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Don Chisciotte della Mancia di Cervantes: riassunto, analisi e commento dell'opera, Appunti di Letteratura Spagnola

Tra contesto e autore, tra Prima e Seconda parte, vedremo che tipo di personaggio è Don Chisciotte, perché si parla di antieroe letterario, il rapporto antitetico con gli eroi dei romanzi cavallereschi e quindi gli obiettivi della satira e della critica sociale di Cervantes, il ruolo del doppio narratore nella struttura narrativa complessa dell’opera, la meta-teatralità nel romanzo, la funzione delle storie intercalate, la polifonia di linguaggi e registri per caratterizzare i personaggi, la cultura letteraria (scritta) vs. quella popolare (orale), l’importanza del discorso traduttologico all’interno dell’opera e per l’opera stessa, le forme di teatro presenti nel romanzo, la poetica cervantina: vero vs. verosimile. Il tutto, come dicevamo, mentre si passa in rassegna ogni momento della trama, commentando l’infinito mondo di dettagli e micro-argomenti che emergono dall’attento studio umano dell’autore. Volto a dipingere per la prima volta con sguardo critico un preciso quadro sociale.

Tipologia: Appunti

2017/2018

In vendita dal 26/04/2023

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Scarica Don Chisciotte della Mancia di Cervantes: riassunto, analisi e commento dell'opera e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Analisi dettagliata dell’opera DON CHISIOTTE DELLA MANCIA Di Miguel de Cervantes Quanto segue è un’attenta disamina del romanzo in questione, del contesto storico in cui si colloca e del suo autore. L'itinerario che si seguirà prevede il commento dettagliato della Prima e della Seconda parte, tanto dal punto di vista della sinossi quanto da quello puramente tecnico- teorico. Per quanto riguarda quest’ultimo dunque, vedremo che tipo di personaggio è Don Chisciotte, perché si tratta di un antieroe letterario, il suo rapporto antitetico con gli eroi dei romanzi cavallereschi e quindi gli obiettivi della satira e della critica sociale di Cervantes, il ruolo del doppio narratore nella struttura narrativa complessa dell’opera, la meta-teatralità nel romanzo, la funzione delle storie intercalate, la polifonia di linguaggi e registri per caratterizzare i vari personaggi, la cultura letteraria (scritta) vs. quella popolare (orale), l’importanza del discorso traduttologico all’interno dell’opera e per l’opera stessa, le forme di teatro presenti nel romanzo, la poetica cervantina: vero vs. verosimile. Il tutto, come dicevamo, mentre si passa in rassegna ogni momento della trama, commentando l’infinito mondo di dettagli e micro-argomenti che emergono dall’attento studio umano dell’autore. Volto a dipingere per la prima volta con sguardo critico un preciso quadro sociale. Parole chiave: letteratura spagnola, siglo de oro, Quijote, Miguel de Cervantes, romanzo, analisi Università degli studi di Roma Tre Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Lingue e Letterature per la Comunicazione Interculturale (L-11, DM270) Esame di Letteratura Spagnola I Docente Fausta Antonucci Anno accademico 2017-2018 PRIMA PARTE 4) La seconda uscita di Don Chisciotte, in compagnia di Sancho Panza. Le prime avventure; la storia troncata; il ritrovamento della seconda parte della storia; il primo e il secondo autore; la traduzione (capp. 8-9). Nel capitolo 7 la libreria del Quijote viene murata; l’hidalgo convince Sancho Panza ed una notte, in segreto, partono. Il Cap. 8 racchiude l’avventura dei mulini a vento, quella del biscaglino ed il problema della storia troncata; In effetti proprio sul più bello dello scontro tra hidalgo e biscaglino Cervantes ci rivela che la prima fonte non riportava altro riguardo la storia del valoroso cavaliere, ma che un secondo autore aveva scritto delle sue gesta come si sarebbe visto continuando a leggere. Infatti Cervantes-narratore racconta di aver fortunatamente trovato al mercato di Toledo il manoscritto di Cide Hamete ecc. In effetti qual è e come funziona il meccanismo di finzione autobiografica inscenato da Cervantes? Com’era nell’uso del romanzo cavalleresco in auge nel Cinquecento in Spagna e in Europa, gli autori inventavano falsi ritrovamenti di manoscritti per avvalorare e nobilitare la paternità delle loro opere. Nella finzione letteraria, Cervantes affida la paternità della sua opera a un “infedele” perché questo gli permette «di dare scherzosamente la responsabilità di ciò che è narrato a un miscredente (perciò immeritevole di fiducia [...]) e mago (perciò depositario di notizie irraggiungibili a un comune mortale) mentre il narratore, Cervantes, può atteggiarsi a “secondo autore”: ora relatore irresponsabile, ora critico che contesta o limita le affermazioni della sua fonte» (Cesare Segre); Dunque abbiamo uno sdoppiamento dello scrittore, che si ricollega al binomio/crisi Rinascimento- Barocco; In prima persona, ossia nella realtà, Cervantes si finge semplicemente portavoce della poetica rinascimentale rispettando determinati canoni e “recitando”, come vediamo nel prologo. Ma poi, travestito da Cide Hamete Benengeli crea personaggi e vicende barocchi nel gusto dei contrasti, nella voluta disarmonia e nella messa in discussione della realtà. Abbiamo dunque: Un narratore principale, lo stesso Cervantes, che si presenta come il “curatore” del romanzo e che, nella finizione, trae quel poco che leggiamo prima dell’interruzione dagli archivi della Mancha. Cide Hamete Benengeli= Autore del manoscritto su cui, nella finzione, si basa tutto il resto delle gesta del Quijote. Traduttore moro battezzato= anch’esso fittizio, traduce il manoscritto dall’arabo al castigliano; Alonso Fernandez de Avellaneda= l’autore reale di una seconda parte apocrifa del Don Chisciotte nel 1614 5) Don Chisciotte e i caprai; il discorso sull’età dell’oro; la storia di Grisostomo e Marcela (capp. 11- 14). Nel capitolo X il Quijote si accorge che il suo elmo è rotto e fa un giuramento di penitenza finché non avrà conquistato una nuova celata altrettanto pregevole (anticipazione della storia dell’elmo di Mamrbino). Cap XI: Costretti dal calar del sole e dalla stanchezza, i due si fermarono a certe capanne di caprai che li accolsero volentieri. Dopo aver mangiato, stringendo tra le mani una manciata di ghiande che lo fanno viaggiare col pensiero all’età dell’oro, Don Chisciotte pronuncia il suo primo discorso. Cosa emerge dalle sue parole? Un uomo in bilico to e futuro, che vive in un’età del ferro e sogna l’età dell’oro, e che ha finito per mischiare le due [inoltre è in questo capitolo che fa la sua comparsa come genere la poesia] Cap XII: Viene subito introdotta e raccontata la storia di Grisostomo e Marcela= prima storia intercalata (romanzo pastorale) Cap. XIV: Apparizione e discorso/difesa di Marcela. Riguardo questa storia intercalata si possono fare diverse osservazioni interessanti; Il bellissimo discorso di Marcela è l’antitesi del V canto dell’inferno, nella Commedia di Dante. Infatti Marcela smonta la tesi retta dalla frase “Amor, ch'a nullo amato amar perdona” (ossia, parafrasando, “L’amore, che a nessuno risparmia d’amare quando è amato”) dicendo che “non arrivo a capire che, la bellezza, a causa dell’essere amata, appunto perché bellezza, debba riamare chi l’ama”;, ciò non ha senso ed è impossibile. La condizione di pastori di Grisostomo e Marcela non è naturale; loro hanno scelto di farsi pastori, scegliendo di cambiare vita, abbandonare quel che avevano (che non era sicuramente poco) ed abbr: un’identità che di fatto è un’identità letteraria: quella del genere pastorale. Entrambi, per motivi diversi, hanno rotto un primo schema: l’appartenenza ad una classe sociale. Marcela poi va oltre, rompendo tutti gli schemi dell’epoca e divenendo una figura innovativa. Lei era infatti una donna ricca che rifiuta il matrimonio, appoggiata da uno zio che riteneva sbagliata l’usanza di accasare i figli contro volontà, ed in più decide di andare a vivere da sola e cambiare la sua condizione sociale. 6) Nuove avventure (capp. 15-22). Particolare attenzione a: i discorsi di Don Chisciotte che leggono la realtà in chiave cavalleresca; il rapporto fra Sancho e Don Chisciotte nel cap. 20; contrasto alto/basso. Cap XV; Don Chisciotte interpreta 1’ “inspiegabile” sconfitta per mano di 20 janguesi, come castigo per non aver rispettato il codice cavalleresco. Discutendone con Sancho, gli dice che d’ora in poi dovrà affrontare lui questa gentaccia e che sarà contento di soccorrerlo con il suo valoroso braccio non appena subentreranno nella battaglia cavalieri come lui. Cap XVI-XVII: I due arrivano all’osteria, la quale Don Chisciotte aveva già trasfigurato in castello durante il tragitto e nella quale non mancherà di assegnare un ruolo (ben diverso da quello reale) a ciascuna persona presente al suo interno. Maritornes diventa quindi la graziosa filgliuola del castellano, che desidera giacere con lui che però è fedele a Dulcinea. Tutto finisce in una caotica rissa dalla quale il primo a uscire è proprio il Quijote, per KO tecnico. Poco dopo, rinvenutosi, confida a Sancho che il castello è incantato e che un gigante lo ha picchiato per difendere la dama che evidentemente non serbava i suoi doni per lui. Perfino il commissario userà la violenza e passerà per fantasma. Don Chisciotte comporrà il balsamo di Fierabàs; così capiamo che la sua follia è talmente forte da permettergli di non accusare il dolore fisico se crede di essere guarito, cosa che ovviamente non accade per Sancho che paga sempre il conto. I due vomitano, Sancho addirittura inizia a “scaricare da tutti e due i canali” e successivamente viene anche “manteado”... Cap. XVII; Il Quijote attua qui una grande trasfigurazione delle realtà, scambiando due greggi per eserciti in battaglia. Abbiamo qui altri elementi bassissimi come il fatto che l’hidalgo viene preso a fiondate che gli fanno saltare i denti; poi vomita in faccia ed in bocca a Sancho che, una volta realizzato l’accaduto, non può trattenersi dal ricambiare dritto dritto nella bocca del cavaliere... Cap XIX; L’assalto agli incamiciati; Uno dei casi in cui il genere cavalleresco viene ribaltato non con la sconfitta dell’antiroe ma con una sua affermazione su povera gente indifesa. La cosa importante da notare è che, come nel caso di Andrés, in questi frangenti si sottolinea come il Quijote non raddrizza i torti, non difende i deboli bensì il contrario. Lascia torto, al suo passaggio, chi prima era diritto, ed offeso chi prima se la passava comunque meglio (come ci mostra la risposta del Baccelliere-incamiciato a pag. 165.) Ecco, questi ed altri episodi ci danno una precisa indicazione del genere in cui ci ritroviamo immersi: Paragonando tutte queste “avventure” con quelle alle quali il Quijote si ispira ci rendiamo conto di che relazione intercorra tra le une e le altre. Se nei libri di cavalleria gli eroi risultavano fieri, belli, potenti anche nella sconfitta e nella morte, in Don Chisciotte gli scontri sono grotteschi, esprimono comicità tramite la bassezza deg menti. Insomma non c’è più quella sublimazione della storia, quell’alone di epicità; piuttosto vengono incorporati elementi bassi, popolari e discorsi/scenette scatoligche (- Di scatologia; relativo a scritto o discorso che tratta di escrementi, o che comunque ha contenuto e tono osceno, volgare: temi, argomenti scatologici) ed al centro delle vicende abbiamo un antieroe che perde sempre. Tutti questi elementi escono fuori dalle righe del genere: sono in netto contrasto con quelli del genere cavalleresco. = CONTRASTO ALTO- BASSO Cap.XX, Il rapporto tra Sancho e Quijote; Questo è un capitolo senza dubbio significativo per quanto riguarda il rapporto tra Don Chisciotte e Sancho e, simbolicamente, tra padrone e servo, cavaliere e scudiero. I due dimostrano qua un’evoluzione del rapporto, che comincia a prendere colore; come un’esplosione i personaggi, specialmente quello di Sancho Panza, rivelano qui nuove sfumature e lati del loro carattere. Li si vede interagire in modo diverso e su piani diversi da quelli visti in precedenza e la sensazione finale è che i due siano un po” più coppia di prima, nonostante le parole di Don Chisciotte in chiusura di capitolo. Questo processo, che ha inizio qui, andrà avanti rendendo i due sempre più compagni di sventure che cavaliere e scudiero. Per quanto riguarda Sancho, per la prima volta tenta di padroneggiare l’arte della retorica, che non gli appartiene, facendo un discorso più lungo dei suoi standard e ben strutturato al fine di convincere l’hidalgo a non abbandonarlo. Per di più, non riuscendo nell’impresa lo vediamo per la prima volta adoperare la sua astuzia ed assecondare la follia del suo padrone, invece di esserne vittima. Il capitolo è, poi, un vortice di accadimenti che assottigliano il distacco tra i due facendo cadere quelle regole, che devono vigere tra cavaliere e scudiero, le quali Don Chisciotte cerca di ristabilire una volta accortosi del degenerare della situazione. Sancho avvinghiato alla gamba, il momento in cui il Quijote avverte una strana puzza, quello in cui per un sorriso dell’hidalgo Sancho schiatta dalle risate e gli fa pure il verso, ricevendo in cambio belle mazzate... una comicità costruita giocando con elementi bassi e grotteschi. Sancho capisce una cosa importante: può cercare di gestire Don Chisciotte, ingannarlo (se serve e a fin di bene) assecondandolo, ma non può ferire il suo orgoglio... Cap.XXI-XXI, La conquista dell’elmo-catinella del barbiere, il fantasticare di Don Chisciotte (racconto cavalleresco), l’ingrata liberazione dei galeotti (Ginesio di Passamonte) Cap. XXXITX-XL-XLI; Lo Schiavo racconta la sua vita: la prigionia nel bagno ad Algeri, assieme agli altri cristiani reputati in grado di riscattarsi; la canna che esce dalla finestrella, Zoraida e la sua richiesta, il cristiano rinnegato che fa da tramite e da aiutante per la fuga, i problemi in mare ed in fine la conquistata libertà finalmente garantita dall’approdo su terra spagnola. Cap. XLII; L’arrivo dell’Uditore, il quale quasi subito viene ravvisato da suo fratello: il Capitano (Schiavo). Il curato trova il modo di verificare i sentimenti di questo nei confronti del Capitano, fratello maggiore che temeva che non sarebbe stato ben accolto essendo scomparso per tanti anni e non avendo conseguito beni di fortuna. Tuttavia, al racconto del curato (per tastare il terreno), l’Uditore non poteva se non commuoversi e gioire, successivamente, nel riabbracciare suo fratello. Cap. XLIII; L’arrivo di don Luis (il sedicente mulattiere) ed il suo canto per la figlia dell’uditore, donna Clara. Questa si confida con Dorotea circa la sua storia e l’amore impossibile per lui. Nel mentre il Quijote viene burlato da Maritornes e la figlia dell’oste, le quali sfruttando la sua trasfigurazione della realtà lo ingannano per lasciarlo appeso da un braccio alla finestrella dell’osteria, potendo poggiare solo su Ronzinante. Nel frattempo arrivano dei viandanti che hanno fretta di entrare e poca voglia di discutere con l’hidalgo; Ronzinante si allontana per fiutare i loro cavalli e il poveretto, dal dolore per essere rimasto appeso a picco, urla così forte da finire di svegliare tutti quelli presenti nell’osteria. Cap. XLIV; La trama di avvenimenti paralleli comincia ad infittirsi; si scopre che i quattro viandanti sono servi del padre di don Luis, inviati per riportarlo a casa; l’oste blocca due furfanti che volevano andar via senza pagare e che lo picchiano, Don Chisciotte non può intervenire a causa della sua promessa alla dama Micomicona ma con le sue parole alla fine calma la zuffa; L’Uditore apprende dal nobile ragazzetto i suoi desideri; il fato vuole che arrivi perfino il barbiere depredato del “bacilelmo” dal Quijote: Sancho ci fa a botte ed il Quijote sottopone a tutti la questione dell’elmo che quel “pauroso vinto” continua a definire catinella da barbiere. Cap. XLV; Apoteosi di zuffe: il barbiere compaesano del Quijote ha l’idea di difendere la tesi scellerata di quest’ultimo, seguito in ciò da tutti quelli che sapevano la sua condizione. Chi invece non la conosceva (vale a dire i quattro servi di don Luis, lo stesso, tre uomini della Santa Fratellanza arrivati nel mentre e l’altro barbiere) impazziva a sua volta, ma di rabbia, non capendo che diavolo succedesse. Così tutto finisce in una gigantesca zuffa in cui Cardenio e don Fernando spalleggiavano il Quijote, Sancho si picchiava con il barbiere, gli sgherri della Fratellanza aiutati dall’oste che ne faceva parte cercavano di picchiare Don Chisciotte...e tutti urlavano. Il gran casino lo placa proprio il nostro protagonista, con parole cavalleresche. La faccenda di don Luis viene risolta grazie alla nobiltà di don Fernando che lo accoglie da lui in Andalusia finché non si fosse deciso come procedere. Nel frattempo però, un tizio della Fratellanza si ricorda di avere un mandato di arresto per Don Chisciotte e ricomincia la zuffa tra i due... Cap. XLVI-XLVII; Il nuovo piano del curato: Don Chisciotte ingabbiato ed incantato, ma con un pronostico di suo gradimento. 9) Il ritorno a casa (capp. 47-52): la poetica aristotelica del canonico di Toledo e la disputa con Don Chisciotte; la storia di Leandra. Va specificato, come cosa a parte, che in questi stessi capitoli in cui si vedranno i discorsi tra canonico, curato e Don Chisciotte (più atti a spiegare il pensiero di Cervantes riguardo libri di cavalleria e teatro, che utili alla trama) si sviluppa nel frattempo un’altra faccenda, sicuramente più legata alla trama: Sancho è ormai incastrato tra realtà e follia. Questo perché come uomo estremamente semplice e terreno non poteva evitare né di finir per credere, in parte, al suo padrone lasciandosi trasportare né riconoscere in certi casi la sua pazzia o gli inganni in cui questo cadeva. Ma questa mescolanza lo rende ancora più ridicolo e confuso. In effetti Sancho Panza, nonostante capisca che non è realtà quel che sta accadendo, non ha veramente capito per quale scopo tutti si prodigassero ad ingannare Don Chisciotte (e questo perché non riesce a vedere il suo padrone in maniera totalmente oggettiva e distaccata, essendo in parte contagiato/acciecato oramai). Così diverse volte ha sospettato -ed in questi capitoli è sicuro- dell’inganno; la storia dell’incantesimo non lo convince (proprio come non smetterà mai, nonostante tutto, di credere assolutamente reale il suo sobbalzare sulla coperta) e farà di tutto per mandare a monte i piani del curato. Perché non ha capito che tutti vogliono aiutare il suo povero padrone! Tutt'altro: lui crede che siano gelosi e che vogliano rovinare i sogni di gloria del cavaliere, ed anche i suoi di diventare governatore della tanto agognata isola. Cap.XLVII; Il discorso che il canonico fa al curato: Durante il viaggio la carovana incantata viene raggiunta da un canonico di Toledo ed i suoi sottoposti;Questo, una volta informato riguardo la storia e le condizioni del Quijote, rivela al curato che reputa i libri di cavalleria dannosi e intenti solo a dilettare ma non ammaestrare. Per quanti ne avesse letti, in nessun caso era giunto alla fine e tutti gli sembravano uguali. Per di più gli sembrava che nemmeno riuscissero nel loro intento, perché non si può divertire dicendo tante bugie e stranezze. Interessante a questo proposito il pezzo in cui dice “i/ diletto nell’anima deve derivare dalla bellezza e dall’armonia [...] mentre ogni cosa che ha in sé bruttezza e disarmonia non ci può produrre gioia alcuna”. Continua poi dicendo “/a finzione è tanto più attraente quanto più sembra verità e possibile ad accadere”. L’arte perfetta dello scrivere, infatti, intesa come capace di meravigliare e dar piacere, dilettare e ammaestrare contemporaneamente è data dall’unione di due elementi verosimiglianza + imitazione = arte perfetta dello scrivere. Tuttavia il canonico aggiunge anche che comunque c’era una cosa buona: i libri di cavalleria “offrono argomento ad una bella intelligenza di potervisi manifestare [...] La penna ha largo ed ampio campo, lo scrittore può ora mostrarsi astrologo, ora musicista, ora scienziato...” E qualora tutto questo sia fatto seguendo i principi di cui sopra, allora lo scrittore avrà composto una “tela intessuta di varie e belle trame”, poiché il genere tutt’altro che ristretto di tali libri “dà modo che l’autore possa dimostrarsi epico, lirico, tragico, comico”. Cap. XLVIII; Sebbene già nel precedente capitolo venga espresso un punto di vista, sul romanzo cavalleresco, che lascia chiaramente intendere l’impostazione totalmente opposta del canonico e del curato rispetto a quella degli autori di tale genere, in questo capitolo il discorso si sposta al teatro e alle unità aristoteliche. Il canonico, infatti, continua il suo ragionamento confessando che aveva provato, anche solo per curiosità, a scrivere un romanzo che segui quei principi a lui cari. Tuttavia non lo portava avanti a causa di un ragionamento che derivava dalle rappresentazioni teatrali del suo tempo e che si basava sul gusto del volgo. Era infatti nato in Spagna il teatro moderno, nel senso di commerciale: la gente pagava per assistere: una novità assoluta. Secondo il curato non solo il popolo ignorante richiedeva opere che non rispettavano più, anzi stravolgevano, le regole (quali le unità aristoteliche) e la forma; come se non bastasse gli autori e gli attori che le compongono e recitano non producevano che quello, poiché quello chiedeva il pubblico. Chi avrebbe apprezzato, dunque, il suo proposito se non quei “quattro intelligenti” che lo avessero capito. Tale discorso viene perfettamente esplicitato con tanti esempi dal curato, che si aggancia al ragionamento del canonico. In ambedue i discorsi si possono trovare chiari riferimenti a Lope de Vega, il ché non è affatto strano se ricordiamo che a parlare è Cervantes e che aveva sempre nutrito un po” di invidia nei suoi confronti. Fu proprio Lope de Vega a rinnovare il teatro: un enorme trionfo, con il suo Arte nuevo de hacer comedias nel quale stabilisce una nuova e grande libertà basata sull’intenzione di seguire il gusto del pubblico. Quando il curato dice “/...] perché gli stranieri che sono molto scrupolosi nell'osservanza delle regole drammatiche, ci ritengono per barbari e ignoranti vedendo le assurdità e gli spropositi delle rappresentazioni teatrali nostre (odierne)” sta infatti alludendo a ciò che Vega aveva scritto nell’opera citata sopra, ossia: “nessuno merita più di me d’esser chiamato barbaro, ché insolentemente do regole contro l’arte, lasciando che il mio spirito vaghi alla ventura a rischio di farmi dare dell’ignorante da tutti i grandi sapienti d’Italia e di Francia” E ancora, quando il curato continua dicendo: “/e rappresentazioni teatrali sono diventate merce da vendere [...] e gli impresari non gliele comprerebbero se non fossero di quel genere; cosicché il poeta cerca di adattarsi alla richiesta dell’impresario che gli ha da pagare l’opera sua “si sta riferendo ancora a Lope de Vega che aveva scritto, sempre nella sua opera, “como las (le commedie) paga el vulgo es justo hablarle en necio para darle gusto”. La soluzione del curato, che tanto piacerà anche al canonico, è quella di stabilire un’autorità per ogni provincia e regione che controlli e approvi solo le opere degne (censura previa =letteratura controllata). Ciò gioverebbe moltissimo a parer loro. Mentre per quel che riguarda la disputa tra canonico e Don Chisciotte (Cap.XLIX-L) basta dire che nonostante il primo gli parli chiaro e tondo della sua follia e di quello che potrebbe fare invece di perder tempo e salute, nonché sprecare il suo ingegno, il Quijote non ne vuole sapere...rispondendo come al solito con discorsi che mostrano sia le sue capacità e doti da nobiluomo, sia la sua follia e conoscenza maniacale di quel che concerne l’oggetto della sua selettiva malattia. Il canonico rimane sorpreso dalla mischia di realtà e fantasia e dalla credulità di Sancho. Cap. LI; Il racconto del capraio: la storia di Leandra Solito schema ormai: il capraio (Eugenio) era stato un benestante cittadino di un ricco paesello di quelle zone, innamorato della bella e benestante Leandra tanto quanto il suo contendente Anselmo. Il padre della ragazza riceveva, oramai che questa aveva compiuto 16 anni, numerose richieste ma era indeciso se affidarla in matrimonio ad uno dei due. Nel frattempo però, tornò al paese dalla guerra un certo Vincenzo della Rocca: un ciarlatano che con il raggiro conquista Leandra e la deruba di tutto (meno che della sua verginità) lasciandola in una grotta. Ritrovata viene chiusa in un monastero dal padre, ed i due si fanno pastori per soffrire nella solitudine dei monti la loro pena. Nelle pagine restanti di questo capitolo e del LII accade la vicenda dei disciplinanti ed il ritorno a casa. Don Chisciotte arriva al suo paese di domenica, in pessime ed umilianti condizioni, sotto gli occhi increduli di tutti. Sebbene, nelle pagine finali, si faccia riferimento ad una vociferata terza uscita del cavaliere, il Cervantes ricorre allo stratagemma del mancato ritrovamento di tali scritti. Solo, ci dice, vennero ritrovate in un bauletto alcune carte, tra le quali la pergamena degli Accademici di Argamasilla in buono stato; la quale riportava sonetti/epitaffi in onore del Quijote, di Ronzinante, di Sancho Panza e di Dulcinea del Toboso. La presenza di questi epitaffi ed il modo in cui si termina questa prima parte lasciavano intendere che Cervantes senza dubbio non aveva il fermo proposito di scriverne una seconda. SECONDA PARTE 1) La preparazione della terza uscita di Don Chisciotte e Sancho (capp. 1-7): pareri su Don Chisciotte e sulla Prima Parte; ancora sulla veridicità dei libri di cavalleria. Il primo blocco di sette capitoli serve a riprendere le redini del racconto interrotto dieci anni prima e soprattutto serve a introdurre e preparare la terza uscita dei due antieroici personaggi. Cap. I; Curato e barbiere fanno visita a Don Chisciotte dopo un mese in cui hanno cercato di non dargli stimoli per far riaffiorare la sua pazzia, la quale però non è mai scomparsa. Il nobiluomo si dimostra infatti lo stesso di sempre. A nulla valgono i discorsi sulla falsità di quei libri e sulla pazzia che gli hanno provocato. Cap. II; Sancho, odiato dalla badante e dalla nipote, entra per parlare con il Quijote. Gli riferisce quanto pensano di lui; alcuni lo trovano divertente, altri matto ecc; il chè tutto accetta Don Chisciotte, dicendo che sempre sono esistiti detrattori dei più grandi eroi. Ma soprattutto, i veri cavalieri (di titolo) dell’epoca, gente dell’alta nobiltà che portava con diritto di sangue il titolo di “don”, si era arrabbiata al vedere un nobiluomo della fascia più bassa arrogarsi tale qualità: “dicono i cavalieri che non vorrebbero che i nobiluomini si mettessero a confronto con loro, specialmente certi più fatti per essere scudieri, i quali si danno il nerofumo alle scarpe e rammendano le calze nere con seta verde”. Questa descrizione e problematica dei nobili di bassa fascia che ostentano lo stesso orgoglio dell’alta nobiltà ci ricorda subito l’hidalgo squattrinato del Lazarillo de Tormes. Altra cosa importante è che Sancho ha saputo da un certo Sansone Carrasco, che tornava da Salamanca dove aveva studiato, che girava un libro sulle loro gesta (£/ ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha) scritto da un certo storico Cide Hamete Benengeli, e che questo narrava per filo e per segno tutto: perfino gli avvenimenti in cui erano loro soli. Da che i due deducono che qualche incantatore deve aver preso in carico la loro storia... Cap. IMI; Il Quijote si preoccupa del fatto che tale libro sia stato scritto da un Moro, i quali hanno la fama che sappiamo. Nel frattempo giunge Sancho con il Bacelliere, al quale viene subito domandato riguardo quel che sapeva di questo libro e del suo autore. Ad un certo punto dice Carrasco: “una cosa è scrivere da poeta, e altra da storico: il poeta può contare i fatti non quali furono, ma come avrebbero dovuto essere; mentre lo storico li deve riferire quali furono, senza aggiungere ne togliere nulla” ed infatti apprendiamo che nel libro si parla delle avventure dei due antieroi, ma non dal punto di vista di Don Chisciotte (pazzia) bensì da quello reale! Perciò tutto viene raccontato per come era veramente (“la battaglia contro i mulini a vento che a Vossignoria parvero giganti” ecc.) e quindi i due protagonisti argomentano che ben si sarebbe potuto evitare di narrare certe cose (da qui la risposta del bacelliere). Cap. IV; Un’altra cosa che fa arrabbiare Don Chisciotte è la deliberata scelta di inserire una novella (L’indagatore malaccorto) che in nessun modo centrava con le sue gesta e che anzi gli toglieva spazio. Ma la cosa geniale è che Cervantes fa dire a Carrasco che molti si lamentano di alcune sviste e inganni della memoria dell’autore di tale opera (l’asino rubato che ricompare misteriosamente ma in realtà non c’è, il non sapere come Sancho spese i soldi trovati in Sierra Morena ecc) e facendo rispondere a Sancho che gli avrebbe chiarito tutti i dubbi, spiegando lui quel che mancava. Mentre Sancho parlava di come trovasse giusto e irrimandabile sbrigarsi a fare una terza gloriosa uscita Ronzinante nitrisce e Don Chisciotte interpreta tutto come un segno; chiedendo così a Carrasco dove andare questo gli risponde che a nel regno d’ Aragona, a Saragozza dove si sarebbero celebrate le giostre più famose in cui avrebbe potuto guadagnare fama di miglior cavaliere al mondo. Cap. V; Sancho informa Teresa, discutono di cose che non stanno né in cielo né in terra, si salutano. Il linguaggio di Sancho, i suoi modi, le sue risposte ecc. dimostrano a che grado di “chisciottizazione” sia giunto. Il Quijote aveva creato un mostro! Cap. VI; Don Chisciotte discute con la massaia e la nipote; altri discorsi cavallereschi di Don Chisciotte, ai quali la nipote risponde ad un certo punto così: “Saperne vossignoria tanto da potere andarsene predicando per le vie e ciò nonostante, cadere in una cieca passione così grande da credere di essere gagliardo mentre invece è vecchio, di aver forza mentre è malato, di addrizzare torti mentre invece è curvo dagli anni e, soprattutto, di essere cavaliere, mentre invece non lo è” Cap. VII, La governante spera nell’aiuto del Bacelliere per dissuadere dalla partenza, tuttavia questo aveva già un piano migliore (escogitato con il curato ed il barbiere, figure che ormai hanno lasciato il loro ruolo avuto nella prima parte, a Carrasco). Così incoraggia i due a partire in tre giorni, e così fanno: alla volta del Toboso per chieder la benedizione di Dulcinea. Comincia anche ad emergere l’importanza del denaro; Sancho è ormai poco fiducioso riguardo l’isola, e chiede la garanzia di uno stipendio fisso (sebbene il Chisciotte rifiuti, dato che non aveva mai letto di tale usanza). 2) Le prime avventure (capp. 8-29): l’incantamento di Dulcinea e l'invenzione di Sancho; l'avventura della “Cueva de Montesinos”; il Cavaliere “del verde gaban”. Cap. 8-10; L’incantamento di Dulcinea è invenzione di Sancho, e nasce dalla necessità di porre rimedio (0 continuare) alle bugie dette durante la saga della Sierra Morena: Sancho non aveva mai visto né Dulcinea, né tantomeno la sua casa. Accade così che Sancho dimostri, nel suo ragionare, un cambiamento sostanziale: “Questo mio padrone ho visto da mille prove che è un matto da legare, e anche io del resto non gli rimango punto indietro [...] sono più matto di lui perché lo seguo e lo servo. Essendo dunque che è pazzo di una pazzia che il più delle volte prende certe cose per altre [... ] non sarà molto difficile fargli credere che una contadina, la prima in cui mi imbatta, è la signora Dulcinea” Sancho dunque prende ancora un po” più coscienza della pazzia del suo padrone e decide di ingannarlo (come si è detto, gli inganni di Sancho saranno sempre “buoni” ed in contrasto con quelli di molti altri nella seconda parte, dove in generale il tema dell’inganno — e del disinganno del povero hidalgo- la fa da padrona) Dalla descrizione che Sancho fa della sedicente Dulcinea si nota, come fece notare Segre, l’intercambiabilità o complementarità ormai ben affermata tra i due protagonisti. Se solitamente era il Quijote a fare di quelle descrizioni pompose della sua dama, in pieno stile cavalleresco, con Panza che non poteva vedere quel che vedeva lui ora è Sancho (chisciottizzato e illuminato) a farli ed il povero cavaliere a non vedere altro che la (brutta) realtà. Comincia già da qui il nostro eroe ad avere certe intermittenze nei suoi poteri (un po’ come in Spider-Man 2). Cap.11; La carretta de “Corteggio della Morte”; Per ciò che riguarda gli aspetti connessi al teatro vedere punto I I due incontrano un carretto di comici, commedianti che per comodità non si erano cambiati dato che, a breve, dovevano rappresentare in un paesello verso il quale si dirigevano. Da notare la lucidità di Don Chisciotte ed il suo potere di trasfigurazione che stenta a funzionare; ma anche la bravura di Sancho nell’evitare ciò che nella Prima Parte era sempre ineluttabile: il conflitto e la grottesca sconfitta. Cap. 12-15; Avventura del Cavaliere del Bosco o degli Specchi (Sansén Carrasco) ed il suo nasuto scudiero (Maso Cecial); Durante la notte si incontrano i quattro: Sancho si apparta con il misterioso scudiero (il capitolo 13 viene infatti interamente dedicato alla conversazione “scudieresca” dei due sulle loro vite) Don Chisciotte discute di cavalleria con il suo pari. Subito dopo il breve racconto degli assessori che ragliano e dell’asino perduto (fatto da quell’uomo che aveva promesso di narrare fatti meravigliosi alla locanda e del quale si riparlerà dopo) compare nell’osteria Mastro Pietro, ossia Ginesio di Passamonte che aveva cambiato vita! Con il suo scimmiotto ed il quadro scenico della liberazione di Melisendra. Si intuisce subito che questo burattinaio è molto conosciuto (e che molto conosceva; infatti si informava prima di entrare nei paesi, riguardo i fatti e le persone per poi fare la scenetta della scimmia). Vediamo all’opera lo scimmiotto che sa del passato e del presente e Mastro Pietro si rivela liberale, gentile e molto riverente con il Quijote. Inizia lo spettacolo: la follia di Don Chisciotte non è ancora così indebolita da non riuscire ad avere il sopravvento su di lui. Così la messa in scena di Maese Pedro, che come qualsiasi rappresentazione ben si presta a confondere una mente come quella del Quijote, scatena la sua ira quando vede tanti Mori inseguire la principessa Melisendra e don Gaifero. Sebbene dopo riconosca di aver trasfigurato quelle marionette (anche se per colpa dei soliti incantatori) e di risarcire tutto. Il giorno seguente tutti vanno per la loro strada. Nei giorni successivi, avendo tempo prima della giostra di Saragozza, i due decidono di visitare le rive del fiume Ebro ed i dintorni. Si verifica l’avventura dell’esercito del raglio; Don Chisciotte fa un discorso per placare gli animi e spiegare che non c’è da far guerra per ragazzate o cose di cui si può ridere. Sancho anche vuole aiutare, ma travisato da uno dell’esercito viene picchiato e Don Chisciotte reagisce. Si scatena un casino e i due sono costretti a scappare per non prendere altre botte. Il capitolo 28 è importante perché interamente dedicato ad un dialogo tra padrone e scudiero che ha come tema il denaro. Sancho cerca di convincere Don Chisciotte a dargli uno stipendio, facendo leva sulle botte che ha preso, e poi cerca anche di truffarlo per avere molti più soldi. Ma come al solito, rimproverato dal padrone, si pente e si sente una caccola. Il Quijote gli dice, infine: “fi perdono a patto che d’ora in poi non ti mostri così attaccato all’interesse, ma che cerchi di stare allegro, prender coraggio e ravvivare la speranza” Cap. 29; L'avventura della Barca Incantata; Giunti al fiume Ebro il Quijote trova una barca, segno per lui che qualche incantatore buono richiede il suo aiuto mettendo a disposizione quel mezzo di trasporto. Per poco non rischiano di morire nel gorgo di un mulino ad acqua. Il Chisciotte ostacolato dai mugnai e dai pescatori proprietari della barca si dà a credere che un incantatore cattivo sia intervenuto e rinuncia a salvare quelli che secondo lui erano chiusi nel mulino-fortezza. Probabilmente, dice, era avventura riservata ad un altro cavaliere. 3) Don Chisciotte, Sancho e i Duchi (capp. 30-57): le burle ai danni del cavaliere e del suo scudiero, dentro e fuori il castello; la separazione fra Don Chisciotte e Sancho; Sancho governatore e la cultura folklorica. La decisione dei Duchi di giocare con Don Chisciotte e Sancho a mo” di marionette è repentina, non appena li incontrano. Questo perché hanno letto la Prima Parte e sanno cosa aspettarsi: giocano d’anticipo. Molto interessante un passaggio del libro nel capitolo 31, riferito all’accoglienza in pieno spirito cavalleresco dei due antieroi nella residenza ducale: “alle quali cose tutte rimaneva estatico Don Chisciotte, il quale fu quella la prima volta che pienamente sentì e credette di essere cavaliere errante davvero e non già in fantasia, vedendosi trattare nel modo stesso con cui aveva letto che venivano trattati cotesti cavalieri nei tempi passati”. Il capitolo 31 si chiude con una sbroccata dell’antipatico e dispotico ecclesiastico, il quale tanto oltrepassa i limiti che la risposta del Quijote “merita un capitolo a sé”. Ma nel capitolo 32 vediamo anche altro: la burla dell’usanza di lavare le barbe che ridicolizza il Quijote e offende Sancho, il quale ne riceve una versione “scadente”; i discorsi tra Duchi e Quijote, tra i quali soprattutto quello riguardo Dulcinea. Il cavaliere ne parla come se fosse consapevole di idealizzarla ma anche come se fosse certo di quel che dice e immagina. Inoltre spiega che tutto quel che gli incantatori non possono fare a lui, che è cavaliere errante, lo fanno alla sua dama che quindi si trova sempre trasfigurata ecc. Cap. 33; Il dialogo tra Sancho e la Duchessa; il povero scudiero, su richiesta di lei, racconta la verità circa la le due ambasciate che “avrebbe” fatto per conto di Don Chisciotte a Dulcinea e di come, la seconda volta, abbia addirittura inventato l’incantamento. Confessa che per lui il suo padrone è una savio matto ma che non lo lascerebbe mai per il bene che gli vuole. Racconta poi anche della caverna di Montesinos. Tuttavia la Duchessa, senza alcuna pietà per questo poverino che cercava di capirci qualcosa, gli dà a credere che fosse lui, credendosi ingannatore, ad essere ingannato perché il fatto che il Quijote avesse visto nella caverna Dulcinea incantata dimostrava che l’incantagione era sempre stata vera, essendo reale quanto accaduto nell’avventura di Montesinos. Cap. 34-35; Inizia il teatro festivo dei Duchi con la prima alquanto sfarzosa messa in scena: disincantare Dulcinea; Escono tutti a caccia, Sancho fa una pessima figura lasciandosi spaventare da un cinghiale e rimanendo appeso ad un ramo. Al calar della notte in tutto il vasto bosco dei Duchi cominciano a risuonare campane di guerra, voci di Mori, colpi di armi da fuoco ecc. Se i Duchi hanno avuto modo di architettare tale burla è solo grazie al povero Sancho, che aveva parlato. Tanto viene fatto per la riuscita della burla che perfino chi ne sapeva rimane sbalordito e incredulo, ma soprattutto i due antierori, sebbene per diversi motivi: Sancho perché in cuor suo si ripeteva che Dulcinea incantata era una baggianata; Don Chisciotte perché “non riusciva a saper di sicuro se era vero 0 no quello che gli era avvenuto nella caverna” Ma arriva, su di un carro enorme, Merlino che in versi rivela il modo per disincantare Dulcinea: 3300 frustrate sulle “belle sode chiappe” di Sancho il quale se le deve dare di sua volontà perché valgano, il quale non la prende benissimo. Se non altro gli viene data la possibilità di darsele senza fretta (poiché non c’è una scadenza) e di essere aiutato da qualcuno, che però abbia mano pesante. Pressato da tutti, Merlino e una più fittizia che mai Dulcinea inclusi, Sancho finisce per accettare e Don Chisciotte lo riempie di baci. Cap 36-41; La seconda grande burla; Durante un pranzo, arrivano in poma magna uno scudiero enorme e dalla lunga barba chiamato Triffaldino e la Contessa Triffaldi detta con altro nome la Matrona Desolata. Lo scudiero domanda se il Duca accetta di ricevere la Matrona, in attesa alle porte della villa, e se si trova lì il portentoso Don Chisciotte che lei tanto cercava. La su storia, che racconterà a tutti, è questa: La Contessa Triffaldi era dama/maggiordoma della Regina Magonza. Si ritrova a coprire la tresca tra la principessa Antonomasia ed il cavaliere Don Cavicchio, tra i quali ovviamente corre un disparità di sangue. Mettendo i due ad affetto tale matrimonio fanno morire la Regina di dispiacere. Durante la sua sepoltura compare, su Clavilegno, il gigante Malambruno (cugino di Magonza) il quale punisce la coppia incantadoli (lei diviene una scimmia di bronzo, lui un coccodrillo di metallo) e la Triffaldi e le sue dame facendogli crescere la barba. La profezia pronunciata da Malambruno parla di un rinomato cavaliere mancego che deve sfidarlo per rompere l’incantesimo. Per far sì che i due prodi antieroi possano velocemente presentarsi al suo cospetto, Malambruno aveva messo a disposizione il famoso cavallo Clavilegno L’Aligero da lui sottratto al suo creatore Merlino. Questo cavallo fatto di legno e magia non ha bisogno di mangiare e dormire e vola senza avere ali in modo veloce e liscio come l’olio. Sancho ancora una volta ha paura di accompagnare il padrone e cerca di rifiutarsi in tutti i modi. Commosso dalla Magonza e spronato da tutti specialmente dal ricatto garbato del duca riguardo l’avere o no l’isola, in fine, accetta. Il viaggio su Clavilegno è importante perché, una volta terminato, evidenzia un cambiamento fondamentale nella coppia: Infatti Sancho, per qualche motivo, racconta che durante il “viaggio” —essendosi tato la benda dagli occhi- ha visto cose pazzesche ed addirittura è sceso dal destriero! Insomma pare impazzito. Mentre il Quijote si dimostrerà molto più contenuto, senza inventare cose che vadano oltre l’inganno dei Duchi (ammette di aver sentito l’aria ed il caldo ecc. ma non aggiunge cose come Sancho). Per di più dice che ciò che afferma il suo scudiero o è falso perché mente, oppur lo ha sognato in quanto non è possibile che abbia visto la costellazione delle Pleiadi che si trova oltre la sfera del fuoco, motivo per cui sarebbero morti bruciati per arrivarci. Alla fine del capitolo, infatti, dice sotto voce a Sancho: “poiché voi volete che vi si creda ciò che dite di aver visto nel cielo, io voglio che voi crediate a quel vidi nella grotta di Monetinos. E non vi dico altro” Emergono dunque tre cose: Non c’è più uno che trasfigura la realtà e l’altro che lo contrasta, entrambi sono vittima degli inganni dei Duchi (uno per la sua pazzia, sebbene indebolita; l’altro per la sua semplicità). Don Chisciotte non trasfigura più la realtà di sua spontanea volontà, è solo vittima dell’inganno: non è più la volontà di credere il motore della sua pazzia, ma piuttosto la forza dell’inganno. Si nota inoltre la complementarità e invertibilità dei due, che anzi qui agiscono esattamente al contrario del solito loro: Sancho sembra impazzito e convinto da tutte quelle stramberie, il Quijote è perplesso e cogitabondo circa la loro veridicità. Cap. 42; Inizia qui il processo di separazione dei due; Manca un giorno alla partenza di Sancho per insediarsi sull’isola. Don Chisciotte ci tiene a dirgli innanzitutto che non è propriamente suo merito e che deve ringraziare il potere della cavalleria errante e Dio di avergli concesso così presto e gratuitamente una possibilità simile. Procede poi a dargli degli ottimi ed affettuosi consigli. Prima di parlane però è bene ricordare quel che dice Segre, ossia che questo accadimento non è qualcosa di immeritato e ingiusto nei confronti di Don Chisciotte. Non c’è mai stata connessione più stretta di questa tra i due antieori. Sancho il realista non può che coronare la sua chisciottizazione con un incarico simile. Don Chisciotte invece si è sempre mosso su un piano diverso: quello dell’universalità e dell’astrazione. Stiamo in pratica assistendo ad un coronamento della formazione di Sancho che non a caso viene sugellata dall’insieme di regole ed istruzioni che l’hidalgo dona, assieme alla sua benedizione, al suo “discepolo”. In quanto ai consigli, li divide il Quijote in due gruppi: Di quelli che adornano l’anima: uno dei più belli è quello di non vergognarsi delle sue origini umili, perché così facendo nessuno si metterà a prenderlo in giro facendoci leva. Inoltre “il sangue si eredita, ma la virtù si acquista, e la virtù vale di per sé quel che il sangue non vale”. Molti altri consigli riguardano la giustizia, il modo di giudicare colpa e innocenza, l’equità, l’obbiettività/neutralità ecc. Di quelli che adornano il corpo: cura il tuo corpo e la tua persona, portati con eleganza nel camminare, nell’andare a cavallo e nel parlare: parlando pacatamente e chiaramente. Sii educato a tavola e morigerato nel mangiare. Non inserire tanti proverbi quanti ne usi solitamente, a casaccio e sproposito nei discorsi. Ecco il motivo per cui Sancho si preoccupa di rivedere in Spagna il suo amico, che gli chiede di non denunciarlo. Ed ecco la sua storia: si percepisce subito il pensiero di Cervantes; infatti, questo personaggio è uno di quei moriscos che veramente credeva nel cristianesimo e che infatti, da quel che racconta, si capisce che era d’accordo con il bando. La sua gente, dice, era una “serpe in seno” per la Spagna e aggiunge “fimmo ben a ragione puniti con la pena dell’esilio”. Inoltre, questa gente non aveva più casa né patria, essendo che sentivano come patria naturale la Spagna che li cacciava e venivano respinti, maltrattati e malvisti in Africa dalla gente della loro stessa religione. Ricote partì, lasciando la famiglia, per visitare vari paesi e capire dove conveniva trasferirsi e la Germania gli sembrò il posto giusto per la buona accoglienza. Unendosi poi ad un gruppo di pellegrini tedeschi che spesso partivano alla volta della spagna per fare i loro pellegrinaggi, era tornato per prendere un tesoro da lui sotterrato qui, incontrarsi con la famiglia e capire cosa fare. Propone a Sancho di aiutarlo in cambio di una bella ricchezza, ma lui si rifiuta per tornare dal padrone e per non fare cose che tradissero la Spagna. Come si intuisce il personaggio di Ricote è interessante proprio in relazione a Cervantes: Il nostro autore infatti da una parte era radicalmente anti-musulmano e favorevole alla supremazia cristiana; aveva vissuto la prigionia algerina e aveva combattuto a Lepanto contro i Turchi, quindi era un diretto interessato delle atrocità e sofferenze di quegli anni. Tuttavia il personaggio del morisco non è caratterizzato negativamente; è molto umano e suscita comprensione e compassione (nonostante comunque l’autore gli faccia fare discorsi che tradiscono un punto di vista nettamente cristiano). Cap.55; Narrazione alternata anche nel capitolo stesso; Sancho cade in un pozzo diroccato e, dopo essersi dato per morto, trova un passaggio in fondo al quale vede luce del sole, così si incammina col suo asino adorato e malconcio al seguito. Nel frattempo Don Chisciotte si allenava per l'imminente sfida; mettendo Ronzinante al galoppo per poco non cadeva in una grossa buca. Fermatosi a osservarla sentì la voce di Sancho che chiedeva aiuto e Sancho riconobbe la sua. L’unico problema è che il Quijote si figurò che il suo scudiero fosse morto e stesse scontando qualche pena nel sottosuolo! Fortuna che l’asino si mette a ragliare dando inconfutabile prova della disgrazia. Molto bello notare che, sebbene Don Chisciotte non sia solito raddrizzare le cose ma piuttosto storcerle di più uma delle poche volte (o forse l’unica) in cui salva veramente qualcuno si tratta proprio del suo amato scudiero! Nona caso Cervantes fa dire a Sancho “c ’è qualche cristiano che mi senta o qualche cavaliere caritatevole... ” mentre chiede aiuto. Finalmente soccorso dalla gente della corte dei Duchi, Sancho libero e felicemente ridimensionato va a rendere conto ai Duchi del perché abbia lasciato l’isola. Così finisce il suo governatorato, durato 10 giorni. Dopo lo scontro con Tosillo, Don Chisciotte chiede il permesso ai Duchi di riprendere la strada delle sue avventure, questi, a malincuore, glielo concedono. I due ripartono così alla volta di Saragozza. 4) Nuove avventure (capp. 58-63): Don Chisciotte cambia programma per discostarsi da quanto narrato nella Seconda Parte apocrifa; i banditi e Roque Guinart; Don Chisciotte a Barcellona, nuovamente vittima delle burle di Antonio Moreno e i suoi amici; la storia di Ana Félix e una conclusione che rimane in sospeso. Cap.58; Importante per il punto I; Si riassume qui la vicenda: Appena rimessisi in cammino incontrano un gruppo di persona vestite da contadini che, con dei grandi lenzuoli bianchi, coprivano quel che, dicono, erano quattro bassorilievi intagliati. Quella gente li portava con tutta cura e servivano per una rappresentazione sacra che facevano nel loro villaggio. Raffiguravano figure di santi (San Giorgio, San Martino, San Diego e San Paolo). Cap.59; L’arrivo alla Locanda dove il Quijote cambia i suoi piani! Giungono ad una locanda e durante la cena l’hidalgo sente parlare di lui nella stanza accanto. Scopre così che due nobiluomini: Don Girolamo e Don Giovanni stanno leggendo e discutendo di una seconda parte apocrifa (Avellenada). La cosa che dà più fastidio a Don Chisciotte è sentire addirittura dire a questi cavalieri che “ciò che a me dispiace di più è che rappresenta Don Chisciotte ormai disamorato di Dulcinea del Toboso”. Si infuria e irrompe nella conversazione; i tre fanno conoscenza e il nostro hidalgo smentisce tutto e spiega la verità sulle sue avventure, anche le più recenti. Rimarrà molto deluso e arrabbiato, ma soprattutto deciso a fare di tutto pur di smentirla e dimostrare che l’autore era un bugiardo. Così, quando viene a sapere da Don Giovanni che il finto Chisciotte andava alle giostre di Saragozza, decide immediatamente di cambiare rotta e partire per Barcellona per partecipare alle giostre di questa città. Cap. 60; Don Chisciotte tenta di frustare Sancho mentre dorme, non potendo più sopportare il pensiero di Dulcinea incantata. Questo si sveglia e si arrabbia così tanto da venire alle mani con il padrone e sottometterlo, il Chisciotte gli promette di non forzarlo, date le argomentazioni di Sancho (che dice di essere signore di se stesso, sebbene servo del suo padrone). Alzatosi in piedi Sancho urta la testa contro quel che comprende essere dei piedi con tanto di scarpe e pantaloni. Impaurito chiama in suo aiuto il Quijote, che subito capisce che si tratta di banditi e criminali impiccati dalla Santa Hermandad. Viene introdotto così il tema del banditismo: Intanto, come si legge, dai cadaveri appesi il Chisciotte deduce di essere vicino a Barcellona e questo perché in Catalogna (comunità autonoma con capitale Barcellona) il banditismo era fenomeno diffuso. I due avevano quindi attraversato Aragona, passando il più lontano possibile da Saragozza ed erano giunti vicino Barcellona. Proprio in quel momento, vennero sorpresi da banditi vivi, facenti parte della banda di Roque Guinart. Questo famoso bandito, conosciuto anche dal Quijote, a sua volta avevo letto la Prima Parte e conosceva lui. Ad ogni modo, impedisce che vengano derubati dalla sua squadra. Breve intermezzo della storia di Claudia Jer6nima e la sua gelosia per Don Vincenzo. Tornato Roque Guinart dove si trovava la sua squadra e i due protagonisti ci dà un assaggio di cosa sia il banditismo: dividere i bottini con estrema equità, sapersi destreggiare, sfuggire alla giustizia conducendo una vita travagliata e misera nella paura di essere trovati, traditi, assassinati, essere fedeli ai propri compagni e farsi carico delle vendette altrui. Non a caso Roque confessa che cadde nel vortice del banditismo e della criminalità a causa di una vendetta, ma che è di indole buona e spera di poter uscire un giorno da quella spirale. Infine Guinart scrive una lettera ad un suo amico di Barcellona avvertendolo che gli avrebbe mandato niente meno che Don Chisciotte ed il suo scudiero, così da potersi divertire in occasione della festa di San Giovanni. Lasciati da Rocco alle porte di Barcellona, all’alba ed in attesa di questo amico (Antonio Moreno), i due videro da lontano le bellezze della città, il frastuono della festa che incalzava, il mare mai visto prima, sconfinato, pieno di galere bellissime ecc. Ci troviamo ormai in una Spagna che conosce bene le avventure della Prima Parte ed anche della seconda Apocrifa (non a caso Antonio Moreno accogliendoli gli dice si dava il benvenuto al vero Chisciotte, e non già quello falso della parte apocrifa”. Motivo per cui ovunque vadano i due ricevono lo stesso trattamento, a metà tra la meraviglia e la burla, tra il rispetto e l’ammirazione che incute la figura del Chisciotte e le risa. Entrati a Barcellona i due vengono subito burlati da dei ragazzini infatti. Le burle di Antonio Moreno: Sebbene nessuno punti a creare danni con le sue burle, la comicità dell’epoca si basava molto sul fare scherzi che fossero a scapito di qualcuno. Tutto quello che è diverso dalla norma (in senso di ridicolo) era oggetto, come oggi, di risa. Per questo, come prima cosa don Antonio espone il Chisciotte in tenuta da casa, a mo” di bertuccia, da uno dei balconi. Lo porta per le vie della città, vestito con un sontuoso abito nonostante il caldo, convinto che la gente lo acclami, ma in realtà il manto che indossava aveva una scritta cucita sulla schiena che diceva Questo è Don Chisciotte della Mancia. Curioso notare come da sempre ci sia gente che si diverte con lui e sa trattarlo, e gente (si prenda il castigliano che lo insulta durante questa passeggiata) che essendo troppo paurosa e schematica —attaccata alla normalità- prova solo rabbia o pena per la sua figura, e nel vedere che personaggi di senno e magari alto grado lo accompagnano con serietà e tessendone le lodi. La moglie di Moreno organizza un ballo al quale invita tante dame sue amiche, per divertirsi con i due avventurieri. Passano tutta la sera a far ballare il Quijote e a sussurrargli paroline amorose, finché questo, esausto di respingere le sue pulsioni e di ballare (in modo ridicolo a causa di come era abbigliato e della scarsa agilità) esplode in deliqui circa la sua onestà ecc. Poi ordisce la storia della Testa magica di Bronzo. Interessante come, all’inizio, il Chisciotte fosse “Ii lì per non credere a don Antonio” e come la sua domanda sia poi effettivamente volta a sapere quel che gli accadde nella caverna di Montesinos fosse verità o no: indice del fatto che ne era alquanto insicuro il cavaliere (gli chiede anche se Sancho si sarebbe staffilato come doveva e se sarebbe andato a buon fine il disincanto di Dulcinea; a tutto la testa risponde positivamente). Tuttavia, nella sua opinione ed in quella del suo scudiero, la testa era veramente incantata; nonostante poi venne pure rimossa per ordine della Santa Inquisizione. Storia di Ana Félix: In seguito, Don Antonio porta i due antieroi a visitare le quattro galere del Generale suo amico; I due rimangono assieme meravigliati e spaventati dal funzionamento delle galere, dai cannoni, dai marinai e dai remi che sembravano a Sancho grossi piedi rossi mossi da povera gente incantata, o peccatrice all’inferno. Ma proprio mentre il Chisciotte invitava Sancho ad unirsi a quella schiera per scontare rapidamente le frustate, la nave capitana avvista un brigantino di corsari di Algeri: inizia una manovra offensiva. Dopo la cattura, durante l'esecuzione del capitano del brigantino e del suo equipaggio, proprio il capitano si rivela essere una donna. Grazie alla presenza del Viceré della città e alla generosità del Generale questa donna ha modo di raccontare la sua storia. Si tratta di Ana Félix, figlia di quel Ricote amico di Sancho, che era stata portata via da degli zii quando fu emanato l’esilio. 6) Le principali differenze fra Prima Parte e Seconda Parte (vedi diapositive) Si tratta, in realtà, di quanto visto lungo tutto il temario. Perciò si possono qui elencare sinteticamente: i I° = Avventure nate da Don Chisciotte che trasfigura la realtà; molte storie intercalate e lunghe; Curato e Barbiere; visitano luoghi bassi, si verificano situazioni oltremodo grottesche; le reazioni di chi incontra l’hidalgo sono naturali; tematica del denaro quasi assente; comicità e miticità del protagonista II°= Avventure nate dagli altri che ingannano il Chisciotte ordendo burle; incontri e racconti di breve durata; Bacelliere Carrasco; si visitano luoghi alti, il tono dei due protagonisti si alza di conseguenza; le reazioni di chi li incontra sono simulate, si conosce la Prima Parte; tematica del denaro predominante anche su quella della cavalleria; tragicità del protagonista I) Forme del teatro nelle avventure di Don Chisciotte e Sancho Si può affermare che la metafora teatrale domina tutta la Seconda Parte. Consultare Segre per “forme del teatro...” Il carro della Morte dei commedianti travestiti (cap.11); Basilio e l’arte di recitare (cap.21); Il teatro dei burattini di Mastro Pietro (cap. 25-26); Gli altorilievi trasportati per uno spettacolo sacro (cap.58); I Duchi ed il ruolo di Don Chisciotte-marionetta Cervantes crea un netto contrasto con la Prima Parte, potenzia il dibattitto tra realtà e finzione facendo un passo in più: mescola le due sfere. A questo servono gli episodi sopracitati, dove realtà e rappresentazione, accadimento e rito, si mescolano (specialmente per il Quijote). Se nella Prima Parte c’era un ordine, un dentro e un fuori al quale il lettore poteva affidarsi, avendo a che fare sia con il mondo folle visto dagli occhi del Chisciotte sia con la serena e rassicurante visione dei personaggi delle storie intercalate ora, nella Seconda Parte, il lettore si addentra sempre più in un vortice in cui tutto è messo in discussione da tutti. Si parla, nella Seconda Parte, anche di teatro festivo; non una tipologia di teatro che raccontava una storia, bensì spettacoli che miravano a sbalordire, stupire lo spettatore e soprattutto divertirlo. Questo si spiega grazie al periodo storico (il Barocco) durante il quale c’era Monarchia assoluta. I cittadini non avevano alcun potere, erano sottomessi. L'unico modo che il Potere aveva di tenerli tranquilli e contenti era quello di organizzare molte cose sfarzose: feste che miravano a manifestare il potere e la ricchezza della monarchia ma anche a intrattenere e rendere gratificati (o quanto meno rabbonire) i sudditi. Di tale tipologia di teatro sono un esempio le nozze di Camacho. ID La poetica cervantina: vero / verosimile; storia / poesia; divertimento / utilità morale; la critica dei gusti del ‘volgo’ e l’esigenza di un ‘controllo’ della produzione letteraria (Vedi diapositive sul sito). Tutto questo si ritrova sparso nelle sentenze che Cervantes dissemina, tramite i suoi personaggi, nell’opera ma soprattutto trova la sua massima espressione nel dibattito tra Canonico- Curato- Chisciotte. Solo una delle coppie non viene trattata nel discorso di cui sopra bensì in un altro, ed è storia-poesia: Del contrasto tra queste due Cervantes ha occasione di parlare nel terzo capitolo della Seconda Parte, quando i due antieroi stanno discutendo con il Bacelliere riguardo la Prima Parte. I due avventurieri si stavano lamentando della troppa fedeltà e minuziosità nel riferire delle mazzate e delle altre cose che potevano danneggiare il loro onore. Affermano che anche Omero aveva migliorato le qualità di Ulisse a discapito della fedeltà. Ma Sansone Carrasco risponde così: “Pero uno es escribir como poeta, y otro como historiador: el poeta puede cantar o contar las cosas no como fueron, sino como debian ser; el historiador las ha de escribir como fueron, sin afiadir ni quitar a la verdad cosa alguna.”
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