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Il Ruolo della Donna nella Società Capitalista: Lotta per l'Emancipazione, Appunti di Storia Contemporanea

Storia del lavoroStoria SocialeStoria EconomicaStoria delle donneStoria giuridica

I principi del marxismo rivoluzionario e il ruolo della donna nella società capitalista. Esplora come la tradizionale supremazia maschile ha influenzato la posizione sociale delle donne, le lotte per l'uguaglianza e la loro emancipazione. le leggi e le pratiche sociali che hanno mantenuto la soggezione delle donne, e la resistenza di uomini e donne alla richiesta di diritti politici e sociali per le donne.

Cosa imparerai

  • Come le donne hanno partecipato all'industria e al lavoro in diverse epoche storiche?
  • Come le donne hanno partecipato alle rivoluzioni e alle lotte per la libertà, l'uguaglianza e la fraternità?
  • Come la condizione delle donne è cambiata nel corso del tempo?
  • Quali sono le condizioni sociali, economiche e giuridiche delle donne nella società capitalistica?
  • Come le donne sono state emancipate attraverso la lotta dell'intero proletariato?

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 05/04/2018

Federica.Marrollo1
Federica.Marrollo1 🇮🇹

4.4

(5)

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Scarica Il Ruolo della Donna nella Società Capitalista: Lotta per l'Emancipazione e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! LA DONNA E IL SOCIALISMO Testi del marxismo rivoluzionario 2 LA DONNA NEL PASSATO, NEL PRESENTE E NELL'AVVENIRE AUGUST BEBEL 2 primo un accesorio insignificante» (2). L’inferiorità giuridica venne solo dopo questo grande passaggio, a riprova del fatto che i mezzi giu- ridici non rivoluzionano nulla, ma si limitano a istitu- zionalizzare quello che per una data società è già di- ventato un fatto o un’esigenza. La conseguenza, per i marxisti, è che la soggezione della donna finirà quan- do crollerà la barriera che la tiene schiava, ovvero la sua separazione dal lavoro produttivo sociale. Que- sta condizione storica (già sottolineata da Engels nell’opera che abbiamo citato) ha già cominciato a verificarsi sotto il capitalismo, rendendo possibile – ma senza attuarla – l’emancipazione femminile. L’op- pressione della donna è iniziata a causa di fattori eco- nomico-sociali e terminerà a causa di fattori analo- ghi; ecco perché la rivoluzione dei costumi, la rivo- luzione sociale non potrà mai avvenire attraverso i mezzi giuridici; ecco perché, data la fortissima resi- stenza dei fattori economico-sociali che garantisco- no alla borghesia il predominio generale sulla socie- tà, è soltanto con la vittoria su quella fortissima resi- stenza che potrà aprirsi il corso di una una nuova organizzazione sociale nella quale venga superata la civilizzazione capitalistica, sapendo che «la base del- la civilizzazione è lo sfruttamento di una classe su di un’altra classe» e che «tutta la sua evoluzione si muove in una contraddizione costante. Ogni progres- so della produzione è nel medesimo tempo un regres- so della situazione della classe oppressa, vale a dire della maggioranza. Ogni beneficio per gli uni è ne- cessariamente un male per gli altri; ogni grado di emancipazione raggiunto da una classe è un nuovo elemento di oppressione per l’altra. La prova più evidente ci è fornita dall’introduzione del macchi- nismo, i cui effetti sono oggi conosciuti da tutto il mondo» (3). La donna, nella società capitalistica, subisce una doppia oppressione, quella salariale (pari a quella che subisce il proletario) e quella domestica (inerente alla cura della casa e dei figli nell’ambito della famiglia). L’oppressione domestica è molto più antica di quella salariale, dato che quest’ultima appare solo con il capitalismo avendo esso costretto, ad un certo pun- to dello sviluppo della produzione, anche la donna proletaria (ed i suoi figli) ad entrare in concorrenza nella vendita della sua forza lavoro con la forza lavo- ro rappresentata dal proletario, dal «pater familias», da colui che, nella divisione dei compiti all’interno della famiglia monogamica, provvedeva al sostenta- mento dell’intera famiglia attraverso il suo salario, mentre la moglie doveva provvedere ai lavori dome- stici e all’allevamento dei figli. E’ un’altra delle con- traddizioni di fondo della civiltà capitalistica: mentre l’inserimento della donna nella produzione sociale, e quindi nella vita sociale, rappresenta un effettivo pro- gresso per il genere femminile rispetto alle società classiste precedenti, rappresenta nello steso tempo un ulteriore aspetto dell’oppressione della donna poi- ché, invece di liberarla dalle incombenze domesti- che, si aggiunge ad esse. E’ interessante ricordare che la parola famiglia deriva dal latino: «non significa, inizialmente, l’ide- ale fatto di sentimentalismo e di discordia dell’odier- no filisteo, né si applica dapprincipio, tra i Roma- ni, alla coppia coniugale e ai suoi figli, ma ai soli schiavi. Famulus vuol dire schiavo domestico, e fa- milia designa l’assieme degli schiavi appartenenti a uno stesso uomo. Ancora al tempo di Caio, la fami- lia, id est patromonium (vale a dire la parte di eredi- tà), era legata per testamento. L’espressione fu in- ventata dai Romani per designare un nuovo organi- smo sociale, il cui capo governava sulla donna, i figli e un certo numero di schiavi, secondo il potere paterno romano e col diritto di vita e di morte su tutti» (Engels, L’origine della famiglia ecc., cit. p.70). Questa forma di famiglia segna il passaggio, sottolinea Engels, dal matrimonio sindiasmico (*) alla monogamia, e la donna è sottomessa senza riserva al potere dell’uomo; ed Engels continua: «L’esisten- za della schiavitù a fianco della monogamia, la pre- senza delle giovani e belle prigioniere appartenenti corpo e anima all’uomo che le ha conquistate, co- stituiscono fin dall’origine il carattere specifico della monogamia, la quale è monogamia soltanto per la donna e non per l’uomo. Tale carattere permane ancora oggi» (p. 75). E ancora: «La monogamia non compare affatto nella storia come una sorta di ri- conciliazione tra l’uomo e la donna, e meno ancora come la forma più elevata della famiglia. Fa la sua comparsa in scena sotto la forma dell’assoggetta- mento di un sesso all’altro, della proclamazione di un conflitto tra i sessi fino a quel momento scono- sciuto dalla storia anteriore» (p. 78). Tornando alla famiglia monogamica, essa, nella società borghese, rappresenta l’unità economica di base, anche al di là delle mille contraddizioni che la caratterizzano sia in termini di adulterio che di pro- stituzione. E’ d’altra parte un fatto che, in tutte le (*) Secondo Lewis H. Morgan, dal cui libro più famoso – Ancient Society or Researches in the Lines of Human Progress from Savagery, through Barbarism to Civilization, del 1877 – Engels prende le mosse per la sua opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, a tre forme principali di matrimonio corrispondono tre stadi principali di evoluzione umana. Allo stato selvaggio corrisponde il matrimonio a gruppi, alla barbarie il matrimonio sindiasmico, alla civiltà la monogamia con i suoi complementi: l’adulterio e la prostituzione. Il matrimonio sindiasmico è l’unione a coppie: l’uomo aveva una moglie principale tra le sue innumerevoli spose, ed era per lei il marito principale tra tutti gli altri. (Vedi pp. 57-74, de L’origine della famiglia ecc., cit.). (2) Cfr. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, cap. IX, Barbarie e civiltà, cit., p. 187. (3) Ibidem, cit., p. 204. 3 società divise in classi, il matrimonio è legato alle condizioni di classe degli interessati e quindi è sem- pre un matrimonio di convenienza, una unione in cui predominano generalmente gli interessi economici della coppia e delle famiglie di provenienza. Le leggi borghesi che governano il «diritto di famiglia» non hanno fatto altro che sistematizzare quanto era già in essere nelle società precedenti rispetto alla proprietà privata e al diritto di eredità. E sebbene le famiglie proletarie non abbiano in genere possedimenti da di- fendere e da trasmettere in eredità ai figli, ovviamente anch’esse devono rispettare gli ordinamenti giuridici che regolano l’intera società; e, nonostante l’evolu- zione dei costumi e dei bisogni sociali abbiano spinto in molti paesi capitalisticamente avanzati i poteri bor- ghesi a promulgare leggi che prevedono una certa «libertà» ed «eguaglianza» giuridica tra uomini e don- ne, resta estremamente radicata nella società la tra- dizionale supremazia maschile sul genere femminile. Cosa che si può constatare facilmente in ogni cam- po di attività economica e sociale, ma che gli stessi media borghesi sono costretti di tanto in tanto a de- nunciare (lo sfruttamento sistematico della prostitu- zione, i maltrattamenti delle donne in ambito dome- stico fino al loro assassinio, la diseguaglianza di trat- tamento economico nei posti di lavoro ecc.). Contro tutti gli aspetti che caratterizzano la sog- gezione della donna all’uomo nella società borghese si sono formati, nel tempo, e in seguito alla parte- cipazione delle donne alle rivoluzioni e alle lotte per «la libertà, l’eguaglianza e la fraternità», molti movi- menti di protesta e di critica politica che hanno avan- zato rivendicazioni – ed ancor oggi rivendicano – per la parità giuridica e pratica tra i due sessi in tutti gli ambiti della vita sociale. Ma come il marxismo ha sempre affermato, nella società divisa in classi anta- goniste non sarà mai possibile, nemmeno nella re- pubblica democratica più avanzata, ottenere l’effet- tiva eliminazione di ogni discriminazione nei confronti della donna e di ogni sua soggezione all’uomo. La grande industria, come dicevamo, ha certamente aperto alle donne la via della produzione sociale e perciò la via alla vita pubblica e alla vita politica, ma questo in realtà vale quasi esclusivamente per le don- ne del proletariato. Le cose sono però messe in modo tale, come sottolinea Engels, «che la donna, se dà la propria attività al servizio privato della famiglia, rimane esclusa dal lavoro sociale e non può guada- gnare; e se, al contrario, vuole prender parte all’in- dustria pubblica e guadagnare per proprio conto, non è in condizioni di poter compiere i suoi doveri in famiglia. Ugual dilemma la donna incontra in tutte le branche del lavoro pubblico: in quello me- dico, come in quello dell’avvocato o nella fabbri- ca. La famiglia individuale moderna è basata sulla schiavitù domestica più o meno palese della don- na, e la società moderna è una massa le cui mole- cole sono rappresentate appunto dalle famiglie individuali. L’uomo, ai giorni nostri, deve nella maggior parte dei casi guadagnare la vita per tutta la famiglia, cosa questa che gli concede una si- tuazione preponderante che non ha affatto biso- gno di essere convalidata dalle leggi. Egli è, nel corpo della famiglia, il borghese; la donna vi rap- presenta il proletario» (L’origine della famiglia ecc., cit., pp. 87-88). Nei capitoli dedicati alla donna nel passato e nel presente del suo libro su La donna e il socialismo, Bebel non farà che dimostrare, con molteplici dati oggettivi e citazioni dai vari studiosi borghesi, esat- tamente quanto anticipato da Engels nel 1884, e pri- ma ancora da Marx ed Engels nell’Ideologia tede- sca del 1846. Da un vecchio manoscritto elaborato da Marx ed Engels contemporaneo all’Ideologia te- desca, Engels riporta, nell’Origine della famiglia ecc., questa frase: «La prima divisione del lavoro è quella che si compie tra l’uomo e la donna per la procreazione dei figli», ed aggiunge: «il primo anta- gonismo di classe che fa la sua apparizione nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna in regime monogamico, e la prima oppressione di classe con l’oppressione del sesso fem- minile da parte di quello maschile. La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporane- amente inaugurò, a lato della schiavitù e della pro- prietà privata, quest’epoca che si prolunga ai giorni nostri, nella quale ciascun progresso è nello stesso tempo un regresso relativo, dove la felicità e lo sviluppo degli uni si attuano a prezzo dell’infelici- tà e dell’oppressione degli altri. E’ una forma cel- lulare della società civile, nella quale possiamo studiare già la natura delle contraddizioni e degli antagonismi che si sviluppano pienamente in que- sta stessa società» (cit., pp.78-79). E’ lo sviluppo del capitalismo, come dirà Clara Zetkin nel suo discorso al congresso di Gotha, che ha «frantumato l’antica economia familiare che nel periodo pre-capitalista aveva garantito alla grande massa del mondo femminile un mezzo di sostenta- mento e un senso alla propria vita». Le macchine, il modo di produzione moderno, scavarono «la fossa alla produzione autonoma della famiglia, ponendo milioni, non migliaia, di donne di fronte al proble- ma di trovare un nuovo mezzo di sostentamento, un senso alla propria vita (...) Milioni di donne venne- ro costrette a cercarselo fuori, nella società» (4). Ma la «questione femminile» si pone in modo ben diverso per le donne della grande borghesia, per quelle della media e piccola borghesia, e per le donne pro- letarie. Nella famiglia monogamica della società bor- ghese, la donna è in ogni caso sottomessa all’uomo, poiché l’unione tra uomo e donna è decisa dal dena- ro, dal patrimonio. Le donne della grande borghesia (4) Cfr. C. Zetkin, L’apporto della donna proletaria è indispensabile per la vittoria del socialismo , Discorso tenuto al Congresso di Gotha del Partito socialdemocratico tedesco il 16 ottobre 1896, in La questione femminile e la lotta al riformismo , G. Mazzotta Editore, Milano 1972, p. 82. 4 «grazie al loro patrimonio, possono sviluppare libe- ramente la propria individualità, seguire le proprie inclinazioni» anche se «come mogli esse dipendono ancora dall’uomo. Lo strascico della tutela sessuale dei tempi antichi si è riversato nel diritto di fami- glia (...) Là dove la donna non è più costretta ad assolvere i suoi doveri di moglie, madre e massaia, essa li riversa su personale di servizio stipendiato». La rivendicazione della donna della grande borghesia fa parte della lotta all’interno della stessa classe do- minante, ed è una lotta «per l’abolizione di tutte le discriminazioni sociali», certamente, ma «fondate sul patrimonio» (5). Le donne della media e piccola borghesia, e ov- viamente degli intellettuali borghesi, soffrono in modo diverso della disgregazione della famiglia, perché nella misura in cui la produzione capitalistica procede nella sua marcia trionfante, «la media e la piccola bor- ghesia vanno progressivamente incontro alla distru- zione». E a proposito degli intellettuali, Clara Zetkin chiarisce un aspetto fondamentale del loro ruolo nella società capitalistica: «il capitale ha bisogno di for- ze-lavoro intelligenti e scientificamente preparate e, in questo senso, ha favorito una sovrapproduzione di proletari del lavoro mentale determinando in tal modo un mutamento negativo della posizione socia- le degli appartenenti alle professioni liberali, che nel passato era stata molto decorosa e redditizia. Nella stessa misura decresce però il numero dei ma- trimoni, in quanto, se da un lato le premesse mate- riali sono peggiorate, sono dall’altro accresciute le esigenze vitali del singolo (...) Il limite d’età per la creazione d’una propria famiglia viene vieppiù di- lazionato (...) E così il numero delle donne nubili tra gli strati medio-borghesi è in continuo aumento. Le donne e le adolescenti di questa classe vengono ributtate nella società perché possano fondare un’esi- stenza che non procuri loro solo del pane, ma anche un soddisfacimento morale. In questi strati la don- na non è equiparata con l’uomo in qualità di pro- prietà di beni privati; non è neppure equiparata in qualità di proletaria come avviene negli strati pro- letari; la donna di quelle classi medie deve innanzi tutto conquistarsi l’eguaglianza economica con l’uo- mo e lo può fare solo attraverso due rivendicazioni, quella di eguali diritti nella formazione professio- nale e quella di eguali diritti per i due sessi nella pratica professionale. Da un punto di vista econo- mico, ciò non significa altro che la realizzazione della libertà di professione e della concorrenza tra uomo e donna. Il realizzarsi di questa rivendicazione sca- tena un contrasto d’interessi tra gli uomini e le don- ne della media borghesia e dell’intellighentsia. La concorrenza delle donne nelle libere professioni è la causa della resistenza degli uomini contro le riven- dicazioni delle femministe borghesi (...) Questa lot- ta concorrenziale spinge la donna appartenente a questi strati alla richiesta di diritti politici al fine d’abbattere ogni barriera che ostacoli la sua attivi- tà economica» (6). Ma, per non far torto al movi- mento femminile borghese, Clara Zetkin riconosce che i motivi addotti non sono riconducibili soltanto al fattore economico. Sebbene costituisca il perno determinante delle rivendicazioni delle donne borghe- si, vanno considerati anche l’aspetto morale e spiri- tuale. «La donna borghese non chiede soltanto di guadagnarsi da vivere, ma anche una vita spiritua- le, lo sviluppo della propria personalità» e «parte- cipare allo sviluppo della cultura moderna», e cul- tura moderna vuol dire cultura borghese, nelle arti, nelle scienze, nell’istruzione attraverso cui la società borghese influenza e plasma le grandi masse a fini di conservazione. Per quanto riguarda la donna proletaria, la que- stione «femminile» si pone in modo completamente diverso, perché il capitale, nel suo iperfolle svilup- po, allarga lo sfruttamento della forza lavoro a tutti i componenti della famiglia proletaria, uomo, donna, fanciulli, e in tale processo la donna proletaria viene inserita nella vita economica grazie al fatto di rap- presentare (7) «una forza-lavoro volonterosa che solo in rarissimi casi osa opporre resistenza allo sfrutta- mento capitalista» (e ciò vale ancor più per i fan- ciulli proletari). La donna proletaria è utilizzata, in tutto un primo periodo, in lavorazioni in cui si ren- dono necessarie l’abilità manuale e l’attitudine a ri- petere senza stancarsi gesti e movimenti semplici ma di grande precisione (attitudine allenata nei lavori domestici, nella cura della casa e della prole); ma l’invenzione di macchinari più complessi che sem- plificano le mansioni lavorative degli operai ha reso possibile l’impiego di manodopera femminile anche in molte lavorazioni che in precedenza richiedevano l’impiego di forza muscolare e resistenza agli sforzi fisici che solo la manodopera maschile poteva ga- rantire. E’ così che, a grande scala, il capitale ha aperto le fabbriche alle donne proletarie ma a salari più bassi di quelli riconosciuti agli uomini e a condi- zioni di lavoro spesso più umilianti approfittando della generale soggezione sociale di cui le donne soffrono nella società borghese; per di più le donne proletarie, oltre ad essere pagate peggio degli uomini, nel siste- ma capitalistico sono sottoposte costantemente a forme di ricatto sia sul piano economico, che mora- le e personale. E tutto ciò, se dal punto di vista so- ciale rappresenta un progresso perché le donne ven- gono in questo modo strappate alle quattro mura di casa e, volenti o nolenti, inserite nella vita economi- ca, sociale e politica che in precedenza vedeva pro- tagonisti soltanto gli uomini, allo stesso tempo rap- presenta una concorrenza sleale, dato che la forza- lavoro femminile costa meno, è più flessibile alle molteplici esigenze organizzative delle aziende e, in genere, oppone molto meno resistenza alla pressio- ne del capitale. Certo, inserita nella vita economica della società, la donna proletaria porta a casa un sa- (5) Ibidem, pp. 83-84. (6) Ibidem, pp. 84-85. (7) Ibidem, p. 86. 7 E’ verità storica, ineccepibile: il movimento rivolu- zionario comunista è stato sconfitto, e il suo primo bastione eretto in Russia è stato distrutto e smantel- lato, accelerando in questo modo il processo di svi- luppo del capitalismo nella vastissima area euroasia- tica nella quale si era imposta la vittoria bolscevica. E’ un fatto, peraltro, che negli anni dell’ascesa rivo- luzionaria e della gestione della dittatura proletaria da parte del partito bolscevico di Lenin, non ancora corrotto dall’opportunismo e dal nazionalismo gran- de-russo, tutta una serie di interventi del potere co- munista in Russia ha sopravanzato di gran lunga quanto, a quell’epoca, in centrovent’anni, è stato fatto nei paesi anche i più democratici del mondo. Lenin , nel 1919, scriveva: «A parole, la demo- crazia borghese promette l’eguaglianza e la libertà, ma di fatto persino la repubblica borghese più avan- zata non ha dato alla metà del genere umano, quella costituita dalle donne, la piena eguaglianza giuri- dica con l’uomo, né l’ha liberata dalla tutela e dal- l’oppressione dell’uomo. La democrazia borghese è una democrazia fatta di frasi pompose, di espressio- ni altisonanti, di promesse magniloquenti, di belle parole d’ordine di libertà e di eguaglianza, ma tutto ciò, in effetti, dissimula la mancanza di libertà e di eguaglianza per i lavoratori e gli sfruttati (...). Non vi può essere e non vi sarà vera ‘libertà’ finché la donna non sarà liberata dai privilegi che le leggi hanno riconosciuto all’uomo, finché l’operaio non sarà liberato dal giogo del capitale, finché il conta- dino lavoratore non sarà liberato dal giogo del ca- pitalista, del grande proprietario fondiario, del com- merciante» (15). E, passando all’attacco, afferma- va: «In due anni, in uno dei paesi più arretrati del- l’Europa, il potere sovietico ha fatto per l’emanci- pazione della donna, per la sua eguaglianza con il sesso ‘forte’, più di quanto abbiano fatto tutte le repubbliche avanzate, colte, ‘democratiche’del mon- do intero in centrotrent’anni. Educazione, cultura, civiltà, libertà: a tutte queste parole altisonanti, in ogni repubblica borghese capitalistica del mondo corrispondono leggi inverosimilmente infami, disgu- stose, bestialmente brutali che consacrano l’inegua- glianza giuridica della donna per quanto riguarda il matrimonio e il divorzio, sanzionano l’ineguaglian- za tra figli naturali e ‘legittimi’ e, attribuendo pri- vilegi agli uomini, umiliano e offendono la donna. Il giogo del capitale, l’oppresione della ‘sacra pro- prietà privata’, il dispotismo dell’ottusità piccolo- borghese, la cupidigia del piccolo padrone hanno impedito alle repubbliche borghesi più democrati- che di toccare queste leggi vili e abiette. La repub- blica sovietica, la repubblica degli operai e dei con- tadini ha spazzato via di colpo queste leggi, non ha lasciato pietra su pietra degli edifici costruiti dalla menzogna e dall’ipocrisia borghese» (16). E non si trattò soltanto di spazzar via le leggi; iniziò nel con- tempo l’organizzazione delle mense e delle lavande- rie pubbliche, degli asili e delle scuole in un paese che aveva un’altissima percentuale di analfabetismo, e la partecipazione attiva delle donne proletarie e con- tadine alla vita politica pubblica e all’economia, in particolare nella produzione e nella distribuzione agri- cola e nel controllo dei rifornimenti alle città e al- l’esercito rosso impegnato nella lunga guerra contro le guardie bianche sostenute da tutti i paesi capitali- sti occidentali allo scopo di distruggere e seppellire la prima grande vittoria del proletariato rivoluziona- rio. «Noi creiamo istituzioni, mense, nidi d’infanzia modello per liberare le donne dai lavori domestici. E il lavoro per organizzare tutte queste istituzioni toccherà innanzitutto alle donne» insiste Lenin (17), e nonostante le enormi difficoltà in cui versava la Repubblica dei soviet a causa delle distruzioni della guerra, e della guerra civile ancora in corso, le care- stie e la generale arretratezza economica del paese, l’attitudine della dittatura proletaria è stata quella «che dovunque si presenta la benché minima possibilità, sorgono le istituzioni che liberano le donne dalla condizione di schiave domestiche». E’ certo che le prossime rivoluzioni proletarie, soprattutto se avverranno inizialmente in paesi capi- talisticamente avanzati, non potranno che ampliare enormemente questo tipo di interventi attraverso i quali la partecipazione delle donne proletarie alla ge- stione sociale diretta dalla dittatura proletaria avver- rà nella piena eguaglianza di quella maschile. * * * Nel 1891 usciva l’undicesima edizione dell’opera di August Bebel intitolata «La donna e il socialismo», sulla quale si basò la prima traduzione in lingua ita- liana. E’ questa edizione che noi utilizziamo nella pre- sente ripubblicazione. Va precisato che nelle tredici puntate in cui abbiamo riprodotto nel nostro giorna- le, «il comunista», una gran parte di questo testo (18), siamo intervenuti soltanto nelle formulazioni lessicali che oggi, data l’evoluzione della stessa lin- gua scritta, appesantirebbero troppo lo scritto. Quanto alle note che accompagnano il testo, a quelle originali apposte da Bebel (segnalate come «Note di A. Bebel») abbiamo aggiunto di nostra iniziativa tutte le note che abbiamo ritenuto utili per una migliore comprensione di determinate parole, di certe locuzio- ni e dei molteplici autori citati da Bebel. L’interesse di questo testo è dato dal fatto che è praticamente l’unico testo coerentemente marxista con fini divulgativi che offre una trattazione insieme (15) Cfr. Lenin, Il potere sovietico e la situazione della donna, 6 novembre 1919, in Opere, vol. 30, cit., pp. 101-102. (16) Cfr. Lenin, Il potere sovietico e la situazione della donna, cit., pp. 102-103. (17) Cfr. Lenin, I compiti del movimento operaio femminile..., cit., p. 32. (18) Vedi «il comunista», nn. 111, 112, 114, 128, 129, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 142 e 143, presenti in pdf anche nel sito www.pcint.org. 8 storica e politica delle società umane basata sulle scoperte antropologiche dei vari Bachofen, Morgan ecc. che verso la fine dell’Ottocento approfondiro- no lo studio delle organizzazioni sociali umane liberi dal condizionamento ideologico della religione e dai preconcetti scientifici che fino ad allora non aveva- no permesso indagini così puntuali, materialistiche e storiche. Naturalmente, come lo stesso Bebel affer- ma, il suo studio non avrebbe avuto la possibilità di concretizzarsi senza l’apporto decisivo di Engels e del suo «L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato». Per quanto, a più di centovent’anni di distanza e soprattutto nei paesi occidentali, siano cambiati molto i costumi e le abitudini, tanto da far apparire le legi- slazioni vigenti molto più progressive del periodo in cui usciva lo scritto di Bebel, è indubbio che la don- na soffra ancora dell’oppressione tipica della società divisa in classi e, come ribadiranno tutti i marxisti in tutti i tempi, in particolare di una doppia oppressio- ne: l’oppressione da lavoro salariato (condizione che dialetticamente l’ha spinta verso un progresso so- ciale che prima le era vietato, l’indipendenza econo- mica e la partecipazione alla vita politica) e da lavori domestici. L’emancipazione della donna da questa doppia oppressione, sosterrà Bebel alla pari di ogni marxista conseguente, non potrà vedere la luce se non attra- verso la lotta che pone al centro la questione operaia: l’emancipazione della donna e l’emancipazione della classe operaia vanno di pari passo, non si possono realizzare se non insieme, attraverso una lotta che ha per obiettivo la rivoluzione della classe del proleta- riato, l’unica classe in grado storicamente non solo di porsi il problema di emancipare il genere umano da ogni tipo di oppressione – quindi anche l’oppres- sione della donna – ma anche di realizzare il passag- gio storico necessario perché la specie umana rag- giunga questo risultato. Il passaggio storico neces- sario consiste nella rivoluzione proletaria, nella con- quista del potere politico, nella dittatura di classe del proletariato esercitata dal partito di classe, e quindi negli interventi dispotici che solo la dittatura proleta- ria è in grado di attuare al fine di distruggere tutto l’impianto sovrastrutturale politico, ideologico, cul- turale, amministrativo e la base economica della so- cietà capitalistica, dunque della società borghese. Lo scritto di Bebel contribuisce a comprendere i pas- saggi storici che le società umane hanno attraversa- to fino a raggiungere l’ultima società di classe stori- camente possibile, cioè la società capitalistica, e a comprendere la necessità della distruzione di questa società perché la specie umana possa effettivamente passare dalla sua preistoria di classe alla società di specie, al comunismo. D’altra parte, come affermato più volte dai marxi- sti, la teoria del comunismo rivoluzionario non pre- tende di costruire un modello di società al quale ispi- rarsi per trasformare la società presente. «Il comu- nismo – scrivono Marx ed Engels ne L’Ideologia tedesca – per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le con- dizioni di questo movimento risultano dal presuppo- sto ora esistente» (19). E Bebel segue con grandissi- ma coerenza questo principio quando, nella terza parte del suo libro, dedicata alla donna dell’avvenire, ri- porta, concordando con essa, l’opinione dello zoo- logo, etnologo e geologo F. Ratzel (20) che scrive- va: «L’uomo non deve considerarsi come una ecce- zione alle leggi naturali, ma deve a queste leggi conformare le sue azioni e i suoi pensieri. Egli fini- rà col regolare tutta la sua condotta e i suoi rapporti con la famiglia e con lo Stato, non già secondo i principi dei secoli lontani, ma secondo i principi razionali di una scienza conforme a natura. Politi- ca, morale, principi giuridici che oggi si ispirano alle idee più varie e disparate si conformeranno alle leggi naturali, nient’altro. L’esistenza degna dell’uo- mo, onde si favoleggia da migliaia di secoli, diven- terà finalmente un fatto compiuto». A questo Bebel si collega per affermare che: «La società umana ha percorso per migliaia di anni tutte le fasi di sviluppo, per arrivare finalmente là donde è partita, cioè alla proprietà collettiva, all’egua- glianza e alla fratellanza, non solo di tutti i gentili [appartenenti ad un’unica stirpe, NdR], ma di tutti gli uomini. Ecco l’immenso progresso che essa fece. Quello che la società borghese chiedeva indarno, e in cui essa fallì, e doveva fallire, e cioè nel fondare la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza, sarà attuato dal socialismo. Ma questo ritorno dell’umanità al punto di partenza della sua evoluzione avviene in un grado di civiltà infinitamente più alto di quello dal quale essa prese le mosse». Nel corso dell’evo- luzione il comunismo primitivo è stato superato da organizzazioni sociali meno rozze: «tutta la società si è atomizzata, ma nel tempo stesso aumentò la for- za produttiva della società e i bisogni si moltiplica- rono, e dalle gentes e dalle stirpi uscirono le nazio- ni, creando una condizione di cose che è in stridente contraddizione coi bisogni di quasi tutta la società, e fa ritenere che l’unico modo di togliere codesta contraddizione sia quello di trasformare con base più ampia la proprietà e le forze produttive in pro- prietà comune. La società ripiglia quello che essa possedeva, ma organizzata in modo da far rispon- (19) Vedi K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, 1845-46, in Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1972, p.34. (20) Friedrich Ratzel (1844-1904), che nella traduzione italiana del libro di A. Bebel appare erroneamente come Francesco Ratzel, è stato uno zoologo, geologo ed etnologo tedesco dedicatosi all’antropogeografia; infatti la sua opera più nota è Anthropogeographie in cui analizza la diffusione dei gruppi umani sulla superficie terrestre in relazione alle caratteristiche del territorio. 9 dere tutta la sua esistenza alle nuove condizioni pro- duttive, così da assicurare, per quanto è possibile, a tutto quello che prima non era che privilegio di po- chi, o di classi. Ora anche la donna riprende quel posto importante che occupava nella società primi- tiva, per diventare non già signora, ma eguale». Quindi, la fine della società capitalistica e bor- ghese non è la fine del progresso umano, è semmai la fine della preistoria umana, come affermava En- gels, poiché la nuova società che nascerà dalla di- struzione del capitalismo, delle sue leggi, del suo modo di produzione e delle sue sovrastrutture politi- che, sociali e culturali, utilizzerà il progresso tecni- co-industriale per rendere il lavoro umano necessa- rio alla vita sociale come una gioia e non come una tragica necessità. E sarà proprio la condizione della donna nella società a segnare l’avanzata verso la so- cietà futura, verso il comunismo ossia verso la so- cietà di specie. Bebel afferma fin dalle prime righe della parte terza del suo libro: «In questa società la donna è, così socialmente come economicamente, del tutto indipendente, non è soggetta più ad alcuna apparenza di tirannia né allo sfruttamento, trovan- dosi ormai di fronte all’uomo libera ed uguale, pa- drona di sé e del suo destino. La sua educazione è uguale a quella dell’uomo, eccetto là dove la diffe- renza del sesso rende necessario un trattamento spe- ciale. Essa può sviluppare, date le condizioni di esi- stenza conformi a natura, tutte le sue forze e attitu- dini fisiche e morali, ed esercitare la sua attività in quel campo che meglio si addice e risponde alle sue inclinazioni, al suo talento e ai suoi desideri. Essa è, date le stesse condizioni, non meno capace ed abile dell’uomo. Operaia in qualche industria o mestiere, di lì ad un’ora diventa educatrice e maestra, per esercitare subito dopo qualche arte od occuparsi di qualche scienza, per compiere dopo ancora qualche funzione amministrativa. Essa studia e si diverte, conversa coi suoi simili o cogli uomini, come le piace e come l’occasione le si presenta. In amore essa è libera di scegliere, precisamente come l’uomo; chie- de in matrimonio, ovvero si fa chiedere, e stringe il vincolo senza alcun altro riguardo che alla sua in- clinazione (...) senza l’intervento di alcun funzio- nario (...). Il socialismo non viene a creare in que- sta materia nulla di nuovo, ma non fa che ristabilire in un grado più alto di civiltà e sotto forme sociali nuove, ciò che vigeva generalmente nei primi stadi della civiltà e prima che la proprietà privata domi- nasse la società». Dunque, la conclusione di Bebel non poteva che essere: «Nell’assetto socialistico, nel quale può essere veramente libera e sulla sua base naturale, l’umanità procederà con coscienza nel suo sviluppo secondo le leggi di natura. In tutte le epo- che fino ad oggi in riguardo alla produzione, alla distribuzione e alla popolazione, l’umanità proce- dette senza conoscere le proprie leggi e quindi senza coscienza; nella nuova società essa andrà avanti con piena conoscenza di queste leggi e regolarmente. Il socialismo è la scienza applicata a tutti i rami dell’attività umana con piena coscienza e per- fetta cognizione.» Ma tutto questo non avviene automaticamente, attraverso una graduale evoluzione delle società uma- ne, né tantomeno può avvenire in modo pacifico. Come indica la storia di tutte le organizzazioni socia- li che si sono succedute nel tempo finora, un nuovo modo di produzione, una nuova organizzazione so- ciale si sono imposte attraverso la violenza, attra- verso una lotta che i gruppi umani legati da interessi materiali e di classe diversi ed antagonisti hanno con- dotto per affermare il proprio predominio sull’intera società. Non sarà diverso per la classe proletaria nei confronti della classe borghese. Ciò che sarà del tutto diverso, sarà il risultato finale della lotta di classe del proletariato, ma non la lotta per raggiungerlo. Il ri- sultato finale sarà quello di una società senza classi, quindi senza antagonismi di classe e dalla quale sa- ranno scomparse tutte le contraddizioni che caratte- rizzano la società capitalistica. La forza sociale rappresentata dai proletari, per diventare una forza propulsiva e rivoluzionaria, deve organizzarsi a quello scopo, riconoscendo l’antago- nismo che li oppone alla classe borghese, e imboc- cando la strada obbligata della guerra di classe; ob- bligata, certo, perché la classe dominante borghese, per difendere il proprio dominio economico, sociale e politico, utilizza, come ha già fatto nel passato, qualsiasi tipo di violenza, di repressione e di oppres- sione; anche solo per difendersi dalla violenza bor- ghese, le masse proletarie devono organizzare la loro forza anche nel campo della violenza di classe e farsi guidare da un partito che ne rappresenta gli obiettivi finali, il partito comunista rivoluzionario. Le batta- glie si possono vincere e si possono perdere; le rivo- luzioni possono vincere temporaneamente e perdere nel tempo a causa del loro isolamento, come è suc- cesso alla Comune di Parigi e alla Rivoluzione bol- scevica. Ma la guerra di classe del proletariato vin- cerà perché il corso storico della lotta fra le classi porta, inevitabilmente, le grandi masse proletarie che costituiscono la maggioranza assoluta della popola- zione mondiale, ad un certo punto a non sopportare più la tremenda e violenta pressione esercitata dalla classe borghese. Sarà una lotta per la vita o per la morte, per la sopravvivenza della società basata sul- lo sfruttamento sempre più bestiale della stragrande maggioranza della popolazione mondiale da parte di una piccola minoranza di privilegiati o per la sua de- finitiva eliminazione aprendo in questo modo la via alla nascita della nuova società di specie. Partito comunista internazionale (il comunista) 6 novembre 2016 12 Vi sono poi degli altri i quali non chiudono asso- lutamente gli occhi e le orecchie davanti ai fatti di così grande eloquenza; essi ammettono che in com- plesso le donne si siano trovate soltanto un secolo fà in una condizione così triste come oggi, in para- gone allo stato dello sviluppo generaledella coltura, e che perciò sia necessario ricercare i mezzi atti a migliorarelelorocondizionifinoaquandoessedevono provvedere da loro stesse al loro sostentamento. Ma ritengono che il problema sociale sia risolto per quelle donne che sono entrate nel porto del matri- monio. Partendo da questa premessa, costoro chiedono che alla donna siano aperti tutti i campi dell’attività per i quali sono adatte le forze e le attitudini sue, affinchè possa entrare in concorrenza coll’uomo. Coloro che vanno un pò più in là esigono che questa gara non rimanga semplicemente circoscritta entro i limiti delle consuete occupazioni e professioni più basse, ma si estenda anche a quelle più elevate, entri cioè nel campo delle arti e delle scienze. Egli esigono che le donne vengano ammesse in tutti gli istituti di educazione più elevati, e in modo speciale alle Università, che finora, nella maggior parte dei paesi, tengono chiusi i loro battenti in faccia ad esse. La loro mira principale tende ai diversi rami d’inse- gnamento, alla medicina e agli impieghi dello Stato (poste, telegrafi e certi rami del servizio ferrovia- rio), per iquali ritengono chele donneabbiano un’at- titudine particolare, forti delle prove basate su risul- tati pratici che vennero già raggiunti, specialmente negli Stati Uniti, mediante l’impiego delle donne. Una piccola minoranza di costoro spingono le loro esigenze fino a chiedere per la donna anche i diritti politici. La donna, come individuo e come cittadino, vale quanto l’uomo, e gli uomini sfruttano un privilegio, fin qui goduto, di manipolare esclusivamente da per loro la legislazione a tutto loro vantaggio, ponendo per tutti i riguardi la donna sotto tutela. Ciò che per altro merita di essere notato in tali tendenze, che noi venimmo qui brevemente riassu- mendo, si è che esse non escono dai confini del- l’odierno ordinamento sociale. Nessuno si è dato cura di chiedersi se, raggiunto una volta lo scopo, basti a migliorare radicalmente la condizione e la posizione della donna. Non si pensò – o vi fu illusio- ne – che, entrata in discussione la illimitata ammis- sione delle donne nelle professioni e nelle industrie, lo scopo è realmente raggiunto e trova la spinta la più vigorosa, da parte delle classi dirigenti, nel loro proprio interesse; ma che, date le presenti condizio- ni sociali, tale ammissione porta con sè una recru- descenza ancora più aspra nel campo della concor- renza delle forze lavoratrici, donde la conseguenza necessaria d’una diminuzione delle entrate di ambi- due i sessi, sia che si tratti di mercede o di stipendio. La mancanza di precisione e di chiarezza degli intenti riesce pure evidente da ciò, che la “questione della donna” venne fin qui trattata quasi esclusiva- mente dalle donne delle classi più elevate, le quali non hanno presenteche la stretta cerchiadelle donne in cui esse vivono, e sostanzialmente fanno valere le loro pretese soltanto per queste. Ora è del tutto indifferente per la grande massa che qualche centinaio o qualche migliaio di donne delle travagliate classi medie, giunte ad un più ele- vato grado di coltura, riescano ad esercitare la pra- tica medica o cacciarsi nella carriera degli impieghi e vi trovino una posizione tollerabile o bastevole ai lorobisogni. Questo non porta alcun mutamento nella condi- zione complessiva delle donne. Con ciò non vengono eliminate, nè la tirannia esercitata su esse dagli uomini, nè la dipendenza materiale della immensa maggioranza delle donne, nè di conseguenza la loro schiavitù, derivante dal sistema matrimoniale moderno o dalla prostituzio- ne. Dunque la questione non viene punto risolta. Con simili palliativi, in generale, la condizione delle donne resta tale e quale, e quindi è naturale che la loro maggioranza non ne sia entusiasta. D’al- tro canto, aspirazioni simili a quelle cui testè accen- nammo, vengono vivissimamente avversate nel mondo maschile da quei circoli influenti, che ravvi- sano nell’ammissione delle donne ai posti meglio rimunerati o più decorosi una spiacevole concor- renza a loro ed ai loro figliuoli. E perciò vi si oppon- gono, usando di tutti i mezzi, anche dei meno leciti ed onesti, come l’ha già provato l’esperienza. Nè trovano punto a ridire finchè le donne affluiscono a tutte le cosidette professioni più basse, anzi trovano che la cosa procede regolarmente, e favoriscono il movimento, che in fondo rinvilisce le forze lavora- trici. Ma se la donna mostra di voler occupare delle posizioni sociali più elevate ed ufficiali, allora prin- cipia la loro opposizione. Anche lo Stato, influenzato da costoro, è poco disposto, come lo hanno dimostrato le già fatte espe- rienze, ad ammettere le donne al suo servizio, e meno che meno poi ai posti più elevati, per quanto la loro abilità le possa rendere pienamente idonee. Lo Stato e le classi più elevate hanno abbattuto ogni barriera che siopponeva alla concorrenza della classe operaia, ma, per ciò che concerne le profes- sioni più alte, si studiano d’innalzarle. E si risente una curiosa impressione al vedere con quale acca- nimento dotti e impiegati, medici e giuristi si difen- dono, se“i nonchiamati” minaccianodi rovesciarle. E tra “i non chiamati” quelle che stanno in prima linea, sono,agiudiziodi questi circoli, ledonne. Essi si considerano volentieri come i “favoriti da Dio” e ritengonoche ilmatrimonio intellettuale, che credo- no di possedere, sia assolutamente un privilegio cui 13 non devono attentarsi di stendere la mano nè l’uo- mo comune, nè, sopratutto, la donna. Se adunque questo lavoro non avesse altro sco- po se non quellodi dimostrare l’uguaglianza giuridi- ca della donna di fronte all’uomo sul terreno della società odierna, io lo abbandonerei. Ma si tratta invece di trovare la via per giungere alla soluzione del problema, il quale è complesso, poichè non ten- de soltanto a parificare giuridicamente la donna al- l’uomo, ma anche a renderla economicamente li- bera e da lui indipendente e, per quanto possibile, a lui uguale nella educazione intellettuale. Ora, sic- come la completa soluzione di esso, dati gli attuali ordinamenti sociali e politici, è altrettanto impossi- bile quanto la soluzionedella questioneoperaia, così la via che conduce a risolvere la questione della donna sarà quella stessa che ci condurrà a risolvere la questione operaia.Ambedue le questioni sono di primo ordine e la loro soluzione è della massima importanzaper il generale sviluppo intellettuale del- l’umanità,poichè la loro soluzione involve sopratut- to quella dell’esistente questione sulla coltura. Qui è necessario ch’io faccia una dichiarazione. Colorochedividono imiei sentimenti, i socialisti, è certo che condivideranno questi miei principi, ma non posso affermare altrettanto in quanto ai mezzi coi quali intendo si debbano efficaciemente appli- care. I lettori, e tra questi specialmente gli avversa- ri, voglianoperciòconsiderarequantovadoad espor- re come mie vedute personali, e rivolgere gli even- tuali loro attacchi soltanto contro la mia persona. Dal canto mio esprimo unicamente il desiderio che siano onesti nell’assalirmi, che non svisino le mie parole e che tralascino la calunnia. La maggior parte dei lettori riterranno che que- sta sia cosa intesa e naturale. Ma io, forte di una lunga esperienza di molti anni, so come una gran parte dei miei avversari intendano l’onestà politica, e perciò dubito molto che i più tra essi vogliano seguire la mia raccomandazione. Eglino faranno ciò che la loro natura li costringe a fare. Io trarrò in questa mia dissertazione tutte quelle conseguenze, fossero pure le più estreme, che i risultati, ottenuti con la scorta dei fatti, mi permetteranno di trarre. 14 La donna e l’operaio già da lungo tempo hanno questo di comune: che ambedue sono oppressi, e che l’oppressione, malgrado i cambiamenti di forma cui andò soggetta, permane sempre. Se esaminiamo la storia, vediamo che tanto la don- na quanto l’operaio sono giunti soltanto da poco tempo ad acquistare la coscienza della loro condizioni servile; ma la donna meno dell’operaio, poiché essa di regola si trova in una condizione inferiore a lui e da lui stesso fu ed è considerata e trattata come un essere inferiore. La schiavitù sociale, che perdura per una lunga serie digenerazioni, finiscecoldiventareun’abitudine.L’ere- dità e l’educazione fanno sì che ambedue le parti la considerino una cosa “secondo natura”. E perciò ancor oggi la donna sopporta la sua condizione subordinata come una cosa che va da sé, naturale, e costa non poca fatica a persuaderla che è indegna di lei e che deve energicamente adoperarsi per ottenere nella società una posizione pari a quella dell’uomo sotto tutti i rispetti. Ora, poiché tanto la donna quanto l’operaio si tro- vano in parecchi riguardi in una condizione sociale simile ed ambedue sono oppressi, la donna ha un diritto di priorità di fronte all’operaio. La donna è il primo essere umano che cadde in servitù, e fu schiava prima ancora che lo schiavo esistesse. Tutte le oppressioni sociali hanno la loro radice nella dipendenza economica dell’oppresso dall’op- pressore. In questa condizione si trova la donna dai tempi più remoti fin o ad oggi. Per quanto risaliamo col pensiero ad indagare nella società umana, troviamo quale prima forma di consor- zio umano l’orda. Benché l’Honnegger ritenga nella sua Storia generale della coltura, che ancora oggi si trovano nella poco esplorata Borneo degli individui selvaggi, che vivono isolatamente, e quantunque an- che il De Hügel affermiche nelle selvagge regionimon- tuose delle Indie furono scoperte delle coppie diuomini che, simili alle scimmie, s’arrampicavano sugli alberi, non appena si muoveva loro incontro, tuttavia non abbiamo nozionipiù precisesu questi fenomeni, iquali, quand’anche venissero accertati, non servirebbero ad altro che a confermare le congetture e le ipotesi sulla origine e sullo sviluppo della razza umana. Si deve ammettere senz’altro che là dove nacquero uomini, essi derivarono da coppie separate; ma si deve anche ammettere che, non appena formatosi un più grosso numero di quelli che uscirono da uno stesso ceppo, si organizzarono sotto forma di orde, per sod- disfare, mercé gli sforzi comuni, ai bisogni ancora primitivi dell’esistenza e dell’alimentazione, e per di- LA DONNA NEL PASSATO fendersi altresì contro il loro comune nemico, le fiere. Questo stato selvaggio, sul quale non possiamo in nessun modo avere delle prove più attendibili, è venuto in ogni caso a confermare indubbiamente quello che abbiamo appreso intorno ai vari gradi di cultura delle popolazioni selvagge ancora esistenti, ovvero cono- sciute nei tempi storici. Se l’uomo non è venuto al mondo perfetto come un essere di più alta cultura, come insegna il mito biblico, per ordine di un creatore, egli ha dovuto percorrere in un processo evolutivo, lento ed infinitamente lungo, i più svariati stadi, per salire a poco a poco all’attuale grado di cultura, dopo periodi alternati di regresso e progresso, e dopo con- tinuedifferenze coi suoi simili in tutte le parti delmondo e in tutte le zone. E mentre grandi e numerosi popoli e nazioni rag- giungono i più alti gradi della cultura in una parte della terra, vediamo altri popoli e razze vivere nelle più diver- se parti del globo nei più diversi gradi di sviluppo intel- lettuale, i quali ci danno così un’immagine del nostro stesso passato e additano la via che l’umanità la percor- so durante la sua evoluzione. Una volta fissati i punti di vista comuni, perché generalmente riconosciuti giusti, secondo i quali lo studio della cultura deve istituire le sue ricerche, avre- mo una immensa serie di fatti, i quali getteranno nuova luce sulle relazioni degli uomini nel passato e nel pre- sente, e molti avvenimenti, che oggi non comprendia- mo e che, giudicando superficialmente, ci sembrano irragionevoli ed anche immorali, appariranno naturali e spiegabili. Il velo che avvolgeva la storia più remota dello sviluppo della nostra razza, fu squarciato dalle ricerche che i signori Morgan e Bachofen (1) esposero nelle loro opere, e si fece la luce sui fatti e risultati, che furono poi coordinati, sistemati e storicamente provati da Federico Engels (2). (1) Vedi Ancient Society, or Researches in the Lines of Hu- man Progres from Savagery through Barbarism to Civilisa- tion, By Lewis Morgan, London, Mcmillan et Comp., 1877 – la traduzione comparve a Stoccarda per i tipi di I. H. Dietz sotto il titolo: La Società primitiva. Ricerche sul progresso dell’uma- nità dall’epoca selvaggia attraverso la barbarie fino alla civil- tà. Completo in circa 11 fascicoli. L’Autorità materna. Studio sulla ginecocrazia dell’antichità secondo la sua natura religio- sa e giuridica, di I.l. Bachofen, consigliere d’Appello in Basi- lea, Stoccarda ediz. Di Krais e Hoffmann. 1861. (Nota di A. Bebel) (2) L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In aggiunta agli studi di Lewis H. Morgan, di Federico Engels, Stoccarda 1879. (Nota di A. Bebel) 17 egli designa col nome di parentela di sangue. Qui i gruppi che si trovano in relazione sessuale sono divisi per generazioni, in modo che tutti gli avi e le ave, il marito e la moglie, come i loro figliuoli e i discendenti da questi, formano, entro i confini della famiglia, un circolo di coppie comuni. Qui, dunque, all’opposto della primitiva forma di famiglia, in cui esiste generale promiscuità sessuale, senza distinzione di età, abbiamo il fatto che una gene- razione è esclusa dal commercio sessuale con l’altra. Ma codesto commercio permane tra fratelli e sorelle, cugini e cugine di primo e secondo grado e di grado più remoto. Tutti costoro sono bensì l’uno dell’altro sorel- la e fratello, ma sono anche l’uno verso l’altro maschio e femmina. A questa forma di famiglia corrisponde un rapporto di parentela uguale a quello che esisteva, benché soltanto di nome, nella prima metà del nostro secolo [l’Ottocento, Ndr] ad Hawaii.All’incontro, giu- sta il sistema di parentela indo-americano, fratello e sorella non possono essere mai padre e madre dello stesso figliolo; mentre lo possono giusta il sistema di Hawaii. La famiglia basata sulla consanguineità può essere stato il sistema vigente ai tempi di Erodono presso i Massageti, a proposito dei quali Erodono scri- ve: «Ciascuno sposa una donna, ma tutti possono usarne». Erodono verte in errore nella prima proposi- zione, perché quanto egli dice poi esclude l’idea della monogamia. Egli continua: «Non appena un maschio si è invaghito di una donna, appende la sua faretra sul davanti del carro e si unisce tranquillamente a lei… Poi pianta in terra il bastone, come segno ed immagine dell’opera sua…. Il concubito è esercitato pubblica- mente» (3). Lo stesso si narra dagli antichi scrittori degli Etiopi e degli Indiani. In Egitto, ove per migliaia di anni usa- rono identiche costumanze, il cane, quale simbolo di questa forma delle relazioni sessuali, era oggetto di religiosa venerazione. Dell’accoppiamento all’aperto è fatta menzione anche nella Bibbia (2 Versetto di Sa- muele, 20 e segg.), doveAhitofel consiglia Assalonne, insorto contro David, di giacere coram populo con le concubine del re, per esprimergli così l’assunzione del comando e dei diritti dell’uomo; consiglio posto in atto da Assalonne sul tetto di casa sua. Alla famiglia costituita a base di consanguineità succede, secondo Morgan, una terza forma più eleva- ta, che egli chiama famiglia Punalua. In questa è vie- tato l’accoppiamento non soltanto tra genitori e figli, ma anche tra fratelli e sorelle. Questa comincia dunque con l’esclusione dei fratelli e delle sorelle carnali, e precisamente da parte materna. La prova della paternità è impossibile là dove una donna ha più mariti. La paternità è puramente una fin- zione; essa riposa, come Goethe fa dire a Federico, «soltanto sulla buona fede». Se essa è spesso dubbia nella monogamia, è manifestamente impossibile nella poliandria, mentre la discendenza dalla madre è indub- bia e indiscutibile.Quindi, fin da principio si stabilì che la discendenza dalla madre valesse quale norma e criterio per la discendenza. Siccome poi tutte le tra- sformazioni radicali nei rapporti sociali si compiono lentamente, così anche il trapasso dalla famiglia a base di consanguineità alla famiglia Punalua, ha ri- chiesto un lungo periodo di tempo e fu interrotto da molti regressi che si possono notare anche in tempi molto più avanzati. L’occasione esterna immediata che favorì lo svi- luppo della famiglia Punalua (Punalua vale compagno, compagna) può essere stata la necessità di suddividere il numero molto ingrossato dei membri della famiglia, per poter pretendere nuovi terreni per il pascolo o per l’agricoltura. E’ anche verosimile che col graduale sviluppo della cultura si cominciasse, un po’ alla volta, a comprende- re il danno e la sconvenienza del concubito tra fratelli e sorelle; d’onde seguì che l’aumentata popolazione rese possibile una limitazione che, fino allora, con una popolazione più esigua, s’era imposta da se stessa. E’ anche possibile che l’allevamento delle mandrie abbia fatto conoscere alle genti della stessa razza il danno delle relazioni incestuose. Che si avessero importanti esperienze nell’allevamento del bestiame già nei tempi remoti è provato dal modo in cui Giacobbe seppe ac- coccarla (4) a Laban, suo suocero, provvedendo nel proprio interesse alla nascita di agnelli e capre chiazza- te che gli sarebbero toccate in eredità (Libro I di Mosè, cap. 29, vers. 33 e segg.). Quindi,nella famiglia Punalua si formò l’unione nei sessi in modo che una o più serie di sorelle di una famiglia si sposavano con una o più serie di fratelli di un’altra famiglia. Le sorelle germane o le cugine di primo e secondo grado e di grado anche più lontano, erano dunque le donne comuni dei loro comuni uomini i quali non potevano essere i loro fratelli. I fratelli ger- mani (5) o i cugini di vario grado erano i mariti comuni delle loro donne comuni, le quali non potevano essere le loro sorelle. Cessato l’incesto, la nuova forma della famiglia portò indubbiamente ad un più rapido e vigo- roso sviluppo delle razze, e procurò a quelle che accet- tarono questa forma di unione domestica un vantaggio su quelle che avevano conservato il vecchio sistema di relazioni. E qui è opportuno rilevare che in origine le differenze fisiche e psichiche fra uomo e donna erano molto meno spiccate di quelle della società moderna. In quasi tutte le popolazioni selvagge o barbare, le differenze nel peso e nel volume del cervello sono minori che presso i popoli inciviliti. Presso le prime, anche nella forza muscolare e nell’agilità le donne stan- no dipoco aldi sotto degli uomini. E di ciò abbiamo una prova non solo nella testimonianza di antichi scrittori sui popoli che appartenevano al diritto materno, ma lo provano altresì le condizioni esistenti presso la popo- lazione degli Ascianti nell’Africa occidentale e l’eser- cito delle Amazzoni del re del Dahomey. Si possono citare anche i giudizi di Tacito sulle donne dei Germani (6). I rapporti di parentela risultanti dall’unione fami- (3) Bachofen: Il diritto della madre (Nota di A. Bebel). Concubito significa accoppiamento. 4) Accoccarla a qualcuno: fargli danno, fargli qualche scherzo. 5) Fratelli germani, sorelle germane: nati dagli stessi ge- nitori. 6) In questo caso, significa: della Germania, tedeschi. 18 gliare testé descritta, la famiglia Punalua, erano dunque i seguenti: i figli delle sorelle dimiamadre sono figliuoli suoi, e i figli dei fratelli di mio padre sono suoi figli, e tutti insieme sono miei fratelli e mie sorelle. Invece i figli dei fratelli di mia madre sono di lei nipoti, e i figli delle sorelle di mio padre sono nipoti di lui, e tutti insieme sono miei cugini e mie cugine. Inoltre, i mariti delle sorelle di mia madre sono anche suoi mariti e le moglidei fratelli dimio padre sono anche mogli sue, ma le sorelle di mio padre e i fratelli di mia madre sono esclusi dalla comunione della famiglia, e i loro figliuoli sono cugini e cugine miei (7). Col progredire della cultura cessa il commercio sessuale tra fratelli e sorelle e va cessando a poco a poco anche tra i collaterali più lontani per parte di madre. Si forma invece un nuovo sistema basato sulla consanguineità, quello della Gens, che nel suo organi- smo primitivo è costituito da una serie di sorelle carnali più lontane insieme ai loro figli e ai loro fratelli germani o più remoti per parte di madre. La Gens ha una pro- genitrice dalla quale derivano le discendenti femminili per generazioni. Ma i mariti di queste sorelle non pos- sono essere più i fratelli delle loro spose, anzi non appartengono più nemmeno allo stesso gruppo di pa- rentela o Gens delle loro mogli, bensì a quello delle loro sorelle. All’incontro, i figli di questi mariti entrano nel gruppo della famiglia delle madri loro, perché la di- scendenza si regola dalla madre. La madre è il capo della famiglia, da cui il «diritto materno» che costitu- isce la base dei rapporti di famiglia e di eredità. «Il Licio, interrogato sulla sua famiglia – dice Erodono – enumera le madri di sua madre. Le figlie ereditano». In quel tempo si parla di matrimonium, non di pa- trimonium, di mater familias non di pater familias, e il paese natìo si chiama paese materno. Come in pre- cedenti forme di famiglia, anche la Gens sibasava sulla comunione dei beni e si reggeva a sistema da economia comunistica. La donna conduce e guida questa comu- nione di famiglia, gode quindi anche di una grande reputazione tanto in casa quanto negli affari della stir- pe; è arbitra e giudice, provvede ai bisogni del culto ed è sacerdotessa. Il frequente apparire di regine e principesse nell’an- tichità, la loro decisiva influenza anche là dove regnano i loro figli, per es., nell’antica storia dell’Egitto, è la conseguenza del diritto materno. Anche la mitologia assume in quel periodo carattere preponderantemente muliebre: Demetra, Cerere, Latona, Iside, ecc. La donna è ritenuta inviolabile, il matricidio è il più grave di tutti i reati, e chiama tutti gli uomini a vendicarlo. La vendetta di sangue è lo sfogo dell’offesa recata all’onore e agli interessidella famiglia e della stirpe. La difesa delle donne e della casa materna, stimola gli uomini ad atti del massimo valore. Gli effetti del diritto materno, della ginecocrazia, si manifestarono in tutti i rapporti sociali degli antichipopoli, presso ibabilonesi, gliAssiri, gliEgiziani, iGreci prima delperiodo eroico, le popolazioni italiane al tempo della fondazione di Roma, gli Sciti, i Galli, gli Iberi e i Cantari, i Germani di Tacito, ecc. La donna ebbe allora nella famiglia e nella vita pubblica una posizione che poi non riuscì mai più ad occupare. Sotto il regime della ginecocrazia regnava general- mente uno stato di relativa pace. Le relazioni erano ristrette, primitivo il metodo di vita. Le singole stirpi vivevano possibilmente separate le une dalle altre, ri- spettando i confini. Ma se una stirpe veniva assalita da un’altra, gli uomini erano obbligati alla difesa cui ga- gliardamente cooperavano le donne. Erodono narra che presso gli Sciti le donne prendevano parte al com- battimento; e la giovinetta non avrebbe potuto maritar- si senza aver ucciso un nemico. E’ noto dalle descrizioni di Cesare e di Tacito qual posto prendessero al combattimento le donne dei Ger- mani. Ma anche nella Gens esse esercitavano, a secon- da delle circostanze, un dominio rigoroso, e guai al- l’uomo che fosse stato troppo pigro o troppo inetto a prestare l’opera per il generale sostentamento. Gli si chiudevano le porte in faccia, ed allora, o tornava fra la sua Gens in cui difficilmente trovava cordiale acco- glienza, o si recava presso un’altra Gens verso di luipiù indulgente. Che questo carattere di vita famigliare esista ancor oggi nell’interno dell’Africa, ebbe a constatarlo, con sua grande sorpresa, Livingstone, come narra nel suo libro: Missionary travels and researches in southern Africa. London, 1857. Allo Zambesi si imbatté nei Balorda, una razza di neri belli e vigorosi, che attendo- no all’agricoltura, e vi trovò la conferma delle relazioni fatte dai Portoghesi che a lui sulle prime parvero incre- dibili; e cioè che le donne vi godevano una posizione affatto privilegiata. Siedono a Consiglio; un giovane che si fa sposo deve passare dal suo villaggio in quello della sposa ed obbligarsi a provvedere di legna da ar- dere per la madre della sposa e per tutta la vita; ma, in caso di separazione, i figli restano di proprietà della madre. La moglie, dal canto suo, deve provvedere al nutrimento del marito. Sebbene scoppiassero di quan- do in quando dei litigi fra uomini e donne, Livingstone rilevò che gli uomini non si ribellavano, mentre i mariti che avevano ingiuriato le loro donne venivano puniti in una maniera dolorosa, e cioè col digiuno. «Il marito – narra Livingstone – viene a casa per mangiare, ma una moglie lo manda dall’altra, ed egli finisce col non ricevere nulla da alcuna. Stanco ed affamato, si arrampica su di un albero nel punto più popoloso del villaggio, e dice con voce lamentosa: Udite, udite! Io credevo di aver sposato delle donne, ma esse sono per me delle streghe! Io sono celibe, non ho neppure una donna! Vi par giusto per un signore come me?». Se una, a sfogo della sua ira, passa a vie di fatto contro un uomo, viene condannata a portare sulla schiena suo marito dalla corte del capo fino a casa sua. E mentre fa la strada col suo carico, gli altri mariti la insultano e la beffeggiano, laddove d’altro lato le donne la incoraggiano gridandole: «Trattalo come merita; fagli ancora ciò che gli hai fatto». A mano a mano che la popolazione aumenta, si forma una serie di gentes costituite da sorelle, che alla loro volta danno vita a gentes di figlie. Di contro a queste appare la gens della madre, come fratria. Più 7) Cfr F. Engels: L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (Nota di A. Bebel). 19 fratrie costituiscono la tribù. Tale organizzazione so- ciale è tanto solida da formare la base dell’organizza- zione militare dei vecchi stati, ancora quando l’antica costituzione gentilizia era già disciolta. La tribù si divide in altre tribù e tutte hanno la stessa costituzione e in ognuna delle quali si trovano ancora le vecchie gentes. Ma la costituzione gentilizia si scavò da se stessa la fossa, col proibire i matrimoni fra sorelle e fratelli e tra parenti per parte di madre, fino ai più lontani. Per effetto dei rapporti reciproci, sempre più stretti, fra le singole gentes, il divieto di matrimonio fra le varie gentes discendenti per parte di madre diventa alla lunga inattuabile e cade da sé.Altri rapportiminano in misura ancora più grave la costituzione esistente e le danno l’ultimo colpo. Finché la produzione dei mezzi necessari all’esi- stenza era piccola e si appagava di soddisfazioni molto modeste, l’attività dell’uomo e della donna era in so- stanza la stessa. Cresciuta la divisione del lavoro, non solo si divisero le funzioni ma anche i guadagni. La pesca, la caccia e l’allevamento del bestiame richiede- vano cognizioni speciali e la costruzione di strumenti e utensili divenneropreferibilmente attività caratteristi- ca degli uomini. L’agricoltura allargò di molto la cer- chia delle attività e creò una copia di beni da bastare ai bisogni più elevati di quel tempo. L’uomo che, in tale periodo di sviluppo, eccelleva per operosità, diventò il vero padrone e signore di queste fonti di ricchezza, che a loro volta formavano la base del commercio il quale creò nuovo rapporti e mutamenti sociali. Aumentati la popolazione e il bisogno di più estesi possessi per i pascoli e per l’agricoltura, cominciarono le razzie e le lotte per il possesso dei fondi e dei terreni migliori, e il bisogno di braccia per lavorarli e costruir- vi. E quanto più grande era il numero di queste forze, tanto maggiore diventava la ricchezza dei prodotti e delle mandrie. Queste lotte condussero alla schiavitù dei vinti e al ratto delle donne. Gli uomini divennero schiavi e ledonne furono applicateai lavorio divennero un oggetto di piacere per i vincitori. E con ciò furono introdotti contemporaneamente due elementi nella vecchia costituzione gentilizia, che con la stessa non si accordavano più. Inoltre, a mano a mano che si manifestano delle differenze tra le singole attività e che cresce il bisogno di strumenti, utensili, armi ecc., sorge l’arte meccani- ca, che prende uno sviluppo a sé e si emancipa dal- l’agricoltura. Si forma quindi una popolazione cittadi- na, dedita preferibilmente alle arti, vicino a un’altra popolazione dedita all’agricoltura e con interessi del tutto opposti. Con ciò il principio unitario della vecchia costituzione gentilizia venne distrutto. Sopraggiunge un altro momento. Secondo il dirit- to materno, e cioè fintanto che la discendenza si cal- colava soltanto in linea femminile, era costume che i gentili che erano fra loro imparentati ereditassero dai loro defunti compagni gentili. Il patrimonio restava alla gens. I figli del padre defunto non appartenevano alla sua gens, ma a quella della madre; e perciò essi non potevano ereditare dal padre, la cui sostanza, dopo la sua morte, ritornava alla sua gens. Col nuovo stato di cose, i beni del padre, che era padrone di mandrie e di schiavi, di armi e provvigioni, operaio o commerciante, non passavano, dopo la sua morte, ai figli, ma ai suoi fratelli e sorelle, e ai figli delle sorelle, oppure ai successori di queste. I figli, poi, non piglia- vano nulla. L’urgenza di mutare un simile stato di cose era quindi vivissima, e fu mutato. Ne derivò una condizione di cose, che non era ancora la mono- gamia, ma le si avvicinava; ne derivò, cioè, la fami- glia accoppiata. Un determinato uomo viveva insieme ad una deter- minata donna, e viceversa, e i figli nati da questa rela- zione erano i loro figlioli. Queste famiglie accoppiate si moltiplicarono da un lato perché gli impedimenti al matrimonio, dipendenti dalla costituzione gentilizia, rendevano più difficili i connubi; dall’altro perché le ragioni economiche so- praccennate facevano apparire desiderabile questa forma di vita domestica. La vecchia costituzione gentilizia fu seppellita e divenne assolutamente impossibile. Le tenne dietro la caduta del diritto materno, che segnò pure la caduta del predominio della donna. Il diritto delpadre venne a pigliare il posto deldiritto materno; in luogo della famiglia accoppiata venne poi la monogamia, che aveva lo scopo di creare degli eredi per il patrimonio privato, che nel frattempo si era ve- nuto accumulando. Poi l’uomo si arrogò il diritto di aggiungere alla legittima moglie tante concubine quante le sue condi- zioni gli consentivano di mantenere, e i figli di queste concubine furono trattati come legittimi, quando la moglie legittima o principale era sterile. A tale riguardo troviamo due passi importanti nella Bibbia. Uno è nel Libro I di Mosè, capitolo 16, versetti 1 e 2: «Sarah, moglie di Abramo, non gli partoriva figlioli; ma essa aveva una fantesca egiziana, di nome Agar. Ed essa disse ad Abramo: Il Signore mi ha fatta sterile: accoppiati con la mia fantesca; eAbramo obbe- dì alla voce di Sarah». L’altro passo meritevole di osservazione si legge nel Libro I di Mosè, capitolo 30, versetto 5 e seguenti ove è detto: «Rachele, vedendo che non dava figlioli a Giacobbe, invidiò sua sorella e disse a Giacobbe: Cre- ami dei figli, se no io muoio. Ma Giacobbe si adirò con Rachele e disse: Io non sono Dio, il quale ti ha negato il frutto del ventre. Ma essa soggiunse: Vedi, eccoti Bilha, mia fantesca; accoppiati con essa, affinché par- torisca sul mio grembo ed io ancora avrò progenie da lei. E gli concesse quindi in moglie Bilha, sua serva, e Giacobbe giacque con essa». Si vedano, inoltre, i passi della Bibbia sulla poligamia dei re di Giudea, David, Salomone ecc. Anche la visita della regina di Saba a Salomone è caratteristica per le relazioni sessuali di quel tempo. Consacrata la soggezione e la servitù della donna, questa divenne oggetto di disprezzo e di abie- zione. Il diritto materno significò comunismo; il diritto paterno significò origine e predominio della proprietà privata, e ad un tempo oppressione e servitù della donna. È difficile, e quasi impossibile, dimostrare partico- lareggiatamente in quale modo si sia compiuto tale 22 per nulla disposto ad imporla anche a se stesso. Di qui l’origine delle Etère (18), donne che eccel- levano per ingegno e bellezza, e preferivano la vita libera e il libero amore alla schiavitù del matrimonio. In ciò quell’epoca non trovava assolutamente nulla di abominevole, perché il nome e la fama di una parte di queste etère, che si trovavano in relazioni intime con gliuominipiù illustridellaGrecia, epigliavanopartealle loro dotte conversazioni come ai loro banchetti, giunse fino a noi, mentre inomidelle spose legittime andarono in gran parte dimenticati. Ricordiamo in prima linea la celebre etèra Aspasia, che fu più tardi concubina di Pericle; Frine, il cui nome nel nostro tempo serve a definire una determinata specie di donne, Laide di Corinto, Gnatea ecc. Ma non ci si fermò alle etère che avevano a che fare soltanto con uomini eminenti. Fattosi acuto il desiderio di donne venali, eccoci alla prostituzione, sconosciuta sotto le condizioni antiche. Già intorno all’anno 504 prima dell’êra nostra, Solone, il primo che diede forma concreta alle nuove condizioni giuridiche, aprì in Atene pubbliche case di tolleranza, onde fu celebrato da un contemporaneo con queste parole: «Gloria a te, Solone! Tu comperasti pubbliche donne per la salute della città che è piena di giovani vigorosi, i quali, senza la tua savia istituzione, si sarebbero abbandonati a moleste persecuzioni delle migliori classi di donne». Di tal guisa una legge dello stato riconobbe come conformi a diritto naturale per gli uomini, atti che, compiuti dalla donna, erano con- siderati come biasimevoli e, sotto certe condizioni, anche delittuosi. E’ notorio che anche oggi non pochi uomini prefe- riscono la compagnia di una bella peccatrice alla com- pagnia della loro legittima sposa, e fra essi ci sono perfino dei «sostegni dello Stato» e delle «colonne dell’ordine» i quali debbono vegliare sulla «santità del matrimonio e della famiglia». Demostene, il grande oratore, precisa nella sua arringa contro Neera la vita di famiglia degli uomini di Atena, là dove dice:«Noi sposiamo la donna per averne figli legittimi e per possedere in casa una custode fe- dele; manteniamo delle concubine per nostro uso quo- tidiano e le etère per i godimenti dell’amore». La mo- glie era dunque una semplice macchina da figlioli; un cane fedele che custodisce la casa. Il padrone viveva secondo il suo bon plaisir, a suo talento. Platone nel suo “Stato” chiede la comunione della donnae la procreazionedei figli regolata dalla selezione naturale, tuttavia la donna è soggetta all’uomo, è sem- plice mezzo allo scopo della moltiplicazione di una razza vigorosa. Aristotele ha idee più civili. La donna, secondo la sua “Politica” deve poter scegliere liberamente, ma essere sottoposta all’uomo; col diritto però di «dare un buon consiglio». Tucidide esprime un’idea che ha le approvazioni di tutti imoderni filistei. Egli dice che merita lode la sposa della quale fuori di casa non si dica né bene né male. Naturalmente, con tali principi il rispetto per la donna doveva diminuire sensibilmente. Ma soprav- venne anche il timore dell’eccesso di popolazione, ed allora, per evitare l’accoppiamento con la donna, si chiese a mezzi contro natura l’appagamento degli ap- petiti erotici. Gli stati della Grecia erano costituiti per la maggior parte soltanto dalle città con limitato terri- torio, il quale non poteva più procurare la consueta alimentazione oltre una data quantità dipopolazione. Il timore dell’eccesso di popolazione indusse quindiAri- stotele a consigliare agli uomini di tenersi lontani dalle donne e a godere i fanciulli. Prima di lui Socrate aveva magnificato la pede- rastia come segno di una civiltà più alta. E a questa rendevano omaggio gli uomini più ragguardevoli della Grecia, e la stima per la donna decadde sempre più. Ci furono perciò case di prostituti, come di prosti- tute. In tale atmosfera sociale, Tucidide, sopra cita- to, poté dire della donna che è più perfida della pro- cellosa onda del mare, delle fiamme del fuoco, del- l’acqua che scende impetuosa dalla montagna. «Se v’è un Dio che inventò la donna, ovunque esso sia, sappia ch’egli è lo scellerato autore del massimo dei mali» (19). Come Socrate fu il glorificatore della pe- derastia, così Saffo di Lesbo, indotta forse dall’esem- pio del sesso maschile, cadde nell’estremo opposto, diventò la poetessa dell’amore tra donne, che dalla patria sua fu chiamato amore lesbico. Mentre in Atene e in quasi tutta la Grecia vigeva il diritto paterno, Sparta, la rivale diAtene, si reggeva a sistema di diritto materno; regime che pareva stra- niero anche agli altri popoli della Grecia. Il dialogo seguente illustra il fatto. Un greco forestiero doman- da ad uno spartano quale pena dovrebbero subire a Sparta gli adulteri. Al che lo spartano: “Straniero, da noi non ci sono adulteri”. Lo straniero: “Ma se ce ne fosse uno?”. “Allora, risponde lo spartano, egli deve dare in pena un bue tanto grosso che possa colla testa raggiungere il Taigeto e abbeverarsi all’Euro- ta”. E alla risposta piena di stupore del forestiero: “Come è possibile che ci sia un bue così enorme?”, lo spartano replica ridendo: “Nella stessa guisa ch’è possibile che a Sparta via sia un adultero!”. Perciò la coscienza delle donne spartane a quel tempo si trova espressa in quella fiera risposta che la moglie di Leonida dà a una straniera quando questa le dice: “Voi spartane siete le sole donne che comandino agli uomini!”; risposta che suona: “Noi siamo anche le sole donne che mettano al mondo degli uomini”: La libera condizione fatta alla donna sotto il regi- me del diritto materno, ne accrebbe bellezza, la fie- rezza, la dignità e l’indipendenza. Tutti gli scrittori concordano nel ritenere che, all’epoca della gineco- crazia, gli accennati pregi adornavano la donna in grado eminente. La condizione di dipendenza che subentrò più tardi, riuscì necessariamente dannosa (18) Etèra, nell’antica Grecia, era una donna non sposata o destinata al matrimonio, colta e raffinata, ben distinta dalla prostituta che in genere era schiava. Le Etère erano numerose soprattutto ad Atene e Corinto, in genere di origine straniera ed erano sottoposte al pagamento di una tassa. Godevano di una libertà negata alle donne sposate o promesse in matrimonio, avevano relazioni sociali soprattutto con uomini importanti della società. (19) Leon Richter, La femme libre (Nota di A. Bebel). 23 a queste doti e trova anzi la sua più evidente espres- sione nella diversità degli abbigliamenti nei due pe- riodi. L’abito della donna dorica cadeva sciolto e leggero dalle spalle, lasciando libere le braccia e scoperta la coscia; è l’abbigliamento della dea Diana dei nostri musei. L’abito ionico, invece, copriva l’intera figura e impediva la libertà dei movimenti. L’abito fino ad oggi pare risponda al concetto di conservare la donna schiava, timida e codarda, per- ciò fisicamente indifesa. L’uso degli Spartani di lasciar andar nude le ragazze fino alla pubertà – ciò che il clima del paese consentiva – secondo l’opinio- ne di un antico scrittore contribuì principalmente a produrre in essi il gusto per la semplicità e la cura dell’aspetto esterno; e non vi era assolutamente nulla, secondo le idee di quel tempo, che offendesse il pudore o destasse la voluttà. E’ noto per antica esperienza che la naturale nudità eccita meno i sensi che un artificiale scoprimento. Tuttavia gli usi e i costumi dell’epoca in cui vi- geva il diritto materno, si conservarono ancora a lungo dopo che il diritto paterno vi si era sostituito. Ed è una reminescenza dei liberi rapporti sessuali predominanti al tempo del diritto materno, l’ingres- so che facevano ogni anno le donzelle babilonesi mature al matrimonio nel tempio di Militta [eraAfro- dite presso gli assiri e i babilonesi, come Venere presso i romani, ndr], per offrire il fiore della loro verginità alle irrompenti schiere degli uomini. Allo stesso modo veniva scarificato a Serapi di Menfi e nel tempio di Afrodite a Corinto, ove dove- vano essere presenti costantemente mille ragazze (Ierodule). Lo stesso avveniva in Armenia in onore della dea Anaiti, e a Cipro in onore di Astarta. Que- sto dovere di sacrificare la loro castità veniva im- posto alle vergini in pena all’offesa recata alla gran madre della natura Matuta con l’esclusività del ma- trimonio. Aveva lo stesso significato l’acquisto che face- vano le vergini libiche della loro dote mediante l’ab- bandono di se stesse. In accordo col diritto mater- no, esse erano sessualmente libere finché nubili, e gli uomini trovavano tanto poco scandaloso tale mezzo d’acquisto della dote, che preferivano come sposa quella che era stata più desiderata. Lo stesso avveniva ai tempi di Erodoto presso i Traci. «Essi non custodivano le fanciulle, ma lasciavano ad esse piena libertà di congiungersi con chi a loro piacesse. Le spose invece venivano da essi rigorosamente custodite; e le comperavano dai loro genitori contro ragguardevole corrispettivo». Ed identiche condi- zioni esistono anche oggi nelle isole Marianne, Filip- pine e della Polinesia, e inoltre, secondo il Waitz, presso diverse tribù africane. Nelle Baleari ed anco- ra in epoca non tanto remota, vigeva il costume – che racchiudeva in sé il concetto del diritto di tutti gli uomini sulla donna, di lasciare, nella notte delle nozze, tutti gli uomini della stessa tribù presso la sposa, uno dopo l’altro in ordine di età; per ultimo veniva lo sposo che, d’allora in poi, la prendeva nel suo esclusivo possesso quale moglie. Questo costume subì una nuova trasformazione presso altri popoli nel senso che i sacerdoti o i capi tribù (re) quali rappresentanti di tutti gli uomini della stessa, godevano di questo privilegio verso la sposa. Così a Malabar vengono noleggiati i Patamari (sa- cerdoti) affinchè colgano per i primi il fiore vergina- le delle spose... Il gran sarcedote (Namburi) è obbli- gato a rendere questo servizio al re (Zamorin) in occasione del suo matrimonio, e il re lo paga con cinquanta fiorini d'oro (20). Nell'interno dell'India ed in parecchie isole del Grande Oceano sono ora i sacerdoti, ora i capi tribù (re), che si sottopongono a questo ufficio (21). Lo stesso avviene in parte nella Senegambia, dove pure il capo della tribù eser- cita lo stesso ufficio ricevendo in compenso un dono. E’ certo, dunque, che anche l’ius primae noctis (il diritto della prima notte) ha la stessa origine nel medioevo cristiano, come sostiene Engels. Il signore, che in questa tradizione medioevale rappresenta il capo tribù, esercita in nome degli uo- mini della sua razza il diritto che una volta spettava a costoro. Ma su di ciò diremo più diffusamente in seguito. Noi troviamo nelle tribù brasiliane e sud-ameri- cane delle reminiscenze del vecchio diritto materno in certe particolari usanze – le quali devono essersi conservate anche presso i Baschi che, per molti ri- spetti, ancor oggi presentano il tipo di un popolo di costumi e di usi antichissimi – specialmente in quella che, in luogo della puerpera, si ponga in letto il marito che si comporta come una partoriente e si fa assistere dalla puerpera. Ciò significa che il padre riconosce il neonato come suo, ed affinchè cosi per lui come per gli altri non ci sia il benchè minimo dubbio sulla legittimità del figlio, finge che anche l'atto del parto sia opera sua. Con lo sparire della antica gens e col sorgere del predominio dell’uomo, sorge pure vicino alla moglie legittima, come già notammo, la concubina, il matri- monio per compera e per ratto. Ora la donna non è soltanto una generatrice di eredi e uno strumento di piacere per l’uomo, ma anche, per mutate condizioni sociali, una forza lavo- ratrice apprezzabile. La figlia della casa diventa un oggetto di commercio. L’uomo che se ne invaghisce deve pagare un prezzo che è vario a seconda delle usanze e dello stato sociale del paese. Matrimonio per compera fu, per esempio, l’ac- quisto di Lea e Rachele, figlie di Labano, fatto da Giacobbe (22). Giacobbe ne pagò il prezzo prestan- do servizio in casa di Labano per alcuni anni e fu, come è noto, ingannato dallo scaltro Labano il quale, invece di Rachele gli diede prima Lea, la maggiore, costringendolo a servirlo per altri sette anni prima di (20) K. Kautsky: L'origine del matrimonio e della fami- glia. Kosmos, 1883 (Nota di A. Bebel). (21) Mantegazza: L'amore nella umanità (Nota di A. Bebel). (22) Giacobbe, uno dei padri dell’ebraismo, patriarca come Abramo e Isacco. Le sue vicende sono narrate nel primo libro della Bibbia, la Genesi. 24 concedergli la seconda sorella. Qui noi vediamo due sorelle spose ad un tempo di un uomo, ciò che se- condo le idee dei nostri giorni costituirebbe una re- lazione incestuosa. A Giacobbe viene anche promesso in dote una parte dei prossimi nati della mandria; egli riceverà, così decide l'egoista Labano, le pecorelle screziate, che, giusta l'esperienza, costituiscono il numero mi- nore, Labano quelle di un solo colore. Ma questa volta il più scaltro fu Giacobbe. Come aveva ingan- nato Esaù sul diritto di primogenitura, così inganna- va ora Labano sulle agnelle. Egli aveva studiato il darwinismo molto prima di Darwin; apparecchiò, secondo narra la Bibbia, dei bastoncelli artificial- mente screziati e li piantò presso l'abbeveratorio; la loro vista continua aveva sulle pecore pregne l'effi- cacia di farle partorire in maggioranza delle agnelle screziate. Per tal modo Israele fu salvato dalla scal- trezza di un suo patriarca. Presso gli Ostiachi della Siberia, il padre vende anche oggi, come ai tempi di Giacobbe, il costume, che l'uomo, il quale desidera una ragazza, entri al servizio dei futuri suoceri e sconti il prezzo pattuito lavorando. Il matrimonio a base di compera non è ancora sparito nemmeno fra noi; esso anzi regna, benché sotto forme simulate, nella società borghese peggio che mai. Il matrimonio a base di denaro che è usato generalmente fra le nostre classi dirigenti non è altro che il matrimonio per compera. Un simbolo dell’acquisto della proprietà sulla donna è pure il regalo di nozze che, in tutti gli stati civili, si fa ancora oggi dallo sposo alla sposa. Con questo mezzo il prezzo non viene pagato ai genitori, ma alla sposa. Accanto al matrimonio per compera esisteva il matrimonio per rapina. Il ratto delle donne era in uso durante tutta l’antichità, e si ripete presso quasi tutti i popoli arrivati a un certo grado di cultura. L’esem- pio storico più noto di ratto di donne è quello della Sabine operato dai romani; ma anche le tribù di Giu- da si servirono del ratto; ad esempio i Beniaminiti, che rapirono le figlie di Silos (23). La Bibbia special- mente fornisce una grande copia di materiale storico per i rapporti sessuali qui descritti fra Giudei, come pure fra le popolazioni entrate con essi in relazione. Là soprattutto dove mancavano donne, come pres- so gli antichi romani, l’acquistarne per mezzo del ratto era cura importante, e tale era pure là dove vigeva la poligamia, come in Oriente (24). Qui spe- cialmente durante il dominio degli arabi dal VII al XII secolo dell’êra nostra, aveva preso una larga diffusione. Anche il ratto si è conservato simbolicamente fino ad oggi, per es. presso gli Araucani del Chili meridionale. Mentre gli amici dello sposo negoziano col padre della sposa, lo sposo si avvicina pian piano sul suo cavallo alla casa, tenta di ghermire la sposa, la getta sul cavallo e fugge con essa nel bosco vici- no. Donne, uomini e fanciulli cercano di impedire la fuga con grida e clamori. Quando lo sposo ha rag- giunto con la sposa il folto del bosco, il matrimonio si considera conchiuso. Ciò vale anche quando il ratto avvenne contro la volontà dei genitori. Il folto del bosco è la stanza nuziale; quando ci si è posto il piede, il matrimonio è conchiuso. Benché lontanamente, ricorda però ancora il tempo del ratto delle donne, il costume presso di noi vigente dei viaggi di nozze; la sposa viene rapita al focolare domestico. Viceversa, lo scambio del- l’anello ricorda la servitù della donna all’uomo e la catena che a lui la lega. In origine era assai radicato a Roma il costume che la sposa ricevesse un anello di ferro, come se- gno che essa era legata all’uomo. Più tardi questo anello fu d’oro, appena il cambio dell’anello valse a significare il vincolo reciproco. L’antica unione domestica delle gentes aveva dunque perduto terreno per effetto dello sviluppo delle condizioni della produzione e del formarsi della proprietà privata, mentre le antiche idee rimasero in vigore ancora per qualche tempo. Quando dalla gens si passò al diritto paterno, l’eguaglianza giuridica della donna venne da princi- pio ancora riconosciuta, ma l’incalzare di sempre nuovi elementi determinò la cessazione dell’antico stato di cose. Con la fondazione della vita delle città, si operò la separazione dell’agricoltura dall’indu- stria. L’erezione di case e di pubblici edifici, la co- struzione di navi, la produzione di strumenti, utensili e armi, il sempre maggiore perfezionamento delle arti dello stovigliaio e della tessitura, posero a poco a poco le basi di una speciale classe di artigiani, i cui interessi non avevano più alcun punto di contatto con quelli della vecchia costituzione gentilizia, ma anzi non di rado erano con essi in conflitto. L’intro- duzione della schiavitù, l’ammissione degli stranieri a far parte dello Stato erano altri elementi che ren- devano impossibile la vecchia costituzione gentili- zia, risvegliando degli interessi e aprendo degli oriz- zonti che richiedevano un nuovo ordine di cose. Il passaggio del diritto ereditario del ramo pater- no nei figli diede vita ad una condizione di cose che si trovava nel più stridente contrasto con gli antichi costumi, e non avrebbe potuto affermarsi se non con l’intervento di una potente autorità. Ne conseguì che le nuove condizioni nei rapporti del possesso, l’antitesi fra agricoltura e industria, fra padroni e schiavi, fra ricchi e poveri, fra debitori e creditori, resero necessario un ordinamento giuri- dico che, da un parte, era molto complicato, dall’al- tra, poteva essere applicato solo mercé l’impiego di determinati mezzi coercitivi. Per tale modo nacque lo Stato, che fu il prodotto necessario delle antitesi sorte nel nuovo ordinamento sociale e degli interessi opposti, e che nelle sue varie forme è una immagine fedele di quel dominio di classe che poi si è venuto formando con l’evoluzione. Sotto il regime del diritto materno, non v’era alcun diritto scritto. Le relazioni erano semplici e (23) Cfr. Il Libro dei giudici, capitolo 21, vers. 20 e segg. (Nota di A. Bebel). (24) Salomone, giusta il Libro dei re, capitolo XI, aveva non meno di 700 mogli e di 300 concubine (Nota di A, Bebel). 27 sono i nemici giurati del maltusianismo (33). E Tacito così ne parla: «Fra loro regna una tenace coesione e una premurosa liberalità, ma provano un odio ostile contro tutti gli altri. Non mangiano, non dormono con nemici e, sebbene estremamente sen- suali, si astengono dall’accoppiarsi con donne stra- niere… ma fanno aumentare la popolazione. E’ per essi peccato l’uccidere uno dei nati dopo la morte del padre: e tengono per immortali le anime di coloro che morirono in battaglia o giustiziati. Di qui l’amore alla moltiplicazione e il disprezzo della morte». Tacito odia e aborre gli Ebrei, perché disprezzan- do la loro religione paterna (la religione dei gentili), ammassano doni e tesori. Li chiama “gli uomini più malvagi” ed un “popolo abominevole” (34). Mentre gli Ebrei sotto la signoria romana furono obbligati a stringersi sempre più fortemente gli uni agli altri, e mentre nel lungo periodo di persecuzione che da allora, e quasi per tutto il medio evo cristiano, ebbero a soffrire, si rafforzò quella vita intima di famiglia che può servire di esempio alla odierna so- cietà civile, nella società romana si compiva il pro- cesso di decomposizione e dissoluzione. Alla dissolutezza che spesso confinava con la pazzia, si contrappose, come altro estremo, la più rigorosa continenza. L’ascetismo assunse le forme religiose che prima aveva assunto il libertinaggio, e il fanatismo più entusiastico gli faceva propaganda. La crapula e la lussuria avevano rotto ogni freno, e formavano il più crudo contrasto col bisogno e la miseria dei milioni e milioni che Roma conquistatri- ce aveva tratti in Italia da tutti i paesi del mondo allora conosciuto. Tra questi c’era anche un numero sterminato di donne che, divise dal focolare domestico, dai geni- tori o dal marito, strappate ai figli, versavano nella più profonda miseria e tutte anelavano al riscatto. E in condizioni di poco migliori si trovavano innume- revoli donne romane; sicché avevano le stesse aspi- razioni e qualunque mutamento nella loro condizioni sarebbe stato per esse il benvenuto. Oltre a ciò la conquista di Gerusalemme e del regno di Giuda per opera dei romani, ebbe per effetto la distruzione di ogni indipendenza nazionale, e produsse fra le sette ascetiche di quel paese dei visionari che annunziava- no l’avvento di un nuovo regno che avrebbe appor- tato a tutti libertà e felicità. Sorse il Cristianesimo. Esso personificò l’oppo- sizione contro il materialismo bestiale dominante fra i grandi e i ricchi dell’impero romano, rappresentò la ribellione contro il disprezzo e l’oppressione delle masse; ma cadde nell’estremo opposto, predicando l’ascetismo. Sorto in un tempo che non riconosceva alcun diritto alla donna, considerandola sotto un falso aspetto come l’origine prima dei visi dominan- ti, esso predicò il disprezzo della donna. Nelle sue inumane dottrine insegnava l’astinenza e la mortifi- cazione della carne. Ma colle su frasi ambigue rela- tive a un regno celeste e ad uno terreno, trovò un sottosuolo fecondo nel terreno paludoso dell’impe- ro romano. La donna, come tutti i miseri, sperando nella sua redenzione, lo abbracciò subito con fervo- re. Tuttavia fino ad oggi si può dire che non si è compiuto nel mondo nessun importante movimento a cui anche le donne non abbiano partecipato attivis- simamente come combattenti e come martiri. Colo- ro quindi che magnificano il cristianesimo come una grande conquista della civiltà, non dovrebbero di- menticare che furono appunto le donne alle quali esso va debitore di una gran parte del suo successo. Il loro zelo per la conversione fu di grande efficacia nell’impero romano nei primi tempi del cristianesi- mo, e fra i popoli barbari nel medio evo, e per loro mezzo i più potenti vennero convertiti. Ricordiamo fra le altre Clotilde, che indusse Clodoveo, re dei Franchi, ad abbracciare il cristianesimo; e Berta, regina di Gand, e Gisella regina d’Ungheria, che lo introdussero nei loro Stati. Si deve pure all’influenza della donna la conversione del duca di Polonia e dello czar Iarislao e di molti altri grandi. Ma il cristianesimo ricompensò male la donna. Esso nelle sue dottrine dimostra per essa lo stesso disprezzo che le dimostrano tutte le religioni del- l’Oriente; le impone di essere la serva obbediente dell’uomo cui, anche oggidì, essa deve promettere obbedienza davanti all’altare. Vediamo come la Bib- bia ed il cristianesimo parlano della donna e del ma- trimonio. Già nella storia della creazione viene imposto alla donna di essere sottomessa all’uomo. Nella scena del paradiso. È la donna che seduce l’uomo ed ha la colpa della cacciata dal paradiso. Si vede che i libri di Mosè furono scritti in un tempo in cui l’uomo era già diventato padrone. I dieci comandamenti del- l’antico testamento sono rivolti all’uomo; soltanto nel nono comandamento la donna viene nominata insieme ai servi e agli animali domestici, e l’uomo viene avvertito di non lasciarsi tentare né dalla donna del prossimo, né dal suo servo, né dalla sua dome- stica, né dai buoi né dagli asini, e da tutto ciò che il prossimo possiede. Qui dunque la donna appare come un oggetto; essa era un brano di proprietà che l’uomo acquistava o contro una somma di denaro o contro prestazione di servizi. Gesù, che appartiene a una setta che si era imposta il più rigoroso asce- norme di agricoltura, ricorrenze, matrimonio, diritto civile e penale, culto, norme sulla purità). Halakhah, in ebraico signifi- ca “via, norma”. Nella tradizione ebraica costituisce la parte normativo-giuridica contenuta nella Torah (in ebraico “legge, insegnamento”, costituita dai primi cinque libri della Bibbia, o Pentatéuco - Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuterono- mio) e codificata nel Talmud; applicata in maniera vincolante a tutti gli aspetti della vita del singolo e della collettività, costitu- isce la base dell’ortodossia pratica ebraica. Haggadah, in ebrai- co significa “racconto”. Nella letteratura rabbinica, l’insieme di racconti, parabole, proverbi e simili a scopo edificante, deri- vante dalla tradizione orale e incorporato nel Talmud. (33) Maltusianismo: teoria ispirata da T. R. Malthus – economista britannico, pastore anglicano, 1766-1834 - secon- do la quale per assicurare il benessere dell’umanità sarebbe necessario applicare misure di controllo delle nascite esercitato con la continenza. (34) Tacito, Storie, libro 5. (Nota di A. Bebel). 28 tismo (astinenza) e l’autoevirazione (35), interroga- to dai suoi discepoli se fosse bene pigliar moglie, risponde: «Non tutti comprendono la parola, ma sol- tanto quelli ai quali è dato; imperocché vi sono evi- rati che così uscirono dall’utero materno, ve ne sono di quelli che vennero evirati dagli uomini; altri poi si sono evirati da sé per ottenere il regno dei cieli» (36). L’evirazione dunque, stando a queste parole, è opera gradita a Dio e la rinunzia all’amore e al matrimonio è un’opera buona. E Paolo che può essere chiamato più che lo stes- so Gesù il fondatore del cristianesimo e che fu il primo a dare caratteri internazionali a questa dottri- na e la sottrasse alle sette giudaiche, predicava: «Il matrimonio è una condizione infima; maritarsi è bene, ma non maritarsi è meglio», …«Vivi nello spirito e resisti agli stimoli della carne…». «Coloro che furono guadagnati da Cristo, hanno mortifica- to la loro carne insieme alle loro passioni e ai loro appetiti». Egli stesso seguì le sue dottrine e non contrasse matrimonio. Quest’odio contro la carne e l’odio contro la donna, che viene rappresentata come la seduttrice dell’uomo (veggasi la scena del Paradi- so). In questo senso predicavano gli apostoli e i padri della chiesa ed in questo senso operò la Chiesa in tutto il medio evo, creando chiostri e introducen- do il celibato dei preti, ed anche oggi essa conserva lo stesso indirizzo. La donna, secondo il cristianesimo, è la impura, la seduttrice che portò il peccato nel mondo e trasse l’uomo a rovina. Perciò gli apostoli e i padri della Chiesa considerarono sempre il matrimonio soltanto come un male necessario, come oggi si considera la prostituzione. Tertuliano esclama: «Donna tu do- vresti sempre menar vita misera, e triste, con gli occhi pieni di lagrime di pentimento, per far dimen- ticare che fosti tu a condurre in rovina il genere umano. Donna! tu sei la porta dell'Inferno!». S. Girolamo dice: «Il matrimonio è sempre un peccato; tutto ciò che si può fare è di scusarlo e santificarlo» – perciò se ne fece un sacramento della chiesa. Origene dichiara: «Il matrimonio è qualche cosa di impuro e di irreligioso; stromento di piaceri sen- suali» e per resistere alla tentazione si evirò. – Ter- tulliano: «Il celibato deve essere preferito quand'an- che il genere umano perisca». S. Agostino: «I celibi risplenderanno in cielo come lucenti stelle, mentre i loro genitori che li procrearono somiglieranno ad astri senza luce». S. Eusebio e S. Gerolamo concor- dano nell’affermare che l’espressione della Bibbia: «Crescete e moltiplicatevi» non risponda più ai tem- pi e la donna cristiana non se ne debba curare. Si potrebbero citare ancora cento dei più illustri lumi- nari della chiesa i quali insegnavano allo stesso modo e predicando di continuo diffusero quei prin- cipi contrari alla natura sulle questioni sessuali e sull’accoppiamento fra i due sessi, che pure è un precetto naturale e il ,cui adempimento costituisce uno dei doveri più importanti del compito della vita. L’odierna società è ancora gravemente malata di queste dottrine, e se ne rimette solo a rilento. San Pietro apostrofa le donne energicamente così: «Donne, siate obbedienti all’uomo». San Paolo scrive agli Efesi: «L’uomo è il signore della donna, come Cristo della Chiesa», e ai Corinti: «L’uomo è l’immagine e la gloria di Dio, e la donna è la gloria dell’uomo». A questa stregua ogni minchione d’uomo può tenersi migliore della donna più distinta, e infatti in pratica anche oggi è così. San Paolo alza pure la sua voce autorevole contro una più elevata educazione ed istruzione della donna, dicendo: «Non si permetta a una donna di educarsi od istruirsi, essa deve ub- bidire, servire e stare tranquilla». Tali dottrine non erano proprie soltanto del cri- stianesimo. Come questo è una miscela di giudaismo e di filosofia greca, e questa ha a sua volta le proprie radici nelle più antiche civiltà degli Egizi, dei Babilo- nesi, degli Indi; così la posizione subordinata fatta dal cristianesimo alla donna era stata comune ad ogni antica civiltà umana. Ogni rapporto di dominio contiene la degradazione dei dominati. E questa posizione subordinata della donna si è conservata fino ad oggi in Oriente, ove la civiltà non raggiunse che un mediocre sviluppo, più assai che nella cri- stianità. Non fu il cristianesimo che migliorò a poco a poco la condizione della donna, ma la civiltà pro- gredente dei paesi occidentali, malgrado il cristia- nesimo. Il cristianesimo non ha proprio nessun merito se oggi la condizione della donna è più elevata di quella che era al tempo della sua origine. Esso, nei riguarda della donna, ha solamente, nolente o costretto, rin- negato la sua vera natura. I fanatici della «missione redentrice del cristia- nesimo», in questo caso come in molti altri riguardi, sono certo di diverso avviso. Essi sostengono che il cristianesimo ha redento la donna dall’antica servi- tù, e si appoggiano soprattutto sul culto di Maria madre di Dio sorto più tardi nel cristianesimo, culto che serve per il sesso femminile come tale. Al con- trario la chiesa cattolica, che fino ad oggi di questo culto ebbe cura, dovrebbe protestare decisamente. I santi e i padri della Chiesa già citati, e dei quali sarebbe agevole riferire molti altri brani, e tra essi i primi e i più grandi collettivamente e individualmen- te, si mostrano avversari della donna e del matrimo- nio. Il Concilio di Macon, che discusse nel VI secolo la questione se la donna ha un anima o non l’ha, si esprime sfavorevolmente sulla intelligenza della donna. L’introduzione del celibato ad opera di papa Gre- gorio VII (37), il furore di una parte dei riformatori, 35) Mantegazza, L’amore nell’umanità (Nota di A. Be- bel). Probabilmente si tratta di Paolo Mantegazza, Gli amori degli uomini, 2 voll., Milano 1886. (36) Matteo [evangelista]: cap. 19, ver. 11 e 12 (Nota di A. Bebel). (37) Fu un provvedimento del quale i parroci, fra gli altri, della diocesi di Magonza si dolsero in questi termini: Voi ve- scovi e abati possedete grandi ricchezze, una tavola principe- 29 e specialmente di Calvino e dei riformatori della chiesa scozzese e dei preti contro i «piaceri della carne», e soprattutto il «Libro dei libri», la Bibbia nelle sue numerose espressioni sfavorevoli alla don- na e all’uomo, insegnano il contrario. La chiesa cattolica introducendo il culto di Maria poneva, con astuto calcolo, il suo proprio culto della dea, in luogo del culto pagano delle dee, che esisteva presso tutti i popoli tra i quali si diffuse il cristiane- simo. Maria fece le veci di Cibale, Militta, Afrodite, Venere, Cerere ecc. dei popoli meridionali; di Edda, Troia ecc. dei popoli germanici; solamente essa venne idealizzata spiritualmente e cristianamente. Le popolazioni primitive, fisicamente sane, rozze ma incorrotte, che nei primi secoli della nostra era, come flutti immani s’avanzarono dall’Est e dal Nord, e inondarono il floscio impero romano dove il cristianesimo a poco a poco dominava da signore, resistettero con tutte le forze alle dottrine ascetiche dei predicatori cristiani, e questi bene o male dovet- tero tenere conto di queste nature sane. I Romani si accorsero con stupore che i costumi di quei popoli erano molto diversi dai costumi loro. Tacito rico- nobbe tale fatto, esprimendosi sui tedeschi così: «I loro matrimoni sono rigorosissimi, e nessuna usan- za è più encomiabile di questa, perché essi sono quasi i soli barbari che si appagano di una donna; di adulterî non si ode parlare quasi mai; e se avvengono sono puniti subito, giudici gli stessi mariti. Il marito caccia fuori del villaggio la moglie adultera, coi ca- pelli tagliati, ignuda, davanti ai parenti; perché l’of- fesa recata alla costumatezza non trova indulgenza. Una donna infedele non trova alcuno che la soccorra né per pregi di bellezza, di gioventù o di ricchezza. Ivi nessuno ride del vizio, né il sedurre o l’essere sedotto vi è considerato come un’occupazione della vita. I giovani si ammogliano tardi e quindi conser- vano le loro forze; anche le fanciulle non vanno a marito troppo presto, e quindi fiorenti di giovinezza e fisicamente robuste si accoppiano ad uomini egualmente forti, della stessa età, e il vigore trapassa di padre in figlio». Non bisogna dimenticare che Tacito ha dipinto le condizioni matrimoniali degli antichi Germani a trop- po rosei colori e senza conoscerle forse abbastanza intimamente, allo scopo di additarle ad esempio ai Romani. E’ vero che l’adultera veniva punita severa- mente presso i Germani, ma non era lo stesso per l’adultero. Ai tempi di Tacito la gens era ancora in fiore fra i Germani. Egli stesso, al quale dovevano apparire strani e incomprensibili – dato il progresso dei rapporti domestici fra i romani – la vecchia costi- tuzione gentilizia e i suoi principi, egli stesso narra stupito che presso i Germani il fratello della madre considerava il nipote come un figliuolo, ed anzi alcuni ritenevano che il vincolo di sangue fra zio materno e nipote fosse più sacro e stretto di quello fra padre e figlio, sicché tutte le volte che si chiedevano gli ostag- gi, il figlio della sorella rappresentava una garanzia maggiore di quella che poteva offrire il proprio fi- gliuolo. Su di che Engels osserva: Se dai compagni di una gens veniva dato il figlio in garanzia del manteni- mento di una promessa e se egli, per effetto della violazione del patto da parte del padre, restava vitti- ma, il padre non doveva intendersela che con se stes- so. Ma se era il figlio di una sorella che veniva sacri- ficato, allora restava offeso il più sacro diritto genti- lizio. Il più prossimo parente gentilizio, obbligato a proteggere primo d’ogni altro il fanciullo o il giovane, era colpevole della sua morte; egli o non doveva darlo in pegno o doveva tenere il patto (38). Del resto, ai tempi di Tacito, il diritto materno aveva già, secondo Engels, ceduto il posto al diritto paterno. I figli ereditavano dal padre; mancando i figli ere- ditavano i fratelli e gli zii paterni e materni. L’ammis- sione del fratello della madre, malgrado il diritto pa- terno, dipendeva da ciò, che l’antico diritto era spa- rito appena da poco. Il ricordo di questo diritto antico fu il motivo per il quale a Tacito parve che il rispetto dei Germani verso il sesso femminile riuscisse pres- soché incomprensibile ai Romani. I Tedeschi si di- stinguevano anche per quell’invincibile coraggio che, secondo le osservazioni di Erodoto e di altri antichi scrittori, animava tutti gli uomini che si reggevano a diritto materno. La difesa delle donne è per essi tutto ciò che di più nobile ed elevato si conosca; il pensiero che le loro donne cadessero prigioniere o schiave è il più spaventoso che essi possano concepire e li spinge alla più viva resistenza. La donna è per essi sacra e inviolabile; il suo consiglio ha un valore speciale e perciò anche le donne sono sacerdotesse o profetes- se. Ai tempi di Tacito i Tedeschi avevano già dimore fisse; la ripartizione del suolo aveva luogo ogni anno e continuava pure a sussistere la comproprietà dei boschi, delle acque e dei pascoli. Il loro regime di vita era ancora semplicissimo; la loro ricchezza principale il bestiame; i loro abiti, molto primitivi, consistevano in rozzi mantelli di lana, in pelli di animali; le donne e gli ottimati (39) avevano sottovesti di lino. La lavora- zione dei metalli era in uso soltanto presso le tribù che abitavano troppo lontano per l’importazione dei pro- dotti dell’industria romana. Negli affari di piccola im- portanza giudicava il consiglio dei capi; nei più gravi l’assemblea del popolo. I carpi erano elettivi, ed anzi erano per lo più di una stessa famiglia, ma il passaggio al diritto paterno favorì l’ereditarietà delle cariche e condusse alla fine alla fondazione di una nobiltà, dalla quale derivò più tardi la dignità reale. Come in Grecia e a Roma, così anche in Germania, con l’introduzione e col crescere della proprietà privata, con lo sviluppo delle arti e del commercio e col mescolarsi di razze e popoli diversi, la gens scomparve. In luogo suo venne una confederazione o unione di comunità, il consor- sca, sontuosi equipaggi di caccia; noi poveri preti, per nostro conforto, non abbiamo che una donna. La continenza sarà una bella virtù, ma in verità essa è dura e molesta. Yves Guyot: Le teorie sociali del cristianesimo, II edizione, Parigi (Nota di A. Bebel). (38) Engels: Le origini della famiglia, ecc. (Nota di A. Bebel). (39) Ottimate, nel mondo classico, era il cittadino potente per nobiltà, dignità o ricchezza materiale. 32 Italia, e di là penetrarono in Germania, in specie per effetto delle relazioni col clero. Questo, smisurata- mente numeroso, formato di uomini vigorosi, i cui bisogni sessuali venivano aumentati straordinaria- mente dalla vita indolente e dissoluta, e che era tratto a soddisfarli, a motivo del celibato obbligatorio bat- tendo una via contro natura, portò la scostumatezza in tutte le classi sociali e costituì nelle città e nelle campagne una vera peste per la moralità del sesso femminile. I conventi di frati e di monache spesso non erano differenti dai bordelli che in questo solo, che cioè la vita vi era ancor più sfrenata e dissoluta e molti delitti, specialmente gli infanticidi, potevano restare tanto più facilmente occulti in quanto che nei conventi la giurisdizione veniva esercitata soltanto da coloro che erano a capo di questa corruzione. I con- tadini cercavano di porre le loro mogli e le loro figliuo- le al sicuro dalle seduzioni dei preti col non accettare alcuno come «padre spirituale» il quale non si obbli- gasse a prendere una concubina. Circostanza questa che determinò un vescovo di Costanza ad imporre ai parroci della sua diocesi una tassa speciale detta di concubinaggio. Tali condizioni spiegano il fatto che nel Medio Evo, che ci viene rappresentato dalla cecità degli scrittori romantici come pio e costumato, per esempio nel 1414, ci fossero a Costanza in occasione del Concilio ivi tenuto, non meno di 1500 meretrici. Questo stato di cose però non si presenta soltanto alla caduta del medio evo, ma esisteva già molto pri- ma, ed era causa incessante di lagnanze e di leggi. Una di queste, dell'anno 802, suona così: «I conventi di monache devono essere rigorosa- mente custoditi: alle monache è vietato assolutamente di andar vagando, ma devono essere guardate colla massima diligenza, nè devono vivere in contese e dispute fra di loro, nè disobbedire e contravvenire alle maestre e alle badesse. Se esse poi sono soggette ad una regola claustrale devono assolutamente osser- varla. Esse non devono fornicare, ubbriacarsi, desi- derare la roba d'altri, ma vivere nella costumatezza e nella temperanza. Nessun uomo deve entrare nel convento eccetto che per la messa; e in tal caso egli deve andarsene tosto finita». Un'ordinanza dell'anni 869 stabilisce: «Se i preti mantengono più donne o spargono il sangue di cristiani o di gentili o infrangono le regole canoniche, devono esser privati del sacerdo- zio, perchè sono peggiori dei laici». Ma la condizione delle donne andò sempre più peggiorando anche per il motivo che, oltre agli osta- coli di ogni maniera che rendevano difficile la costi- tuzione della famiglia e il matrimonio, il loro numero superava di molto quello degli uomini. E di questo devono considerarsi come cause particolari le guerre e le sfide, come pure i pericoli che presentavano a quel tempo i viaggi commerciali, la maggiore morta- lità negli uomini in conseguenza dell’intemperanza e della crapula e la maggiore mortalità dipendete da questo sistema di vita per effetto di molte malattie pestilenziali che infuriarono nel corso di tutto il Medio Evo. Nel periodo dal 1326 al 1440 si contarono 32 pestilenze; dal 1400 al 1500 quarantuno; dal 1500 al 1600 trenta (48). Schiere di donne giravano per paesi come ciur- matrici, cantatrici, suonatrici, in società con gli stu- denti e i chierici, inondando le fiere e i mercati e trovandosi dovunque c’erano adunanze di popolo e solennità. Nelle truppe dei soldati mercenari v’erano speciali reparti formati da donne, le quali disimpegna- vano diversi uffici a seconda della bellezza e dell’età, giusta il carattere del tempo governato a maestranze e corporazioni, mentre fuori di questa cerchia non avrebbero potuto darsi a nessuno a scanso di pene severe. Nei campi esse dovevano trascinare coi carri fieno, paglia e legna, riempire tombe, stagni e fosse e aver cura della pulizia: negli assedî dovevano riem- pire con frasche, fastelli e fasci d’arbusti le fosse per facilitare l’assalto, aiutare a collocare in posizione le artiglierie o se queste affondavano in strade imprati- cabili aiutare a trasportarle. Per ovviare in qualche modo alla miseria di queste donne si istituirono in molte città le cosiddette case di Dio, dipendenti dall’amministrazione cittadina, dove esse erano tenute a condurre una vita onesta. Ma né il numero di questi istituti né i molti conventi erano in condizione di accogliere tutte quelle che avevano bi- sogno di soccorso. Siccome, giusta le idee del Medio Evo, nessun mestiere, fosse anche il più spregevole, poteva essere esercitato senza regole determinate, così fu organiz- zata a sistema di corporazione anche la prostituzione. In tutte le città v’erano postriboli, regalia cittadina o del sovrano, ed anche della Chiesa, la cui rendita netta andava nelle casse rispettive. In questi postriboli le donne avevano una padrona scelta da esse, la quale doveva vigilare sopra la disciplina e l’ordine, ma so- prattutto curare gelosamente che le concorrenti non costituite a corporazione guastassero il mestiere. Queste, se sorprese, venivano perseguitate con acca- nimento e punite giudizialmente. I bordelli godevano di una protezione speciale: gli schiamazzi in loro vici- nanza venivano puniti più severamente. Le iscritte nella corporazione avevano pure il diritto di prendere parte, ordinate in corteo, a quelle processioni e solen- nità alla quali intervenivano le maestranze, e non di rado sedettero alle mense dei principi e dei consiglieri. Per altro, non mancarono, specialmente nei primi tempi, violente persecuzioni contro le meretrici ad opera di quegli stessi uomini che esse mantenevano col loro mestiere e col loro denaro. Così Carlo il Grosso ordinò che una prostituta dovesse esser trascinata nuda sul mercato e flagellata mentre egli stesso "re ed imperatore cristianissimo" aveva non meno di sei donne in una volta, ed anche le sue figliuole, sull'esempio del padre, non furono specchi di virtù. Anzi esse con la loro condotta pro- curarono al padre parecchie ore spiacevoli e gli por- tarono in casa parecchi figli naturali. Alcuino, amico e consigliere di Carlo il Grosso, rese attento il suo scolaro sulle "colombe incoronate che volano di notte attraverso il Palatinato" parole intese a designare le (48) Dr. Carlo Bücher: La questione della donna nel medio evo, Tübingen (Nota di A. Bebel). 33 figlie dell'imperatore. Gli stessi comuni, che organizzarono ufficialmen- te il meretricio, che lo presero sotto la loro protezione e accordarono alle sacerdotesse di Venere ogni ma- niera di privilegi, punivano nel modo più crudele e inumano quelle che cadevano vittima della seduzione. Le infanticide, che uccidevano per disperazione il frutto del loro amore, subivano generalmente la pena di morte più dolorosa, mentre nessuno alzava la voce contro il seduttore. Forse egli sedeva tra i giudici quando si pronunciava in confronto della sua vittima la condanna di morte. Ciò del resto avviene anche oggidì (49). A Vürzburg, nel medio evo, il lenone giurava da- vanti al magistrato "che sarebbe stato fedele alla città e che avrebbe fatto ingaggiare donne". Lo stesso av- veniva a Norimberga, a Ulm, a Lipsia, a Colonia, a Francoforte ed altrove. A Ulm, dove nel 1537 furono chiusi i bordelli, le Maestranze chiesero nel 1551 la loro reintroduzione "per impedire maggiori abusi". Lo Stato, a proprie spese, metteva a disposizione d'illu- stri stranieri delle meretrici. Quando re Ladislao en- trò in Vienna nel 1452, il Magistrato della città gli mandò incontro una deputazione di donne le quali, avvolte in leggieri veli, lasciavano vedere la bellezza delle forme, e Carlo V nel suo ingresso a Brügge fu salutato da una deputazione di ragazze ignude. Simili fatti succedevano allora assai spesso senza suscita- re grande scandalo. La fantasia romantica e la gente astuta per calcolo hanno cercato di dipingere il medio evo come morale, costumato ed animato da una specie di culto e di venerazione per la donna. A ciò diede credito in par- ticolar modo l'epoca dei trovatori in Germania dalla fine del XII fino al XIV secolo. Il servizio d'amore della cavalleria, che la cavalle- ria francese, italiana e tedesca impararono a conosce- re dai Mori in Ispagna e in Sicilia, viene addotto come una prova dell'alta considerazione in cui era tenuta la donna in quel tempo. Ma in questo proposito è neces- sario fare qualche osservazione. Anzitutto la cavalleria formava soltanto una esi- gua parte della popolazione, e rispettivamente anche le donne dei cavalieri rappresentavano una proporzio- ne assai esigua delle donne in generale; in secondo luogo soltanto una piccola parte della cavalleria di- simpegnava il vero servizio d'amore; in terzo luogo la vera natura di cotesto servizio d'amore fu esagerata e misconosciuta oppure svisata a bello studio. Il tem- po in cui esso fioriva era anche quello del peggiore diritto del più forte, in cui, almeno nel contado, tutti i freni dell'ordine erano rotti, e la cavalleria si abban- donava sbrigliatamente al saccheggio, ai furti e alle estorsioni. Che un'epoca come questa, in cui dominava la forza brutale, non fosse favorevole allo sviluppo di sentimenti miti e poetici, si capisce agevolmente. E' più razionale l'opposto. Fu un tempo cotesto che contribuì a distruggere quant'era possibile quel ri- spetto che forse esisteva verso il sesso femminile. La cavalleria contava nelle sue file, così nel contado come nelle città, della gente per lo più rozza ed incol- ta, la cui passione predominante consisteva nel com- battere, nel bere smodatamente e soddisfare nel modo più sfrenato gli appetiti carnali. Tutti i cronisti di quel tempo non sanno narrare abbastanza delle violenze di cui si rese colpevole la nobiltà nel contado ed in ispecie nelle città, ove essa, costituita a patrizia- to, ebbe nelle mani il governo fino al XIII e in parte fino al XIV secolo, senza che i maltrattati avessero i mezzi di farsi rendere giustizia. Infatti la giovine no- biltà occupava lo scabinato, e nel contado il diritto di rendere giustizia spettava al signore, ovvero al cava- liere, all'abate o al vescovo. E' quindi impossibile che la cavalleria con tali costumi ed abitudini abbia avuto in generale un culto speciale per le sue proprie donne e figliuole, e le abbia levate a cielo come una specie di esseri superiori, e meno ancora che abbia nutrito questo rispetto per le donne e figliuole dei cittadini e dei contadini, contro le quali la nobiltà nutriva il più profondo disprezzo. Finchè questo servizio d'amore fu esercitato non vi fu che una piccolissima minoranza della cavalleria la quale fosse sinceramente entusiasta della bellezza delle donne; non di rado però veniva esercitato da uomini, i quali, come Ulrico di Lichtentstein, non potevano disporre dei loro sensi, e nei quali il misti- cismo cristiano e l'ascetismo avevano stretto un vero connubio coll'innato piacere sensuale. Altri, più sobri, miravano a intenti più positivi. Ma in complesso quel servizio d'amore, era la deificazio- ne delle amanti a spese della moglie legittima, una specie di eterismo cristianizzato, come quello esi- stente al tempo di Pericle e da noi già descritto. Infatti la scambievole seduzione delle mogli era nel medio evo un servizio d'amore che la cavalleria praticava di frequente, come oggi avviene in alcuni ceti della no- stra borghesia. Tanto diciamo sul "romanticismo" del medio evo e il suo rispetto per la donna. V’era certo nel conto in cui nel Medio Evo si tenevano apertamente i piaceri sessuali, il riconosci- mento che l’istinto naturale radicato in ogni uomo sano e maturo, ha il diritto di essere soddisfatto e rappresentava la vittoria della natura sull’ascetismo cristiano. D’altra parte però si capisce che di questo ricono- scimento e di questo soddisfacimento fruiva sola- mente una delle parti, che l’altra era invece trattata diversamente come se anch’essa non potesse e non dovesse avere gli stessi stimoli ed istinti, e la più lieve infrazione delle leggi della morale emanate dagli uo- mini veniva punita con la massima severità. I rapporti sociali e politici ristretti e limitati com’erano, entro i quali si aggirava il piccolo borghese del Medio Evo, (49) Leon Richer nel suo libro – la femme libre – riferisce il caso di una fantesca che fu condannata a Parigi per infanticidio dal padre del suo proprio figlio, un avvocato in fama di uomo pio, che sedeva fra i giurati. Ma vi è di più. L'uccisore era stato lo stesso avvocato ed essa era completamente innocente, come l'eroica fanciulla ebbe a confessare soltanto dopo la sua condanna (Nota di A. Bebel). 34 gli facevano dettare norme altrettanto piccine e ri- strette anche in rapporto alla posizione della donna. Ed il sesso femminile, per effetto della continua op- pressione e della speciale sua educazione, si era così immedesimato nelle idee di chi lo dominava, che tro- vava tale condizione naturalissima e normale. Non ci furono anche milioni di schiavi che trova- vano naturale la schiavitù e non si sarebbero redenti a libertà se i liberatori non fossero sorti dalla classe stessa dei fautori della schiavitù? I contadini prussia- ni non hanno forse chiesto di essere lasciati in servitù quando nel 1807 furono proclamati liberi dalla legge di Stein, poiché diversamente «chi avrebbe provve- duto a loro in caso di malattia o nella vecchiaia»? E non è lo stesso anche oggi dell’agitazione operaia? Quanti lavoratori non vi sono anche oggi i quali si lasciano influenzare e guidare come pecore dai loro sfruttatori? L’oppresso ha bisogno di chi lo stimoli e lo animi; perché gli manca la forza e la capacità dell’iniziativa. Così è stato della schiavitù, del famulato (50) e della servitù; così è stato ed è nell’agitazione del proleta- riato dell’epoca moderna, e così è anche nella lotta per la libertà e l’emancipazione della donna, lotta in- timamente connessa con quella che si combatte dai proletari. Persino nella lotta della moderna borghesia, com- parativamente in condizioni migliori, per la sua eman- cipazione, i primi ad aprire la breccia furono oratori nobili ed ecclesiastici. Quali che fossero i vizi e gli errori che il medio evo riteneva conformi alle leggi di natura, è in ogni modo cosa certa che possedeva una sensualità sana deri- vante dalla natura stessa del popolo, vigoroso e aman- te del lieto vivere, che il cristianesimo non poté sof- focare, come è certo che al medio evo erano ignoti gli ipocriti pudori, le debolezze e le mascherate libidini del nostro tempo che si vergogna e rifugge dal chia- mare le cose col loro nome e di parlare con linguaggio naturale delle cose che sono naturali. Il medio evo non conosceva nemmeno quella an- fibologia piccante onde si avvolge e nasconde quanto non si vuol dire apertamente per un pudore derivante da mancanza di schiettezza e di moralità, e rende con ciò più grave il pericolo, perchè simile linguaggio seduce, ma non appaga, lascia intravedere, ma non parla chiaramente. I nostri divertimenti di società, i nostri romanzi e i nostri teatri sono pieni di queste ambiguità piccanti e l'effetto ne è palese. Questo spiritualismo, che non è lo spiritualismo del filosofo trascendentale, ma quello di Roué, che si nasconde sotto la veste dello spiritualismo religioso, oggi eser- cita una grande influenza. La sana sensualità del medio evo trovò il suo clas- sico interprete in Lutero (51). Qui noi non abbiamo a che fare con Lutero riformatore quanto con Lutero uomo. Ed è qui appunto che la schietta e forte natura di Lutero si manifestò in tutto il suo vigore, fu la natura che lo costrinse ad esprimere senza riguardi il suo bisogno di amare e godere. La sua posizione di vecchio sacerdote romano gli aperse gli occhi, facen- dogli comprendere in pratica, per sua propria espe- rienza, quanto vi era di contrario alle leggi di natura nella vita dei monaci e delle monache. Di qui il calore ond'egli combattè il celibato dei preti e dei monaci. Le sue parole valgano anche oggi per tutti quelli i quali credono di poter peccare contro la natura, e ritengo- no di potere conciliare coi loro principi di morale e di costumatezza, gli ostacoli con cui le istituzioni della società e dello stato impediscono a milioni di esseri di raggiungere i fini della natura. Lutero diceva: «Una donna non può, senza una speciale grazia, far senza di un uomo, come non può fare a meno di mangiare, di dormire, di bere e di altri bisogni naturali. Alla sua volta anche l'uomo non può stare senza una donna. E la ragione è questa: che è profondamente radicato in natura il bisogno di gene- rare dei figli, come è quello del mangiare e del bere. «Perciò il signore ha fornito il corpo di membra, di vasi, di liquidi e di tutto ciò che serve a tale scopo. Ora chi vuole opporsi e non lasciar fare quel che la natura comanda, che fa egli se non impedire che la natura sia natura, che il fuoco bruci, l'acqua bagni, e l'uomo mangi, beva e dorma?». E nel sermone sulla vita matrimoniale egli dice ancora: «Come non è in mio potere che io non ia uomo, così non è in tuo potere che tu stia senza uomo, poiché non dipende dal libero arbitrio e da un calcolo, ma è cosa necessaria- mente naturale che ogni maschio debba avere una femmina e ogni femmina debba avre un maschio». Senonché Lutero non si esprimeva così energica- mente soltanto per la vita coniugale e per la necessità dell'accoppiamento sessuale, ma neppure ammetteva che matrimonio e chiesa avessero qualche cosa di comune. Egli si fondava perciò interamente sull'anti- (50) Famulato: la condizione del servo nella Roma antica; nel Medio Evo indicava il contratto di lavoro e di servizio. Si usa ancora oggi per indicare la condizione o l’entità delle perso- ne di servizio. (51) Martin Lutero, 1483-1546, noto riformatore religioso tedesco. Di origine contadina, fattosi monaco agostiniano stu- diò teologia e nel 1513 divenne professore a Wittenberg. La prima stesura organica del suo pensiero riformatore è contenu- ta nelle Novanticinque tesi che lui stesso affisse sulla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg in cui egli impugnava la pratica delle indulgenze promossa nel 1517 dall'arcivescovo di Magdeburgo per la fabbrica di S. Pietro in Roma. Nella religio- ne cattolica l'indulgenza era la remissione totale o parziale delle pene temporali dovute a Dio da parte dell'uomo che ha peccato. L'indulgenza è concessa attraverso un atto giurisdi- zionale ecclesiastico sia ai vivi, a titolo di assoluzione, che ai morti a titolo di suffragio a condizione di preghiere o opere buone da parte dei fedeli. Tale pratica andò incontro ad una degenerazione, nel secolo XV, quando le indulgenze erano concesse dalla chiesa cattolica in cambio del versamento di denaro, degenerazione contro cui si scagliò Lutero. I princi- pali fondamenti teologici del luteranesimo sono l'affermazio- ne della sola possibilità di salvezza nella grazia che fu dono della fede indipendentemente dalle buone opere, il riconosci- mento della Bibbia come unica base delle norme di fede del credente e la garanzia della corretta interpretazione della Bib- bia grazie all'assistenza dello Spirito Santo; ne discende il non riconoscere la legittimità della chiesa e dei suoi concili, men- tre il luteranesimo è strutturato in comunità guidate da un pastore che ha il compito della predicazione della parola di Dio (attraverso la Bibbia) e l'amministrazione degli unici sa- cramenti riconosciuti, il battesimo e la santa cena. 37 cialmente in Germania in seguito alla scoperta del- l'America e alla via di navigazione alle Indie Orientali, produsse anzitutto una grande reazione nel campo sociale. La Germania cessò di essere il centro del com- mercio e del traffico europeo. La Spagna, il Portogal- lo, l'Olanda, l'Inghilterra presero a vicenda il primo posto e l'ultima lo conservò fino ai nostri tempi. L'in- dustria e il commercio della Germania decaddero. Nel tempo stesso la Riforma ecclesiastica aveva distrutto l'unità politica della nazione. La Riforma fu il manto sotto il quale il principato cercò di emanciparsi dal- l'impero. D'altra parte, il principato sottomise la no- biltà, colmando di favori - per raggiungere più facil- mente lo scopo - le città alle quali prodigò diritti e privilegi d'ogni maniera. Oltre a ciò non poche città, in vista dei tempi sempre più torbidi, si diedero spontaneamente ai prin- cipi. Ma di ciò la conseguenza ultima fu questa, che la borghesia spaventata dalla diminuzione dei suoi guadagni, innalzò barriere sempre più alte per difen- dersi dalla poco gradita concorrenza. Ottenne in tal modo che le condizioni a suo favore si rassodassero maggiormente, ma la miseria aumentò. In seguito, la Riforma provocò le guerre e le per- secuzioni religiose che servirono sempre a masche- rare gli scopi politici ed economici dei principi; guerre e persecuzioni che infuriarono in Germania, se pure con delle interruzioni, per più d'un secolo e finirono per fiaccarla del tutto con la guerra dei trent'anni (60). La Germania era divenuta un immenso cimite- ro, un campo pieno di rovine. Paesi e province deva- state, centinaia, migliaia di città e villaggi arsi e di- strutti, molti di essi scomparsi per sempre. In altri la popolazione fu ridotta di un terzo, d'un quarto, d'un quinto, perfino di un ottavo e di un decimo. Commer- cio, traffico, industria non solo languirono in questo lungo periodo, ma rovinarono così da non potersi riavere che stentatamente. Una gran parte della popo- lazione era demoralizzata e disavvezza da ogni disci- plinata operosità. Se, durante le guerre, erano gli eserciti mercenari che saccheggiavano, spogliavano, profanavano e trucidavano trascorrendo la Germania da un capo all'altro, taglieggiando e atterrendo egual- mente amici e nemici, dopo le guerre erano i malan- drini e le schiere dei mendicanti e dei vagabondi, le quali gettarono lo spavento e l'angoscia nelle popola- zioni, e impedirono od arrestarono il normale svilup- po dell'industria, del commercio e dei traffici. E spe- cialmente per il sesso femminile era spuntata un'epo- ca di miseria e di patimenti. Il disprezzo per la donna aveva fatto grandi progressi in questo tempo di dis- solutezza; la generale mancanza di guadagni pesava enormemente sulle sue spalle.Al pari dei vagabondi le donne popolavano a migliaia le strade e le foreste e riempivano le case dei poveri e le carceri dei principi e delle città. A tutte queste sofferenze e tribolazioni si aggiunse l'espulsione violenta di molte famiglie di contadini operata da una nobiltà affamata. Questa aveva dovuto, fino dai tempi della Riforma, piegarsi sempre di più sotto il giogo dei principi, e con gli impieghi di corte e i gradi militari era aumentata la sua dipendenza, per cui andava ora cercando di risarcirsi dei danni recati dai principi, rubando il doppio o il triplo dei beni dei contadini. I principi, durante e dopo la Riforma, avevano preso di mira il ricco patrimonio della chiesa, che si appropriarono in un numero infi- nito di jugeri di terreno (61). Il principe elettore Au- gusto di Sassonia, ad esempio, fino allo scorcio del secolo XVI aveva sottratti allo scopo che avevano in origine, non meno di trecento beni ecclesiastici (62) e come lui fecero i suoi fratelli e cugini e gli altri principi protestanti. La nobiltà ne imitò l'esempio cacciando dalle loro case i contadini tanto liberi che schiavi ed arricchendosi coi beni loro sottratti. Le mal riuscite sollevazioni dei contadini nel seco- lo XVI vi porsero il migliore pretesto. Una volta riu- scito il tentativo, non mancavano ragioni per andare più innanzi in modo egualmente violento. Ma dove questo sistema non andava in nessun modo, si met- tevano in opera ogni sorta di cavilli, di vessazioni, di sofismi – e in ciò il diritto romano, che nel frattempo (60) La guerra dei Trent'anni, fu un conflitto combattuto nell'Europa continentale dal 1618 al 1648, ebbe origine in Bo- emia in seguito a contrasti tra l'impero cattolico e i principi protestanti che assunsero aspetti religiosi. La guerra ben pre- sto si trasformò nello scontro tra i Borbone e gli Asburgo per il dominio sull'Europa continentale. Questa guerra conobbe di- verse fasi in cui si coinvolsero tutte le poteze europee dell'epo- ca. Una prima fase (boemo-palatina) vide le forze dell'impera- tore cattolico Ferdinando II di Boemia ottenere l'alleanza della Spagna e del papato, sconfiggere i principi boemi sollevatisi contro l'assolutismo politico e religioso dell'imperatore, ed estendere il conflitto ai principati tedeschi protestanti. I nobili boemi sconfitti furono espropriati e le loro proprietà date a una nuova nobiltà straniera di confessione cattolica (spagnola, tedesca e italiana). In questo modo gli equilibri furono spostati a favore degli Asburgo che estesero i loro domini fino al Balti- co. La seconda fase della guerra vide l'entrata in campo di Cri- stiano IV di Danimarca che non poteva accettare l'espansione degli Asburgo, ma fu sconfitto. Immediatamente si aprì la fase svedese della guerra, con Gustavo II Adolfo di Svezia che si mise a capo della coalizione dei principi protestanti tedeschi contro l'imperatore; alleato con la Sassonia e con la Francia, penetrò in Germania fino in Baviera, sconfisse l'esercito impe- riale, ma fu ucciso in battaglia; gli imperiali ripresero la con- troffensiva e, sostenuti sempre dalle truppe spagnole, sconfis- sero a loro volta gli svedesi e i loro alleati tedeschi. La Germa- nia fu distrutta continuamente ed enormemente immiserita a causa delle continue guerre degli eserciti europei sul suo terri- torio. La Francia, potenza emergente, non poteva accettare il predominio asburgico a scala europea, e così si apre la fase francese della guerra (1635-1648); i francesi sconfissero gli imperiali e i loro alleati spagnoli; gli svedesi invasero nuova- mente Boemia e Baviera, l'imperatore dovette riconoscere la sconfitta e accettare la perdita dell'egemonia sugli stati tede- schi. La Francia estese i suoi confini ad est impossessandosi dell'Alsazia e accrescendo il suo ruolo nella politica europea; la Svezia stabilì il suo predominio sulle coste tedesche del Baltico mentre l'indipendenza della Svizzera fu sancita definitivamen- te. La Spagna risultò indebolita ma proseguì la sua guerra con- tro la Francia fino al 1659; sconfitta, dovette cedere alla Fran- cia i territori pirenaici del Rossiglione e della Cerdagna, e i territori confinanti con le Fiandre, sulla Manica, come l'Artois. (61) Jugero: unità di misura di superficie usata nell'antica Roma, equivalente a un rettangolo di 240x120 piedi romani, ossai a circa 2.500 metri quadri. (62) Giansenio: Storia del popolo tedesco, volume III (Nota di A. Bebel). 38 s'era generalmente naturalizzato, offriva un comodo appoggio – per comperare i contadini o cacciarli e arrotondare i possessi della nobiltà. Interi villaggi, mezze province vennero in tal modo atterrati. Per citare soltanto alcune cifre, di 12.543 poderi di con- tadini soggetti alla nobiltà, che Mecklemburgo posse- deva ancora all'epoca della guerra dei trent'anni, ne esistevano soltanto 1213 nell'anno 1848. Nella Pome- rania dal 1628 andarono in rovina più di 12.000 poderi di contadini.La trasformazione compiuta nell'econo- mia rurale durante il secolo XVII fu un altro stimolo ad intraprendere la espropriazione dei poderi dei con- tadini ed in ispecie a convertire in possedimenti della nobiltà gli ultimi avanzi del territorio comune. Venne introdotta l'economia libera la quale per- metteva che in certe epoche si mutasse il sistema di coltivazione dei fondi. Terreni da biade vennero tra- mutati temporaneamente in pascoli artificiali, favo- rendo con ciò l'allevamento del bestiame, il quale a sua volta, fu causa della diminuzione delle braccia [da lavoro, ndr]. Con ciò divenne quindi sempre più grande l'esercito dei mendicanti e dei vagabondi, e i decreti succedevano ai decreti per diminuirne il nu- mero con l'applicazione di pene severissime. Né migliore aspetto presentavano le città. Un tem- po le donne erano state ammesse nei più svariati rami dell'industria, sia in qualità di operaie, sia quali im- prenditrici. C'erano, per esempio, delle pellicciaie a Francoforte e nelle città della Svevia, delle fornaie nelle città Renane, delle ricamatrici d'insegne e delle cintolaie a Colonia e a Strasburgo; delle correggiaie a Brema, delle cimatrici a Francoforte, delle conciatrici a Norimberga, delle filatore e battiloro a Colonia (63). Ora invece esse venivano sempre più rifiutate. L'abolizione del culto cattolico così fastoso, ave- va gravemente danneggiato, ed anzi rese impossibili, moltissime industrie, e specialmente le artistiche, e perciò privato del pane un grande numero di operai e operaie. E, come avviene sempre, quando rovina una determinata condizione sociale, i suoi difensori pren- dono delle misure che finiscono per aggravare il male. Sorto il timore ridicolo di un eccesso di popolazione tutti gli sforzi più energici tesero ad impedire che aumentasse il numero delle persone indipendenti e dei matrimoni. Sebbene città una volta fiorenti, come Norimberga, Augusta, Colonia ed altre, scemassero di popolazione fin dal secolo XVI, perché il commer- cio ed i traffici avevano cercato altre vie, e sebbene la guerra dei trent'anni avesse spopolato la Germania in modo spaventoso, tuttavia non vi era città, non vi era corporazione che non fosse in angustia per l'au- mento dei suoi addetti; nè andavano meglio le cose per i soci delle corporazioni allora esistenti. Gli sforzi dei prìncipi assoluti, per aumentare la popolazione dei loro paesi in parte spopolati, non poterono resistere a cotesta corrente più di quello che a suo tempo le leggi romane che premiavano i matrimoni non abbiano im- pedito la diminuzione del numero dei cittadini romani. Luigi XIV stabilì delle pensioni per quei genitori che avessero dieci figli; pensioni che venivano aumentate se i figli salivano a dodici. Un suo generale, il mare- sciallo di Sassonia, andò anche più in là, proponendo di permettere i matrimoni per la durata di soli 5 anni. Federico il Grande scriveva quindici anni più tardi nello stesso senso: «Io considero gli uomini come una mandria di cervi nel parco di un gran signore, ai quali non incorre altro obbligo che quello di popolare il parco e riempirlo» (64). Federico scriveva queste parole nel 1741. Più tardi egli ha spopolato assai il «parco di cervi» con le sue guerre. In tale stato di cose la condizione delle donne era insopportabile al di là di ogni immaginazione. Escluse dal matrimonio come «istituto provviden- ziale», impossibilitate di appagare i loro istinti natura- li, tenute il più possibile lontane dai guadagni per ef- fetto del peggioramento delle condizioni sociali, per- ché non facessero concorrenza ai maschi che aveva- no già paura di se stessi, dovettero vivere miseramen- te disimpegnando servizi e lavori bassissimi, pagate in modo irrisorio. Siccome però l'istinto naturale non si lascia soffocare e una parte del sesso maschile viveva in condizioni simili, così sorsero i concubi- naggi malgrado tutte le vessazioni poliziesche, e il numero dei figli naturali non fu mai così grande come in quel tempo in cui sotto la forma della cristiana semplicità dominava il «regime paterno» dei principi assoluti. La donna maritata viveva ritiratissima; il numero dei suoi lavori e delle sue funzioni era così grande che da coscienziosa massaia essa doveva restare al suo posto da mane a sera per compiere i suoi doveri; ciò che le era possibile soltanto mercè il concorso e l'aiu- to delle figlie. Poiché non aveva da sbrigare solamen- te le faccende domestiche quotidiane, a cui anche oggi la massaia borghese deve accudire, ma un'infi- nità di altre dalle quali oggi la donna è liberata com- pletamente per effetto dello sviluppo e del progresso delle industrie.Allora doveva filare, tessere e imbian- care le tele; curare la biancheria e confezionare i ve- stiti; cuocere il sapone, fabbricare candele, fabbrica- re la bitta; era insomma né più né meno della Ceneren- tola; unica ricreazione l'andare in chiesa la domenica. I matrimoni si contraevano solamente fra persone dello stesso ceto sociale; lo spirito di casta rigido e ridicolo regnava dappertutto; e non tollerava tra- sgressioni. Le figlie venivano educate nello stesso spirito, tenute in casa in clausura severissima, la loro educazione intellettuale era affatto nulla, e non anda- va al di là delle pure faccende domestiche. A ciò si aggiunga una sequela di formule vuote che dovevano fare le veci dell'educazione e dell'intelligen- za, e rendevano tutta l'esistenza, specialmente quella delle donne, un vero automatismo. Così lo spirito della Riforma degenerò nella peg- giore pedanteria, e si cercò di soffocare nell'uomo le (63) Dr. C. Bücher: La questione della donna nel medio evo (Nota di A. Bebel). (64) Karl Kautsky: L'influenza dell'aumento della popola- zione sul progresso della società (Nota di A. Bebel). Lo scritto di Kautsky, del 1880, è in italiano in un'unica edizione esisten- te, intitolato: Socialismo e Malthusianismo. L'influenza del- l'aumento della popolazione sul progresso della società, F.lli Dumolard, Milano 1884. 39 sue più naturali inclinazioni e le espansioni della vita sotto un viluppo di regole e di abitudini, proclamate «rispettabili», ma che erano letali allo spirito. Nelle campagne e anche nelle città minori si erano mantenute, durante tutto il medio evo, usanze proprie e caratteristiche, che scomparvero sotto il puritane- simo rigido, nemico del piacere, che dominò tutto il periodo della Riforma. Fra queste c'erano delle solen- nità che ricordavano le antiche condizioni del tempo del diritto materno; e possono quindi trovare menzio- ne a questo punto. Tali feste venivano preparate tutti gli anni dalle donne tra loro, e gli uomini ne erano esclusi del tutto. Se fosse comparso un uomo, male gliene sarebbe incolto. Tali feste, in uso specialmente nei paesi della Germania meridionale e occidentale, sede delle vecchie razze, stando a quanto narrano i contemporanei, dovevano essere, di regola, molto allegre e sbrigliate, ed avevano ed hanno evidente- mente lo stesso significato dei Saturnali romani. Questi ultimi ricordavano la tradizione popolare del tempo di Saturno, in cui, giusta la leggenda, regnava- no gioia e pace generali, libertà e uguaglianza tra gli uomini. In tali giorni, che occupavano a Roma un'in- tera settimana, tutte le classi diventavano eguali, gli schiavi erano pari ai padroni, i quali giungevano fino a servirli durante i banchetti e gli altri sollazzi popo- lari. Evidentemente anche i Saturnali ricordavano il tempo del diritto materno, magnificato come un tem- po di pace, di tranquillità e di giustizia.Asimili ricordi servivano pure le feste femminili preaccennate, seb- bene il senso caratteristico ne fosse andato perduto. Come il papato lasciò sopravvivere i Saturnali ro- mani sotto forma di carnevali, così la chiesa cattolica nulla ebbe ad opporre contro quella festa femminile. Il papato, che guarda sempre con attento occhio le antiche usanze del popolo, se ne giovò nell'interesse proprio. Così anche nel carnevale cristiano, lo schia- vo, il servo, prima che cominciasse la lunga quaresi- ma fino alla settimana di passione, diventava per tre giorni padrone di sé. Era permesso a tutto il popolo di godere fino alla sazietà tutti i piaceri, di cui aveva libera scelta; di dileggiare e profanare le disposizioni e i decreti dell'autorità e le cerimonie della chiesa. Anzi il clero si lasciava andare quasi al punto di prestarsi al gioco e di tollerare e favorire profanazio- ni, che in ogni altro tempo avrebbero avuto per conseguenza le più severe pene da parte dell'autorità religiosa e civile. E perché no? Il popolo, che si sentiva padrone per così breve tempo e si riposava in questo giubilo del cuore, provava della ricono- scenza per tale libertà, e diventava tanto più arren- devole, rallegrandosi al pensiero della festa che si sarebbe rinnovata l'anno prossimo. Altrettanto avvenne della festa femminile a cui si è accennato. Lo spirito ascetico puritano dei tempi che seguirono la Riforma la soffocò. (65) Reazionari pedanti si aspettavano il naufragio della morale e dei costumi da queste disposizioni. Ketteler, vescovo di Magonza, ora defunto, si doleva già sin dal 1865, e quindi prima che la nuova legislazione avesse preso piede, «che la demolizione dei freni imposti alla conclusione dei matrimoni importava la dissoluzione del matrimonio, essendo ormai pos- sibile ai coniugi di separarsi a piacere». E' questa una confes- sione preziosa la quale prova che i vincoli morali del matrimo- nio sono oggidì così deboli, che solo la forza può tener uniti i coniugi. Il fatto che i matrimoni, oggi naturalmente più numerosi, producevano da un lato un rapido aumento di popolazione, e che, d'altro lato, il sistema industriale svolgentesi gigantesco nella nuova era creò incongruenze d'ogni maniera, un tempo ignote, fece apparire di nuovo lo spettro dell'eccesso di popo- lazione. Gli economisti borghesi conservatori e liberali tirano la stessa fune. Noi dimostreremo il vero significato di tali timori e ne additeremo le ragioni. Anche il prof. A. Wagner appartiene a coloro i quali si crucciano al pensiero dell'eccessiva popola- zione, e domandano limitazione e freni alla libertà dei matrimo- ni, in ispecie fra gli operai. Questi contraggono matrimonio troppo presto comparativamente al medio ceto sociale. Ora questo ceto profitta e si vale preferibilmente della prostituzio- ne, e se si nega all'operaio il matrimonio, anch'egli userà la prostituzione. Ma allora si taccia, e non si mandino alte grida sulla "rovina della morale" e non si facciano le meraviglie se le donne, che hanno gli stessi istinti e stimoli dell'uomo, cercano di appagarli con relazioni "illegittime". (Nota di A. Bebel). Con l'espandersi del commercio mondiale, col poderoso sviluppo dei mercati, le arti manuali furono sconvolte; sorse la manifattura e da essa la grande industria.Anche la Germania, per effetto delle guerre religiose e della sua impotenza politica, uscita dalla sua miseria, rimasta indietro per tanto tempo nel suo sviluppo materiale, fu spinta, alla fine, nella corrente del progresso generale. Le macchine, l'uso delle scienze naturali nei processi di produzione, nel com- mercio e nel traffico, distrussero gli ultimi avanzi delle vecchie istituzioni. I privilegi delle corporazioni, il vincolo personale, i diritti di fiera e di bando e tutto ciò che vi era connesso furono messi tra i ferri vec- chi. Siccome a soddisfare il crescente bisogno di braccia non bastava l'uomo, ma si rendeva necessaria anche l'opera della donna, così le condizioni divenute insopportabili dovettere cadere, e caddero. Questo momento, ch'era da gran tempo una necessità, si maturò quando la Germania raggiunse la propria unità politica. La borghesia, sorta nel frattempo, pretendeva il libero svolgimento di tutte le forze sociali a profitto dei suoi interessi capitalistici, che in quel momento erano anche, fino a un certo grado, gli interessi della generalità. Di qui la libertà delle industrie, la libertà di domicilio, l'abolizione delle limitazioni al matrimonio e tutta la legislazione che viene carat- terizzata con una parola come la legislazione libe- rale della borghesia (65). 42 nota poi come gli incomodi e le malattie suddescritte, si manifestino specialmente nelle monache. Le seguenti cifre ci insegnano come soffrano uo- mini e donne se l'istinto sessuale viene compresso, e come anche un matrimonio mal fatto sia preferibile al celibato. In Baviera nel 1858 sopra 4899 mentecatti, 2576 e cioè il 53% erano uomini, 2323 cioè il 47% erano donne. Gli uomini quindi erano rappresentati più delle donne. Ma, nel totale, il numero dei non co- niugati d'ambo i sessi era rappresentato dall'81%, quel- lo dei coniugati soltanto dal 17%, del 2% non si cono- sceva lo stato civile. Ciò che attenua di un poco que- sta spaventosa proporzione è il fatto che un numero non minore di mentecatti fino dalla giovinezza si tro- vava fra i non coniugati. Nell'Annover, secondo un calcolo fatto nell'anno 1856, la proporzione dei de- menti appartenenti ai diversi ceti della popolazione era di un pazzo su 457 non coniugati, di uno su 564 ve- dovi, e di uno su 1316 coniugati. In Sassonia, sopra un milione di celibi, si contano 1000 suicidi, e 500 soltanto sopra un milione di ammogliati. Fra le donne, che danno un contingente di suicidi molto inferiore a quello degli uomini, si ebbero 260 suicide su un milio- ne di nubili, e 125 soltanto su un milione di maritate. Consimili risultati presentano molti altri stati. Il nume- ro delle suicide è straordinariamente grande nelle età dai sedici ai ventun anni, ciò che si deve attribuire specialmente al non soddisfatto stimolo sessuale, alle amarezze e afflizioni amorose, alle occulte gravidanze ed ai tradimenti degli uomini. Le stesse cause produ- cono, come già misero in rilievo parecchie delle ri- cordate autorità mediche, anche la pazzia, ed anzi una proporzione molto sfavorevole per i non coniugati. Il professor Krafft-Ebing, uno dei più insigni psichiatri, si esprime così sulla condizione della donna ai tempi nostri, considerata come sesso: «Una causa non ultima della pazzia nelle donne si trova nella loro posizione sociale. La donna, che per natura sente più dell'uomo gli stimoli sessuali, alme- no in senso ideale, non conosce alcun altro onesto soddisfacimento di tale bisogno all'infuori del matri- monio (68). «Soltanto con questo essa può provvedere. Il suo carattere si è formato attraverso infinite generazioni seguendo questo indirizzo. La fanciulla fa già da ma- dre con la sua bambola. La vita moderna colle sue cresciute esistenze offre sempre minori speranze a soddisfarlo per mezzo del matrimonio. Ciò vale spe- cialmente per i ceti più elevati in cui i matrimoni sono più rari e più tardivi. «Mentre l'uomo, perché più forte per le sue mag- giori facoltà fisiche e intellettuali, e la sua libera po- sizione sociale, si procura senza fatica, il soddisfa- cimento sessuale o trova facilmente un equipollente in qualche occupazione che assorbe tutta la sua atti- vità, queste vie sono chiuse alle donne nubili dei ceti più elevati. Ciò conduce scientemente o inconscia- mente al malcontento di sé e degli altri, ed a insidie morbose. Per un po' si cercherà un compenso nella religione, ma inutilmente. Dal fanatismo religioso, con o senza masturbazione, si sviluppano una quantità di sofferenze nervose fra le quali non sono rari l'isteri- smo e la pazzia «Solo con ciò si comprende il fatto che la maggio- re frequenza nella pazzia delle donne nubili si nota nell'età dai 25 ai 35 anni, e cioè nell'età in cui scompa- re la floridezza e svaniscono le speranza della vita, mentre negli uomini la pazzia si sviluppa più frequen- temente dai 35 ai 50 anni, e cioè in un'età in cui sono più gravi le esigenze nella lotta per l'esistenza. «Non è certo un caso che col cresciuto celibato la questione della emancipazione della donna sia venuta sempre più all'ordine del giorno. Io la considererei come un indizio urgente delle condizioni sociali della donna che diventano sempre più incompatibili col pro- grediente celibato, come indizio della legittima pretesa che sia procacciato alla donna un equivalente di ciò a cui essa stessa è tratta da natura, e che le moderne condizioni sociali le negano» (69). Il dott. H. Ploss nella sua grande opera "La donna nella natura e nell'etnologia" (70) esaminando gli ef- fetti del mancato appagamento dell'istinto sessuale nelle donne nubili, scrive: «E' degno della massima osservazione, non solo per il medico, ma anche per l'antropologo, che vi è un mezzo efficacie e infallibile di frenare od arrestare questo processo di avvizzi- mento (nelle vecchie zitelle) non solamente nel suo progresso, ma anche di restituire la già perduta flori- dezza, se non nel primitivo splendore, almeno in gra- do notevole; solo è peccato che le nostre condizioni sociali ne permettano e rendano possibile l'uso sol- tanto in casi rarissimi. Codesto mezzo consiste in un commercio sessuale regolare e ordinato. Non è raro vedere che in una ragazza già sfiorita e vicina allo stato di avvizzimento, se le si offre l'occasione di ma- ritarsi, poco tempo dopo le nozze le forme le si arro- tondano, torna il roseo colore alle guancie e gli occhi riacquistano il primitivo loro splendore. Il matrimo- nio è quindi la vera fonte della giovinezza per il ses- so femminile. La natura ha le sue leggi fisse, che esi- gono il loro diritto con una severità inesorabile, ed ogni vita praeter naturam, ogni metodo di vita contro natura, ogni tentativo ad adattarsi a sistemi di vita che non corrispondono a quelle leggi, non può passare senza lasciare traccie visibili di degenerazione nell'or- ganismo, vuoi dell'animale, vuoi anche dell'uomo». A riprova degli effetti che il matrimonio e il celiba- to esercitano sul sentimento, adduciamo anche le ci- fre seguenti: Nel 1882 c'erano in Prussia sopra ogni (68) Si dirà che oggi, entrati nel terzo millennio, grazie al progresso civile, almeno nei paesi più sviluppati, la donna ha più "libertà" nell'onesto soddisfacimento del bisogno sessuale, cosa che può fare senza doversi per forzasposare o incorrere ad ostracismi sociali che la emarginano nei gironi delle donne scostumate e di malaffare. Ciò non toglie che la condizione sociale della donna nella società capitalistica resti comunque vincolata alle forme del matrimonio previste dalle leggi e ai pregiudizi, radicati da infinite generazioni, sulla famiglia. (69) Richard Freiherr von Krafft-Ebing, psichiatra e neu- rologo tedesco (1840-1902), fu autore di Psychopathia sexua- lis (1886) - da cui con ogni probabilità è tratto il brano citato da Bebel -; questo è stato il primo tentativo di studio sistematico di tutti i comportamenti sessuali devianti. (70) Vol. II, Lipsia 1887 (Nota di A. Bebel). 43 10.000 abitanti di stato civile uguale 33,2 dementi maschi celibi; 29,3 donne nubili; dementi maschi ma- ritati solo 9,5; donne 9,5; dementi maschi vedovi 32,1; donne 25,6. E' quindi certissimo che la mancata sod- disfazione dell'istinto sessuale esercita la più sinistra influenza sulla costituzione fisica e psichica degli uo- mini e delle donne, e non possono essere considerate come sane quelle condizioni sociali, le quali vietano e impediscono un soddisfacimento normale di costesto istinto. Sorge ora il quesito: La società moderna ha dato soddisfazione alle pretese avanzate dagli uomini e spe- cialmente dal sesso femminile per un sistema di vita razionale? Ovvero: Può essa soddisfarle? E, in caso negativo, sorge la domanda: Come possono tali esi- genze essere appagate? «Il matrimonio è la base della famiglia, la famiglia è la base dello stato, ciò che colpi- sce il matrimonio, colpisce la società e lo stato, e rovi- na entrambi»; così vanno gridando i difensori dell'or- dine odierno. Ora la monogamia è assolutamente uno dei principi più importanti della società civile, ma se codesto matrimonio a base di monogamia, che è un portato dell'ordinamento industriale borghese, sia an- che quello che risponde pienamente allo scopo dello sviluppo dell'umanità, è un'altra questione. Dimostre- remo che il matrimonio basato sul sistema borghese della proprietà è un matrimonio più o meno forzato, porta con sé molti inconvenienti e deformità e spesso non raggiunge completamente od anche non raggiun- ge affatto il suo scopo. Dimostreremo inoltre che esso è per giunta una istituzione sociale, di cui moltissimi non possono profittare, e che un matrimonio basato sul libero amore, pur essendo il solo rispondente ai fini della natura, non può essere per la generalità. Riguardo al matrimonio odierno, Stuart Mill, che non può essere sospetto di comunismo, esclama: «Il matrimonio è la sola vera schiavitù che la legge cono- sca». Giusta le idee già riferite di Kant, soltanto uomo e donna insieme formano l'uomo. Il sano sviluppo della specie umana riposa sulla unione normale dei sessi. L'esercizio naturale dell'istinto sessuale è una neces- sità per un vigoroso sviluppo fisico e psichico del- l'uomo e della donna. Ma poiché l'uomo non è un ani- male, per il completo soddisfacimento del suo più energico ed impetuoso istinto non gli basta il semplice appagamento del senso; egli esige anche l'attrattiva intellettuale e l'armonia coll'essere col quale si accop- pia. Se codesto accordo non c'è, l'accoppiamento è puramente meccanico, e tale unione si dice, a buon diritto, immorale. Esso non basta alle più elevate pre- tese dell'uomo, le quali mirano a nobilitare intellettual- mente, nel mutuo affetto di due esseri, un rapporto che riposa su leggi puramente fisiche. L'uomo supe- riore esige che la forza d'attrazione dei due sessi duri anche dopo la copula, ed estenda la sua efficacia no- bilitante anche all'essere vitale che nascerà dall'ac- coppiamento (71). I riguardi e i doveri verso i discendenti non meno che la gioia che essi procacciano, rendono durevole la relazione amorosa di due esseri in tutte le forme sociali. Ogni coppia che vuole entrare in relazioni ses- suali durevoli, e quindi contrarre matrimonio, dovrebbe proporsi il quesito, se le qualità fisiche e morali di entrambi si adattano a tale unione. Ma perché la ri- sposta possa riuscire imparziale, è necessario in pri- mo luogo: l'esclusione di ogni interesse estraneo, che non abbia a che fare col vero scopo dell'unione, che consiste nell'appagamento dell'istinto sessuale e nella riproduzione di se stesso, nella riproduzione della raz- za; in secondo luogo, un certo grado di perspicacia per frenare la passione cieca. Ora, poiché ambedue le condizioni, come proveremo più innanzi, nella socie- tà presente vengono a mancare in moltissimi casi, così ne deriva che il matrimonio moderno è molto lontano dal raggiungere il suo scopo, e che perciò esso non può considerarsi né «santo» né «morale». Naturalmente non si può provare statisticamente la quantità dei matrimoni che vengono oggidì con- chiusi con idee assai differenti da quelle esposte. Le parti sono interessate a far apparire agli occhi del pub- blico il matrimonio diverso da quello che è. In questa materia specialmente domina una tendenza all'ipocri- sia, quale, in misura uguale, non si incontra in alcuna società primitiva. Anche lo stato, quale rappresentan- te di questa società, non ha interesse di istituire delle indagini anche solo per prova, perché il risultato di esse potrebbe diffondere una curiosa luce intorno alla stessa opera sua. Le massime osservate dallo stato in ordine di matrimonio delle grandi categorie dei suoi impiegati e servitori, non comportano l'applicazione di una norma che egli stesso dichiara necessaria. Il matrimonio, per raggiungere il suo scopo natu- rale, dev'essere una unione, e in ciò consentono an- che gli idealisti borghesi, di due esseri per scambievo- le amore. Questo movente però si presenta schietto oggi in pochissimi casi. Dalla maggior parte delle donne il matrimonio viene considerato come una specie di istituto di collocamento, in cui esse devono entrare a qualunque costo. Viceversa, anche un grande nume- ro di uomini considerano il matrimonio dal solo punto di vista dell'affare, e tutti i vantaggi e i danni vengono accuratamente calcolati e pesati soltanto sotto un aspetto materiale. Ed anche nei matrimoni non determinati da bassi motivi egoistici, la cruda realtà reca tanto turbamento e tanta dissoluzione che in ben pochi casi si realizzano le speranze concepite dagli sposi nel loro giovanile entusiasmo e nel bollore della passione erotica. Ciò è naturale. Se si vuole che il matrimonio assi- curi agli sposi una convivenza soddisfacente, bisogna che insieme al vicendevole amore e alla stima recipro- ca, si accoppi la sicurezza dell'esistenza materiale, e quella quantità di mezzi per le necessità e le comodi- tà della vita, che credono indispensabile di avere per sé e i loro figliuoli. Le gravi cure e la lotta aspra per l'esistenza sono il primo chiodo per la bara della felici- (71) L'accordo e i sentimenti per cui due sposi si avvicina- no, esercitano indubbiamente una influenza decisiva sull'effet- to dell'accoppiamento e imprimono al carattere del nascituro determinate proprietà. Dott. Elisabetto Blackwall: La educa- zione morale del giovane in relazione ad sesso. Si veda anche: Affinità elettive, di Goethe, il quale descrive in modo evidente l'effetto del sentimento (Nota di A. Bebel). 44 tà coniugale. Le preoccupazioni diventano tanto mag- giori, quanto più feconda si mostra la comunione co- niugale, e quindi quanto più il matrimonio raggiunge il suo scopo naturale. E qui è notevole un fatto. Il con- tadino che si compiace di ogni vitello che la giovenca gli partorisce, che conta con soddisfazione il numero dei porcellini che una troia gli reca, e narra, compia- cendosene, l'avvenimento ai suoi vicini, questo me- desimo contadino si fa cupo quando sua moglie gli regala un altro rampollo, che viene ad aumentare il numero - che non può essere grande - di quelli che egli crede di potere educare e mantenere senza sover- chie cure, e ancora più cupo, se il neonato ha la sven- tura di essere una femmina.Che poi, non soltanto i matrimoni, ma anche le nascite siano dipendenti dalle condizioni economiche, è dimostrato dal numero del- le nascite in Francia. Quivi prevale nelle campagne il sistema parcellare. Il suolo, sbocconcellato e frazio- nato oltre misura, non basta più a nutrire il suo padro- ne. Di fronte a codesta illimitata divisione del suolo, permessa dalla legge, il contadino francese ben di rado dà la vita a più di due figli, donde il celebre sistema dei due figli che si è elevato in Francia ad una vera istitu- zione sociale e che mantiene quasi stazionaria la po- polazione con grande spavento dei capi dello stato, e che in molte province, anzi, ne segnala una rilevante diminuzione. Il risultato è questo, che il numero delle nascite in Francia decresce continuamente. Su 1000 donne, solo 99 sono feconde, mentre in Germania 151. Nel 1814 le nascite in Francia raggiunsero la ci- fra di 994.100, nel 1876 soltanto di 966.700 con una maggiore densità di popolazione. In media, le nascite in Francia, sopra circa 1000 abitanti nel periodo dal 1873 al 1876, furono ogni anno: 26,2-26; dal 1876 al 1879: 25,5-25,2; dal 1881 al 1885: 24,9-24,1; dal 1886 al 1888: 23,9. In quest'ultimo periodo invece, l'Inghil- terra presenta su 1000 abitanti in media 32,9 nascite, la Prussia 41,27 e la Russia 48,8. In Francia adunque diminuisce di continuo il numero delle nascite. Il fatto addotto che la nascita di un uomo, come i regligiosi dicono «immagine di Dio», viene in molti casi calcolato ad un tasso inferiore a quello di un ani- male domestico, dimostra la condizione iniqua in cui ci troviamo. Ed è specialmente il sesso femminile che ne soffre. Per certi riguardi le nostre idee sono poco diverse da quelle degli antichi popoli barbari e di alcu- ni di quelli che vivono anche oggi. Se là le ragazze sopranumerarie spesso venivano e vengono ammaz- zate, noi non le uccidiamo più perché siamo troppo civilizzati. Ma esse sono trattate spesso da paria nella società e nella famiglia. L'uomo, più forte, le opprime da per tutto nella lotta per l'esistenza; e dove esse tut- tavia accettano la lotta spinte dall'amore per la vita, vengono rabbiosamente perseguitate dal sesso forte come concorrenti moleste. In ciò i diversi ceti del sesso maschile non fanno alcuna differenza. Se ope- rai dalla vista corta esigono che sia assolutamente proi- bito il lavoro alle donne (la domanda venne presentata nel 1877 al congresso operaio francese, ma fu re- spinta a grande maggioranza) una tale crudeltà d'ani- no è da scusare, poiché tale pretesa può esser giusti- ficata dal fatto indiscutibile che con la crescente in- troduzione del lavoro femminile, la vita domestica degli operai cade completamente in rovina, rendendo così inevitabile la degenerazione della specie. Tuttavia il lavoro delle donne non si può vietare, perché centina- ia di migliaia di donne sono costrette al lavoro indu- striale e ad ogni altro lavoro non domestico, non po- tendo esse altrimenti campare la vita. La stessa donna maritata è costretta a prendere parte alla lotta della concorrenza, perché spesso accade che i guadagni del marito non bastano più da soli a mantenere la fa- miglia (72). Ciò accade in grado molto minore nelle nostre classi cosiddette elevate; eppure esse si op- pongono con viva gagliardia e col massimo astio alla concorrenza femminile. Certo la società moderna è più colta d'ogni altra. La donna è collocata più in alto; anche le sue occupa- zioni sono molto diverse e più degne, ma il concetto sui rapporti dei due sessi è rimasto in fondo essenzial- mente lo stesso. Il professor Lorenzo de Stein nel suo lavoro: "La donna nel campo dell'economia naziona- le", scritto che, sia detto per incidenza, corrisponde poco al suo titolo ed alle concepite aspettative, fa un quadro poeticamente abbellito del matrimonio odier- no, quale dovrebbe essere in ipotesi; ma anche in questo quadro apparisce la posizione subordinata della donna di fronte al "leone" uomo. Egli scrive fra altro: «L'uo- mo vuole un essere che non solo lo ami, ma che lo comprenda; vuole una creatura alla quale non solo batta il cuore per lui, ma la cui mano gli accarezzi la fronte, che al suo apparire irradi la pace, l'ordine, il mite impero sopra sè stesso e le mille cose alle quali giornalmente attende; egli ha bisogno di un essere che diffonda intorno a tutte queste cose quell'inesprimibi- le profumo di femminilità che è il calore vivificante della vita domestica». In questo apparente panegirico della donna, si cela la sua umile posizione e il più bas- so egoismo dell'uomo. Il professore dipinge arbitra- riamente la donna come un essere vaporoso, il quale, provvisto delle necessarie nozioni aritmetiche prati- che per mantenere in equlibrio il bilancio dell'econo- mia domestica, e nel resto leggiadra come una dolce primavera, pende dalle labbra del padrone di casa, il leone imperante, gli legge negli occhi ogni desiderio, e colla piccola mano bianca gli accarezza la fronte che egli, il "signore della casa", forse corruga sulle pro- prie sciocchezze. Insomma il professore de Stein di- pinge una donna e un matrimonio come su cento se (72) «Il sig. E., un fabbricante, mi comunica che ai suoi telai meccanici adibisce esclusivamente personale femminile; dà la preferenza alle donne sposate, specie se con famiglia che, per il suo sostentamento, dipende da loro; esse - dice - sono molto più attente e docili che le donne nubili, e costrette ad una estrema tensione delle forze per ottenere i mezzi di sussisten- za necessari. Così le virtù, le autentiche virtù del carattere femminile, vengono pervertite a suo danno - così, quanto vi è di morale e di dolce nella natura femminile è trasformato in mezzo della sua schiavitù e delle sue sofferenze» (Ten Hours' Factory Bill. The Speech of Lord Ashley, 15th March, Londra, 1844, p. 20); questo brano, che viene ripreso in nota da Bebel, è citato in una nota da Marx ne Il Capitale, Libro I, cap. XIII, Macchine e grande industria. Cfr. K. Marx, Il Capitale, Libro I, UTET, Torino 1974, p. 538. 47 già due volte e dove aveva molti amici". Il cavaliere d'industria sopra accennato affermava che, oltre molti conti, baroni, ecc., s'erano annunziati come candidati al matrimonio anche 3 principi e 16 duchi. Ma non i nobili soltanto, bensì anche i borghe- si aspiravano alle ricche americane. Un'architetto di Lipsia voleva una sposa che fosse non soltanto ricca, ma bella e colta. Un giovane pro- prietario di fabbriche di Kehl, sul Reno, scriveva ch'egli sarebbe stato pago di sposare una donna che avesse 400.000 marchi soltanto, promettendo anticipatamente di farla felice. Noi crediamo che questi esempi baste- ranno a provare quali ragioni ha la nostra ipocrita so- cietà di combattere le tendenze della democrazia so- ciale, le quali mirano a distruggere il matrimonio. Le pagine degli annunzi di quasi tutti i nostri giornali sono diventate oggi altrettante agenzie di matrimoni. Chi, sia esso uomo o donna, non trova subito ciò che gli conviene, affida i bisogni del suo cuore a più giornali conservatori o a quelli moralmente liberali, i quali, a un tanto la riga, si adoperano affinché le ani- me che vanno d'accordo si trovino e s'incontrino. Con la raccolta di un solo giorno da un numero dei più grandi giornali si riempiono intere pagine, d'onde sca- turisce anche il fatto interessante, che, mediante l'an- nunzio, si cerca di conquistare come mariti perfino degli ecclesiastici. In certi casi, vi è chi si offre di passar sopra anche ad un errore di gioventù, purchè la donna cercata sia ricca. Insomma il pervertimento morale di alcune classi della nostra società non può meglio essere posto alla berlina che con questo siste- ma di richieste matrimoniali (75). Il ruffianesimo è arrivato ad un punto tale, che qua e là le autorità furo- no indotte a procedere con avvertimenti e minaccie contro i più noti mezzani. Così il podestà di Lipsia nel 1876 pubblicò un manifesto in cui richiamava l'attenzione sulla illegitti- mità ed invalidità della mediazione matrimoniale eser- citata per mestiere e invitava le autorità di polizia a denunciare le eventuali contravvenzioni. Del resto, lo stato che certe volte si mostra così zelante custode dell'ORDINE e della MORALITA' – per esempio contro i partiti a lui molesti – prende raramente occasione a procedere seriamente contro tali eccessi ed abusi. Stato e chiesa colla loro «santità del matrimonio» rappresentano anche per altri rispetti una parte molto amena. L'impiegato dello stato o il sacerdote cui cor- re l'obbligo di conchiudere i matrimoni, può essere fermamente persuaso che la coppia che gli sta davan- ti fu unita per opera di arti le più vergognose, vedere chiaramente che i coniugandi non armonizzano me- nomamente né per età né per qualità fisiche e morali; può quindi la sposa avere vent'anni e lo sposo settanta o viceversa, può essere la sposa giovane, bella, genia- le, lo sposo vecchio, deforme, brontolone; tutto ciò non dà pensiero ai rappresentanti dello stato o della chiesa, né su ciò hanno da interloquire; il vincolo matrimoniale viene «benedetto» e per parte della chie- sa di regola con tanta maggior pompa, quanto è più copiosa la mercede per «l'atto santo». Ma se dopo qualche tempo si scopre che tale ma- trimonio, come tutti prevedevano, e la vittima infelice più spesso è la donna, è disgraziato, e una delle parti si decide alla separazione, allora stato e chiesa, i quali non domandarono prima se il vincolo si stringe per vero affetto e per impulso naturale e morale, ovvero per mero egoismo, allora, ripeto, stato e chiesa vanno a gara nel sollevare le più gravi difficoltà. Essi non credono loro obbligo di segnalare, prima del matri- monio, quanto v'è di evidentemente innaturale e per- ciò altamente immorale nella unione. Solo di rado si riguarda come motivo sufficiente di separazione l'in- compatibilità morale; richiedendosi di solito prove palpabili, prove che disonorano e avviliscono sempre una parte davanti alla opinione pubblica; altrimenti non si pronuncia la separazione (76). Il divieto opposto dalla chiesa cattolica al divorzio, concesso soltanto con speciale dispensa del papa, dispensa che si ottie- ne difficilmente, eccetto il caso di semplice separa- zione di letto e mensa, rende ancora peggiore la con- dizione triste e insopportabile di tutte le popolazioni cattoliche. E' però caratteristico per l'epoca nostra il fatto che, sebbene anche l'osservatore il più superficiale debba riconoscere che mai come ora i matrimoni infelici furono così numerosi, (ciò che dipende da tutto il nostro sviluppo sociale), tuttavia il nuovo progetto per un codice civile per la Germania innalza nuovi osta- coli contro la risoluzione del vincolo matrimoniale. Onde riceve nuova conferma la vecchia esperienza, che una società in dissoluzione cerca di illudersi sul suo stato con mezzi artificiali e con misure coattive. Nel decadente impero romano si cercava di favo- rire i matrimoni e le nascite mediante premi dello sta- to. Nell'impero germanico, che si trova sotto una si- mile costellazione come già il corrotto impero dei Ce- sari, si cerca d'impedire coattivamente la risoluzione di numerosi matrimoni. Il risultato sarà lo stesso qui come là. Vi sono in tal modo esseri che restano insieme in- catenati contro loro volontà per tutta la vita. Una par- te diventa schiava dell'altra ed è costretta a subire gli abbracci più intimi e le carezze per "dovere matrimo- niale". Carezze e accoppiamenti che essa forse abor- risce più ancora degli insulti e del cattivo trattamento. Dice bene il Mantegazza: «Non vi è maggior tortu- ra di quella che costringe un essere umano a lasciarsi accarezzare da una persona che non ama" (77). Ed ora noi domandiamo: questo matrimonio (e ve ne sono senza fine) non è peggiore della prostituzio- ne? La prostituta è almeno fino a un certo punto libera di sottrarsi al suo turpe mastiere, e, se non vive in (75) Bebel scrive questo nel 1891, ma a più di cent'anni di distanza la situazione non solo non si è ridimensionata, ma è ulteriormente degenerata sviluppandosi non solo nei mezzi a stampa ma anche attraverso le nuove tecnologie, come il web. (76) In molti stati civili, oggi, la separazione tra coniugi e il divorzio sono previsti e regolati da leggi apposite. Nonostante ciò, la situazione reale rende la separazione e il divorzio impra- ticabili per una parte notevole della popolazione proletaria proprio per ragioni economiche, le stesse ragioni che sono alla base del matrimonio borghese. (77) La fisiologia dell'amore (Nota di A. Bebel). 48 postribolo, ha il diritto di rifiutare il prezzo dell'ab- bracciamento di colui che per qualsiasi motivo non le piace. Ma una donna maritata deve consentire alle voglie del marito anche quando avesse mille ragioni di odiar- lo e aborrirlo. In altri matrimoni conchiusi con mira speciale di vantaggi materiali, le condizioni sono un pò meno cat- tive. Ci si accomoda, si trova un modus vivendi, si accetta come immutabile il fatto compiuto, perchè si ha paura dello scandalo, o ci sono i figliuoli a cui si deve aver riguardo – sebbene siano appunto i figliuoli che vanno a soffrire per il contegno freddo e insensi- bile dei genitori, freddezza e insensibilità che non c'è bisogno prorompano in aperta ostilità, in contese ed alterchi – ovvero perchè si temono danni materiali. L'uomo, il quale è spesso la pietra dello scandalo nel matrimonio, come è provato dalle cause di divor- zio, sa rifarsi altrove, conscio della sua sovranità. La donna può traviare assai più raramente; anzi- tutto perché è per lei più pericoloso per ragioni fisi- che, come parte che concepisce; poi perché ogni pas- so fuori del matrimonio le viene imputato come delit- to, che né il marito né la società le perdonano. La donna si decide alla separazione solo nei casi più gravi di infedeltà maritale o di seri maltrattamenti, perché essa deve considerare il matrimonio prevalentemente come un istituto di mantenimento. Essa trovasi il più delle volte in una posizione materialmente non libera, e, come separata, in una posizione anche socialmente non invidiabile. Nondimeno, se il numero delle domande di sepa- razione da parte delle donne cresce continuamente, – in Francia, per es., su 100 domande di separazione, 88 sono di donne (78) – bisogna dire che questo è un sintomo della gravità dei mali coniugali onde la donna è oppressa. Il numero sempre crescente delle separa- zioni pronunciate in quasi tutti i paesi, è molto signifi- cativo. In Prussia vennero risolti giudizialmente: nel 1883 3577 matrimoni " 1884 3856 " " 1885 3902 " " 1886 3808 " A Berlino nel 1884, 754 dei quali 238 per adulterio, 210 per malvagio abbandono, 36 per maltrattamenti; 44 per pazzia, 9 per malattia, 17 per ingiurie gravi. Per mutuo consenso ne furono risolti 163; e per vo- lontà unilaterale 10. Non è quindi una grande esagera- zione, se un giudice austriaco, secondo un articolo della "Gazzetta di Francoforte" del 1878 esclamò: «Le istanze per scioglimento di matrimonio sono tanto fre- quenti come quelle per rottura dei vetri delle finestre». La incertezza sempre crescente dei guadagni, la difficoltà sempre maggiore di raggiungere una posi- zione bastantemente sicura nella lotta economica di tutti contro tutti, non offrono alcuna speranza che cessi o diminuisca codesto traffico matrimoniale nel vigente sistema sociale. Devono, al contrario, crescere ed aumentare i mali matrimoniali, perché il matrimo- nio è intimamente connesso colle odierne condizioni della proprietà e della società. La crescente corruzione del matrimonio da una parte, e la impossibilità dall'altra per moltissime donne di poter contrarre matrimonio dimostrano la insensa- tezza di frasi come queste: La donna deve limitarsi alle faccende domestiche, e compiere la sua missione di padrona di casa e di madre. Al contrario, la corru- zione sempre necessariamente crescente, i maggiori ostacoli – malgrado che lo stato lo abbia facilitato – la pratica delle cognizioni carnali fuori del matrimonio, devono aumentare la prostituzione e tutta la serie dei vizi contro natura (79). Nelle classi abbienti la donna non di rado si abbas- sa, come nell'antica Grecia, al solo ufficio di procre- are figli legittimi, di custodire la casa e di aver cura del marito quando lo colpisce qualche malattia. Il marito conserva ed alimenta per suo diletto, per sod- disfare il suo bisogno di amare, cortigiane ed etère – oggi chiamate ganze (80) – delle cui eleganti abitazio- ni si potrebbero fare nelle grandi capitali i più bei quar- tieri della città. Oltre a ciò le relazioni matrimoniali contro natura conducono ad ogni sorta di delitti, come l'uxoricidio ed alla creazione artificiale di maniaci. Gli uxoricidi si consumano specialmente in tempi di coléra più spesso di quanto generalmente si creda, perchè i sintomi del coléra corrispondono spesso a quelli del- l'avvelenamento. Ma la commozione generale, la quan- tità dei morti e il pericolo del contagio rendono meno sollecite le ricerche, anzi le accennate circostanze necessitano che i cadaveri vengano rapidamente tra- sportati e seppelliti. Nelle classi che non possono permettersi il lusso di mantenere una ganza, si ricorre ai pubblici luoghi di piacere, alle sale da concerto e da ballo, ai postriboli. L'aumento della prostituzione è un fatto ovunque riconosciuto. Se avviene lo scioglimento del matrimonio nei ceti medio ed alto della società perché fatto per denaro, o a motivo di eccessi d'ogni genere, dell'ozio, della cra- pula, collegati ad un corrispondente alimento dello (78) Domande di separazione di letto e mensa presentate in Francia: Dal 1856-1861 in media per anno dalle mogli 1729, dai mariti 184 Dal 1861-1866 in media per anno dalle mogli 2135, dai mariti 260 Dal 1866-1871 in media per anno dalle mogli 2591, dai mariti 330 Bridel: Puissance Maritale (Nota di A. Bebel) (79) Anche il dottor Carlo Bucher lamenta nell'opera citata la decadenza del matrimonio e della vita domestica; condanna il lavoro femminile nelle industrie e domanda il ritorno sul terreno più proprio alla donna dove essa soltanto crea valori, casa e famiglia. Egli chiama dilettantismo gli sforzi degli odierni amici delle donne e, infine, egli spera che si rientri tosto in carreggiata; ma non è in grado di additare una via che riesca a condurre all'intento. Le condizioni del matrimonio come la posizione di tutto il mondo femminile non sono l'effetto dell'arbitrio, ma il prodotto naturale del nostro sviluppo sociale. Lo sviluppo della civiltà dei popoli non commette errori, né traccia circoli viziosi, ma si compie ed obbedisce a leggi immanenti. E' compito di chi studia tale civiltà di scoprire queste leggi e sulla base di esse insegnare la via di togliere i mali presenti. (Nota di A. Bebel). (80) Oppure amanti, mantenute. 49 spirito e dell'intelligenza mediante rappresentazioni te- atrali frivole, musica voluttuosa, lettura di romanzi immorali ed osceni, e pitture dello stesso genere, an- che negli infimi strati sociali agiscono nello stesso senso queste ed altre ragioni (81). La possibilità che il sala- riato si elevi ad una posizione indipendente è, oggi giorno, tanto lontana che non viene neppure tenuta in considerazione dalla grande massa degli operai. Per il salariato, dunque, il matrimonio per denaro è impos- sibile, come è impossibile per la donna del suo ceto. Di regola, egli si decide al matrimonio per affetto ver- so una donna, ma non di rado conta anche sul guada- gno che essa è in condizione di fare, ovvero sulla aspettativa che i figli si facciano valere presto come strumenti di lavoro e provvedano così da sè alle loro spese. Non mancano però motivi perturbatori anche per il matrimonio degli operai. Una più copiosa prole dimezza la forza produttiva della donna o la toglie del tutto ed aumenta le spese. Le crisi commerciali, l'in- troduzione di nuove macchine o di migliorati sistemi di lavoro, le guerre, i trattati commerciali e doganali poco favorevoli, le imposte indirette, insomma tutto ciò che perturba o muta la vita economica e industria- le, diminuisce più o meno e per un tempo più o meno lungo il guadagno del lavoratore, se pur talvolta non lo getta sul lastrico. Questi rovesci di fortuna ama- reggiano e inaspriscono la vita domestica, poiché non passa giorno ed ora che la moglie o i figliuoli non domandino ciò che è strettamente necessario; e non sempre il marito può appagare tali richieste. Spesso, per disperazione, egli cerca conforto nelle bettole, consumando in pessima acquavite l'ultimo soldo; ed allora le contese e gli alterchi non hanno più fine. La rovina del matrimonio e della vita domestica sta qui. Osserviamo un altro quadro. Marito e moglie si recano al lavoro: i figli sono abbandonati a se stessi, oppure dati in custodia ai fratelli maggiori, che hanno anch'essi estremo bisogno di vigilanza e di educazio- ne. Si ingoia in fretta il cosiddetto pranzo, ammesso che i genitori abbiano il tempo di poter andare a casa (ciò che in moltissimi casi è impossibile per la brevità del riposo e per la lontanaza dello stabilimento dal- l'abitazione); stanchi ed affaticati ritornano entrambi a casa la sera. Invece di una abitazione graziosa ed amena, trovano una dimora angusta e malsana, priva di aria, luce e d'ogni più indispensabile comodità. Il crescente bisogno di abitazioni e le turpitudini che derivano dalla loro scarsità sono uno dei lati più tene- brosi del nostro ordinamento sociale e causa di molti mali, di molti vizi e di molti delitti. E questo bisogno di abitazioni si fa in tutte le città e in tutti i centri indu- striali ogni anno maggiore e si diffonde sempre più coi suoi incovenienti nei diversi strati sociali, tra i pic- coli industriali, impiegati, maestri, commercianti ecc. La moglie dei lavoratori tornando a casa alla sera stanca ed affaticata deve di nuovo far tutto da sè; lavorare accanitamente e a rompicollo per allestire al- meno il più necessario. I figli piangenti e schiamaz- zanti vengono posti a letto in tutta fretta; la donna siede a cucire ed a rattoppare fino a tarda notte. Man- ca il sollazzo e il conforto dello spirito pur tanto ne- cessari. Il marito è spesso incolto ed ignorante, la donna ancora di più; quel poco che si hanno da dire è presto esaurito. Il marito va all'osteria a ricercarvi il diletto che non trova a casa; beve, ed anche quel poco che gli basta è già molto per le sue condizioni. Talvolta ha il vizio del gioco che fa tante vittime anche nelle classi più elevate, e perde dieci volte di più di quello che egli spenderebbe bevendo. Frattanto la moglie a casa siede crucciata, doven- do lavorare come una bestia da soma; per lei non v'è risposo né ristoro; il marito gode la libertà che gli ha fornito il caso di essere nato uomo. Di qui le discor- die, che se poi la moglie è meno ligia ai suoi «doveri», tornando la sera a casa stanca del lavoro, cerca una legittima ricreazione; allora l'economia sparisce e la miseria diventa doppiamente maggiore. Davvero che noi viviamo nel «migliore dei mondi». Per tutte queste circostanze, il matrimonio del pro- letario si guasta sempre più. Anche le epoche più fa- vorevoli al lavoro esercitano la loro influenza dissol- vente, perché costringono il proletario a lavorare la domenica e in ore straordinarie e gli tolgono il tempo che ancora gli rimaneva per la famiglia. In moltissimi casi per recarsi allo stabilimento si deve consumare una mezzora ed anche un'ora: approfittare del riposo del mezzogiorno per recarsi in famiglia è impossibile; egli si alza alla mattina per tempo quando ancora i figliuoli dormono profondamente e torna a casa sol- tanto a tarda sera quando essi si trovano nuovamente nello stesso stato. Mille altri, e specialmente coloro che lavorano nelle costruzioni delle grandi città, re- stano assenti tutta la settimana a causa della gran di- stanza e tornano a casa soltanto alla fine della medesi- ma, oppure la domenica; ed è in tali condizioni che la vita domestica deve prosperare. Inoltre il lavoro delle donne e dei fanciulli va sempre più prevalendo spe- cialmente nell'industria tessile, che permette di servir- si con poca spesa nei telai a vapore e nelle macchine da fusi della mano della donna e dei fanciulli. Là si è quasi invertito il rapporto dei sessi e dell'età. Donne e ragazzi vanno alla fabbrica, mentre il marito, rimasto senza occupazione, se ne sta non di rado a casa per accudire alle faccende domestiche. L'ammissione della donna in tutte le occupazioni industriali oggidì è in vigore dappertutto. La società borghese, che dà continuamente la caccia al profitto e al guadagno, ha riconosciuto già da gran tempo quale eccellente oggetto da sfruttare sono le operaie, le quali si contentano molto più facilmente degli uomini senza averne le pretese; onde il numero degli uffici e delle occupazioni in cui le donne trovano impiego come operaie va crescendo sempre più. La diffusione e i miglioramenti della meccanica, la semplificazione dei processi di lavoro dipendente da una sempre maggior divisione dello stesso, la crescente concorrenza che si fanno i capitalisti e i diversi paesi industriali entrati in lotta nel mercato mondiale favoriscono questo sem- pre crescente impiego del lavoro femminile che è un fenomeno egualmente notevole in tutti i moderni stati industriali. nella stessa misura che cresce il numero (81) E oggi si possono aggiungere foto, film, programmi televisivi, siti internet ecc. 52 Non vi può quindi essere dubbio che il fraziona- mento delle proprietà favorisce i matrimoni, renden- do possibile l'esitenza a un maggior numero di fami- glie mentre la grande proprietà li ostacola e favori- sce il celibato. Quelle cifre dunque dimostrano che non sono cause morali, ma soltanto cause materiali quelle che danno il tracollo alla bilancia, e che così il numero dei matrimoni, come tutto lo stato morale, dipendono unicamente dalle basi materiali della so- cietà. Inoltre, la paura della miseria, la preoccupa- zione di non poter educare i figli secondo il loro sta- to spingono le donne di ogni classe ad atti che non sono in armonia né con gli scopi della natura, né sempre col codice penale. Fra tali atti si annoverano i molteplici mezzi per impedire il concepimento o, se questo ebbe luogo pur contro volontà, la soppres- sione del feto immaturo, l'aborto. Si ingannerebbe a partito chi volesse sostenere che questi mezzi sono adoperati soltanto dalle donne leg- gere e senza coscienza; al contrario, sono le donne più fedeli al loro dovere quelle che, per sottrarsi al dilemma di respingere il marito, e di dover soffocare violentemente l'istinto naturale, ovvero per la paura che il marito tràvi, come forse ne avrebbe desiderio, preferiscono correre il pericolo di servirsi di mezzi abortivi. Vi sono anche delle donne, specialmente nei ceti più elevati, le quali per nascondere un fallo, ovve- ro perché male comportano gli incomodi della gravi- danza, del parto, dell'allevamento, o per timore di per- dere più presto i loro vezzi e quindi di scapitare nella considerazione presso lo sposo o gli uomini in gene- re, commettono tali azioni penalmente imputabili e tro- vano a caro prezzo medici e levatrici pronti a venire loro in aiuto. Nella primavera dell'anno 1878 in un sontuoso palazzo di Nuova York si tolse la vita una signora che aveva esercitato a memoria d'uomo tale impudico mestiere sotto gli occhi della polizia e dei giudici; ma finalmente la Nemesi, in seguito ad indizi per lei gravissimi, minacciava di schiacciarla. Quella donna, malgrado la sua vita dispendiosa, lasciò mo- rendo un patrimonio che fu calcolato ad oltre un mi- lione e mezzo di dollari. Aveva la sua clientela esclusi- vamente nei più ricchi circoli di Nuova York. La cro- naca scandalosa di quasi ogni grande città, anche del- la Germania, narra avvenimenti consimili. Si moltipli- cano, anche per il numero crescente delle offerte rac- chiuse nei nostri giornali, i luoghi e gli stabilimenti in cui alle donne maritate e nubili della classe abbiente viene data la possibilità di aspettare nella massima se- gretezza la conseguenza dei passi falsi. La paura del soverchio aumento di prole in pro- porzione al patrimonio ed ai mezzi di alimentazione eressero ad un vero sistema le norme repressive, che qua e là sono divenute veramente una calamità pub- blica. Così è un fatto notorio che in tutte le classi della società francese venne introdotto il sistema dei due figli. In pochi paesi civili del mondo i matrimoni sono relativamente tanto numerosi come in Francia, ed in nessun paese, quanto in Francia, il numero medio delle nascite è più esiguo, né più lento l'aumento della po- polazione. Il borghese, come l'abitante delle piccole borgate, come il contadino, seguono questo sistema, e l'operaio francese va ad ingrossare la corrente. In parecchie regioni della Germania pare che le condi- zioni del possesso favoriscano un identico stato di cose. Conosciamo una deliziosa contrada del sud-ovest della Germania, ove nel giardino d'ogni podere è pian- tato un albero così detto Sabina, di cui la parte essen- ziale, convenientemente preparata, si adopera come mezzo abortivo. E' poi sorprendente il vedere come si estende e diffonde in Germania quella letteratura, la quale tratta dei mezzi 'per la sterilità facoltativa e li raccomdanda. Naturalmente sempre sotto la bandiera fi n o a 5 da 5 a 20 ol tr e 20 am m og li at i n el l'e tà da i 25 a 30 an ni no n am m og li at i ne ll ' et à da i 40 ai 50 an n i Podesteria suprema di Neuenburg 79,6 20,4 0,0 63,6 4,4 Stoccarda orientale 78,9 17,7 3,4 51,3 8,1 Stoccarda meridionale 67,6 24,8 7,6 48,6 8,7 Stoccarda settentrionale 56,5 34,8 8,8 50,0 10,0 Selva nera 50,2 42,2 7,6 48,6 10,1 Neckar superiore 43,6 40,3 16,1 44,3 10,8 Passaggio ad oriente 39,5 47,6 12,8 48,7 10,0 Nord-est, tranne il nord di Hall 22,2 50,1 27,7 38,8 10,6 Alb Svevo 20,3 40,8 38,8 38,8 7,5 Alta Svevia settent 19,7 48,0 32,3 32,5 9,7 Da Hall ad oriente 15,5 50,0 34,5 32,5 13,8 Regione del Lago di Costanza 14,2 61,4 24,4 23,5 26,4 Alta Svevia media e meridionale 12,6 41,1 46,3 30,0 19,1 Percento degli uomini Percento della proprietà in ettari 53 della scienza e con la mira rivolta al pericolo minac- cioso dell'eccesso di popolazione. Quanto accade in Francia si ripete anche in Tran- silvania presso la Sassonia. Nell'intento di mantenere uniti i loro grandi possessi per non frazionare sover- chiamente i patrimoni e conservare la razza con una certa misura, procurano possibilmente di avere poca discendenza legittima. E però gli uomini cercano la soddisfazione degli stimoli sessuali più spesso fuori del matrimonio, e con ciò si spiega il fatto, onde gli etnologi si sorprendono, dei biondi zingari e dei ru- meni dal tipo spiccatamente germanico, nonché dei tratti caratteristici che altrimenti si notano assai di rado in quest'ultimo popolo, e cioè la attività e il risparmio. Perciò i Sassoni della Transilvania, sebbene siano im- migrati in gran numero già fin dalla fine del secolo XII, oggi sono aumentati appena di 200.000 anime. In Francia invece, dove per usarne sessualmente non vi sono razze straniere, il numero degli infanticidi e delle esposizioni d'infanti (82) è in notevole aumen- to, favoriti entrambi anche dal divieto sancito dalla legge civile della ricerca della paternità (83). La borghesia francese, comprendendo bene quale crudeltà essa commetteva rendendo per legge impos- sibile alla donna tradita di rivolgersi per gli alimenti al padre del figlio suo, cercò di renderle meno disagiata la posizione, fondando gli istituti per gli esposti. Il sen- timento paterno, secondo la nostra famosa «morale» non esiste per il figlio illegittimo, esiste soltanto per gli eredi legittimi. Mediante gli istituti per gli esposti, i neonati dovrebbero venire privati anche della madre. Essi vengono al mondo come orfani. La borghesia fa educare e mantenere i suoi figli illegittimi a spese dello stato come fossero «figli della patria». Una magnifica istituzione. Ma ad onta degli ospizi per gli esposti ove la cura è difettosa e i bambini muo- iono in massa, gli infanticidi e gli aborti aumentano in Francia in una proporzione molto maggiore della po- polazione. In Germania si è già sulla via di emulare i francesi. Le disposizioni di un progetto di codice civile per l'im- pero germanico relativamente alla condizione giuridi- ca dei figli illegittimi contengono principi che sono in stridente contrasto col diritto più umano fino ad oggi in vigore. Secono il progetto, la fanciulla tradita, anche se la sua illibatezza fosse stata piena, sedotta sotto promessa di matrimonio o indotta da un'azione delittuosa a tolle- rare l'amplesso del seduttore, non ha verso di questo che il diritto alla rifusione delle spese del parto e al mantenimento per le prime sei settimane dalla nascita del figlio, ed anche ciò entro i limiti dello stretto biso- gno. Solo in alcuni dei più gravi delitti contro il buon costume può essere assegnato alla donna sedotta un corrispondente risarcimento in una misura arbitraria, anche indipendentemente dalle prove di un danno pa- trimoniale (§ 728). Ma il figlio illegittimo non può in questo caso pretendere dal seduttore della madre che gli alimenti strettamente necessari, e solo fino al suo quattordicesimo anno di età. Il figlio però non può elevare alcuna pretesa verso alcuno se anche altri ebbe rapporti carnali con la madre durante il periodo del concepimento. Giusta i motivi di quel progetto spetta al figlio que- relante fornire la prova che tali rapporti non si verifi- carono. Il Menger del quale seguiamo le idee esposte nel suo trattato «Il diritto civile e il proletariato» (Tubinga 1890) (84) muove a buon diritto contro queste dispo- sizioni l'acerbo rimprovero che giovano soltanto ai be- nestanti scostumati che si fanno seduttori delle ragaz- ze incoscienti, e spesso tratte a fallire per miseria, lasciando privi di ogni protezione le povere cadute e i loro figli del tutto innocenti, spingendoli anzi ancor più nella miseria e nella depravazione. Il Menger ri- corda inoltre le disposizioni del codice provinciale prus- siano. Secondo quelle disposizioni, una donna nubile e illibata ovvero una vedova fecondata deve essere risarcita e soddisfatta secondo lo stato e il patrimonio di chi la fecondò. Soltanto la somma del risarcimento non può superare il quarto del patrimonio del sedutto- re. Spetta però al figlio illegittimo il diritto al manteni- mento e all'educazione in confronto del padre, senza riguardo se la madre fosse donna illibata o meno, in proporzione di quanto può costare l'educazione di un figlio legittimo a persone del ceto contadinesco o del- la comune borghesia. Infine, se il commercio carnale illegittimo ebbe luogo verso promessa di futuro ma- trimonio, il giudice, giusta gli articoli del prefato codi- ce prussiano, deve riconoscere nella donna violata il diritto di portare il nome, grado e rango di chi la fe- condò, come pure tutti i diritti di una maritata separa- ta per colpa del marito e il figlio illegittimo ha, in tal caso, i diritti stessi dei figli nati da valido matrimonio. Si può a buon diritto essere curiosi di vedere se verranno adottate in un codice civile per la Germania delle disposizioni completamente reazionarie ed ostili alle donne. Il criterio cui si ispira la nostra legislazione è il regresso. Davanti alle corti d'assise di Francia si svolsero dall'anno 1830 all'anno 1880, 8563 processi per in- fanticidio salendo da 471 che erano nell'anno 1831 fino a 980 nell'anno 1880. Nello stesso periodo vennero sottoposti a giudi- zio più di 1032 casi di aborto e precisamente nel 1831 oltre 41, oltre 100 nel 1880. Naturalmente i casi di aborto che giungono a conoscenza della giustizia sono pochissimi, quelli cioè che portano per conseguenza (82) Le esposizioni dei bambini si usavano negli orfanotro- fi; il sistema della "esposizione" serviva per offrire a famiglie benestanti, ma impossibilitate a procreare, una scelta di bambi- ni da adottare. (83) L'art. 340 del codice civile suona: La ricerca della pater- nità è vietata; invece l'art. 341 stabilisce: La ricerca della mater- nità è ammessa. E' questa una legge che esprime nel modo più vergognoso la ingiustizia verso la donna sedotta e cresima un privilegio per i seduttori; naturalmente sotto il pretesto di impe- dire col timore la scostumatezza della donna. I tentativi fatti per cancellare l'art. 340 andarono finora a vuoto (nota di A. Bebel). (84) Vedi Antonio Menger, professore di Diritto presso l'Università di Vienna, Il diritto civile e il proletariato. Studio critico sul progetto di un codice civile per l'impero germanico, F.lli Bocca Editori, Torino 1894. 54 o malattie gravi o la morte. Negli infanticidi la popola- zione della campagna è rappresentata dal 75%, negli aborti le città dal 67%. Siccome nelle città le donne hanno maggiore facilità di procurarsi i mezzi per im- pedire le nascite, così molti casi d'aborto e relativa- mente pochi di infanticidio. Nelle campagne invece la proporzione è invertita. Questo è il quadro che la società moderna offre riguardo ai suoi rapporti più intimi. E' molto diverso dalla pittura che ne fanno i poeti e i visionari, ma ha il vantaggio di essere vero. Noi dobbiamo per altro aggiungere a questo quadro alcune altre importanti pennellate. Ogni qualvolta sorge la questione intorno alle atti- tudini intellettuali di entrambi i sessi - questione che discuteremo ancora più innanzi - non ci possono es- sere dispareri sul punto che nel presente il sesso fem- minile in media è inferiore al sesso maschile intellet- tualmente. Balzac, che non fu punto amico delle donne, af- ferma: “La donna che ha ricevuto una cultura ma- schile possiede effettivamente le qualità più splendide ed efficaci per fare la felicità propria e quella di suo marito”; e Göthe, che conosceva certo molto bene gli uomini e le donne del suo tempo, si esprime morda- cemente nel suo “Guglielmo Meister” (Confessioni di una bella anima) (85): “Si gettò il ridicolo sulle donne dotte, e non si vollero soffrire nemmeno le donne istru- ite, probabilmente perché si ritenne scortesia di far arrossire tanti uomini ignoranti”, ma quei due giudizi, oggi, per la generalità, non valgono. La differenza esi- ste e deve esistere perché la donna è quale l’hanno fatta gli uomini suoi padroni. L'educazione della donna è stata generalmente trascurata ancora più di quella del proletario, e ciò che oggi si dà di meglio a questo riguardo, da tutti i lati è ancora insufficiente. Noi vi- viamo in un’epoca nella quale cresce in tutti i ceti ed anche nella famiglia il bisogno dello scambio di idee, e qui la trascurata cultura della donna si dimostra un grave errore e si vendica sull’uomo. La base della cultura intellettuale nell’uomo dovreb- be formarsi almeno, secondo quanto si afferma, seb- bene troppo spesso non si raggiunga e molte volte non posssa essere raggiunto lo scopo impiegandovisi mezzi disadatti, la base, ripetiamo, della cultura del- l’uomo dovrebbe formarsi con lo sviluppare l’intelli- genza, con l’acuire il pensiero, con la diffusione della scienza positiva, col rendere ferma la volontà, in una parole con l’esercizio delle funzioni intellettuali. L’edu- cazione della donna, al contrario, per elevata che sia, si limita principalmente al sentimento, ad una educa- zione puramente formale dello spirito per cui si ec- cita la irritabilità nervosa e si riscalda la fantasia, ad esempio mediante la musica, le belle lettere, l’arte, la poesia. Questo è l’indirizzo più sbagliato e più malsano che si poteva seguire: esso rivela che le forze, che devono costituire il grado di cultura della donna, si fanno guidare soltanto dai suoi innati pregiudizi sulla natura del carattere femminile e sulla posizione limita- ta che occupa la donna nella vita. Ciò che manca alla donna non è già il sentimento e la fantasia che eccita il sistema nervoso, né il sapere a base di apparenza e di spirito: per questi aspetti il carattere della donna si è sviluppato ed affinato anche troppo, così da aumen- tare il male. Ma se la donna, al posto di un sentimento sovrabbondante, che spesso diventa poco sincero, possedesse maggiore acutezza di giudizio e più esatta capacità di pensare; al posto di una soverchia eccita- bilità e timidezza, coraggio fisico e fermezza di carat- tere; se al posto di una cultura puramente formale e a base di spirito, per quanto estesa, e in questa condi- zione si trova solo una esigua minoranza, acquistasse la conoscenza del mondo, degli uomini e delle forze della natura, allora si troverebbero molto meglio così essa come l’uomo. In generale si è alimentato fin qua nella donna smisuratamente quella che si chiama la vita del senti- mento e dell’anima, mentre si è arrestato, negletto ed oppresso il suo sviluppo intellettuale. Donde una vera ipertrofia del sentimento e dell’anima, e la facilità di cedere alla superstizione e ai raggiri dei furbi, sicché può dirsi un terreno sempre disposto a fecondare qual- siasi ciarlataneria religiosa o d’altro genere, e uno stru- mento molto docile per ogni reazione. Gli uomini se ne dolgono, perché ne soffrono anch’essi; ma non pensano a cangiamenti, perché di pregiudizi anch’es- si ne hanno fin sopra i capelli. Data codesta condizione intellettuale della donna, è chiaro che essa consideri il mondo ben altrimenti che gli uomini; donde una ricca sorgente di dissidio tra i due sessi. La partecipazione alla vita pubblica oggi è diventa- ta uno dei più essenziali doveri dell’uomo; né la cosa muta se molti uomini tale dovere non comprendono. Ma diventa sempre più fitta la schiera di coloro i quali riconoscono che la vita pubblica e le istituzioni sue sono intimamente collegate ai rapporti privati dei sin- goli; che il bene e il male degli individui e delle famiglie dipendono assai più dalle istituzioni pubbliche e dai pubblici ordinamenti che non dagli atti e dalla condi- zione personale dei privati, perché comprendono che, rispetto a quelle mancanze inerenti allo stato delle cose e che ne determinano la condizione, è addirittura im- potente qualsiasi sforzo dei singoli. (85) Il “Guglielmo Meister”, di Goethe, è un romanzo com- posto da due parti, Wilhelm Meisters Lehrjahre (1796; Anni di apprendistato di Guglielmo Meister) e Wilhelm Meisters Wan- derjahre (1829; Anni di peregrinazioni di Guglielmo Meister), precedute dal frammento Wilhelm Meisters theatralische Sen- dung (1776; La missione teatrale di Guglielmo Meister), sco- perto solo nel 1910. Nei Lehrjahre, in cui Goethe trasfuse la Sendung, il tema del teatro, rispetto all’opera precedente, come pure gli elementi autobiografici sono fortemente ridotti; Gu- glielmo comprende che il teatro è soltanto una tappa del suo sviluppo e la sua educazione, al di là dei sogni giovanili, verrà d’ora in poi condotta da una società segreta, la Torre. L’espe- rienza religioso-estetica del giovane Goethe è sintetizzata nel- l’inserto Bekenntnisse einer schönen Seele (Confessioni di un’anima bella). Nei Wanderjahre si vede Guglielmo approda- re a un’utopistica “provincia pedagogica”, dove l’individuo viene educato a una forma di rinuncia e ad aprirsi all’incipiente era della tecnica e alla prevedibile ascesa delle masse (http:// www.sapere.it/enciclopedia/). 57 simo ci ha profondamente radicato nell’animo rispet- to a tutto ciò che riguarda la natura umana. La donna che non sviluppa le sue attitudini fisiche, che, storpiata nella cultura di quelle intellettuali, si ag- gira entro una sfera di idee molto ristrette, ponendosi in relazione soltanto con le sue conoscenze più pros- sime, non può elevarsi dal comune e dal mediocre. Il suo orizzonte intellettuale abbraccia sempre le più meschine faccende domestiche, le relazioni di paren- tela e ciò che ne dipende. Di qui un alimento alle con- versazioni inutili sulle cose più insignificanti, di qui anche favorita la più viva tendenza alla ciarla poichè le doti di fantasia in lei vive fanno ressa per essere pro- vate ed esercitate. E quindi l’uomo, addolorato spes- so da dispiaceri e tratto alla disperazione, maledice perché egli, “signore della creazione”, ne fu pure cau- sa precipua. Ora, poichè la donna in tutte le fasi della sua esi- stenza è tratta, dalle nostre condizioni sociali e ses- suali, al matrimonio, tutto ciò che vi si riferisce forma naturalmente una parte essenziale delle sue aspirazio- ni e dei suoi discorsi. Per essa, fisicamente più debole e soggetta per uso e per legge all’uomo, la lingua co- stituisce l’unica arma che può adoperare, ed essa na- turalmente se ne vale. Lo stesso avviene della sua pas- sione per gli adornamenti e per la civetteria che rag- giunge la sua più spaventosa intensità nei capricci della moda tante volte deplorati, trascinando spesso nella miseria e nell’imbarazzo padri e mariti senza che essi possano porvi un riparo efficace. Tutto ciò si spiega molto facilmente. La donna costituisce per l’uomo prima di tutto uno strumento di piacere; economica- mente schiava, essa è costretta a vedere nel matrimo- nio il suo mantenimento, essa dipende dunque dal- l’uomo e diventa una parte del suo patrimonio. La sua condizione è resa ancor più disgraziata dal fatto che il numero delle donne supera generalmente quello degli uomini. Di ciò parleremo in un altro capitolo. Per que- sta sproporzione sale la concorrenza delle donne fra loro, concorrenza resa maggiore da un certo numero di uomini che per varie ragioni non prendono moglie. La donna è costretta, quindi, a entrare in lotta con le sue compagne e a sfoggiare i suoi vezzi e le sue attrattive per vincerle e conquistarsi il marito. Chi pensi che tutte queste disuguaglianze durarono per il corso di innumerevoli generazioni, non si meraviglierà che questi fenomeni, giusta le leggi dell’eredità naturale e dell’evoluzione, abbiano attinto la loro ultima forma alle stesse cause continuamente operanti. Da ciò ne viene che forse in nessun’altra età la lotta della donna per la conquista dell’uomo fu mai tanto accanita come nel presente e, in parte per le cause già da noi accen- nate, in parte per altre cause che illustreremo più avanti, aumentò molto più di prima il numero delle donne che cercano marito in confronto degli uomini che cerca- no moglie. Infine, le difficoltà di una esistenza como- da e le esigenze sociali spingono molto più di una vol- ta la donna verso il matrimonio, come ad un “istituto di mantenimento”. Gli uomini si compiacciono di tale stato di cose, e ne traggono profitto. Si addice alla loro superbia, alla loro vanità, al loro interesse la parte del più forte e del dominatore, e in questa parte il padrone è, come tutti i padroni, difficilmente accessibile al ragionamento. Tanto più, poi, le donne hanno interesse di agitarsi per conquistare una posizione che le liberi da questo stato di avvilimento e di degradazione. Le donne non pos- sono illudersi che l’uomo le aiuti ad uscire dalla loro condizione, nel modo stesso che gli operai hanno a sperare poco dalla borghesia. Si consideri, inoltre, quali doti caratteristiche crea la lotta per la conquista di una posizione privilegiata anche in altri campi, per esempio in quelli dell’indu- stria quando gli imprenditori si trovano uno di fronte all’altro, quali mezzi indecorosi e vigliacchi come l’odio, l’invidia, la maldicenza, si impiegano nella lotta e risulterà chiarissimo il fatto che nella lotta di con- correnza della donna per la conquista dell’uomo si formano qualità perfettamente identiche. Ne conse- gue che le donne, in media, si sopportano meno degli uomini; e che anche le migliori amiche vengono facil- mente a contesa tra loro non appena si tratti della con- siderazione in cui sono tenute dall’uomo, delle loro prerogative personali e così via. Di qui anche la con- ferma del fatto che due donne incontrandosi per la prima volta si guardano generalmente come due ne- miche e con una sola occhiata scoprono reciproca- mente se l’altra ha sfoggiato un colore stridente o di- sposto con poco buon gusto un velo, o commesso qualche altro peccato mortale di tal fatta. Negli sguar- di di entrambe si può leggere il giudizio che l’una fa dell’altra, come se l’una volesse dire all’altra: “Io ho saputo però abbigliarmi meglio di te, per attirare su di me l’attenzione”. Anche l’intensità maggiore delle passioni nella don- na, la quale trova nella Furia la sua espressione più odiosa, ma si manifesta anche nell’abnegazione più alta e nel sacrificio di sè – basti pensare alla virtù eroi- ca con cui le madri e le vedove derelitte provvedono ai loro figli – anche questa maggiore intensità di pas- sione ha la sua base essenziale nel metodo di vita e di educazione perché tutto è in lei diretto a favorire la vita del sentimento. Con gli effetti di un’educazione intellettuale sba- gliata, vanno di pari passo quelli meno importanti di un’educazione fisica sbagliata o difettosa, in relazione allo scopo della natura. Tutti i medici sono d’accordo su questo, che la preparazione della donna alle funzio- ne di madre e di educatrice lascia quasi ancor tutto a desiderare. “Si esercitano i soldati nel maneggio delle armi e gli operai nell’uso dei loro strumenti; ogni im- piego o ufficio esige i suoi studi; anche per il frate c’è il noviziato. Soltanto la donna non riceve alcuna istru- zione in ordine ai suoi gravi doveri di madre” (88). Nove decimi delle ragazze che hanno occasione di maritarsi si sposano ignorando quasi completamente (88) La missione del nostro secolo. Uno studio sulla que- stione della donna di Irma de Troll-Borostyani, Presburgo e Lipsia (Die Mission unseres Jahrhunderts. Eine Studie über die Frauenfrage. Heckenast, Preß-burg 1878). E’ un libro scrit- to con brio, vigore e con esigenze abbastanza avanzate. Nota di A. Bebel. 58 ciò che voglia dire maternità e i loro doveri nel matri- monio. Il già accennato orrore insormontabile che hanno le madri di parlare alle figlie già sviluppate delle im- portanti funzioni sessuali, le lascia nell’ignoranza più crassa dei doveri che esse hanno verso se stesse e verso il futuro consorte. “La fanciulla, entrando nella vita matrimoniale, calca un terreno a lei completamente straniero; essa se ne è formata a modo suo un quadro fantastico, attinto per lo più dai romanzi, spesso non molto edificanti, e che rispondono alla realtà come un pugno negli occhi” (89). Sulle mancanti nozioni di economia, tanto neces- sarie allo stato odierno delle cose, se anche la moglie viene esonerata da parecchi lavori che prima esegui- va, si ritiene sufficiente un cenno di sfuggita. E’ un fatto indiscutibile che molte donne, spesso non per colpa loro, ma per effetto di cause sociali generali, entrano nella vita coniugale senza avere le nozioni più elementari dei doveri domestici, ciò che costituisce un motivo sufficiente di dissapori. Un’altra ragione che allontana molti uomini dal matrimonio, consiste nello sviluppo fisico di molte donne. Educazione sbagliata, tristi condizioni sociali (sistema di vita, abitazione, impiego), creano esseri femminili non adatti ai doveri fisici del matrimonio. Sono deboli, anemiche, eccessivamente nervose. Di qui i difficili cicli mestruali, le malattie dei vari organi che si collegano ai fini della generazione e arrivano fino all’incapacità di procreare e di allattare, od anche al pericolo della vita. Invece di una compagna sana e vivace, di una madre feconda, di una sposa che adem- pie i suoi doveri domestici, l’uomo ha vicino a sè una donna malata, eccitabile, che ha sempre bisogno del medico e che non può sopportare né il più leggero soffio di vento né il rumore più lieve. Non vogliamo diffonderci su tal punto; ogni lettore – e tutte le volte che diciamo lettore si intende anche lettrice – può com- pletare il quadro da sè, perché ognuno può attingere molti altri esempi dalla cerchia delle sue conoscenze. Medici esperti assicurano che oltre una metà di donne maritate, specialmente nelle città, si trovano in condizioni più o meno anormali. Tali unioni possono essere infelici secondo il grado dei mali e il carattere dei coniugi; e nell’opinione pubblica danno diritto al- l’uomo di permettersi delle libertà extraconiugali, la cui conoscenza produce nella donna la più viva ecci- tazione. Talvolta sono le esigenze sessuali, molto di- verse nell’una e nell’altra parte, quelle che porgono occasione a profondi dissidi, senza che sia possibile, per riguardi d’ogni genere, la desiderata separazione. Vi sono dunque molteplici e svariati motivi che rendono la moderna vita coniugale, in un gran nume- ro di casi, assai diversa da quella che deve essere, cioè l’unione di due esseri di sesso diverso i quali si appartengono per vicendevole amore e stima; e che soltanto insieme costituiscono, secondo l’espressio- ne scultorea di Kant, tutto l’uomo. Perciò è troppo poco insegnare che le aspirazioni emancipatrici della donna saranno soddisfatte con l’avviare la donna al matrimonio, che nelle nostre condizioni sociali – come dimostreremo anche più avanti – va sempre più sna- turandosi e corrompendosi e risponde sempre meno al suo scopo, ma è atroce scherno il dire che si vuol avviare la donna verso il matrimonio, avviamento che la maggioranza degli uomini applaude, quando tanto i consiglieri quanto i fautori più loquaci nulla fanno per procurare alla donna un marito. Schopenhauer, il filosofo, intende la donna e la sua posizione come la intende un borghesuccio. Egli dice: “La donna non è chiamata a grandi opere. Ciò che la caratterizza non è l’azione ma la passione. Essa paga il debito della vita coi dolori del parto, con la cura per i figli, con la soggezione all’uomo. A lei sono negate le manifestazioni più vigorose della forza e del sintimen- to. La sua vita deve essere più tranquilla e più oscura di quella dell’uomo. La missione della donna è quella di educatrice e allevatrice dei bambini, perché bam- bina essa stessa, rimane per tutta la vita una grande bambina, una specie di grado intermedio fra il fan- ciullo e l’uomo, il quale è il vero padrone... Le ra- gazze vanno educate alla vita domestica e alla sog- gezione... Le donne sono i filistei più convinti e più incorreggibili”. Schopenhauer, quando giudica la donna, non è un filosofo, ma è egli stesso uno dei filistei più convinti. Il filosfo deve – e in ciò sta la sua importanza – ap- profondire le cose più di quello che abbia fatto Scho- penhauer, il quale si arresta soltanto alla superficie. Di più, Schopenhauer non fu mai ammogliato; e quindi da parte sua egli non ha contribuito a far sì che una donna soddisfacesse ad un compito maggiore di quello che egli assegna alle donne. Ed eccoci al rovescio della medaglia, che non è certamente il più bello. Tutti sanno che molte donne non si sposano per- ché non possono farlo. Il costume vieta ad esse la scelta e la domanda, e perciò devono lasciarsi sce- gliere. Se non vi è alcun aspirante, la donna va ad ingrossare le fila di quelle infelici che vennero meno allo scopo della vita e cadono in miseria, quando non sono esposte anche allo scherno. Pochissimi conoscono la ragione di questa disu- guaglianza dei sessi, e ne conoscono anche meno la vera importanza. La maggior parte ha questa risposta (89) Alessandro Dumas figlio narra nel libro Les femmes qui tuent et les femmes qui votent, 1880, (http:// www.assemblee-nationale.fr/ histoire/femmes /citoyennete_ politique_ revolution. asp) di un prete cattolico altolocato che gli aveva comunicato che su cento delle più giovani pastorelle che si erano maritate, almeno 80 sono venute a dirgli un mese dopo il matrimonio che erano disilluse e si dolevano di aver preso marito. Ciò è verosimile. La borghesia francese volterria- na trova che non è in disaccordo con la sua coscienza il far educare le figlie nei conventi; partendo dall’idea che una donna ignorante si può guidare più facilmente di una donna educata. Di qui conflitti e disinganni. Anche Laboulaye (Edouard-René Lefebvre de Laboulaye, politico e scrittore francese, ideatore della costruzione della Statua della Libertà donata nel 1886 dalla Francia agli Stati Uniti d’America e posta all’entrata del porto di New York, inizialmente contrario ma poi sostenitore del governo Thiers, massacratore dei comunardi parigini, scris- se Recherches sur la condition civile et politique des femmes depuis les Romains jusqu’à nos jours, 1843) consiglia di con- servare le donne in una certa ignoranza perché “il nostro impe- ro è distrutto, se l’uomo viene riconosciuto”. Nota di A. Bebel. 59 sulle labbra: Nascono troppe ragazze, e alcuni con- cludono che deve essere introdotta la poligamia, se è vero che lo scopo della vita della donna è il matrimo- nio. Quelli che sostengono che nascono più donne che uomini sono male informati. E quelli poi che, do- vendo ammettere che il celibato è contro natura e, considerando il gran numero delle donne nubili pen- sano che in tal caso la poligamia, bene o male, deve essere introdotta, svisano la vera natura delle condi- zioni. La poligamia non solo ripugna ai nostri costu- mi, ma contribuisce, sotto tutti i rapporti, a scemare la dignità della donna, ciò che non impedisce allo Scho- penhauer nella sua disistima e nel suo disprezzo per essa, di dichiarare che: “Per il sesso femminile in ge- nerale la poligamia è un beneficio”. Molti non si ammogliano, credendo di non poter mantenere convenientemente una donna e i figli che nasceranno da essi; pochi soltanto potrebbero mante- nere una seconda donna, e fra questi vi sono molti che ne mantengono due, una legittima e una illegitti- ma. Costoro, privilegiati per censo, non si astengono dal fare il piacer loro né per virtù di legge, né per riguardi morali. Anche nei paesi orientali, ove la poli- gamia è riconosciuta dalle leggi e dai costumi, po- chissimi hanno più di una moglie. Si parla tanto del- l’influenza demoralizzante della vita degli harem tur- chi. Ma si dimentica che essa è possibile ad una parte insignificante della popolazione, e quasi esclusivamente alla classe dominante, mentre la gran massa del popo- lo vive a sistema di monogamia, né più né meno degli europei. Nella città di Algeri, sullo scorcio del 1860, su 18.282 matrimoni, non meno di 17.319 erano con una donna soltanto, 888 con due mogli e 75 soltanto con più di due. Costantinopoli, la capitale della Tur- chia, non potrebbe presentare risultati notevolmente diversi. Fra la popolazione agricola turca è ancora più spiccato il rapporto a favore della monogamia. In Tur- chia, come presso di noi, si ha riguardo in prima linea agli interessi materiali, i quali costringono la maggio- ranza del sesso maschile a contentarsi di una moglie. Che se pure queste condizioni fossero favorevoli per tutti gli uomini, la poligamia non si potrebbe tuttavia introdurre, perché allora mancherebbero le donne. Il numero quasi eguale – in condizioni normali – dei rappresentanti dei due sessi, spinge dappertutto alla monogamia. Poiché i dati seguenti dimostrano come entrambi i sessi si distribuiscano numericamente sulla terra, così sono da tener ferme le conclusioni che formuleremo fra poco. Le tavole sono desunte dal giornale dell’ufficio di statistica di Berlino per il 1889, in cui il barone de Fircks pubblicò un lavoro sotto il titolo: “La distribu- zione della popolazione per sesso specialmente in Prus- sia” (90). Non si ebbero comunicazioni sulla distribuzione dei sessi nella repubblica di Andorra, a Monaco, a S. Marino, nel Montenegro e nella Turchia europea. Il Fircks presenta poi una raccolta di tavole relative alla popolazione totale della terra distribuita per ses- so, in cui per una popolazione di 760.328.614 per- sone i dati sono basati sulle statistiche esistenti, men- tre per 522.681.076 persone i dati vengono presen- tati con un calcolo approssimativo. Questi calcoli si fondano però sui risultati forniti da singole popola- zioni delle regioni esaminate e vengono applicati per analogia alle altre popolazioni per le quali mancano i dati sulla distribuzione numerica dei sessi. In com- plesso con tale metodo si getta uno sguardo relati- vamente esatto, in ordine alla distribuzione per ses- si, su 1.283.009.690 persone, cioè sull’88,5% della popolazione della terra. Eccone i risultati: (90) Si tratta con ogni probabilità di Arthur Freiherr von Fircks (1838-1900), che era consigliere governativo presso l’Uf- ficio di Statistica di Berlino (Königlich Preußischen Statisti- schen Bureau). Popolazione complessiva Maschile Femminile I. EUROPA 334.463.910 3.407.218 dei quali verificati per dati positivi 329.687.722 3.167.718 e calcolati aprossimativ. 4.776.188 237.5 II. ASIA 815.655.931 16.103.304 dei quali verificati per dati positivi 328.989.264 7.853.304 e calcolati aprossimativ. 486.666.667 8.250.000 III. AFRICA 27.168.743 1.154.215 dei quali verificati per dati positivi 10.358.743 179.215 e calcolati aprossimativ. 16.750.000 975.000 IV. AMERICA 102.005.593 1.163.260 dei quali verificati per dati positivi 87.517.372 993.760 e calcolati aprossimativ. 14.488.221 169.500 V. AUSTRALIA 3.546.725 302.549 dei quali verificati per dati positivi 3.546.725 302.549 VI. OCEANIA 228.788 36.138 dei quali verificati per dati positivi 228.788 36.138 TOTALE 1.283.009.690 15.352.248 dei quali verificati per dati positivi 760.328.614 5.720.248 e calcolati aprossimativ. 522.681.076 9.632.000 Eccedenza della popolazione 62 A Parigi nel 1882, su 31.828 nati maschi vi furono 30.753 nati femmine, e quindi su 100 femmine, 103,5 maschi. Ma la mortalità sotto i 15 anni colpì 191 fan- ciulli e 156 fanciulle per 1000. In tutta la Francia, su 1000 nati maschi vi sono 942 nati femmine. Una dif- ferenza veramente notevole fra i sessi si manifestò a Parigi nel numero dei morti per tisi, fra i quali nel 1877 vi furono 4.768 maschi e soltanto 3.815 femmi- ne. La ragione di questa maggiore mortalità dei ma- schi – mortalità che mena più strage nelle città che nelle campagne – deve ricercarsi nel sistema di vita più nocivo alla salute e più licenzioso. Secondo il Quéte- let (91), muoiono più uomini nell’età dai 18 ai 21 anni che donne nell’età dai 18 ai 25 anni. Una seconda ragione è questa: che gli impieghi e le occupazioni degli uomini (fabbriche, navigazione, commercio) pre- sentano maggiori pericoli che non presentino le occu- pazioni della donna. Il motivo poi del maggior numero di maschi nati morti deve ricercarsi nella maggiore difficoltà della nascita e del parto per essere la loro testa, in media, più grossa di quella delle donne, per cui essi risento- no della debolezza dell’organismo materno più delle bambine (92). Il fatto sorprendente della generale eccedenza nel- le nascite degli uomini sulle donne si è cercato di spie- garlo con ciò: che la maggiore probabilità della nasci- ta di un maschio dipende dal fatto che l’uomo in me- dia ha sulla donna il vantaggio di un numero maggiore di anni, della forza e dell’energia. La nascita dei bam- bini, si dice, è tanto più frequente quanto è maggiore la differenza d’età fra uomo e donna, sebbene un uomo vecchio di fronte ad una donna giovane si trovi in una posizione svantaggiata. Si potrebbe dunque fissare la norma: che la natura più forte influisce sul sesso del bambino. Da quello che abbiamo esposto si può dedurre con sicurezza che, se la donna raggiungesse un migliore sviluppo fisico e intellettuale mediante un’educazione e un sistema di vita più conformi alla natura, il nume- ro dei morti e la mortalità dei bambini decrescerebbe. Ne consegue poi, d’altro canto, che con il rinvigorirsi delle forze intellettuali e fisiche della donna e per ef- fetto della scelta corrispondente in relazione all’età dell’uomo, diventa possibile e, in condizioni normali, verosimile di regolare il numero delle nascite di en- trambi i sessi. Si è visto che in Europa la emigrazione e il milita- rismo esercitano un’influenza notevole sull’ecceden- za del sesso femminile in confronto al sesso maschi- le. L’obbligo del servizio militare spinge spesso i gio- vani ad emigrare negli anni più belli della vita. Il nu- mero degli emigranti maschi supera in Germania quello delle femmine di circa 10-15 mila persone ogni anno. Nel 1889, secondo i documenti ufficiali sulla leva, di 1.149.042 uomini soggetti alla leva nell’impero te- desco rimasero disertori 42.127; 110.552 mancarono senza giustificazione alla chiamata, 19.139 furono con- dannati per essere emigrati senza permesso e 14.299 erano ancora sotto processo per questo titolo. Sono cifre che non hanno bisogno di commenti. Ma le don- ne comprenderanno quanto interesse abbiano per loro anche i nostri sistemi militari e politici. Se il periodo di servizio militare debba essere pro- lungato o accorciato e quindi l’esercito ingrossato o diminuito; se si debba seguire una politica pacifica o bellicosa, se il trattamento dei soldati è umano o inu- mano, e quindi se il numero delle diserzioni e dei suicidi nell’armata cresce o diminuisce, son tutte que- stioni che interessano tanto la donna quanto l’uomo. L’uomo può sottrarsi a queste condizioni molto più facilmente della donna. Ma per la donna cresce quindi il pericolo che essa non possa raggiungere i suoi fini naturali. Fra le cause che rendono ancor più grave la diffe- renza numerica dei sessi a vantaggio della donna, deve comprendersi anche il numero degli infortuni nell’in- dustria; numero che aumenta in ragione diretta dei progressi della meccanica. A questi infortuni anche il sesso femminile reca il suo contingente, trovando esso sempre maggiore ac- cesso in ogni ramo d’industria. Secondo la statistica delle assicurazioni contro le disgrazie accidentali nel- l’anno 1888, il numero dei morti per effetto di infor- tuni raggiunge la cifra di 3692, rispetto a 3270 del- l’anno precedente; mentre la cifra di quelli che, in seguito ad accidente, rimasero inabili al lavoro, fu di 2216 contro 3166 dell’anno precedente. Il numero di queste persone, che sono rese completamente ina- bili al lavoro, intanto deve prendersi in considerazio- (91) Lambert-Adolphe-Jacques Quételet, 1796-1874, astro- nomo e statistico belga. Approfondisce le sue conoscenza in materia statistica durante la collaborazione alla pubblicazione dei dati del censimento della popolazione del 1829 in Belgio. In diversi congressi di statistica promuove e difende l’idea di una statistica scientifica basata sul calcolo delle probabilità, fino a creare nel 1867 (in occasione del congresso tenutosi a Firenze) una sezione speciale per tale problema. Nel 1869, ristampa La physique sociale (opera del 1835, considerata il suo principalie scritto di statistica), nel quale cerca di studiare l’uomo con il calcolo delle probabilità, cercando le meccaniche che regolano il comportamento fisico, intellettuale e morale non dei singoli individui ma di un ipotetico uomo medio. (92) E’ notevole che le donne delle popolazioni selvagge o semibarbare partoriscano con una estrema facilità e perlo più subito dopo il parto ritornino alle consuete loro occupazioni. Anche le donne del basso ceto sociale che lavorano accanita- mente, e specialmente le donne della campagna, partoriscono con molta minore difficoltà delle donne dei ceti più elevati. Nota di A. Bebel. Maschi Femmine Su 100 femmine maschi morti 1872 651.675 609.244 107,0 1878 644.965 583.635 110,5 1884 663.792 608.066 109,2 1888 627.985 581.812 107,9 (2) (2) Annuario statistico per l'Impero Germanico, 1889. 63 ne in quanto generalmente esse muoiono più presto. Il numero delle donne rimaste vedove in seguito a disgrazia accidentale fu di 2406 nel 1888. Fra i morti e quelli resi del tutto inabili al lavoro, c’era anche un piccolo numero di donne, sul quale non esistono dati più precisi. Ma ancora più che nell’industria, la vita dell’uomo trova nemici che la insidiano e colpiscono special- mente nei paesi marittimi. Non abbiamo dati più pre- cisi, ma i grandi pericoli che presentano quei lavori sono provati dal grande numero di vedove fra le po- polazioni che vivono dell’industria marittima. L’isola di Eligoland [situata nel Mare del Nord, nota ora come isola Helgoland, NdR] contava, secondo la statistica, il 2 dicembre 1890, 953 abitanti maschi e 1133 femmine, quindi una forte sporporzione dei ses- si, la quale è tanto più rilevante quando si ammette che una parte della popolazione maschile, al momento in cui si è proceduto al calcolo, fosse assente. Mano mano che le condizioni sociali vanno essen- zialmente migliorando, si rinvigorisce l’intelligenza, cresce il valore della vita umana e diminuisce la mor- talità dei bambini. I pericoli delle macchine, delle mi- niere ecc., vengono evitati quasi del tutto per mezzo di misure protettrici, e lo stesso accade per l’industria marittima. Invece in quest’ultimo campo oggi si pro- cede in modo imperdonabile. A tutti è noto, in Inghilterra, il fatto – diffuso per opera del signor Plmsoll – che verso la metà del 1870 molti proprietari di navi, assicurate ad altissimo pre- mio per la delittuosa avidità di lucro, benché inette alla navigazione, le sacrificavano senza scrupolo alcuno insieme alla ciurma al più lieve sinistro marittimo, per intascare il premio assicurativo. Queste navi sono le cosiddette navi-feretro, che neppure in Germania sono sconosciute. Nell’anno 1881, per esempio, il vapore Braun- schweig che apparteneva alla ditta Rocholl e C. di Bre- ma, affondò presso Eligoland. La nave era scesa in mare in perfette condizioni di navigabilità. La stessa sorte toccò, nel 1889, al vapore Leda della stessa dit- ta, il quale vapore, appena sceso in mare, si arenò davanti alle foci dell’Elba. La nave era assicurata per 50.000 rubli presso il Lloyd Russo; al capitano se ne erano fatti sperare 8500 se l’avesse condotta salva a Odessa, e questi pagava al pilota l’alto nolo di 180 marchi al mese. L’ufficio marittimo decise: il sinistro era stato causato dalle condizioni di innavigabilità del piroscafo Leda e per l’inettitudine sua a far rotta per Odessa. Al capitano fu ritirata la patente di navigazio- ne; ma per le leggi imperanti, i colpevoli non poterono essere colpiti. E chi sa quante navi colano a fondo in alto mare senza che sorga appunto per ciò un accusa- tore! Le misure di protezione per la salvezza dei naufra- ghi sulle coste sono ancora troppo difettose e insuffi- cienti, essendo tali istituzioni appoggiate quasi esclu- sivamente alla beneficienza privata. E’ poi veramente sconfortante il vedere come si provvede al salvatag- gio dei naufraghi sulle coste lontane dei paesi stranie- ri. Una Società che si prefiggesse l’unico e nobile sco- po di promuovere il bene di tutti, migliorerebbe la na- vigazione generale e gli interessi del commercio ma- rittimo in modo che questi disastri diverrebbero mol- to rari. Ma l’odierno sistema economico, fondato sul- la rapina, considera gli uomini come numeri per fare grossi guadagni e annienta spesso una vita umana quando ha in vista la possibilità di ricavarne anche un lieve profitto. Altre ragioni che ostacolano i matrimoni sono an- che le seguenti. Ad un numero notevole di uomini è fatto divieto dallo Stato di contrarre liberamente ma- trimonio. Si stralunano gli occhi per la immoralità del celibato imposto al clero cattolico, ma non si ha una parola di biasimo per il molto maggior numero di sol- dati che al celibato sono condannati. Non solo gli uf- ficiali devono avere il consenso dei loro superiori, ma altre gravi limitazioni li vincolano nella libera scelta della donna, perché costei deve possedere una certa sostanza che non sia irrilevante. Così l’ufficialità au- striaca dal 1879 ha ottenuto un “miglioramento” so- ciale a spese del sesso femminile. L’ufficiale, come candidato al matrimonio, è salito di prezzo; il capitano vale 8000 fiorini, se oltrepassa i trent’anni, mentre il capitano al di sotto di questa età sarà merce rarissi- ma, specialmente nell’avvenire e in nessun caso lo si potrà avere per meno di 30.000 fiorini di dote. Perciò una “signora capitanessa” (come si scrive da Vienna alla Gazzetta di Colonia), che oggi è talvolta oggetto di compassione per le sue compagne del ceto banca- rio o governativo, può tenere più alta la testa, sapen- dosi da tutti che essa ha “da vivere”. La posizione sociale dell’ufficiale austriaco non era fino ad ora ben definita, a parte la maggiore capacità personale, la cultura e la dignità del rango, perché da unlato delle persone ragguardevoli vivevano all’ombra dell’impe- ratore, dall’altro molti ufficiali tiravano innanzi non senza umiliazione, e specialmente perché le famiglie di molti poveri ufficiali versavano spesso in condizio- ni lacrimevolissime. L’ufficiale che voleva prendere moglie, se aveva superato i 30 anni, doveva provare di possedere un patrimonio di 12.000 fiorini, ovvero una rendita annua di 600, ed anche con questa picco- la rendita, che a malapena gli permetteva di vivere in modo convenevole al suo stato, talvolta si chiudeva un occhio e si accordavano facilitazioni. Piange il cuore nell’esaminare le nuove ordinanze per i matrimoni degli ufficiali, di una eccessiva severità: un capitano sotto i 30 anni deve presentare d’ora in poi una cauzione di 30.000 fiorini; se supera i 30 anni, di 20.000; un uffi- ciale dello stato maggiore fino al colonnello, di 16.000, con questo però che una quarta parte soltanto degli ufficiali dell’esercito può prender moglie senza spe- ciale grazia e, quanto alla sposa, si esige che essa ab- bia condotto una vita illibata ed occupi una posizione conforme al suo stato. Ciò vale per gli ufficiali del- l’esercito e per i medici militari. Per gli altri impiegati militari, col grado di ufficiali, le nuove disposizioni sono più miti, ma sono ancor più rigorose per gli uf- ficiali dello stato maggiore generale. Questi in avveni- re non potranno più pigliar moglie; il capitano effetti- vo dello stato maggiore generale, che non ha compiu- to 30 anni, ha bisogno di una cauzione di 36.000 fio- rini; se ha superato i 30 anni, di 24.000. 64 Abbiamo quindi una prova palmare di come lo Stato intenda il matrimonio. Il ceto dei sottufficiali è sotto- posto alle stesse condizioni proibitive; ci vuole il con- senso dei superiori, consenso che viene accordato molto difficilmente e in misura molto limitata. L’opi- nione pubblica è d’accordo generalmente nel ritenere che non sia consigliabile il matrimonio ai giovani che non abbiano raggiunto i 24 o 25 anni – 25 anni è an- che l’età che il codice civile dell’impero considera come età maggiore per l’uomo - e ciò perché, di regola, a questa età si acquista la indipendenza civile. L’opinione pubblica trova ragionevole e corretto che l’uomo prenda moglie a 18 o 19 anni e la donna prenda marito a 15 o 16 anni soltanto, quando si tratti di persone che versano in condizioni favorevoli, e non hanno bisogno di acquistarsi una posizione indipen- dente, per esempio, persone appartenenti a famiglie principesche. Un principe può essere dichiarato mag- giorenne e tenuto pienamente capace di governare l’im- pero più vasto, il popolo più numeroso anche a 18 anni. I poveri mortali soltanto acquistano la capacità di amministrare da sè il loro patrimonio all’età di 21 anni. Questa diversità di pareri intorno all’età nella quale può permettersi il matrimonio dimostra che la opinio- ne pubblica giudica del diritto al matrimonio soltanto pigliando norma dalle condizioni sociali e che i suoi princìpi non hanno nulla a che fare né con l’uomo considerato come ente naturale, né con i suoi istinti. L’istinto naturale non si lega a determinate condizioni sociali né alle idee e ai pregiudizi che ne derivano. Quando l’uomo raggiunge la maturità, l’istinto ses- suale si fa sentire in lui con tutta quella violenza che lo contrassegna appunto per uno degli istinti più gagliar- di; esso è, si può dire, l’incarnazione della natura umana ed esige imperiosamente soddisfazione sotto pena di grandi sofferenze fisiche e morali. L’epoca della maturità varia col variare dell’indivi- duo, del clima e del sistema di vita. Nella zona torrida, le donne raggiungono, di regola, la maturità tra i 9 e i 10 anni e non è raro il caso di vedere delle donne che in tale età portano già sulle braccia il primo rampollo, ma a 25 o a 30 anni sono già avvizzite. Nella zona temperata la donna è matura fra i 14 e i 16 anni, in alcuni casi anche più tardi; si avverte però che questa maturità sessuale è diversa nelle donne della campa- gna e della città. Nelle ragazze sane e robuste delle nostre campagne che si agitano e lavorano fin dalle prime ore del mattino, il periodo delle mestruazioni comincia più tardi di quello delle nostre ragazze della città molli, nevrotiche, etèree. Là la maturità sessuale si compie di regola normalmente con rari disturbi, qui lo sviluppo normale è una eccezione; appaiono feno- mani morbosi d’ogni genere che formano la dispera- zione del medico impedito com’è da usanze e pregiu- dizi a proporre e introdurre quei rimedi che soli ed unici potrebbero giovare. Chi non sa quanto spesso i nostri medici sono costretti di dichiarare alle signore delle città – così spesso clorotiche, asmatiche e ner- vose – che il mezzo più radicale per vincere tali di- sturbi è, insieme ad un cambiamento nel metodo di vita, il matrimonio? Ma come si può mettere in prati- ca un tale mezzo? Insuperabili difficoltà si oppongo- no alla realizzazione di tale progetto, né si può far col- pa ad un uomo se egli esita a sposare un essere che è una specie di cadavere ambulante e che corre il peri- colo di morire al primo puerperio. Ciò vale a dimostrare una volta di più dove biso- gna cercare il cambiamento: e cioè in una educazione completamente diversa che riguardi tanto il lato fisico quanto il lato morale dell’individuo, in un sistema di vita e di lavoro del tutto diverso, il che è possibile soltanto in condizioni sociali completamente mutate. Questo contrasto fra l’uomo considerato come ente della natura, e l’uomo considerato come ente sociale (contrasto non accentuatosi mai tanto come oggi) è causa di tutti questi innnumerevoli e dannosi inconve- nienti. Esso genera una infinità di malattie sulla cui natura noi non vogliamo addentrarci, ma che colpi- scono soprattutto il sesso femminile. Anzitutto per- ché il suo organismo è strettamente legato alle funzio- ni generative più che non sia l’organismo dell’uomo, e di queste funzioni subisce l’influenza (ritorno rego- lare dei corsi), in secondo luogo perché la donna in- contra i più grandi ostacoli per soddisfare in modo naturale i propri gagliardi istinti. Tale contrasto fra i bisogni naturali e i vincoli sociali conduce ad atti con- tro natura, a vizi segreti, ad eccessi che finiscono col rovinare del tutto gli organi più deboli. Questo soddisfacimento degli stimoli per vie non naturali specialmente nel sesso femminile non è un mistero per alcuno e viene anzi favorito da parec- chi anni nel modo il più spudorato sotto gli occhi dell’autorità. La réclame più o meno dissimulata di certi prodotti che vengono raccomandati nei gior- nali più diffusi, specialmente nella parte riservata agli annunzi dei giornali di amena lettura che pene- trano nell’interno delle famiglie, viene anzitutto presa in considerazione. Tale réclame è calcolata principalmente sulla base di ciò che può spendere quella parte di società che si trova in migliori condizioni; poichè il prezzo di questi prodotti è così elevato che una persona non bene prov- vista non è quasi in condizione di sborsarlo. Di pari passo con tali annunzi scandalosi si raccomanda ad ambedue i sessi l’acquisto di figure oscene (special- mente di intere collezioni di fotografie), di poesie al- trettanto oscene e di opere di prosa, il cui titolo è atto di per sè ad eccitare gli stimoli sessuali e a pro- vocare l’intervento della polizia e delle autorità giu- diziarie. Ma queste hanno troppo da fare con la de- mocrazia-sociale che rovina “cultura, costumi, ma- trimonio e famiglia”. Una parte notevole della nostra letteratura roman- tica lavora nello stesso senso. E’ quindi da stupirsi che in tali condizioni sociali, le intemperanze e i pervertimenti sessuali non si fac- ciano sentire nel modo il più acuto e il più pernicioso, né assumano il carattere di una vera malattia sociale. La vita indolente e lasciva di tante donne delle classi agiate, la sovraeccitazione del sistema nervoso cau- sato dall’uso dei più raffinati profumi, il pascersi ec- cessivamente di un certo genere di poesia, musica e teatri; di tutto ciò insomma che si chiama “godimento 67 le cosiddette vecchie zitelle e i vecchi scapoli, do- cumento dell’influenza perniciosa che esercitano sull’organismo umano gli istinti naturali soffocati e compressi. Si afferma che uomini eminenti, come Pascal, Newton, Rousseau, per questo motivo ebbero a sof- frire negli ultimi anni della loro vita gravi disturbi mentali e morali. La cosiddetta ninfomania delle donne, come le numerose forme dell’isterismo, sgorgano dalla stes- sa fonte. Degli insulti isterici è causa anche il malcon- tento dipendente dall’unirsi ad un uomo che non si ama, il che è spesso causa di sterilità. La prostituzione è una istituzione sociale necessaria alla borghesia Se il matrimonio rappresenta un lato della vita ses- suale della società borghese, la prostituzione ne rap- presenta un’altro. Il matrimonio è il diritto della medaglia, la prostitu- zione ne è il rovescio. Gli uomini che non trovano soddisfazione nel matrimonio, si gettano in braccio alla prostituzione. Chi per qualche ragione deve ri- nunziare al matrimonio, cerca generalmente di appa- gare i suoi istinti nella prostituzione. Le condizioni per il soddisfacimento di cotesti istinti sono incompara- bilmente più favorevoli per gli uomini che, volenti o nolenti, vivono nel celibato, o ai quali il matrimonio non dà quanto prometteva, che non lo siano per le donne. Gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno considerato l’uso della prostituzione come un privile- gio a loro spettante per diritto. E sono quegli stessi uomini che vigilano severa- mente e più severamente condannano tutte le donne, che, vivendo fuori della sfera delle prostitute, com- mettono una colpa. Le donne hanno gli stessi istinti dell’uomo, ed anzi in certe epoche della vita (quella dei corsi ad esempio), cotesti istinti si fanno sentire in esse con maggiore violenza. Ma di ciò gli uomini non si preoccupano. Abusando della loro condizione di padroni le costringono a soffocare i loro più gagliardi istinti e fanno dipendere dalla loro castità la reputazio- ne sociale e il matrimonio. Non può esprimersi in modo più drastico e ributtante la dipendenza della donna dal- l’uomo, che mediante queste diversità di concetti e di giudizi intorno alla soddisfazione di uno stesso e me- desimo istinto, a seconda del sesso. Per il celibe le condizioni sono in modo particolare favorevoli. La natura non fa che segnalare nella don- na la conseguenza dell’atto generativo, l’uomo oltre il piacere, non ha nè pene nè corre alcun rischio. Questa posizione vantaggiosa di fronte alla donna ha causato nel corso della evoluzione quella dissolu- tezza nelle esigenze sessuali per cui si distingue una parte notevole degli uomini. E poichè ci sono mille cause che impediscono la forma legittima del soddi- sfacimento del bisogno sessuale, o lo fanno raggiun- gere solo in parte, ne consegue il sistema di appagare i sensi in forme e per vie non naturali. La prostituzione diventa quindi un’istituzione so- ciale necessaria alla società borghese com’è necessa- ria la polizia e l’esercito stanziale, la chiesa, gli im- prenditori. ecc. Dimostreremo come non abbiamo esagerato. Ab- biamo già esposto come l’antichità greca e romana considerasse la prostituzione, come la ritenesse ne- cessaria e la organizasse. Abbiamo pure esposto quali concetti ne ebbe il medio evo cristiano. Anche San- t’Agostino, che dopo S. Paolo è la colonna più salda del cristianesimo, anche Sant’Agostino che pur pre- dicava l’ascetismo, non potè astenersi dall’esclama- re: “Sopprimete le meretrici, e la violenza delle pas- sioni metterà tutto a soqquadro”. Anche il Concilio eclesiastico Provinciale di Mila- no del 1665 si espresse nello stesso senso. Udiamo ora ciò che dicono i moderni. Il Dott. F. S. Hügel nella sua “Storia, statistica e regolamenti della prostituzione in Vienna” dichiara: “Il progresso della civiltà dà alla prostituzione forme meno ributtanti; ma la prostituzione non sparirà che collo sparire del mon- do”. Con ciò certamente è detto molto, ma è certo anche, che deve consentire col D. Hügel soltanto chi non sa riflettere sull’avvenire della forma borghese della società; chi non sa quale trasformazione cotesta società deve proporsi, per raggiungere uno stato nor- male e sano. Perciò anche il D. Wichern, il pio noto direttore della Casa Rauhen di Amburgo, è d’accordo col Dot- tor Patton di Lyon, col D. William Tait di Edimburgo e col D. Parent-Duchatelet di Parigi, celeberrimo per gli studi sulla prostituzione e sulle malattie degli or- gani sessuali, nel dichiarare: “La prostituzione non si può estirpare, perchè è intimamente legata alle istitu- zioni sociali”, e tutti invocano che venga regolata dallo Stato. Nessuno di cotesti signori pensa che si debbano cambiare le istituzioni sociali, se sono esse la causa della prostituzione, perchè la loro deficienza di studi economici e i preconcetti derivanti dalla loro posizio- Questa nei suoi tratti principali è la vita coniugale dei nostri tempi, ne sono questi gli effetti. Conclu- dendo: Il matrimonio dei tempi nostri è una istitu- zione legata strettamente alle attuali condizioni so- ciali, dalle quali ne dipende la vita e la morte. Tali essendo le condizioni della società, è impossibile trasformare il matrimonio in modo da fargli per- dere i suoi lati oscuri e vani riescono gli sforzi di- retti a tale scopo. La società borghese né può dare al matrimonio una forma conveniente, né provvedere ai celibi in modo soddisfacente. 68 ne sociale, fanno parere loro impossibile tale muta- mento. Il “Giornale ebdomadario di medicina” che si pubblica a Vienna, dell’anno 1863, N. 35, domanda: Che altro rimane al gran numero di celibatari, volenti o nolenti, per soddisfare il bisogno naturale, fuorchè il frutto proibito di Venere Pandemia?” e conchiude: “se la prostituzione è una necessità, ha diritto alla esi- stenza, alla protezione e all’impunità da parte dello Stato”, e il D. Hügel si dichiara su questo punto per- fettamente d’accordo. Il medico di polizia di Lipsia Dottor I. Kühn nel suo libro: “La prostituzione nel secolo XIX, dal pun- to di vista della polizia sanitaria” si esprime così: “La prostituzione non è solamente un male tollerabile, ma necessario; perchè protegge la donna dalla infedeltà (che soltanto gli uomini hanno diritto di commettere A. B.) e la virtù (intendi, la virtù femminile, perchè gli uomini non sentono il bisogno di averne A. B.) dagli insulti (sic) e dalle insidie”. Come si vede, le poche parole ora citate del D. Kühn caratterizzano luminosamente il crasso egoismo degli uomini. E’ questo il punto di vista di un medico della polizia, il quale, per salvare l’umanità da dolorose malattie, si sacrifica alla vigilanza della prostituzione. Nello stesso senso si esprime il dottor Eckstein che successe al dottor Kühn nella carica di medico della polizia a Li- psia nel dodicesimo giorno della fondazione della società fra proprietari di case e di fondi urbani avve- nuta nella estate del 1890 a Magdeburgo. Gli onesti possessori di case volevano sapere come potessero tenere in freno molte meretrici che abitavano nelle loro case. Il dottor Eckstein insegnò del pari che la prostituzione è un male necessario e che nessun po- polo e nessun culto ne furono senza. Uno speciale interesse presenta il D. Fock, il quale in un articolo del “Giornale trimestrale per la tutela della pubblica igiene” Volume 20°, fasc. 1°, sotto il titolo “La prostituzione nei riguardi etici e sanitari” considera la prostituzione come “un corollario inevi- tabile delle nostre istituzioni civili”. Egli teme un ec- cesso di produzione se tutti gli uomini atti a generare si maritano, quindi ritiene importante di regolare la prostituzione con leggi dello Stato. Egli trova natu- ralissimo che lo Stato vigili e disciplini la prostituzio- ne, e si prenda la cura di provvedere delle meretrici non infette da sifilide. Egli si pronuncia per la vigi- lanza più severa “su tutte le donne segnalate per vita licenziosa”. Anche delle ricche? Naturalmente egli non pensa ad invigilare anche sugli uomini che man- tengono le prostitute e rendono possibile la loro esi- stenza. Inoltre il D. Fock esige una tassa sulle prostitute e l’accentramento della prostituzione in vie e in quar- tieri speciali. Perchè non si potrebbe riorganizzare anche la pro- stituzione in un’epoca come la nostra in cui è preva- lente la tendenza all’associazione? Era quindi esage- rata la nostra affermazione che la prostituzione è og- gidì una istituzione sociale necessaria, come la poli- zia, come gli eserciti permanenti, come la chiesa, come gl’imprenditori ecc.? In Germania la prostituzione non è permessa, or- ganizzata e invigilata dallo Stato come in Francia: vi è tollerata soltanto. I postriboli ufficiali dov’erano vennero chiusi e soppressi mediante deliberazioni del Consiglio fede- rale. Per conseguenza nella seconda metà del 1870 furono presentate al Reichstag molte petizioni, in cui si invocava il permesso di riaprire i postriboli, per- chè il vizio infieriva tanto più sfrenatamente, recan- do come conseguenza un aumento spaventoso delle malattie sifilitiche. Una commissione parlamentare incaricata di stu- diare e riferire sulla quistione, della quale commis- sione facevano parte anche dei medici, deliberò di passare le petizioni al Cancelliere dell’impero affin- chè le prendesse in considerazione, per il motivo che il divieto dei postriboli produceva degli effetti peri- colosi per la morale e la salute della società e spe- cialmente della vita domestica. Queste prove possono bastare. Esse conferma- no che anche per la società moderna, l’abolizione della prostituzione è una sfinge, il cui enigma essa non riesce a spiegare, ritenendo una necessità il tol- lerarla e invigilarla per mezzo dello Stato, per evitare mali maggiori. La nostra Società, che va tanto su- perba della sua moralità, della religiosità, della sua civiltà e della sua cultura, deve quindi permettere che la scostumatezza e la corruzione rovinino il suo cor- po come un lento veleno. Ma da ciò qualche altra considerazione si ricava. Ed è questa: lo Stato cri- stiano dichiara ufficialmente, che la presente forma del matrimonio non è soddisfaciente, e che l’uomo ha il diritto di procurarsi un soddisfacimento illegit- timo del suo istinto sessuale. La donna non maritata non conta nello Stato come individuo se non in quanto essa si abbandona alle voglie illegittime dell’uomo, in quanto, cioè, essa si prostituisce. E la vigilanza esercitata dagli organi dello Stato sulla prostituzione non concerne anche l’uomo che va in cerca delle prostitute, (ciò che pure sarebbe ragionevole, se il controllo medico dovesse avere significato ed otte- nere qualche successo), mentre l’eguale applicazio- ne della legge ai due sessi come atto di giustizia non può essere nemmeno accennata, ma colpisce sol- tanto la donna. Codesta protezione dell’uomo rispetto alla donna per mezzo dello Stato indica la vera natura dei rap- porti tra i due sessi; sembra che il sesso più debole siano gli uomini, e il sesso più forte le donne; pare che la donna sia la seduttrice, e l’uomo, il povero e debole maschio, il sedotto. Il mito della seduzione fra Adamo ed Eva nel Pa- radiso terrestre continua ad agire ed influire sulle idee e sulle leggi nostre e dà ragione al cristianesimo: “La donna è la grande seduttrice, il vaso del peccato”. Che gli uomini non si vergognino di questa parte in- degna e malinconica che si fa loro rappresentare! Egli è certo che gli uomini si adattano e compiaccio- no di fare la parte del “debole” e del “sedotto” senza nemmeno protestare allorquando questa seduzione li tocca da vicino nel modo più evidente e si estrinseca in un fatto serio. Ciò è dimostrato dagli avvenimenti occorsi nella 69 ricorrenza della festa di tiro a segno nell’estate del 1890 a Berlino, avvenimenti che alla fine porsero oc- casione a 2300 donne di sfogarsi in una petizione al primo borgomastro della capitale dell’impero: “Per- mette, di grazia Ill. Signore” – dicono nella petizione – che noi del tiro federale tenuto questo anno a Pankow dal 6 al 13 Luglio rammentiamo quello che fu divulgato nelle provincie mediante le relazioni del- la stampa e di altre comunicazioni su cotesta festa. Le notizie che abbiamo apprese con rammarico e sdegno si riferiscono fra altro agli spettacoli di quel- la festa: “Primo araldo tedesco, il più insigne can- tante del mondo”. “Cento signore e quaranta signo- ri”. Inoltre piccole baracche (Tingeltangel) e bersa- gli, dai quali delle donne eccessivamente sfacciate si gettavano sugli uomini. Inoltre dei “concerti molto liberi” di cui le Kellerine assai poco vestite invitano impudentemente e sfacciatamente con un sorriso seduttore lo studente di ginnasio, il padre di fami- glia, il giovane e l’uomo maturo al riposo riparato- re.... Però la “Signora” seminuda che invita alle visi- te nei “Segreti di Amburgo o una notte in S. Paulo” avrebbe potuto essere ben a ragione messa da una parte per ragioni di polizia. E allora un grido d’orro- re (ciò che gli ingenui e le ingenue provinciali rie- scono appena a concepire trattandosi della capitale dell’impero), e il dir della gente: Che la Direzione delle feste avrebbe dovuto permetterle di impiegare come cantiniere molte ragazze senza paga in luogo dei camerieri.... “Noi donne tedesche come spose, madri e sorel- le abbiamo tante occasioni di mandare i nostri mari- ti, figli, figlie e fratelli a Berlino a servizio della pa- tria, e quindi preghiamo umili e fiduciose la S. V., affinchè valendosi della sua grande autorità ed in- fluenza, quale primo magistrato della capitale, voglia ordinare un’inchiesta sopra simili indegnità, ovvero emanare quelle disposizioni che la S. V. riterrà più adatte allo scopo e tali che non facciano in verun caso temere il ritorno di quelle orgie, e specialmente anche in occasione della festa commemorativa della vittoria di Sedan, che è imminente.... (!!!)”. L’idea della società che lo Stato debba invigilare sulla prostituzione, per preservar gli uomini dalle ma- lattie, ingenera naturalmente in essi la credenza, di essere garantiti per sempre da qualsiasi contagio, e questa opinione favorisce la prostituzione in grande estensione. Se ne ha una prova in ciò che dovunque la Polizia agì con maggiore rigore contro le prostitu- te non iscritte, il numero delle malattie sifilitiche au- mentò notevolmente, e gli uomini divennero più sca- pati ed incauti. E’ fuor di dubbio che nè l’erezione di istituti di prostituzione controllati dalla polizia, (case di tolle- ranza, bordelli) nè il controllo ordinato poliziesca- mente e la visita medica non dà pure una qualche sicurezza e garanzia contro il contagio venereo. An- zitutto la natura di codesta malattia è spesso tale che non si lascia sempre riconoscere facilmente; in se- condo luogo essa richiede molte visite ogni giorno, anche quando tale sicurezza ci sia. Ora codeste visi- te ed esami così frequenti e ripetuti costando danari non sono alla portata delle donne, delle quali stiamo trattando. Dove debbono sbrigarsi dalle 50 alle 60 prostitute in un’ora, la visita non è che una farsa, e il numero d’una o due visite alla settimana è del tutto insufficiente. Ma poi il successo di questa precauzione naufra- ga per ciò che gli uomini, i quali comunicano il ger- me della malattia da una donna all’altra, non sono punto molestati. Una prostituta, che al momento della visita è trovata immune, viene contaminata in quella stessa ora da un uomo affetto da male venereo, e comunica a una schiera di clienti il germe del conta- gio fino al giorno della visita, ovvero fino al dì in cui s’accorge di essere malata. Quindi il controllo non è soltanto illusorio; ma riesce a questo, che le visite obbligatorie per opera di medici maschi invece che per opera di donne, offendono e feriscono il senso del pudore, anzi lo sopprimono. E’ questo un feno- meno che fu constatato da molti dei medici incarica- ti di esercitare il controllo sulle prostitute; le quali poi fanno ogni sforzo per sottrarvisi. Un altro effet- to di codeste disposizioni poliziesche è questo, che più che difficile è reso assolutamente impossibile alla prostituta di ritornare ad un onesto lavoro. Una don- na che è caduta sotto il controllo della polizia, è per- duta per la società; il più delle volte essa in pochi anni si riduce a completa miseria. Quanto poco giovi il controllo della polizia è dimostrato da un esempio parlante desunto dall’Inghilterra. Ivi nel 1866 fu emanata una legge che rifletteva i luoghi dove le trup- pe di terra o di mare tenevano guarnigione. Ora du- rante il periodo dal 1860 al 1866, cioè prima della legge, i casi meno gravi di sifilide erano discesi da 32,68% a 24,73%, e dopo 6 anni dalla promulgazio- ne della legge e cioè nel 1872 il numero dei malati era ancora di 24,26%; e cioè nemmeno di 1/2 % più basso di quello del 1866; mentre poi la media di 6 anni (1866-1872) era più elevata di 1/16 % in con- fronto di quella del 1866. Perciò una commissione d’inchiesta, nominata espressamente nel 1873 per indagare e studiare gli effetti della legge, conchiuse concordemente col dire: “che le visite periodiche a quelle femmine che usano casualmente col persona- le dell’esercito e della flotta non hanno determinato la più piccola diminuzione nei casi di malattia” e rac- comandò l’abolizione delle visite periodiche. Senon- chè le visite a cui erano sottoposte le donne produs- sero su queste effetti ben diversi da quelli prodotti sulle truppe; nel 1866 sopra 1000 prostitute vi furo- no 121 casi di malattia; nel 1868, quando cioè la leg- ge era in vigore da due anni, le malattie salirono a 202, scemarono poi a poco a poco, ma il numero dei casi di malattia nel 1874 sorpassava quella del 1866 ancora di 16. I casi di morte delle prostitute crebbero poi sotto l’impero di codesta legge in misura spaventosa. Nel 1865 su 1000 ne morirono 9,8; nel 1874 ne morirono 23 su mille. Il Governo inglese verso la fine del 1860 tentò di estendere la legge, che rendeva obbligatoria la visita, a tutte le città inglesi; ma tutto il mondo femmi- nile dell’Inghilterra gli si ribellò levandosi a rumore. Si considerava la legge come un’offesa a tutto il sesso; 72 le per le quali il meretricio è una fonte soltanto par- ziale di profitti. Ad ogni modo codeste cifre anche approssimative, sono veramente spaventevoli. Secon- do l’Oettingen, il numero delle prostitute in Londra già verso la fine del 1860 fu calcolato ad 80.000. A Parigi il numero delle donne sottoposte alla vigilanza della polizia, raggiunse la cifra di poco più di 4.000; ma il numero di tutte le prostitute, secondo una sta- tistica pubblicata dal Consiglio municipale di Parigi nel 1889, fu determinato in 120.000. A Berlino, le prostitute soggette al controllo della polizia sono cir- ca 3.000; ma, secondo l’Oettingen, già fin dal 1871 le prostitute note o le donne sospette ammontavano a 15.065; essendosi però nel 1876 fatta una retata di 16.198 donne per contravvenzione ai regolamenti sulla polizia dei costumi, così non esagera chi calco- la che il numero delle prostitute di Berlino sia almeno di 40 o 50 mila. Ad Amburgo nel 1860, 1/9 delle donne che avevano passato i 15 anni erano prostitu- te, ed a Lipsia vi erano a quel tempo 564 donne invi- gilate dalla polizia; ma il numero di quelle che vive- vano principalmente ed esclusivamente della prosti- tuzione si calcolava in 2.000. Numero che frattanto si è notevolmente accresciuto. D’onde si vede che vi sono degli interi eserciti di donne che considerano la prostituzione come un mezzo di sussistenza e vi è per conseguenza un numero corrispondente di vitti- me mietute dalle malattie e dalla morte. Lo scoppio delle crisi economiche determinano di dieci in dieci anni un notevole aumento delle pro- stitute in tutte le grandi città e nei centri manifattu- rieri. La concentrazione dell’industria, cioè lo svi- luppo e il miglioramento della meccanica, rende sem- pre più acuta la tendenza della produzione capitali- stica a far senza dei lavoratori adulti, e di occupare in loro vece dei ragazzi e ragazze. Così nel 1861 in Inghilterra, per non citare che un esempio, nelle in- dustrie disciplinate dal bill sulle fabbriche, il numero delle donne impiegatevi era di 308.278 contro 467.261 maschi. Ma nel 1868, in cui il numero complessivo dei lavoratori di queste industrie era salito a 857.964, quello delle donne raggiunse la cifra di 525.154 con- tro 332.810 maschi soltanto. Le “braccia” femminili erano dunque aumentate in sette anni del numero enorme di 216.881; quello dei maschi era scemato di 134.551. Ma da allora il numero delle donne im- piegate nelle industrie crebbe considerevolmente, come dimostreremo più avanti. Se scoppiano delle crisi, com’è fatale nel mondo borghese, allora le donne disoccupate cercano spesso la loro salvezza nella prostituzione, ed una volta cadutevi, per lo più si rovinano. Giusta una lettera del vigile, signor Bolton, in data 31 ottobre 1865, indirizzata ad un ispettore di fab- briche, il numero delle ragazze prostitute per effetto della crisi sul cotone scoppiata in conseguenza della guerra per la liberazione degli schiavi nell’America settentrionale, era aumentato più che negli ultimi 25 anni (Carlo Marx: “Il capitale”. II ediz., pag. 480). Ora le malattie moltiplicantisi con la prostituzio- ne producono gli effetti più desolanti e perniciosi. In Inghilterra ne morirono dal 1857 al 1865 più di 12.000 persone, delle quali non meno del 69% erano bambi- ni al disotto di un anno, vittime della tabe ereditaria. S. Holland calcolava già allora che il numero delle persone colpite ogni anno dal contagio nel regno Unito ammontava ad 1.652.500. Il dottor Parent-Duchatelet ha compilato una sta- tistica interessante intorno alle cause che spingono le donne alla prostituzione, statistica che porge noti- zie di 5.000 prostitute; 1.440 di queste si diedero a siffatto mestiere per miseria, 1.250 erano senza geni- tori e senza mezzi, e quindi egualmente bisognose; 80 si prostituivano per nutrire i loro poveri e vecchi genitori, 1.400 erano concubine abbandonate dagli amanti, 400 sedotte da ufficiali e soldati e ragazze trasferitesi a Parigi, 250 erano abbandonate dagli amanti in stato di gravidanza. Queste cifre sono molto eloquenti. La paga corrisposta alla maggior parte delle operaie, è così meschina da non bastare al loro so- stentamento e ad avviarle sul cammino della prosti- tuzione per ritrarne un altro pò di guadagno. Le pro- stitute si reclutano per lo più tra quei mestieri in cui le operaie sono pagate male, ed anzi in molti negozi sono mal retribuite appunto perchè si calcola che troveranno degli “amici” che le provvederanno del necessario. Una gran parte delle artiste di teatro, le cui spese di abbigliamento sono enormemente sproporzionate al loro stipendio, è costretta a ricorrere ad impure fonti di guadagno (96) e lo stesso accadde per molte ragazze che si collocavano nei negozi come vendi- trici e simili. Vi sono tuttavia degli impresari così infami i quali adducono come scusa della tenuità della mercede la protezione degli “amici”. Nell’autunno del 1889 un giornale operaio di Sassonia riferiva su co- testi fatti notizie che li posero in piena luce. “Una signora giovane ed educata, costretta per lungo tem- po alla inazione per effetto di una malattia polmona- re, non appena guarita cercò di collocarsi comechè si fosse; essa era governante... al momento non riu- scì trovare nulla di adatto; perciò decise occupare quel qualunque posto le venisse offerto; e si presen- tò quindi ai signori N. N. La signorina parlava bene parecchie lingue, ed avrebbe quindi potuto essere accolta, ma la mercede di 30 marchi al mese le par- ve troppo esigua, per poter vivere. N. ne fece parola al signor N. e questi le rispose che le sue fantesche non avevano percepito mai una mercede tanto ele- vata, ma, tutt’al più, 15 o 20 marchi; ma che se la cavavano ergregiamente perchè ciascuna aveva la buon’anima di qualche amico che la soccorreva. Anche il signor X. si espresse con lei nello stesso senso. S’intende che la signorina non si allogò nè presso l’uno nè presso l’altro”. Conosciamo di scienza nostra parecchi casi di giovani signore, che sapevano più lingue e s’inten- devano di ragioneria, alle quali venne offerto e paga- (96) A Berlino nell’autunno del 1890 si è constatato uffi- cialmente che un’artista non inabile, fu scritturata in un teatro ben noto a 100 marchi al mese; mentre le spese per l’abbiglia- mento ammontavano a 1.000 marchi. Il deficit doveva quindi essere coperto da «un amico». Nota di A. Bebel. 73 to per un impiego commerciale la mercede di 30 marchi al mese, proprio una mercede da affamati, che viene assorbita quasi tutta dalle spese di guarda- roba. Cucitrici, sarte, modiste, bottegaie, operaie di ogni industria, a migliaia, si trovano in tali condizio- ni. Chi dà lavoro e i suoi impiegati, commercianti, padroni di fabbriche, possidenti, ecc., che hanno alla loro dipendenza delle donne, considerano come una specie di privilegio di vederle schiave del loro ca- priccio e delle loro brame. I nostri pii conservatori amano di rappresentare nei riguardi morali le condi- zioni della campagna come una specie di idillio per contrapposto alle grandi città e ai distinti industriali. Chiunque conosce tale condizione sa che ciò non è vero; e viene confermato da una relazione che un possessore di fondi di Sassonia presentò nell’autun- no del 1889, sulla quale le gazzette provinciali di quel paese diedero i seguenti ragguagli: “GRIMMA. Il feudatario dottor Wächter di Röck- nitz ha tenuto poco fa in un’assemblea diocesana che ebbe luogo in questa città, una conferenza sopra la scostumatezza nei nostri Comuni rurali, la quale conferenza non dipinge a rosei colori le condizioni locali del distretto. Il conferenziere in questa occa- sione riconobbe pubblicamente, che spesso anche chi dà lavoro, e perfino gli ammogliati, sono in rela- zioni troppo intime coi loro dipendenti di sesso fem- minile e il frutto di tali relazioni verrebbe sottratto agli occhi del mondo con un delitto o tacitato con una somma di denaro. Sfortunatamente purtroppo non si può nascondere che la scostumatezza sia pe- netrata nelle campagne non soltanto ad opera di ra- gazze che hanno succhiato il veleno nelle città fun- gendovi da nutrici, e per opera di giovani che lo han- no succhiato durante il servizio militare, ma purtrop- po per opera delle classi colte, degli amministratori dei beni feudali e degli uffiziali in occasione di servi- zio militare. Giusta la relazione del dottor Wächter ci sono ben poche ragazze della campagna le quali al- l’età di 17 anni non siano già cadute”. E ciò si com- prende chiaramente. Lo jus primae noctis dei signori feudali del medio evo continua anche oggi a sussi- stere sotto altra forma. I figli delle nostre classi ab- bienti e colte considerano in gran parte come loro diritto il sedurre le figlie del popolo per poi abbando- narle. Le figlie del popolo credule, ignare della vita ed inesperte, per le quali non vi sono gioie nè amici- zie, tanto più facilmente cadono vittime della sedu- zione che si presenta ai loro sguardi sotto una forma affascinante e luminosa. I disinganni, la miseria ed alla fine il delitto ne sono la conseguenza. Il suicidio o l’infanticidio ripetono principalmente la loro origi- ne da queste cause. I numerosi processi per infanti- cidio presentano un quadro assai fosco ed istruttivo. La donna sedotta, vilmente abbandonata, gettata sen- za soccorsi nella disperazione e nel disonore com- mette degli eccessi: uccide il frutto delle sue visce- re, vien sottoposta a processo, condannata o ai la- vori forzati o al patibolo. Il seduttore che è il vero assassino se ne va impunito, o sposa forse poco dopo la figlia di una famiglia onesta ed agiata e diventa un uomo onorato, pio e un bravo cittadino. E vi sono parecchi che avendo così macchiata la sua coscien- za ambiscono a dignità e ad onori. La bisogna an- drebbe ben diversamente se le donne potessero far valere la loro voce nell’opera di legislazione. La legislazione francese con spietata aberrazione, interdice, come si disse, la ricerca della paternità, ma deve aprire gli ospizi per gli esposti. La deliberazione della Convenzione del 28 giugno 1793 suona così: La nation se charge de l’education physique et morale del enfants abandonnés. Desor- mais, ils seront designes sous le seul nom d’orphelins. Aucune autre qualification ne sera permis. Ciò era comodo per gli uomini, senza comprometterli nè pub- blicamente, nè rimpetto alle loro donne. Si eressero quindi in tutte le provincie dello Stato ospizi di orfani e di trovatelli, il cui numero raggiunse nel 1883 la ci- fra di 130.945; sicchè sopra dieci nati, uno solo era legittimo. Ma siccome questi bambini non ricevevano le cure necessarie, la loro mortalità andò man mano aumentando. Nel primo anno di vita ne morirono il 59%, cioè più della metà; fino al 12° anno ne moriro- no il 78%; sicchè di 100, 22 soltanto raggiungevano un’età superiore al dodicesimo anno. Altrettanto avviene in Austria e in Italia, dove la società “umanitaria” fondò pure questi istituti di in- fanticidio. “Ici on fait mourir les enfants” è questa la frase che un monarca deve aver usato quale motto adatto da iscriversi sulla porta di cotali istituti. La sto- ria non diceva che l’uomo abbia cercato di scemare le uccisioni in massa di questi piccoli esseri mercè una maggior cura e protezione. In Prussia, dove non ci sono istituti per i trovatelli, in sul principio del 1860 dei figli legittimi morirono nel primo anno di età 18,23%; degli illegittimi 33,11%; quasi il doppio dunque dei le- gittimi, benchè il numero degli illegittimi morti a quel- l’età sia assai meno elevato di quello che si riscontra negli ospizi francesi. A Parigi di fronte a 100 figli legittimi ne morirono di illegittimi 193, e nel contado anzi 215. La statistica italiana presenta il quadro seguente. Sopra 10 mila nati vivi, ne morirono: di legittimi nel 1° mese di vita 1881: 751 - 1882: 741 - 1883: 724 - 1884: 698 - 1885: 696 dal 2° mese al 12° 1881: 1027 - 1882: 1172 - 1883: 986 - 1884: 953 - 1885: 1083 di illegittimi nel 1° mese di vita 1881: 2092 - 1882: 2045 - 1883: 2139 - 1884: 2107 - 1885: 1813 dal 2° mese al 12° 1881: 1387 - 1882: 1386 - 1883: 1486 - 1884: 1437 - 1885: 1353 La differenza nella mortalità fra i nati legittimi e gli illegittimi si fa notevole specialmente nel primo mese di vita, in cui la mortalità degli illegittimi è, in media, tripla in confronto della mortalità dei legitti- 74 mi. La cura deficiente durante la gravidanza, la diffi- coltà del parto, e la pessima cura di esso, ne sono le cause evidenti. I maltrattamenti e la famosa “fabbrica di angio- letti” concorrono ad aumentare il numero delle vitti- me. Il numero dei nati morti è per gli illegittimi dop- pio in confronto dei nati morti legittimi, principal- mente per il motivo che le madri cercano di far mo- rire il bambino durante la gravidanza. Gli illegittimi che sopravvivono si vendicano con la società per il maltrattamento loro usato, col fornire un contingen- te straordinariamente grande alle criminalità. Dobbiamo dire brevemente anche di un altro male causato da cotesto stato di cose. L’eccesso di pia- ceri è ancora più dannoso della astinenza. Anche sen- za malattie veneree vere e proprie, l’abuso rovina l’organismo, producendo impotenza, sterilità, dolori al midollo spinale, imbecillità, oppure indebolimento intellettuale e molti altri malanni. Ci vuole misura e temperanza nei godimenti sessuali, come ce ne vuo- le nel mangiare, nel bere e in tutti gli altri bisogni umani. Ma la gioventù non sa essere misurata. Di qui il grande numero di giovani vecchi appunto nelle classi sociali più elevate. Il numero dei Roués giova- ni e vecchi è enorme e tutti sentono il bisogno di eccitamenti speciali perchè sazi e indeboliti dagli abu- si. Gli uni si danno ai godimenti contrari a natura dei tempi antichi della Grecia, gli altri cercano l’eccita- mento nell’abuso dei ragazzi. Le così dette “profes- sioni liberali” esercitate per lo più dai membri delle classi più elevate non danno che il 5,6% alla crimi- nalità, ma nei delitti di libidine sopra fanciulli danno il 12,9%; percentuale che sarebbe anche più elevata se quelle classi non avessero moltissimi mezzi per coprire e nascondere il delitto, onde il maggior nu- mero rimane ignorato. Dei progressi morali nel paese civile per eccellen- za, in Inghilterra, fanno prova i numeri della seguente tabella: E’ tale uno spaventoso aumento che si può con- chiudere e persuadersi che la società inglese è fisi- camente e moralmente corrotta e guasta. Ecco il numero dei condannati in Germania per il titolo di libidine e stupro negli anni 1882-1888: Anche in Germania dunque i delitti contro il buon costume sono in aumento, sebbene in proporzione meno elevata che in Inghilterra. La Dannimarca ha la miglior statistica sulle ma- lattie veneree e sul loro sviluppo. A Copenhagen le malattie veneree con speciale riguardo alla sifilide si svilupparono nella seguente misura: Nel personale della flotta il numero delle malattie veneree durante l’accennato periodo è aumentato del 122,4%; e nell’esercito del 227%. (V. “Le malattie veneree in Dannimarca” del dottor Giesing Genf, 1889). Come vanno le cose a Parigi? Dal 1872 al 1888 il numero delle persone curate per malattie veneree ne- gli spedali del Mezzogiorno, di Lourcine e di Saint Louis raggiunse la cifra di 118.223, di cui 60.438 malati di sifilide, e 57.795 di altri morbi venerei. Inol- tre il numero di quelli che domandarono di essere accolti nelle cliniche dei tre ospedali sovraccennati raggiunse in media la cifra di 16.385 venerei (97). Si vede adunque che, per effetto delle nostre con- dizioni sociali, si contraggono dei vizi e si commet- tono dissolutezze e delitti d’ogni maniera. La società intera è agitata, irrequieta; e di questa condizione di cose chi ne soffre di più è la donna. Molte lo sentono e cercano riparo; chiedendo in primo luogo la maggior possibile indipendenza eco- nomica; il permesso di darsi al pari dell’uomo a tutti quei rami di attività, ai quali si adattano e convergo- no le sue forze e attitudini fisiche e intellettuali, e infine l’accesso alle così dette professioni liberali. Queste aspirazioni sono giuste? Si possono realizza- re? Giovano? Ecco le questioni che ci si presentano e che vogliamo esaminare. numero dei condannati maschi femmine non ancora sup. ai 18 anni 1882 2918 2893 25 658 1883 2771 2745 26 532 1884 2792 2775 22 623 1885 2896 2877 19 600 1886 3221 3199 22 622 1887 3169 3139 30 675 1888 3088 3062 26 646 Oltraggio e violenza contro il buon costume Morti di sifilide Pazzi 1861 280 1345 39.647 1871 315 1995 56.755 1881 370 2334 73.113 1882 466 2478 74.842 1883 390 76.765 1884 510 aumento dal 1861 82 % 84 % 98 % Popolazione Malattie veneree Malattie sifilitiche 1874 196 5505 836 1879 227 6288 934 1885 290 6325 1866 (97) Relazione della Commissione Sanitaria sull’organiz- zazione della cura sanitaria in rapporto alla prostituzione a Parigi, diretta al Consiglio Comunale di Parigi, 1890. Nota di A. Bebel. 77 Nell’industria del cotone erano occupati nel Il numero degli uomini era dunque diminuito in questo periodo di 12.889, mentre nello stesso periodo quello delle donne era aumentato di circa 46.208. Anche altre industrie presentano lo stesso quadro. Nelle fabbriche di panni nel 1871, su 100 uomini era- no occupate 79 donne, che nel 1881 diventarono 102. Inoltre su 100 uomini erano impiegate: Si potrebbe allungare di molto la serie delle cifre, ma gli esempi addotti bastano. In complesso nel 1881 in Inghilterra erano occupate più di 4 milioni e mezzo di donne. In alcune industrie esse poi prevalevano ad- dirittura. Così nelle fabbriche delle penne d’acciaio, su 100 uomini vi erano 1.138 donne, nelle fabbriche di buste 1.105, in quelle delle trecce di paglia 800, nelle fabbriche di guanti e di bottoni 600, nella pulitu- ra dei metalli 500, ecc. In quale proporzione il lavoro industriale delle donne fosse sviluppato in Svizzera nel 1886 è dimostrato dai dati seguenti raccolti dal giornale Bund. Vennero occupati: In complesso nell’industria tessile erano occupate 103.452 donne su 52.838 uomini, e il Bund constata espressamente che non vi è in Svizzera un impiego in cui non si incontrino delle donne. Nella relazione degli ispettori delle fabbriche per il 1888 e il 1889, l’ispet- tore del I circolo, il dottor F. Schuler, rileva che l’im- piego della donna nelle fabbriche è andato relativa- mente sempre più diffondendosi. Ora, una volta ammesso che per effetto del mo- derno sviluppo, la donna è allontanata sempre più dal- la vita della famiglia, e in tal modo la società borghese porta sempre più la dissoluzione in una istituzione che forma una delle sue basi, e cioè nel matrimonio, deve anche notarsi, che questa evoluzione nelle attuali con- dizioni si compie in modo che la donna viene pagata molto meno dell’uomo anche là dove essa presta il suo servizio pari a quello dell’uomo. La donna sente minori bisogni, è più arrendevole e pieghevole dell’uomo, e sono questi i pregi che la rac- comandano agli industriali. Si aggiunga che per la posizione in cui essa si è trovata fino ad oggi nella famiglia, è abituata a non aver limiti di tempo nelle occupazioni, perché essa, occorrendo, lavora senza posa. Tenuta lontana per sistema dalla vita pubblica, non sente né comprende il valore della unione e della organizzazione. Sono qualità queste che costituisco- no dei difetti dal punto di vista degli interessi dell’ope- raio, ma che sono altrettante virtù agli occhi dell’im- prenditore. Ne consegue che la donna va conquistan- do rapidamente terreno in tutti i rami di lavoro e ad una mercede molto meno elevata di quella dell’uomo. Giusta le comunicazioni della “Relazione della Ca- mera di commercio di Lipsia per il 1885” i salari per un certo numero di industrie che si esercitavano nel distretto di quella Camera di commercio furono i se- guenti: Per ogni individuo alla settimana: Queste differenze nei salari apparirebbero ancora più profonde se si sapesse quanti operai maschi e quante operaie ricevevano il maximum della merce- de, e quanti il minimum, e quanto elevata sia la media del salario per ambo i sessi. Recentemente i mestieri e le industrie dai quali le donne sono escluse formano un numero insignifican- te, mentre sono occupate esclusivamente o quasi esclusivamente in parecchi di essi e specialmente in quelli che provvedono gli oggetti necessari alla don- na. In altri rami d’industrie, come nelle industrie tes- sili, le donne hanno sorpassato in numero gli uomini e li incalzano sempre più. Finalmente per un grande numero di mestieri le donne hanno trovato posto in qualità di assistenti per certi rami e certo genere di occupazione e avanzano continuamente penetrando dappertutto. Il risultato finale è questo, che tanto il numero delle donne in se stesso, quanto il numero degli impieghi, delle arti, delle industrie e del commer- cio accessibile alle donne è cresciuto rapidamente. E questo aumento non riguarda soltanto le occupazioni meglio adatte alla più debole costituzione fisica della donna, ma abbraccia e si estende senza eccezione a 1871 1881 Nelle fabbriche di carta 65 80 Nelle stamperie 2 4 Nelle legatorie di libri 95 111 Nelle fabbriche di oggetti di cancelleriai 34 53 Nelle libreriei 15 17 Nella filatura e tessiturai 102 180 Nelle sartoriei 33 100 Nelle calzoleriei 13 20 DONNE Uomini Donne Nell’industria delle sete 11.771 51.352 Nell’industria del cotone 18.320 28.846 Nell’ind. del lino e mezzolino 5.533 5.232 Nei lavori di ricamo 15.724 21.000 Agli operai maschi Marchi Agli operai femmine Marchi Nelle fabbr. di merletti 20-35 7-15 Nelle fabbr. di stoffe e guanti 12-30 6-15 Nella tess. del lino e 12-27 5-10 Nella pettinatura della 15-27 7,20 -10,20 Nelle fabbr. di zucchero 10,50-31 7,50-10 Nelle fabbr. di oggetti 8,50-25 7-18 Nelle fabbr. di pelli 12-28 6-17 Nelle fabbr. di ogg. di 9-27 7,50-10 Nelle fabbr. di palloncini di carta 16-22 n.d. 78 tutti i campi di operosità in cui gli sfruttatori moderni credono di trarre dalla loro impresa più lauti guada- gni. Tra cotesti impieghi si annoverano così le occu- pazioni fisicamente faticose, quanto quelle più sgradi- te e pericolose alla salute, riducendosi così alle sue vere proporzioni il concetto fantastico per cui si vole- va vedere nella donna un essere delicato e fino, quale i poeti e i romanzieri hanno descritto per solleticare l’uomo, ma quale s’incontra soltanto nelle classi più elevate. Attendiamo ai fatti, alla realtà delle cose an- che se dura e incresciosa, perché solo in tal modo ci salveremo da erronei giudizi e da vaghi sentimentali- smi. Ora questi fatti ci apprendono che oggi le donne sono occupate fra l'altro: nelle fabbriche di lino, di cotoni, di biancheria, e di panni, nei filatoi meccanici, nelle tintorie, nelle fabbriche di molle d’acciaio e di spilli, in quelle di zucchero, di cioccolata, di carta e bronzo, nell’industria dei vetri, delle porcellane e degli smalti, nella filatura della seta, nella tessitura di nastri e di seta, nelle fabbriche di saponi e candele, in quelle di stuoie e di ovatte, di tappeti, di portamonete e di cartonaggi, di merletti e passamanerie, delle tappez- zerie, nelle fabbriche di oli e nelle raffinerie di materie grasse d’ogni genere, nella lavorazione dei cenci e degli stracci, nelle fabbriche di treccie, negli intagli in le- gno, nella xilografia, nella pittura su maiolica, nelle fabbriche e nei lavatoi di cappelli di paglia, nelle fab- briche di vasellami, in quelle di tabacco e di sigari, di colla e gelatina, nei laboratori di guanti, nelle pellicce- rie, nelle fabbriche di cappelli, di giocattoli, nei molini di lino e nell’industria dei cappelli, nelle fabbriche d’orologi e nelle pitture da stanze, nella pulitura dei materassi, nelle fabbriche dei pennelli, delle cialde, degli specchi, delle materie infiammabili e della polvere, degli zolfanelli e dell’arsenico; nella stagnatura delle lamie- re di ferro, nel lucidare le tele e darci l’apparecchio, nelle stamperie come compositori, nella levigatura delle pietre preziose, nella litografia, nella fotografia, nella cromolitografia e metacromotipia, nelle fabbriche di mattoni, nelle fonderie e nelle manifatture dei metalli, nella costruzione di case e di strade ferrate, negli sta- bilimenti di elettricità, nella legatoria di libri, nella tor- nitura e nelle botteghe di falegname, nelle fabbriche di amido, di cicoria, di cerini e di zinco, nella levigatura del legno, nelle fabbriche di ombrelle e di bastoni, di conserve e nelle confezioni di carne, di bottoni di por- cellana, di pellicce, nello scavo delle miniere, nei tra- sporti di barche sui fiumi e canali, ecc. Di più vasto campo dell’orticoltura e del giardinaggio, nell’alleva- mento del bestiame e nelle industrie che ne dipendo- no; infine, in tutti i rami ove esse trovano guadagno, e ove lavorano già da gran tempo esclusivamente come privilegiate e cioè nelle lavanderie, nelle confezioni di abiti per signora, nei vari rami della confezione di mode, nella qualità di venditrici, più ancora come com- putiste, maestre, bambinaie, scrittrici, artiste, ecc. Vi sono poi migliaia di donne della piccola borghesia im- piegate a lavorare come garzoni di bottega e nelle fie- re e mercati, sottratte quindi alla vita domestica e spe- cialmente all’educazione dei figli. Infine bisogna accennare ad una occupazione in cui trovano sempre più facile impiego le donne giova- ni e vezzose, con grande pregiudizio del loro sviluppo fisico e morale-intellettuale, e cioè a quell’occupazio- ne in pubblici stabilimenti d’ogni maniera a servizio e allettamento degli uomini amanti del piacere e del lieto vivere. Molte di codeste occupazioni sono pericolosissi- me. Per esempio è dannosa l’azione di gas d’acido solforoso e i vapori alcalini che si sviluppano nelle fabbriche e nelle lavanderie di cappelli di paglia, dan- nosa del pari l’aspirazione dei vapori di cloro nell’im- biancare le sostanze vegetali; pericoli di avvelenamento si presentano nelle fabbriche di carta, di cialde e di fiori colorati; nella preparazione della metacromoti- pia, di veleni e di prodotti chimici, nel dipingere i sol- datini di piombo e specialmente i giocattoli di piombo. L’operazione del sovrapporre agli specchi il mer- curio è addirittura letale per il feto delle donne gravi- de. Delle donne gravide che lavorano col piombo, il 58% abortiscono, il 78% dei nati da esse nascono morti, e di 21,5% nati vivi appena il 13% raggiunge il secondo anno di vita. Una condizione di cose spaven- tevole. Se in Prussia, dei fanciulli nati vivi, muore il 22% in media durante il primo anno di vita, dei bam- bini nati da donne che lavorano nelle fabbriche di spec- chi, dove si adopera mercurio, ne muoiono il 65%; nei bambini nati da donne impiegate ad arrotare i vetri il 55%; e il 40% di quelli nati da donne che lavorano col piombo. Secondo il dott. Hirt, nel secondo perio- do di gravidanza, è particolarmente perniciosa alle donne e al feto la fabbricazione di carte colorate, di fiori artificiali, la cosidetta spolverizzazione dei mer- letti di Bruxelles mediante la biacca, la fabbricazione di specchi; l’industria del caoutchouc e tutte le mani- fatture in cui le operaie sono esposte a esalazioni per- niciose – ossido di carbonio, acido carbonico e vapo- ri di zolfo. Pericolosissima è poi la fabbricazione di zolfanelli, nonché l’impiego e il lavoro nei setifici. Pe- ricoli per la vita, per effetto di lesioni alle membra, presenta specialmente la meccanica nelle industrie tes- sili, nella fabbricazione di materie infiammabili, e nei lavori di macchine campestri. Uno sguardo alla lista molto incompleta persuaderà del resto ogni lettore che una grande quantità dei lavori citati appartengono ai più faticosi ed opprimenti anche per gli uomini. Si ripete continuamente che questo o quel lavoro è inde- gno della donna, ma con ciò non si raggiungerà nes- sun effetto se non si potrà indicarle un altro campo di attività a lei più confacente. Non è certamente un attraente spettacolo quello di vedere delle donne, spesso anche incinte, condurre a gara insieme con gli uomini dei carri pesanti nella co- struzione delle ferrovie; ovvero far da manovali nelle fabbriche di calce e cementi e portar delle pietre pe- santi, o infine vederle negli stabilimenti ove si pulisce il carbone e il minerale ecc. La donna con ciò va spo- gliandosi di quanto vi è in lei di femminile; la sua fem- minilità viene calpestata, mentre gli uomini perdono tutto ciò che hanno di virile occupandosi in ogni ma- niera di impieghi. Il che è l’effetto dello sfruttamento e della guerra sociale. Le nostre corrotte condizioni sociali sconvolgono spesso la natura. Si comprende quindi che codesta estensione che il 79 lavoro delle donne prende e prenderà ancor più in tutti i campi della attività industriale, è vista di malocchio dall’uomo, il quale invoca e chiede ad alte grida che il lavoro delle donne sia soppresso e vietato dalla legge. E’ fuori di dubbio che per effetto di cotesta estensio- ne del lavoro femminile, la vita domestica va sempre più decadendo, donde la dissoluzione del matrimonio e della famiglia, e l’aumento spaventoso della scostu- matezza, della demoralizzazione, della degenerazione, delle malattie d’ogni maniera, e della mortalità dei bam- bini. Secondo la statistica pubblicata nel 1889 dalla Gazzetta di Lipsia, in quelle città della Sassonia che negli ultimi 20 anni divennero veri e propri centri ma- nifatturieri, la mortalità dei bambini è notevolmente cresciuta. Mentre nel periodo dal 1880-1885 nelle cit- tà della Sassonia, sopra 100 nati vivi, ne morirono 28,5 nel primo anno di vita, questa cifra fu di molto superata nelle città di Stollberg (44%); di Zshopau (43,4); di Ernstthal (42,6); di Zwönitz (40,7); di Lun- zenau (40); di Liechtenstein e Werdau (38,9); di Pe- nig (36,8); di Chemnitz (36,4); di Meerane (35,9). Ancora peggiori sono le condizioni nella maggior par- te delle grosse borgate industriali, e particolarmente nei dintorni di Chemnitz, dove la cifra della mortalità oscilla fra il 40 e il 50,7%. E malgrado tutto, questo sviluppo è un progresso alla stessa guisa che la pro- clamazione del principio della libertà delle industrie, di domicilio, e di matrimonio, e l'eliminazione di tutti gli impedimenti, che favorivano bensì lo sviluppo dei grandi capitali, ma colpivano a morte la nostra picco- la e media industria, servì a dare a quest’ultima un crollo irrimediabile. Gli operai non sono disposti ad aiutare la piccola industria manuale, perché questa cerca con ogni tipo di sforzi reazionari di limitare la libertà delle industrie e degli scambi, di rialzare le barriere rappresentate dalle corporazioni delle arti, e di mantenersi artificialmente in vita ancora per qualche tempo. Nemmeno si può far rivivere il passato nei riguardi del lavoro delle don- ne, il che non esclude però che delle leggi severe im- pediscano l’abuso dell’impiego delle donne e dei fan- ciulli, che è interdetto del tutto per gli obbligati alla scuola. In ciò, gli interessi dell’operaio concordano con quelli dell’umanità e della civiltà. Si finirà coll’eliminare i danni, che sono un effetto del progresso della cultura, della meccanica, dei mi- gliorati strumenti e sistemi di lavoro, e rimarranno soltanto i vantaggi, dei quali però saranno chiamati a godere tutti i membri della società. E’ un controsenso ed un’antinomia stridente, che i progressi e le conquiste della cultura, che sono il prodotto del generale sviluppo dell’umanità, avvan- taggino soltanto coloro che possono goderne mercè la loro potenza materiale, e che, al contrario, migliaia di laboriosi operai ed artisti debbano sgomentarsi ap- prendendo che lo spirito umano fece nuove scoperte, per cui si produce 10, 20, 40 volte più che il lavoro manuale, mentre ad essi non rimane che la triste pro- spettiva di essere gettati sul lastrico come inutili e su- perflui (98). Perciò, quello che dovrebbe essere salutato con gioia da tutti, diviene oggetto di rancore, di odio e di ostilità, sentimenti che nell’ultimo decennio determi- narono più d’una volta assalti alle fabbriche e distru- zione delle macchine. La stessa ostilità v’è oggi fra l’uomo e la donna-operaio. Ed anche ciò è contrario alla natura. Bisogna quindi cercare di creare una con- dizione sociale, in cui tutti gli strumenti di lavoro di- ventino proprietà dello stato; un ordinamento sociale che riconosca la perfetta uguaglianza giuridica di tut- ti, senza distinzione di sesso, che applichi tutti i possi- bili miglioramenti tecnici e scientifici e tutte le sco- perte in relazione all’arruolamento di tutti gli operai, oggi improduttivi o pericolosi, e degli oziosi; un ordi- namento sociale tendente a limitare la giornata di la- voro necessario al mantenimento della società, alla misura più breve possibile, per promuovere al più alto grado lo sviluppo fisico e intellettuale di tutti i membri della società. Soltanto in tal modo la donna potrà di- ventare membro della società, altrettanto utile e pro- duttivo quanto l’uomo; sviluppare completamente tutte le sue attitudini fisiche e intellettuali, compiere i dove- ri ed esercitare tutti i diritti del suo sesso. Quando essa sarà, di fronte all’uomo, in una condizione di libertà e di eguaglianza, si troverà al sicuro da ogni indegna pretesa. Quanto diremo in appresso proverà che lo svilup- po moderno tende e cammina verso un tale stato di cose, e che sono appunto i gravi inconvenienti di que- sto sviluppo che produrranno in un tempo non tanto lontano il formarsi di un tale stato. Diremo più tardi come ciò avverrà. Sebbene l'evoluzione già da noi accennata, riferi- bilmente alla posizione della donna nella nostra vita sociale, sia evidentissima per chiunque tenga gli oc- chi aperti, tuttavia si sente ogni giorno ciarlare della missione della donna, la quale si vuol far credere ri- volta esclusivamente alla casa ed alla famiglia. Ed anzi se ne fa un gran parlare, specialmente là dove la don- na tenta di penetrare nella sfera degli impieghi ed uffi- ci cosidetti più elevati, per esempio nell’istruzione ed amministrazione superiore, nelle facoltà di medicina o di legge, nelle scienze naturali. A questo proposito si fanno le obbiezioni più ridicole ed assurde, che ven- gono sostenute sotto l’apparenza della dottrina e della scienza. Di codesta attitudine alla scienza, se ne di- scorre spesso come dell’attitudine alla costumatezza e all’ordine. Sebbene non ci sia mai stato un uomo il quale con- (98) Il sig. A. Redgrave ispettore delle fabbriche, tenne sulla fine di dicembre del 1871 una conferenza a Bradford, nella quale disse fra altro: «Ciò che da qualche tempo mi ha colpito, fu il mutato aspetto delle fabbriche di panni. Prima queste fabbriche erano piene di donne e fanciulli, adesso le macchine fanno tutto. Un proprietario di fabbrica diede a me, che lo richiedevo, i seguenti schiarimenti. «Sotto il vecchio sistema io occupavo 63 persone, dopo l’introduzione delle macchine perfezionate ho ridotto la mano d’opera a 33; e ora, non è molto tempo, fui in grado di ridurla a 18 in conseguenza di nuovi perfezionamenti». In pochi anni dunque vi fu nel- l’odierna grande produzione una diminuzione nel numero de- gli operai quasi dell’80% in una fabbrica in cui la massa dei prodotti è rimasta almeno la stessa. A questo proposito poi, «Il Capitale» di Carlo Marx contiene molte notizie interes- santissime. Nota di A. Bebel. 82 del tubo a vapore freddo è uguale quasi dappertutto, e perciò in tutto il corso del tubo dell’aria vi è una tem- peratura uniforme. L’aria viene spinta nei tubi princi- pali mediante un mantice, e quindi ha sempre un’ec- cedenza di pressione che rende poco sensibile l’azio- ne dei gas nocivi del suolo. Dalle condutture principa- li si staccano altri condotti accessori verso i singoli edifici e i luoghi di consumo, i quali portano l’aria nelle stanze di abitazione o di lavoro. La quantità di calore consumata viene determinata da appositi con- tatori infissi nelle diramazioni"». Così si fa nella società borghese degli Stati Uniti. Ora è certo che quello che ivi è oggetto di speculazio- ne privata e di proprietari privati, potrebbe essere ese- guita per tutti altrettanto bene dallo Stato o dalla Co- munità con immenso e generale vantaggio. Ma la borghesia, che non conosce generosità di sentimenti, né larghezza d’idee, si stringe nelle spalle davanti a tali progetti. Se si fosse proposto alle no- stre donne di 50 o 60 anni fa di risparmiare alle loro figlie o fantesche l’incomodo di andare ad attingere acqua, mediante la costruzione di un acquedotto, avrebbero detto trattarsi d’una pazzia e d’una inutili- tà, perché si sarebbero abituate le figlie e le fante- sche a stare in ozio. Napoleone I dichiarò assurdo il progetto di far andar innanzi una nave a vapore. E chi non sa come furono giudicate le nostre ferrovie dai “poveri vetturali?” Insomma la nostra società borghese mostra già dappertutto i germi che verranno ampiamente svi- luppati e generalizzati da una società nuova, per cre- are, mediante una grande rivoluzione, un migliore as- setto sociale. Del resto, è fuori di dubbio che tutto lo sviluppo della nostra vita sociale non tende a confina- re ancora la donna tra le pareti domestiche, come pur vorrebbero i fanatici della donna casalinga, che essi vagheggiano, come gli Ebrei nel deserto sospiravano le perdute marmitte d’Egitto, ma è certo invece che esso mira a rompere la stretta sfera entro la quale si aggira la donna, per farla partecipare alla vita pub- blica del popolo, – nel quale non si conteranno più soltanto gli uomini – e ai compiti della cultura uma- na. Anche Laveleye lo ha riconosciuto pienamente, scrivendo (100) : «Man mano che aumenta ciò che si è soliti designare col nome di civiltà, i sentimenti di pietà e i legami della famiglia s’indeboliscono ed eser- citano minore influenza sulle azioni degli uomini. Que- sto fatto è così generale, che vi si può ravvisare una legge dell’evoluzione sociale». Ciò è giustissimo. Non solo la posizione della donna è radicalmente mutata, ma con essa è mutata, rispetto alla famiglia, anche quella dei figli e delle figlie, che a poco a poco hanno acquistato un grado d’indipendenza prima sconosciuta, specialmente negli Stati Uniti d’America, dove, favo- rita da tutta la società, si è spinta ad un grado, da noi non raggiunto, l’educazione alla libertà e alla indipen- denza. Gli inconvenienti che anche questa forma di sviluppo presenta oggi, non sono assolutamente es- senziali; e potranno evitarsi benissimo in condizioni sociali migliori, e si eviteranno. Anche il dott. Schäffle riconosce, come il Lave- leye, che il mutato carattere della famiglia dei tempi nostri, è un effetto della evoluzione sociale. Egli scri- ve (101): «La storia dimostra la tendenza di ricostitu- ire la famiglia sulle sue funzioni specifiche. La fami- glia rinunzia alle funzioni esercitate provvisoriamente in luogo d’altre, una dopo l’altra, cedendo, là ove essa aveva servito a colmare il vuoto delle funzioni sociali, a favore di istituzioni indipendenti per il diritto, l’ordi- ne, l’autorità, il servizio divino, l’istruzione, la tecnica ecc., non appena tali istituzioni si formano». Anche le donne incalzano sempre più, sebbene in sulle prime in minoranza e con intenti e propositi non ancora molto precisi. Esse vogliono misurarsi cogli uomini, non soltanto nel campo industriale, vogliono conquistare non solamente una posizione più indipendente nella famiglia, ma vogliono anche consacrare la loro attivi- tà intellettuale a più nobili arringhi (102). Ed eccoci davanti all’obbiettivo che la donna non vi possa riu- scire perché la natura non la provvide delle necessarie attitudini. Sebbene la questione sulla capacità della donna non tocchi né possa toccare nella società mo- derna che un numero limitatissimo di donne, tuttavia essa è d’importanza capitale. La maggior parte degli uomini crede sul serio che le donne devono rimaner sempre intellettualmente inferiori all’uomo, ed è que- sto pregiudizio che dobbiamo distruggere. Intanto è interessante il vedere che gli stessi uomi- ni, i quali non hanno nulla da opporre che la donna volga la sua attività in occupazioni, molte delle quali sono estremamente faticose e spesso pericolosissi- me, in cui la sua femminilità corre pericolo, e per le quali deve violare nel modo più manifesto i suoi dove- ri di madre e di sposa, è interessante, ripeto, il vedere come questi uomini vogliono poi escludere la donna da quelle occupazioni, nelle quali tutti questi ostacoli e pericoli sono molto minori; occupazioni che sarebbe- ro più adatte alla delicatezza dell’organismo di lei, che, dopo tutto, quanto a forza, regge al paragone con quello di più d’un dotto. Fra gli scienziati di Germania, i quali non vogliono saperne di permettere alla donna l’accesso agli studi superiori e vorrebbero almeno condizionarlo e limi- tarlo assai, accenniamo al prof. L. Bischof di Mona- co, al dott. Luigi Hirt di Breslavia, al prof. H. Sybel, L. de Bärenbach, al dott. E. Reich, ed altri molti. Il de (99) Calorico: antico nome del calore, quando ancora si riteneva che questo fosse un fluido. (100) La proprietà primitiva, Cap. 20, Comunione dome- stica. Nota di A. Bebel. Emile Louis Victor de Laveleye (1822- 1892), economista e saggista belga, è stato membro dell'Acca- demia reale del Belgio, ed ha scritto molte opere di economia, di storia e di politica, tra le quali, per l'appunto, quella citata da Bebel, De la proprieté et de ses formes primitives, del 1874. (101) Creazione e vita del corpo sociale. 1° vol. Nota di A. Bebel. Albert Eberhard Friedrich Schäffle (1831-1903) econo- mista e sociologo tedesco, fu ministro del commercio nel 1871 e poi dell'attività scientifica. Tra le sue numerse opere, alcune velate di idealità socialiste, vi è quella segnalata da Bebel, Bau und Leben des socialen Körpers del 1896. (102) Arringo, o arengo: Vocabolo antico col quale si indi- cava un luogo riservato alle riunioni dei partecipanti al libero comune medievale; in seguito per indicare l'assemblea riunita, detta anche concione o parlamento. 83 Bärenbach crede di poter negare alla donna l’accesso come le attitudini agli studi scientifici, osservando che fino ad oggi fra le donne non è mai sorto un genio, e che le donne sono notoriamente incapaci a intrapren- dere gli studi filosofici. Anzitutto ci sembra che il mondo abbia avuto finora troppi filosofi, per poter rinunziare senza danno alle filosofesse. Ma per ciò che si riferisce all’affermazione che le donne non ab- biano ancora prodotto alcun genio, ci sembra che non regga neppure questa e che non provi nulla. I geni non piovono dal cielo; essi hanno bisogno dell’occa- sione per formarsi e svilupparsi, e questa occasione non solo fino ad ora è quasi completamente mancata alle donne, come abbiamo dimostrato a sufficienza nel compendio storico; ma la si è oppressa in ogni maniera per migliaia di anni. Dire che le donne non hanno alcuna disposizione e attitudine a diventare dei geni, perché si crede con ciò di poter negare al numero pur grande di donne rag- guardevoli ogni e qualsiasi genio, è tanto erroneo e ingiusto, come se si volesse sostenere, che nel mon- do degli uomini non sono stati possibili altri geni, al- l’infuori di quei pochi, che si considerano come tali. Ora ogni maestro di villaggio sa quante felici attitudini fra i suoi scolari non finiscono e non si sviluppano, per mancanza della possibilità di educarle. Il numero degli uomini di talento e di genio è certamente molto maggiore di quello che si è manifestato fino ad oggi, perché le condizioni sociali li soffocano e spengono: ed è precisamente lo stesso anche della capacità del sesso femminile, che per migliaia di anni venne conti- nuamente oppresso e soffocato. Oggi noi manchiamo assolutamente di ogni crite- rio per giudicare quale abbondanza di forza e attitudi- ni intellettuali si svilupperanno negli uomini e nelle don- ne non appena queste potranno spiegarsi sotto condi- zioni più conformi alla natura. Oggidì avviene nell’umanità precisamente quello che avviene nel regno vegetale. Milioni di germi pre- ziosi non riescono a svilupparsi, perché il terreno ove essi cadono non è adatto, ovvero è già occupato da male erbe, che tolgono alla tenera pianticella il nutri- mento, l’aria e la luce. Le stesse leggi reggono anche la vita dell’umanità. Se un giardiniere o un agricoltore volesse dire di una pianta che non attecchisce o non cresce vigorosa, quantunque egli non ne abbia anco- ra fatto verun esperimento, e l’abbia forse arrestata nel suo sviluppo con un erroneo trattamento, quel giar- diniere o quell’agricoltore sarebbe qualificato per im- becille dai suoi vicini più istruiti. Lo stesso avverreb- be se egli volesse rifiutarsi di incrociare una femmina dei suoi animali domestici con un maschio di una raz- za più perfetta, per allevare una razza di animali più perfetti. Se non che non vi sarebbe oggi in Germania nes- sun contadino tanto ignorante, da non vedere i van- taggi di questo modo di trattamento delle sue piante o del suo bestiame; un’altra questione è quella di vedere se i suoi mezzi gli permettono di adottare sistemi mi- gliori. Gli è soltanto nel mondo umano che anche i dotti non vorrebbero che valesse ciò che viene pure da essi sostenuto come legge indistruttibile in tutti gli altri regni della natura. Eppure ognuno può, anche senza essere naturalista, fare da sé delle osservazio- ni molto istruttive. Perché i figliuoli dei contadini dif- feriscono dai figli nati da cittadini? Perchè i figli del- le classi più agiate differiscono dai figli dei poveri, non solo nell’aspetto fisico, ma anche in certe quali- tà intellettuali? Il perché, su ciò siamo tutti d’accor- do, deve trovarsi nella diversità delle condizioni di vita e di educazione. L'uniformità dipende dal perfezionarsi in una data professione, imprime all’uomo dei tratti caratteristici. Un curato, un maestro si riconoscono facilmente il più delle volte al portamento, all’espressione della fi- sionomia, come si riconosce facilmente un militare anche se veste l’abito borghese. Un calzolaio si di- stingue agevolmente da un sarto, un falegname da un magnano. Due gemelli, che nella fanciullezza fossero pure somigliantissimi, presenteranno più tardi delle differenze notevoli, se la professione loro è diversa; per l’uno, per es. quella manuale del magnano, per l’altro quella degli studi filosofici. L’eredità, dunque, e l’adattamento agiscono in modo decisivo sullo svi- luppo dell’uomo, precisamente come agiscono sul regno animale, ed anzi sembra che l’uomo sia il più adattabile e pieghevole degli esseri. Bastano pochi anni di un dato genere di vita e di professione, per farne addirittura un altro uomo. Questo rapido mutamento, almeno esteriormente, non si manifesta mai tanto pa- lesemente quanto allorché un uomo sale d’un tratto da una condizione di miseria a condizioni di agiatezza. Anche se non può rinnegare il suo passato almeno nella sua cultura intellettuale, ciò non lo pone nell’im- possibilità di svilupparsi ulteriormente, perché anche gli uomini dappoco sentono fino ad una certa età la tendenza e provano il desiderio di educare l’intelligen- za, ritenendolo anzi necessario. E’ peccato però che la gente rifatta senta ben di rado i danni derivanti dal difetto di cultura. L’epoca nostra che mira al danaro e agli interessi materiali si curva davanti all’uomo dana- roso assai più volentieri che non davanti allo scienzia- to e al dotto, se questi ha la disgrazia di essere povero e di non avere alcun titolo o grado. E’ certo che ben di rado si scorge nei figli di questa gente rifatta la loro origine, perché anche intellettualmente e moralmente si trasformano. L’esempio più eloquente dell’azione che esercita- no le condizioni di vita e l’educazione sugli uomini, si trova nei nostri distretti industriali. Ivi lavoratori e im- prenditori presentano anche esteriormente tale diver- sità, come se essi appartenessero a due diverse razze. Sebbene avvezzi a tale diversità, questa ci si pre- sentò davanti agli occhi in modo quasi spaventoso in occasione di un’assemblea che abbiamo tenuto nel- l’inverno del 1877 in una città ove si esercita l’indu- stria della lavorazione dei minerali. In una adunanza ove noi sostenemmo una disputa con un professore del partito liberale, entrambi i par- titi erano così largamente rappresentati che la sala era troppo angusta per contenerne il numero; si urtavano e pigiavano l’uno vicino all'altro. La parte anteriore della sala era occupata dagli avversari, dalla figura, quasi senza eccezione, forte, robusta ed aitante, dal- 84 l’aspetto sano; nella parte posteriore della sala e nelle gallerie c’erano gli operai e i piccoli borghesi, per nove decimi tessitori, delle signore per la maggior parte pic- cole, mingherline, scarne, pallide, sul cui viso si leg- geva il dolore e la miseria. Gli uni rappresentavano la virtù satolla e la morale che può pagare, gli altri erano le api laboriose e le bestie da tiro, del cui lavoro tanto si avvantaggiavano i primi da presentare un così florido aspetto, mentre questi erano affamati. Si pongano entrambi per una generazione nelle stesse condizioni favorevoli di esi- stenza, e l’antitesi scomparirà, e sarà certo cancella- ta nei discendenti. E’ inoltre evidente che, in generale, è più difficile di stabilire la posizione sociale delle donne dal loro aspetto esterno perché esse si adattano a nuove con- dizioni e assumono abitudini di vita più alte con mag- gior facilità. La loro attitudine all’adattamento è in que- sto senso più grande di quella dell’uomo, più disadat- to in tutto. Devesi quindi riconoscere la grande importanza che, dal punto di vista delle leggi naturali, le condizio- ni sociali hanno sullo sviluppo dei singoli. Soltanto chi ha idee limitate o gli uomini di cattiva volontà possono disconoscere, che il miglioramento delle condizioni sociali e quindi delle condizioni fisi- che, intellettuali e morali potranno far raggiungere, non solo agli uomini, ma anche alla donna quel grado di perfezione del quale non abbiamo oggi una idea completa. Non si può porre in dubbio ciò che alcune donne hanno fatto finora, perché queste donne eccel- lono sulla massa del loro sesso almeno altrettanto quan- to i geni maschili eccellono sopra la massa dei loro simili. Nel governo degli Stati le donne, misurate in proporzione al loro numero e alla loro attività, con la norma stessa con cui oggi si è soliti di misurare i prin- cipi, han dato, in media, prova di maggiore talento degli uomini. Ricordiamo, ad esempio, Isabella e Bianca di Castiglia, Elisabetta d’Ungheria, Elisabetta d’Inghil- terra, Caterina di Russia, Maria Teresa, ecc. Del resto di più di qualche grand’uomo si sfronderebbe la glo- ria, se si sapesse sempre ciò che egli deve a se stesso, e ciò che deve agli altri. Il conte di Mirabeau viene presentato dagli storici tedeschi, per esempio, dal si- gnor De Sybel, come uno dei più celebri oratori ed anche come il genio più grande della rivoluzione fran- cese. Ebbene, oggi la critica storica ha constatato che questo genio così potente pigliava in prestito le idee di quasi tutti i suoi discorsi e quelli dei più celebri senza eccezione, da alcuni letterati che in silenzio lavorava- no per lui, e dei quali egli seppe profittare abilmente. D’altra parte, figure del mondo femminile come madama Roland, la signora di Stäel, George Sand, Lady Elliot, meritano la più alta ammirazione ed anzi più di qualche astro maschile impallidisce vicino ad esse. E’ pur noto ciò che hanno fatto certe donne come madri di uomini eminenti. Le donne insomma hanno operato intellettualmen- te tutto quello che era possibile, date le sfavorevolis- sime circostanze in cui esse vissero, e tanto basta per essere autorizzati a nutrire le migliori speranze per il loro ulteriore sviluppo. Ma, ammesso che le donne non siano in media capaci di sviluppo intellettuale al grado stesso degli uomini e non possano diventare né geni, né grandi filosofi, bastò forse questa circostanza alla maggio- ranza degli uomini, quando si accordò ad esse, alme- no secondo la lettera della legge, la piena eguaglianza giuridica coi “geni” e coi “filosofi”? Gli stessi dotti che negano alla donna una maggior capacità, sono pure facilmente disposti a contrapporla all’operaio ed all’artigiano. Essi ridono ironicamente e si stringono nelle spalle quando la nobiltà fa appello al sangue bleu e alla razza; ma, rispetto all’uomo di bassa condizio- ne, essi si considerano come una aristocrazia, la qua- le nulla deve, per ciò che essa è diventata, alle più favorevoli circostanze della vita, (ohibò! vi vedrebbe una umiliazione di se stessa), ma solo ed esclusiva- mente al proprio talento e alla propria intelligenza. Quelli stessi che, in un certo campo, appartengono ai più spregiudicati ed hanno una mediocre opinione di co- loro che non la pensano liberamente come essi, in altro campo, là cioè dove si tratti degli interessi della loro casta e del loro ceto, del loro amor proprio e della loro vanità, professano idee e principi limitatissimi e oppongono una resistenza accanita sino al fanatismo. Così la classe più elevata del mondo mascolino pensa e giudica della classe più bassa dello stesso mondo, e quasi tutto il mondo mascolino poi della donna. Gli uomini, in generale, non vedono nelle donne nient’altro che un mezzo, uno strumento di piacere e di godimento; a considerarle come loro eguali si op- pongono i loro pregiudizi. La donna deve essere sot- tomessa, modesta, limitarsi alle faccende domestiche, tutto il resto dev’essere lasciato all’uomo “re del cre- ato”, come suo patrimonio. La donna deve porre ogni possibile freno alle sue idee e alle sue aspirazioni e starsene tranquilla ad aspettare ciò che la sua provvi- denza terrena (il padre o il marito) deciderà di lei. Quanto più essa si mostra ligia a questi precetti, e tanto più virtuosa, ragionevole e costumata la si considera, an- che se essa dovesse rovinarsi sotto il peso di soffe- renze fisiche e morali, conseguenze della sua schiavi- tù. Ma se si parla della eguaglianza di tutti gli uomini, è una assurdità il volere escludere la metà del genere umano. La donna ha i diritti stessi dell’uomo, l’accidenta- lità della nascita nulla può mutare. Mettere fuori dal diritto la donna, perché nacque donna e non uomo – del che l’uomo ne ha tanto merito quanto la donna – è altrettanto iniquo, quanto il far dipendere il godimento dei diritti dalla professione di fede religiosa o politica, e altrettanto insensato quanto allorquando due uomini si considerano nemici, perché appartengono entram- bi, per l’accidentalità della nascita, a razze o naziona- lità diverse. Tali sentimenti sono indegni di un uomo libero, e il progresso dell’umanità consiste nel togliere al più pre- sto possibile tutte le barriere. Verun’altra inuguaglian- za è giustificata all’infuori di quella che la natura pose per base al raggiungimento dei suoi scopi natu- rali apparentemente eterogenei, ma sostanzialmente 87 fronte al pubblico. Se differenza vi è fra l’intelligenza dell’uomo e quella della donna, deve essere in ogni modo una differenza assai lieve, poiché uno psicolo- go come Stuart-Mill ha dichiarato di non averla trova- ta. La statura, la forza muscolare, il volume del cor- po, presentano grandissime differenze, ed è per ciò che le donne si sono chiamate il sesso debole; e scrit- tori che non riuscivano a riconoscere tali differenze si arrogarono il diritto di stabilire una differenza psico- logica, e cioè di risolvere un problema molto più diffi- cile e complesso alzando la voce per cantare le lodi del proprio sesso! “Perciò la differenza del peso del cervello e della capacità cranica, considerata scientificamente non può essere ritenuta come svantaggiosa alla donna, perché tutto prova che questa differenza dipende dal peso del corpo, e non vi è alcuna ragione anatomica per ritene- re che la donna sia rimasta più indietro dell’uomo e sia a questo intellettualmente inferiore. E lo proverò subito. “La proporzione fra il peso del cervello e la statura è più piccola nel sesso femminile che nel maschile (106); ma ciò si spiega facilmente: la statura non espri- me lo sviluppo, o, per dir meglio, il peso del corpo non esprime abbastanza il grado d’intelligenza. “Ma se paragoniamo la proporzione del peso del cervello, allora troviamo che le donne hanno più cer- vello degli uomini, così durante la fanciullezza come, specialmente, durante la vita. La differenza non è gran- de, ma sarebbe ancora più notevole se non avessimo tenuto conto, nel peso del corpo, dell’adipe che si trova in maggior quantità nelle donne e che non ha alcuna influenza sul peso del cervello perché massa inerte”. Più tardi e cioè nel 1883, il Manouvrier pubblicò nel numero 7 della “Rivista scientifica” i seguenti ri- sultati delle sue ricerche: “Calcolando 100 il peso del cervello dell’uomo, delle ossa del femore, del cranio e della mascella infe- riore, troviamo essere: il peso del cervello della donna 88,9 il peso del cranio della donna 85,8 il peso della mascella inferiore della donna 78,7 il peso delle ossa del femore della donna 62,5 “Inoltre è un fatto provato che il peso dello sche- letro (senza il cranio) cambia come quello delle ossa del femore; per cui è possibile riscontrare il peso del cervello con quello di queste ossa. Il risultato delle cifre suesposte è questo: che le donne hanno, relati- vamente, una massa cerebrale che supera quella del- l’uomo del 26,4 per 100. “Esprimiamo ancora un po' più plasticamente le cifre citate. “Se la massa cerebrale dell’uomo è uguale a 100 grammi, quella della donna dovrebbe essere non di 100, ma soltanto di grammi 62,5; in quella vece la massa cerebrale della donna è di grammi 88,9, e quin- di una eccedenza di grammi 26,4. Ritenendo pertanto che il peso medio del cervello dell’uomo sia di gram- mi 1410 (secondo il Wagner), il peso del cervello del- la donna dovrebbe essere di grammi 961,25, in luogo di 1262; e perciò la donna ha una massa cerebrale che supera di grammi 301,75 il peso che sarebbe voluto dalla proporzione. Accettando i dati dell’Huschke, si troverebbe una eccedenza di grammi 372, e finalmen- te, di grammi 383 secondo le cifre del Broca. Perciò, a parità di condizioni, le donne hanno una eccedenza cerebrale che supera di tre e quattrocento grammi quella dell’uomo”. Non è dunque vero affatto, che le donne siano in- feriori all’uomo per effetto della loro costituzione ce- rebrale, e non si deve quindi meravigliarsi che le don- ne siano intellettualmente quello che sono. Certamente Darwin ha ragione quando afferma che, di fronte ad una serie di uomini più eccellenti nella poesia, nella pittura, nella scultura, nella musica, nella scienza e nella filosofia, non può reggere al paragone una serie di donne altrettanto chiare ed illustri nelle stesse materie. Quale meraviglia? Si dovrebbe mera- vigliarsi, al contrario, se così non fosse. E’ giusta pertanto l’osservazione del dottor Do- del-Port (107) in risposta all’oggetto, che cioè sareb- be ben altrimenti se uomini e donne egualmente edu- cati si ammaestrassero per una serie di generazioni nell’esercizio di quelle arti e discipline. La donna, in generale, anche fisicamente è più debole dell’uomo, il che non si verifica presso molti popoli selvaggi, nei quali, anzi, si nota talvolta tutto il contrario. Ma una prova dell'efficacia dell’esercizio e dell'edu- cazione sulla forza muscolare anche della donna, è fornita dalle saltatrici dei circhi equestri, le quali non solo gareggiano con qualsiasi uomo in coraggio, in ardimento, in agilità e in forza fisica, ma spesso fanno miracoli e destano lo stupore del pubblico. E poiché tutto ciò è l’effetto delle condizioni di vita e della educazione, o per esprimerlo con una pa- rola dura, attinta dalle scienze naturali, “della razza” e l’applicazione sapiente delle leggi naturali al regno ve- getale ed animale si compie in modo sorprendente, non v’ha dubbio che l'applicazione di queste leggi an- che alla vita fisica ed intellettuale dell’uomo condur- rebbe a risultati ben diversi, se l’uomo scientemente le violasse. Le premesse dimostrano quale stretto ed intimo legame vi sia fra le moderne scienze naturali, tutta la nostra vita sociale e il suo sviluppo. La savia applica- zione delle leggi naturali allo sviluppo della società umana può spiegarci la nostra situazione, né si riusci- rebbe altrimenti a scoprirne l’origine e la causa. E ri- salendo alle cause, troviamo che dominio e potere, carattere e qualità così dei singoli come delle classi e dei popoli, dipendono principalmente dalle condizio- ni materiali della vita e quindi dall’ambiente sociale (106) Quatrefages trovò che questa proporzione è un pò più grande nella donna che nell’uomo. Thurnam trovò il con- trario, come L. Manouvrier. Nota di A. Bebel. (107) La nuova storia della creazione. Nota di A. Bebel. (108) E’ una scoperta che Carlo Marx fece per primo, con- fermata classicamente nelle sue opere, e specialmente nel «Ca- 88 ed economico in mezzo al quale essi vivono (108), e sentono l’influenza del suolo, della sua fertilità e del clima. Se le infelici condizioni di esistenza – e cioè la imperfezione dello stato sociale – sono la causa del manchevole sviluppo individuale, ne segue necessa- riamente, che migliorando queste condizioni, anche gli uomini miglioreranno. Conchiudendo: L’applicazione delle leggi natura- li, sotto il nome di darwinismo, alla vita umana con- corre a formare altri uomini alla stessa guisa che al socialismo soltanto si dovrà il formarsi di un nuovo ordine di cose, secondo la dottrina di Carlo Marx. Non varrà né il ricalcitrare né la riluttanza – “se non si va innanzi spontaneamente, farò uso della forza” – intendo dire la forza della ragione. La legge darwinia- na della lotta per la vita, per la quale l’essere più forte e più perfetto opprime e distrugge il più debole, nei riguardi della umanità si risolve in questo che, alla fine, gli uomini come esseri pensanti e senzienti mutano, migliorano e perfezionano continuamente le loro con- dizioni sociali e tutto ciò che a queste è annesso; per modo che, alla fine, tutti gli esseri umani si troveran- no nelle stesse favorevoli condizioni di esistenza. L’umanità creerà a poco a poco a se stessa condi- zioni, detterà leggi e provvedimenti economici tali che renderanno possibile al singolo di sviluppare le pro- prie attitudini e disposizioni naturali a vantaggio pro- prio e della comunità, ma lo renderanno impotente a danneggiare altri o tutti, perché il danno dei terzi sa- rebbe pur danno suo. Questa condizione avrà tale ef- ficacia sull’intelligenza e sul sentimento, che l’idea di dominare sugli altri non germoglierà più nel cer- vello di alcuno. Perciò il darwinismo è, come qualsiasi altra scien- za esatta, una dottrina eminentemente democratica (109), e se i suoi difensori non lo vogliono riconosce- re e sostengono anzi il contrario, bisogna dire che non sanno misurare la portata della loro scienza. Gli avversari, specialmente il clero che ha sempre l’odo- rato fine, quando si tratta di vantaggi terreni o del pericolo che li minaccia, hanno misurata per bene l'im- portanza e il significato di questa scienza denunzian- do il darwinismo come una dottrina infetta di sociali- smo e di ateismo. E il professore Wirchow andò d’ac- cordo con quelli che in altro campo sono suoi nemici, quando nel congresso dei naturalisti tenutosi nel 1877 a Monaco, apostrofò il professor Häckel dicendo: “che la dottrina darwiniana mena al socialismo”. Wirchow tentò di screditare il darwinismo perché Häckel do- mandava che la dottrina evoluzionista fosse compre- sa fra le materie di insegnamento. Ora si pensi che, se è vero che la teoria darwinisti- ca conduce al socialismo, come afferma il Wirchow, ciò non prova nulla contro la teoria, ma è anzi un argomento, se mai, favorevole solo al socialismo. La scienza non si cura di sapere se le sue conseguenze sono tali da condurre a questa o a quella forma di organizzazione politica, come non va ad indagare se son tali da determinare questa o quella condizione so- ciale. La scienza deve esaminare soltanto se i suoi principi sono esatti, e, quando tali essi siano, devono accettarsi con tutte le loro conseguenze. Chi agisce altrimenti, o per vantaggio personale o per godere la protezione, i favori dei potenti, o per interesse di classe o di partito, agisce indegnamente e non fa onore alla scienza. La scienza regolamentata, che è la scienza che si insegna nelle nostre università, solo in rarissimi casi può pretendere alla indipendenza e al carattere. La paura di perdere lo stipendio o la protezione dei potenti e il timore di dover rinunziare a titoli, ad ordini cavallereschi o alla promozione, fa sì che i rappresentanti della scienza si pieghino ed ab- bassino sino a nascondere i propri convincimenti o, peggio, fino a dire pubblicamente tutto il contrario di ciò che pensano. Se un Dubois Reymond nel 1870, in occasione di una solennità nell’Ateneo berlinese, esclamò: “le Uni- versità sono gli istituti di educazione per la intellettua- le guardia del corpo degli Hohenzollern”, si può giudi- care che cosa pensino dello scopo della scienza gli altri che, per sapere e per autorità, stanno molto al disotto del Dubois-Reymond (110). Si avvilisce la scienza col renderla schiava del potere. Noi comprendiamo che il professor Häckel e i suoi fautori, quali il professore Schmidt, il signor di Hel- lwald ed altri, si difendano energicamente contro l’ac- cusa che il darwinismo sia un’arma ed un pretesto nelle mani dei socialisti, e dal canto loro sostengano: che è vero anzitutto il contrario, perché la dottrina darwinistica è aristocratica, insegnando essa che nel- la natura il più forte e il più perfetto schiaccia il più debole. E siccome le classi abbienti ed educate rappresen- tano nella società questi esseri più vigorosi e meglio organizzati, è giustificato il loro predominio, perché ciò è necessario per legge di natura. La erroneità di questa conclusione è evidente. Ri- tenuto che questo sia il convincimento dei sopra cita- ti, è chiaro che essi applicano soltanto meccanica- mente le dottrine loro all’umanità. Siccome la lotta per la vita si combatte nel mondo animale e vegetale inconsciamente, e cioè nell’igno- ranza delle leggi che regolano la vita di questi mondi, così costoro credono che altrettanto debba valere per l’umanità. Fortunatamente però, questa arriva a co- noscere le leggi che regolano il suo sviluppo e non le rimane pertanto che il compito di applicare tale co- noscenza ai suoi istituti politici, sociali e religiosi, e di trasformarli. Quindi fra l’uomo e il bruto vi ha que- sta differenza, che l’uomo può ben dirsi un animale pensante, mentre l’animale non è un uomo pensante. pitale». – Il manifesto comunistico del febbraio 1848 redatto da C. Marx e da F. Engels si svolge su questo concetto fonda- mentale, e può considerarsi anche oggi come il lavoro più atto a tener viva l’agitazione. Nota di A. Bebel. (109) L’atrio della scienza è il tempio della democrazia, Buckle: Storia della civiltà in Inghilterra, volume secondo, parte seconda, IV ediz. Trad. di A. Runge. Nota di A. Bebel. (110) Il signor Dubois-Reymond ha ripetuto la frase sopra citata, riferendosi agli attacchi dei quali fu bersaglio nel febbra- io del 1883 in occasione del giorno natalizio di Federico il Grande. Nota di A. Bebel. 89 A molti darwiniani pur dotti ciò è sfuggito; di qui il circolo vizioso in cui essi si aggirano. Il professore Häckel e i suoi fautori negano pure che il darwinismo conduca all’ateismo, e dopo di aver messo alla porta con prove scientifiche d’ogni maniera il Creatore, ten- tano con ogni sforzo di farlo passare di contrabbando dalla finestra. A questo scopo si crea una specie sin- golare di “religione” che si chiama “alta moralità”, “principii morali”, ecc. Il professor Häckel, nel congresso dei naturalisti inauguratosi in Eisenach nel 1882, alla presenza della famiglia del duca di Weimar, non solo cercò di salvare la religione, ma di far passare il suo maestro Darwin come un uomo pio. Il tentativo fallì, come può con- statare chiunque, il quale abbia letto quella relazione e la lettera del Darwin ivi citata. Questa lettera affermava tutto il contrario di quel- lo che essa doveva dire secondo il professor Häckel, certamente con espressioni prudenti e circospette, per- ché Darwin aveva riguardo alla “Pietà” dei suoi con- nazionali, gli inglesi, e perciò non s’arrischiava mai di esprimere pubblicamente l’opinione sua sulla religio- ne. Darwin aveva detto privatamente al dottor Büch- ner, come si seppe poco dopo il congresso di Wei- mar, che egli non era più credente da quando rag- giunse il quarantesimo anno di età, – e quindi fino dal 1849, – perché non aveva scoperta alcuna prova per la fede. Darwin poi, negli ultimi anni della sua vita, fondò a New-York un giornale ateistico. Insieme col professore Wirchow, si scaglia con- tro Darwin e il darwinismo anche il dottor Dühring in modo assai violento. Per riuscirvi, costui si foggia un darwinismo alla sua maniera, per combatterlo con armi prese in parte a prestito dal darwinismo stesso. Se si può spiegare con l’applicazione sapiente del- le leggi naturali l’origine e la causa delle trasformazio- ni dei generi e anche delle specie nel mondo animale e vegetale – trasformazioni che si manifestano in modo evidentissimo – queste riusciranno alla fine – una vol- ta che si applichino le leggi dell’evoluzione alla educa- zione dell’uomo – riusciranno, ripetesi, a fissare e de- terminare alcune qualità fisiche e morali che gli ren- deranno possibile l’armonico sviluppo. * * * Le donne, in virtù della tendenza naturale al perfe- zionamento, tendenza in loro vivissima, devono lotta- re con l’uomo anche sul campo dell’intelligenza, e non devono aspettare, finché piaccia agli uomini, di sviluppare le loro funzioni cerebrali. Questa tendenza è già notevole. Qua e là le donne hanno rimossi molti ostacoli e corrono all’arringo intellettuale; in alcuni paesi con singolare successo, e specialmente nell’Ame- rica settentrionale e nella Russia, due paesi che, per la loro organizzazione politica ed anche per le loro con- dizioni sociali, sono agli antipodi. Così nell’America settentrionale come nella Russia, vi sono molte donne che professano la medicina, parecchie delle quali go- dono gran fama ed acquistarono grande clientela (111). Non v’ha dubbio che la donna, della quale ti met- tono ovunque in rilievo le attitudini di infermiera, ab- bia anche una particolare attitudine alla medicina. Inol- tre, per le nostre donne, sarebbe un grande beneficio quello di farsi curare da medichesse, perché il fatto che esse devono chiamare gli uomini in caso di malat- tia ed in tutti i disturbi fisici che si collegano alla gene- razione costituisce spesso un ostacolo a che i soc- corsi dell’arte medica arrivino in tempo. Di qui una infinità di dispiaceri non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Non v’è medico il quale non deplori questo riguardo, alle volte colpevole, nelle donne, e la loro ripugnanza a confessare francamente il loro male. Ciò si comprende, solamente è illogico che gli uomini e perfino i medici non vogliano riconoscere che lo studio della medicina è adatto alla donna. Il quale stu- dio sarebbe utile anche per ciò che, specialmente nel- le campagne, si sente il bisogno di medici, mentre la nostra gioventù borghese, rifuggente dalle serie appli- cazioni, non si dedica con troppo entusiasmo all’eser- cizio dell’arte salutare. Dato il poco zelo di questa gio- ventù nell’apprendere – poco zelo che fu dimostrato dai risultati degli esami – la concorrenza femminile sarebbe molto benefica. Gli Stati Uniti porgono a questo proposito parec- chi esempi. Ivi prosperano, con grande orrore dei nostri conservatori, dotti e indotti di entrambi i sessi, delle università ove si perfezionano maschi e femmi- ne in gran numero. Ed eccone i risultati. Il signor White, rettore dell’università di Michigan, riferisce: “Il mi- gliore fra mille e trecento studenti nella lingua greca, è da molti anni una ragazza; il migliore fra gli studenti di matematica in una delle classi più numerose del nostro istituto, è egualmente una ragazza, e parecchi, fra i migliori studenti di scienze naturali e di tutte le altre scienze, sono pure delle altre ragazze”. Il dottor Fairshild, rettore del collegio di Oberlin nell’Ohio, ove studiano più di mille scolari d’entrambi i sessi, dice: “Durante la mia pratica di otto anni quale professore di lingue antiche – latino, greco, ebraico – e nelle discipline filosofiche, nonchédurante undici anni d’insegnamento delle matematiche pure ed applicate, io non ho notata alcun’altra differenza fra i due sessi, senonché nel modo di comportarsi”. Il signor Edoar- do H. Machill, preside del collegio di Swarthmore nella contea di Delaware, autore del lavoro che ci fornisce questi dati, dice che, dopo una esperienza di quattro anni, egli è venuto a questo risultato: che l’educazione in comune di ambo i sessi ha prodotto i migliori risul- tati nei riguardi morali. Ciò va ricordato a coloro i quali sostengono un pericolo per la moralità in tale (111) Medichesse ed operatrici di gran fama vi erano già nel nono e nel decimo secolo in Arabia, ed anche nella Spagna sotto il dominio degli Arabi, dove esse studiavano nella Uni- versità di Cordova. A quel tempo la donna era nell’impero Arabo-Maomettano assai più libera di quello che sia oggi in Oriente, il che è dovuto a Maometto, il quale introdusse dei sostanziali miglioramenti nella sua condizione sociale. Però l’influenza asiatica, persiana e turca ha pregiudicato ed avvilito più tardi la posizione della donna in Oriente. Nella storia della civiltà in Oriente del Kremer, si possono leggere, a questo proposito, delle interessanti comunicazioni. Anche a Bologna ed a Palermo nel XII secolo vi erano donne che studiavano medicina. Nota di A. Bebel. 92 stwos (112), 54 trovarono impiego nelle cliniche, 12 lavorarono in qualità di assistenti nelle scuole di medi- cina, e 46 si diedero ad esercitare privatamente la medicina.E’ degno di nota il fatto che più del 52% delle studentesse non conoscevano né il latino, né il greco; il che non impedì loro di fare il proprio dovere al pari degli uomini. Nondimeno i circoli governativi in Russia erano punto favorevoli ad aprire alle donne la via degli studi, finché il ghiaccio della indifferenza non fu rotto dai grandi meriti che seppero farsi le donne in qualità di medichesse durante la guerra russo-turca del 1877-78. Lo studio delle donne in Russia si diffuse notevol- mente fino dal principio del 1880, perché da allora migliaia di scolare si dedicarono allo studio degli sva- riati rami del sapere, ma considerando che in tal modo si facevano strada idee più liberali, che minacciavano di diventare pericolose per il dispotismo, le scuole di medicina vennero soppresse con Ukase del 1° mag- gio 1885, dopo che già si era cercato con ogni sforzo di rendere più grave e difficile la vita alle donne che studiavano (113). Le donne in Isvizzera hanno fatto pure notevoli progressi nel ramo degli studi durante i due ultimi decenni, frequentando specialmente le Università di Zurigo e di Berna. Basilea ha precluso fino ad oggi alle donne l’accesso agli studi, e Genf [Ginevra, NdR] fu poco frequentata da esse. Nell’inverno del 1885- 86, 48 donne studiavano a Zurigo, 16 delle quali era- no svizzere, distribuite così: 1 agli studi legali, 28 alla medicina e 19 alla facoltà di filosofia. Nello stes- so periodo di tempo a Berna studiavano 57 donne, 13 delle quali erano svizzere, 42 studiavano medici- na e 15 filosofia. Le straniere erano russe general- mente; ma anche la Germania vi dà un contingente notevole. Nella primavera del 1878, una studentessa russa sostenne a Berna gli esami, distinguendosi spe- cialmente nella matematica, per modo che la facoltà di filosofia le conferì ad unanimità il diploma di dot- tore a pieni voti. Altrettanto accadde alcuni mesi più tardi ad una signora austriaca laureatasi in medicina nella Università Bernese, e verso la fine del 1887 l’Ac- cademia delle Scienze di Parigi conferì alla signora S. v. Kowalewsky il primo premio nelle matemati- che. Questa signora ebbe una cattedra di matemati- ca a Stoccolma. In Germania, lo Stato non solo non ammise fino ad ora le donne agli studi, ma anche nei pochi casi in cui le impiegò, le trattò come una forza produttiva da sfruttare, perché vengono pagate per le stesse presta- zioni assai meno dell’uomo. Ora, siccome l’uomo, già nelle presenti condizio- ni, si trova di fronte alla donna come davanti ad un concorrente, la osteggia doppiamente se il suo lavoro corre rischio di essere vinto e superato da un altro lavoro più a buon mercato, d’onde la difficoltà delle condizioni della donna. A ciò si aggiunga che il milita- rismo in Germania fa concorrere ogni anno agli im- pieghi tanti sottufficiali fuori di servizio e tanti ufficia- li esclusi dall’esercito, che non vi è più alcun posto libero per altri, e perciò le donne che vi trovavano impiego, ne vennero per la maggior parte rimosse. Nemmeno possono disconoscersi i gravi inconvenienti derivati dall’eccesso di lavoro imposto dallo Stato e dai privati alle donne, inconvenienti tanto più gravi, nel caso che le operaie debbano compiere anche i do- veri domestici. Come la economia privata si trova in conflitto colle esigenze create dalla vita a milioni di donne, così le condizioni generali dell'economia pub- blica si trovano in conflitto con la dignità umana della grande maggioranza. Le donne danno prova ogni anno più di avere at- titudini e capacità quanto l’uomo, malgrado la tra- scurata educazione, e di essere in grado di sostenere la lotta coll’uomo in molti rami dell’attività umana. Scrittrici ed artiste valenti non mancano, come non mancano fra esse dei rappresentanti di altri elevati uffici. Ciò porge argomento di rispondere ai reazio- nari, che non si può negare ad esse l'eguaglianza giu- ridica. E’ fuori di dubbio, che, nelle presenti condi- zioni sociali, né le donne, né gli uomini hanno rag- giunto, a questo riguardo, la meta. L’insinuarsi che fanno le donne con sempre maggiore energia negli impieghi più elevati – il che riesce possibile soltanto ad una minoranza – può alla fine esercitare la stessa influenza che nel campo dell’industria. Anche in questi uffici più elevati, la donna viene pagata proporzio- nalmente meno dell’uomo, a misura che la sua con- correnza fa aumentare l’offerta. Noi sappiamo di un caso, in cui una donna doveva succedere nel posto occupato prima da un insegnante, ma colla metà dello stipendio. E’ una pretesa certamente vergognosa, ma perfettamente giustificata dai principi dominanti nel mondo borghese, e fu accettata per forza di circo- stanze. E’ certo pertanto che per le donne non può sorgere speranza d’un migliore avvenire, non rattri- stato cioè dalla miseria, perciò che ad esse si aprono le porte degli impieghi e degli uffici più elevati. Assai più di questo si deve fare. (113) Tempo nuovo, 1884; pag. 155 e segg.: Lo studio delle donne in Russia. Nota di A. Bebel. Quando un ceto od una classe è economicamen- te e socialmente soggetta ad un’altra, questa sogge- zione trova sempre la sua espressione nelle leggi del paese. Le leggi non sono altro che la condizione so- ciale di un paese tradotta ed espressa in un certo numero di precetti giuridici, rispecchianti cotesta condizione. Le donne considerate come sesso sog- La posizione giuridica e politica della donna. getto e dipendente, non fanno eccezione a questa regola. Le leggi sono negative e positive. Negative in quanto, nella distribuzione dei diritti, non accen- 93 nano agli oppressi come se essi non esistessero, positive in quanto ne consacrano lo stato di sogge- zione e sanciscono delle eccezioni. Il nostro diritto comune è basato sul diritto roma- no che considerava l’uomo soltanto come un essere capace di possesso. Tuttavia l’antico diritto germani- co, che aveva della donna un concetto più dignitoso, ha conservato in qualche modo la sua efficacia. Al contrario, presso i popoli latini, il concetto romano del diritto predomina anche oggi, particolarmente poi nei riguardi della donna. Non è un caso che nella lin- gua francese l’uomo e il marito vengano designati con una stessa parola. Il diritto francese conosce come uomo soltanto il marito. Era altrettanto a Roma, dove si conoscevano cittadini romani e mogli di cittadini romani, ma non si conoscevano cittadine. Sarebbe superfluo aprire il libro variopinto dei molti diritti co- muni, specialmente tedeschi; pochi esempi basteran- no. Secondo il diritto comune germanico, la donna trovasi da per tutto nella condizione di tutela rimpetto all’uomo; il marito è il padrone ed a lui essa deve ob- bedienza. Se disobbedisce, il diritto prussiano confe- risce al marito di più bassa condizione il diritto di pu- nirla con una pena afflittiva corrispondente. Vi possono essere però anche uomini distinti ed altolocati i quali usurpano ed esercitano tale diritto. E siccome non sono determinati né la forza né il nume- ro delle bastonate, il marito rimane arbitro assoluto. Il vecchio diritto della città di Amburgo sancisce: “E’ permesso al marito di infliggere una giusta punizione alla moglie, ai genitori di punire i figliuoli, ai maestri di punire gli scolari, ai padroni i servi”. Anche in Germa- nia si incontrano spesso disposizioni identiche. Se- condo il diritto comune prussiano, il marito può inol- tre prescrivere alla moglie quando debba smettere l’al- lattamento. Quando occorra di pigliare dei provvedi- menti pei figli, è il marito quegli che decide. Morto il marito, la moglie deve per lo più accettare un tutore per i figli, viene dichiarata minore ed incapace a prov- vedere da sola alla educazione della prole, anche nel caso che essa sola ne curi il mantenimento col suo patrimonio e colla sua attività. Generalmente, è il ma- rito l’amministratore della sua sostanza, la quale, in caso di concorso, viene per lo più considerata come sua e messa a disposizione dei creditori, se manca un contratto precedente al matrimonio che le garantisca i beni. Là dove è in vigore il diritto di primogenitura per la proprietà immobiliare, la moglie non ne può entrare in possesso, sebbene primogenita, quando vi sono maschi e fratelli; allora soltanto acquista il diritto a succedere quando non vi siano fratelli. Essa non può esercitare i diritti politici che hanno di regola il loro fondamento nella proprietà fondiaria, eccetto che in alcuni casi, come in Sassonia, ove le ordinanze del paese le accordano il diritto elettorale in quanto pos- siede, ma non quello della eleggibilità. Se essa poi ha un marito, tutti i diritti passano in lui. In Sassonia pare che le donne siano anche eleggibili sotto certe condi- zioni, perché nell’autunno del 1889, stando alle rela- zioni dei giornali, tre donne furono elette consiglieri comunali. Nella maggior parte degli Stati, la donna può contrattare soltanto col consenso del marito, tran- ne il caso in cui si tratti di affare suo proprio, nella quale ipotesi la nuova legislazione le consente di far valere le sue ragioni anche senza l’assistenza del ma- rito. Però la donna è esclusa dai pubblici affari. La legge federale prussiana proibisce agli scolari ed agli apprendisti che non hanno raggiunto il diciottesimo anno, nonchè alle donne, di far parte di società politi- che o di partecipare a comizi d’indole politica. Ancora pochi anni or sono, le donne non potevano accedere ai tribunali per assistere come uditori ai pubblici di- battimenti, essendovi ordinanze che ne facevano loro divieto. Una donna che metta alla luce un figlio illegit- timo non ha diritto agli alimenti se essa ha ricevuto doni da chi la fecondò durante il periodo della gravi- danza. Se si pronuncia la separazione, la donna deve portare il nome del marito a perenne ricordo di lui, fuorché nel caso che si rimariti. Queste prove possono bastare. In Francia le cose sono ancora peggio. Abbiamo già esposto come si è risolta la questione della paternità in caso di prole ille- gittima. A quella questione si collega l’altra, che la donna in caso di adulterio da parte del marito non può agire senz’altro per far pronunziare la separazione di letto e mensa, perché l’adulterio deve essersi verifi- cato sotto gravissime circostanze. Al contrario, il marito può chiedere subito la separazione. Altrettanto avviene nella Spagna, nel Portogallo, e in Italia. Se- condo l’articolo 215 del codice civile, la moglie non può comparire in giudizio senza il consenso del mari- to e di due parenti a lei più prossimi, e ciò anche nel caso che essa eserciti il commercio. Secondo l’art. 213, il marito deve proteggere la moglie, e questa gli deve obbedienza. Il marito ne amministra i beni ecc. Identiche disposizioni sono in vigore nella Svizze- ra francese, per esempio nel Cantone di Waadt. Sul concetto di Napoleone I relativamente alla posizione della donna corre un motto caratteristico: “in primo luogo non è francese una donna che può fare ciò che le piace” (114). La condizione giuridica della donna si è notevol- mente migliorata in Inghilterra sino dall’anno 1882 anche per effetto di una energica agitazione provoca- ta dalle donne nel paese e in parlamento. Per il passato la donna inglese era la schiava del marito il quale pote- va disporre a suo piacimento così della sua persona, come della sua sostanza. Il marito era responsabile dei reati commessi dalla moglie in sua presenza, per- ché essa era considerata come assolutamente incapa- ce. Se essa recava danno ad alcuno, si giudicava come se il danno fosse stato commesso dagli animali dome- stici ed era il marito che doveva risponderne. Secon- do un sermone pronunciato nel 1888 dal vescovo I.N. Wood nella chiesa di Westminster, ancora cent’anni fa la donna non poteva sedersi a mensa né parlare finché non era interrogata. Sopra il letto si appendeva una buona frusta che il marito poteva adoperare quando la sposa era di cattivo umore. Soltanto le figlie dove- vano ubbidire ai suoi comandi, i figli non vedevano in lei che una serva. La donna venne parificata all’uomo (114) Bridel: Puissance maritale. Nota di A. Bebel. 94 nei diritti civili per legge nell’agosto 1882. Fra tutti gli Stati europei, quello ove le donne sono trattate più liberamente è la Russia, e ciò si deve in parte alle istituzioni comunistiche là ancora vive, in parte, alla tradizione. Il comunismo è lo stato sociale più favorevole alle donne, come è dimostrato da ciò che abbiamo esposto sui tempi del diritto materno. Negli Stati Uniti acquistarono la piena eguaglianza giu- ridica – almeno nella maggior parte degli Stati – e riu- scirono anche ad impedire che fossero introdotte le leggi inglesi od altre sul meretricio (115). La evidenza palmare della ineguaglianza giuridica delle donne rimpetto agli uomini, ha fatto sorgere fra quelle più progredite l’aspirazione all’acquisto dei di- ritti politici allo scopo di raggiungere l’eguaglianza giu- ridica mediante la legislazione. E’ il concetto stesso che diede motivo anche alla classe operaia di promuo- vere ovunque delle agitazioni per la conquista dei di- ritti politici. Ora ciò sembra un diritto per la classe degli operai, non può non essere tale per le donne. Oppresse, poste fuori dalla legge, esse hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di difendersi e di far uso di ogni mezzo che giovi a conquistare loro una posi- zione più indipendente. E’ naturale che i reazionari osteggino queste aspirazioni e questi sforzi. Esami- niamo un po' con quale diritto. La grande rivoluzione francese che distrusse tutto il passato e sciolse le catene che inceppavano il pen- siero e la coscienza chiamò sulla scena anche le don- ne. Molte di queste avevano già partecipato vivamen- te, nei due ultimi decenni che precedettero lo scoppio della rivoluzione, alla grande battaglia intellettuale che si combattè violentemente nella società francese. Esse accorrevano numerose alle discussioni scientifiche, facevano parte dei circoli politici e scientifici e con- correvano da parte loro ad apparecchiare la rivoluzio- ne, nella quale le teorie e le dottrine dovevano tradursi in fatti. La maggior parte degli storici hanno preso atto soltanto degli eccessi della rivoluzione travisan- doli mostruosamente come usa sempre quando si tratta di accusare il popolo e di destare raccapriccio, per poter poi mascherar meglio le infamie dei potenti. Cotesti storici hanno quando rimpicciolito, quando passato sotto silenzio l’eroismo e la magnanimità di cui hanno dato prova a quel tempo non poche donne. Finché i vincitori scriveranno la storia dei vinti, sarà sempre così. Già nell’ottobre del 1789 centinaia di donne pre- sentavano all’assemblea nazionale una petizione nella quale chiedevano “fosse ristabilita l’eguaglianza fra l’uomo e la donna, libertà di lavoro e di occupazioni, e collocamento in quegli uffici che fossero adatti alle loro attitudini”. Quando la Convenzione del 1793 proclamò i diritti dell’uomo, le donne avvedute riconobbero che si trat- tava soltanto dei diritti degli uomini, ai quali vennero contrapposti da Olimpia de Gouges, da Luigia Lacom- be e da altre i “diritti della donna” in diciasette artico- li così giustificati davanti alla Comune di Parigi nel 28 brumaio (20 novembre 1793): “Se la donna ha il dirit- to di salire il patibolo, deve avere il diritto di salire la tribuna” (116). Naturalmente queste domande non vennero esaudite. Quando la convenzione, di fronte alla reazione europea, dichiarò “la patria in pericolo” e chiamò tutti gli uomini atti alle armi affinchè accor- ressero a difendere la patria e la repubblica, animose donne di Parigi si offersero di fare quello che venti anni più tardi fecero sul serio le donne prussiane con- tro il dispotismo napoleonico, e cioè di difendere la patria colle armi in pugno. Il radicale Chaumette (117) si fece loro incontro gridando: “da quando mai è per- messo alle donne di rinnegare il loro sesso e di fare da uomini? da quando mai vi è il costume di vederle ab- bandonare le faccende domestiche, la cura dei figli per scendere nelle piazze, arringare la folla, arruolarsi nelle file dell’esercito, insomma per compiere i doveri che la natura non ha imposto che all’uomo? La natura disse all’uomo: sii uomo! La corsa, la caccia, l’agri- coltura, la politica, le applicazioni d’ogni maniera sono privilegio tuo! Al contrario la natura disse alla donna; sii donna! La cura dei tuoi bambini, la custodia della casa, le soavi inquietudini della maternità, ecco le oc- cupazioni tue! Incaute, perché volete diventar uomi- ni? Non sono forse gli uomini divisi abbastanza? di che cosa avete bisogno? In nome della natura, restate ciò che siete, e ben lontane dall’invidiarci i pericoli di una vita tanto procellosa, accontentatevi di farceli di- menticare in grembo alle nostre famiglie, lasciando riposare i nostri occhi sullo spettacolo inebbriante dei nostri figli che le vostre tenere cure rendono felici”. Le donne si lasciarono persuadere e se ne andaro- no. Il radicale Chaumette riuscirà certo molto gradito alla maggior parte dei nostri uomini che, del resto, hanno di lui un sacro orrore. Ora crediamo anche noi che sia una divisione di lavoro conveniente quella per (115) Meretricio: la pratica della prostituzione. (116) Olimpia de Gouges (pseudonimo di Marie Gouze, 1748-1793), drammaturga francese, visse durante la rivoluzio- ne francese partecipandovi nel club dei Girondini. Celebre per la commedia intitolata “L’Esclavage des Noir ou l’heureux naufrage”, scritta nel 1786, mentre nel 1788 ha pubblicato le “Riflessioni sugli uomini negri”, contro la schiavitù. E’ nota, in particolare, per aver scritto la “Dichiarazione dei dirittti della donna e della cittadina” (1791), sulla traccia della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che in realtà non fu accolta dal governo rivoluzionario, preceduta dalla Nécessité du divorce, scritto nel 1790, rivendicando per l’appunto il divorzio. Il 3 novembre 1793 fu ghigliottinata, come molti altri membri del club dei girondini, perché si era opposta pubblica- mente all’esecuzione di Luigi XVI. (117) Pierre-Gaspard Chaumette (pseudonimo Anaxago- ras), 1763-1794, fu procuratore di Parigi durante la rivoluzione ; portaparola dei sans-coulotte, ha lottato per l’abolizione della schiavitù. Nei confronti delle rivendicazioni femminili per l’egua- glianza politica e sociale fra donne e uomini ebbe una posizione nettamente reazionaria: si felicitò pubblicamente dell’esecu- zione di Olimpia de Gouge e di altre donne, accusandole di voler andare “contro natura” invece di dedicarsi alla casa e ai bambini. Membro del club dei Cordeliers, sostenitore della “de- cristianizzazione” (il suo pseudonimo Anaxagoras lo riprese dal filosofo greco che predicava l’ateismo), fervente partigiano del Terrore nel 1793 dopo essersi opposto alla guerra e aver sostenuto l’abolizione della pena di morte nel 1791-92, fu in seguito arrestato e ghigliottinato per “cospirazione contro la repubblica” e per aver “cercato di annientare ogni sorta di mo- rale, cancellare ogni idea di divinità e fondare il governo france- se sull’ateismo”. (vedi http://fr.wikipedia.org/wiki/Pierre- Gaspard_Chaumette).
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