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domande esame storia della filosofia, Prove d'esame di Storia Della Filosofia

domande uscite di frequente all'esame di storia della filosofia

Tipologia: Prove d'esame

2019/2020

Caricato il 08/11/2022

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Scarica domande esame storia della filosofia e più Prove d'esame in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! MODULO 1 1- Cosa contraddistingue la ricerca filosofica dei cosiddetti presocratici? Perché sono stati definiti come naturalisti? La filosofia è amore per la verità, per la conoscenza e per il sapere. Rappresenta anche il sapere per il gusto di sapere. La filosofia vuole cercare risposte ai quesiti e ai problemi contingenti dell’uomo. Infatti il pensiero filosofico nasce quando l’uomo si pone domande e cerca di darsi risposte. Tutto ciò porta alla nascita della scuola ionica di Mileto che si sviluppa nel VI secolo a.C. nella ionia, una regione lungo la costa meridionale dell’Asia Minore, dove il problema della physis ossia della natura è affrontato secondo un tipico procedimento: la ricerca dell'arché, (in greco: principio originario), che è la "sostanza" o "elemento" primo e generatore a fondamento di tutto ciò che esiste, individuato non in un mito, ma nella natura stessa. I rappresentanti della scuola ionica di Mileto sono: Talete, considerato il fondatore di questa. Egli ricerca il principio di tutte le cose e lo identifica con l'acqua. Questa ipotesi nacque dall'osservazione dei fenomeni naturali: infatti, l'acqua era alla base della vita, della crescita delle piante, della sopravvivenza degli animali. Senza l'acqua non poteva esistere nessuna forma vivente: quindi, l'acqua doveva essere, secondo Talete, l'elemento da cui esse si originano. Anassimandro, discepolo di Talete, secondo la tradizione è il primo a introdurre nell'uso filosofico il termine arché, che identifica con l'ápeiron, un principio immortale, indistruttibile, infinito e indeterminato dal quale hanno origine tutte le cose. Le cose del mondo derivano dall’apeiron attraverso il processo di separazione. La sostanza infinita (apeiron) è in continuo movimento e da essa si separano i contrari (caldo/freddo, secco/umido ecc...). La nascita è separazione degli esseri finiti dalla sostanza infinita, con la morte gli esseri finiti tornano all’unità. Anassimandro è ricordato anche per aver concepito la terra cilindrica e sospesa nel vuoto ed aver tracciato un abbozzo di teoria evoluzionistica degli esseri viventi, compreso l'uomo. Per Anassimene, l’ultimo rappresentante della scuola ionica, il principio di ogni cosa è l’aria. L’aria è l’origine di tutto. Secondo Anassimene, l’aria si trasforma attraverso il processo della rarefazione e della condensazione. A suo avviso l’aria condensandosi, dà origine a tutte le cose, rarefacendosi le distrugge. Fin qui la riflessione filosofica riguarda il “ta onta”, ovvero le cose nel loro essere. Si cerca cioè di dare risposta ai problemi della vita quotidiana, ai problemi dell’uomo in relazione con la natura. Nel VI secolo a.C. si fa un ulteriore passo avanti, con la nascita di una riflessione nuova. La società greca è cresciuta dal punto di vista politico, economico e commerciale. Si verificano, numerose lotte interne, che impongono a molti di andar via dalla Grecia nella speranza di trovare in altri territori, come nella costa orientale della Sicilia, o nella parte meridionale dell’Italia, la possibilità di costruire delle comunità, nelle quali poter iniziare un nuovo modello di cultura, lontano da quella che era l’imposizione che ormai le classi agevolate del mondo greco imponevano a tutti. I pitagorici sono considerati i creatori della scienza matematica perché ne elaborarono gli elementi fondamentali. Essi affermano che il numero è il principio di tutte le cose in quanto tutta la realtà è rappresentabile attraverso i numeri. Il numero è considerato una cosa reale, tanto reale da diventare il fondamento di tutte le cose. Pitagora è stato il primo a insegnare la dottrina della metempsicosi secondo cui l’anima è immortale. Eraclìto e’ passato alla tradizione come il «filosofo del divenire». La celebre espressione “panta rei” sintetizza la concezione del divenire del suo pensiero. Egli sostiene il perenne divenire di tutte le cose: nulla è immobile e nulla rimane uguale a se stesso ma tutto scorre (panta rei). La scuola eleatica si sviluppa nel VI-V secolo a.C. e cerca di dare risposte alla problematica dell’uomo in quanto tale, non più quindi in relazione con la natura. Si abbandona la ricerca dell’archè, del principio di tutte le cose. Parmenide è il primo esponente della scuola eleatica. Rappresenta il suo pensiero nella famosa frase “L’essere è e non può non essere, mentre il non-essere non è e non può essere”. Egli intende dire che l’essere esiste, mentre il non essere, per definizione, non esiste, quindi non può nemmeno essere pensato. Con Parmenide si va oltre l’apparenza, si arriva a riflettere sul significato di essere, di esistere. Il tema originale della filosofia di Parmenide è il contrasto tra le verità (aletheia) e l’opinione (doxa). La verità si basa sulla ragione e ci porta a conoscere l’essere vero; l’opinione si basa sui sensi e ci porta a conoscere solo l’essere apparente caratterizzato da un divenire fittizio. Zenone, scolaro di Parmenide, porta avanti il suo pensiero basato sul concetto di paradosso. Con la scuola eleatica si passa dal ta onta, le cose nel loro essere, al tov onton, ossia il principio generale assoluto. La riflessione umana si rivolge alla comprensione del mondo. Un secolo dopo, nel V secolo a.c., si fanno strada i fisici pluralisti. Secondo Empedocle tutti i fenomeni fisici dipendono da 4 radici fondamentali, queste radici sono l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco. Il movimento di questi 4 elementi e’ determinato da due principi fondamentali che sono l’Amore e la Contesa. Anche gli uomini sono costituiti da 4 elementi, vi e’ quindi un’omogeneita’ ontologica tra l’uomo e il mondo. Come ultimi fisici pluralisti troviamo Leucippo maestro di Democrito esponenti dell’atomismo. Democrito afferma che la materia è costituita da un insieme di atomi, cioè particelle indivisibili. Gli atomisti credono che non sia possibile pensare di dividere all’infinito la realtà materiale. Questo, infatti, può avvenire solo in campo logico-matematico (così come affermava Zenone). Ora vi è un qualcosa che non è separabile e divisibile, vi è un unicum che sta alla base di tutto. 2- Differenza tra Eraclito e Parmenide. Eraclito e Parmenide fanno parte di quei pensatori definiti “presocratici”, anteriori a Socrate, che, a differenza di quest’ultimo che concentra il suo studio sull’uomo, si sono occupati del problema della natura identificata come principio. Eraclito visse ad Efeso tra il VI e il V secolo a.C., l’oscuro, così chiamato perché la sua opera “Sulla natura” è composta da aforismi e brevi sentenze dal linguaggio misterioso e incomprensibile. È passato alla tradizione come il «filosofo del divenire». La celebre espressione “panta rei” sintetizza la concezione del divenire del suo pensiero. Egli sostiene il perenne divenire di tutte le cose: nulla è immobile e nulla rimane uguale a se stesso ma tutto scorre. Per spiegare questa sua visione della realtà, ricorre all’immagine del fiume che, in apparenza sembra uguale e, invece le sue acque sono sempre diverse, e allo stesso tempo, la persona che s’immerge è diversa da quella che si è immersa la volta prima. “Non è possibile discendere due volte nello stesso fiume, ne toccare due volte una sostanza mortale nello stesso stato; per la volontà del movimento, tutto si disperde e si ricompone di nuovo, tutto viene e va”. Il Logos (legge razionale) che regola il mondo è il conflitto fra contrari, in lotta fra loro ma ognuno dipendente dall'altro (es. caldo/freddo, bene/male...). La vita è lotta e opposizione fra contrari. L'armonia sta nell'equilibrio degli opposti e non nella loro conciliazione. Senza opposizione fra contrari non vi sarebbe vita. Il fuoco è l’elemento fondamentale. E’ il principio di tutte le cose, il principio cosmico e la sua potenza generativa è la physis ossia la natura, la quale è percorsa dal logos, la legge del cosmo. Tutte le cose non sono altro che una trasformazione del fuoco. La fiamma del fuoco esprime bene il cambiamento e il contrasto in quanto si muove continuamente, è viva e si consuma, trasformandosi in fumo e cenere. Energia in perpetua trasformazione, realtà eterna e divina. Eraclito identifica il fuoco con Dio. Parmenide nacque invece ad Elea nella seconda metà del VI secolo a.C. e morì verso la metà del V secolo a.C. Fu il fondatore della scuola eleatica. Parmenide ha un grande influsso sul pensiero greco, perché prende il via l'ontologia (lo studio dell'essere) contrapponendosi alla scuola ionica di Mileto e alla scuola di Eraclito che focalizzarono la loro filosofia sulla ricerca del principio di ogni cosa. Scrive un’opera in versi, Sulla natura, in cui è espresso il suo pensiero. Nel suo poema la filosofia è intesa come rivelazione e ricerca razionale: infatti la protagonista del poema è la dea della Verità, che si svela a Parmenide e mostra l'esistenza di due vie: la via della verità e la via della falsità. Il tema originale della filosofia di Parmenide è il contrasto tra le verità (aletheia) e l’opinione (doxa). La verità si basa sulla ragione e ci porta a conoscere l’essere vero; l’opinione si basa sui sensi e ci porta a conoscere solo l’essere apparente caratterizzato da un divenire fittizio. La via della verità ha per principio: L'essere è e non può non essere, il non essere non è e non può in alcun modo essere; la via dell’opinione nega tale principio. Ma solo la via della verità è percorribile: infatti, solo ciò che esiste può essere pensato e detto. La via della falsità, invece, si riferisce alla negazione dell'essere, al non essere delle cose, che di per sé non può né essere pensato né essere detto. Per Parmenide l'essere è: ingenerato (se si generasse dovrebbe derivare dal non essere, che non c'è); incorruttibile (se si corrompesse andrebbe nel non essere, che non c'è); eterno, non ha un temperanza appartiene a tutte e tre le parti che devono accordarsi per lasciare il comando dell’anima al principio razionale. Platone nella sua critica alla democrazia, sposa il pensiero contenuto nello scritto rimasto anonimo intitolato “La costituzione degli ateniesi” nel quale si legge che nel popolo c’è il massimo dell’ignoranza e permettendo a tutti di parlare nelle assemblee. L’opera contiene anche il punto di vista di Platone sull’educazione. Platone critica l’apparato educativo della Grecia e il ruolo di Omero nell’educazione e indica i suoi dialoghi come modello. Nell’opera “Il politico” Platone paragona l’arte di governare del filosofo all’arte del medico e del capitano, ai quali non si devono legar le mani con le leggi; come il capitano della nave si occupa del bene della nave e dei passeggeri non ponendo norme scritte, ma tramite la propria tecnica, allo stesso modo i governanti realizzeranno una retta costituzione, ricorrendo alla loro saggezza che è superiore a quella della legge. Nell’opera “Le leggi” Platone ribadisce l’idea del re-filosofo e dello stato ideale ma in modo più realistico: propone un governo in cui siano sovrane le leggi, non l’arbitro. 5- Quali sono i più significativi miti utilizzati da Platone per esemplificare la sua filosofia? Un aspetto importante che caratterizza la filosofia di Platone e soprattutto la modalità con la quale il filosofo insegna la sua filosofia è l’utilizzo del racconto. Egli infatti utilizzava dei miti narrativi sotto forma di racconti di fantasia per trasferire le proprie idee e la sua filosofia. Attraverso il mito Platone rende accessibile e intuitivo una determinata idea filosofica, con questo metodo poteva parlare di qualcosa di astratto e lontano dalla realtà. (Numerosi sono i miti che Platone utilizza e che permettono a tutti di accedere alla conoscenza ad esempio: Il mito della caverna, il mito della biga Alata l Mito di Er, il Mito di Eros ..). Per esporre la sua dottrina delle idee, utilizza ad esempio il famoso Mito della Caverna (contenuto in REPUBBLICA). In questo mito, Platone, immagina dei prigionieri in catene, in una caverna, costretti a guardare davanti a sé. Sulla parete della caverna possono vedere le ombre di oggetti che spuntano da un muro alle loro spalle. 1)In questo primo livello, i prigionieri credono che le ombre siano la realtà. E’ il livello dell’Immaginazione. 2)Se un prigioniero riuscisse a liberarsi, scoprirebbe che le ombre sono proiezioni di oggetti e che essi sono la realtà. E’ il livello della Credenza. 3)Se, successivamente, riuscisse ad uscire dalla caverna, scoprirebbe che gli oggetti (statuette) sono imitazioni di altre cose reali, esistenti grazie al sole, ma siccome non è abituato a vederli perché accecati dalla luce del sole, può inizialmente conoscerli solo attraverso il riflesso nelle acque. E’ il livello della Dianoia (la conoscenza intermedia legata alle scienze matematiche). 4)Solo, in seguito, sarà in grado, finalmente, di fissare il sole di giorno (il bene) e di ammirare lo spettacolo delle cose reali. E’ il livello della Noesis (L’Intellezione). Il prigioniero vorrebbe rimanere lì, a godere di quel meraviglioso spettacolo, ma se decidesse di tornare indietro, per far partecipe gli altri della propria conoscenza, non sarebbe creduto, perché nell’oscurità della caverna non riuscirebbe nemmeno a distinguere le ombre. Lo darebbero del pazzo e lo ucciderebbero. Seguendo il mito della caverna, Platone afferma, quindi, che i gradi della conoscenza sono 4, e che sono divisi in due grossi momenti. Il primo momento (l’uomo è ancora nella caverna del mondo sensibile) consiste nei primi due gradi: l’Immaginazione la Credenza (che formano la Doxa e l’Opinione), il secondo momento (l’uomo esce dalla caverna del mondo sensibile) consiste negli ultimi due gradi: la Dianoia e la Noesis (che formano l’Episteme e l’Intellezione). L’uomo che ha contemplato il mondo fuori dalla caverna, il mondo delle idee, è il filosofo che si è liberato dalle catene del mondo sensibile, ha conosciuto la verità e che, tornando nella caverna, viene deriso, scambiato per pazzo e ucciso (chiaro riferimento a Socrate). La caverna è l’ignoranza. I prigionieri siamo tutti noi. Le ombre sulla parete sono le cose del mondo, la parvenza delle cose sensibili. Gli oggetti che sporgono dal muro sono le cose sensibili. Le cose che vede alla luce del sole sono le idee. Il sole è l’idea del Bene. Un altro famoso mito è il mito della biga alata CONTENUTO NELL’OPERA IL FEDRO, dialogo della maturità. Con il mito della biga alata, Platone ci presenta la complessa idea che lui ha di anima. Secondo Platone l’anima è immortale, appartiene al mondo dell’iperuranio, e trasmigra da un corpo all’altro portando con se’ quella conoscenza delle idee che riaffiora tramite la reminiscenza. La trasmigrazione dell’anima è detta metempsicosi, concetto introdotto per primo da Pitagora. Tuttavia nella sua esistenza mondana l’anima è divisa in tre parti. Nel mito della biga alata Platone ci spiega che l’anima è una biga trainata da cavalli alati, in cui sono presenti tre elementi: l’auriga, colui che conduce e rappresenta la parte razionale dell’ anima che ha abbandonato il corpo e che si sforza razionalmente di raggiungere il mondo delle idee; la nostra anima è poi trainata da due cavalli : il cavallo bianco rappresenta la parte coraggiosa/irascibile, immortale dell’anima, il cavallo nero rappresenta la parte emozionale, quella più legata alla terra, al corpo, ai 5 sensi, legata alla materialità ovvero rappresenta l’anima concupiscibile. L’anima è quindi una sostanza semplice e incorporea, che si muove da sè, ed è formata da tre parti: -quella razionale, che ha come virtù propria la sapienza, è capace di comprendere ciò che è bene e di orientare la condotta verso l’armonia e la felicità; -quella irascibile, che ha come virtù il coraggio, è la parte aggressiva e collerica che aspira al successo e all’auto-affermazione; -quella concupiscibile, che ha come virtù la temperanza, è la parte desiderativa che tende alla soddisfazione dei piaceri. Ogni parte dell’anima ha un corrispettivo nella città in particolare la parte razionale corrisponde ai governanti, la parte irascibile corrisponde ai guerrieri e la parte concupiscibile corrisponde ai cittadini. Nella società ateniese del tempo la parte razionale (dell’anima come della città) perde in favore di quelle irrazionali, perciò l’uomo ha bisogno di un aiuto esterno, che Platone identifica nella guida dello stato da parte di filosofi, per poter far prevalere la parte razionale nell’interiorità dell’anima e di riflesso anche nella città. Tra gli altri numerosi miti scritti da Platone troviamo nel Simposio il Mito di Eros, essere intermedio tra gli uomini e gli Dei, figlio della sapienza e della povertà di saggezza. Eros simboleggia la tendenza dell’anima verso il mondo delle idee-forme, che soffre data la sua lontananza, in quanto le ricorda la gioia provata durante la sua permanenza in quel mondo. L’anima umana infatti ha già visto la bellezza vera perché prima di nascere si trovava nel mondo delle idee. Questa tensione dell’anima inizia con l’amore per le cose belle che si trovano in natura, prosegue con l’abbandono dei legami sensibili e l’avvicinamento all’iperuranio e si conclude con la visione del bello in sé (amore platonico); Si verifica il passaggio dall’attrazione fisica all’attrazione spirituale. 6- La dottrina delle idee di Platone. La teoria delle idee nasce in Platone a partire da un elemento introdotto dal suo maestro Socrate: egli ricercava infatti la verità nel concetto, rifiutando di definire i valori umani con delle loro esemplificazioni. Questo concetto era ricercato a partire dalla domanda “che cos’è” (in greco tì ésti), e la sua conoscenza corrispondeva alla scienza (episteme, sophia). Da questo punto di partenza Platone elabora la dottrina delle idee in questo modo: essendo convinto che ciò che conosciamo, cioè il pensiero/concetto nella nostra mente, è riflesso di qualcosa che esiste nella realtà, giunge a chiedersi cosa corrisponda al concetto nel mondo reale. Platone sa che non può trovare nel mondo dell’esperienza ciò che corrisponde all’universale, che definisce l’essenza delle cose. Giunge così a pensare che l’oggetto proprio della conoscenza, di cui il concetto è un riflesso in quanto pensiero dell’esistente, siano entità immutabili e perfette che esistono autonomamente dal mondo dell’esperienza, in un luogo chiamato “iperuranio” (letteralmente “al di là del cielo”): le idee. Queste idee sono ciò che il concetto conosce, di cui è riflesso, dunque esse esistono: Platone parla infatti delle idee come ousía, cioè una sostanza o realtà autonoma con caratteristiche strutturali diverse dalle cose del mondo che conosciamo con l’esperienza. Una volta stabilita l’esistenza delle idee, Platone si trova a dover specificare qual è il rapporto tra le idee e le cose: sintetizzando si può dire che secondo la dottrina delle idee le cose del mondo imitano la perfezione delle idee (mimesi), partecipano all’esistenza delle idee perché le idee sono l’universale che contiene tutti i particolari (metessi), e contengono le idee avendone alcuni degli attributi (parousìa). Sebbene idee e cose siano distinte e appartengano a due mondi diversi, con caratteristiche ontologiche differenti, il loro rapporto è strettissimo ed è duplice: causale e gnoseologico. Nel giudicare le cose del mondo facciamo riferimento alle idee (azione giusta in base all’idea di Giustizia), che figurano come criterio di giudizio delle cose (rapporto gnoseologico); inoltre, le cose che esistono sono a immagine delle idee perfette e astratte, per cui le cose non esisterebbero senza le idee (rapporto causale). Nel momento in cui Platone elabora la dottrina delle idee compie una separazione tra il mondo materiale e il mondo delle idee, che si trova oltre il cielo. Per spiegare la conoscenza dell’uomo di questi due mondi, nel libro VI della Repubblica Platone ci propone la teoria della linea, che rappresenta la completa formulazione della sua teoria della conoscenza. Alla base di questa teoria si trova per l’appunto la sostanziale e insanabile differenza tra il mondo sensibile oggetto di opinione e il mondo intelligibile o mondo delle idee oggetto di verità. 7- Quali sono gli elementi fondamentali del pensiero di Plotino e del neoplatonismo? Il neoplatonismo e’ l’ultima manifestazione del platonismo del mondo antico. Plotino è il fondatore del neoplatonismo, cioè quella ultima grande corrente della filosofia antica, ispirata appunto a Platone, ma influenzata dal Cristianesimo che ormai stava diffondendosi in modo decisivo nel bacino dell'Impero romano. Plotino nasce nel 205 d.C., a Licopoli, in Egitto; seguì ad Alessandria d'Egitto la scuola di Ammonio Sacca (dal 232 al 243), che era frequentata anche da Origene. Per un breve periodo, nel 243, seguì l'imperatore Gordiano in una sua spedizione a oriente, sperando di poter così meglio conoscere la filosofia persiana e indiana, ma la morte di Gordiano lo costrinse a cambiare programma. Dal 244 si trasferì a Roma, dove fondò una sua scuola, non scrivendo nulla fino al 254, allorché prese a scrivere dei trattati che furono poi ordinati (secondo un criterio sistematico) da Porfirio, suo discepolo, nella forma pervenutaci delle Enneadi. Le Enneadi furono ordinate in 6 libri composti di 9 parti ciascuno. Porfirio pubblica pero’ anche delle opere originali come Vita di Plotino, Vita di Pitagora e l’introduzione alle categorie di Aristotele. Scopo della filosofia, per Plotino, è quello di “scolpire la propria statua”: il filosofo si deve distaccare dalle cose terrene per arrivare a contemplare il divino che è nella propria anima e che è il principio spirituale di tutta la realtà. La filosofia, per Plotino, è un’indagine sul proprio “paesaggio interiore”, a partire dal quale si arriva a contemplare il fondamento del reale, che pure un pensiero impuro mondo delle idee e forme: l’Uno. Punto di partenza della filosofia di Plotino è l'Uno in rapporto alla molteplicità, argomento su cui Platone si era interrogato a lungo nel Parmenide. Per Plotino l'Uno e’ Dio in senso proprio, e’ il principio dei molti, ma e’ radicalmente diverso da tutto cio’ di cui esso e’ principio. L’Uno e’ inoltre infinito in senso metafisico, e’ illimitatezza di potenza poiche’ la sua potenza non e’ circoscritta, e’ privo di forma e di figura, non puo’ essere determinato e quindi e’ al di fuori di ogni determinazione quantitativa e spazio-temporale. Infine l’Uno e’ l’essenza generatrice di tutte le cose e dunque non puo’ essere definito tramite attributi finiti. Esso appare come l’assolutamente altro perche’ si puo’ dire solo cio’ che esso non e’. L’Uno è la prima realtà sussistente, è il principio del molteplice, del mondo sensibile e del mondo intellegibile, ma supera e trascende entrambi. Proprio perché è al di sopra della nostra comprensione questo Uno è infinito, nel senso che gli è attribuita un’illimitata potenza. In quanto infinito, l’Uno non ha forma, è al di là dell’essere e della sostanza e quindi non è definibile attraverso attributi finiti, come quantità, tempo e spazio. L’Uno è quindi impensabile e indefinibile e l’uomo è in grado di dire solo ciò che l’Uno non é. L’Uno per il filosofo ha una sovrabbondanza d’essere e non può fare a meno di generare, ma senza che ciò significhi che l’Uno voglia o senta il bisogno di farlo. Per spiegare il modo in cui l’Uno genera il tutto, Plotino ricorre al concetto di emanazione che illustra attraverso numerose metafore, la più celebre delle quali è quella della luce. L’Uno è come una fonte luminosa che irradia luce attorno a sé, senza che ciò comporti un impoverimento della fonte stessa e senza che questa irradiazione sia prodotta in maniera volontaria. Esattamente come la luce emanata da una fonte luminosa si fa via via più flebile man mano che ci si allontana da essa, così gli enti generati dall’Uno sono meno perfetti man mano che si allontano dal principio che li ha generati. argomento "dopo le opere di fisica". Nel seguito, però, il termine "metafisica" è rimasto anche perché molto appropriato ad indicare ciò che Aristotele chiamava "filosofia prima". Secondo Aristotele: "la metafisica studia le cause ed i principi primi, studia l'essere in quanto essere, studia la sostanza, studia Dio e la sostanza immobile". Tra queste, la definizione più importante è forse la seconda: la metafisica aristotelica studia l'essere in quanto essere. Questa definizione significa che la metafisica non studia una particolare qualità dell'essere, ma la realtà tutta; tutto l'essere ed ogni essere a prescindere dai suoi attributi. Tutte le altre scienze ne studiano invece solo una parte. Esse sono infatti "filosofie seconde", subordinate rispetto alla "filosofia prima", che è il presupposto indispensabile di ogni ricerca. Per Aristotele l'essere non ha un'unica forma, ma ha una molteplicità di aspetti e significati. L'essere si manifesta dunque in molti modi. Secondo Aristotele gli innumerevoli modi in cui l'essere può manifestarsi possono essere raggruppati in 4 gruppi: 1) L'ESSERE COME ACCIDENTE; 2) L'ESSERE COME CATEGORIE: Le categorie non sono altro che quelle caratteristiche fondamentali che ogni essere deve avere. Sono la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l'agire, il subire, il dove e il quando, l'avere (cioè il suo stato) e il giacere (cioè il suo essere in una certa condizione). Sono i modi fondamentali in cui la realtà si presenta, i predicati fondamentali dell'essere. La sostanza è dunque il punto di riferimento di tutte le altre categorie. Questo spiega come l'essere non sia né univoco, ma nemmeno equivoco o omonimo. In altre parole non è né completamente unico né completamente diverso, perché tutti i suoi attributi si riferiscono alla sostanza dell'essere. La sostanza è quindi la "via di mezzo" tra l'essere e le categorie. 3) L'ESSERE COME VERO; 4) L'ESSERE COME ATTO E POTENZA. La metafisica deve studiare l'essere non con i suoi attributi (o categorie), ma la sua sostanza: il suo essere in quanto è. Per far questo occorre tener presente il "principio di non contraddizione", che si basa su due precetti: 1) Non si può affermare e negare nello stesso tempo uno stesso predicato intorno ad uno stesso soggetto; 2) E' impossibile che la stessa cosa sia e non sia. Questo vuol dire che ogni soggetto ha una sua determinata natura che è necessaria (cioè non può essere diversa). Questa NATURA NECESSARIA altro non è che la sostanza. La sostanza è dunque l'essere dell'essere, il suo significato fondamentale. Un tipo di sostanza è dunque l'individuo, che funge da soggetto alle varie categorie. La sostanza è indipendente, mentre le qualità ad essa attribuite ne sono dipendenti. La sostanza è la "portatrice" degli attributi. L'essere, nella sua totalità, è dunque un insieme di sostanze e le qualità che si riferiscono a queste sostanze. La sostanza è un SINOLO -cioè un'unione indissolubile- di materia e forma. La forma è la sua natura propria, la struttura che rende tale la sostanza. Negli esseri viventi, la forma è la specie a cui essi appartengono. La materia è invece ciò che la compone. Nel sinolo la forma è ATTIVA, mentre la materia è PASSIVA. Infatti è la forma a plasmare la materia. Per questo possiamo dire che la forma è l'essenza stessa della sostanza. Da essa va invece distinto l'ACCIDENTE. L'accidente è una qualità che la sostanza può avere o non avere senza però cessare di essere quella determinata sostanza. In altre parole, è una caratteristica casuale o fortuita. Es. Socrate è un uomo (caratteristica necessaria, perché non si può cessare di essere tali) allegro, pallido… (accidente, perché è una caratteristica che può mutare). La sostanza è ciò per cui ogni essere è necessariamente ciò che è, la sua definizione, La sostanza è qualsiasi cosa. Se essa vale per ogni cosa, sono allora le qualità a differenziare gli oggetti. Pertanto Dio non è l'essere più importante per la sua sostanza, ma per le sue qualità. La sostanza è l'oggetto della scienza. Tutte le scienze studiano infatti una diversa forma della sostanza, e sono perciò tutte ugualmente importanti. Ciò che spinge alla scienza e alla conoscenza è la meraviglia, ed esse consentono di rendersi conto delle cause delle cose. Esse possono essere di quattro tipi: - MATERIALE: la materia di cui una cosa è fatta; - FORMALE: l'essenza di una cosa; - EFFICIENTE: ciò che dà origine al mutamento o alla quiete, ciò che origina qualcosa; - FiNALE: lo scopo. Ma queste quattro cause non sono altro che specificazioni della sostanza, quindi dell'essere. Nei processi naturali la causa formale, efficiente e finale coincidono (come ad esempio nei bambini, per i quali “l’uomo adulto" è causa formale, efficiente e finale). Negli oggetti inanimati, invece, queste cause sono tra loro differentissime. Per Aristotele, il divenire non è che il passaggio fra un modo di essere ed un altro. Il divenire è dunque una modalità dell'essere. Aristotele elabora dunque il concetto di "potenza e atto". La potenza è la possibilità della materia di assumere una certa forma. L'atto è il raggiungimento dello scopo. Possiamo dire dunque che la potenza sta alla materia come l'atto sta alla forma. Difatti la materia non ha possibilità di assumere forme diverse. Quindi il divenire parte dalla pura potenza di una certa forma, e il punto di arrivo (l'atto) è l'assunzione di tale forma. Il divenire è dunque formato da potenza e atto, o, per usare le parole di Aristotele, esso comprende materia, privazione e forma. Tra potenza e atto, l'atto è sicuramente più importante perché per conoscere la potenza è necessario conoscere anche l'atto. L'atto non rappresenta che le "quattro cause" della potenza. L'atto però, non è una possibilità della potenza, ma una sua "necessità". La necessità è dunque il principale strumento interpretativo dell'essere. Utilizzando le sue teorie sul divenire, Aristotele riesce a spiegare anche il "movimento" delle cose, che invece i platonici non erano riusciti a fare. Il movimento non è altro che il divenire delle cose, e presuppone, delle quattro cause, la CAUSA EFFICIENTE e la CAUSA FINALE. Il movimento è dunque un passaggio da una potenza ad un atto, proprio come il divenire. Ma quali sono gli atti e le potenze "supreme". La potenza suprema è certamente la MATERIA PRIMA o PURA POTENZA. Essendo essa assolutamente indeterminata, è una pura nozione teorica, che non può essere conosciuta dal momento che nel mondo esiste solo la materia già formata. E la base stessa del divenire. Al polo opposto si trova invece la FORMA PURA o ATTO PURO, cioè la perfezione compiuta, una sostanza immobile e divina. 10- Quali sono le principali differenze tra le categorie di cui parla Aristotele e di cui parla kant? Relativamente all’ontologia, scienza che studia l’essere in quanto essere, Aristotele sostiene che l’individuo sia l’unione di forma e materia (rispettivamente anima e corpo). L’ontologia di Aristotele Unisce la filosofia di Eraclito e quella di Parmenide: secondo il filoso l’individuo è in divenire (come affermava Eraclito) passa cioè continuamente dalla potenza (la possibilità di ricevere una determinata forma) all’atto (l’aver ricevuto una determinata forma); allo stesso tempo però si realizza anche il principio dell’immutabilità dell’essere di Parmenide, poiché l’individuo: il corpo cambia, ma l’anima no. Le categorie sono in tutto dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, lo stare, l'avere, l'agire, il subire. Ogni elemento della realtà può essere fatto rientrare in una di queste categorie. Esempio: Pietro (sostanza, sino di materia e forma), e alto 2 m (quanto), di pelle bianca (quale), è più giovane di Luigi (relazione), si trova in casa (dove), in questo momento (quando), è seduto (Giacere), ebbe sito (stare), parla (agire), e ascoltato (partire). Per Aristotele le categorie sono i gruppi o i generi sommi che raccolgono tutte le proprietà che si possono predicare dell'essere. Sono i predicamenti dell'essere, che si riferiscono a qualità primarie (l'essenza immutabile degli oggetti), o secondarie (gli accidenti che possono cambiare). Ne consegue che le categorie di Aristotele hanno un valore oggettivo, perché si riferiscono a degli enti concreti. I nostri giudizi le adoperano non soltanto secondo un rapporto puramente logico tipico del sillogismo, ma riunendole grazie alla capacità intuitiva di cogliere le relazioni effettivamente esistenti tra gli oggetti reali. Ma oltre a ciò, ad ognuna delle categorie si riferisce una parte di quei costrutti semantici del discorso che hanno a che fare con il mondo reale: ad esempio, un nome o un sostantivo si riferisce alla categoria di sostanza; gli aggettivi qualificativi alla qualità, quelli indefiniti alla quantità, o alla relazione ecc. Si è pertanto ipotizzato che per Aristotele le categorie siano una classificazione delle parti di cui è fatto un discorso. La dottrina aristotelica delle categorie si proponeva di rimediare all'indeterminatezza con cui Parmenide, della scuola eleatica, aveva enunciato la verità dell'essere, lasciandolo senza un predicato: Parmenide aveva detto soltanto che l'Essere è, e non può non essere, ma non aveva detto cosa esso sia. Ne risultava un concetto evanescente, che rischiava di venir confuso col non-essere. Aristotele pertanto si propone di mostrare che l'essere è determinato in una molteplicità di attributi, e quindi è multilaterale pur nella sua unità. Contro Platone poi, che riconduceva i fondamenti dell'essere a delle forme logiche ideali, Aristotele afferma la necessità di distinguere i concetti logici dagli empirici. A differenza dunque di Aristotele, per il quale le categorie appartenevano alla realtà ontologica dell'essere, le categorie kantiane appartengono all'intelletto; diventano cioè delle funzioni a priori, dei modi di funzionare del nostro pensiero che inquadrano la realtà secondo i propri schemi precostituiti. Non si applicano alla realtà in sé, ma solo al fenomeno. I vari giudizi che noi formuliamo della realtà, secondo una classificazione tradizionale, sono raccolti sotto quattro gruppi, comprendenti ciascuno tre momenti: - quantità dei giudizi: universali, particolari, singolari - qualità: affermativi, negativi, infiniti - relazione: categorici, ipotetici, disgiuntivi - modalità: problematici, assertori, apodittici Ognuno di questi giudizi risulta dall'applicazione della categoria corrispondente. Con l'"analisi trascendentale" si possono così ricavare le dodici categorie: unità, pluralità, totalità, realtà, negazione, limitazione, inerzia e sussistenza, causa ed effetto, reciprocità, possibilità e impossibilità, esistenza e inesistenza, necessità e contingenza. Come in Aristotele le categorie hanno bisogno del giudizio per essere adoperate, così in Kant hanno bisogno di un'attività suprema, di un pensare in atto, per esercitare la loro funzione unificatrice del molteplice. Le categorie sono le varie sfaccettature di un prisma che si chiama pensiero, sono atti unificatori, ma non già in atto, solo potenzialmente attivabili. 11- Differenze Aristotele e Platone. Abbandonata l’Accademia, Aristotele si distacca progressivamente dal pensiero del proprio maestro pur conservandone il massimo rispetto e riconoscenza. Lo divide man mano una diversa concezione della struttura e degli scopi del sapere, anche in rapporto al mutamento culturale in corso nel passaggio dall’età classica a quella ellenistica. Platone vede il mondo secondo un’ottica verticale e gerarchica, suddiviso tra la superiore realtà delle idee e la realtà inferiore delle cose sensibili. Aristotele guarda il mondo secondo un’ottica tendenzialmente orizzontale e unitaria, considerando tutti i diversi tipi di realtà su di un piano di pari dignità ontologica e tutti i tipi di scienze e di conoscenze su di un piano di pari dignità gnoseologica, per cui la realtà, pur unitaria, si mostra articolata in vari settori, ognuno dei quali è oggetto di scienze distinte, basate ognuna su principi e metodi propri. Aristotele lascia cadere gli influssi mistico-religiosi presenti nella filosofia di Platone, derivanti dalla religione orfica e misterica, e privilegia un’impostazione più rigorosa, meno idealistica e più scientifico-razionale. Mentre Platone nutriva maggior interesse per le scienze matematiche, Aristotele ha maggior interesse per le scienze empiriche, fisiche e naturali. Platone è convinto della finalità politica della conoscenza e concepisce il filosofo come governante della città. Aristotele concepisce la filosofia come conoscenza disinteressata della realtà e vede il filosofo soprattutto come sapiente o scienziato, dedito esclusivamente alla ricerca e all’insegnamento. In Platone prevale l’intento politico-educativo, in Aristotele quello conoscitivo e scientifico. Mentre la maieutica, ereditata da Socrate, ha indirizzato Platone ad un tipo di filosofare mai compiuto, inteso come ricerca senza fine, lo spirito scientifico conduce Aristotele ad una sistemazione organica delle conoscenze acquisite, come pure ad una distinzione dei diversi temi e problemi secondo la differente specie, con conseguente differenziazione di metodi. Ad Aristotele si deve, in tal senso, il primo compiuto sistema enciclopedico del sapere con le sue parti: logica, metafisica, fisica, psicologia, politica, etica, estetica, retorica, poetica. Con acutezza Aristotele coglie la struttura generale di ciò che studia e la sua ordinata composizione, lasciandoci per ogni campo scientifico-conoscitivo distinzioni, classificazioni e sistematizzazioni rimaste in parte inalterate sino ai nostri giorni. Molto di quanto elaborato da Aristotele già preesisteva, prodotto dai filosofi e scienziati precedenti, ma non aveva forma sistematica; a ciò pensò Aristotele. 12- La fisica, l’etica, la poetica e la politica in Aristotele. dialogare e discutere. L'uomo dunque realizza la sua natura non in uno stato “selvaggio” di isolamento, ma nella civiltà, in società.  Il “giusto mezzo”: Aristotele non dice quale sia in assoluto la migliore forma di regime, tuttavia propende a pensare che per popoli non ancora molto sviluppati, barbari, sia una buona costituzione la monarchia, mentre se un popolo è maturo, come lo è quello greco, la forma migliore è la politeia. Quest'ultima è la forma di regime più stabile, meno soggetta a rivoluzioni, che sono sempre eventi traumatici e a cui lo Stagirita dedica approfondite analisi, sostenendo che esse si verificano ultimamente quando una costituzione è causa di gravi ingiustizie.  L’inegualitarismo: Esistono differenze qualitative tra gli esseri umani: i liberi sono superiori agli schiavi, i greci ai barbari, gli uomini alle donne e ai figli. In particolare egli sostiene che i greci siano il giusto mezzo tra la laboriosità rozza dei nordici e la raffinatezza rammollita degli orientali: i greci sono al tempo stesso laboriosi e civilizzati. Poetica: Sono importanti in particolare due temi nella poetica aristotelica, quello di poesia nel suo confronto con la storia (dunque il concetto di imitazione) e quello di catarsi. La storia ha come oggetto un particolare vero, la filosofia l'universale (vero), mentre la poesia ha come oggetto un particolare universalizzabile verosimile. Per la storia cioè è essenziale che il particolare narrato sia vero, devono essere dei fatti (particolari) reali, realmente accaduti. La poesia (e quindi l'arte in genere) invece non si preoccupa della verità di ciò che narra, ma solo della sua verosimiglianza, cioè non le importa che ciò che è narrato sia accaduto, ma che possa accadere. Una vicenda (un particolare) che può accadere (una vicenda verosimile) è un particolare che potrebbe presentarsi in modo simile in molti casi (reali, veri). Ossia è un particolare universalizzabile. E appunto in questo consiste la medietà della poesia tra storia e filosofia. Proprio il fatto che si tratti di un particolare universalizzabile dice che esso non è oggetto di una mera riproduzione, di una passiva imitazione, ma è implicito che si dia nell'attività poetica un momento di rielaborazione. Il fatto che il particolare narrato sia universalizzabile apre poi la strada all'altro grande tema della poetica aristotelica, quello della catarsi. Dire infatti che una vicenda è universalizzabile significa dire che essa può riguardare tutti, può riguardare anche anche me. Nelle vicende dell'eroe tragico, ad esempio, mi posso ritrovare anch'io, posso immedesimarmi con lui. Quindi assistere alla vicenda tragica non mi lascia indifferente, ma mi coinvolge, anche sul piano emotivo-affettivo: si produce così in me quella che Aristotele chiama catarsi, cioè purificazione. La catarsi è anche qualcosa di fisico-emozionale (può provocare ad esempio pianto, o riso, o altri fenomeni fisiologici come, per esempio un aumento del battito cardiaco, o il sudare), ma non si riduce ad esso: anzi, se si verifica un aspetto fisiologico-emozionale è perché, prima, deve essere accaduto qualcosa di conoscitivo, di noetico: cioè devo aver giudicato che quella vicenda mi riguarda, che ciò che accade all'eroe tragico, o ad altri protagonisti, potrebbe accadere anche a me. Ciò mi purifica perché mi aiuta a vedere ad esempio nella sofferenza non qualcosa di particolarmente sfortunato che accade solo a me, ma un comune retaggio del genere umano. 13- Quali sono le caratteristiche più rilevanti dell’Epicureismo e dello Stoicismo? In seguito alla morte di Alessandro Magno, la conformazione socio-politica della Grecia subisce un enorme mutamento. Se i filosofi precedenti hanno vissuto nella pólis, quindi in un contesto sociale piuttosto simile tra loro, ora la pólis, dopo essere stata un modello di successo per diversi secoli, subisce la crisi definitiva che la porterà alla dissoluzione. Di conseguenza, la trattazione dei filosofi ellenistici tocca tematiche diverse rispetto a quelle viste finora. Il focus principale è sull’etica e sulla ricerca della felicità, da ricercare necessariamente nel proprio approccio alla vita in un momento di sconvolgimenti così drastici a livello storico-culturale. Le tre linee di pensiero principali che prendono piede in questo contesto sono dunque: stoicismo, epicureismo e scetticismo. La scuola stoica si formò intorno al 300 a.C., quando Zenone di Cizio (333 a.C. - 264 a.C.) fondò la sua scuola ad Atene, tenendo le lezioni nel “Portico dipinto” (in greco Stoà poikìle) della città, motivo per il quale i filosofi seguaci di questa scuola vennero chiamati stoici. Questa corrente filosofica crebbe grazie all’apporto di tre filosofi che in poco tempo fondarono le basi del pensiero stoico: Zenone di Cizio, Cleante di Asso (331 a.C. – 232 a.C) e Crisippo di Soli (276 a.C – 204 a.C). Nello stoicismo lo scopo della filosofia è quello di raggiungere una sapienza che permetta di vivere una vita moralmente retta, guidata dalla ragione. La filosofia stoica si divide in tre parti: la logica, la fisica e l’etica. Etica: Il concetto su cui gli stoici fondano la loro filosofia è quello di lógos, ossia di ragione. La ragione è al centro di ogni teoria filosofica degli stoici, in particolar modo dell’etica, che rappresenta la loro trattazione principale. Per gli stoici l’elemento fondamentale dell’uomo è la ragione, il lógos. Per questo motivo, sono eticamente corrette tutte le azioni e i comportamenti che portano ad uno sviluppo della ragione, perseguendo la conoscenza ed aborrendo l’ignoranza. Questa dicotomia corrisponde dunque anche a quella tra bene e male: il bene, la virtù corrisponde con la sapienza, mentre il male ed il vizio corrispondono con l’ignoranza. Questa concezione è detta intellettualismo etico. Se il lógos è supremo bene e componente umana per eccellenza, ne consegue che gli stoici sostengano il disprezzo per le passioni. L’emotività è da sopprimere per permettere alla ragione di agire al meglio, si preferisce un regime di apatia, letteralmente assenza di passioni. Qualsiasi virtù morale che non sia direttamente legata alla scienza è dunque in realtà priva di qualsivoglia valore morale. La malattia e la morte vanno dunque accettate in quanto accadimenti incontrollabili della vita: è dovere di ogni uomo accettare ciò che la vita ci riserva senza alcun coinvolgimento emotivo, ma con serenità. Anche il suicidio è una scelta accettata dagli stoici e messa in pratica da molti di loro, tra i quali ricordiamo come esempio più celebre Seneca. Secondo gli stoici, la logica è una disciplina con un valore a sé stante. Essa comprende non solo gnoseologia/dialettica, ma anche la retorica. La dialettica tratta le modalità attraverso cui si conosce e si ragiona. Gli stoici sono empiristi: credono che la mente umana sia una tabula rasa, cioè che alla nascita l’uomo sia privo di conoscenze, ma inizi ad apprendere mediante le sensazioni. Queste divengono poi vere e proprie rappresentazioni dell’animo. Gli stoici le chiamano rappresentazioni catalettiche e fungono da base per il processo conoscitivo. La fisica stoica ammette l’esistenza di due principi: il Dio (principio attivo) e la materia (principio passivo). Per gli stoici solo ciò che ha un corpo esiste, e quindi non esistono realtà spirituali: lo stesso Dio ha una natura corporea, proprio come la materia. L’universo, infine, vive un alternarsi di cicli cosmici sempre identici a loro stessi. Epicuro nacque a Samo nel 341 a.C. Cominciò ad occuparsi di filosofia fin da giovanissimo, a 14 anni, assistendo alle lezioni del platonico Pànfilo e del democriteo Nausìfone. Trasferitosi ad Atene a 18 anni frequentò probabilmente le lezioni di Aristotele. Nel 321 a.C. lasciò la città per alcuni anni e cominciò l’attività di maestro. Tornato ad Atene fondò la sua scuola, dove insegnò fino alla morte nel 271 a.C. La scuola filosofica che Epicuro fondò ad Atene aveva sede in una casa nei sobborghi della città con un grande giardino, per tale motivo i numerosissimi allievi di Epicuro vennero chiamati i filosofi del “Giardino”. Come altre scuole anche quella epicurea era un’associazione di carattere religioso e l’ascendente di Epicuro sui suoi discepoli era fortissimo. La filosofia epicurea tratta principalmente della ricerca della felicità, concentrandosi soprattutto sull’etica, ma anche sulla logica e sulla fisica. Quella di Epicuro è l’etica edonistica per eccellenza, un’etica, cioè, basata sul concetto di piacere. Epicuro stila una gerarchia dei piaceri in cui il sommo piacere è dato dalla combinazione di aponia, ossia assenza di dolore fisico ed atarassia, cioè assenza di dolore psicologico. Questo tipo di piacere è un piacere catastematico, cioè durevole, che porta ad una serenità costante. Esso si raggiunge tentando di accontentarsi della propria vita, gioendo per ciò che si ha e scegliendo con attenzione i propri desideri, che Epicuro classifica mostrandoci quali, nella ricerca del piacere catastematico, debbano essere prioritari e quali, invece, trascurabili:  Bisogni naturali e necessari – ad esempio mangiare e bere. Essi vanno sempre assecondati;  Bisogni naturali, ma non necessari – ad esempio mangiare e bere qualcosa in particolare. Vanno soddisfatti solo talvolta, perché sono soddisfacenti solo in parte: soddisfano il mio bisogno naturale, ma allo stesso tempo mi invogliano a desiderare cose sempre più ricercate;  Bisogni innaturali e non necessari – ad esempio la ricchezza, il potere, la fama. Essi vanno rigettati, in quanto non portano niente di positivo e crescono sempre di più, senza trovare soddisfazione. Un altro argomento trattato da Epicuro è quello della paura. La paura è ovviamente da evitare, in quanto provoca turbamenti nell’animo. Secondo Epicuro, tramite la filosofia è possibile sconfiggere le paure dell’uomo. In particolare, egli fornisce un tetrafarmaco (o quadrifarmaco): le soluzioni alle quattro paure principali dell’uomo.  Paura degli dei -> Gli dei sono perfetti, non vogliono contaminarsi occupandosi degli affari degli uomini, né tanto meno offrire loro premi o punizioni.  Paura della morte -> Se ci siamo non c’è la morte, se c’è la morte non ci siamo noi.  Paura dell’assenza di piacere -> Seguendo la filosofia epicurea è facile raggiungere il piacere.  Paura del dolore -> Se è lieve, allora è tollerabile; se è forte, allora è anche breve perché porta alla morte. Similmente a quella democritea, la fisica epicurea fa uso del concetto di atomo, a cui affianca quello di vuoto. La presenza del vuoto è fondamentale per spiegare una caratteristica che Epicuro attribuisce agli atomi: sono strutturalmente dotati di moto. Essi si muovono verticalmente, dall’alto verso il basso. Tuttavia, possono effettuare delle deviazioni casuali, il clinàmen, che portano gli atomi a scontrarsi tra loro dando vita agli oggetti del mondo. Ogni cosa è formata da atomi quindi, perfino l’anima e gli dei. La logica è quella parte della riflessione filosofica Epicurea che si occupa di fornire all’uomo il criterio di verità e di conoscenza. Il principio di verità è individuato nell’evidenza che deriva dalle sensazioni, dalle anticipazioni e dalle emozioni. Le sensazioni sono originate dagli atomi che si staccano dalle cose e ci permettono di percepirle, e sono quindi sempre vere ed oggettive. Dalle sensazioni derivano poi le anticipazioni, o prolessi, ovvero i concetti, le immagini anticipatorie, che si formano nella nostra mente in seguito alla ripetizione di medesime sensazioni. Le emozioni, che per Epicuro consistono nel piacere e nel dolore, si accompagnano alle sensazioni e hanno un’importanza fondamentale perché costituiscono il principio per la vita pratica. 14- Scetticismo antico. Mentre in Grecia si sviluppavano le grandi elaborazioni sistematiche (platonismo, aristotelismo, stoicismo), nell’età alessandrina si sviluppò una tendenza di carattere scettico. L’atteggiamento scettico prosegue la forma mentis tipica della filosofia greca del V secolo a.C.: la varietà e differenza delle “visioni del mondo” porta al relativismo, alla rinuncia dell’idea di una verità unica in ambito conoscitivo ed etico. Iniziatore dello scetticismo nell’età ellenistica fu Pirrone di Elide: lo scetticismo è stato definito anche come pirronismo. Lo scetticismo non fu una vera e propria scuola: Pirrone fu l’iniziatore di un atteggiamento filosofico che caratterizzerà l’Accademia platonica con Carneade di Cirene e avrà i suoi primi sviluppi con Sesto Empirico. Quest’ultimo scrisse un’opera dal titolo Contro I Matematici la quale è una delle nostre principali fonti di conoscenza delle dottrine scettiche. Per gli scettici, la verità non può essere trovata: occorre quindi sospendere il giudizio, rinunciare ad affermare una cosa piuttosto che un’altra. Tale atteggiamento viene detto epoché, che indica letteralmente “sospensione del giudizio” sulla verità assoluta o falsità assoluta di una cosa. Per loro il dubbio va esteso ad ogni giudizio: il risultato è l’aphasia, cioè il “silenzio sulla vita” e l’atarassia. L’epoché permette di evitare l’errore e libera da ogni turbamento. Il saggio, astenendosi dal giudicare, raggiunge uno stato di indifferenza, di atarassia, di tranquillità e pace interiore. Pirrone e Sesto Empirico argomento il loro scetticismo partendo delle fonti della conoscenza: le sensazioni. Le sensazioni sono la fonte del conoscere ma sono soggettive, cioè diverse da individuo a individuo, e circostanziali. Le conoscenze della ragione, che presuppongono i dati sensibili, sono anche esse individuali e non hanno carattere di universalità e oggettività. Lo scetticismo ha influenzato anche importanti autori e contesti della filosofia moderna: si tratta di autori e contesti caratterizzati da un atteggiamento antimetafisico e da una critica della ragione dogmatica e sistematica, posizioni spesso radicalmente empiristiche. -L’opera parte con un’invocazione a Dio; -I primi 9 capitoli riguardano la narrazione (unita a profonde riflessioni) vera e propria. Parla: - dell’Infanzia a Tagaste e dei primi peccati commessi, - degli studi e della sua professione come retore a Cartagine e della sua vita dissoluta e corrotta, - della lettura dell’Hortensius di Cicerone - della sua passione per la filosofia e della sua adesione al Manicheismo - del suo incontro a Milano con S. Ambrogio, del quale fu colpito dai suoi discorsi e dalla sua lettura allegorica della Bibbia - della sua conversione al cristianesimo e del suo battesimo avvenuto a Milano ad opera di S. Ambrogio - del suo abbandono della professione di insegnante e della sua consacrazione a Dio diventando prima sacerdote e poi vescovo d’Ippona In questa narrazione è viva la presenza sofferente (per la vita dissoluta del figlio) e orante (per le innumerevoli preghiere) della madre Monica. Agostino è ben consapevole del ruolo decisivo avuto dalla madre per la sua maturazione umana e religiosa. -Negli ultimi 4 capitoli (10-13), Agostino fa delle considerazioni sul tempo, sulle sue origini e sul ruolo che ha avuto nella vita dell’uomo, e dei commenti sui relativi passi della Genesi. Il nocciolo del pensiero agostiniano riguardante le Confessioni è l’incapacità dell’uomo di orientarsi da solo. Solo con l’Illuminazione di Dio (a cui obbedire) l’uomo può trovare l’orientamento nella propria vita, così come è accaduto a lui stesso. 17- Ci sono degli elementi di continuità tra la “filosofia dell’esistenza di Agostino e le prospettive di Pascal e Kierkegaard? (in sospeso) 18- Quali sono le principali caratteristiche della scolastica medievale. Nel 529 d.c. l’editto di Giustiniano fa chiudere la scuola di Atene: è la fine della filosofia pagana tardo-antica e l’inizio della filosofia scolastica medievale. Contestualmente San Benedetto da Norcia fonda l’abbazia di Montecassino dando origine al programma di vita contemplativa. La filosofia insegnata nelle scuole benedettine, nelle scuole palatine, nelle scuole presso le cattedrali e nelle università rappresenta l’insegnamento della scolastica medievale, il cui problema fondamentale è trovare un punto d’incontro tra fede cristiana e ragione umana. Il termine scolastica indicava in modo particolare lo scolasticus (o magister), insegnante delle arti liberali del trivio (grammatica, retorica, logica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, l’astronomia e la musica) nelle scuole cristiane medievali. In queste discipline troverà poi spazio nel tempo anche la filosofia e la teologia. Lo sviluppo della scolastica avviene attraverso 4 fasi: - Pre-scolastica: IX secolo, avviene la ripresa delle tradizioni neoplatoniche; - Altra scolastica: dal X al XII, si affronta il problema del rapporto tra fede e religione e l’utilizzo o meno della logica nella teologia. Gli autori di riferimento di questo periodo sono Anselmo d’Aosta e Pietro Abelardo; - Dal 1200 al 1300 fase detta “periodo d’oro”, si realizza un pieno equilibrio tra fede e ragione. Le figure chiave sono Tommaso d’Aquino, esponente dell’ordine domenicano, e Bonaventura di Bagnoregio per l’ordine francescano; - Fase di decadenza che si verifica nel XIV secolo nella quale si prospetta la possibilità di un disaccordo tra fede e ragione che porterà al dissolvimento della scolastica. Figure di spicco di questa fase sono Guglielmo Ockham, francescano inglese e iniziatore dell’empirismo, e Meister Eckhart, domenicano tedesco. La scolastica oltre ad affrontare il tema dell’educazione dell’uomo si occupa di altri problemi quali ad esempio il rapporto tra ragione e fede e cercano di capire come far incontrare le due. Altro problema di cui si occupa e’ l’esistenza di Dio e cercavano cosi di dimostrarla; si occupavano inoltre del dibattito sugli universali ed infine affrontavano il tema del male, del male rispetto a Dio e del male rispetto all’uomo. Infine all’interno della scuola medievale esistevano due forme di lezione ossia la lextio ovvero il commento ad un testo e la disputatio ossia una disputa con tesi e contro tesi che si fonda sulla logica e sulla retorica argomentativa. 19- jDescrivi gli elementi fondamentali del pensiero di Tommaso D'Aquino e la sua teoria delle 5 vie. Nasce nel 1225 vicino a Cassino (nel Lazio), è il principale esponente della scolastica, la porta al suo massimo splendore. Tommaso è con Agostino uno dei due grandi pilastri della dottrina cattolica. Tommaso porta l’aristotelismo dentro la cristianità così come Agostino aveva portato il platonismo, decide di tradurlo e di portarlo difatti nel mondo cristiano-latino. Tommaso fa riferimento ad un elemento comune che accomuna tutti gli uomini di tutte le varie civiltà cioè l'utilizzo della ragione, la ragione ha un valore veramente fondamentale, tra fede e ragione vi è rapporto fertile e fecondo, la fede e la ragione sono due sentieri paralleli i quali si influenzano tra loro e giungono entrambe alla stessa verità. La ragione deve essere al servizio della fede e deve farlo con umiltà, ne deve dimostrare i preamboli (es. L'esistenza di Dio) e la deve difendere da chi la attacca. Il pensiero di Tommaso è stato ripreso nel 1879 da Papa Leone XIII nell’enciclica Aeterni Patrisin cui Tommaso D'Aquino viene visto come un esempio del “retto ragionare”, un modello di equilibrio nei rapporti tra la ragione e la fede. Tommaso scorge tra la ragione e la fede una “concordia non discordante “, la ragione opera all’interno della fede attraverso i preambula Fidei, i presupposti di accesso alla Fede. Tommaso d'Aquino compì i primi studi all'Università di Napoli, fondamentali in quanto a Napoli avveniva la diffusione dei testi di Aristotele che a Parigi erano vietati. Tommaso D'Aquino si interessa al pensiero aristotelico e soprattutto cerca di correggere quelle che ai suoi occhi apparivano delle distorsioni del suo pensiero. Tra le prime opere originali vi è il De ente et essentia dove emergono i tratti fondamentali della metafisica tommasiana fondata sui concetti di “casualità” e di “partecipazione ontologica”. (Dio fonte dell'essere che crea ex nihilo dal nulla l'essere delle creature Le grandi opere di Tommaso D'Aquino sono senz'altro la Summa contra gentiles in cui lo scopo è quello di spiegare le verità della fede cristiana ai genitiles, cioè agli arabi e ai non credenti, attraverso il solo uso della ragione e la Summa Theologiae la sua opera maggiore. Nella Summa Theologiae Tommaso elabora le cinque vie a Dio, che sono dimostrazioni a posteriori, parte dalla natura per dimostrare l’esistenza di Dio. Queste 5 vie sono:  EX MOTU: Dal movimento delle cose naturali al “Primo Motore Immobile”. Si tratta della PROVA COSMOLOGICA, desunta dalla Metafisica di Aristotele. Essa parte dal principio che «tutto ciò che si muove è mosso da altro». Nelle cause del movimento degli enti non è possibile regredire all’infinito, deve esserci un “Motore Immobile”, un primo motore che non sia mosso da null’altro: questo primo principio viene compreso da tutti come DIO;  EX CAUSA: La seconda via è la PROVA CAUSALE. Nel mondo esistono un’infinità di effetti prodotti da cause; di necessità deve esserci una “causa prima incausata”: tale causa efficiente prima (producente tutte le “cause seconde” dell’ordine naturale) è DIO;  EX CONTINGENTIA: La terza via parte dalla constatazione che le realtà sensibili ora esistono e ora non esistono (possono essere o non essere; nascono e muoiono), cioè sono contingenti. Tutto ciò che esiste è contingente (può essere o non essere): deve quindi di necessità esserci un ente necessario che fonda l’essere delle creature. Tale ente necessario è DIO;  EC GRADIBUS PERFECTIONIS: La quarta via parte dalla constatazione che nella realtà sensibile esistono diversi gradi di perfezione: si trovano nelle cose il meno e il più del bene, del bello, ecc. Vi dovrà, quindi, di necessità esserci una causa prima di tutte le perfezioni: si tratta di un essere assolutamente perfetto, in riferimento al quale si possano distinguere i gradi meno perfetti, che chiamiamo DIO;  EX FINE: La quinta via è tratta dal finalismo delle cose naturali: tale finalismo deve essere stato posto da una Intelligenza suprema e ordinatrice. Tutte le cose naturali, seppur prive di intelligenza, appaiono sempre dirette ad un fine (es: il seme che ha come finalità il diventare pianta). Questa finalità presente nella natura deve di necessità essere stata posta da un Essere dotato di intelligenza: così come la freccia non può essere diretta al bersaglio se non per opera dell’arciere. o La quinta via è ancora oggetto di discussione da parte degli uomini di scienza: si tratta del grande tema del “disegno intelligente”: per i teorici dell’intelligent design alcune caratteristiche dell'universo e delle cose viventi sono spiegabili meglio attraverso una causa intelligente, che non attraverso un processo casuale e non pilotato come la selezione naturale (di cui parlava Charles Darwin). La metafisica DI Tommaso viene definita anche metafisica dell'esodo perché trae origine dall’interpretazione del libro biblico dell'esodo dove Dio nomina se stesso come “essere”, si definisce come “pienezza d'essere”. Tommaso evita l’identificazione tra l’essere di Dio e quello delle creature, evita quindi l’accusa di panteismo (l’essere di Dio che si risolve nell’essere delle creature, cioè nella natura) e delinea una radicale differenza ontologica tra Dio e gli enti creati. Tuttavia, per Tommaso vi è un rapporto di analogia tra gli attributi delle cose create e gli attributi di Dio. Partendo dal principio di analogia, si può risalire alla natura divina e ai suoi attributi mediante tre vie: 1. La via negativa consiste nel negare di Dio tutte le imperfezioni delle creature (Pseudo Dionigi); 2. La via della casualità, siccome le creature sono effetto di Dio, tutte le perfezioni che sono nelle cose devono trovarsi anche in Dio; 3. La via dell’eminenza, le perfezioni devono essere attribuite al Creatore ma in maniera superlativa. In Tommaso D’Aquino troviamo una “dottrina dei trascendentali”, i trascendentali sono quei caratteri universali che vanno al di là delle stesse categorie. Tutti gli enti hanno cinque proprietà trascendentali: L’ente: - è una cosa; - è un’unione di forma e materia; - ha una sua identità; - è verità, la mente umana lo conosce nella sua realtà concreta; - è bontà perché creato da Dio. - ha un grado di bellezza (sesto trascendentale inserito nella Tarda scolastica del 300). 20- Perché con Duns Scoto e Ockham si parla di tramonto della scolastica medievale? Come intende Ockham il rapporto tra fede e ragione? Con i filosofi Duns Scoto e Guglielmo D’Ockham si parla di tramonto della scolastica medievale perche’ entrambi parlano di una rottura di equilibrio tra la fede e la religione. Per Scoto infatti per la verita’ della fede cristiana non vi sono demonstrationes razionali ma solo persuasiones. Le verità di fede sono sottratte al dominio della ragione. Secondo Guglielmo d’Ockham l’unica fonte di conoscenza è l’esperienza sensibile: di conseguenza tutto ciò che non può essere percepito con i sensi non può essere conosciuto. Così, Dio, l’anima e tutte le verità soprasensibili non sono oggetto della conoscenza umana, ma possono essere accettate solo per fede. o Per Ockham fede e ragione sono separate ed indipendenti: i dogmi della fede non sono dimostrabili attraverso la ragione. Ockham critica anche le 5 vie di Tommaso per dimostrare l’esistenza di Dio. L’atteggiamento di Ockham può essere definito come FIDEISMO: la fede basta a se stessa e non ha bisogno dei fronzoli della ragione. Tale netta separazione tra fede e ragione porta al tramonto delle idealità che avevano animato la scolastica medievale e, in particolare, il pensiero di Tommaso d’Aquino. La storiografia filosofica individua in Ockham e nell’occamismo il TRAMONTO DELLA SCOLASTICA MEDIEVALE. La ragione umana, per Guglielmo d’Ockham, non può dire nulla della realtà e dell’essenza di Dio: Dio è assolutamente trascendente e onnipotente, la sua realtà supera i limiti dell’intelletto umano. Egli ha creato il mondo tramite un libero atto d’amore della sua “infinita potenza”, una potenza che non è subordinata a nessuna legge della natura. Come la fede deve essere separata dalla ragione, così anche il potere spirituale deve essere separato da quello temporale: Guglielmo d’Ockham auspica una netta separazione tra il potere della Chiesa e il potere dello Stato. 21- La filosofia arabo-islamica. Il rapporto fra filosofia e fede non riguarda solo la scolastica e quindi la fede cristiana, bensì vi saranno nel tempo numerosi filosofi arabi che tenteranno di conciliare la filosofia antica e la fede islamica, e filosofi ebrei che tenteranno la medesima conciliazione nei riguardi della fede ebraica. Il punto di arrivo sarà la regola della sintesi: passare gradatamente da conoscenze semplici a conoscenze più complesse solo mediante rigorose sintesi unificatrici; la regola della enumerazione e della revisione: enumerare tutti i casi in cui un fenomeno può manifestarsi per essere sicuri di non aver dimenticato nulla e, quindi, controllare di nuovo (revisione) tutte le procedure di analisi e di sintesi seguite. -Come passo successivo Cartesio applica le regole del suo metodo ai vari tipi di conoscenza quali definiti dal sapere tradizionale:  la conoscenza sensibile: sembra che i sensi ci diano una conoscenza indubitabile, ma essi ci possono ingannare;  la conoscenza logico-razionale: essa non deriva dai sensi, ma si fonda su principi di ragione e della logica ravvisati certi. Però si può anche sbagliare nel ragionare, oppure si può sognare, quindi anche questa conoscenza e’ indubitabile;  la conoscenza matematica: , svegli o sognanti, le regole della matematica non cambiano (2+3=5, sempre). Sembra quindi che la matematica possa ritenersi il fondamento certo della conoscenza umana. Tuttavia bisogna dubitare anche della matematica perché potrebbe esistere un "genio maligno" che vuole ingannarci. Per tali motivazioni applica metodicamente e sistematicamente il dubbio ad ogni tipo di conoscenza; da ciò il nome di “dubbio sistematico”, o “metodico”, quale da lui coltivato, non per scetticismo ma per verificare se è possibile trovare un fondamento che sia assolutamente indubitabile. Il dubbio cartesiano è volutamente universale, iperbolico, non perché Cartesio non creda possibile trovare una certezza ma proprio perché vuole trovarla in modo più che sicuro. Egli osserva che, mentre si pensa di poter dubitare di tutto, non si può tuttavia dubitare del fatto che si stia pensando, ossia che vi è ed esiste un qualche cosa, un soggetto, che pensa. Da qui la celebre affermazione "cogito, ergo sum" (penso, quindi sono, esisto). Questa verità non può essere messa in dubbio neppure dal genio maligno. A partire dal dubbio l’uomo arriva alla certezza di essere res cogitans, una sostanza pensante che dubita. Se io sono sostanza pensate il mio pensiero deve essere caratterizzato da un contenuto, ovvero deve configurarsi come idea. Cartesio distingue tre tipologie di idee: 1. Idee avventizie: derivano, tramite la sensibilità da oggetti esterni e sono indipendenti dall’uomo. 2. Idee fittizie: prodotte dalla fantasia che rielabora in modo bizzarro quelle avventizie. 3. Idee innate: presenti fin dalla nascita come l’idea di Dio e dei principi matematici. Cartesio definisce la sostanza come ciò che per esistere non ha bisogno che di se stessa, non derivando da niente altro. In questo senso assoluto, osserva, la sostanza non può essere che Dio. Solo Dio non deriva la propria esistenza da alcunché; non è creato o prodotto da niente altro se non da se stesso. Ma Dio appartiene al mondo dell'infinito, separato e trascendente da quello finito in cui viviamo. Perciò nel mondo finito Cartesio ammette l'esistenza di due sostanze per così dire secondarie, le quali esse pure, comunque, non derivano da altre cose finite essendone invece il principio, la matrice: sono per l'appunto la res cogitans e la res extensa. Si tratta però di due sostanze tra di esse assolutamente opposte perché ciascuna è regolata e funziona in base a modi e a leggi del tutto differenti: la res cogitans (il pensiero, lo spirito) agisce secondo le leggi della libertà e della volontà (libertà di pensare e libertà di volere); invece la res extensa (la materia, i corpi fisici) opera in base a leggi naturali meccaniche e necessarie, non libere ma necessariamente sempre costanti. Il pensiero è il regno della libertà, la materia è quello della necessità. La concezione della realtà è dunque segnata in Cartesio da un netto dualismo. Le due sostanze sono tra esse del tutto irriducibili, niente hanno in comune: il pensiero non può essere esteso (non occupa spazio) e la materia non può pensare (non ha in sé niente di spirituale). 24- Le tre prove cartesiane dell’esistenza di Dio. Tra le molte idee che si trovano nell’ambito della coscienza Cartesio sottolinea che l’idea di Dio è innata: quest’ultima è l’idea di una «sostanza infinita, eterna immutabile, indipendente, onnisciente, e dalla quale io stesso e tutte le cose che sono, siamo stati creati e prodotti». Differentemente dalle prove dell’esistenza di Dio fornite da Tommaso d’Aquino, Cartesio non parte dalla realtà extrasoggettiva ma muove dall’uomo stesso o meglio dalle idee che l’uomo rinviene nella sua coscienza. Nella terza delle Meditazioni l’autore ci fornisce quindi tre prove dell’esistenza di Dio, le prime due sono prove a posteriori - cioè ricavate dall’esperienza interiore dell’uomo - la terza prova è a priori, cioè ricavata dal solo uso della ragione. 1- La prima prova, conseguenza immediata del cogito, considera Dio come causa dell’idea di perfezione posseduta dall’uomo ed e’ a posteriore poiche’ muove dalla constatazione empirica dell’imperfezione umana. L’uomo dubita ed è soggetto ad errore: si riconosce quindi come imperfetto. Tuttavia questa idea di perfezione non può provenire dall’uomo stesso, limitato e imperfetto, poiché soggetto al dubbio, né dalle cose, materiali, finite e contingenti: l’idea di perfezione deve necessariamente derivare da un essere perfetto, cioé da Dio stesso. 2- La seconda prova, ugualmente conseguenza del cogito, considera Dio come causa dell’esistenza umana ed è anch’essa a posteriori poiché muove dalla considerazione che l’uomo si riconosce imperfetto e perciò dipendente da un essere autonomo ed assoluto che lo sostiene . Per Cartesio l’uomo non può essere autore di se stesso perché in tal caso si sarebbe creato perfetto, in quanto possiede l’idea della perfezione. Né d’altra parte, egli può derivare dalle cose, cioè dalla natura, poichè esse hanno un minor grado di perfezione. Perciò l’uomo è creazione di un essere perfetto, cioè di Dio, che gli ha dato l’esistenza, pure limitata e finita. 3- La terza prova tende a dimostrare l’esistenza di Dio a partire dalla stessa idea di divinità: è a priori perché non è ricavata dalla realtà concreta delle cose, ma trova nello stesso concetto di Dio la certezza della sua esistenza. Il concetto di Dio proviene all’uomo da Dio stesso. Inoltre essendo Dio perfetto non può mancare dell’esistenza: deve necessariamente esistere, altrimenti non sarebbe un essere perfetto. Per Cartesio - così come per Anselmo - l’idea di Dio, cioè di un essere perfettissimo, implica necessariamente la sua esistenza: l’idea di Dio non può esistere soltanto nella mente perché altrimenti non sarebbe l’idea di un essere perfettissimo, essendo privo di una perfezione, cioè dell’esistenza. 25- Cartesio, Hume e Locke a confronto. La seconda metà del ‘600 e tutto il '700 sono il periodo della filosofia moderna, in cui sono centrali le riflessioni sulla conoscenza stimolate dalla nascita della nuova scienza con Galilei. Ne nascono le due principali correnti della filosofia moderna: il razionalismo e l’empirismo. La filosofia cartesiana segna il passaggio da una filosofia che si occupa della realta’ ad una il cui fulcro centrale e’ la conoscenza: proprio per questo importantissimo motivo Cartesio viene definito il fondatore della filosofia moderna. Per Cartesio esistono idee innate e verità assolute raggiungibili con la sola ragione, come ad esempio le verità matematiche o l’esistenza di Dio ed afferma inoltre che e fonti principali della conoscenza non sono i sensi ma la ragione. Locke è il più grande esponente dell’empirismo inglese, egli afferma che le fonti della conoscenza sono i sensi e che non esistono idee innate e verità assolute. Le idee derivano tutte dall’esperienza e lo spirito è una tabula rasa, cioè un foglio bianco, che si riempie di contenuti solo attraverso l’esperienza. I due filosofi sviluppo idee diverse anche su molti altri argomenti ad esempio nei confronti della metafisica infatti Cartesio afferma che si possono elaborare teorie metafisiche in cui è inclusa la trattazione di concetti di cui non si può fare esperienza diretta, ma che si possono raggiungere con il ragionamento, come anima, dio, Locke a differenza sostiene che la metafisica va rifiutata, come pure tutte quelle teorie che non si basano sull’esperienza diretta; hanno idee discordanti anche per quanto riguarda la matematica i razionalisti ritengono infatti che la matematica ci metta in contatto con un mondo di enti (cerchi, triangoli, ecc.) particolari e perfetti che esistono separatamente dalla mente umana e che riusciamo a cogliere solo col ragionamento. Assumono inoltre come modello di ragionamento perfetto la matematica (fatto di dimostrazioni rigorose che partono da princìpi evidenti) e vogliono estenderlo agli altri ambiti del pensiero: vedi ad esempio Cartesio, ma anche Spinoza, che cerca di analizzare anche i princìpi dell’etica (bene, male, felicità, ecc.) con un modello matematico. Secondo gli empiristi invece, anche i concetti più astratti, come quelli della matematica, sono prodotti dalla nostra mente, perciò essi non godono di una particolare considerazione da parte di questi filosofi. Non attribuiscono alla matematica tutta l’importanza che le attribuiscono i razionalisti: non pensano che la matematica sia il modello di ogni ragionamento. Non pensano che la realtà abbia una struttura matematica e che l’intelletto umano possa afferrarla completamente. Hume, nel suo “trattato sulla natura umana” esporrà la sua teoria secondo cui l’unica conoscenza certa è quella data dalle impressioni, ossia da ciò che l’uomo sperimenta nella realtà in modo diretto. Come Locke, Hume asserisce che la conoscenza parte dalle sensazioni, che Hume divide in impressioni e in idee. Le impressioni sono le sensazioni immediate e vivaci che derivano dall’esperienza e dal sentimento che ci provoca l’impressione, le idee sono la presenza sfocata del ricordo di quelle impressioni in assenza dell’oggetto che le ha create. Le idee sono distinte poi in semplici e complesse grazie ai meccanismi di associazione come quello di somiglianza, di contiguità spazio temporale e di causalità. Le idee secondo Hume sono la dimostrazione che il nostro credere il persistere dell’esistenza dell’oggetto di cui abbiamo fatto esperienza anche in sua assenza, sia frutto di un’abitudine. Hume pensa inoltre che la conoscenza che avviene in forma indiretta, secondo i criteri di causa effetto, derivi da un’abitudine umana a vedere la causalità delle situazioni: ad esempio, se vedo un albero di mele e sotto l’albero trovo tante mele sparse a terra, per convenzione causale penserò che siano cadute dall’albero, ma io non posso sapere se precedentemente, mentre non vedevo, qualcuno sia passato di lì con un cesto di mele e le abbia fatte cadere lui a terra sotto l’albero dove io le ho trovate. Siccome non possiamo conoscere ciò che non sperimentiamo direttamente, allora la conoscenza derivata dai ragionamenti di causalità non è certa. Non solo, Hume arriva a teorizzare che anche le nostre percezioni sono soggette a mutamenti, la mente umana è un teatro di percezioni che si alternano e modificano a seconda delle situazioni in cui l’essere umano si trova. Ciò comporta che l’esperienza e quindi la conoscenza siano soggettive, così come l’etica. Per Hume la religione deriva dai sentimenti di paura e incertezza, che hanno portato l’essere umano a cercare spiegazioni semplici e rassicuranti. 26- Quali sono le principali differenze tra Cartesio, Spinoza e Lebniz? I tre filosofi appartengono al razionalismo, ossia a quella corrente filosofica che si interroga su come avvenga la conoscenza, su ciò che l’uomo può e non può conoscere attraverso la ragione. Secondo i razionalisti la conoscenza parte dall’intelletto per indagare la realtà, al contrario degli empiristi come Locke per i quali la conoscenza parte sempre dalla realtà, dall’esperienza. Cartesio, Spinoza e Leibniz hanno un approccio alla realtà e al pensiero differente ma legato da affinità. Per Cartesio la conoscenza origina nel pensiero ed è possibile solo tramite il dubbio, in quanto i sensi ingannano e potrebbe esistere un dio malvagio che si prende gioco dell’uomo facendogli credere una realtà che non è. Cartesio arriva poi alla conclusione che Dio può solo essere buono e che è garante del pensiero stesso. Per Cartesio c’è una dualità dicotomica tra res cogitans e res extensa, secondo questo dualismo nella res cogitans risiede la libertà dell’uomo, il libero arbitrio determinato dal pensiero, nella res extensa vi è invece un meccanicismo che lo studioso deve indagare per comprendere il mondo e che indagherà attraverso un metodo rigoroso di cui tratta nelle 6 meditationes. Secondo Cartesio Dio ha un ruolo centrale che è quello di garante della verità: tutto è finalizzato al disegno divino. Per Spinoza questa dualità non esiste, tutto è sostanza e la sostanza è tutto. Dio è la sostanza che è identificabile nella natura tutta. La sostanza è regolata da leggi meccanicistiche e deterministiche, l’uomo, essendone parte, è soggetto a quelle leggi. La sostanza ha degli attributi infiniti di cui l’uomo conosce solo pensiero ed estensione, l’uomo e tutti i soggetti e oggetti naturali sono “modi” della sostanza. Persino le emozioni e i sentimenti umani sono caratterizzati da questo meccanicismo, sono soggetti a leggi fisiche e geometriche. Ogni cosa quindi è necessaria e Dio, ossia la sostanza, è la causa di tutto.  la tabula absentiae, nella quale si registrano i casi somiglianti in cui però il fenomeno non si presenta, è assente (ad esempio la luce lunare, che è luce fredda, o i fuochi fatui);  la tabula gradum, nella quale si registrano tutti i casi in cui il fenomeno si presenta secondo diversi gradi di intensità. Raccolto sufficiente materiale si può formulare una prima ipotesi intorno al fenomeno studiato, da sottoporre poi ad ulteriori controlli e sperimentazioni, in particolare a quello che Bacone chiama l'esperimento cruciale. Il metodo baconiano è costruito su una visione della realtà concepita come l’insieme dei movimenti dei corpi nello spazio prodotti da forze di attrazione e repulsione; esso intende presentarsi come sintesi tra osservazione empirica e ragionamento. Galileo Galilei, opera tra la metà del 1500 e la prima metà del 1600. Galileo fonda il Modello Matematico- Sperimentale che si basa su 5 punti: 1) Osservazione del Fenomeno 2) Formulare ipotesi 3) Sperimentazione 4) Verifica delle Ipotesi 5) Formulazione della Legge scientifica. Questo metodo è ancor oggi valido e utilizzato, esso ci da’ una visione nuova della natura. Galileo, infatti, ci prospetta una visione meccanicistica della natura, cioè basata sul movimento. Si studia non tanto il “perché’” ma il “come?” accadono le cose. Egli da grande valore al sapere tecnologico-artigianale e ricerca nuove strumentazioni tecnologiche che lo possano aiutare a migliorare l’osservazione, e, quindi, la conoscenza. La crescita della strumentazione è un ulteriore fenomeno che accompagnerà la nascita e lo sviluppo della scienza moderna. In quest’ottica, diventa importante la scoperta del telescopio. Diventa lo strumento che migliora la capacità attentiva-osservativa dello scienziato. Nasce, grazie a Galileo, un atteggiamento nuovo di arrivare alla conoscenza. Con Galileo si attua una riflessione/confronto tra fede e scienza. Galileo sostiene con chiarezza l’autonomia della scienza. La fede ha come oggetto la salvezza delle anime e La scienza ha come oggetto la conoscenza razionale dei fenomeni della natura. Fede e scienza hanno compiti diversi senza svalutare o cancellare la fede. Accuse che purtroppo furono fatte allo scienziato. 29- Perché Giambattista Vico critica e il razionalismo moderno? Quali sono gli aspetti più originali della filosofia della storia elaborata da Vico? Vico è un autore originale, filosofo e storico napoletano che va al di là delle correnti europee del razionalismo ed empirismo. Secondo Giambattista Vico l’unica conoscenza certa riguarda ciò che l’uomo ha prodotto, ossia la storia e darà origine a quella che lui chiama la scienza nuova. La scienza nuova ha il compito di studiare e analizzare la storia prodotta dall’uomo attraverso la filologia e la filosofia. Vico riprende il concetto agostiniano di eterogenesi dei fini, secondo cui esiste una volontà divina nella storia che l’uomo fatica a percepire, e che vede nelle scelte umane fatte per uno scopo, un altro più alto obiettivo. La storia umana è finalistica. Vico dunque teorizza una storia ideale a cui la storia tende, che è suddivisa in epoche. Secondo Vico esistono tre storie ideali che influenzano la storia reale nel tempo degli uomini, e avvengono in successione: 1. L’età degli dèi (i primitivi): in cui gli uomini, affidandosi esclusivamente ai propri sensi e alla loro fantasia, interpretano il mondo come un gigantesco organismo di forze incommensurabili. Così, le forze naturali diventano divinità, benefiche o punitive, di un sistema politeista generato dalla fervida immaginazione dei primi uomini. 2. L’età degli eroi (Omero)*: età in cui la società inizia a stratificarsi, un gruppo si impone con la forza sugli altri, arrogandosi quelle qualità che prima spettavano agli dèi. È il tempo della virtù aristocratica (in cui si fondono, tra le altre, valore militare, pietà, temperanza e coraggio) si formano i governi aristocratico- oligarchici, fondati sul dominio dei pochi sui molti. In questa fase, è la poesia epica a celebrare le gesta dei primi eroi. (valorizzazione del mito come universale fantastico). 3. L’età degli uomini: età in cui tutte le credenze precedenti ricevono un fondamento e una spiegazione razionale e si impone il principio dell’uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, che è la garanzia sia delle repubbliche popolari sia delle monarchie (subordinazione della fantasia alla riflessione). Per esso la storia è ciclica, ogni popolo corre sempre il rischio di smarrirsi e di precipitare nuovamente nella barbarie e dover ripercorrere nuovamente i tre stadi. Per Vico la storia è fatta di corsi e ricorsi. In Vico si ha anche l’elaborazione di un’originale filosofia del linguaggio. Nella tradizione razione il linguaggio era ritenuto solamente un prodotto artificiale e convenzionale, Vico invece, considera il linguaggio una creazione spontanea ed immediata della fantasia e dell’ingenium. La posizione di Vico nei confronti di Cartesio, e’ antitetica perche’ diverso e’ il criterio di verita’ adottato dall’uno e dall’altro. Cartesio afferma che la certezza conoscitiva ha il suo fondamento sull’evidenza razionale; Vico invece, controbattendo che qualunque idea, anche falsa, puo’ apparire chiara e distinta alla mente di chi la pensa, dichiara che soltanto chi produce una cosa puo’ conoscerla perfettamente (verum ipsum factum). Di conseguenza Cartesio trascura lo studio delle attivita’ umane dell’ambito della storia perche’ le considera manifestazioni irrazionali, non deducibili da principi rigorosamente logici, ed ammette la conoscenza dell’io, di Dio, della natura e della matematica. Vico invece sostiene che solo la storia e’ oggetto di vera scienza perche’ prodotto dall’uomo e nega che io, Dio e natura possono essere conosciuti. Inoltre ammette che la matematica sia scienza, in quanto costruzione dell’uomo, ma ne limita e ne circoscrive l’importanza giudicandola finzione astratta, perche’ creazione convenzionale e arbitraria che non puo’ essere applicata al mondo delle cose. Nella critica alla matematica percio’ Vico accetta la dottrina degli empiristi. 30- La filosofia francese tra il Seicento e il Settecento: Pascal e Rousseau. Il Seicento e la prima metà del Settecento è dominata in Francia e in Europa dalle problematiche filosofiche suscitate dal razionalismo cartesiano: i problemi fondamentali affrontati nell’aetas cartesiana sono il dualismo irriducibile di res cogitans e res estensa, il rapporto tra libertà e determinismo nel contesto della nuova visione scientifica del mondo (Galilei, Newton), la filosofia come ricerca di un metodo rigoroso adatto al nuovo paradigma epistemologico delle scienze sperimentali, la ricerca di un’etica adatta al ceto borghese del nascente capitalismo. Le prospettive di Pascal e di Rousseau, pur nelle loro imprescindibili differenze, sono accomunate dalla comune riscoperta del valore del sentimento. Pascal si oppone all’unilateralità del razionalismo cartesiano ed afferma che per comprendere l’uomo è necessario partire anche dalla sfera dei sentimenti. Dal canto suo anche Rousseau, nel Settecento, critica il razionalismo e l’astratta ragione degli illuministi suoi contemporanei (Voltaire, Diderot, D’Alembert). Pascal coltivò interessi tra scienza e fede, a 18 anni inventò la prima macchina calcolatrice. Egli accetta il metodo matematico di Cartesio per lo studio della natura e dei fenomeni fisici: Pascal definisce la ragione matematica come «esprit de geómetrie». L’«esprit de geómetrie» indica la conoscenza scientifica e analitica, ottenuta con procedimenti logici e razionali. Tuttavia, per Pascal l’«esprit de geómetrie» è valido solo per lo studio della natura, quando ci si rivolge all’uomo esso risulta insufficiente. Per lo studio della realtà umana è necessario quella FORMA MENTIS che Pascal definisce come “spirito di finezza” (esprit de finesse). L'«ESPRIT DE FINESSE» è una intuizione immediata che nasce dal cuore. Si tratta di un giudizio penetrante che coglie e sente la realtà nel suo intimo mediante il sentimento piuttosto che con il ragionamento astratto dell’intelletto. Per comprendere la complessità dell’interiorità umana, con i suoi drammi e contraddizioni, occorre l’«esprit de finesse». L’«ESPRIT DE FINESSE» è quindi una forma di conoscenza ulteriore a quella logico-matematica: si tratta della conoscenza esistenziale dell'uomo, dei moti della sua anima, dei principi che governano la sua sfera spirituale. L’opera piu’ importante e’ i pensieri. La questione principale intorno a cui orbita tutto il pensiero di Pascal è l’interrogativo sul senso della vita, che per Pascal non può essere risolvibile al di fuori della fede. Secondo Pascal gli uomini sono soliti fuggire dal problema dell’esistenza stordendosi di occupazioni e intrattenimenti sociali, che rappresentano però dei meri divertissements che non possono nascondere il pensiero costante della morte, che giunge senza che l’uomo se ne renda conto. La vita autentica deve allora avere fisso di fronte a sé il momento della fine, proprio per attraversare con maggiore responsabilità e consapevolezza il poco tempo che ci è stato destinato. I pensieri e’ un’opera divisa in due parti: la “condizione dell'uomo senza Dio” e “la condizione dell'uomo con Dio”, cioè con la fede religiosa. L’uomo per Pascal, senza la fede religiosa vive nell’insoddisfazione e inquietudine. La cultura borghese e libertina “affronta” questo tormento interiore rivolgendosi alle cose esteriori. É ciò che Pascal chiama “divertimento”, intesa come deviazione, distrazione Il memoriale, opera che egli portò con sé fino alla morte in cui descrive la seconda conversione (la prima avvenuta in giovane età, è dovuta alla lettura delle opere di Giansenio; la seconda la «notte di fuoco» in cui ebbe una sorta di “estasi mistica”. Rousseau, visse in un periodo storico fortemente influenzato dalla cultura umanista, lui però prese le distanze da questo, rifiutando l’idea illuminista del progresso. Nato a Ginevra, in Svizzera, Rimase orfano E SUCCESSIVAMENTE si stabilì a Parigi collaborò quindi alla stesura di alcune voci dell’Enciclopedia. Opere: Discorso sulle scienze sulle arti, le Confessioni, Sull’origine ed i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini. Teorico della religione di natura e precursore del romanticismo del primo Ottocento. Critica la “cultura dei Lumi” e sostiene che è il sentimento a renderci consapevoli della natura umana. Nell’opera Discorso dulle scienze e sulle arti Rousseau parla di un ottimismo antropologico in quanto afferma chel ’uomo è naturalmente buono, l’origine del male non è nell’interiorità ma nella società. Questo ottimismo antropologico corrisponde ad un n pessimismo storico, cioè ad una visione negativa del progresso della civiltà europea. La parte costruttiva del suo pensiero la si trova nelle sue opere maggiori “Contratto sociale” e “L’Emilio” che seppur affrontino temi diversi contengono comuni presupposti filosofici. Il contratto sociale pone le fondamenta di un nuovo assetto politico-istituzionale sulla base di un patto che ristabilisca il più possibile condizioni naturali di libertà e di uguaglianza per tutti gli uomini. A differenza di Hobbes e Locke, che affidavano la fondazione della società su duplice patto, quello di associazione e quello di sottomissione, Rousseau propone solo un patto di unione in cui nessuno viene a trovarsi in una condizione superiore agli altri. Gli individui vengono a costituire un io comune, vi è un’alienazione totale di ogni associato, con tutti i suoi diritti, in favore di tutta la comunità. Da questa unione si forma una volontà generale, unica ed indivisibile, rivolta sempre al bene comune. La volontà generale si esprime nelle leggi, tutti sono tenuti ad obbedire alle leggi, poiché solo nell’obbedienza ad esse ciascuno realizza la sua libertà. Solo il popolo è il titolare della sovranità e la esercita in maniera assoluta. Per Rousseau la forma ideale di governo è la repubblica. Infine nell’Emilio, Rousseau delinea le sue idee in campo pedagogico, l’educazione deve cercare di non interferire nella libera espressone della natura. Il fanciullo deve quindi essere lasciato libero, il suo unico maestro è la natura. (educazione puerocentrica) L’educazione deve comprendere anche lo sviluppo del sentimento religioso. Si tratta di una religione naturale che rifiuta la rivelazione soprannaturale e l’istituzione della chiesa. Nell’opera “Contratto sociale”, delinea invece una professione di fede puramente civile. 31- Quali sono gli aspetti più originali del pensiero di Rousseau? Perchè Rousseau critica gli illuministi francesi suoi contemporanei? Quali sono le caratteristiche del “contratto sociale” delineato da Rousseau? Rousseau fa parte di quel quadro storico sei-settecentesco caratterizzato dalle nuove scoperte scientifiche e dall’affermarsi di una classe borghese capitalistica che modifica la società. L’uomo ricerca una nuova identità e ha necessità di una nuova etica. Rousseau fa un’analisi attenta della società e della storia, identificando nell’avvento della proprietà privata l’inizio delle disuguaglianze tra gli uomini. Rousseau, al contrario dei contemporanei illuministi, secondo cui la storia e l’evoluzione della società sono sinonimo di progresso, e la ragione è ciò che deve illuminare il cammino dell’uomo, considera un altro aspetto di conoscenza che è il sentimento umano, e la società come  Riflettenti. Sono i giudizi sentimentali, chiamati così perché “riflettono” sulla realtà dei giudizi determinanti, cogliendo le cose in armonia le une con le altre e con noi stessi, secondo, cioè, un principio di finalità. I giudizi riflettenti sono, a loro volta, di due tipi, a seconda del modo in cui viene espresso il principio di finalità:  I giudizi estetici: cio’ che reputiamo bello e genera in noi un sentimento di piacere. Questo sentimento di piacere ci fa vivere in modo immediato il principio di finalita’ della natura, ovvero sembra che l’oggetto del nostro piacere sia bello solo per noi, che esista solo per generare in noi senso di armonia. Tra i giudizi riflettenti Kant annovera anche il sublime che e’ un sentimento che non genera armonia (come il bello) ma, al contrario, paura e sgomento. E’ il sentimento che l’uomo prova al cospetto della grandiosita’ della natura (il sublime matematica, ad esempio l’oceano) o della sua potenza (il sublime dinanico ad esempio i terremoti).  I giudizi teleologici: colgono il principio di finalita’ interno alla natura stessa, ovvero l’uomo riconosce in cio’ che vede un ordine, uno scopo per cui e’ stato creato. Ma tale finalita’, che noi consideriamo oggettiva, in realta’ risponde ad un’esigenza soggettiva dell’uomo di trovare un senso, una spiegazione a cio’ che ha intorno. Il giudizio teologico e’ universale, in quanto tutti gli uomini sentono l’esigenza di scorgere un fine in cio’ che esiste e di ricundurlo, al disegno di un Dio creatore. 34- Quali sono gli elementi filosofici più rilevanti dell’idealismo trascendentale di Fichte? Perchè Schelling ed Hegel criticano Fichte? Fichte nasce in una famiglia poverissima della Prussia nel 1762, da genitori contadini. Fichte amava lo studio e, aiutato da un signore benestante del suo villaggio, prosegue la carriera scolastica, dapprima presso il collegio di Pforta, poi presso la facoltà di teologia delle università di Jena e di Lipsia. Il giovane filosofo subisce umiliazioni e difficoltà di ogni sorta in giovinezza. Ma il temperamento forte e risoluto di Fichte lo conduce a raggiungere, mano a mano, i gradini più alti della sua carriera e formazione, guidato perennemente da un sentimento rigoroso, coerente e retto. Il suo pensiero è, dapprima, fortemente influenzato dalle opere kantiane, ed in particolare dalla Critica della ragion pratica. Fichte ne è talmente affascinato da recarsi a Konigsberg, per conoscere personalmente Kant e fargli leggere il suo primo manoscritto: Saggio di critica di ogni rivelazione. Fichte fu un grande estimatore di Kant e da lui prese le mosse per elaborare teorie e punti di vista autonomi. Il grande distacco tra i due fu segnato dal modo in cui Fichte risolse l’annoso problema del “noumeno”. Molti filosofi seguaci di Kant, prima di Fichte, avevano evidenziato come non potesse esistere e fosse impensabile una “realtà in sé”, esterna al soggetto, da cui derivava la nostra conoscenza. Fu però Fichte ad andare ancora più oltre, criticando l’ "io" kantiano: quest’ultimo, infatti, aveva la semplice funzione di “ordinatore” di una realtà preesistente. Era un “io” finito, in quanto limitato nel suo agire dal noumeno, una realtà a lui estranea. Per Fichte l’ “io” diventa “creatore”, infinito, ovvero è il soggetto che crea ogni cosa (dal punto di vista conoscitivo e materiale) e non è più condizionato da nessun tipo di vincolo. Questo riconoscimento del ruolo assoluto del soggetto, detto anche “spirito”, sancisce la nascita di una nuova corrente filosofica: l’idealismo. Fichte descrive l’infinita attività creatrice dell’io, principio di ogni scienza, nell’opera Fondamenti dell’intera dottrina della scienza. L’ “io” fichtiano non va inteso come il soggetto specifico, ma come un Io che si configura come un’attività creatrice universale e infinita (“Io puro”). L’Io al contempo è azione e prodotto dell’azione (TATHANDLUNG) e avviene secondo 3 principi:  Tesi: “l’Io pone se stesso”. Prima di poter affermare qualsiasi cosa, l’io deve poter affermare la propria esistenza.  Antitesi: “l’Io pone il non-Io”. Per potersi realizzare come attività creatrice, il soggetto ha bisogno di trovare un ostacolo, un limite. Oppone, dunque, in se stesso un “non-Io” (natura, mondo, corpo) con cui “lottare” per potersi sviluppare, determinare, per poter procedere.  Sintesi: “l’Io oppone, nell’Io, all’io divisibile, un non-Io divisibile”. L’Io infinito, avendo creato il non- Io, si ritrova materialmente ad esistere come tanti individui (io divisibile o finito) opposti a molteplici cose. Questi tre principi, per quanto apparentemente difficili da comprendere, tendono essenzialmente a spiegare che: - La natura (il non-Io) non esiste come realtà autonoma, indipendente e preesistente al soggetto, ma unicamente come scenario e momento fondamentale dello sviluppo dello spirito. - L’Io infinito si concretizza in una serie di “io finiti”. L’ “Io puro” risulta quindi essere, per Fichte, una missione, una tensione continua, uno Streben (sforzo in tedesco) infinito volto al superamento di tutti gli ostacoli. Secondo Fichte noi esistiamo per un unico motivo, quello di agire, e il mondo esiste solo in quanto è il nostro “ostacolo”, lo “scenario” delle nostre azioni. In questo atteggiamento sta il particolare idealismo di Fichte, definito appunto “etico”, in quanto c’è il riconoscimento di un’assoluta superiorità della morale sull’aspetto conoscitivo. L’io finito ha dunque una meta: l’affermazione assoluta della sua libertà, la vittoria sugli ostacoli. Il senso dell’io sta dunque nello sforzo di incessante auto-perfezionamento di se stesso (superando passioni e egoismi) e del mondo circostante. Hegel accusa il sistema di Fichte di essere troppo sproporzionato sul piano della soggettività, finendo per ridurre l'oggetto che Fichte definiva come non io a semplice ostacolo esterno dell'io e rischiando in questo modo di ricadere in un nuovo dualismo tra soggetto-oggetto, libertà-necessità e spirito-natura. L'altra accusa è quella di aver ridotto l'infinito a semplice meta ideale del finito, non essendo quindi in grado di risolvere realmente il finito nell'infinito. In questo modo il progresso verso l'infinito non riesce mai a raggiungere il suo termine. Quello di Fichte è dunque, dice Hegel, "un cattivo infinito" ho un “infinito negativo", esprimendo soltanto l'esigenza astratta e ideale del superamento del finito. 35- Pensiero di Schelling. Schelling è perlopiù passato alla storia della filosofia come una figura sbiadita, schiacciata tra i ben più ingombranti Fichte e Hegel. Questo trattamento ingeneroso offusca il ricordo del suo contributo eccentrico e visionario alla filosofia della natura, nient’affatto riducibile allo statuto di parentesi. Coevo dell’età classica della filosofia tedesca è il romanticismo, iniziato in Germania e poi diffuso in molti paesi d’Europa. Alcuni degli elementi che accomunavano i romantici (poeti, letterati e filosofi – tra i quali Schelling) sono: la valorizzazione dell’emotività e del sentimento, accanto o in opposizione alla ragione; e dunque dell’interiorità, dell’individualità e del genio artistico creativo; la passione per l’infinito; una forma di panteismo; la concezione della natura come totalità animata, un grande organismo in cui le parti sono finalisticamente orientata al tutto. Schelling, con la sua concezione della natura, è anche un filosofo romantico, tanto che si può considerare la sua opera come il confine fra l’idealismo e il romanticismo. La natura è l’argomento principale della filosofia di Schelling. Natura che era al centro del dibattito filosofico dalla rivoluzione scientifica del Seicento e dalla nascita del meccanicismo. Se la natura del meccanicismo era un insieme di corpi che si muovevano secondo leggi generali, Schelling intende la natura alla maniera del romanticismo come una totalità animata e intrinsecamente creativa. Contro Fichte, al quale pure inizialmente si era ispirato e contro Descartes, Schelling ricompone la frattura fra soggetto e oggetto e fra spirito e natura. Fichte considerava la natura come correlato dell’io, come non-io posto dall’io e descriveva l’incontro tra i due come “urto”. Schelling, al contrario, considera natura e coscienza come assolutamente omogenee, rifiutando qualsiasi distinzione gerarchica fra le due. Il termine Naturphilosphie indica la filosofia romantica della natura, di cui Schelling è stato uno dei principali rappresentanti. La natura, secondo Schelling, è una totalità animata. La natura coincide con la vita e la vita è attività, continuo movimento. Natura e spirito sono entrambi parte di un comune processo vitale. Schelling affronta i problemi posti dalla sua filosofia della natura negli anni successivi al suo trasferimento a Monaco. Nelle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809), che è tra le sue opere più note, scrive che la vita (e dunque la natura e lo spirito) è sempre attraversata dal conflitto, che non c’è in essa bene senza che ci sia il male. Si tratta di un tentativo di rispondere alle critiche di Hegel. A fondamento della lotta fra bene e male e dell’unione di spirito e natura, Schelling pone la malinconia. Si tratta di una malinconia primordiale, non un’umana condizione di depressione, ma un’universale fondo oscuro e indifferenziato dal quale Dio, con un atto di libertà, ha creato la vita e quindi le differenze. 36- Come può essere delineato il concetto Hengeliano di dialettica? Perché la posizione di Hegel può essere definita come una forma di Panlogismo? Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), nativo di Stoccarda, studiò filosofia e teologia a Tubinga. Nel 1801, su invito dell’amico Schelling, giunse a Jena, il centro culturale più vivace del periodo, dove ottenne l’abilitazione all’insegnamento universitario. Insieme a Schelling fondò il Giornale critico della filosofia. Hegel compie una grandiosa e completa sintesi del sapere del suo tempo portando a compimento l’idealismo tedesco. La sua opera e la sua dialettica costituiscono il punto di partenza di tutte le speculazioni filosofiche e le numerose critiche successive al suo pensiero soprattutto da quella folta schiera di filosofi (Herbart, Schopenauer, Marx etc.) che costituirono la «sinistra hegeliana». . Dopo un periodo di vicinanza e di lavoro comune, la posizione di Hegel si distacca nettamente da quella di Fichte e Schelling su un punto fondamentale: il processo logico che porta a determinare l’assoluto e la sua esperibilità per la coscienza. L’assoluto, al contrario, è totalità vivente e autocosciente: spirito, idea, razionalità che si manifesta, si determina nella realtà e conosce se stesso nelle sue diverse manifestazioni (nelle forme sensibili, nella natura, nella storia per cui il filosofo di Stoccarda afferma che: tutto ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale). L’assoluto hegeliano non è sostanza (come in Spinoza), ma soggetto, principio del proprio svolgimento, movimento dialettico del sapere che realizza se stesso. Così concepito, l’assoluto raggiunge il suo acme nel sapere e, più precisamente, in quelle forme culturali (l’arte, la religione e, più di tutte, la filosofia) in cui prende ad oggetto se stesso. L’Assoluto incarna, quindi, un divenire che attraverso la dialettica si «dispiega» nella realtà è dinamico e non è un quid immobile, dato una volta per tutte. Per comprendere la verità (e con essa l’unità degli opposti), bisogna pensare non per rigide contrapposizioni (io-non io), ma adottare un metodo dialettico*. La dialettica, dunque, è un metodo di comprensione della realtà, che trova la verità non in una prima affermazione immediata (identità o «tesi») o nella sua negazione altrettanto immediata (negazione assoluta o «antitesi»), ma nella successiva sintesi razionale dei due momenti. Attraverso questi passaggi dialettici la prima affermazione (tesi) viene modificata e costituisce il risultato di un movimento che passa attraverso la negazione (antitesi) e la determinatezza. Questo passaggio dialettico consiste in un superamento (traduzione del termine tedesco Aufhebung*, negazione e conseguimento del risultato allo stesso tempo), che conserva quanto è stato superato come parte del processo: quello che viene negato è la sua indipendenza in quanto costituisce solo un «momento» di quella totalità che, per il filosofo di Stoccarda, è il risultato della sintesi del movimento dialettico. Chiave di questo movimento dialettico è la contraddizione, in quanto ogni cosa presa isolatamente è in se stessa contraddittoria, perché “finita” a meno che non sia inserita in un contesto più ampio che la rende quello che è. Hegel è il filosofo che interpreta tutta la realtà in termini razionali. Il sistema idealistico hegeliano è stato definito come un panlogismo: tutto viene compreso come sviluppo del lógos/Ragione. Tutto, la natura, l’uomo e la storia rientra in un progetto voluto da una Ragione assoluta, da uno Spirito che opera indipendentemente ed al di sopra dei singoli individui razionali. «In principio era la Ragione» e la Ragione comprende sé stessa ed il proprio ruolo nel corso della storia dell’umanità, che è la storia dello Spirito. 37- Hegel, Idealismo assoluto e caratteristiche. Critiche da parte degli autori dell’800. Per Hegel la realtà è un processo che è un dispiegarsi nel mondo della verità, che riguarda la totalità, l’infinito, dove il finito è parte dell’infinito. Questo dispiegarsi della verità, che Hegel chiama spirito, avviene produzione rapporti tra varie classi. Marzo Inoltre analizza l'evoluzione dei sistemi economici e giunge a sostenere che la storia è caratterizzata da un processo dinamico. Nel 1848 con Engels scrive "Il Manifesto del Partito Comunista" dove affrontano un'analisi approfondita sulla borghesia, la lotta di classe e i falsi socialismi. Secondo Marx la borghesia e una classe sociale che con il suo potere Schiaccia le altre classi, ma allo stesso tempo La reputa una classe all'avanguardia perché attraverso i mezzi di produzione ha creato un valido sistema economico. La lotta tra classi però è inevitabile perché proletariato e borghesia vivevano in un profondo conflitto Mmax distingue poi tre tipi di socialismo: quello conservatore che cerca di rimediare alle difficoltà del capitalismo senza eliminarlo del tutto; quello reazionario che attacca la borghesia rivolgendosi ancora a parametri che riguardano il passato e si divide a sua volta in feudale, piccolo- borghese e tedesco; e infine quello critico-utopistico. Fine Marx scrive il capitale quest'opera rappresenta un'analisi sociale attraverso cui si può comprendere l'evoluzione del capitalismo. Marx parte esponendo una divisione suddivisione della merce in valore d'uso, valore legate ai bisogni primari, prodotti per soddisfare la creatività e valore di scambio, la produzione del prodotto affinché possa essere scambiata con altri paesi. Economia capitalistica e determinata infatti dal rapporto merce-denaro dove l'individuo compra la merce per rivenderla, e con il denaro che ricava investe su altre merci. Allo stesso modo il lavoro dell'operaio viene visto come merce, la quale viene comprata dal capitalista. La merce viene valutata in base alle ore di produzione che occorrono per produrla anche se non sempre il prezzo di un prodotto corrisponde al lavoro effettivo impiegato. infine Marx parla anche di plusvalore, questo non indica il profitto, ma è determinato dal capitale variabile, che riguarda la paga degli operai, e del capitale costante, che invece viene investito per la manutenzione dei macchinari. 40- Come viene concepita da Marx la storia umana? Perchè la posizione di Marx ed Engels può essere definita come un Diamat (materialismo storico)? La concezione materialistica della storia fu sviluppata da Marx e da Engels nella prima fase della loro collaborazione, in diretta polemica con la filosofia hegeliana. Intimamente collegato con tutta l’elaborazione di Marx, esso divenne parte integrante del marxismo teorico e principale veicolo della sua influenza, grazie soprattutto all’opera editoriale svolta da Engels, il quale, dopo la morte dell’amico, curò la pubblicazione degli scritti (fino a quel momento lasciati inediti) in cui i due pensatori avevano definito la loro posizione filosofica (L’ideologia tedesca e le undici Tesi su Feuerbach). Il nucleo della concezione materialistica della storia sta nell’affermazione che gli uomini, i quali vivono e producono in una data società, si trovano a muoversi entro «determinati rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà», che sono i rapporti di produzione propri di una determinata fase dello sviluppo storico; questi costituiscono la struttura economica della società, la base reale sulla quale si eleva la sovrastruttura dei rapporti giuridici e politici, la vita intellettuale, morale e religiosa, e soprattutto le forme determinate della coscienza sociale. Nelle condizioni materiali, che comprendono l’ambiente naturale geografico e lo sviluppo demografico, determinanti soprattutto sono le forze produttive (strumenti di produzione, gli uomini che li producono e li muovono, le esperienze e le abitudini di lavoro, i beni prodotti) e i rapporti di produzione (sistemi di produzione: bottega, manifattura, industria; e relazioni di lavoro: schiavitù, artigianato, salariato), che nel loro insieme caratterizzano l’ordinamento di una data epoca storica (schiavismo, feudalismo, capitalismo). Sono i contrasti profondi nel campo della vita economica e produttiva, e in dati periodi il contrasto fra le forze produttive e i rapporti di produzione, fra l’accrescimento e il progresso dei mezzi di produzione e degli uomini che li usano e i sistemi di produzione e di lavoro, che soffocano il loro sviluppo, determinano i contrasti e i conflitti nel campo sociale, e, nel caso del contrasto fra forze produttive e rapporti di produzione, caratterizzano un’epoca di rivoluzione, in quanto prima o poi quel contrasto sbocca in rivolgimenti e trasformazioni giuridici e politici. In questi conflitti e rivolgimenti le idee agiscono per il materialismo «come forze materiali», accentuando e organizzando il movimento di trasformazione dell’ordine giuridico, politico, sociale e produttivo esistente. Questa concezione ha il suo fondamento nel principio che «la vita non è determinata dalla coscienza, ma la coscienza è determinata dalla vita», che «la coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dell’essere consapevole»; perché anzi «la produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è, in un primo tempo, direttamente intrecciata con la vita materiale» e con l’attività e lo scambio fra gli uomini. 41- Marx ed Hegel a confronto. La dialettica di Hegel è una dialettica spirituale, metafisica, è un dualismo dicotomico tra spirito in sé e spirito fuori di sé che trova una sintesi nel logos universale, nello spirito che dopo aver conosciuto se stesso fuori di sé torna in sé consapevole di tutto il reale razionale. La storia, che è divenire dello spirito ma anche divenire dell’uomo autocoscienziale, rappresenta questo divenire nel passaggio da uomo primitivo che comprende di conoscere e di poter concepire il mondo come vuole, a uomo che scopre l’alterità e il potere, dando il via alle dinamiche servo-padrone, fino alla libertà conquistata dallo schiavo che diviene autocosciente del suo modificare la realtà con il proprio lavoro e del suo giungere infine alla coscienza infelice, che nulla può davvero conoscere e che tende alla ricerca dell’infinito. Nella sua dialettica Hegel arriva a una sintesi, i due poli opposti sono dinamici, non statici. La dialettica di Marx è invece una dialettica concreta, materialista. Il divenire della storia è identificato non in un divenire razionale, ma nella dicotomia tra classi sociali che modifica la realtà e la dirige verso un cambiamento. Secondo Marx il divenire storico è dovuto alle lotte di classe per il potere ed è iniziato con l’avvento della proprietà privata (Rousseau). Questa dicotomia di lotta di classe che modifica la storia è definito materialismo storico dialettico o diamat perché parte dalla struttura dell’economia nei rapporti di produzione e distribuzione dei beni che evolve nella storia, passando attraverso fasi di tesi, antitesi e sintesi (dialettica). 42- Quali sono gli aspetti più importanti del positivismo? Come può essere descritta la legge dei tre stadi di Comte? Il primo che si oppone al primato della ragione. Comte opera nella prima metà del 1800. E’ il fondatore del Positivismo, il movimento di pensiero che rivendica il primato della scienza nella conoscenza, che esalta la scienza come unico mezzo capace di risolvere, nel corso del tempo, tutti i problemi umani e sociali. Il positivismo assegna alla Razionalità scientifica il primato su tutto. Comte esalta, perciò, la possibilità di andare a cercare leggi scientifiche (cioè dimostrabili, sperimentabili) che siano in grado di risolvere il problema della conoscenza. Comte va a cercare un modello conoscitivo scientifico che potesse valere, non soltanto, nella ricerca tecnologica e scientifica, ma che potesse valere, anche, per le ricerche relative alle scienze umane. Un modello conoscitivo nuovo che troverà nella Sociologia l’espressione massima. La sociologia è, per Comte, la scienza per eccellenza. La Sociologia è la più complessa perché presuppone tutte le altre. La legge dei tre stadi (o stati) rappresenta il punto di partenza di tutta la filosofia di Comte. Secondo questa teoria la conoscenza umana passa attraverso tre stadi teorici differenti, quello teologico o fittizio, lo stadio metafisico o astratto e lo stadio positivo o scientifico, ed è grazie a questo processo che si realizza il progresso umano. Il primo stadio, paragonabile ad una sorta di infanzia dell’umanità, concerne il distacco dell’uomo dalla natura e il suo primo approccio con la cultura. In questa fase, l’uomo concepisce i fenomeni naturali come effetti dell’azione diretta di forze soprannaturali dando ampio spazio alla fantasia, nel tentativo di rispondere ai perché ultimi della vita. Da qui, appunto, la nascita di divinità, spiriti e forze magiche a cui vengono attribuite tutte le contraddizioni apparenti dell’universo. La società che ne deriva si stringe in modo compatto intorno a tali credenze. Il secondo stadio, paragonabile all’adolescenza umana, è fortemente critico e irruento ma transitorio. L’uomo continua a interrogarsi sui perché ultimi della vita abbandonando la fantasia per orientarsi con la ragione, nel tentativo di sostituire le forze soprannaturali con entità astratte. Tali entità sono concepite come capaci di generare da se medesime tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione consiste allora nell’assegnare a ognuno l’entità corrispondente. Ad esempio, una giornata inaspettatamente soleggiata, nello stadio teologico, sarebbe il frutto della benevolenza degli dei, mentre nello stadio metafisico sarebbe vista come la naturale conseguenza di un vento mite. In tale fase la società appare predominata dall’individualismo, generando una disgregazione delle certezze precedenti senza però crearne delle nuove. Il terzo stadio, infine, come nella maturità dell’uomo, rappresenta lo stadio definitivo della conoscenza. In tale fase l’uomo abbandona gli interrogativi assoluti, rinuncia a cercare l’origine, il destino dell’universo e a scoprire le cause intime dei fenomeni dedicandosi principalmente allo studio e alla scoperta delle loro leggi effettive, con l’uso combinato di ragionamento e osservazione. La società che ne deriva è per Comte notevolmente produttiva e pacifica, e caratterizzata da una specifica divisione sociale delle mansioni, con a capo un’élite di scienziati e di tecnici. 43- Schopenhauer " il mondo come volontà e rappresentazione". Arthur Schopenhauer nacque a Danzica (Polonia) nel 1788, figlio di un banchiere e di una nota scrittrice di Romanzi. Il suicidio del padre e il turbolento e contraddittorio rapporto con la figura materna segnarono profondamente il suo pensiero, ben sintetizzato nella sua opera più famosa Il mondo come volontà e rappresentazione. La prima edizione del suo lavoro (1819) non riscosse alcun successo e solo vent’anni dopo vide la luce la ristampa de Il mondo. Schopenhauer morì a Francoforte nel 1860, lasciando ai posteriori un’eredità complessa e mai spenta. Nell’opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”, il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer espone il suo pensiero riguardo alla vita, la quale non è altro che un’eterna sofferenza. Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione attuata già in precedenza da Kant, tra fenomeno e noumeno. Il mondo fenomenico, viene visto da Schopenhauer come un sogno, un’illusione, come qualcosa di non vero. Al contrario, il noumeno, è una realtà nascosta dietro il fenomeno. Da qui nasce una profonda riflessione che contrappone la volontà con la rappresentazione, le quali sono rispettivamente realtà ed apparenza. “Il mondo è mia rappresentazione”: è così che il filosofo inizia l’opera, dichiarando che la presunta oggettività del mondo non è altro che quello che l’uomo interpreta per sé stesso, il quale viene visto come un animale metafisico, dotato di ragione e che si interroga sull’essenza stessa della vita. Schopenhauer, nel corso della sua opera, adotta inoltre molte comparazioni per spiegare il vero significato della realtà, che non è altro che inganno ed illusione. Tra queste è ricorrente l’esempio del velo di Maya, la divinità buddista, “che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo, del quale non si può dire né che esista né che non esista, poiché esso è come un sogno.” Non bisogna quindi fare altro che strappare il velo per raggiungere il vero significato della realtà, la quale viene esaminata da tutti i lati ma non viene esplorata a fondo. Tutto questo conduce ad una visione pessimista della vita che, come già detto, è una continua ricorrenza al dolore ed una lotta per l’esistenza, che frustra l’uomo, bramante del desiderio della conoscenza infinita. Il filosofo conduce il lettore in un profondo pensiero irrazionalistico, che attribuisce al dolore il fondamento dell’esistenza, il quale ha come unica risposta la liberazione della volontà di vivere che si divide in tre momenti essenziali: l’arte, conoscenza libera e disinteressata, la morale, che non è altro che il tentativo di superare l’egoismo, e l’ascesi, il cui unico scopo è quello di debellare il desiderio stesso di esistere. La vena pessimista di Schopenhauer approda quindi all’idea che il desiderio denoti la mancanza di qualcosa, e che questa lacuna porti inevitabilmente al dolore e alla noia, simbolo del soddisfacimento. “Noi, invece, dichiariamo liberamente, che ciò che rimane dopo l’annullamento totale della volontà, è invero, per tutti coloro che sono ancora pieni della volontà, il nulla; ma anche, inversamente, per coloro cui la volontà si è rovesciata e negata, questo nostro mondo così reale, è esso stesso il nulla.” Si conclude quindi in questo modo l’opera del filosofo, il quale trova nell’arte il solo espediente che consenta all’essere umano di aspirare al sapere universale, andando oltre i propri limiti, dichiarando però che questa è solo una sensazione transitoria. 44- Spiegare lo spirito Apollineo e il Dionisiaco in Nietzsche. Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque a Rocken, vicino Lipsia, nel 1844, figlio di un pastore luterano. A soli 24 anni divenne professore di lingua e letteratura greca presso l’Università svizzera di Basilea, ma la sua salute il cristianesimo, l'illuminismo, l’idealismo, il marxismo e il capitalismo. Il post-moderno si caratterizza da questa radicale sfiducia per le metanarrazioni, è epoca della post verità, si rinuncia all'idea di fondamento. Per Lyotard questo concetto dell’intero così come voleva Hegel è naufragato ad Auschwitz. Il campo di concentramento è il male assoluto che ha dato fine alla modernità. Non è vero che tutto ciò che è reale è razionale, non è vero che la storia sia un graduale progresso o miglioramento, non è vero che la storia sia un disegno razionale. Quindi il post-moderno è la fine di tutte le Ideologie, la fine di tutti i grandi progetti di senso. Il pensiero post-moderno è un pensiero tollerante, aperto a qualsiasi forma di diversità culturale, è un pensiero della differenza, è una critica della visione metafisica della soggettività. 47- Esistenzialismo e personalismo: da Kierkegaard a Mounier e Sartre. Kierkegaard rappresenta uno dei punti di partenza dell’esistenzialismo, quella corrente filosofica che si sviluppa nella prima metà del ‘900 e che delinea come centro dell’indagine filosofica l’esistenza umana. Scrive opere come “aut-aut”, “timore e tremore”, “opera sull’angoscia”, dove delinea il suo pensiero. Secondo Kierkegaard l’uomo è condannato alla libertà e sente il peso delle scelte che può compiere sia nei confronti della propria vita, sia nei confronti della vita altrui. Questa coscienza di libertà crea nell’uomo un’angoscia esistenziale che lo tormenta. Esistono 3 diversi atteggiamenti che l’uomo può avere nei confronti dell’esistenza: 1) il perseguire i momenti di piacere fino a raggiungere la noia e la non-esistenza (Don Giovanni di Mozart); 2) il perseguire una vita etica nei valori del matrimonio e della professione (marito); 3) la vita religiosa, il salto paradossale nella fede (compiuto da Abramo quando Dio gli chiede di sacrificare suo figlio Isacco). Sartre compie un ulteriore passaggio verso un esistenzialismo ateo, dove Dio non è contemplato come ricerca. Tra le sue opere più importanti troviamo “l’essere e il nulla” e “la nausea” dove delinea il suo pensiero di non senso dell’esistenza e del sentimento di nausea e di angoscia dell’uomo. Ma come subentra questo senso di smarrimento e di nausea nei confronti del mondo? L’uomo secondo Sartre è connotato di libertà, è una coscienza nullificatrice del mondo. L’uomo è coscienza per sé, il mondo è coscienza in sé. Secondo questa concezione l’uomo è in grado di nullificare il mondo intorno a sé donandogli il proprio senso. Il mondo è in sé, è senza senso, non ha una direzione o un fine. E’ l’uomo che interagendo con esso lo investe di significato. Questa libertà totipotente di poter creare infinite realtà origina nell’uomo un senso di smarrimento, di inadeguatezza, comprende che i valori predefiniti non hanno significato perché sono stati creati come possono essere creati infiniti altri sistemi valoriali. La sua vita è una vita inautentica, fasulla. Subentra la nausea dell’esistenza, l’angoscia, la paura. Allora l’uomo di fronte a questa angoscia di costruzione abdica la propria potenza nullificatrice, divenendo suddito, entrando nei sistemi gerarchici, facendo prevalere la vita inautentica su quella autentica. L’esistenzialismo con Mounier si tramuta in personalismo. Mounier mette al centro dell’indagine filosofica la persona come essere composto di corporeità (incarnazione), vocazione (ricerca del proprio posto nel mondo) e comunione (relazione con l’alterità). La persona, quindi, non è solo un individuo irripetibile, ma è un individuo in relazione con le cose e con gli altri, è un essere relazionale. Le comunità come la famiglia, le associazioni, la società, lo stato, sono relazioni della persona, perciò non possono annullarla come individualità, così come la persona non può non relazionarsi. Grazie a questa concettualizzazione dell’uomo, Mounier elabora il personalismo come terza via rispetto al capitalismo e al marxismo stalinista. 48- Hannah Arendt e le sue principali opere. È un intellettuale di origine ebrea, ha vissuto in prima persona il dramma dell’olocausto e nel 1941 è fuggita negli Stati Uniti vivendo da esule. Uno dei primi libri dell’Arendt si intitola: “Storia di una donna ebrea”, dove appunto racconta le difficoltà di essere nata ebrea in quel periodo dove stavano iniziando ad esserci le leggi raziali. Nel 1933 Hitler salì al potere, il suo fidanzato, il filosofo Heidegger aderì al nazismo, l’Arendt si sente quindi tradita sia dal suo paese che da lui stesso. Le principali opere sono Le origini del totalitarismo, la banalita’ del male, vita activa ma anche vita della mente e sulla rivoluzione. Ne le origini del totalitarismo analizza le cause e il funzionamento dei regimi totalitari, considerati una conseguenza della societa’ di massa in cui tutti gli uomini vengono privati del loro spazio pubblico, non hanno possibilita’ di parola e di pensiero. L’opera e’ divisa in tre parti, nelle prime due si affrontano le premesse dello stato totalitario, in cui crudelta’ e razzismo erano patrimonio dell’Europa già prima dell’avvento del nazismo o dello stalinismo: l’antisemitismo e l’imperialismo. Nell’ultima e più corposa parte si analizza il fenomeno del totalitarismo, In particolare l’Arendt analizza il nazismo tedesco e il totalitarismo sovietico. Nel 1961 Hannah Arendt va a Gerusalemme (come inviata del periodico New Yorker) ad assistere al processo del criminale nazista Adolf Eichman, funzionario che aveva mandato a morte migliaia di uomini. La Arendt definirà Eichman come una persona senza un pensiero, senza un pensiero critico, lui obbediva a Hitler senza mai rendersi conto di cosa stava facendo. La causa di questo orrore del male può essere anche in una “banale esecuzione di ordini”. Nel 1958 dà alle stampe “Vita attiva”, cioè la ricostruzione della vita politica post-totalitaria che deve avvenire tramite la ricostruzione della sfera pubblica. La polis greca era per la Arendt un modello di vita democratica fondata sulla libertà di idee, di pensiero, di parola. In opposizione ad Heidegger Hannah Arendt, definirà l’uomo “un essere per la nascita”, cioè un essere le cui caratteristiche fondamentali sono la libertà e la inizialità. Distingue la vita attiva in 3 forme:  Attivita’ operativa: “homo faber”. Essa si dedica alla costruzione di oggetti duraturi. Con la rivoluzione scientifica del 600 e l’avvento della modernita’ l’uomo e’ diventato soprattutto “homo faber”, l’essere che grazie alla tecnica produce oggetti non naturali;  Attivita’ lavorativa: “animal laborans”. Essa risponde ai bisogni di sopravvivenza degli uomini. All’homo faber e’ subentrato il mero animal laborans, un essere la cui attivita’ ha il solo scopo di conservare la vita soddisfacendo i bisogni fisiologici. Nella polis greca, che per la Atrendt rappresenta l’ideale della convivenza e della cultura, queste mansioni venivano svolte dagli schiavi, in modo da consentire agli uomini liberi di dedicarsi alle superiori attivita’ della vita pubblica, cioe’ alla politica intesa in senso ampio;  Attivita’ dell’agire: uomo politico. Nella Vita della mente sottolinea che la vita interiore ha una valenza fortemente politica: il male è collegato all’assenza di dialogo interiore che offre una possibilità di uscita dalla autoreferenzialità e di apertura alla percezione della sofferenza dell’altro. Nell’opera invece Sulla Rivoluzione, pubblicata nel 1963, la Arendt si sofferma sulle differenze fondamentale delle tre grandi rivoluzioni: francese del 1789, bolscevica del 1917 e americana del 1776. 49- Quali sono state secondo Hannah Arendt le origini del totalitarismo del Novecento? Perché’ Arendt commentando il processo di Eichman a Gerusalemme ha parlato di una “banalità del male”? Hanna Arendt fu una studiosa, giornalista e filosofa appartenente a ud una famiglia ebrea. Costretta ad abbandonare la Germania per motivi politici, si reco’ prima in Francia, poi negli Stati Uniti, dove insegno’ in molte universita’. I temi principali della sua filosofia sono:  Il Totalitarismo  La banalita’ del male  Analisi della crisi della modernita’ Hanna Arendt pubblica nel 1951 “Le origini del totalitarismo” dove analizza le cause e il funzionamento dei regimi totalitari, considerati una conseguenza della società di massa in cui tutti gli uomini vengono privati del loro spazio pubblico, non hanno possibilità di parola, di pensiero, di contrapposizione. L’opera è divisa in tre parti, nelle prime due si affrontano le premesse dello stato totalitario, in cui crudeltà e razzismo erano patrimonio dell’Europa già prima dell’avvento del nazismo o dello stalinismo: l’antisemitismo e l’imperialismo. Per quanto riguarda la nascita del totalitarismo nazista, la Arendt ripercorre la condizione degli ebrei dal Medioevo sino alla fine dell’Ottocento, notando come l’antigiudaismo tradizionale fosse stato sostituito da un nuovo razzismo antisemita. Anche l’imperialismo, che aspirava alla dominazione economica e militare delle terre extraeuropee, si nutriva di una forte dose di razzismo biologico. La propugnata superiorità dell’europeo e la sua missione civilizzatrice si accompagnarono infatti alla sperimentazione di vere e proprie tecniche di sterminio. Nell’ultima e più corposa parte si analizza il fenomeno del totalitarismo, In particolare l’Arendt analizza il nazismo tedesco e il totalitarismo sovietico. La sua opera “la banalita’ del male” e’ la cronaca, ripresa in chiave filosofica, del processo ad Adolf Eichmann, l’ufficiale nazista responsabile della deportazione e dello sterminio di milioni di esseri umani, soprattutto ebrei: come sottolinea la filosofia, Eichmann era solo un burocrate, un semplice impiegato, un uomo “normale” che riteneva di aver fatto il proprio dovere obbedendo a ordini che non era suo compito discutere. Per questo il male e’ banale, nel senso che si puo’ insinuare nelle persone piu’ semplici e normali. Eichmann fu catturato da agenti israeliani in Argentina, dove si era rifugiato. Processato a Gerusalemme, fu giustiziato nel 1962. Gli uomini processati furono accusati di:  Crimini di guerra;  Crimini contro il popolo ebraico;  Crimini contro l’umanita’. 50- Foucault, microfisica del potere, biopolitica e il confronto con Nietzsche, kant e Lyotard. Michael Foucault nasce in Francia nel 1926 da una famiglia di medici la sua attenzione alla medicina e alla psicoanalisi sarà una costante anche degli Studi della maturità. Egli ha avuto il grande merito di analizzare il potere sotto nuovi punti di vista contribuendo così ad un aggiornamento degli oggetti stessi di indagine della filosofia politica. Per Foucault ogni rapporto intersoggettivo è caratterizzato da precise dinamiche di potere, le relazioni e il potere sono quindi coestentivi e consustanziali. A questa prospettiva pertanto Foucault ha dato il nome di "micromeccanica del potere" o microfisica del potere ". Nel 1971 dopo essersi interessato al tema della malattia mentale e degli ospedali di cura e dopo aver preso in esame le difficili condizioni dei detenuti fonda il GIP, il gruppo di informazione sulle prigioni e analizza i cambiamenti della vita carceraria nel corso dell'età moderna. Nel 1975 pubblica il suo libro Sorvegliare e punire. Nascita della prigione. Nel libro Il filosofo analizza la nascita della "mentalità disciplinare", cioè la genesi dei meccanismi di disciplina ed autodisciplina che, dal "controllo dei corpi", arrivano infine alla "produzione di corpi docili", indispensabili strumenti della società industriale. Egli quindi nel libro si concentra sulle prigioni dove analizza le condizioni dei prigionieri e il controllo esercitato dallo Stato, a questo proposito è bene nominare l'inglese Jeremy bentham che propone il panopticon ossia propone di dotare i penitenziari di una particolare forma architettonica, circolare, finalizzata a consentire in ogni momento l'organizzazione di ogni cella. Con la costruzione del panopticon, Benthenam quindi vuole realizzare attraverso la "visibilità totale "ossia la trasparenza assoluta, la massimizzazione della disciplina nell'istituzione carceraria. La visibilità e però unilaterale in quanto i detenuti si trovano nell'impossibilità di sapere con certezza quando lo sguardo degli ispettori si posa su di loro ma sanno di poter essere controllati in qualunque momento della giornata. Egli Inoltre pensava di estendere il principio panottico a tutte le situazioni in cui è necessario controllare un insieme di persone con la massima efficacia e il minimo impegno di risorse economiche come ad esempio ospedali, scuole e fabbriche. Per Foucault il panopticon è una forma di potere troppo invasiva che ritroviamo anche nel fascismo, nello stalinismo e nella società dei consumi. Con l'espressione microfisica del potere il filosofo intende dire che il potere è ovunque, a cominciare dalle relazioni quotidiane tra gli individui: il potere non si trova nello stato o nelle lotte di classe, ma in ogni forma di relazione, per questo viene accusato di pancratismo, ossia di vedere il potere in ogni relazione umana. La "microfisica del potere" assume la forma della biopolitica, cioè di una politica che ha per oggetto la vita. La biopolitica riflette sul potere che determina la vita individuale e della popolazione. Si tratta di un potere che si colloca al livello della vita della specie della razza e dei fenomeni massicci di popolazioneFoucault si considera un continuatore del pensiero di Kant e di Nietzsche, di Kant infatti egli apprezza l'istanza critica ed illuministica: il suo costante invito al sapere autonomo nei confronti della religione e del potere costituito. Da Nietzsche il filosofo francese riprende l'istanza genealogica, la critica
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