanno assistito come testimoni e decidono di informare un qualche rappresentante delle forze dell'ordine, ovvero di denunciarlo; - i rappresentanti delle forze dell'ordine, nello svolgimento delle loro attività di controllo del territorio e lo svolgimento di indagini orientato alla ricerca e scoperta di comportamenti reato e dei loro responsabili. Le agenzie di controllo sono discrezionali e selettive, dunque il loro impegno si concentra su alcune fattispecie di reato, su alcuni ambiti territoriali e su alcune categorie di soggetti. Il tema della selettività si correla in questo senso con l'immagine di efficienza che l'organizzazione è chiamata a dare in maniera costante. Una immagine che, è costruita in buona parte sui numeri. Un esempio sono le distorsioni evidenti nella produzione di “buoni" numeri da parte delle forze di Polizia su esplicita sollecitazione dei governi dimostrare efficienza nella repressione della delinquenza. Le organizzazioni devono fare i conti con le sollecitazioni che provengono dall'ambiente (mass media, opinione pubblica, organizzazioni di cittadini, autorità politiche e amministrative) in merito a quelle che di volta in volta sono definite come emergenze o comunque priorità. Ne derivano scelte e orientamenti di azione che vedono, almeno per un certo periodo, la concentrazione delle energie e delle (sempre scarse) risorse nella direzione della dichiarata che ha come conseguenza la prevalente messa in evidenza, anche nelle statistiche, di quei fenomeni e dei loro protagonisti. fare statistica, produrre cioè dati che abbiano l'effetto di dimostrare capacità operative ed efficienza, induce a orientare le scelte di azione verso i reati più facilmente osservabili e verso gli individui le cui azioni sono più visibili e i cui tratti sono più facilmente correlabili allo stereotipo del criminale più diffuso. Tutto ciò, di conseguenza, influisce sulla rilevanza dei crimini nelle statistiche. Inoltre il numero oscuro della criminalità varia a seconda della propensione delle vittime a denunciare. Non tutti coloro che hanno subito un reato decidono di rivolgersi o comunque darne informazione alle forze dell'ordine. La loro scelta dipende, in primo luogo, dal tipo di reato subito, ossia per i reati predatori le motivazioni sono orientate dagli interessi, (come per esempio il valore dei beni sottratti-la possibilità di essere risarciti o di rientrarne in possesso e infine l’impegno inteso come tempo ed energia per la denuncia e possibili processi come testimone e l’obbligo di denunciare per pratiche amministrative) mentre per i reati contro persona le motivazioni dipendono: - dalla gravità del danno subito; - dal il tipo di relazione esistente tra autore del reato e vittima (non conoscenza ed estraneità, conoscenza superficiale o occasionale, frequentazione amicale o di vicinato, legame affettivo o di parentela, eventuale dipendenza o subordinazione in ambiente di studio o di lavoro, ecc.) - le conseguenze che la vittima si prefigura (si aspetta) per l'accusato a seguito della denuncia in termini di danni materiali, alla reputazione, alla vita sociale; - le implicazioni per sé, sul piano materiale, psicologico e relazionale, che si pensa seguiranno alla denuncia (perdita di risorse, compromissione dello status o dell'immagine, sensi di colpa, vergogna, rotture di legami, esclusione sociale); spesso di tende a colpevolizzare la vittima. - le valutazioni che connotano quel tipo di reato nell’ambiente o gruppo sociale o nella cultura cui si appartiene, che possono far considerare il reato come più o meno grave, giustificabile, attribuibile anche ai comportamenti o atteggiamenti della vittima. Molti di questi elementi influenzano non solo le scelte delle vittime, ma anche quelle di chi assiste sistematicamente o occasionalmente alla commissione di reati e si trova di fronte alla scelta se denunciare o meno: chi, cioè, possiamo definire il testimone. Nell’orientamento alla denuncia sono anche rilevanti: - IL CLIMA CULTURALE che definisce la rilevanza e la gravità (ossia il significato e il valore) attribuite a ogni specifico reato; pensiamo ai mutamenti di percezione (e conseguentemente anche di considerazione sul piano normativo) del significato e della gravità della violenza sessuale e, più ampiamente, delle forme di molestie e di ricatto che connotano le relazioni di genere in molti contesti. - FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI DI POLIZIA E GIUSTIZIA: la percezione del funzionamento delle istituzioni di Polizia e di giustizia; Una fiducia che si misura in primo luogo sul piano della valutazione dei modi con acui chi denuncia viene accolto e della percezione della professionalità degli addetti a tale compito. Ma la fiducia si basa anche sui risultati che tali istituzioni ottengono o mostrano di ottenere nel perseguimento dei loro compiti istituzionali. - SPIRITO CIVICO DEI CITTADINI, siano essi vittime o testimoni: la concezione di sé come cittadino e appartenente a una comunità sociale. Si tratta di un fattore spesso messo in evidenza negli studi comparativi tra paesi diversi: lo spirito civico dei paesi scandinavi fa sì che la propensione a denunciare gli atti di cui si è stati testimoni sia molto più elevata rispetto agli altri paesi. È un elemento che fa riferimento alla concezione dei doveri che ognuno ha verso la collettività, tra cui vi è il dovere di contribuire al funzionamento delle istituzioni anche facendo sì che vengano a conoscenza del verificarsi di reati per meglio riuscire a definire politiche di contrasto. In alcuni casi possiamo arrivare a parlare di «crimini invisibili», ossia di reati che raramente vengono registrati o sono sistematicamente sotto-registrati e che anche le ricerche di vittimizzazione, concentrate prevalentemente sulla criminalità predatoria, tendono ad escludere. Questi crimini sono caratterizzati da elementi diversi:  La vittima non è consapevole di aver subito un reato, non percepisce cioè la propria condizione di vittima. (i tentati reati; la non conoscenza che si tratti di un reato; l’assenza di misure di sicurezza nei luoghi di lavoro; le conseguenze di inquinamento scoperte a distanza di anni)  La vittima non ha il potere di denunciare (es. gli abusi sull’infanzia), o ha timore che la denuncia provochi danni a persone vicine  La vittima è indefinita: nel senso che coincide con una collettività danneggiata nel suo insieme da un certo comportamento: (es. corruzione, evasione fiscale, i reati ambientali). In questi casi, al pari dei reati senza vittima, la probabilità di comparire - in misura più o meno ampia – nelle statistiche della criminalità è dipendente non già dalle scelte delle vittime (per definizione inesistenti) bensì delle istituzioni quali le forze dell'ordine, la magistratura, altre autorità investite di poteri di controllo. 4) CRIMINALITA’ NASCOSTA E COME STUDIARLA La criminalità nascosta è l’insieme dei reati commessi in un certo contesto e periodo, ma che non sono conosciuti in quanto non sono stati denunciati o non sono stati scoperti dalle forze dell'ordine e quindi non sono stati registrati. Si parla di numero oscuro della criminalità per indicare il numero di eventi criminali o reati non riportati nelle statistiche ufficiali. Tale numero può variare in base all’attenzione che un determinato comportamento assume nell’opinione pubblica o da parte del legislatore o da parte delle agenzie di controllo che sono determinanti a tutti i livelli (dalle indagini alla denuncia, alla persecuzione del reato, alla condanna dell’autore). Sono due i metodi utilizzati per studiare la criminalità nascosta e in entrambi si cerca di far emergere ciò che non risulta dalle statistiche ufficiali:  Indagini di autoconfessione: si tratta di indagini campionarie, rappresentative di una popolazione intera, o di determinati gruppi sociali. Viene utilizzato come strumenti di rilevazione, un questionario anonimo, strutturato e autosomministrato, in cui gli individui componenti il campione sono invitati a “confessare" l'eventuale messa in atto di comportamenti o azioni qualificati dalla legge come reati, con riferimento a un arco di tempo definito (tutta la vita, un anno ecc.) La "confessione" solitamente è raccolta attraverso la proposta di una lista di reati e la richiesta di indicare quelli commessi. All'intervistato si possono porre domande circa la ripetizione e la frequenza di tali comportamenti, le modalità del suo agire, le condizioni e le situazioni concrete che li hanno resi possibili o favoriti, le motivazioni che ne sono all'origine. E ancora, la presenza di eventuali coautori, le reazioni sociali e giudiziarie conseguenti ai fatti o, al contrario, le condizioni che hanno reso possibile la non scoperta del reato. Gli obbiettivi principali sono: - ricostruire la distribuzione della delinquenza nei diversi gruppi sociali in base al genere, alla classe sociale, all'età e all'appartenenza etnica, confrontandola con quella che emerge dalle statistiche ufficiali - mostrare come la violazione delle norme penali sia un fenomeno sociale ben più vasto e diffuso di quello raffigurato nelle statistiche ufficiali; Ci mostrano che il comportamento criminale degli individui è molto più diffuso di quanto le statistiche ufficiali riportano e che il comportamento criminale (=violazione di norme che sono definite dalla legge come reati) è molto più diffuso all’interno delle diverse classi sociali di quanto le statistiche ufficiali ci dicono. stato di demoralizzazione in cui versa la società capitalista. È infatti evidente come «il sistema capitalistico e le sue conseguenze indeboliscono nell'uomo i sentimenti sociali e ne impediscono lo sviluppo». Il suo superamento attraverso la costruzione di una società di tipo egualitario, basata sul comune possesso dei mezzi di produzione, appare a Bonger l'unica via efficace per la prevenzione del crimine e la soluzione degli altri problemi sociali che affliggono le classi più svantaggiate. In questa visione, il crimine e le devianze altro non sono che manifestazioni delle condizioni materiali della società e rappresentano una reazione alle condizioni di vita proprie della classe sociale cui gli individui appartengono. Le disuguaglianze strutturali del sistema e le condizioni di sfruttamento e di deprivazione delle classi subalterne sono all'origine delle scelte di molti individui nella direzione della violazione delle leggi o del rifugio in forme di alienazione (come l'alcolismo o le tossicodipendenze). Le condizioni di vita in aree degradate, la disgregazione familiare e, soprattutto, i bisogni di sopravvivenza connessi alla disoccupazione o alla sottoccupazione, in particolare nelle fasi di crisi e recessioni economiche, sono spesso fattori rilevanti nelle scelte di rottura con le norme. A maggior ragione se si pensa alle sollecitazioni che sul piano culturale investono tutti in direzione del consumismo e dell'adeguamento ai valori capitalistici. Con questo approccio si ha una riduzione economicista delle cause sulla devianza e criminalità. - l'approccio che identifica le ragioni della devianza nel venir meno di valori, regole, controllo sociale; un contributo importante per questo approccio è dato da uno dei padri fondatori della sociologia, ossia Durkheim, il quale individua come causa della devianza e criminalità l’ANOMIA, ossia la disgregazione dei valori condivisi e la conseguente assenza, per gli individui, di solidi punti di riferimento. L’anomia si verifica nel momento in cui la coscienza collettiva perde di rilevanza nella società e porta il passaggio da società tradizionale a società moderna. Nella società tradizionale è presente una solidarietà meccanica, per cui l’individualismo è ridotto e in compenso la conoscenza collettiva è forte NEL PLASMARE I COMPORTAMENTI INDIVIDUALI E I LEGAMI SOCIALI. Si tratta di società poco differenziate al proprio interno, in cui la divisione del lavoro e quindi dei compiti, delle funzioni, dei ruoli è minima. E il controllo sociale è regolato attraverso il diritto penale (funzione retributiva del diritto e della sanzione. Mentre nelle società moderne è presente una solidarietà organica, per cui l’enfasi è sull’individuo e non più sulla collettività. C’è un’alta divisione del lavoro e una differenziazione dei ruoli sociali. Queste società sono regolate dal diritto contrattuale. In questa trasformazione si determinano fenomeni di perdita di forza della coscienza collettiva, di disgregazione dei valori, di perdita di punti di riferimento comuni, di riduzione dell’incidenza delle relazioni sociali sulla condotta individuale: è questa l’anomia che caratterizza le società moderne (nelle quali mentre aumenta la densità materiale e quella sociale, non aumenta invece la densità morale). La coscienza collettiva non riesce più attraverso i meccanismi di controllo sociale a plasmare ed orientare il comportamento degli individui, che diventano così più incerti. I legami sociali in cui l’individuo è in qualche modo radicato perdono la loro capacità di orientarne il comportamento provocando una forte disgregazione sociale. Tutto ciò determina una condizione di anomia. Secondo Durkheim, la società è la sola “potenza” che può porre dei limiti alle inclinazioni egoistiche degli individui consentendo loro di coesistere pacificamente. Quando una società non è più in grado di agire da regola, da limite per il comportamento degli individui, e la coscienza collettiva non è più in grado di agire attraverso determinati meccanismi di controllo, si ha una società anomica. Quando la società sperimenta una condizione di anomia, si vede la trasformazione del crimine come fatto sociale normale a un fatto sociale patologico. Questo cambiamento è dovuto rapido incremento dei tassi di criminalità. Il crimine non è solo inevitabile in ogni società, ma è necessario, addirittura utile all'evoluzione delle società. In assenza di devianza, un gruppo o una società risultano caratterizzati da immobilità assoluta. Dunque il crimine svolge funzioni positive, ossia favorisce al mantenimento della coesione sociale (la società attraverso la reazione sociale per chi commette crimini, ribadisce la necessità e il pieno riconoscimento di quei valori fondamentali attorno ai quali si condensa la coscienza collettiva. Infatti la sanzione ha la funzione di aumentare la densità morale della società), apre le porte al mutamento e alla trasformazione della società in quanto non è altro che l’anticipazione della morale futura. Inoltre bisogna precisare che per Durkheim il crimine non esiste in natura, ma è l’esito di una definizione/costruzione sociale di un certo comportamento come criminale, ossia è la reazione della coscienza collettiva. Inoltre analizza per la prima volta il suicidio e i suoi tassi di andamento, con riferimento alle strutture sociali e ad altre variabili di carattere sociale. Ne deriva che il suicidio è un fatto sociale, in quanto le sue cause vanno ricercate nella società e nell’anomia. Elabora tre categorie  Il suicidio egoistico → varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo (società religiosa, familiare, politica); caratterizzato da una mancata integrazione nei gruppi sociali di riferimento. Qui l’individuo è lasciato molto a sé stesso  Il suicidio altruistico → (la spiegazione del suicidio risiede in un eccesso di attaccamento al gruppo); qui l’individuo annulla la propria soggettività, per eccessiva integrazione nel gruppo di riferimento  Il suicidio anomico → (i membri della società sono più esposti a questo tipo di suicidio quando il potere delle norme sociali, che dovrebbero regolare la loro condotta, si affievolisce). - l'approccio che punta l'attenzione sulle carenze sul piano relazionale, educativo, ambientale. Un contribuito importante è stato dato dagli studi di comunità inaugurati dalla Scuola di Chicago. Adotta una prospettiva ecologica, ossia è l'AMBIENTE che ha un'influenza sul comportamento di questi individui. Non solo le caratteristiche socio-demografiche degli individui (età, sesso, titolo di studi) ma anche il LUOGO in cui essi risiedono posò avere un’influenza sulla propensione a commettere crimini. In questo approccio si analizzano degli spazi ecologici dove gli individui interagiscono tra loro, anche in modo conflittuale, per ottenere le risorse scarse dell’ambiente in cui vivono. Studiano la comunità umana come un insieme di individui interdipendenti che sono modellati dalle loro interazioni e dalla dipendenza dall’ambiente nel quale vivono. Viene utilizzato un approccio metodologico che consiste nella raccolta dati da varie fonti istituzionali sui crimini commessi con lo scopo di vedere come l'andamento dei crimini si distribuisce in modo diverso nelle diverse aree geografiche. Un altro concetto che emerge dalle ricerche della scuola di Chicago è la disorganizzazione sociale. Le loro ricerche esaminano come alcune caratteristiche ecologiche delle diverse aree naturali della città producano livelli diversi di criminalità. Con il termine «disorganizzazione sociale» si indica una situazione caratterizzata dalla «diminuzione dell’influenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo» e dall’assenza di nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti. È la disorganizzazione sociale la causa di comportamenti devianti e criminali. Un altro concetto che emerge dalle ricerche della scuola di Chicago è la disorganizzazione sociale. Le loro ricerche esaminano come alcune caratteristiche ecologiche delle diverse aree naturali della città producano livelli diversi di criminalità. Con il termine «disorganizzazione sociale» si indica una situazione caratterizzata dalla «diminuzione dell’influenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo» e dall’assenza di nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti. È la disorganizzazione sociale la causa di comportamenti devianti e criminali. Dalle intuizioni di Durkheim si sono susseguite diverse teorie come la teoria della tensione di Merton, le teorie delle subculture e le teorie sulle carenze educative, sociali e relazionali. Merton insieme a Parsons, è un esponente del struttural – funzionalismo, ossia una teoria che studia la società come una totalità di strutture culturali e sociali interdipendenti, ciascuna delle quali svolge una funzione importante per il mantenimento delle condizioni essenziali di un sistema sociale. Per Parsons la devianza una condizione patologica dovuto alla carenza o alla mancanza della socializzazione a cui occorre rispondere con un trattamento rieducativo per fare in modo che il soggetto si comporti in modo conforme e che la devianza sia eliminata. (risocializzando l'individuo, la società può tornare al suo perfetto equilibrio.) In ogni società sono definite sia la struttura culturale (le mete a cui gli individui possono legittimamente aspirare) e sia la struttura sociale (è la posizione che l’individuo ricopre all’interno di un dato tessuto sociale, questa definisce i mezzi legittimi per raggiungere le mete). Su questa base Merton elabora la teoria della tensione, ossia la condizione di anomia di una società dovuta al contrasto tra mete culturali e struttura sociale. Per conseguire le mete culturali, per ottenere successo economico chi è posto più gradini più elevati della struttura sociale lo può fare in modo agevole, usando i mezzi legittimi (la scuola, il lavoro, le conoscenze) per raggiungere una determinata meta. L’individuo posto nei gradini più bassi della struttura sociale se vuole perseguire le mete culturali non ha un accesso agli stessi mezzi attraverso cui si può raggiungere una certa meta → se vuole conseguire delle determinate mete adotterà dei mezzi alternativi che però non sono definiti legittimi. quando mete e mezzi istituzionali sono poco integrate, si verifica la demoralizzazione, ovvero quando ogni mezzo può diventare ammissibile per raggiungere i propri obiettivi, fino ad arrivare alla devianza. Dunque non c’è nulla di patologico nel deviante, il comportamento deviante è una risposta normale a condizioni sociali di un certo tipo. La teoria della subcultura di Cohen evidenzia come molti comportamenti criminali siano commessi da gruppi di ragazzi piuttosto che da singoli individui e come tali gruppi spesso condividano una subcultura. La subcultura nasce per Cohen la subcultura reazione di gruppo ad una frustrazione di status. La capacità di avanzare di status, non dipende dalla forza di volontà del singolo individuo, ma è legata al processo di socializzazione a cui quel ragazzo è stato esposto e quindi al grado in cui ha interiorizzato i valori con cui poi viene giudicato. Cohen si focalizza sui giovani della classe operaia, i quali non riuscendo a conformarsi alla classe media, difficilmente potranno avanzare di status e dunque proveranno una FRUSTRAZIONE DI STATUS. Una della reazione a questa frustrazione è la devianza, adottando comportamenti criminali. Nella soluzione dell’adattamento della subcultura delinquente il ragazzo forma la propria identità IN CONTRASTO con i valori dei ragazzi della classe dominante. Cohen afferma che la probabilità che un ragazzo con un problema di adattamento diventi un criminale dipenderà dal tipo di legame che intreccerà con i membri della subcultura delinquente. Se intratterrà relazioni stabili con tali membri, è probabile che inizierà a considerare la subcultura come una efficace soluzione ai propri problemi di adattamento. 6) APPROCCI ALLA DEVIANZA E LE POLITICHE. I diversi approcci alla devianza sono rappresentati da paradigmi, susseguitisi nel tempo, che hanno cercato di individuare le cause dei comportamenti criminali e deviante. Ad ogni paradigma corrisponde una politica di controllo sia in termini di reazione che di prevenzione ai fenomeni di devianza. Ad ogni modello di spiegazione possiamo associare determinati orientamenti delle norme e conseguenti politiche: PARADIGMA CLASSICO: secondo questa teoria il crimine è frutto di scelta razionale basato sul calcolo costi- benefici compiuto liberamente dagli individui. C’è una concezione edonistica del comportamento umano, in quanto l’individuo di principio è libero di scegliere l’osservanza o la trasgressione delle leggi, seguendo i propri interessi. Nella sua scelta avviene un calcolo tra costi-benefici, cioè mettendo a confronto i benefici rappresentati dai vantaggi ottenibili mediante uno specifico comportamento vietato dalle leggi e i costi rappresentati dalla pena associata a tale comportamento dalle norme del diritto penale. Tutto questo ha come obbiettivo la massimizzazione del piacere. Cesare Beccaria è il massimo esponente della scuola classica, egli giustifica la pena solo se produce utilità per la società. La sanzione deve avere una funzione di deterrenza, l’obbiettivo da ottenere è che il reato non venga ripetuto dal soggetto deviante (deterrenza speciale) e la popolazione che avverte la concreta minaccia della sanzione si astenga dal compiere reati (deterrenza generale), e deve essere amministrata attraverso il giusto processo (ossia i giudici devono essere imparziali e porsi al di sopra delle parti, la sua discrezionalità nell’applicare una norma deve essere minima, i reati e le pene devono essere stabiliti per legge e il processo deve essere pubblico). Se l’uomo è un essere razionale e calcolatore, per evitare un’azione criminosa, è necessario che le conseguenze di questa azione procurino all’individuo un danno maggiore rispetto ai benefici, in modo tale che non sia più conveniente, utile o desiderabile trasgredire la legge. Per ottenere questo scopo la pena deve possedere alcune caratteristiche fondamentali, essenziali per la costruzione di un sistema efficace di prevenzione del crimine: ⁃ prontezza: a un reato deve seguire immediatamente una sanzione ⁃ infallibilità: a una violazione della legge penale deve corrispondere sempre una pena ⁃ certezza: la pena una volta comminata deve essere scontata interamente senza possibilità di accedere a misure di clemenza o perdono ⁃ dolcezza: la pena deve risparmiare al condannato ogni inutile sofferenza, non già per qualche forma, diremmo oggi, di "buonismo", ma perché essa non è caricata di intenzioni retributive. domiciliare, la semilibertà). I soggetti a cui si riferisce questa politica sono principalmente i giovani (i minori), una pena scontata in carcere per un individuo molto giovane in fase di formazione può avere un impatto estremamente rilevante per quella che è la sua futura carriera criminale/deviante. Il legislatore ritiene che per favorire il recupero di un minore che ha commesso un crimine anche serio, sia fondamentale allontanare il minore dal sistema penale. Queste politiche hanno un carattere selettivo e limitato: applicano per quegli individui che hanno già una rete di sostegno solida. Se è un minore deve avere una famiglia disposto a seguirlo, deve vivere in un contesto che gli fornisca degli strumenti che possano accompagnarlo nel suo percorso. Le politiche di deistituzionalizzazione nascono come critica radicale alle istituzioni totali come strumenti di punizione e trattamento dei devianti, in quanto le persone rinchiuse sono impossibilitate allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno. Il processo di istituzionalizzazione attiva il meccanismo di spersonalizzazione, per cui le persone internate non sono più individui, ma assumono l’identità che l’istituzione impone. Perciò il carcere è davvero l’unica soluzione? Secondo le politiche di istituzionalizzazione bisogna promuovere pratiche di lavoro sociale che consentano alle persone di essere curate e assistite rimanendo a vivere nel proprio ambiente sociale e familiare e Istituire luoghi “aperti” di trattamento, destinati a quelle persone che non possono, per varie ragioni, essere curate e assistite nel proprio ambiente in cui favorire lo scambio sociale con il mondo esterno. - TEORIE NEOCLASSICHE= il contesto in cui si sviluppa è quello della globalizzazione. - TEORIE NEOPOSITIVISTE 7) LA DEVIANZA, LE NORME, LE SANZIONI Con il concetto di devianza non si fa riferimento solo al rifiuto delle norme giuridiche, ma anche al rifiuto delle norme vigenti in una società. Dunque la sociologia della devianza non studia solo i crimini, ma anche i comportamenti problema, ossia quelli che violano le regole presenti in una società o cultura e che suscitano reazioni negative. La devianza è un concetto relativo e mutevole a seconda del tempo, dello spazio, in quanto lo stesso atto può essere normale in una cultura ed essere fortemente condannato in un'altra, e in fine a seconda dei ruoli e della collocazione sociale di chi agisce. Nonostante questi limiti, affinché si possa dare una definizione di devianza devono presenti i seguenti elementi: - L’esistenza di un gruppo sociale o cultura in cui tale definizione sia riconosciuta e condivisa - Esistenza di norme, costumi, aspettative e credenza giudicate legittime o comunque rispettate. La devianza ha che vedere con le aspettative di ruolo, vale a dire che uno stesso comportamento può essere deviante o meno a seconda del ruolo ricoperto da chi lo mette in atto. Per esempio Sparare a qualcuno con una pistola è considerato atto deviante se chi la usa non è legittimato a farlo in virtù del ruolo che ricopre. Al contrario il titolare di un ruolo che prevede l'uso di quella pistola (un poliziotto) - purché nell'esercizio delle sue funzioni e in circostanze che sono previste da specifiche norme- non solo non sarà oggetto di biasimo e sanzioni, ma potrebbe essere premiato come autore di un atto eroico. - Riconoscimento che una violazione di tali regole condivise è valutato negativamente dalla maggioranza dei membri delle collettività considerata - E l’esistenza di conseguenze negative a carico dei soggetti autori del comportamento deviante, ossia le sanzioni sociali e istituzionali. E’ importante questo aspetto in quanto non tutti i comportamenti tenuti da una minoranza che si scostano dalla maggioranza sono devianti. Affinché possano essere definiti tali devono suscitare reazioni negative dai membri del contesto sociale. Ci sono diverse categorie di comportamenti devianti che si differenziano in base al tipo di norme a cui si riferiscono. Da un lato abbiamo l’allontanamento dalle norme sociali e dall’altro lato abbiamo fenomeni che riguardano stili di vita problematici. Edwin Lemert è il primo sociologo a proporre la distinzione tra devianza prima e devianza secondaria, partendo dalla teoria dell’etichettamento. Secondo la teoria la devianza è il risultato di un’etichetta che la società attribuisce a certi comportamenti, secondo convenzioni sociali e culturali. Secondo i teorici dell’etichettamento a produrre devianza è la reazione sociale della società. Dare l’etichetta di deviante influisce significativamente sull’identità della persona e può portare il passaggio dalla devianza primaria alla devianza secondaria. La devianza primaria è un allontanamento dal rispetto delle norme, senza che questo comporti nessuna conseguenza particolare per l’individuo. Quella secondaria invece, è quella condizione per la quale, gli individui che hanno violato una norma o commesso un atto deviante, sono stati stigmatizzati per questo comportamento e questo processo di stigmatizzazione ha comportato delle conseguenze negative sull’identità degli stessi soggetti che vengono definiti e percepiti da sé stessi e dagli altri come devianti/criminali. È una condizione nella quale la reazione sociale nei confronti dei soggetti che hanno commesso un atto deviante o criminale è stata presente e ha avuto un impatto negativo. Le conseguenze sono la riproduzione sociale di quel comportamento in un contesto sub-culturale che fornisce ai suoi membri un insieme di norme e di valori che orientano le loro azioni e che si differenziano, ma solo in parte, dalle norme e dai valori della cultura dominante. Elaborano collettivamente forme diverse, illegali o considerate devianti per affrontare la frustrazione del non riuscire a raggiungere le proprie mete. Un tipo di comportamento ritenuto stigmatizzabile in un contesto, diventa invece quello attraverso il quale il gruppo sub-culturale si identifica e grazie al quale ha coesione. Esempio: La devianza primaria di solito si verifica all'interno del proprio gruppo di pari che si impegna nello stesso comportamento. Ad esempio, un adolescente che fuma sigarette con altri adolescenti non percepisce alcun cattivo comportamento perché tutti gli altri membri del gruppo di amici fumano. La devianza secondaria si verifica quando lo stesso adolescente si trasferisce in un'altra scuola e fuma di fronte a un gruppo di pari che evita di fumare. L'adolescente è etichettato come un emarginato e comincia a fumare di più perché la gente gli ha detto che fumare non era accettabile. Questa volta, la persona sa che il comportamento è deviante e continua comunque a comportarsi in modo scorretto. In precedenza si è fatto riferimento alle norme, che sono elemento essenziale per definire il concetto di devianza. Le norme sono regole che guidano i comportamenti sociali la cui violazione dà luogo a sanzioni. Ci sono diversi tipi di norme, come le norme prescrittive (impongono obblighi- delineano i comportamenti da tenere), le norme proscrittive ( impongono i divieti -delineano i comportamenti da evitare), le norme sociali (orientamenti di azione trasmessi culturalmente e accettati e condivisi dalla maggioranza e sono vincolanti finché vengono seguiti da quest’ultima) e infine le norme giuridiche (enunciati linguistici posti da istituzioni legittimate a formularli, provviste di sanzioni predefinite e sono valide anche se nessuno le rispetta e rimangono in vigore fino a quando non viene abrogata da un’altra legge). Quindi lo scostamento di una norma, non riguarda solo non rispettare il comportamento della maggioranza, ma anche violare le aspettative di ruolo, violare regole e valori condivisi di una società. L’ottemperanza delle norme può dipendere dall’adesione morale al contenuto della norma oppure dalla paura della sanzione. Ogni qual volta un individuo si discosta da una norma sarà oggetto di sanzioni. Le sanzioni si distinguono in negative (punizioni), positive (premi, incentivi), istituzionali o formali (penali- amministrative), sociali e informali (ritiro della fiducia, esclusione dalle relazioni sociali, negazione di opportunità e perdita di reputazione o stima dalla comunità). Le sanzioni hanno funzionalità differenti: - Funzione retributiva, è propria dell’epoca pre moderna. Consiste nel restituire al colpevole il male procurato dalla sua azione illecita. Si avvicina al concetto di vendetta e si rifà al principio “occhio per occhio”. - Funzione deterrente o preventiva, ha come obbiettivo di far sì che attraverso la sanzione il reato non venga ripetuto dal soggetto deviante (deterrenza speciale) e la popolazione che avverte la concreta minaccia della sanzione si astenga dal compiere reati (deterrenza generale). Alla base c’è l’idea che l’individuo faccia le proprie scelte sulla base di un calcolo costi-benefici e che si asterrà nel violare le norme per le conseguenze che ne deriverebbe. Ci sono due limiti per questa funzione, ossia l’idea che l’individuo sia un attore razionale e base le proprie scelte sul calcolo costi-benefici è infondata empiricamente. In secondo luogo, se la probabilità di essere scoperti è nulla, non ci sarà nessuna sanzione, anche se alta, a scoraggiare l’individuo. In conclusione, affinché la deterrenza funzioni deve essere IMMEDIATA, CERTA, SEVERA E PROPORZIONALE AL REATO COMMESSO. - Funzione rieducativa: la sanzione deve servire a cambiare, riabilitare e risocializzare il deviante. C’è l’idea che il deviante sia un soggetto i cui istinti possano essere corretti o che comunque non ha avuto l’opportunità di una buona educazione e dunque se aiutato può migliorare. - Funzione incapacitante o di neutralizzazione: la sanzione serve per escludere il reo dalla società isolandolo dalle relazioni sociali al fine di impedirgli di danneggiare gli altri. Ha come obbiettivo quello di neutralizzare gli istinti del deviante e renderlo capace di non agire. In conclusione per capire l’incidenza di una norma sulla società bisogna analizzare due aspetti fondamentali, ossia efficacia ed effettività della norma. Non sempre questi due aspetti sono collegati perché una norma può essere effettiva, ossia di applicazione rigorosa delle sanzioni minacciate si associa il raggiungimento degli obiettivi che il legislatore dichiarava di voler perseguire introducendo quella proibizione. 8) CONTROLLO SELETTIVO A CHE COSA SI COLLEGA Il controllo selettivo si collega al processo di CRIMINALIZZAZIONE SECONDARIA che è uno dei modi, assiema alla criminalizzazione primaria, attraverso cui si sostanzia il controllo sociale. La criminalizzazione primaria è la definizione da un punto di vista legislativo di un comportamento come reato, illegale, vietato, mentre la criminalizzazione secondaria riguarda l’applicazione della norma a chi adotta quel comportamento. Da parte di attori sociali come le agenzie di controllo. L’implementazione delle norme ha carattere selettivo (non riguarda tutti allo stesso modo) poiché la reazione sociale non è orientata da criteri oggettivi ma è espressione delle scelte e degli interessi di coloro che hanno il potere di etichettamento, nonché delle prassi e dei vincoli organizzativi che regolano l’attività delle istituzioni deputate al controllo sociale. Basti pensare alle forze dell’ordine che spesso, all’interno delle prassi e dei vincoli organizzativi prediligono il controllo su alcuni soggetti rispetto ad altri, perché hanno in mente uno STEREOTIPO DI CRIMINALE (maschio adulto, dai tratti non europei). Il processo di selezione della categoria di criminali secondo lo stereotipo dominante è perpetuato dalle agenzie di controllo, dalla magistratura e dalle istituzioni carcerarie che agisce sulla base di quello stesso stereotipo e, insieme, lo rafforzano. Dagli studi e dalle ricerche sulla Polizia emerge una sostanziale conferma delle modalità selettive di esercizio del controllo cui contribuiscono, da un lato, la cultura diffusa tra i componenti delle varie forze dell'ordine, dall'altro imperativi potremmo dire sistemici: dimostrare - dati i mezzi sempre limitati a disposizione - la propria efficienza attraverso risultati anche quantitativi. Le istituzioni, infatti, agiscono di solito selezionando tra i molteplici compiti loro affidati dalla legge quelli che maggiormente consentono di valorizzare la propria funzione, gestendo attraverso un'opera costante di manipolazione dell'informazione la contraddizione tra il bisogno di affermare i propri successi e l'esigenza di ribadire la propria indispensabilità a fronte della sempre crescente gravità dei problemi. Tale risultato è più facilmente ottenibile se l'attenzione si pone su reati di minore complessità, che possono essere scoperti con controlli relativamente facili su gruppi di individui meno in condizione di resistere alle azioni di polizia. Da ciò ne conseguente che ci saranno soggetti sottoposti ad un controllo selettivo maggiore rispetto ad altri e saranno quei soggetti che hanno meno potere (individui posti al margine della struttura sociale). Secondo Becker quando vengano create e applicate delle norme è molto probabile che vi sia un individuo o un gruppo attivo, chiamati da lui imprenditori morali, che attraverso le imprese morali si arriva a definire quella che è la costituzione morale della società, ossia stabilire attraverso il diritto ciò che è considerato Studiare e fare ricerca sui comportamenti e i fenomeni che sono qualificati o definiti criminali o devianti appare un compito difficile e complesso. Si tratta di comportamenti che, in quanto oggetto di riprovazione, se non di sanzioni formali, in genere sono tenuti nascosti agli occhi di altri. Questo comporta i problemi a proposito della qualità (difficile creare teorie esplicative fondate su evidenze empiriche) e dei limiti delle statistiche criminali. Nell’ambito della qualità della ricerca, se voglio capire il senso di un determinato comportamento (es: consumo di sostanze) ho bisogno di capire qual è il senso che l’attore selezionato attribuisce a quell’azione. Ma è difficile entrare in relazione con questi soggetti e creare relazioni di fiducia. Si hanno due piani su cui la ricerca si impegna: quello descrittivo e quello esplicativo (o interpretativo). La ricerca descrittiva si propone di quantificare degli atti e dei comportamenti criminali o devianti, il loro andamento nel tempo e/o la loro differente distribuzione in contesti diversi, nonché la descrizione dei soggetti che sono protagonisti o hanno relazione con i fenomeni considerati (AUTORI, VITTIME E TERZI, ossia coloro che entrano in contatto con i primi due). Sul piano esplicativo l’obbiettivo principale è quello di ragionare nell’ambito dei fattori causali, ossia le cause della devianza e della criminalità, nonché ragionare sugli esiti dei contenuti e delle impostazioni delle norme e delle politiche. Uno dei metodi utilizzati è quello dell’osservazione partecipante, che adotta un approccio comprendente, attraverso cui il ricercatore si inserisce in maniera diretta e per un periodo di tempo relativamente lungo in un determinato gruppo sociale preso nel suo ambiente naturale, istaurando un rapporto di interazione personale con i suoi membri allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di immedesimazione, le motivazioni. Una delle difficoltà di questo approccio è creare un legame di fiducia con uno o più appartenenti al gruppo in questione. Una volta superate le barriere di diffidenza, i dati vengono raccolti attraverso interviste discorsive e focus di gruppo. Nel non essere influenzato, nella lettura di quanto succede, dalle proprie preletture e dai propri pregiudizi. nel rappresentare in maniera fedele e oggettiva le acquisizioni cui è pervenuto; Quando parliamo di “misurazione” della criminalità, utilizziamo una metodologia e degli strumenti per conoscere i crimini, ossia i fatti che sono etichettati dalla legge come reato. Conosciamo solo una piccola porzione della criminalità attraverso le statistiche ufficiali (che è quella emersa dalla criminalità ufficiale o registrata), e anche di questa piccola porzione che conosciamo con incertezza e limiti, legati non solo alla validità dello strumento statistico a disposizione ma anche rispetto alla selettività e all’agire selettivo degli attori che sono coinvolti in questo tipo di analisi (Forze dell’ordine, Magistratura) e alle scelte delle vittime di sporgere denuncia o meno. Per quanto riguarda i comportamenti che NON sono etichettati come reati, non sono considerati crimini ma sono considerati comportamenti devianti, ovvero tutti quei “comportamenti-problema” per i quali registriamo una reazione sociale negativa è ancora più difficile rilevare dati. Per i fenomeni di devianza, come dipendenze, malattie mentali, vittime di tratta, senza dimora, possiamo far riferimento a statistiche ufficiali elaborate in particolare da autorità amministrative o sanitarie, da alcuni ministeri o dallo stesso ISTAT. Queste statistiche però hanno evidenti limiti, che non consentono di utilizzarli come fotografie esaustive e fedeli dei fenomeni considerati. le persone che si rivolgono a o sono intercettate da questi tipi di servizi rappresentano una parte dell’universo di quanti le vivono. Le statistiche ufficiali, intorno a questi fenomeni, sono dunque anch'esse costruite a partire da scelte individuali di manifestare a qualche istituzione la propria situazione o dall'attivarsi di agenzie e servizi a partire da sollecitazioni diverse. I dati sono espressione delle scelte degli individui generate dalla volontà e dall'esigenza di entrare in contatto con i servizi per ottenere sostegno e cura, ma anche della facilità di accesso agli stessi correlata alla loro diffusione e collocazione sul territorio nonché alla percezione, condivisa con altri, della loro capacità di accoglienza e della loro efficienza, in una parola della loro qualità. Non solo i dati sono anche espressione di sanzioni di natura amministrativa da parte delle agenzie di controllo. I comportamenti di cui si occupano i sociologi della devianza sono comportamenti che gli individui che li adottano NON vogliono mostrare pubblicamente, in quanto sono comportamenti e condizioni cui è comunemente associato uno stigma o, in determinati contesti, anche sanzioni (penali o amministrative) e che quindi vengono, laddove è possibile, nascosti. Dunque si parla di POPOLAZIONI NASCOSTE. Con l'espressione "popolazioni nascoste" facciamo riferimento a quei gruppi di individui accomunati dal fatto di mettere in atto un determinato comportamento (come l'uso di sostanze stupefacenti o l'esercizio della prostituzione) o di vivere una determinata condizione (come lessere HIV positivi): Si tratta di caratteristiche e comportamenti alle quali è comunemente associato uno stigma e che quindi vengono, laddove è possibile, nascoste. La prima (e principale) difficoltà nel costruire una ricerca è data dalla possibilità di entrare in contatto con i soggetti devianti che tendono a sottrarsi per paura di essere identificati come tali e dunque di essere stigmatizzati e subire una reazione sociale. Il secondo consiste nel riuscire a costruire un campione che sia quanto più possibile rappresentativo della popolazione nel suo insieme. I metodi utilizzati sono i seguenti: 1) «Pescaggio e ripescaggio dei soggetti nascosti. Ripreso da metodi di quantificazione delle popolazioni animali nascoste. L’obiettivo è di quantificare i soggetti che adottano un determinato comportamento. Consiste in complessi calcoli che desumono le quantità totali dei pesci dal rapporto tra pesci pescati, segnati e rimessi nel lago e pesci non segnati, all'esito di un certo numero di pescaggi. È costituito dall'emersione dei soggetti attraverso i contatti con le agenzie di controllo (arresti, fermi per accertamenti, segnalazioni per sanzioni amministrative) o con determinati servizi in cui possono incappare involontariamente (ad esempio a seguito di incidenti) o cui possono rivolgersi per motivi diversi da quelli correlati alla loro condizione che intendono tenere nascosta (pensiamo alla necessità di cure mediche non specialistiche). Si “pescano” alcuni individui, vengono poi segnati e “ributtati in mare”. Con questa tecnica, grazie a vari tentativi di pescaggio e ripescaggio, si riesce a quantificare il numero di “pesci presenti in quel lago”. -Si possono marcare gli individui che entrano in contatto con le agenzie di controllo, con i servizi per un determinato comportamento e poi rispetto a quando e quante di queste persone si incontrano di nuovo, si arriva a quantificare la popolazione nascosta (es numero di giovani che fanno uso di cannabis) a partire da coloro che sono entrati in contatto con i servizi. 2) Mappature su basi territoriali La seconda deriva da azioni specifiche condotte da determinati servizi sociali o sanitari al di fuori degli ambiti tradizionali (cui accede chi decide di farlo), ossia andando a incontrare le persone appartenenti a un particolare gruppo nei contesti naturali di vita o di messa in atto di comportamenti o attività. 3) Il campionamento a valanga= prevede la costruzione del campione a partire dal contatto e dalla richiesta di disponibilità a collaborare con un individuo che soddisfi la caratteristica ritenuta fondamentale in quanto oggetto di studio (ad esempio essere un consumatore di eroina o di altre sostanze stupefacenti), a cui si chiede di segnalare altre persone che condividano le stesse caratteristiche. A ognuno di essi si pone il medesimo quesito e, in questo modo - a valanga -, si compone il campione, avendo cura di inserire man mano soggetti che presentino le caratteristiche secondarie importanti e scartare man mano quelli delle categorie giunte a saturazione. Si procede così fino a quando non è raggiunto un numero significativo di soggetti in cui siano rappresentate le principali articolazioni dell'insieme. Limiti del campionamento a valanga: - La bontà del campione è tutta basata sulla scelta del soggetto/i iniziale data la volontarietà della partecipazione si tende a sovrastimare nel campione le persone che mostrano tratti caratteriali più collaborativi - Esiste un fenomeno di «protezione» da parte di operatori per cui i soggetti considerati più «deboli» difficilmente verranno indicati per partecipare alla ricerca. → La bontà di un buon campionamento a valanga dipende molto dalla scelta dei primi soggetti della catena. La logica è quella di farsi aiutare dai primi soggetti che contattiamo per facilitare il contatto con i soggetti che loro conoscono. È un tipo di campionamento che può presentare limiti rilevanti in ragione dell’auto-selezione dei soggetti che fanno parte di queste catene. Es: è più facile che si rendano disponibile per un'intervista i soggetti meno deprivati → bisogna essere nella giusta condizione per poter dedicarsi ad un’intervista, gli operatori stessi poi, tendono a segnale poi per l’intervista, quei soggetti per la quale risulterebbe meno problematica. Altra criticità → SATURAZIONE DEL CAMPIONE → sono interessata ai consumatori di nuove sostanze psicoattive. Si iniziano le interviste e grazie alle catene, essi si accumulano. Posso poi essere interessata a costruire un campione che sia eterogeneo per età, per sesso, per condizione professionale per titolo di studio → se su 50 interviste che voglio realizzare, dispongo già di 10 maschi adulti, con titolo di scuola secondaria superiore, sarei interessata ad intervistare giovani donne con titolo di studio superiore. Molto utilizzato il ricorso ai c.d «testimoni privilegiati», ossia persone che, soprattutto per motivi professionali (es. operatori di servizi, insegnanti, agenti di polizia, magistrati, …), per il ruolo che rivestono o per la loro frequentazione di un determinato ambiente, hanno direttamente a che fare -pur non facendone parte -con il gruppo sociale che si vuole conoscere. Le informazioni possono essere di tipo quantitativo (i dati che registrano nel corso del loro lavoro possono essere utilizzati per la costruzione di stime di consistenza dei fenomeni) e di tipo qualitativo: caratteristiche delle persone implicate, modalità dei comportamenti, caratteristiche degli ambienti e delle relazioni, ecc. Uno dei limiti è connesso sostanzialmente al ruolo delle persone identificate come informatori, che possono essere influenzate nel loro approccio da particolari pregiudizi professionali e/o istituzionali che rischiano di portarli a sovrastimare o sottostimare determinati aspetti o caratteristiche del fenomeno analizzato. Le ricerche intraprese nell’ambito della criminologia, sono riconducibili a due categorie: - Coloro che utilizzano gli strumenti della STATISTICA ATTUARIALE= è un metodo di ricerca che si basa sui differenti rischi di incorrere in comportamenti criminali o devianti o di essere vittime di comportamenti criminale o deviante. Il termine attuariale fa riferimento alle assicurazioni, in quanto si utilizza lo stesso metodo nella criminologia attuariale, ossia la valutazione del rischio. Se ritengo (in seguito ad una valutazione) che in certi quartieri, il rischio che si adottino comportamenti devianti o criminali è più elevato, la conseguenza sarà che la selettività del controllo sarà maggiore in quei quartieri rispetto ad altri. Lo stesso principio si può applicare ai soggetti ritenuti a maggior rischio di devianza o criminalità, per cui la selettività riguarderà maggiormente quei soggetti. Il limite della valutazione del rischio è che si basa su caratteristiche personali dell'individuo ma anche su pregiudizi e stereotipi. - Coloro che utilizzano gli strumenti della PSICOLOGIA CLINICA = va alla ricerca dei profili e dei tratti che connotano i criminali autori di delitti, non solo per scoprirli, ma anche per prevenirne le recidive e per fornire alle agenzie di controllo elementi di orientamento nella scelta di chi sottoporre a controllo o nelle scelte relative alle sanzioni. Applicata a svariati campi fa riferimento ai metodi di valutazione della pericolosità di eventi o situazioni ai fini di adottare le misure necessarie per evitarli o almeno ridurne le conseguenze dannose. Il risk assesment o analisi del rischio si interessa alla valutazione del rischio di messa in atto di comportamenti criminali, con particolare attenzione al rischio di recidiva. Il limite principale è che pone esclusiva attenzione alle dimensioni psicologiche a scapito della considerazione dei fattori sociali, culturali, relazionali e ambientali. come abusive agli occhi degli occidentali. In generale, dalla lettura di tali saggi, si possono identificare due livelli in cui le considerazioni culturali entrano in gioco nella definizione dell'abuso e della negligenza. In primo luogo, vi è il livello del conflitto interculturale: pratiche genitoriali accettate nell'ambito di una determinata cultura sarebbero considerate come abusive e negligenti in un'altra. Per esempio, un genitore che impedisse l'attuazione di un rito di passaggio dall'infanzia all'età adulta al proprio figlio/a, culturalmente previsto anche se molto doloroso, negherebbe al bambino un posto nella società adulta e sarebbe considerato negligente per aver compromesso lo sviluppo del figlio. Di contro, molte nostre pratiche educative sarebbero considerate negativamente dai membri di altre culture, poiché sarebbero viste come bizzarre, esotiche e dannose per il benessere dei bambini Evidenziando come le pratiche culturalmente appropriate varino da una società all'altra, gli autori sottolineano l'importanza di valutare i comportamenti dei genitori all'interno del contesto culturale in cui si verificano. Per fare ciò occorre considerare quali obiettivi devono essere perseguiti nella socializzazione dei bambini in ogni gruppo culturale, le intenzioni e le convinzioni degli adulti e l'interpretazione che i bambini danno dei modi con cui sono trattati dagli adulti. Il secondo livello, in cui le considerazioni culturali entrano in gioco nella definizione dell'abuso e della negligenza, è quello del conflitto intraculturale: all'interno di una medesima società, possono variare, tra i diversi gruppi sociali, i criteri per identificare i comportamenti di cura dei bambini che sono considerati accettabili. A questo livello, il conflitto culturale non avviene tra culture, ma all'interno della stessa cultura quando i membri di una società definiscono deviante un comportamento che altri membri della stessa società considerano normale. Per esempio, come abbiamo già visto, vi sono studi che evidenziano come i genitori afro-americani, in particolare quelli che vivono in contesti urbani caratterizzati dalla presenza di sottoculture giovanili devianti, siano più propensi, nella gestione del comportamento deviante dei propri figli, all'uso di modalità disciplinari fisiche, rispetto ai genitori "bianchi" appartenenti alla classe media. Gli studi antropologici ci mostrano, pertanto, che il contesto culturale e sociale in cui il comportamento viene assunto e i significati che a esso vengono attribuiti da coloro che condividono quella cultura sono importanti fattori che devono essere considerati quando etichettiamo certe azioni come abuso o determinate omissioni come negligenza. Nessun studioso può pertanto mettere in discussione che ciò che definiamo oggi "abuso" e "negligenza" cambi nel tempo, assuma diversi significati a seconda del contesto sociale e culturale, a cui facciamo riferimento, e sia correlato a specifici fattori sociali. Ciò che differenzia gli studiosi è il diverso orientamento verso la natura del sistema normativo e valoriale. Per i positivisti, tale natura è consensuale: è vero che la negligenza e l'abuso sono fenomeni storicamente e culturalmente determinati, ma in ogni società vi è un insieme di norme condiviso che stabilisce cosa sia abuso e cosa sia negligenza. Se nella società esiste un modello normativo genitoriale condiviso, l'abuso e la negligenza possono essere studiati come se fossero fenomeni "reali": non si mettono in discussione le norme che li regolano, si danno per condivise e quindi scontate. Non esistendo norme giuridiche che definiscano in modo chiaro cosa sia la trascuratezza, la negligenza o la condotta pregiudizievole. Gli studiosi di questo orientamento hanno elaborato definizioni di "bad parenting" che fanno riferimento a una dimensione normativa che si assume essere condivisa all'interno di una società: il genitore negligente, maltrattante è pertanto un individuo che sta violando delle aspettative di ruolo collegate a uno specifico modello di parenting. Per i costruttivisti, invece, non si può studiare l'abuso e la negligenza senza considerare il processo attraverso cui determinati comportamenti vengono etichettati come "devianti": si deve spostare l'analisi dai comportamenti e dalle caratteristiche di quelli che infrangono le norme ai processi attraverso i quali certi individui finiscono coll'essere definiti devianti da altri. I gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l'etichetta di outsiders. Da questo punto di vista, la devianza non è una qualità dell'atto commesso da una persona, ma piuttosto una conseguenza dell'applicazione, da parte di altri, di norme e di sanzioni nei confronti di un 'colpevole'. Il deviante è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata con successo; un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale. L'abuso e la negligenza non possono pertanto essere considerati fenomeni "reali" poiché sono "costruzioni sociali. ll momento simbolico, in cui l'abuso infantile diviene una nuova categoria diagnostica, è la pubblicazione di un articolo su una prestigiosa rivista di Medicina curato da un gruppo di radiologi, pediatri e psichiatri. In questo articolo l'abuso sui bambini viene etichettato "come una condizione clinica esistente come un trauma non riconosciuto”. Coloro che adottano una prospettiva costruttivista, sono, quindi, consapevoli che il processo di costruzione della devianza è una "impresa morale", tutt'altro che neutrale: le definizioni di abuso e negligenza sono l'espressione della visione del mondo di determinati gruppi sociali. Si deve pertanto distinguere tra condizioni sociali che riguardano un certo numero di persone e la definizione di tali condizioni come un problema sociale. Nell’ambito di una prospettiva funzionalista (del consenso) il problema sociale è un fenomeno "reale" nella misura in cui impedisce il "corretto" funzionamento del sistema sociale. La problematicità di fenomeni come l'abuso e la negligenza non è pertanto socialmente costruita, ma viene a un certo punto della storia riconosciuta. Per i costruttivisti, invece, il problema sociale non è un tipo di condizione, ma è il prodotto di un tipo di attività, è una "'impresa morale". cioè il prodotto dell'attività di individui o gruppi finalizzata a stabilire quale sia il corretto funzionamento della società, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Il secondo interrogativo che dobbiamo porci è di carattere epistemologico: come ciò che esiste (o che è costruito dall'attività definitoria degli esseri umani) può essere conosciuto? E successivamente dobbiamo affrontare la questione metodologica: ciò che esiste si fa "catturare" oggettivamente dalle "procedure del metodo"? Come si può studiare ciò che è costruito dalla attività definitoria degli esseri umani? Poiché i comportamenti devianti sono, per definizione, oggetto di biasimo, quando vengono scoperti suscitano sempre una qualche forma di reazione sociale. Per questa ragione, gli autori di tali atti tendono ad adottare svariate strategie per tenerli nascosti. È evidente, pertanto, come siano difficilmente individuabili dai ricercatori i soggetti devianti cosiddetti "nascosti", cioè quei soggetti che sono in grado di tenere nascosta agli occhi degli altri la loro devianza. Siccome i devianti che appartengono alle popolazioni cliniche e registrate non sono statisticamente rappresentativi di tutti coloro che infrangono le norme senza essere scoperti, è difficile sia stimare il numero reale di genitori che mettono in atto una condotta pregiudizievole verso i propri figli sia individuare le caratteristiche di tali soggetti. Come può, pertanto, essere studiato un fenomeno sociale "nascosto" come la devianza? Si possono adottare sostanzialmente due strategie di ricerca: o si chiede agli intervistati di un campione statisticamente rappresentativo di una determinata popolazione se sono mai stati vittime di una serie di condotte devianti, indagando quindi i processi di vittimizzazione, oppure si chiede agli intervistati se hanno mai commesso nella loro vita una serie di condotte devianti (in questo caso le persone devono auto confessare di aver commesso determinati comportamenti devianti) Per i positivisti, la scienza è considerata un'attività empirica, che si fonda sull'osservazione dei "dati bruti" di realtà, cioè dati che non sono il risultato di operazioni mentali del ricercatore. I positivisti, quindi, studiano l'abuso e la negligenza come se fossero delle realtà fattuali, operazionalizzabili e misurabili, del tutto indipendenti dalla attività interpretativa degli attori sociali. I fenomeni sociali e l'esperienza umana possono, pertanto, essere conosciuti adottando metodi che prevedono strumenti di misurazione strutturati e standardizzati in grado di quantificare l'estensione di un fenomeno, la sua relazione con altre variabili, la sua variazione in relazione a una norma, attraverso, per esempio, una normale distribuzione. Per prendere una decisione scientificamente fondata la scienza mette a disposizione dell'operatore/operatrice strumenti "oggettivi" per valutare quanto è probabile che in un determinato contesto familiare si possa verificare un danno per un minore e la sua potenziale gravità. Attraverso questi strumenti l'assistente sociale sarebbe in grado, tramite un processo di categorizzazione dell'utente, di individuare precocemente i fattori di rischio familiare. Quando un/un'assistente sociale utilizza uno strumento standardizzato, dovrebbe però essere consapevole del processo "scientifico" attraverso cui sono stati individuati i fattori di rischio contenuti nelle diverse griglie di assesment. I ricercatori, partendo dalle teorie che sono state sviluppate per spiegare la negligenza, identificano i bisogni fondamentali dei bambini che devono essere soddisfatti per evitare conseguenze negative (danni psicologici, comportamenti antisociali, ecc.). Per l'identificazione di tali bisogni, si fa riferimento, di fatto, a un modello normativo di parenting che si ritiene scientificamente fondato e condiviso (prospettiva del consenso): tale modello indica i criteri a cui i genitori si dovrebbero conformare per soddisfare "adeguatamente" ogni bisogno dei loro figli (alimentazione, abbigliamento, salute, ecc.). Una volta che i bisogni fondamentali sono stati individuati, occorre operazionalizzare tali categorie producendo dei "costrutti latenti di tali bisogni", dei descrittori comportamentali delle categorie. Questi descrittori sono, infine, trattati e misurati come se fossero variabili continue, utilizzando delle scale di valutazione (si va da una condizione in cui il bisogno è adeguatamente soddisfatto alla condizione opposta in cui non è affatto soddisfatto). Lo scopo di tali indagini è quello di identificare i fattori (di rischio) che appaiono associati all'incapacità dei genitori di soddisfare "adeguatamente" i bisogni dei loro figli. I risultati di queste ricerche sono poi utilizzati per costruire le griglie di valutazione che gli/le operatori/operatrici sociali possono adottare per valutare, in modo più "neutrale" e "oggettivo" rispetto ai metodi non standardizzati, se i genitori soggetti all'assessment siano in grado o meno di promuovere uno sviluppo "adeguato" dei loro figli. I fattori di rischio delle varie griglie valutative sono "fatti" soltanto nell'ambito di una qualche cornice teorica. Ciò significa che le ipotesi esplicative e le osservazioni sulla negligenza e l'abuso non sono indipendenti dagli "occhiali teorici" che si indossano per analizzare tali fenomeni. Dall’osservazione empirica non si può dunque ricavare un modello di genitorialità "oggettivo" perché i fatti sono contaminati dalle teorie (e, come si è detto, assumere, che vi sia un consenso tra gli studiosi - che abbracciano paradigmi differenti - su quale sia il modello genitoriale adeguato, è assai discutibile) e dai valori.  13) IL POTERE NEL LAVORO SOCIALE (LIBRO SCARSCIELLI) Il lavoro sociale è una della modalità attraverso cui si esercita il controllo sociale, sui soggetti etichettati come devianti. Il lavoro sociale è una forma di potere, in quanto esercita il controllo sociale, ossia si cerca di fare in modo che la persona verso cui si esercita sia condizionata a mettere in atto determinate azioni e ad evitarne altre. Produce effetti intenzionali, che influenzano il comportamento degli individui. Il potere può essere inteso come capacità di un individuo di realizzare un proprio fine (power one) oppure come capacità di un individuo di influenzare il comportamento di un altro senza che l'altro sia in grado di fare altrettanto (POWER OVER). Il primo fa riferimento alla capacità di un individuo di esercitare un certo grado di controllo sul proprio corso di vita, il quale dipende da una serie di fattori sociali (la definizione che danno di sé come soggetti, il capitale sociale di cui dispone). Mentre la seconda accezione di potere si verifica in situazioni dove il lavoro sociale entra a contatto con gli involuntary clients, cioè quelle persone che non accettano di entrare a contatto con gli operatori e che non è detto che accettino la definizione che danno della loro situazione. La capacità degli operatori di influenza il comportamento di determinati soggetti può avvenire attraverso la forza (si tratta l’individuo come un oggetto), l’influenza che può essere esercitata attraverso la persuasione (l’operatore indirizza il modo di pensare del soggetto) o attraverso la manipolazione (l’individuo non è consapevole che si comporta come desidera l’operatore ma è convinto di essere autonomo e libero) e infine l’autorità (ciò che convince il soggetto a comportarsi come desidera l’operatore non perché condivido il contenuto della conversazione ma per via del potere politico, economico, normativo, per via delle conoscenze o per le qualità personali). Inoltre il potere utilizzato per aiutare le persone può assumere due forme: PATERNALISMO e TRASFORMATIVO. Il primo fa riferimento a un rapporto dove il soggetto dominante usa il proprio potere per procurare un beneficio a un attore sociale che non è ritenuto in grado di autodeterminare il proprio corso di azione. L’operatore sociale paternalistico assume di agire per il bene dell’utente e di essere legittimato ad interferire nella vita dell’utente per via del suo mandato professionale. È un tipo di potere che lavora in una direzione anti-democratica, in quanto non si impegna per far sì che l’individuo sia libero di autodeterminarsi, a differenza del potere trasformativo Quando l'assistente sociale ricostruisce una storia non può dunque ignorare il modo con cui gli operatori sono e sono stati collegati al corso di vita dell'utente. Per esempio, la mancanza di fiducia di un genitore verso gli assistenti sociali come possibile risorsa per affrontare un suo problema, può dipendere dalla sua storia pregressa con gli operatori dei servizi sociali. Per comprendere la resistenza di un utente al potere esercitato dall'assistente sociale, si deve, quindi, anche ricostruire la sua (eventuale) storia con i servizi sociali. La prospettiva del corso di vita può fornire una cassetta degli attrezzi per promuovere nei servizi, in una logica critica e anti-oppressiva del lavoro sociale, spazi discorsivi nei quali sia possibile sviluppare narrazioni che rendano visibili agli utenti le loro capacità di agency, le cause strutturali dei loro problemi nonché la possibilità di agire collettivamente su tali cause. L'approccio correzionale invece oscura tali cause poiché assume che vi sia un sistema normativo e valoriale condiviso al quale coloro che deviano devono aderire o devono tornare ad aderire. Quante volte di fronte a un bambino che non si conforma alle aspettative di ruolo delle insegnanti si medicalizza il suo comportamento (per esempio, con una diagnosi di deficit di attenzione) senza tentare di comprendere il significato che lui stesso attribuisce al proprio comportamento, senza mettere in discussione le modalità di apprendimento proposte dall'istituzione scolastica, senza ricostruire la sua storia e quella dei suoi genitori per individuare in che modo il contesto sociale e l'interdipendenza con gli altri significativi stiano modellando la sua traiettoria formativa? Soltanto una pratica professionale fondata su una prospettiva costruttivista può, pertanto, ridurre la possibilità che l'operatore/operatrice agisca come mero agente di controllo sociale "'usando il suo potere per imporre idee di normalità con cui gli utenti devono misurarsi" 15) ELENCARE I DUE PARADIGMI DAL PUNTO DI VISTA ONTOLOGICO Esistono due paradigmi per l’assesment nel lavoro sociale, ossia: - il POSITIVISMO secondo cui l'esistenza di una realtà sociale esterna che può essere osservata empiricamente da un ricercatore neutrale. - Il COSTRUTTIVISMO sostiene invece che il mondo sociale è costituito da realtà socialmente costruite che devono essere investigate attraverso l'interpretazione e che il ricercatore sia uno degli attori nella situazione oggetto di analisi. Sono due visioni organiche e contrapposte della realtà sociale che orientano in modo diverso le finalità e le modalità del controllo sociale in quanto definiscono in modo differente cosa è la devianza, come si può conoscere e come si può studiare. Gli operatri sociali dovrebbero essere consapevoli del paradigma in cui si collocano le teorie e metodi che adottano nel processo di assesment. poiché teorie e metodi che si fondano sull'idea che i problemi sociali esistano indipendentemente dall'osservatore e che quindi possano essere "oggettivamente" indagati e conosciuti, orientano diversamente l'attività conoscitiva e l'intervento professionale rispetto alle teorie e ai metodi che si basano sul postulato che i problemi sociali non possono esistere indipendentemente dall'osservatore. Se si adottano teorie e metodi di matrice positivistica, l'intervento sarà finalizzato alla "correzione" del deviante poiché si assume che l'attività valutativa consenta all'assistente sociale di individuare "oggettivamente" (scientificamente) se uno specifico comportamento sociale sia o meno "deviante" e, qualora tale condotta sía definita come deviante, l'intervento dovrà essere finalizzato a "eliminare" la devianza avvenuta ottenendo che il soggetto, per esempio un genitore etichettato come "negligente", riprenda a comportarsi in conformità alle aspettative di ruolo. Se invece si adottano teorie e metodi di ispirazione costruttivistica, ci si dovrà interrogare sul processo di costruzione sociale della devianza. L’ operatore sociale che sta valutando, con il suo ruolo istituzionale, con le sue teorie e i suoi metodi di indagine, non è affatto un attore sociale neutrale. Se, si adotta una prospettiva del conflitto secondo la quale la devianza (per esempio, la negligenza) è un fenomeno "politico", è necessario che l'operatore/operatrice rilevi la definizione della situazione data dall'utente, la sua interpretazione della "realtà" e focalizzi la propria attenzione sul processo (in atto) di etichettamento della devianza. Ma tale obiettivo non può essere conseguito se si adottano, per definire cosa sia una condotta negligente, criteri che si assume siano "oggettivi" e "neutrali" (negando quindi la loro natura "politica") perché sono stati ricavati dall'analisi della realtà attraverso rigorose procedure". La scelta degli assunti fondamentali (da un punto di vista ontologico, epistemologico, metodologico), che dovrebbero guidare l'attività valutativa degli/delle operatori/operatrici nell'esercizio del controllo sociale, dipenderà, quindi, dalla prospettiva teorica del lavoro sociale che si adotta. 16) 4 MOMENTI ESSENZIALI CON CUI SI ESERCITA IL CONTROLLO SOCIALE Con l’espressione controllo sociale si indica le manifestazioni di potere che si configurano come reazioni formali o informali al comportamento deviante. E’ una forma di potere poiché produce effetti intenzionali. Quando si esercita il controllo sociale si cerca di fare in modo che la persona verso cui si riferisce sia condizionata a mettere in atto determinate azioni e ad evitarne altre. Il potere può essere inteso in due modi, ossia in primo luogo può riguardare la capacità di realizzare un fine e perseguire delle mete (power to), oppure capacità di un individuo di influenzare il comportamento di un altro senza che l’altro sia in grado di fare altrettanto (power over). Il controllo sociale può essere esercitato in modalità “hard” con cui si obbliga una persona, minacciando il ricorso a sanzioni, negando l’accesso a risorse o utilizzando forme di coercizione, a fare qualcosa che non avrebbe mai fatto di sua iniziativa; oppure modalità “soft” con cui la conformità alle norme viene ottenuta ricorrendo alla persuasione o alla manipolazione: per esempio, il trattamento psicologico costituisce un potente meccanismo di controllo sociale poiché può aggirare le resistenze dell’individuo e ne può influenzare la vita interiore, condizionandone il comportamento. Il processo attraverso cui il controllo sociale è esercitato può essere composto in quattro momenti essenziali: - Definizione normativa della condotta deviante, che varia a seconda della prospettiva positivista o costruttivista. La prima vede la società come un entità stabile e ben integrata, per cui il deviante è un soggetto che non è stato adeguatamente socializzato, in quanto le norme che sta violando sono frutto di un ordine morale condiviso dai parte dei membri di una società. Nell'ambito di tale prospettiva consensuale, l'obiettivo degli/delle assistenti sociali è quello di definire qual è il limite che non può essere superato, qual è il confine oltre il quale si prevede che un diritto o un interesse sia tutelato nella sfera pubblica [...). Quando gli assistenti sociali ricevono una richiesta di intervento, in quel momento vengono interpellati non solo come professionisti ma anche come rappresentanti dell'istituzione e interpreti delle norme poste a tutela del vivere sociale. la seconda prospettiva vede le norme come espressione dell'ordine morale del gruppo sociale domi-nante. La devianza ha pertanto una connotazione politica, poiché la definizione di che cosa è deviante e che cosa non lo è riflette gli interessi dei gruppi sociali che detengono il potere.il controllo sociale è una manifestazione del potere finalizzato a salvaguardare l'ordine morale della classe dominante e l'assistente sociale, come rappresentante dell'istituzione, non tutela tanto il "vivere civile" quanto piuttosto gli interessi della classe dominante, poiché le fonti della sua autorità", nella relazione con l'utente, si basano sul potere politico ed economico di quella classe - La scoperta della devianza (reazione sociale della devianza è selettiva): La reazione sociale è selettiva poiché non è orientata da criteri oggettivi ma è espressione delle scelte e degli interessi di coloro che hanno il potere di "etichettamento", nonché delle prassi e dei vincoli organizzativi che regolano l'attività delle istituzioni deputate al controllo sociale. Numerosi studi evidenziano come la probabilità di essere stigmatizzati e di subire la reazione sociale sia maggiore per gli individui che appartengono a quei gruppi sociali che sono dotati di minore potere nella società (per ragioni di razza, genere, classe sociale, livello di istruzione, ecc.); per i membri i gruppi che risiedono in ambiti territoriali ritenuti criminogeni; per gli individui dal cui aspetto e comportamento si può inferire che sono portatori di valori diversi da quelli dominanti; per le persone che sono già state stigmatizzate (per esempio, gli ex detenuti). I teorici dell’etichettamento ribaltano la visione per cui il controllo sociale sia una funzione indispensabile per prevenire, contrastare e ridurre i comportamenti devianti, al contrario sostengono che il controllo sociale sia la causa della devianza. La devianza è il risultato di un’etichetta che la società attribuisce a certi comportamenti, secondo convenzioni sociali e culturali. Le conseguenze dell’etichettamento sono sia sul piano personale che sul piano sociale. Sul piano personale, si ha una formazione di una nuova identità, caratterizzata dai tratti negativi che lo definiscono deviante. Questo rappresenta una profezia che si autodetermina, in quanto il soggetto si conformerà all’immagine che gli è stata attribuita. La persona finisce per diventare ciò di quello per cui viene descritto. Gli individui che occupano una posizione sociale più elevata, disponendo di più risorse e di più potere rispetto ai membri dei gruppi sociali che sono collocati ai livelli più bassi della scala sociale, sono in grado di imporre i propri valori e la propria visione del mondo. La legge e la sua applicazione selettiva sono strumenti attraverso cui i gruppi dominanti tutelano i propri interessi sanzionando i comportamenti di coloro che minacciano tali interessi. Nell'ambito di un approccio critico al lavoro sociale, se il potere deve essere esercitato secondo una logica trasformativa, l'assistente sociale non può non interrogarsi su ciò che l'utente vede riflesso di sé nello "specchio" dell’operatore/operatrice. Gli individui che occupano una posizione sociale più elevata, disponendo di più risorse e di più potere rispetto ai membri dei gruppi sociali che sono collocati ai livelli più bassi della scala sociale, sono in grado di imporre i propri valori e la propria visione del mondo. La legge e la sua applicazione selettiva sono strumenti attraverso cui i gruppi dominanti tutelano i propri interessi sanzionando i comportamenti di coloro che minacciano tali interessi. - La presa di decisioni nei confronti del deviante alla fine del processo di assessment : l'attività valutativa degli/delle operatori/operatrici nell'esercizio del controllo sociale dipende dalla prospettiva teorica del lavoro sociale che si adotta. La scelta dipenderà dalla particolare idea di giustizia sociale a cui si fa riferimento per orientare il proprio intervento. L’azione dell’assistente sociale, come quella di ogni attore sociale, è tuttavia un’azione situata. Tale professionista opera all’interno di un contesto organizzativo caratterizzato da risorse limitate, e da forme di governance che, per razionalizzare e ridurre l’uso di risorse pubbliche, tentano di controllare e limitare la discrezionalità degli operatori sociali promuovendo l’adozione di procedure di valutazione standardizzate. Ogni qual volta un assistente sociale, nel suo operato decida di procedere attraverso una logica-antioppressiva può orientare l’assessment seguendo il paradigma costruttivista (secondo cui non si possono utilizzare modelli standardizzati in quanto la devianza è una costruzione sociale). Significa adottare un approccio riflessivo sul proprio potere di definizione dei problemi e dei bisogni degli utenti. Adottando questa prospettiva bisogna utilizzare metodi di indagine che consentano -> di comprendere quello che sta succedendo all'altro senza partire da un sistema di classificazione precostituito, dall'altro -> di tenere sotto controllo il processo di costruzione sociale della devianza, di cui l'operatore/operatrice è uno degli attori più potenti. Il fatto che nelle procedure di assessment, in una logica d'intervento anti-oppressiva, non debbano essere utilizzati strumenti standardizzati, non significa che non si debbano studiare le radici strutturali del processo attraverso cui un determinato comportamento sociale viene qualificato come deviante e i fattori sociali che rendono alcune persone incapaci di agire secondo le norme dominanti, poiché "non si può comprendere la vita dei singoli se non si comprende quella della società, e viceversa ". Nell'ambito dell'assesment secondo una prospettiva positivista, l'associazione tra determinati fattori strutturali e determinati comportamenti devianti consente di individuare delle categorie di rischio in cui collocare le persone. Nella valutazione comprendente e anti-oppressiva, la dimensione strutturale della devianza dovrebbe permettere all'operatrice di cogliere il punto di vista degli utenti, tentare di osservare il mondo con i loro occhi, cogliere la loro definizione della situazione senza però perdere di vista i modi con cui i loro comportamenti sono condizionati dalla mancanza di risorse materiali e di potere. L’assistente sociale dovrà adottare dei metodi che permettano di ricostruire il corso di vita di una persona mettendo a fuoco sia le sue definizioni del problema sia le condizioni strutturali di tale problema evidenziando, cioè, in che modo questioni di diseguaglianza sociale, povertà, potere, genere, ecc. non consentono alla persona di realizzare il proprio progetto di vita - Eventuale attuazione di un provvedimento (conseguenze del controllo sociale sul deviante L’uso del potere per aiutare le persone può assumere due forme: paternalismo (in cui i subordinati sono completamente incapaci di agire e riconoscere i propri interessi e questi devono essere definiti e portati avanti da chi detiene il potere) e trasformativo (ha lo scopo di far sì che l’agente subordinato apprenda la capacità di autodeterminarsi). L’operato degli/le operatori/operatrici sociali devono essere consapevoli che le loro definizioni dell'agency degli utenti (sia positive che negative) potranno avere conseguenze reali, nel senso che potranno rafforzare o indebolire l'empowerment di tali utenti.
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