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Domande frequenti Linguistica francese 1 - Oreste Floquet, Appunti di Lingua Francese

Riassunti e domande parte A e B

Tipologia: Appunti

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Scarica Domande frequenti Linguistica francese 1 - Oreste Floquet e più Appunti in PDF di Lingua Francese solo su Docsity! Parte A - I Celti Con il nome di Celti si indica un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III secolo a.C.), erano estesi in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, frutto dell'espansione verso le penisole iberica, italica e anatolica. Uniti dalle origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico indoeuropeo e da una medesima visione religiosa, i Celti rimasero sempre politicamente frazionati in numerose tribù, che si coalizzarono solo in pochi casi, come ad esempio nel 51 a.C. sotto la guida del generale Vercingetorige in ribellione alla conquista cesariana della Gallia. Tra i vari gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i Britanni, i Galli, i Pannoni, i Celtiberi e i Galati, stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle Gallie, in Pannonia, in Iberia e in Anatolia. Portatori di un’originale e articolata cultura, i Celti furono soggetti a partire dal II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: i Germani, da nord, e i Romani, da sud. I Celti furono progressivamente sottomessi e assimilati, tanto che già nella tarda antichità l’uso delle loro lingue appare in netta decadenza. L’arretramento dei Celti come popolo autonomo è testimoniato proprio dalla marginalizzazione della loro lingua, presto confinata alle sole Isole britanniche. Lì infatti, dopo i grandi rimescolamenti altomedievali, emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell’Irlanda e delle frange occidentali e settentrionali della Gran Bretagna, parlanti lingue brittoniche o goideliche, le due varietà di lingue celtiche insulari. Nell’attuale suolo francese i Celti presero il nome di Galli, così chiamati dai Romani perché occupavano la regione della Gallia. I primi Celti conquistarono l’Esagono e, in particolare, la Champagne tra il IX e l’VIII secolo a.C., all’inizio della prima età del ferro. Grazie alla superiorità delle loro armi e della loro organizzazione sociale, i Celti raggiunsero la loro massima espansione a partire dal IV secolo a.C. La loro espansione non fu un movimento unitario e le cause di ciò furono molteplici: sovrappopolamento, struttura militare della società che favorì le migrazioni di massa, ambizione di controllo territoriale su zone strategiche militarmente o per il commercio, ricerca di accesso al mare. Il primo movimento espansionistico avviene intorno al IV secolo a.C. e si concentra in Europa e in Asia; il secondo movimento espansionistico ha luogo intorno al III secolo a.C., quando la spinta dei Germani provoca una seconda ondata di Celti: Belgi, Atrebati, Ambiani, Bellovaci e Remi si scontrano con le popolazioni già insediate in quei territori. Perciò non bisogna confondere Celti e Germani e bisogna invece sottolineare che i Germani rimangono oltre il fiume Reno. La civiltà celtica si reggeva su una struttura interna caratterizzata da un’ideologia guerriera con armi e modi di combattere avanzati, da un pantheon e una mitologia proprie (patrimonio culturale comune) e da una struttura tribale della società. La sottomissione dei Galli a Roma si avviò nel III secolo a.C. attraverso le due fasi della romanizzazione della Gallia. - Le lingue pre-indoeuropee Le lingue preindoeuropee sono quell’insieme di lingue (non necessariamente imparentate) parlate in Europa e in Asia prima dell’arrivo degli indoeuropei. Alcune di queste sono state identificate tramite lo studio dei sostrati mentre di altre si hanno ampie attestazioni scritte. Basandoci su una visione di tipo genealogico, storico e giuridico, le lingue romanze, e dunque la lingua francese, discendono direttamente dal latino. Ma il latino faceva parte delle lingue flessive comprese all’interno di una famiglia ben più ampia, il cui capostipite sembra essere la lingua indo-europea; di questa famiglia facevano parte anche il greco, il celtico (la lingua dei Galli) e il germanico, mentre erano lingue non indo-europee l’iberico e il ligure. Dalle lingue indo- europee si risale ancora, soprattutto grazie alle tracce lasciate nella toponomastica, a due insiemi di lingue aventi differenti radici, una pre-indoeuropea e una radice pre-celtica. Questa distinzione ha avuto inizio nel III secolo a.C., periodo in cui si avviarono vasti movimenti di popolazione che imposero progressivamente la lingua degli invasori in quasi tutte le regioni dell’Europa. - I Celti e i Greci L’acculturazione mediterranea dei Celti è cominciata molto prima della conquista romana, con i Greci dal VI secolo a.C., a causa dei continui contatti e scambi commerciali. Una delle principali testimonianze di contatti tra i due popoli è rappresentato dal cratere di Vix, un cratere in bronzo, scoperto nel 1953 nell’omonima tomba di una principessa celtica a Vix (Borgogna) e datato al 540-530 a.C. La Languedoc fu parzialmente ellenizzata e la lingua greca veniva utilizzata nei dintorni di Marsiglia, città che era stata fondata nel 620 a.C. da colonie venute dalla città ionica di Focea (o Fogliavecchia) in Asia minore. I Celti presero in prestito l’alfabeto greco e utilizzarono il greco per usi contabili e amministrativi (quando Cesare penetrò nei campi celti vi trovò delle tavole in lettere greche in cui erano segnati i nomi di tutti gli emigrati, il nucleo di uomini in età da portare le armi e separatamente il numero di persone anziane, donne e bambini). Marsiglia fu una città almeno trilingue, dove si parlavano il greco, il latino e il gallico. Eppure l’ellenizzazione dei Celti non ha lascito che delle infime tracce nel latino dei Galli, che poi diverrà il francese, e anche nella toponimia la parte del greco è fortemente limitata. - La Gallia prima dell’arrivo dei Romani La Gallia prima dell’arrivo dei Romani risulta essere un territorio frammentato e variegato sotto molteplici punti di vista. Vari popoli si sono susseguiti nella conquista dell’Esagono occupando diverse parti del territorio. Alcuni di questi popoli furono gli Iberi, i Liguri, i Celti, i Germani e i Belgi, che lasciarono sicuramente tracce nella toponomastica. Tra questi popoli sono non indoeuropei gli Iberi e i Liguri, mentre sono indoeuropei i Greci, i Celti e i Germani. Gli Iberi abitavano una vasta regione litorale che si estendeva dall’Andalusia alla regione occidentale della Languedoc. La cultura iberica influenzò soprattutto l’habitat, la metallurgia e l’architettura grazie ai numerosi scambi commerciali tra la Penisola iberica e la Languedoc (a partire dal VI secolo a.C. diversi prodotti originari della Spagna, come ceramiche dipinte e anfore, vennero inviati verso il golfo di Lione da negozianti greci e fenici). E così a partire dal V secolo a.C. la scrittura iberica, in parti sillabica e in parte alfabetica, viene adottata per ragioni commerciali. La lingua iberica non è indoeuropea e scompare, insieme alla cultura e all’organizzazione politica e sociale, dopo la conquista romana e la creazione della provincia nerbonense, nel 121 a.C., non senza lasciare numerose tracce nella toponimia. I Liguri abitavano la zona che si estendeva da Marsiglia e Genoa e al di là degli appennini Liguri. Intorno al 700 a.C. i naviganti greci, allacciano con loro i primi contatti commerciali. Dopo la fondazione di Marsiglia, vennero chiamati Liguri le popolazioni situate ad est o ad ovest del Reno, ma tra il 500 e il 450 a.C., i Liguri vengono schiacciati dagli Iberici. Da quel momento l’appellativo “ligure” designa solo le tribù ad est di Marsiglia. All’arrivo dei Romani, i Liguri occupano un’ampia parte della Provenza spingendosi fino alla parte ovest del Reno, senza contare a sud e ad est i territori italiani dove si erano impiantati. Come gli Iberici, i Liguri hanno lasciato un’eredità toponomastica. Dal IV secolo a.C. i Celti occuparono la zona nord-est della Gallia e in particolare la Champagne. Essi vantavano una straordinaria abilità militare e una buona organizzazione sociale, che gli permisero di espandersi e occupare vari territori. Però la loro espansione non fu un movimento unitario e la diffusione della loro cultura fu limitata dalla pressione dei Germani a nord e dei Romani a sud. I Celti furono così progressivamente sottomessi e assimilati, tanto che già nella tarda antichità l’uso delle loro lingue appare in netta decadenza. La pressione dei Germani, che costrinsero i Celti ad abbandonare i loro territori, produsse intorno al 300 a.C. un nuovo movimento migratorio di varie popolazioni (tra cui i Belgi), che andarono ad occupare insieme ai Germani dei territori già occupati da altre popolazioni, costringendole ad andarsene. Gli spostamenti a catena ed il carattere misto di queste popolazioni spiega e giustifica la difficoltà che si trova nel cercare di distinguere i Belgi dai Germani. - Le tappe della romanizzazione e della latinizzazione in Gallia La sottomissione dei Galli a Roma si avviò nel III secolo a.C. con una serie di iniziative militari contro i Galli cisalpini che portò alla loro completa sottomissione, attestata dalla creazione della provincia della Gallia Cisalpina intorno al 90 a.C. I fattori della romanizzazione furono la presenza di vie di comunicazione, di città romane e di mercati, di scuole romane e teatri, ai quali potevano accedere solo alcune élites, ed il Cristianesimo. La romanizzazione della Gallia avvenne in due fasi: in un primo momento Roma andò in soccorso della sua alleata Marsiglia contro i Liguri e più volte tornò ad aiutare anche la colonia focese; nel 120 a.C., dopo essere andati nuovamente in aiuto di Marsiglia, i Romani fondarono una nuova provincia: la Gallia Transalpina, di cui Narbona divenne capitale nel 118 a.C. Questa conquista fu seguita da un afflusso di cittadini romani e da un periodo di sviluppo economico senza precedenti. In un secondo momento, intorno al 58 a.C., gli Elvezi volevano insediarsi nel sud della Francia e i Romani, guidati da Cesare, iniziarono una serie di operazioni militari che condussero, nel 52 a.C., alla resa dei popoli guidati dal generale Vercingetorige e, nel 51 a.C., alla completa pacificazione della Gallia. Cesare dunque interviene perché gli Elvezi volevano insediarsi nel sud della Francia e perché Roma aveva conquistato il Nord Italia (che era gallico). I Romani influenzarono, prima dell’invasione, essenzialmente i Celti meridionali (Eudeni), meno quelli settentrionali (come i Belgi). C’è da dire che la romanizzazione della Gallia avvenne prima dell’arrivo di Cesare e che la conquista delle tre Gallie (la Gallia Belgica, l’Aquitania e la Gallia Celtica) avvenne sessant’anni dopo la fondazione della Gallia Nerbonense (precedentemente conosciuta come Gallia Transalpina): questa differenza cronologica ha avuto importanti ripercussioni sulla storia linguistica del paese. La romanizzazione, ossia l’adozione della civilizzazione romana (del modello politico di Roma) da parte delle province (Gallia Nerbonense e le tre Gallie), è stata tendenzialmente più marcata al sud rispetto al nord ed è strettamente legata alla latinizzazione, o meglio ne è stata il vero e proprio motore: il latino si impone grazie al contatto con le autorità (civiltà; lingua). Per latinizzazione si intende quel processo di adozione della lingua di Roma da parte delle province; essa non è stata omogenea e ha conosciuto ritmi differenti da una regione all’altra. Dopo la caduta dell’Impero Romano il latino in Gallia si frammenta in francese, occitano e francoprovenzale. - Il latino dei cristiani La cristianizzazione della Gallia, in particolare delle campagne a partire dalla fine del II secolo, diede il colpo di grazia al gallico: l’associazione del latino al nuovo culto avrebbe imposto la lingua dei Romani, mentre il gallico, associato alle pratiche pagane, sarebbe stato messo da parte. Quindi nel corso della latinizzazione, il latino parlato in Gallia si trasforma a contatto con il gallico, ma si trasforma ancor più in generale sotto l’influenza della nuova religione cristiana, che si diffonde nelle campagne della Gallia, quando - esistono lingue che presentano e seguono l’ordine inverso - si percepisce più rapidamente che una vocale è nasale se questa è chiusa piuttosto che se è aperta. L’inventario fonologico nasale del francese è del tutto eccezionale rispetto alle regolarità osservate nelle lingue del mondo a causa della predominanza delle vocali aperte o semi-aperte. Tra le vocali aperte troviamo 0 2 5 10 3 0 3 0 2 5 40 3 0 3la / / di ampoule e la / / di rond, mentre tra le semi-aperte troviamo la /ԑ 0 3 0 3 0 3 0 3/ di fin e la /œ/ di lundi. Inoltre, il loro timbro continua ad evolversi nella direzione di un oscuramento del timbro vocalico collegato ad un 0 2 5 10 3 0 3arrotondamento delle labbra e ad un arretramento della lingua. Nel nord per esempio [ ] tende verso 0 2 5 40 3 0 3[ ] e [ԑ 0 3 0 3 0 3 0 3] tende verso [œ]. A livello sociolinguistico nel francese del Sud, ad esempio, le vocali nasali presentano una struttura tripartita che si può schematizzare e con la quale si può spiegare il fatto che la loro durata sia generalmente superiore 0 3 0 3 0 2 7 2 0 2 7 3alle nasali del Nord: v + v + appendice nasale ( [m], [n], [ ], [ ] ). Esempi: entre (seguita da dentale), emballer 0 3 0 3 (seguita da labiale). Nel francese americano si ha invece intact [e t a k t] e quinze [k ԑ 0 3 0 3 j z]. Le nasali francesi presentano, oltre che delle pronunce differenti a seconda delle regioni, diverse grafie. 0 2 5 10 3 0 3 0 2 5 40 3 0 3/ / nord: [ ] - sud: [ã] Grafie: <an> France <am> ampoule <amp> champ <anc> blanc <ang> rang <ans> dans <ant> restaurant <en> entrer <em> emporter <emps> printemps <ens> gens <ent> accident /ε 0 3 0 3 0 3 0 3/ (/œ/>/ε 0 3 0 3/) Grafie: <in> fin <ain> africain <ien> bien <en> examen <yen> citoyen <ein> plein <un> un <um> parfum <unt> emprunt 0 2 5 40 3 0 3/õ/ ([ ]) Grafie: <on> bon <om> nom <ond> fond <ont> pont <ong> long - L’accento Con il termine accento si intende il rafforzamento della voce o elevazione del tono nella pronuncia di una sillaba rispetto ad altre della stessa parola (accento di parola o tonico), ovvero l’accrescimento di intensità della voce nel pronunciare una parola di una frase, per darle maggior risalto (accento di frase o sintattico). In francese l’accento ha una posizione fissa e cade sempre sull’ultima vocale pronunciata. Esistono tre tipi di accento in francese: 1- l’accento delle sillabe (tonico) 2- l’accento delle parole 3- l’accento di un gruppo ritmico L’accento tonico riguarda una sillaba che è più marcata di un’altra; l’accento della parola è l’accento intrinseco; l’accento di un gruppo ritmico, definito come un’unità fonetica, grammaticale e semantica, si trova sulla sillaba finale ed è seguito da una pausa. L’accento del gruppo ritmico è anche chiamato grammaticale. Oltre l’accento grammaticale esistono l’accento di insistenza o retorico e l’accento affettivo: il primo si trova sulla penultima sillaba e si manifesta con un supplemento di altezza musicale e di intensità; il secondo si manifesta con una più lunga durata di pronuncia della sillaba. A confronto con quello italiano l’accento francese non ha un valore distintivo ed è perciò “di gruppo”, in quanto spostandolo il significato della parola non cambia, mentre in italiano avviene il contrario perciò l’accento è “di parola”. Si parla pertanto di desaccentuazione del francese. In francese sono molto utilizzati gli accenti grafici, quasi inesistenti in italiano dove le parole sono per lo più piane, cioè l’accento tonico cade sulla penultima sillaba. Il motivo di questo utilizzo è che in francese sussistono molte discrepanze grafia/pronuncia: gli accenti servono più che altro a capire come pronunciare i termini o a fare la distinzione di significato di parole che si scriverebbero altrimenti allo stesso modo (gli “omografi”). Una parola francese con un accento invece che un altro si pronuncia diversamente, compromettendo anche di molto il significato del termine. Tra tutte le vocali i maggiori problemi relativi alla accentazione riguardano la e, ma seguendo alcune regole è possibile ricordare come posizionare bene l’accento: - se la sillaba è chiusa, ovvero termina per consonante, non c’è bisogno di alcun accento (ovviamente ci sono delle eccezioni come très, succès, après) - se la sillaba è aperta, ovvero termina per vocale, si può procedere all’identificazione della pronuncia tramite la divisione in sillabe. In generale bisogna ricordarsi che se la sillaba è aperta la vocale è chiusa (´), mentre se la sillaba è chiusa la vocale è aperta (`). - Lo Schwa Lo schwa è una costruzione linguistica che ha più pronunce e che a volte scompare. La sua rappresentazione 0 2 5 9grafica è il simbolo IPA / /. Questo particolare fonema francese viene anche definito come fenomeno della “e caduc” o “e muet”. Lo schwa è realizzato all’interno di una zona di pronuncia che ingloba ogni spazio che va dalla parte più alta della zona di pronuncia della /œ/ a quella più bassa della zona di pronuncia della / ø/. La realizzazione o non realizzazione dello schwa avviene in funzione di numerosi fattori e il suo comportamento può essere descritto in base alla sua posizione: 0 1 9 0 0 1 9 01- posizione finale di una parola <texte> [t k s t] o di un gruppo ritmico <un grand texte> [t k s t]; 2- posizione iniziale di una parola o di un gruppo ritmico; 3- interno di una parola. Nel primo caso lo schwa cade (non si pronuncia) obbligatoriamente davanti a morfemi che iniziano per 0 1 9 0 0 1 9 00 3 0 32 1 8 3vocale <texte important> [t k s t p R t ã], mentre se si trova davanti ad un segmento consonantico cade obbligatoriamente se è preceduto da una sola consonante e facoltativamente se preceduto da più consonanti. Lo schwa finale (assoluto) non cade mai se è un monosillabo <fais-le!> 0 1 9 00 1 D D[f l ], <sur ce> [ s y 0 1 D D 0 1 D DR s ], <ce à quoi> [s a k w a]. Inoltre, quando lo schwa si trova all’interno di parole composte, non cade 2 1 8 3 0 1 D Dse la sillaba successiva è tonica <porte-plume> [p R t p l y m]. Nel secondo caso lo schwa si pronuncia se è seguito da una sola consonante <venez ici> [v (∂) n e i s i], specificatamente se si trova, dopo una pausa, tra due occlusive (caduta facoltativa) o all’interno di un gruppo ritmico <prenez un livre> [p R ∂ n e ε 0 3 0 3 l i v R] se la parola precedente termina per consonante (caduta impossibile). Quest’ultima caduta risulta impossibile per la legge delle tre sillabe [p R n e ε 0 3 0 3 l i v R]. 0 2 5 9Nel terzo caso lo schwa si pronuncia se è preceduto da almeno due consonanti <squelette> [s k l ε t] e nelle forme del futuro e del condizionale quando segue un gruppo ostruente-liquida, mentre cade obbligatoriamente quando segue una vocale. 0 2 5 BSecondo le regole di adattamento dello schwa, questo si realizza come una / / quando si trova davanti ad una consonante in posizione finale, mentre si realizza come una /e/ quando, all’interno di una parola, è seguito da una o più consonanti e un’altra schwa. Visto che spesso si attribuiscono allo schwa le qualità acustiche di una vocale media senza, come sempre, mettersi d’accordo sulla sua identità, la prima domanda – di natura descrittiva – è sapere se tra queste tre realizzazioni fonetiche piene ce ne sia una che prevale rispetto alle altre. Secondo Fouché e Dell, ad esempio, la e instabile è quasi sempre pronunciata [œ] mentre secondo Nyrop, Martinet e Malécot è piuttosto [ø]. Per 0 1 D DPleasants, invece, si tratta di una vocale centrale debolmente labializzata [ ] avente un suo proprio timbro che non ha nulla a che vedere con [ø] o [œ], ma piuttosto con le vocali finali delle parole tedesche come arbeite e gabe o di quelle iniziali delle parole inglesi come about e again. Studi più recenti dimostrano che il timbro dello schwa è inoltre sensibile all’origine geografica dei locutori e che la ricerca di una qualità fonetica che sia dovunque la stessa è solo un’illusione: a Parigi, nel Nord-Ovest e nel Québec lo schwa è 0 1 D Dpiuttosto chiuso [ø], in Belgio et nel Nord-Est tende verso [ ], in Svizzera oscilla tra [ø] e [œ], mentre al Sud 0 2 8 C 0 2 5 0 0 2 9 Apuò essere realizzato anche come [e], [ ] o [ ], spesso come [ ] (che è una variante 0 1 D Dlabializzata di [ ]) o come [o]. La risposta al problema fonologico se lo schwa sia un vero e proprio fonema è no, in quanto non esistono allofoni. Lo schwa è invece una costruzione linguistica che ha più pronunce e che a volte scompare. 0 1 D D 0 2 8 CI due aspetti da considerare sono la variabilità della pronuncia [ ], [ø] [œ] [e], [ ] 0 2 5 0[ ], o [o] (ma noi non ce 0 1 D Dne occupiamo e trascriviamo di default ) e la presenza / assenza dello stesso. La presenza e a volte scomparsa dello schwa è stata interpretata come una sincope (taglio); questa interpretazione è senza dubbio la più comune e riprende per suo conto la genesi diacronica della “e muet” contemporanea che deriva da un lungo processo di erosione. Lo schwa trova la sua origine nelle vocali atone del latino, soprattutto /a/, che si sono progressivamente centralizzate e indebolite al punto di scomparire completamente in certi contesti: 0 2 5 9(lat. / rósa / > AF / roz / > FM / Roz /). Secondo un’altra interpretazione la “e muet” sarebbe un’epentesi (inserzione) o meglio un vocoide epentetico che si inserisce per rompere o separare dei gruppi consonantici complessi. 0 2 5 9Per riassumere: <mesure> sincope: forma di base /m zyR/ > /mzyR/ 0 2 5 9 epentesi: forme di base /mzyR/ > /m zyR/ Grammont attraverso la legge delle tre consonanti, secondo cui non può esistere una parola che presenti tre consonanti consecutive *CCC (*grnouille > grenouille), invece di privilegiare un processo preciso (sincope o epentesi) si limita a constare l’esistenza di una costrizione per l’adeguata formazione delle sillabe dove la sua violazione ha come conseguenza una correzione attraverso tutti i processi disponibili possibili. Le difficoltà nel controllare il comportamento dello schwa si trovano: - al momento del riconoscimento delle parole: gli studenti hanno difficoltà a distinguere gli omofoni come ad esempio ça me dit da samedi- a livello di pronuncia Per quanto riguarda il riconoscimento delle parole, France Nouveau ha recentemente puntato sul fatto che tra gli studenti la percezione delle parole senza “e muet” sta migliorando con una migliore conoscenza lessicale. Meno esposti al francese spontaneo, gli studenti hanno un comportamento che tende al registro sostenuto e che elimina le variabili fonostilistiche e contestuali. Tuttavia, i soggetti che hanno soggiornato presso delle comunità francofone mostrano una regressione dello standard accademico, che sostiene il mantenimento di queste variabili e che tende ad associare la loro caduta al linguaggio popolare a favore della pronuncia reale del francese quotidiano. La questione – piuttosto didattica – è allora quella di sapere se ci si deve accontentare di una prestazione normativa (che sarebbe, secondo alcuni, un bene per la padronanza dell’ortografia) o se è necessario puntare all’acquisizione degli aspetti stilistici intensificando i contatti con il francese corrente, che sia attraverso lo studio delle lingue soggiornando all’estero o attraverso dei programmi di scambio. - La liaison La liaison, secondo la definizione di Fouché, consiste nel pronunciare la consonante finale (solitamente muta) di una parola legandola alla parola che segue, quando quest’ultima comincia con vocale o h muta, così da formare una sillaba con essa. Non è vero che ogni volta che si incontra una parola terminante per consonante e poi un’altra iniziante per vocale bisogna fare la liaison, perché essa si realizza all’interno di un sintagma della stessa natura (ad esempio SN, SV). La liaison si fa solitamente tra parole strettamente unite dal senso e che vengono pronunciate senza alcuna pausa. È un fenomeno più tipico della lingua letteraria o sostenuta che della lingua parlata familiare. Tuttavia, ci sono dei legamenti che sono obbligatori e altri che non si devono fare. Infatti, esistono tre tipi di liaisons: obbligatorie, facoltative e vietate. Inoltre, perché si possa realizzare una liaison devono esserci tre condizioni: 1- la parola successiva deve iniziare per vocale 2- le parole devono trovarsi all’interno di un gruppo ritmico 3- le parole devono essere legate da uno stretto rapporto grammaticale Le liaisons obbligatorie sono con [z] e [n] e si realizzano nei sintagmi nominali fra il determinante e il nome e fra l’aggettivo e il nome, nei sintagmi aggettivali fra gli avverbi monosillabici e gli aggettivi, nei sintagmi proposizionali fra le preposizioni monosillabiche e la parola che segue, nei sintagmi verbali fra il verbo e il nome o l’aggettivo e fra l’ausiliare alla 3ª persona singolare o plurale e il participio passato, dopo quand e dont, nei nomi composti e in alcune espressioni molto ricorrenti come de temps en temps, de plus en plus, de, moins en moins, mot à mot. Tra il sintagma nominala e il sintagma verbale la liaison è vietata, ma se il sintagma nominale è costituito da un pronome personale soggetto allora è obbligatoria. Le liaisons facoltative sono con [t], [p], [R] e [k], con le parole al plurale, con i monosillabi e con le idiosincrasie. Esse rappresentano un fenomeno stilistico, il cui uso aumenta nettamente nei discorsi ricercati e poetici. Le liaisons vietate si hanno, come si è già detto, fra il nome soggetto e il verbo, con la congiunzione et, con i nomi che cominciano con h aspirata, con i numeri cardinali inizianti per vocale, con le parole che iniziano con w e, ovviamente, con le parole che iniziano per consonante. Il fenomeno della liaison può essere spiegato attraverso due tesi: la prima sostiene l’esistenza di una regola e di classi di parole che fanno eccezione, mentre la seconda sostiene la presenza di un fonema zero che si pensa ma non si pronuncia. Oltre queste due tesi vi sono altre spiegazioni che si possono dare alla liaison: - /lez/ è la forma base e per troncamento davanti a consonante diventa /le/ quindi si parla di una forma di base e poi di una regola di aggiustamento; - /le/ è la forma base e per inserzione davanti a vocale diventa /lez/ quindi si parla di una forma base e poi di una regola d’inserzione; - si può dire che il francese possiede due forme per l’articolo determinativo plurale: /le/ e /lez/, il primo che si usa davanti alle consonanti e il secondo davanti alle vocali, quindi non si parla di nessuna regola, ma solo di due forme disponibili in partenza; - un’altra spiegazione è quella della struttura mentale dei bambini che nella loro testa associano un determinato suono quando la parola è singolare e un altro quando è plurale; si parla quindi di liaison come marchio morfologico; - Infine, si è pensato che è la forma scritta a suggerire delle liaisons che di solito sono facoltative, quindi per quest’ultimo caso si invoca il ruolo dell’ortografia. Come ultima cosa si può aggiungere che alcune consonanti finali cambiano la loro pronuncia nel fenomeno della liaison: - s, z, x si pronunciano [z] - t e d si pronunciano ambedue [t] - n si pronuncia in modo pieno se si fa il legamento tra una vocale nasale e la vocale che segue - f si pronuncia [v] in neuf ans, neuf autres, neuf hueres, neuf hommes. esempio, un complemento di tempo o di luogo) è detto espansione. I verbi che hanno un solo argomento sono detti monovalenti, quelli che ne hanno due bivalenti e quelli che ne hanno tre trivalenti. Esistono poi dei verbi avalenti o zerovalenti, privi di argomenti; si tratta generalmente di verbi impersonali come piovere o nevicare, in francese rispettivamente il pleut e il neige. In questo caso il pronome il non è un soggetto lessicale, bensì grammaticale e la sua presenza è dovuta al fatto che il francese è una “lingua a soggetto obbligatorio”, per cui il verbo deve avere sempre il soggetto espresso, anche se vuoto. Questo non vale per l’italiano dove spesso il soggetto non è espresso anche nel caso del verbo impersonale piovere (piove). - L’aspetto secante e globale L’aspetto verbale è una categoria grammaticale che definisce la durata nel tempo di un’azione. Esso è definito da Guillaume come il tempo implicato dal verbo (temps impliqué), mentre da Comrie come costruzione interna temporanea di una situazione o epoca (temps expliqué). L’aspetto indica la dimensione temporale attribuita dal parlante all’azione espressa dal verbo, indipendentemente dal tempo assoluto in cui è collocata. L’aspetto perfettivo descrive azioni delimitate nel tempo, cioè sia azioni momentanee sia l’inizio o la conclusione di un’azione duratura e dunque indica un processo che deve essere necessariamente portato a termine per realizzarsi. L’aspetto imperfettivo descrive azioni che non specificano la durata, o durano a lungo o si ripetono nel tempo e dunque indica un processo che si può considerare iniziato pur essendo stato interrotto. L’aspetto viene definito globale quando l’azione espressa dal verbo viene vista dall’inizio alla fine in un processo unico, cioè quando il punto di riferimento (repère) è esterno al processo X-Y soddisfando entrambi i punti X e Y. Quest’aspetto è rappresentato graficamente da un’obliqua e i tempi che meglio lo esprimono sono l’infinito, il participio passato, il congiuntivo, il passato remoto, il futuro e il condizionale. Si parla invece di aspetto secante quando l’azione espressa dal verbo viene vista in un momento preciso del suo svolgimento, cioè quando il punto di riferimento (repère) è interno al processo X-Y e scinde i due punti X e Y. Quest’aspetto è rappresentato graficamente da una perpendicolare e i tempi che meglio lo esprimono sono il participio presente, il presente e l’imperfetto. Per concludere e riassumere si può quindi dire che il tempo situa il processo X-Y in rapporto al punto di riferimento (repère), mentre l’aspetto situa il punto di riferimento (repère) in rapporto al processo X-Y. - I paradigmi verbali In grammatica, per paradigma si intende un modello di declinazione (di un sostantivo, di un pronome, di un aggettivo) o di coniugazione verbale solitamente offerto nei manuali. Il termine indica anche l'insieme delle forme verbali fondamentali (paradigma verbale), la cui conoscenza permette di coniugare il verbo in tutte le sue forme. In francese esistono 4 paradigmi verbali: - paradigma A -> (P1=P2=P3=P6) + [(P4) + (P5)] (parle, parles, parle, parlons, parlez, parlent) - paradigma B -> (P1=P2=P3) + [(P4) + (P5) + (P6)] (pars, pars, part, partons, partez, partent) - paradigma C -> (P1) + (P2=P3) + [(P4) + (P5)] + (P6) (vais, vas, va, allons, allez, vont) - paradigma D -> (P1) + (P2=P3) + (P4) + (P5) + (P6) (suis, es, est, sommes, êtes, sont) Con le P numerate si indicano le sei persone della coniugazione. Il paradigma A comprende il 90% del totale dei verbi francesi, che per la maggior parte appartengono alla 1ª coniugazione -er. L’esempio qui riportato è parler. Il paradigma B comprende molti dei verbi a due basi della 2ª coniugazione –ir. L’esempio qui riportato è partir. Il paradigma C comprende verbi abbastanza irregolari come aller e infine il paradigma B comprende verbi totalmente irregolari come être. - Congiuntivo 1 e 2 (presente e passato) Secondo Wilmet non esiste un congiuntivo presente e un congiuntivo passato, in quanto esso esprime l’azione come emanazione di un punto di vista e non un tempo in cui l’azione ha luogo. Infatti, a differenza dell’indicativo che ha un contesto attualizzante, il congiuntivo ne ha uno virtualizzante (ossia refrattario alla localizzazione di un’epoca determinata); la differenza tra indicativo e congiuntivo sta proprio nella loro capacità o meno di isolare le epoche. Dunque, nel sistema del congiuntivo la differenza tra presente e passato non ha senso, perciò è meglio parlare di congiuntivo 1 e 2. Il congiuntivo 1 (que je marche) ha sempre un punto di vista prospettivo, mentre il congiuntivo 2 (que je marchasse) ha un punto di vista retrospettivo. Il congiuntivo può assumere diverse valenze (desiderio, volontà, ordine, esortazione) e secondo Wilmet la costante tra queste valenze è la virtualizzazione dei processi, quindi il congiuntivo non è una servitude grammaticale (fenomeno grammaticale che non può essere spiegato con l’aiuto di un principio formale o semantico generale). Si pone poi un problema per quanto riguarda l’espressione après que + congiuntivo: la grammatica normativa impone l’uso dell’indicativo, ma in realtà l’alternanza tra indicativo e congiuntivo era già presente, in quanto il congiuntivo scompare in epoca medievale per poi riapparire nel XX secolo sostituendo l’indicativo; anche Damourette e Pichou affermano che dopo après que l’indicativo è inutile. - L’aggettivo verbale, il participio presente e il gerundio L’aggettivo verbale, il participio presente (o participio 1) e il gerundio sono delle forme apparentemente simili, ma che bisogna saper distinguere. Infatti, mentre è sicuro che per ogni verbo francese si può costruire un participio e un gerundio, non è sempre detto che per ogni verbo esista un aggettivo verbale corrispondente. L’aggettivo verbale si accorda in genere e numero con il soggetto che lo precede e a volte esistono delle ortografie differenti tra il participio presente e l’aggettivo verbale come nel caso del verbo fatiguer, che ha la forma fatiguant come participio presente e fatigant come aggettivo verbale. Condizione necessaria per utilizzare il gerundio è che il soggetto della prima e della seconda proposizione sia lo stesso. - Il participio passato (o participio 2) Il participio 2 ha un tempo decadente e un aspetto globale ed è quel participio che viene erroneamente chiamato “participio passato”. Può avere finale vocalica (-i, -è, -u) o consonantica (-ort, -ert). Diversamente, il participio 1 (o presente) ha un tempo adiacente, un aspetto secante e termina in -ant. Il participio 2 può fungere da epiteto o da attributo, può avere un senso attivo o essere utilizzato con dei complementi; quello del participio 2 è un modo impersonale inattuale non intrinsecamente passivo, in quanto esistono dei participi 2 a doppia interpretazione e altri che non sono mai passivi. Inoltre vi sono contesti in cui il participio 2 si accorda e altri in cui l’accordo non avviene: si accorda se è posto dopo un nome, se è coniugato col verbo être o se il COD precede il GV, mentre non si accorda se il COD segue il GV o se manca del tutto. - Il presente Il presente è un tempo camaleontico, ha 14 usi di repertorio tra cui présent momentané, présent de durée, futur proche, passé récent, usage proverbial o conditionnel. In linguistica ci si è spesso chiesti se il presente fosse un tempo o se esistesse proprio come tempo presente e le opinioni emerse sono sempre state discordanti. Per molti linguisti il presente non esiste perché si tratta di una forma neutra, ovvero non è né passata né futura, non è morfologicamente marcata, ha un senso effimero. Secondo Wilmet, invece, il presente esiste ed è a forma verbale che afferma la contemporaneità (o concomitanza) di un processo al punto di riferimento dell’attualità e/o l’inclusione dell’attualità a questo processo; introduce, inoltre, una visione secante, ossia che prende l’inizio della realizzazione del processo. Wilmet divide il “présente à dominante aspectuelle” con valore secante dal “présente à dominante temporelle” che esprime concomitanza e simultaneità. Infine, possiamo trovare un presente semplice (tempo presente e aspetto secante), un presente composto (tempo presente anteriore e aspetto secante escursivo e chiamato erroneamente passato composto) e un presente sovracomposto (tempo presente bi-anteriore e aspetto secante bi-escursivo). - Modo e modalità (modi attuali e inattuali) Nella coniugazione di un verbo si segue tradizionalmente la divisione dei modi in personali ed impersonali. Tra i modi personali troviamo l’indicativo, il condizionale, il congiuntivo e l’imperativo, ma poi è stato stabilito che, essendo l’imperativo una forma di presente senza esplicitazione del pronome e il condizionale una forma di futuro, questi non possono essere racchiusi nella fascia dei modi personali. La stessa cosa riguarda i modi impersonali, che si pensava fossero tre (infinito, gerundio, participio), ma anche in questo la divisione originaria è stata rivista. Ogni volta che ci si trova davanti ad una frase è fondamentale riuscire a riconoscerne la verità. Ci permettono di evidenziare il valore di verità di un enunciato le modalità logiche, che sono: - modalità assertiva: Piero canta - modalità interrogativa: Piero canta? - modalità ingiuntiva: Piero canta! - modalità deontica: Piero deve cantare (è necessario, obbligatorio) - modalità epistemica: Piero deve aver dimenticato le chiavi (è probabile). Fanno parte delle modalità anche: - i coverbi: dovere, potere, sapere, volere, fare, ecc., tra questi dovere è il più ricco di interpretazioni - gli avverbi modali modulatori di verità: probabilmente, senza dubbio, può essere, ecc. - gli incisi: è evidente che, non è così? - l’epoca del processo: Piero canta, cantava, canterà, ha cantato, … I modi della grammatica selezionano tra le modalità delle logiche quelle che il verbo manifesta: la persona e l’epoca. Quando si parla di epoche intendiamo le tre epoche classiche: il presente, il passato, il futuro. Le epoche si dividono in attuali e inattuali. Possiamo capire se un’epoca è attuale o inattuale attraverso i modi. - l’infinito e il participio vengono chiamati modi impersonali-inattuali; - il congiuntivo è un modo personale-inattuale; - l’indicativo è un modo personale-attuale.
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