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Don Quijote lezione n. 4, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti di Letteratura spagnola 3-

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 26/02/2024

giulia-orsini-9
giulia-orsini-9 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Don Quijote lezione n. 4 e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! DON QUIJOTE - IL DON QUIJOTE DE LA MANCHA DI MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA o il capolavoro della letteratura spagnola o ritenuto il primo grande romanzo moderno o il più significativo del Seicento dal momento che meglio INTERPRETA LA CRISI DEI GRANDI IDEALI DEL RINASCIMENTO.  o Fonte principale : racconto burlesco anonimo “Entremés de los romances”, da cui è tratta la storia nelle sue linee essenziali. o Sono molto frequenti i riferimenti parodistici o più seri ad altre opere. o Incontriamo mescolati sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico- cavalleresco, nello stile del Amadís de Gaula. o I due protagonisti sono Alonso Quijano e Sancho Panza. o Il racconto viene affidato a più voci narranti, nessuna onnisciente. o Troviamo il narratore principale, presentato come il “curatore” di un romanzo arabo venuto in suo possesso. o Era solito l’uso del romanzo cavalleresco nel Cinquecento in Spagna e in Europa gli autori inventavano ritrovamenti di manoscritti per avvalorare la paternità delle loro opere: lo fa anche Cervantes e finge di aver recuperato da un mercante di Toledo lo scritto originale di un autore arabo. o È nel PROLOGO del 1605 che Cervantes dà notizia della paternità del romanzo, scritto dallo “storico arabo” Cide Hamete Benegeli. o Nella finzione letteraria affida la paternità della sua opera ad un “infedele”, così facendo può dare la responsabilità del narrato ad un miscredente e mago, o mentre il “secondo autore” è Cervantes e può atteggiarsi a relatore irresponsabile, a critico che contesta o limita le affermazioni della sua fonte; o Quindi, abbiamo l’autore del manoscritto su cui si basa la vicenda, il traduttore del manoscritto dall’arabo al castigliano e Alonso Fernández de Avellaneda, l’autore reale di una seconda parte apocrifa del Don Quijote nel 1614, continuazione scritta in polemica con l’opera di Cervantes. o Abbiamo la contrapposizione di due personaggi molto diversi tra loro: - Don Quijote alto, allampanato, imbevuto di letteratura medievale e colto, - Sancho Panza basso, tarchiato, rozzo, ignorante e volgare. o I due sembrano opposti ma in realtà risultano essere complementari o insieme, infatti, danno vita a varie avventure paradossali e divertenti, nelle quali: - Don Quijote interpreta a modo suo il mondo che lo circonda, - mentre il suo scudiero cerca di portarlo alla realtà seguendo però sempre il suo padrone nella sua follia. o Il racconto è spesso svolto dalla prospettiva dei personaggi e dei diversi narratori. o Si ha per conseguenza una continua variazione dei punti di vista da cui le vicende sono osservate, nessuno risulta obiettivo. o Il linguaggio si modella in base ai personaggi e alle situazioni. DATA COMPOSIZIONE Importante è anche la figura del Rey che dà il permesso affinché il libro si diffonda firmando una lettera. Cervantes ha dovuto scrivere nella lettera di richiesta di pubblicazione, le virtù del libro. Poi abbiamo la DEDICATORIA AL DUQUE DE BÉJAR, colui a cui ha dedicato il libro. Dice al duca di confidare nella sua grandezza e che gli manda questo libro, ma lo manda nudo di quel prezioso elemento di eleganza ed eruzione. Cervantes dice questo perché sa che si presuppone negli altri libri, sonetti e altre caratteristiche che lodino lo scrittore del libro stesso, mentre nel Don Quijote non ci sono. Gli ultimi due elementi sono i componimenti che vengono firmati da diversi autori e per ultimo il PROLOGO dove scrive ad un “disoccupato lettore”. Il libro è dedicato ad un duca. Cervantes consiglia il libro come suo figlio. Questo porta ironia, perché spera che sia il più bello, gagliardo e discreto: immagine di un figlio perfetto. Dice di sé stesso di essere un uomo con ingegno sterile, coltivato male quindi genera un figlio secco/ avellanado e antojadizo, non bello-gagliardo-discreto come gli altri, realizzato in un carcere. Non sappiamo esattamente quando Cervantes inizia a scrivere il libro. Nell’autunno del 92 è stato in galera a Cordoba mentre nel 97 a Siviglia. Parla della sua esperienza in carcere e dice che : un conto è scrivere un testo da un locus amoeus dove la quiete dello spirito e dell’ambiente stesso favoriscono la meraviglia e la creazione poetica, un conto è scriverlo in galera. Sottolinea poi che nonostante le difficoltà della sua vita chi è in grado di scrivere riesce a farlo indipendentemente dal luogo in cui lo fa. Il libro di Cervantes è nato per far ridere, non per far piangere, Cervantes vuole far ridere in modo armonioso. Dice al lettore che non è obbligato a leggere il libro se non trova la lettura piacevole; afferma poi di aver lavorato sodo per comporre l’opera in generale, ma il prologo è stata la parte più difficile. Troviamo una scena in cui c’è un autoritratto con i canoni del malinconico mentre pensa a cosa e come scrivere l’opera, con una piuma dietro l’orecchio, la testa appoggiata sulla mano, il gomito sul tavolo. Entra un amico definito “grazioso” che gli chiede cosa stia facendo e perché stia così. Lui gli risponde che non sa come finire questo prologo, ma che allo stesso tempo non vuole far stampare il libro senza prologo. L’amico gli dice che gli avrebbe insegnato in cinque minuti come scrivere un prologo. Il narratore dice che il suo libro non ha note al margine, non ha retorica. L’amico dice che non ha importanza perché tutto in questo libro è un’invettiva contro i libri di cavalleria. Questa allusione viene ripetuta quattro volte: è un libro contro quelli di cavalleria che erano quelli che leggevano tutti che raccontano cose inverosimili da un punto di vista aristotelico. Questa invettiva è ambigua perché questo prologo l’ha scritto alla fine della prima parte del Quijote e serve per l’interpretazione. Di fatto, in base alla lettura, questa invettiva può essere letta da varie prospettive, è personale. La letteratura cavalleresca è considerata falsa e bugiarda, mentre la storia di Cervantes è considerata verità. Il punto di vista estetico di Cervantes influenza il credere che le cose raccontate sono vere solo perché sono ben raccontate. L’autore vuole convincerci che sta scrivendo una storia vera però la prima cosa che fa quando incontra il manoscritto è dire che lo ha scritto un moro che per definizione è bugiardo. L’amico sostiene che i libri di cavalleria sono falsi e che il suo testo deve avere un linguaggio comprensibile con parole sensate, deve comunicare in modo armonico senza complicare i concetti come l’aspetto tipico del Rinascimento in contrapposizione al Barocco. È, quindi, importante la nuova retorica classicista e il buon stile. La finalità della storia, secondo l’amico del prologo, è far ridere, così che anche il malinconico possa ridere. L’autore va in cerca di un pubblico di lettori diversi che lo apprezzino. Scrive per tutti, il lettore interpreta a suo modo l’opera. Nel prologo si parla di estetica, di similitudine, del lettore e l’effetto su questo dell’opera, si presentano i personaggi. Il narratore riconosce che quello che l’amico gli ha consigliato è vero e finalmente trova il modo di scrivere il prologo. Il narratore ci dà una prima indicazione: gli eventi avvengono a la Mancha e il personaggio è un casto, innamorato, cavaliere valoroso che ha vissuto nel campo de Montiel. Menziona Sancho Panza, suo scudiero che non assomiglia a nessun scudiero dei libri di cavalleria perché Sancho parla mentre gli altri no. Il narratore sostiene il libro sia scritto meglio dei libri di cavalleria. Segue la struttura del Amadís de Gaula, diviso anche esso in parti. Non sa quello che scriverà nella seconda parte e per questo divide la prima parte in varie parti. Nella prima parte il libro si chiamava Ingenioso hidalgo mentre quando pubblica la seconda parte nel 1615, scrive Ingenioso caballero. CAPITOLO 1 sono diverse fonti, non esiste un autore onnisciente che conosce tutto. L’autore raccoglie diversi materiali. L’indeterminatezza dei nomi la troviamo anche con altri personaggi come la moglie di Sancho che viene chiamata in diversi modi come Teresa Panza e Juana Panza, Juana Gutierrez e Mari Gutierrez, ma anche Teresa Cascajo, Teresa Sancha, Teresona o Teresina. Dopo aver realizzato il suo ritratto ci viene detto il suo hobby che è quello di leggere libri di cavalleria. Legge tutta la notte e comincia a non uscire di casa, non va più a caccia. Questo rappresenta l’alienazione. Si compra addirittura una biblioteca. Il suo autore preferito è Feliciano de Silva che è autore delle continuazioni dell’“Amadis” e di una seconda Celestina. Qui troviamo il primo esempio della critica di Cervantes allo stile dei libri del signore quando parla della chiarezza della prosa e delle ragioni intricate. I lettori dei libri di cavalleria sono: - Don Quijote, un lettore assorto che cerca di decifrare ciò che legge, che è tentato di continuare l’avventura iniziata da De Silva. - Poi abbiamo il parroco della sua città, un laureato dotto. - Il terzo lettore era il barbiere del villaggio. Tornando a Don Quijote, nei periodi di ozio leggeva libri cavallereschi e addirittura decise di vendere molto seminato per comprare altri libri cavallereschi. Di tutti, nessuno sembrava all’altezza di quello di Feliciano de Silva. Trascorse tutte le sue notti e le giornate a capire e il suo cervello si prosciugò fino a perdere la testa. La sua fantasia era piena di quello che leggeva nei libri, di incantesimi, battaglie, sfide, ferite, amori, tempeste e assurdità; si sistemò in modo che nella sua immaginazione tutte quelle invenzioni erano vere. Vediamo un elenco di gentiluomini della letteratura come il Cid Campeador, il Bernardo del Carpio, il gigante Morgante, Rinaldo de Montalbán, dell’Orlando Innamorato del Boiardo. L’azione che è il motore della narrazione è che Don Quijote, il lettore diventa cavaliere errante. Lui, considerato un pazzo decide di diventare un personaggio di un libro e immagina di aver conquistato di Trabzon. È importante perché, quando Sancho entrerà in azione gli verrà offerta un’isola. Egli credeva che fosse necessario diventare un cavaliere errante per far accrescere il suo onore e andare per il mondo con il suo cavallo e le sue armi a cercare delle avventure. Don Quijote è impaziente di vestirsi da cavaliere errante e si procura il necessario con le sue mani. Cerca nelle armi dei suoi bisnonni del tempo dei Re Cattolici e deve pulirle da ruggine e muffa. Poi crea un cappello con un morione che è un elmo di acciaio più leggero e i cartoni che distrugge subito dopo. Si affrettò a mettere in atto ciò che voleva e la prima cosa fu pulire alcune armi che erano dei suoi bisnonni, che, prese dalla ruggine e piene di muffa, erano state per secoli riposte e dimenticate in un angolo.  Li puliva e li vestiva come meglio poteva; ma vide che avevano un grande difetto, ed era che non avevano un copricapo di pizzo, ma un semplice morione; ma la sua industria lo supplicò, perché di cartone fece un mezzo tratteggio che, munito del morione, faceva l'apparenza di un intero tratteggio.  È vero che, per vedere se era forte e poteva correre il rischio di essere pugnalato, sguainò la spada e lo colpì due volte, e con la prima e ad un certo punto disfaceva ciò che aveva fatto in una settimana;  E non cessò di sembrare cattivo con quanta facilità l'avesse fatto a pezzi, e per assicurare questo pericolo lo fece di nuovo, mettendovi dentro delle sbarre di ferro, in modo che si accontentava della sua forza e senza volere per farne una nuova esperienza, lo destituì e lo considerò una finissima trappola di pizzo. È un personaggio ironico. Crede in quello che fa e cerca sempre di vedere il lato positivo delle cose. IL NOME DEL CAVALLO Il cavallo è pelle e ossa e passa quattro giorni a pensare a come chiamarlo. Pensa che nonostante sia molto magro, se gli si dà un nome valoroso, può diventare anche lui valoroso e potrà essere ricordato come quelli precedenti. Deve decidere tra il cavallo di Alessandro Meglio e quello del Cid ,Bucefalo e Babieca e alla fine decide di chiamarlo Rocinante ,Rocin + antes: una volta era ronzino, il cavallo ideale. IL SUO NOME Noi non sappiamo come si chiama, lui si deve nominare e, come da libro di cavalleria, deve cambiare nome. Dopo 8 giorni in cui pensa al suo nome decide di chiamarsi Don Quijote de la Mancha. Si rende conto poi che deve cercare una dama di cui innamorarsi. Non ha una dama, ma la trova: una contadina, di bell’aspetto che si chiama Dulcinea del Toboso, che è un nome da principessa, anche se il suo vero nome è Alfonsa Lorenzo. Lei non la vedremo mai, sapremo solo che è un maschiaccio, è atletica, forte. Il suo nome era sicuramente più difficile rispetto quello per il tuo cavallo. Si ispirò ad Amadís de Gaula per essere Don Quijote de la Mancha. Ci mise otto giorni, ricordando che il coraggioso Amadís non solo si era accontentato di chiamarsi semplicemente "Amadís", ma aggiunse il nome del suo regno e della sua patria, per renderlo famoso, e si fece chiamare "Amadís de Gaula", così volle, come un buon gentiluomo, aggiunga al suo il nome di lei e si fa chiamare "Don Quijote de la Mancha", con il quale a suo avviso dichiarò molto vividamente la sua stirpe e patria, e la onorò prendendo il suo soprannome.  Passa un’intera giornata a camminare e non succede nulla, il che lo rende disperato. Il narratore accenna alle avventure che verranno: - quella di Puerto Lapice - e quella dei mulini a vento che verranno conteggiati nella seconda uscita. Cioè la vera storia che Don Quijote ha cominciato a raccontare circola già in diverse versioni e il narratore ne propone una che ha trovato nelle cronache della Mancha. Ci sono autori che dicono che la prima avventura che gli è capitata è stata quella di Puerto Lapice; altri dicono quello dei mulini a vento;  Ma quello che ho potuto scoprire in questo caso, e quello che ho trovato scritto negli annali della Mancha, è che ha camminato tutto quel giorno, e, al tramonto, lui e il ronzino erano stanchi e affamati, e che guardando dappertutto per vedere se avrebbe scoperto un castello o qualche gregge di pastori dove poter radunare e dove poter rimediare alla sua grande fame e bisogno, vide, non lontano dalla strada che stava andando, una locanda, che era come se vedesse una stella che non ai portali, ma alle fortezze della sua redenzione stava conducendo. Dio si affrettò a camminare e la raggiunse in tempo per il tramonto. Nella versione raccontata dal narratore, il sogno di Don Quijote si scontra con la realtà della locanda, luogo ideale per la trasformazione grottesca degli eventi. C'erano forse alla porta due giovani donne, che stavano andando a Siviglia con alcuni mulattieri che, alla locanda quella notte, sono riusciti a fare un turno; Tutto quello che pensava, vedeva o immaginava il protagonista sembrava fatto e passasse nel modo in cui aveva letto, dopo aver visto la locanda pensò che era un castello con le sue quattro torri e le guglie d'argento lucente, senza mancare il suo ponte levatoio e la profonda cantina, con tutti quegli aderenti che tali castelli sono dipinti e poco distante da essa tenne le redini di Rocinante, aspettando che qualche nano si mettesse tra i bastioni per segnalare con una tromba che un cavaliere stava arrivando al castello.  Ecco che arriva la reazione degli altri, quelli che vedono lo strano personaggio che si avvicina a loro e che non erano personaggi del libro, si stupiscono o si spaventano cercando di scappare. Abbiamo un ambiente romanzo picaresco, perché l’oste è un andaluso di Sanlúcar de Barrameda che conosce molto bene le ballate e che è anche un lettore di libri cavallereschi. Don Quijote parla citando una dopo l’altra le storie d’amore e l’oste risponde con lo stesso tono dal momento che anche lui le conosce e ha capito che pazzo ha davanti. Don Quijote rifà la storia d’amore di Lanzarote. Segue la cena ed è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un ritrovo di personaggi che mangiano e parlano in un’ambientazione da banchetto, ma DQ non può né mangiare né bere perché indossa l'elmo: una delle signore deve imboccarlo, e l'oste prende un bastone per dargli il vino, questa è chiaramente una citazione del Lazarillo quando nel primo trattato rubò il vino al cieco. Faceva ridere vederlo mangiare, perché, siccome aveva il copricapo e la visiera alzata, non poteva mettersi in bocca niente con le mani se qualcun altro non glielo dava e non glielo metteva, e, poi, una di quelle signore servì a questo necessario.  Ma nel dargli da bere, non era possibile, né sarebbe se l'oste non trafiggesse una canna, e mettendosi un'estremità in bocca, versasse il vino con l’altra; e tutto questo ricevette con pazienza, in cambio di non spezzare i nastri della trappola. Il capitolo termina con Don Quijote che è preoccupato non essendo ancora cavaliere. Don Q crede proprio di essere servito e riverito in un grande castello, e perciò vede positivamente l’inizio del suo viaggio, e pensa con trepidazione al momento in cui verrà fatto cavaliere perché così inizieranno a tutti gli effetti le grandi avventure a cui è destinato. CAPITOLO 3 Tratta del modo divertente che aveva di chiamarsi cavaliere. Don Q decide di non perdere altro tempo con quella cena, e perciò si mette in disparte con l'oste e gli dice che passerà la notte a fare la veglia nella chiesetta del castello e che lui il giorno dopo lo armerà cavaliere, così potrà iniziare le sue gesta. L'oste aveva già intuito che era pazzo e decide di assecondare la pazzia dell'uomo, dicendo che anche lui in gioventù aveva agito girando per il mondo, e che ora che si era fermato nel suo errare dava asilo a tutti i cavalieri erranti come lui, a patto che dividessero ciò che avevano per ripagarlo in un qual modo, e che non c'era chiesetta nel castello perché l'aveva da poco fatta demolire per costruirne una nuova ma che poteva in alternativa fare la veglia in un andito del castello. Gli chiese poi se portasse con sé denaro, ma Don Quijote disse di no, perché nei libri non aveva mai letto che i cavalieri portassero con sé delle ricchezze. Allora l’oste gli chiarisce che gli autori lo davano come sottinteso che i cavalieri portassero con loro, unguenti per le ferite nelle battaglie, soldi, biancheria e altro, che davano al loro scudiero. L'oste allora si prepara a celebrare la cerimonia, che aveva una sua liturgia, e gli ordina di vegliare sulle armi, ma poiché nel castello non c'è la cappella, lo conduce nel cortile del castello, al cortile della locanda, perché tutti la vedano e ridano. È come una scena di teatro: ci sono Don Quijote protagonista, l’oste, le due ragazze e il pubblico. Questo accadrà molte volte nel testo: il teatro ha un'importanza crescente, che nella seconda di Don Quijote sarà importantissima. Nella notte inizia la veglia alle armi e bisogno per uscire al mondo perché anche il picaro è un lettone di libri di cavalleria e lo stesso fanno anche le donne. Gli spiegano che deve indossare capi bianchi, avere denaro e uno scudiero. Questi elementi sono fondamentali per l’attitudine di Quijote perché nei libri non c’erano scritte queste cose. Quijote arriva alla locanda e scopre di dover pagare mentre nei libri non venivano trattati questo tipo di passaggi. La sua prima avventura è una scena che vede da lontano e interpreta a suo piacimento: una persona che sta maltrattando un bambino innocente. Quijote dice che la missione di un cavaliere è quello di salvare coloro che sono indifesi, gli innocenti, gli offesi ingiustamente. Deve quindi fare da giudice e da padre in questa situazione. CAPITOLO 4 Tratta di ciò che succede a Don Quijote uscito dalla locanda. L'inizio del capitolo è diventato una frase fatta in spagnolo, La del alba sería; in realtà l'antecedente, la parola ora, è alla fine del capitolo precedente, il che dimostra che Cervantes ha scritto tutta questa prima uscita senza pause, e solo più tardi ha tagliato in alcuni punti per fare dei capitoli. Esce per la seconda volta, più contento della prima volta e crede di essere cavaliere. Ma ricordando i consigli che gli ha dato, si ricorda che deve cercare uno scudiero e così decide di tornare a casa. Si ricorda che c’è un contadino povero e con figli che vive vicino a lui. Fa una scelta casuale, il primo che si ricorda e il contadino Sancho gli risponde che a lui va bene. Quindi torna a casa momentaneamente per prendere soldi, biancheria, unguenti e per assumere un qualche scudiero. Qui c’è la prima missione, quando nella via di ritorno sente delle grida di aiuto. Non gli sembrò vero che poteva approfittare della sua recente nomina di cavaliere per salvare qualcuno in difficoltà. Va nella direzione delle urla, e vede una cavalla legata ad una quercia e un ragazzo a petto nudo legato ad un’altra quercia. Lo descrive come un ragazzo di quindici anni circa. C’è poi un uomo che lo sta frustrando con una cinta. Non ci pensa due volte e attacca per difendere i bisognosi. Per la prima volta Quijote va verso Juan Aldudo e violentemente si rivolge a lui dicendogli di non ripetere più quello che sta facendo. Aldudo si difende puntandogli una lancia addosso e gli spiega che cosa sta succedendo: il ragazzo è un suo servo che si occupa di un suo gregge, ma ogni giorno si accorge di avere una pecora in meno, per questo castiga la sua vigliaccheria o mancanza di attenzione. Il ragazzo dice che il suo padrone lo accusa falsamente semplicemente per non pagarlo. Non ci sono elementi cavallereschi e Don Quijote interpreta che il ragazzo è innocente e maltrattato dal padrone. Alcune parole come mentir è importante, è una scintilla per Quijote perché difendendo il ragazzo, non può accettare che lo attacchi; perciò, lo insulta dicendogli che è un villano. Quijote è qui un giudice e un padre ingiusto ,perché non sa cosa vuol dire essere padre dato che non lo è stato e non lo sarà. Quijote proietta sul mondo reale il suo mondo immaginario: non vede ciò che è reale, ma quello che lui ha in testa. Il bambino, comunque, in questo modo non imparerà la lezione. Questa prima avventura è un disastro. Don Q fa giurare al contadino per legge cavalleresca che lo pagherà, e nonostante Andrés protesti facendo notare che non è un gentiluomo, ma un ricco vicino di casa ,con una formula che poi sentiremo più volte da Sancho quando cerca di convincere il suo padrone che ciò che vede non corrisponde alla realtà. Ma per Don Q è sufficiente che abbia giurato, perché se non obbedisce lo punirà di nuovo, e se ne va semplicemente. Appena perdono di vista Don Q lo legò di nuovo alla quercia. Il contadino continua a ridere e Andrés se ne va piangendo, giurando di andare a cercare il coraggioso Don Q de la Mancha e di dettagliare punto per punto quello che era successo, e che lo avrebbe pagato con le setenas. La scena si interrompe e riprenderà nel capitolo trentuno quando Don Q e Andrés si incontrano di nuovo e lui non è simpatico ma aggressivo e finisce per mancargli di rispetto e maledirlo. DQ non riesce a capire perché tanta ingratitudine, se l'ha difeso. È impensabile che la sua azione abbia ottenuto un risultato completamente opposto. Questa azione prototipica è seguita da un’avventura bivio dove vede arrivare una grande folla di persone con ombrelloni: ci sono sei mercanti di Toledo che stanno andando a comprare la seta da Murcia, accompagnati dai loro servi, e decidere che è un'avventura. Decide di fermarsi e aspettarli, e appena lo hanno raggiunto chiede loro di giurare che non esiste donna più bella di Dulcinea. I mercanti capiscono che DonQ è pazzo, gli dicono di non conoscere questa persona, e di o indicargliela o di fargliela vedere in un ritratto cosicché possano dire veramente che è la più bella mai esistita, e che anche se fosse stata brutta o gobba per fare contento Don Q avrebbero comunque detto che era bellissima. A questo punto Don Q li avverte che Dulcinea non è affatto né brutta, né gobba, e che per l'oltraggio gliela pagheranno cara; perciò, fece per partire al galoppo con Ronzinante per colpirli con la lancia, ma Ronzinante inciampa facendo rotolare giù anche Don Q. Siccome tra le armi e l'armatura non era molto agevole rialzarsi, resta lì a dimenarsi mentre i mercanti scappano, uno di loro però vedendolo così coglie l'occasione per distruggergli la lancia e picchiarlo per bene. Alla fine, il mercante esausto, se ne va, e Don Q resta per terra mezzo morto. CAPITOLO 5 Continua il racconto della sventura del nostro cavaliere. Battuto, incapace di muoversi, si rifugia nel suo mondo e cerca un personaggio con cui identificarsi. Ricorda Valdovinos, nipote del Marchese di Mantova che, ferito, si lamenta nella foresta, e mentre recita la romanza passa un suo vicino, Pedro Alonso, che Don Q scambia per il Marchese di Mantova, e gli parla in versi; L'agricoltore rimase stupito nell'udire queste sciocchezze; e togliendo la visiera si asciugò la faccia che era coperta di polvere; e lo aveva appena pulito, quando lo incontrò. Don Quijote si mette a recitare un testo di brucerebbe ,Jeronimo de Urrea aveva tradotto la sua opera in spagnolo. In questo modo C. dimostra di sapere l’italiano, di averla letta e di interessarsene. La Diana di Montemayor bisogna espurgarla. Il problema di Montemayor è che è neoplatonico, nell’opera le persone per innamorarsi devono andare ad una fuente magica dove l’acqua fa innamorare tutti. Della Galatea invece dice di non bruciarlo, ma nemmeno di tenerlo; di metterlo momentaneamente da parte in quanto non completa, in questo caso è uno ironico, fa parodia di se stesso. L’ultimo libro che giudica è Las lágrimas de Angelica. L’ultimo omaggio che Cervantes vuole fare è al suo amico Montaldo e questa critica di Cervantes è pura perché dice davvero cosa pensa. CAPITOLO 6 Tratta del grazioso e grande scrutinio che il prete e il barbiere fecero nella libreria del nostro geniale hidalgo. Il capitolo pone fine alla prima uscita ed è fondamentale perché si comincia a intravedere il ruolo importante che avrà la letteratura nel romanzo. Mentre dorme, il curato e il barbiere ispezionano la sua biblioteca. La nipote e la serva sono entrambe della stessa idea, cioè di gettare i libri uno per uno dalla finestra e poi una volta gettati tutti, incendiare il cumulo. Invece il barbiere e il curato decidono di leggerne almeno i titoli per capire se qualcuno di questi testi poteva essere salvato. Il criterio con cui il prete analizza i libri del Don Quijote non è un criterio ecclesiastico, non si interessa della bontà morale dei libri, ma si interessa dello stile dei libri. Per la prima volta viene fatta una critica letteraria sui libri che Don Quijote ha nella sua biblioteca. Si dividono i compiti: Il prete e il barbiere scelgono i libri dividendoli tra libri buoni e cattivi. La nipote e la governante gettano dalla finestra quelli non buoni, facendoli finire in un cortile. In questo capitolo vi è una conversazione di alta critica letteraria di autori importanti dove vi sono anche quelli italiani, come Matteo Boiardo o Ludovico Ariosto e viene specificato se queste si riescono a salvare oppure vengono eliminate. Inoltre, si tratta della questione della traduzione, Cervantes dà molta importanza alle traduzioni, infatti, in varie occasioni parla della sua teoria della traduzione, attraverso DQ o altri interlocutori, in questo caso parla il prete. critica alle traduzioni dell’Orlando in castigliano che non sono fedeli all’opera originale. Tema che preoccupa Cervantes: le traduzioni che hanno valore sono quelle delle lingue classiche ,ebreo, latino, greco, mentre le traduzioni fatte con lingue romanze sono di poco valore. libri che sono salvati sono Omero e le opere di Amadis De Gaula decidi di non bruciarlo per essere il migliore di tutti i libri di quel genere e tutti gli altri senza essere esaminati di essere bruciati in blocco. La serva perciò segue gli ordini, poi vorrebbero salvare anche i testi di poesia perchè li considerano innocui. Un altro che decidono di salvare dalle fiamme è Palmerín d'Inghilterra per essere una storia "molto buona" e perché il suo autore era un "re discreto del Portogallo". Ma quando ci riflettono pensano che comunque una volta eliminato il problema dei libri di cavalleria non vorrebbero che egli leggesse i libri di poesia e impazzisse di nuovo. Quindi eliminano ad esempio alcune pagine da Yorge de Montemayor con il suo “siete libros de las Diana” ,dove Felicia usa l'acqua magica. Il curato recupera un testo anche per sé, cioè Dieci libri della fortuna d'amore, e viene conservato anche il canzoniere di Lepez Maldonado. Il barbiere tiene per sé la Galatea di Cervantes. Ultimo viene salvato le Lacrime di Angelica, e il barbiere e il curato stanchi decidono di dare fuoco agli altri libri in blocco. In conclusione, fa un esercizio di critica letteraria perché ripassa quanto letto e con criterio estetico e non dottrinale decide cosa salvare e cosa condannare. Vengono giudicati 29 titoli: 13 condannati, 13 assolti, due da espungere e uno a pozzo secco. CAPITOLO 7 Mentre dorme lo scrutinio della sua biblioteca si conclude: Don Q sta sognando e comincia a gridare e combattere con alcuni personaggi del ciclo carolingio. Si calma solo quando viene nutrito e si riaddormenta. Intanto la serva procede in fretta a bruciare i libri. Con lo scandalo, un paio di poemi epici, La Carolea e León de España, vanno al fuoco senza essere visti né sentiti. Cervantes ironizza sul modo di operare dei censori che spesso non leggevano i libri che condannavano, alludendo ad essi quando dice gli scrutatori, quelli che fanno lo scrutinio: Quella notte la padrona bruciò e bruciò quanti libri c'erano nel recinto e in tutta la casa, e devono averne bruciati tali che meritavano di essere conservati negli archivi perpetui; ma la loro fortuna e la pigrizia dello scrutatore non glielo permettevano , e così si adempì in loro il detto che a volte pagano solo per i peccatori. Per sanare la follia dell'amico, il prete e il barbiere trovano un rimedio: dovrebbero murarlo e murare la stanza con i libri, e dire che li aveva presi un mago insieme alla stanza. Così, quando Don Q si alza due giorni dopo, cerca la sua biblioteca e non la trova, chiede alla padrona dov'è la biblioteca e lei risponde che non c’era più una stanza perché era stata presa dal diavolo. La nipote dice che era un mago che era venuto su una nuvola. Disse anche che il suo nome era " il saggio Muñatón ". Don Q non leggerà mai più un libro, nemmeno quello che racconterà le sue gesta, perché non manca più, li porta dentro e può sognarli trasformando il mondo in una finzione in cui lui stesso è protagonista. Passano 15 giorni, parla con il prete e il barbiere e racconta storie esilaranti. A questo punto entra Sancho e con lui entra il dialogo, grazie al quale conosceremo l'anima di Don Q. Sancho è stato annunciato nel capitolo quattro non solo perché l'oste gli ha consigliato di cercare uno scudiero, ma perché è il risultato del dinamismo narrativo: lo sviluppo del dialogo inizia nella locanda, negli scambi con il ricco Juan Haldudo, prosegue nell'incontro con il vicino Pedro Alonso, e prosegue nell'esame, quando l'amante, la nipote, il prete e il barbiere dialogano. Il dialogismo diventa il principio strutturale del romanzo. La presenza di Sancho permette la conversione dei due personaggi tra avventura e avventura. trasformarsi in mulini, per togliergli l’onore e la fama. Nel mondo della cavalleria c’è la magia, che può provare metamorfosi, ed è stata la magia ad aver trasformato i giganti in mulini. Il mondo è in continua trasformazione e lui stesso è esempio di una metamorfosi. A questo punto Don Q “rinsavisce” e si accorge che sono proprio dei mulini, e si giustifica sostenendo che il mago incantatore ha trasformato i giganti in mulini affinché Don Q non potesse averla vinta. Riprendono il cammino anche se DonQ è ferito non può lamentarsi perché così dice l'ordine dei cavalieri e avverte Sancho che se troveranno un albero di quercia, ne vorrà tagliare un pezzo fortissimo così da farne una lancia di legno. Trascorsero la notte nel bosco, e qui staccò un pezzo di legno da un albero al quale attaccò la ferraglia che gli rimaneva della vecchia lancia per farne una specie di arma. La seconda avventura del capitolo è a Puerto Lapice, in spagnolo un porto è un passo di montagna. Riprendono il cammino il giorno dopo e arrivano a Porto Lapice. Don Q lo considera il luogo ideale per alzare le mani fino ai gomiti in questa avventura, ma lo avverte che non essere un cavaliere non può aiutarlo attaccando i suoi nemici. Sancho è d'accordo molto bene perché non ha intenzione di entrare in battaglia. Quindi Don Q avverte Sancho che lui potrà intervenire nelle ipotetiche lotte solo se ad attaccarli è gente vile, ma quando si tratta di cavalieri, Don Q deve agire da solo in quanto cavaliere. L’avventura inizia e come in quella prima il narratore ci dice cosa vede Don Q, poi sentiamo Don Q e poi Sancho. Ma qui quello che si vede è più complesso perché sono diversi gruppi di persone che a distanza sembrano una cosa sola: due frati di San Benito e il corteo di una dama biscaglia che va a Siviglia. L’avventura nasce quando i personaggi si trovano di fronte a qualcosa di sconosciuto che appare in mezzo alla strada. L'oggetto o il fenomeno può essere di origine certa o incerta, ma finché non scopriamo di cosa si tratta, Cervantes usa la prospettiva facendo funzionare il narratore come una telecamera fissa che registra il movimento delle figure che si avvicinano, sempre in modo impressionistico, impreciso, sfuocato, a poco a poco più chiaro, ea quel punto, quando sono già vicini, DQ vede una cosa e Sancho un'altra. È importante osservare come da questo momento Cervantes descrive questi approcci. Nella prima avventura era qualcosa che vedevano da lontano, e il narratore non poteva dire se fossero 30 o 40 mulini. In questa i due frati vengono su due muli grandi come dromedari ma il narratore usa l'iperbole e la prima cosa che dice è che sono dromedari, cioè descrive quello che sembrano, non quello che sono e vengono con ombrelloni e anche con voglie in cammino e indossano un abito nero. Dietro di loro, ma non insieme, c’è un corteo con una signora basca che sta andando a Siviglia per imbarcarsi per l'America, dove si trova suo marito, un alto funzionario del governo delle Indie. Il narratore ci dice che non si uniscono, ma dal punto di vista di Don Q sono lo stesso gruppo e legge la situazione secondo uno dei libri bruciati nell'esame, Il Cavaliere della Croce, in cui quattro giganti portano prigionieri in un carro per l'imperatore, l'imperatrice e la principessa, e vengono sfidati dal neonato Floramor. I due gruppi andavano ognuno per conto loro, anche se camminando nella stessa direzione sembrò che facessero parte della stessa comitiva, tanto che li scambiò per due incantatori che avevano rapito una fanciulla e anche se Sancho lo mise in guardia, Don Q lo ignora perché dice che lui non era pratico di avventure e al galoppo di Ronzinante si avvicina per colpire uno dei frati/incantatori con la lancia. Prima attacca i frati, uno cade dal mulo, e l'altro galoppa lontano dal suo mulo. Torniamo a questo punto all'avventura ingiusta di Andrés e del suo ricco padrone, perché qui l'avventura è sacrilega. DQ chiama la gente endiablada ed enorme, e loro rispondono che non lo sono, sono solo due frati di San Benito, ma non crede DQ. È un'avventura che mette in ridicolo i frati, cosa molto tipica della letteratura del XVI secolo e molto perseguitata dalla censura perché inoltre la critica dei frati è una questione degli Erasmiani, che al tempo scrive Cervantes sono considerati eterodossi. Sancho tenta di rubare l’abito al frate aggredendolo, lo considera come un bottino. Arrivarono due giovani dei frati e gli chiesero perché lo stesse spogliando. Sancho rispose che toccava a lui essere il bottino della battaglia vinta dal suo signore don Q. Con il commento di questa azione fatta dal personaggio stesso Cervantes mette in luce un aspetto fondamentale della psicologia del suo personaggio. Quando i giovani dell'entourage della dama basca vedono cosa sta succedendo, e che don Q è stato deviato di là parlando con quelli che venivano in macchina, si avvicinano per aiutare i frati e mentre si guarda la scena di Sancho e dei camerieri, Don Q è arrivato alla carrozza delle signore e, cambiando atteggiamento, passa dall'essere un gentiluomo arrabbiato a essere un gentiluomo cortese che si presenta e le chiede di recarsi a Toboso per testimoniare davanti alla sua amante Dulcinea l'impresa che ha appena compiuto per liberarla. Importante qui è lo stile arcaico. Arriva lo scudiero di Biscay che stava ascoltando quello che dicevano ed è furioso. Qui raggiungiamo un momento decisivo della narrazione in cui Cervantes, prendendo una piega sorprendente, compie qualcosa che non era stato fatto prima: liberandosi dalla tradizione, inizia a giocare con i suoi personaggi come se non fossero suoi e interrompe la narrazione la narrazione per riprenderla in seguito. La pendenza con il vizcaino nasce dall’errore linguistico, procedimento che svilupperà nel resto del romanzo e che da allora non è più apparso nei libri cavallereschi. Lo scudiero basco che parla in castigliano improbabile con la sintassi della lingua basca, si sente offeso da Don Q che gli dice di non essere un cavaliere, e qui dobbiamo notare che Cervantes si riferisce ancora fino ad oggi, perché un avvocato di nome García de Saavedra aveva negato nel 1588 che tutti i baschi fossero nobili, sollevando una nuvola di polvere e provocando una controversia. Questo naturalmente ha a che fare con la pulizia del sangue, un tema ossessivo nella Spagna del Secolo d'Oro: i Mori non sono entrati nel Nord, ergo non ci sono stati miscugli, questa piacevole storia; anche se so bene che se cielo, caso e fortuna non mi aiutano, il mondo mancherà e senza l'hobby e il piacere che ben quasi due ore potrà avere chi lo leggerà attentamente.  Il terzo elemento importante è il manoscritto ritrovato. Quando si trovava a Toledo, un ragazzo venne a vendere delle cartelle e delle vecchie carte a un commerciante; e siccome gli piace leggere anche le carte strappate dalle strade, portato alla mia naturale inclinazione ho preso una cartella di quelle che il ragazzo vendeva e vile con caratteri che sapevo essere arabi. Non sapeva leggerli e andava in cerca di qualcuno che sapesse leggerli. Ne trovò uno che lo aprì e si mise a ridere perché legge in una nota a margine che Dulcinea dice che aveva la mano migliore per i maialini di sale rispetto a un'altra donna in tutta La Mancha. Quando sentì dire "Dulcinea del Toboso" rimase stupito. Dopo capì che quelle cartelle contenevano la storia di Don Quijote. Con molta fantasia lo ha letto e lo ha trasformato dall’arabo allo spagnolo. Ha letto che diceva: Storia di Don Quijote de la Mancha, scritta da Cide Hamete Benengeli, storico arabo. Pagò poi il traduttore con due libbre di uvetta e due stai di grano. Poi abbiamo l’elemento della storia vera e lo storico bugiardo. Andavano notate altre piccolezze di poca importanza. Insulta Cide Hamete chiamandolo levriero, nome denigratorio dato ai Mori. Tutto ciò che desidera si troverà nel modo più pacifico e dice e se in esso manca qualcosa di buono, per me deve essere stata colpa del levriero del suo autore più che del soggetto. Alla fine, finisce chiamando “cane” al suo autore, gli dà la colpa nel caso mancasse qualcosa nella storia: il narratore si scioglie dalle responsabilità che getta sull’autore. Vuole trasmettere l’idea di un gioco illusionistico: se sei convinto di quello che scrivi, chi legge ci crede. Tutta questa parte ce la racconta per farci capire come ha incontrato questo manoscritto. Così, dopo aver ricevuto la traduzione, può continuare la storia.   La voce di Cide Hamete trova il suo correlativo nelle narrazioni medievali e nei libri cavallereschi: nell’Esplandián, ad esempio, Helisabad, personaggio di Amadís, il re Lisuarte gli chiede di scrivere la storia. C’è un’opera importantissima di Riley che è “El recurso a los autores ficticios” dove in una parte si sofferma sulla teoria di Cervantes del romanzo. Ci si sofferma sull’artificio di fingere che l’opera sia stata scritta da uno storico arabo, non è solo una parodia, si ha l’effetto di produrre maggiore profondità. I vantaggi della segnalazione degli eventi tramite terzi erano stati evidenziati dagli autori perché produce obiettività. Cervantes usa molto spesso intermediari o narratori nei suoi romanzi, ma Cide Hamete occupa una posizione peculiare nel romanzo perché è periferico rispetto alla narrazione e centrale al libro. Come intermediario, a volte si separa dalla narrazione ,come lo stesso Cervantes per fare commenti marginali la cui funzione è preparare il lettore a qualcosa che sta per accadere, stimolando la sua curiosità, o deviare dal vero autore i possibili attacchi del critico. Ciò si nota soprattutto nella Parte II, dove la presenza di Cide Hamete aumenta, fino a giungere alla fine ,nell'ultima pagina della Parte II quando Cide Hamete parla con la sua penna chiedendogli che il libro è nato proprio per lei e che lui stesso è nato per il libro. L'autore e i personaggi rispettano l'indipendenza reciproca. Solo raramente DQ crede che Benengeli li influenzi in modo soprannaturale. Don Q è intervenuto nella crezione di Cide Hamete. Con la pubblicazione della Parte I del Don Quijote ci viene data prova dell'esistenza del cronista, che è Cide Hamete. Questo ha conseguenze straordinarie: Benengeli arriva a giustificare tutte le convinzioni di DQ perché la sua reale esistenza dimostra che gli incantatori dei libri cavallereschi esistono nella realtà, non solo nella testa di Don Q. L'esistenza di Cide Hamete è una presa in giro fortunata, ed è anche l’unico esempio di totale non plausibilità nell'intero libro. In conclusione, Riley dice che presentando Benengeli come storico, Cervantes rispetta l'impegno del romanziere nei confronti della storia. Screditandolo dicendo che è un moro, mostra che il romanzo non narra fatti che devono essere creduti per oro colato. Trattandolo come un ammaliatore, riconosce al romanziere il diritto di operare in regioni extra- storiche. Cervantes ci fa capire quale sia la natura della verità romanzesca e il carattere fittizio del romanzo. Alla fine del capitolo torna al combattimento con il Biscayan, vediamo come passa dalla tranquillità alla violenza, si dimostra il suo carattere rabbioso e l'alternanza sanità mentale/pazzia. Don Q lo guardava molto calmo, e vedendolo cadere, balzò da cavallo e molto leggero gli si avvicinò, e mettendogli negli occhi la punta della spada, gli disse di arrendersi; in caso contrario, si taglierebbe la testa. Don q si comporta come un personaggio cavalleresco; Vince e gli manda Dulcinea. Le donne spaventate chiedono pietà, e promettono qualunque cosa: andranno a Dulcinea, anche se non sanno chi è. L'assurdità di questa vittoria è che, anche se gli avesse obbedito, il Biscayan non avrebbe potuto trovare Dulcinea a Toboso. CAPITOLO 10 BALSAMO DI FIERABRAS Tratta di cosa è sccesso a Don Q con il vizcaino e il pericolo in cui si è trovato con una folla di yangüese. C’è la prima svista di Cervantes: la battaglia con il vizcaino è terminata e quella con gli Yanguese si svolgerà poi nel capitolo 15. Il capitolo funge da commento al precedente scontro e si sviluppa come un dialogo tra Don Q e Sancho. Don Q spiega la differenza tra aventura de encrucijada / de ínsula. Lo avverte che queste avventure non sono de insula ma di enrucijada, in cui non c'è altro da guadagnare che togliere una testa rotta o un orecchio in meno. Sii paziente, quali avventure ti verranno offerte dove non solo potrò nominarti governatore, ma in seguito. Sancho non sa leggere, non ne
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