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domande psicologia delle disabilità, Prove d'esame di Psicologia Generale

possibili domande d'esame raccolte durante il corso con tutte le risposte integrate con libro e appunti delle lezioni

Tipologia: Prove d'esame

2021/2022

Caricato il 12/05/2022

giuliastefan
giuliastefan 🇮🇹

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Scarica domande psicologia delle disabilità e più Prove d'esame in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! DEFINIZIONE DI DISABILITA’ ED EVOLUZIONE DEI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE Negli ultimi trent'anni si è assistito a profonde modificazioni nell'uso della terminologia per indicare le disabilità. In particolare, si è assistito ad un abbandono di termini che hanno acquisito un contenuto semantico dispregiativo (idiota, imbecille, deficiente) e delle espressioni che favoriscono l'identificazione di una persona con la sua disabilità (handicappato). Sono invece privilegiati i termini come “persona con disabilità”, i quali evidenziano i rapporti fra l'individuo e il contesto in cui vive. Negli ultimi anni si è diffuso l'utilizzo dell'espressione “diversamente abile”, la quale mette in evidenza le differenze qualitative nell'utilizzo delle abilità necessarie a raggiungere uno scopo, sottolineando le potenzialità dell'individuo rispetto alle sue difficoltà. Tale espressione, però, è da utilizzare con cautela: è opportuno usarla quando si vuole comunicare la possibilità di raggiungimento di uguali performance nonostante la disabilità; è meno adeguato utilizzarla in riferimento alle prestazioni scolastiche, sociali e di autonomia perché potrebbe risultare un tentativo per “nascondere” il fatto che tali prestazioni sono inferiori rispetto a quelle tipiche della normalità. Oggi la disabilità viene considerata come la conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e una serie di fattori personali e ambientali che rappresentano il contesto di riferimento in cui la persona vive ed esprime le proprie capacità (OMS, 2001). La concezione di disabilità si è evoluta nel tempo anche in base al sistema di classificazione utilizzato. Nel 1980 l’OMS propose una classificazione, l’ICID-H (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), dedicata ai disturbi mentali e tesa ad evidenziare le possibili conseguenze delle malattie a tre livelli (menomazioni, disabilità, handicap). L’handicap riflette le conseguenze della menomazione e della disabilità a livello culturale, sociale, economico e ambientale. Uno dei principali punti a sfavore dell’ICID-H è costituito dal fatto che tende a descrivere le situazioni in maniera negativa, senza evidenziare eventuali punti di forza e funzionamenti adeguati dell'individuo. Nel 2001, con l’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), l’OMS propone un approccio focalizzato sul funzionamento e sulla salute della persona. Si parte dal concetto di salute per dire se e quanto ciascuno se ne discosti e vengono valorizzati i punti di forza. Nel 2007, ad integrazione dell’ICF, è stato pubblicato l’ICF-CY, il quale si dedica alla fascia di età che va dalla nascita ai 18 anni. Un altro manuale diagnostico dedicato ai disturbi mentali è il DSM-V dell’American Psychiatric Association, nel quale viene data molta importanza al funzionamento adattivo e alla programmazione dei supporti. APPROCCIO NEUROCOSTRUTTIVISTA L’approccio neurocostruttivista, proposto da A. Karmiloff-Smith, prevede l'interazione dinamica tra fattori biologici ed esperienze ambientali: ambiente ed esperienza possono modificare lo sviluppo di un'abilità geneticamente determinata o far emergere competenze non determinate geneticamente. Cruciali nell'approccio neurocostruttivista sono i concetti di:  plasticità cerebrale, la quale permette al cervello di adattarsi con flessibilità agli eventi esterni per rispondere in modo funzionale agli stimoli,  modularizzazione, secondo cui il cervello passa da uno stato di indifferenziazione ad uno di progressiva organizzazione grazie agli stimoli ambientali  epigenesi probabilistica, per cui il cervello e i processi cognitivi si modificano attraverso l'interazione dinamica tra fattori biologici e ambientali. Secondo l’approccio neurocostruttivista un comportamento innato agisce come un vincolo che incanala e facilita l’apprendimento ed è solo attraverso l’interazione con l’ambiente che una componente innata si manifesta, diventando parte del potenziale biologico. Esistono meccanismi innati rilevanti per un certo dominio, ma è l’esperienza che li rende dominio-specifici. A. K. S. ha evidenziato che per capire i deficit a livello cognitivo bisogna analizzare i domini sottostanti ai processi cognitivi generali (domain-relevant). Questi devono essere presi in considerazione soprattutto nei disturbi del neurosviluppo perché permettono di avere informazioni specifiche rispetto all'intervento da effettuare. Infatti, la prospettiva neurocostruttivista ricerca delle deviazioni rispetto allo sviluppo tipico già nella prima infanzia, quando il cervello del bambino non è ancora modularizzato ed è maggiormente plastico, al fine di fornire dei supporti che possano limitare un decorso atipico. Agire precocemente significa agire su predisposizioni cognitive più generali che solo in seguito si specializzeranno e localizzeranno. CARATTERISTICHE PRINCIPALI E CRITERI DIAGNOSTICI PER LE DISABILITÀ INTELLETTIVE Nel DSM-V la disabilità intellettiva è definita come un disturbo che emerge in età evolutiva e che include deficit del funzionamento intellettivo e del funzionamento adattivo, che investe la sfera cognitiva e tutte le aree della personalità. Secondo i criteri diagnostici del DSM-V:  i deficit del funzionamento intellettivo (ragionamento, risoluzione di problemi, capacità di pianificazione, pensiero astratto, capacità di giudizio apprendimento scolastico, capacità di apprendere dall'esperienza), devono essere confermati da una valutazione clinica e da test di intelligenza individuali standardizzati (ad esempio WISC-IV e Leiter-3);  Ridotte possibilità di inibizione motoria  Difficoltà di controllo comportamentale  Incapacità di inibire le risposte automatiche  Scarsa capacità di riflessione  Difficoltà a rispettare il proprio turno  Tendenza ad interrompere gli altri e ad intromettersi nei loro discorsi Inoltre, per poter effettuare una diagnosi di ADHD, è necessario che alcuni dei sintomi siano presenti prima dei 12 anni, si presentino in due o più contesti, interferiscano con la qualità del funzionamento sociale, scolastico e lavorativo, non si presentino durante il decorso di una schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non siano meglio spiegati da un altro disturbo mentale. Il DSM-V prevede anche la possibilità di specificare la gravità del disturbo, il quale può essere lieve, moderato, grave o in remissione parziale. Infine, è possibile individuare tre sottotipi del disturbo in base alla categoria (disattenzione o impulsività-iperattività) predominante: prevalentemente inattento, prevalentemente iperattivo- impulsivo, combinato. SVILUPPO DELL’ADHD: DALL'INFANZIA ALL'ETÀ ADULTA L’ADHD è una patologia tipica dell'età evolutiva ma sia il DSM che l’ICD definiscono tale patologia “persistente”: il 60% circa dei bambini con ADHD continua a soddisfare i criteri per la diagnosi anche nell'età adulta. I sintomi si modificano con il passare degli anni, soprattutto quelli esternalizzanti, come l'iperattività. L'evoluzione della patologia può essere suddivisa in varie fasi. 1) Prima della nascita si valutano i fattori di rischio di insorgenza del disturbo. 2) Nei primi tre anni di vita si ha il massimo grado di iperattività. I bambini sono spesso irritabili, aggressivi, inclini ad un pianto inconsolabile, poco tolleranti alla frustrazione e presentano difficoltà di sonno ed alimentazione. Questi sintomi possono generare effetti negativi nell'interazione con i genitori, innescando un circolo vizioso che porta ad un aumento di intensità dei sintomi del bambino e della frustrazione dei genitori. 3) Gli anni della scuola dell'infanzia sono caratterizzati da: eccessiva vivacità, scarsa controllabilità, affaticabilità unita alla continua ricerca di nuovi stimoli (difficilmente il bambino riesce a svolgere una stessa attività per periodi prolungati e a portarla a termine). 4) In età scolare le difficoltà aumentano ulteriormente a causa del maggior numero di regole da rispettare e di compiti da svolgere. Compaiono i sintomi cognitivi (disattenzione e impulsività). Il carico di lavoro e la maggior richiesta di autonomia possono diventare un problema: vi è difficoltà nel trovare una motivazione intrinseca e a lungo termine, nell'organizzare autonomamente lo studio e nel mantenere sotto controllo diverse attività. 5) Durante la preadolescenza e l'adolescenza, l'iperattività tende a ridursi e a trasformarsi in una sensazione soggettiva di instabilità scolastica, lavorativa e relazionale. Permangono le difficoltà scolastiche e di organizzazione della vita quotidiana. Possono svilupparsi atteggiamenti problematici (prepotenza, labilità dell'umore, scatti d'ira), condotte pericolose e disturbi depressivo-ansiosi. 6) In età adulta l’individuo con ADHD presenta spesso difficoltà di organizzazione nel lavoro, intolleranza alla vita sedentaria, condotte rischiose, scarsa tolleranza alla frustrazione, con un elevato rischio di marginalità sociale e una bassa autostima. FE E WM NELL’ADHD Numerose evidenze in letteratura suggeriscono che i deficit nelle FE e nella ML possono rivestire un ruolo centrale nel profilo neuropsicologico dell’ADHD. Questi deficit sono in stretta relazione con i sintomi di disattenzione e iperattività-impulsività e possono avere ripercussioni sul funzionamento quotidiano degli individui, con importanti implicazioni a livello clinico ed educativo. I bambini con ADHD presentano compromissioni in tutte le componenti della MEMORIA DI LAVORO. I deficit maggiori sono riscontrati nel sistema esecutivo centrale, seguito dal magazzino visuospaziale e da quello verbale. In particolare, è stato rilevato che il deficit nella ML visuospaziale è presente nella maggior parte dei bambini con ADHD ed è una delle compromissioni più marcate, a tal punto da essere considerato uno dei tre candidati più promettenti in qualità di endofenotipo neurocognitivo per l’ADHD, insieme ai deficit di elaborazione temporale e quelli legati al sistema di elaborazione delle ricompense. Per quanto riguarda la ML verbale vi è una maggiore eterogeneità delle prestazioni: la difficoltà dipende strettamente dal tipo di compito, dal sottotipo di ADHD e dalla comorbilità con altri disturbi. Per esempio, bambini con ADHD con prevalente disattenzione hanno maggiori difficoltà nella lettura. Il modello neuropsicologico di Barkley sostiene che la funzione sovraordinata alle FE sia il CONTROLLO INIBITORIO, il quale presiede a: - funzionamento della memoria di lavoro, - capacità di autoregolazione delle emozioni, - discorso interiorizzato (la capacità di darsi delle regole ed istruzioni verbali), - pianificazione e analisi delle azioni da mettere in atto. In linea con quanto proposto da Barkeley, numerosi studi identificano l’INIBIZIONE COMPORTAMENTALE come core deficit del disturbo. In particolare, difficoltà nell’inibizione della risposta motoria durante lo Stop Signal Task vengono frequentemente riportate in letteratura. Ci sono dei riscontri anche dalle neuroimmagini. Emerge infatti come i pazienti con ADHD abbiano una riduzione del volume della corteccia prefrontale destra (implicata in tutte le funzioni esecutive principali), una maturazione più lenta e una ridotta attività. I soggetti con ADHD hanno difficoltà anche nei compiti di FLESSIBILITÀ COGNITIVA, nei quali è richiesto l’utilizzo di altre funzioni esecutive sottostanti. In questi compiti perseverano nell’errore, mettendo in atto più volte una strategia errata, hanno difficoltà nel cambiare il proprio comportamento inadeguato e a generare nuove risposte in seguito ad un feedback esterno differente. Diversi studi hanno evidenziato che una disfunzione esecutiva non è condizione necessaria e sufficiente per valutare l’ADHD, pur essendo le FE una componente cognitiva importante. Quindi, non è possibile individuare un core deficit ma piuttosto una condizione eterogenea costituita da più gruppi, ciascuno con elementi distintivi sotto il profilo neuropsicologico. MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO → Il MODELLO NEUROPSICOLOGICO di Barkley sostiene che la funzione sovraordinata alle FE sia il controllo inibitorio, il quale presiede al funzionamento delle abilità che regolano il comportamento. Questo ha delle ripercussioni su diversi aspetti, come:  il funzionamento della memoria di lavoro,  la capacità di autoregolazione delle emozioni,  il discorso interiorizzato (la capacità di darsi delle regole ed istruzioni verbali),  la pianificazione e analisi delle azioni da mettere in atto. Ci sono dei riscontri, per quanto riguarda i deficit nelle FE, dalle neuroimmagini. Emerge infatti come i pazienti con ADHD abbiano una riduzione del volume della corteccia prefrontale destra, implicata in tutte le funzioni esecutive principali, una maturazione più lenta e una ridotta attività. → Un altro modello di riferimento per l’ADHD è quello della “DELAY AVERSION” di Sonuga-Barke, secondo il quale i bambini con ADHD non sono in grado di tollerare l’attesa e mostrano uno stile motivazionale caratterizzato dalla scelta di situazioni rapidamente gratificanti, anche quando l’attesa comporterebbe gratificazioni significativamente maggiori. L’avversione per l’attesa si manifesta con sintomi di iperattività e/o inattenzione che fungono da meccanismi compensativi per ridurre la percezione temporale che li distanzia dal rinforzo. Vi è, inoltre, una riduzione dell'efficacia del rinforzo nel caso in cui comportamento e rinforzo siano distanti temporalmente. Il disturbo viene rappresentato come uno spettro dimensionale che può essere adattato alle caratteristiche del singolo individuo sulla base di specificatori clinici e di caratteristiche associate. Il termine “spettro” si riferisce ad un continuum di sintomi caratterizzati da una grande variabilità. Il DSM-V richiede, inoltre, di specificare se il disturbo dello spettro dell'autismo è accompagnato ad una disabilità intellettiva, un disturbo del linguaggio, una condizione medica, genetica o ambientale, altri disturbi del neurosviluppo, catatonia. Infine, è stata prevista l'individuazione di diversi livelli di severità del disturbo, individuati in base al livello di supporto richiesto. MODELLI TEORICI / INTERPRETATIVI PER I DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO Varie teorie neuropsicologiche hanno tentato di spiegare i sintomi tipici dei disturbi dello spettro dell'autismo. Il primo modello è quello della TEORIA DELLA MENTE (capacità di attribuire stati mentali a sé e ad altri e di predire il comportamento proprio e altrui). I bambini con autismo non sviluppano in modo adeguato la capacità di assumere la prospettiva di un'altra persona e di valutare adeguatamente gli interessi degli altri. Questo deficit nella meta-rappresentazione ha origine nello sviluppo del gioco simbolico (tipicamente osservabile nei bambini a partire dai 18-24 mesi). Questo deficit fondamentale permette di spiegare vari deficit comunicativi e socio-relazionali, che potrebbero essere causati delle interpretazioni sbagliate degli stati mentali altrui. Il secondo modello è quello della DEBOLE COERENZA CENTRALE, secondo cui gli individui con autismo non sono capaci di elaborare le informazioni in modo globale, ma hanno la tendenza ad analizzare i singoli dettagli, cosa che impedirebbe loro di accedere a significati di più alto livello. L’incapacità di cogliere gli aspetti globali degli stimoli si associa ad un’attitudine ad elaborare i dettagli, senza riferimenti al contesto. Questo deficit consente di spiegare diverse difficoltà, come le scarse abilità nella pragmatica del linguaggio, gli errori di interpretazione e di giudizio e i comportamenti stereotipati. Questi ultimi, in particolare, potrebbero essere causati dal fatto che gli individui con ASD hanno la tendenza a ripetere in modo ossessivo certi comportamenti perché perdono di vista l’obiettivo collegato ad una determinata attività. Il terzo modello è quello delle FUNZIONI ESECUTIVE, secondo cui alcune manifestazioni comportamentali del disturbo potrebbero essere causate da un deficit nel funzionamento esecutivo. Le FE che risultano più deficitarie sono: FLESSIBILITÀ COGNITIVA, PIANIFICAZIONE, FLUENZA, MEMORIA DI LAVORO. Questi deficit spiegherebbero i comportamenti stereotipati e ristretti, la scarsa flessibilità cognitiva, la rigidità di pensiero e, di conseguenza, l’incapacità di adattarsi all’ambiente ed entrare in relazione con gli altri. 4.4 VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA NEI DISTURBI DELLO SPETTRO DELL'AUTISMO Durante l'iter diagnostico è importante tenere presente che i sintomi e i comportamenti sono estremamente eterogenei, variano al variare dello stadio di sviluppo, possono essere influenzati dal setting e dall'ambiente sociale, hanno un'elevata comorbilità con altri disturbi. La tecnica migliore per la valutazione dell'autismo prevede l'uso combinato di due strumenti valutativi: l’ADI-R e l’ADOS-2. L’ADI-R è un'intervista semistrutturata rivolta ai caregiver che ha come scopo quello di ottenere una gamma completa di informazioni utili a formulare una diagnosi a partire dalla prima infanzia e approfondire la valutazione di individui che sono risultati a rischio utilizzando altri strumenti. Requisito fondamentale per poter accedere a questo strumento è l'età mentale minima di due anni. Le aree indagate dall'intervista sono: le anomalie nell'interazione sociale reciproca, le anomalie qualitative nella comunicazione e i modelli di comportamento ristretti, ripetitivi e stereotipati. L’ADOS-2, invece, è uno strumento che consente l'osservazione standardizzata e semistrutturata dei comportamenti associati all'autismo. Consiste in attività standard dirette alla stimolazione di comportamenti significativi ai fini della diagnosi. Le aree indagate sono la comunicazione e l’interazione sociale reciproca e il comportamento ristretto e ripetitivo. Scopo dell’ADOS-2 è quello di creare un “mondo sociale” che fornisca le condizioni necessarie per la comparsa e l'osservazione dei comportamenti legati all'autismo CARATTERISTICHE DELL’AUTISMO AD ALTO FUNZIONAMENTO (HFA) L'autismo ad alto funzionamento (senza disabilità intellettiva) viene diagnosticato negli individui che soddisfano i criteri del disturbo autistico e presentano un livello cognitivo superiore a 70. È possibile identificare questo disturbo utilizzando strumenti come:  interviste semi-strutturate (ADI)  ADOS-2 per l’inquadramento diagnostico  questionari per genitori. Nella valutazione del bambino è importante ricavare informazioni riguardo: 1. funzionamento cognitivo, 2. abilità visuospaziali, 3. linguaggio e pragmatica del linguaggio, 4. attenzione condivisa, 5. abilità imitativa, 6. abilità sociali, 7. riconoscimento di emozioni, 8. abilità motorie, 9. comportamenti, attività, interessi ripetitivi e ristretti, 10. modalità di approccio sensoriale. FUNZIONI ESECUTIVE E WORKING MEMORY ASD La compromissione delle FE non è un core-deficit nell’ASD ma risulta utile per approfondire il profilo di funzionamento dell'individuo. Deficit nelle FE e nella ML hanno un forte impatto sul funzionamento quotidiano degli individui con ASD e si ripercuotono nell'ambiente familiare, accademico, lavorativo e sociale. Numerosi studi confermano l'esistenza di un'ampia disfunzione esecutiva nei compiti di INIBIZIONE, nei quali le difficoltà variano in base al livello di controllo richiesto dal compito. Un'altra funzione deficitaria è la FLESSIBILITÀ COGNITIVA, solitamente misurata attraverso il Wisconsin Card Sorting Task. Questo deficit comporta difficoltà nella regolazione e modulazione delle risposte e comportamenti perseveranti, stereotipati. In prove di PIANIFICAZIONE come la Torre di Londra i bambini ASD ottengono prestazioni peggiori rispetto ai controlli. Anche in prove di FLUENZA FONEMICA e CATEGORIALE ottengono prestazioni deficitarie. Flessibilità cognitiva, fluenza ideativa e controllo inibitorio rappresentano validi candidati endofenotipici nell’ASD. Numerosi studi si sono interessati anche al funzionamento della ML VERBALE, pervenendo a risultati differenti a seconda della misura utilizzata, della complessità del compito o dell'età dei partecipanti. Questi studi suggeriscono che gli individui con ASD presentano un funzionamento preservato della memoria per informazioni semplici e deficit progressivamente più evidenti con l'aumentare della complessità del compito. Tale complessità dipende dal numero di elementi stimolo da ricordare e dal numero di processi cognitivi coinvolti nel compito. Anche l'età è una variabile da tenere in considerazione. Ad esempio, in un compito di riorganizzazione di materiale verbale la prestazione degli adulti è stata riportata come intatta, quella dei bambini è risultata deficitaria. Altro aspetto da considerare riguarda la relazione tra ML verbale e abilità linguistiche di bambini con ASD: è importante distinguere gli effetti dell’ASD sulle prestazioni ai compiti di ML verbale dagli effetti delle difficoltà di linguaggio. Per quanto riguarda la ML VISUOSPAZIALE, diversi studi (nei quali uno dei compiti più utilizzati è il Test di Corsi) hanno evidenziato risultati contrastanti. Per spiegare tali differenze è necessario prendere in considerazione diversi fattori come il carico cognitivo del compito (memory-loading), Dal punto di vista dei correlati cognitivi si associa alla tendenza ad attribuire intenzioni ostili a provocazioni ambigue e alla difficoltà di sviluppare soluzioni non aggressive in contesti sociali problematici. Nei DC prevale l’aggressività proattiva (o strumentale), connotata dall’assenza di significato difensivo. Appare finalizzata al raggiungimento di uno scopo, solitamente benefici per il sé, possesso di un oggetto o dominio su una persona. La tendenza a non provare ansia priva l’individuo di un freno alle condotte antisociali e spiega la scarsa efficacia delle punizioni, i minori sensi di colpa in seguito a trasgressioni e la bassa preoccupazione per i sentimenti altrui. Questo tipo di aggressività è spesso pianificata e premeditata ed è accompagnata da un arousal costantemente basso. Inoltre, l’aggressività proattiva è maggiormente associata alla delinquenza e all’abuso di alcol in adolescenza e alla criminalità in età adulta. Dal punto di vista dei correlati cognitivi si associa alla tendenza a sovrastimare le conseguenze positive della condotta aggressiva e a sottostimare la possibilità di essere puniti per il proprio comportamento. EZIOLOGIA DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO Nella determinazione di problemi comportamentali è fondamentale considerare il concetto di multifattorialità. A predire la manifestazione di un DC o di un DOP è l'interazione dinamica tra caratteristiche neurobiologiche, ambiente familiare e legame di attaccamento. Quanto maggiori sono i fattori di rischio implicati, tanto più è probabile che si sviluppi un disturbo del comportamento. Le caratteristiche neurobiologiche comprendono la vulnerabilità neurobiologica, quindi la componente genetica, e il temperamento, ovvero la base neurobiologica delle differenze individuali nel tipo di risposta fornita alle difficoltà della vita di un individuo. In particolare, la presenza di un temperamento irritabile, caratterizzato da emozioni negative, sembra favorire un'aggressività reattiva (maggiormente associata al DOP). Al contrario, l'aggressività proattiva (maggiormente associata al DC) è caratterizzata da un arousal costantemente basso e dalla tendenza a non provare ansia. Queste caratteristiche priverebbero il bambino di un freno alle condotte antisociali. Per quanto riguarda l'ambiente familiare i fattori di rischio per i disturbi del comportamento sono rappresentati dalla presenza di una psicopatologia genitoriale, dagli stili educativi e dalla situazione familiare generale. Altri fattori di rischio possono essere la bassa classe sociale, la famiglia allargata, la criminalità paterna, il disturbo mentale paterno e la collocazione adottiva. La qualità del legame di attaccamento è importante perché la relazione di attaccamento funge da moderatore della possibile comparsa di comportamenti aggressivi. INTERVENTI PER IL DISTURBO COMPORTAMENTALE L'intervento nei casi di disturbi del comportamento deve prevedere un approccio multifattoriale e integrato, che coinvolga i diversi ambiti di vita del bambino e che prenda in considerazione i diversi fattori alla base del disturbo. Di fondamentale importanza è l'alleanza terapeutica con il bambino e i genitori, basata su una comprensione sincera che permetta di allinearsi con i bisogni del bambino. Il tipo di intervento varia in base al tipo di aggressività manifestata: 1. nel caso di un'aggressività REATTIVA:  si lavora sulla gestione della rabbia,  sul riconoscimento e controllo delle emozioni (alfabetizzazione emotiva),  si attuano interventi di ristrutturazione cognitiva del bias ostile. 1. Nel caso di un'aggressività PROATTIVA: i) si attuano interventi di ristrutturazione cognitiva (conseguenze alle azioni disfunzionali), ii) si interviene sul piano relazionale tramite l’esposizione a pari non aggressivi, iii) si lavora sull’empatia sociale rinforzando soluzioni non aggressive. Uno dei metodi maggiormente utilizzati per la gestione e il controllo dell'aggressività è il COPING POWER PROGRAM, rivolto a bambini del secondo ciclo della scuola primaria e della scuola secondaria. Tale modello ipotizza che, sia i fattori di rischio biologici e temperamentali del bambino, che le caratteristiche del contesto familiare e sociale, possono influenzare:  le pratiche educative genitoriali,  le abilità sociali,  la regolazione emotiva. Dalla combinazione di tutti questi fattori di rischio, i bambini con problemi di aggressività sviluppano una modalità distorta e deficitaria di elaborazione delle informazioni sociali. In particolare, essi tendono a percepire i segnali interpersonali in maniera ostile e a reagire in modo aggressivo. Inoltre, questi bambini:  presentano difficoltà di problem solving interpersonale,  sono incapaci di trovare soluzioni adattive al problema,  utilizzano l'aggressività per modulare le emozioni e le relazioni interpersonali. Il Coping Power Program prevede delle sessioni di gruppo per i bambini con l'utilizzo di tecniche cognitivo-comportamentali e attività volte a potenziare diverse abilità. Inoltre, sono previsti contratti comportamentali in cui vengono stabiliti obiettivi minimi nella sfera sociale o scolastica, al cui raggiungimento è associato un sistema di premi. Punto forte di questo metodo è il fatto che esso entra a far parte delle attività che già si svolgono a scuola, senza creare una realtà diversa da quella scolastica. In parallelo vengono svolte anche sessioni di parent training per i genitori, le quali si propongono di migliorare le abilità di gestione del figlio nelle situazioni di vita quotidiana, di ridurre lo stress familiare e di incrementare le capacità genitoriali nella risoluzione dei problemi.
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